Arsenij Tarkovskij: “Поэт” Il poeta come рыцарь бедный tra Puškin

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Arsenij Tarkovskij: “Поэт” Il poeta come рыцарь бедный tra Puškin
Arsenij Tarkovskij: “Поэт”
Il poeta come рыцарь бедный tra Puškin e Mandel’štam
Giuseppe Mussi
Anna Achmatova è una delle le prime lettrici dell’esordio di Arsenij
Tarkovskij, la raccolta di poesie Перед снегом (Prima della neve), pubblicata
nel 19621. La poetessa accoglie entusiasticamente il libro, definendolo come
“un dono inatteso e prezioso per il lettore contemporaneo”, i cui versi
“stupiscono per una serie di qualità rarissime, la più sorprendente delle quali
è che le parole che noi pronunciamo ogni minuto, diventano irriconoscibili,
soffuse di mistero e generano nel cuore una risonanza inattesa”. La
Achmatova invita a giudicare il lavoro di Tarkovskij “con il più severo dei
giudizi”, perché esso “nulla teme”. L’autore è per lei “una voce che
risuonerà a lungo nella poesia russa”, per i versi di Ветер (Il vento) parla
addirittura di “una delle vette della poesia russa contemporanea”2.
Negli “enormi strati di lavoro” che costituiscono l’opera di Tarkovskij la
Achmatova osserva che “il poeta è passato attraverso una serie di influssi,
più o meno forti, di predecessori e contemporanei”3. Un’affermazione con
la quale la poetessa riconosce la tradizione poetica e la genealogia letteraria a
cui Tarkovskij si sente appartenere (Puškin su tutti, ma anche Deržavin,
Tjutčev, Vjačeslav Ivanov e in modo particolare Mandel’štam) e che va letta
come un omaggio al poeta; ma che cela anche una critica, se è vero che
proprio in quel periodo la stessa Achmatova confessava ad Anatolij
Najman4 la volontà di trascinare via Tarkovskij, “con le proprie mani”, dal
“falò mandel’štamiano”5. L’influenza di Mandel’štam è, forse, troppo forte.
E non si coglie nella semplice comparazione dei rispettivi versi, dove
nonostante il comune uso di un ampio registro plurilinguistico e il ricorrere
a metri e modelli strofici classici la distanza tra i due poeti è data anzitutto
dalla diversa tradizione in cui si riconoscono6 - ne è prova la differenza
radicale nella scelta lessicale -, quanto piuttosto nella concezione che
Tarkovskij ha della poesia, del ruolo del poeta, e nel sentirsi, come poeta,
lontano dalla cultura ufficiale così come da quella popolare. Una posizione
questa, che Mandel’štam incarna in modo unico ed esemplare.
I due poeti si erano incontrati casualmente una prima volta negli anni
Trenta, negli uffici della casa editrice Госиздат (Государственное
издательство, Editrice di Stato). In quell’occasione Mandel’štam aveva
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fatto dono al giovane Tarkovskij di una copia della seconda edizione della
raccolta di poesie Камень (Pietra)7. Solo qualche anno dopo Mandel’štam
aveva ricevuto Tarkovskij, insieme ad Arkadij Štejnberg e Nikolaj
Berendgof, a casa di Rjurik Ivnev; i tre giovani poeti avevano avuto modo di
leggere i loro versi, poi aspramente criticati da Mandel’štam8.
È bene non sottovalutare quale sia stato l’impatto di questi avvenimenti
sul poco più che ventenne Arsenij. La conoscenza di Mandel’štam e la
lettura dei suoi versi avrebbero portato infatti al giovane poeta un’influenza
così profonda e duratura tale da diventare, pur costituendo un’indiscutibile e
determinante forza ispiratrice, anche una zavorra di cui doversi liberare.
L’episodio del primo incontro ispirerà a Tarkovskij i versi di Поэт (Il poeta)
del 1963, con la quale Tarkovskij cercherà di esorcizzare quello che anche
secondo Anna Achmatova è, a un tempo, imponente modello e solido
ostacolo. La poesia verrà pubblicata però solo nel 1966, nel volume Землеземное (Alla terra ciò che è della terra), che la Achmatova non riuscirà mai a
leggere.
