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PREMESSI CENNI SUL CONCORSO, ORDINARIO E ANOMALO, DI PERSONE NEL REATO,
NONCHÉ SULL'ABERRATIO ICTUS, SI SOFFERMI IL CANDIDATO SUL TITOLO DI
RESPONSABILITÀ DEL MANDANTE DEL DELITTO NEL CASO DI OMICIDIO DI PERSONA
DIVERSA DALLA VITTIMA DESIGNATA
Il tema proposto dalla traccia richiede di analizzare istituti di parte generale tra loro
eterogenei.
Il primo tema da affrontare riguarda il cosiddetto concorso anomalo disciplinato dall’art.
116 c.p.
Qualora il fatto concretamente realizzato da uno dei correi integri una figura di reato
diversa da quella che taluno dei compartecipi voleva realizzare, infatti, il principio di
imputazione dolosa e la disciplina che ne deriva impedirebbero in astratto di estendere la
contestazione anche a quest’ultimo.
Tale conclusione trova però il suo “ribaltamento” proprio nell’art. 116 c.p., a mente del
quale «qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti,
anche questi ne risponde, se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione».
Il chiaro tenore letterale della norma, il fatto che richieda quale presupposto della
responsabilità la mera sussistenza di un nesso materiale tra condotta del compartecipe e
reato commesso dimostra come il legislatore del ’30 avesse in mente un’ipotesi di
responsabilità oggettiva, fondata sul principio del versari in re illicita.
Il presupposto di fondo è che colui il quale si affida ad altri per l’esecuzione di un reato
corre il rischio di rispondere anche delle eventuali conseguenze non volute.
A mitigare la ferrea disciplina del concorso anomalo interviene solo la circostanza
attenuante obbligatoria ad effetto comune prevista dal secondo comma della stessa
disposizione, che trova applicazione qualora: «il reato commesso è più grave di quello
voluto».
Con l’entrata in vigore della Costituzione il contrasto tra la disciplina come descritta ed il
principio affermato dall’art. 27 Cost. (nullum poena sine culpa) è apparso in tutta la sua
evidenza, giacché in questo caso il reato diverso (anche qualora sia più grave) viene
imputato al compartecipe sulla base del solo contributo causale da egli prestato (sia in
termini materiali che morali).
Tale contrasto è stato superato anni addietro dalla Corte costituzionale tramite una
sentenza interpretativa di rigetto con la quale, pur confermandosi la compatibilità
costituzionale dell’art. 116 c.p., si è ribadito che l’art. 27 Cost. impone un nesso di
imputazione non solo oggettivo ma altresì soggettivo del fatto al suo autore. In ambito
concorsuale, ciò significa che il reato diverso o più grave deve potersi rappresentare nella
mente del compartecipe nell’ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, come uno
sviluppo logicamente prevedibile del reato voluto (C. Cost. n. 42 del 1965). Solo così il
fatto diverso (ed anche più grave) potrà essere riferito soggettivamente anche al correo
che non l’ha voluto.
Tale pronuncia ha ingenerato tuttavia una nuova problematica: in seguito a tale
approdo, infatti, ci si è domandati cosa debba intendersi per «sviluppo logicamente
prevedibile» del reato voluto.
Due tesi si confrontano tuttora sul punto.
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Secondo un primo orientamento, la nozione di “sviluppo logicamente prevedibile” va
inteso in termini astratti, nel senso che occorre mettere a confronto il reato voluto e
quello commesso sotto il profilo degli elementi costitutivi che caratterizzano ciascuna
fattispecie. La valutazione si concentra dunque sul tenore letterale delle norme violate,
prescindendo dalle concrete circostanze in cui si sono svolti i fatti.
Secondo un diverso punto di vista, invece, occorre che l’accertamento si svolga in
concreto: è dunque necessario che alla luce di tutti gli elementi del fatto, sia sotto il
profilo oggettivo (natura dell’accordo tra i correi, identità degli stessi, circostanze di
tempo e di luogo etc) sia sotto il profilo soggettivo (livello di conoscenza di tali circostanze
nei concorrenti) possa rispondersi positivamente alla domanda se fosse prevedibile che
taluno deviasse dal piano comune commettendo un reato diverso da quello
programmato.
È evidente come l’applicazione di questi due criteri alternativi conduca a soluzioni assai
diverse.
Si pensi alla relazione che intercorre tra la rapina progettata e l’omicidio commesso.
Trattandosi, nel caso della rapina, di un reato il cui duplice bene giuridico è
rappresentato dal patrimonio e dalla incolumità personale e che contempla tra gli
elementi costitutivi la violenza, limitandosi ad un raffronto esclusivamente astratto tra
questa e l’omicidio volontario si dovrebbe concludere che ogni qual volta uno dei correi
cagiona la morte della vittima tale evento dovrà essere posto a carico di tutti i
compartecipi, essendo l’evento sviluppo logicamente prevedibile del reato programmato.