In Поэт Tarkosvkij, come a prendere coscienza del proprio debito,
affida così nei propri versi l’alloro della poesia a Mandel’štam, senza
dimenticare però a chi quell’alloro sia sempre appartenuto. Ad aprire il
componimento è infatti un’epigrafe puškiniana9: Жил на свете рыцарь
бедный (C’era un cavaliere povero), capoverso di una poesia senza titolo del
1829, che, oltre ad avviare una sentita riflessione sul ruolo del poeta, e più
generalmente dell’artista, disegna l’ideale genealogia da cui Tarkovskij si
sente discendere. L’omaggio a Puškin non si esaurisce inoltre nella scelta
dell’epigrafe: Tarkovskij adotta per la poesia il tetrametro trocaico
puškiniano.
ПОЭТ10
Жил на свете рыцарь бедный...
Эту книгу мне когда-то
В коридоре Госиздата
Подарил один поэт;
Книга порвана, измята,
И в живых поэта нет.
Говорили, что в обличье
У поэта нечто птичье
И египетское есть;
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Было нищее величье
И задерганная честь.
Как боялся он пространства
Коридоров! Постоянства
Кредиторов! Он, как дар,
В диком приступе жеманства
Принимал свой гонорар.
Так елозит по экрану
С реверансами, как спьяну,
Старый клоун в котелке
И, как трезвый, прячет рану
Под жилеткой из пике.
Оперенный рифмой парной,
Кончен подвиг календарный, –
Добрый путь тебе, прощай!
Здравствуй, праздник гонорарный,
Черный белый каравай!
Гнутым словом забавлялся,
Птичьим клювом улыбался,
Встречных с лету брал в зажим,
Одиночества боялся
И стихи читал чужим.
Так и надо жить поэту.
Я и сам сную по свету,
Одиночества боюсь,
В сотый раз за книгу эту
В одиночестве берусь.
Там в стихах пейзажей мало,
Только бестолочь вокзала
И театра кутерьма,
Только люди как попало,
Рынок, очередь, тюрьма.
Жизнь, должно быть, наболтала,
Наплела судьба сама.11
Se nei versi emerge chiaramente il ricordo dell’incontro con
Mandel’štam, reso dall’autore con nostalgia e ironia, a rivelarsi
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particolarmente interessante è proprio l’epigrafe, che si impone come
emblema dell’intero componimento.
Il capoverso di Puškin infatti, e precisamente l’idea puškiniana del
рыцарь бедный, apre nella sua associazione con il ruolo del poeta
numerose e complesse implicazioni.
Una prima può essere individuata tra i versi della poesia di Puškin a cui
Tarkovskij fa riferimento, Жил на свете рыцарь бедный12, secondo
quella che è possibile definire come una prospettiva eroico-romantica. Il
poeta corrisponderebbe così al рыцарь бедный inteso come паладин
(paladino), guerriero e cavaliere, “Духом смелый и прямой” (d’animo
ardito e onesto), “И гнала его угроза / Мусульман со всех сторон” (il
cui grido atterrisce i musulmani da ogni parte), ma Молчаливый и
простой, / С виду сумрачный и бледный” (taciturno e modesto, triste e
pallido d’aspetto)13.
Tarkovskij recupera così l’archetipo del cavaliere cristiano che per il
lettore russo però racchiude una più antica ambivalenza: il рыцарь бедный
è sì un eroe, un paladino e un guerriero, ma anche, spesso, uno юродивый
(jurodivyj).
Юродивый è una parola molto antica, usata per indicare individui che
per destino o per vocazione si sono venuti a trovare sul confine che separa
follia e santità. Il significato del termine dipende dalla prevalenza del primo
o del secondo elemento. Nel primo caso infatti юродивый significa
“imbecille”, “deficiente”, “balzano” (mantenendo però una sfumatura di
compassione e rispetto che le menomazioni psichiche suscitavano negli
ambienti rurali russi, profondamente religiosi), nel caso invece in cui prevale
l’idea di santità lo jurodivyj è una sorta di profeta-mendicante che esprime
con le stranezze del suo comportamento una precisa forma di pietà
religiosa, risalendo ai “profeti danzanti” del Vecchio Testamento (Samuele I
10, 5) e a un’accezione letterale della Prima Lettera ai Corinzi (1,18): “Il
linguaggio della croce è follia per quelli che si perdono, ma per noi che
salviamo, è potenza di Dio. Sta scritto infatti: ‘Distruggerò la sapienza dei
savi, annienterò l’intelligenza dei dotti”14. La Chiesa russo-ortodossa
riconosce infatti ufficialmente gli “jurodivyj per amore di Cristo”, e a uno di
essi è dedicata la più celebre cattedrale russa, quella del beato Vasilij, sulla
Piazza Rossa di Mosca15.