Tale non sarà
prevedibilità in
circostanze in
prevedesse una
la necessaria conclusione, invece, qualora si applichi il criterio di
concreto, dal momento che in tal caso si dovranno analizzare tutte le
cui si sono svolti i fatti, domandandosi, ad esempio, se l’accordo
rapina commessa con violenza oppure con minaccia.
Solo l’analisi del fatto come concretamente svoltosi consentirà al giudice di stabilire se il
fatto diverso (ed in questo caso più grave) fosse prevedibile quale logico sviluppo di quello
concordato o se tutti i correi l’avessero addirittura previsto (anche se non voluto)
accettando il rischio del suo verificarsi, cosicché – in tale ultimo caso - la responsabilità
sarà da considerare addirittura non già anomala bensì piena e ordinaria.
Spesso la disciplina dell’art. 116 c.p. viene considerata quale caso di aberratio delicti
concorsuale. E tuttavia va osservato che in realtà il concorso anomalo non pare avere
elementi in comune con la fattispecie descritta dall’art. 83 c.p. né condividerne i principi:
mentre infatti l’art. 116 c.p. richiede che il reato diverso sia voluto almeno da uno dei
concorrenti, l’art. 83 c.p. si applica in ambito concorsuale laddove, per errore nell’uso dei
mezzi di esecuzione del reato, taluno commetta un reato diverso da quello inizialmente
programmato e non voluto da alcun concorrente, prevedendo che in tal caso ne
rispondano tutti i correi a titolo di colpa, ma solo qualora il fatto sia previsto dalla legge
quale delitto colposo.
Su di un piano ancora diverso si colloca la aberratio ictus concorsuale, che si verifica
laddove, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, taluno dei concorrenti
commetta il delitto ai danni di una vittima diversa da quella designata. Evidente la
differenza con l’aberratio delicti concorsuale: in questo caso il reato è quello che
effettivamente i correi avevano intenzione di commettere, mentre a mutare rispetto
all’originario piano criminoso è solo il soggetto passivo.
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A tal riguardo, il primo comma dell’art. 82 c.p precisa che il reo risponde come se avesse
commesso il reato in danno della persona che voleva offendere «salve, per quanto riguarda
le circostanze aggravanti e attenuanti, le disposizioni dell’art. 60 c.p».
Nemmeno l’art. 82 primo comma c.p. è sfuggito a talune controversie interpretative.
Secondo alcuni autori, infatti, anche in questo caso ci si troverebbe alla presenza
dell’ennesimo caso di responsabilità oggettiva in contrasto con il già menzionato principio
di responsabilità colpevole affermato dall’art. 27 Cost, al punto che taluni hanno
proposto di subordinare l’operatività dell’art. 82 c.I all’individuazione del medesimo
coefficiente di imputazione colposa di cui già si è fatto cenno in relazione all’art. 116 c.p.
E tuttavia, non si può non osservare come, fatta eccezione per alcune particolari
fattispecie (ad esempio l’art. 276 c.p. che punisce l’attentato al Presidente della
Repubblica) l’identità del soggetto passivo non rientri tra gli elementi costitutivi del reato.
Non fa eccezione nemmeno il delitto di omicidio volontario di cui all’art. 575 c.p, basti
pensare che esso offre una tutela impersonale alla vita umana che prescinde in maniera
assoluta dall’identità della vittima, cosicché nulla muta, sotto il profilo dell’offesa al bene
giuridico, qualora a trovare la morte sia soggetto diverso da quello contro cui i correi
volevano rivolgere l’azione.
L’art. 82 c.p. primo comma esprime dunque un principio generale, al punto che taluni
autori hanno sostenuto la sua superfluità nell’ordinamento penale.
Per la maggioranza dei commentatori, tuttavia, la disposizione non pare in verità priva di
un preciso ruolo, avendo lo scopo di estendere alle ipotesi di aberratio ictus la disciplina
delle circostanze delineata dall’art. 60 per l’errore sulla persona.
Nulla esclude, ovviamente, come già si accennava poc’anzi, che l’art. 82, primo comma
possa trovare applicazione anche alla fattispecie concorsuale: la stessa giurisprudenza di
legittimità ha ribadito in più di un’occasione che se a causa di un errore nell’esecuzione
del reato di omicidio taluno dei correi cagiona la morte di un soggetto diverso da quello
inizialmente preso di mira tutti i compartecipi ne risponderanno secondo i principi del
concorso ordinario.
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