Per tradurre la parola jurodivyj in questa accezione si è spesso usata in
italiano l’espressione “folle in Cristo”.
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Se il richiamo al рыцарь бедный di Puškin è immediato ed esplicito,
esiste un’altra associazione, non meno decisiva, ma sottointesa, che si offre
come importante trait d'union tra il cavaliere di Puškin e lo jurodivyj: è quella
con l’Идиот (L’idiota) di Dostoevskij16.
È possibile infatti trovare nel celebre romanzo di Dostoevskij
un’eccezionale chiave di lettura della poesia di Puškin e quindi dell’epigrafe
scelta da Tarkovskij. Non solo perché il protagonista del romanzo, il
principe Lev Nikolaevič Myškin si offre, pur nella sua imponderabilità di
personaggio-sfinge17, come perfetta rappresentazione, e modernissima, di un
donchisciottesco рыцарь бедный, ma soprattutto perché Dostoevskij lascia
discutere a lungo i personaggi del romanzo proprio sulla poesia di Puškin,
ne cita i versi, ritornando in più occasioni sulla figura del “cavaliere
povero”.
- Лучше "рыцаря бедного" ничего нет лучшего! провозгласил вдруг Коля, стоявший все время у стула
Лизаветы Прокофьевны.
- Это я сам тоже думаю, - сказал князь Щ. и засмеялся.
- Я совершенно того же мнения, - торжественно
провозгласила Аделаида.
- Какого "рыцаря бедного"? - спрашивала генеральша, с
недоумением и досадой оглядывая всех говоривших, но
увидев, что Аглая вспыхнула, с сердцем прибавила: - Вздор
какой-нибудь! Какой такой "рыцарь бедный"?18
È così che ha inizio la discussione sul рыцарь бедный nel romanzo di
Dostoevskij prima di diventare una sorta di bizzarra esegesi. L’associazione
con Myškin è insistita, ma appena celata, e nasce, come poi verrà
confessato, da uno scherzo: “- Это шутка. Это та же шутка, что и
тогда с ‘бедным рыцарем’”19. A rivelarla è inizialmente lo stesso
comportamento del principe: “даже улыбнулся сам князь
Лев
20
Николаевич, тоже почему-то покрасневший” , ritratto ironicamente
in modo magistrale dall’autore.
La riflessione incontra poi un nodo centrale con l’esemplare
rappresentazione del рыцарь бедный come don Quijote:
- Месяц назад вы Дон-Кихота перебирали и воскликнули
эти слова, что нет лучше "рыцаря бедного". Не знаю, про кого
вы тогда говорили: про Дон-Кихота или про Евгения
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Павлыча, или еще про одно лицо, но только про кого-то
говорили, и разговор шел длинный...21
L’accostamento del principe, attraverso l’immagine del “cavaliere
povero”, al don Quijote, che era appena stato nobilitato in Russia da un
saggio di Turgenev22, ha una primaria importanza nella rappresentazione del
personaggio Myškin. “Il principe è Cristo” scrive ripetutamente Dostoevskij
nel quaderno d’appunti per l’Идиот, nel senso però di mito tragico, di
“hybris che corre verso il proprio castigo”23, perché “il compiersi in lui
dell’ideale cristico è in realtà inganno, è avventura spirituale votata non già al
‘paradiso’ ma appunto alla follia e all’inanità”24. E allora è proprio la figura
del don Quijote a rappresentare l’ambiguità di Myškin, il suo disadattamento
che è segno di grandezza e superamento della normalità, ma senza una
chiara consapevolezza, che è invece prerogativa cristologica.
Secondo Ryszard Przybylski la struttura polifonica dell’Идиот è
costruita nel segno del don Quijote per dare all’ideale evangelico
un’interpretazione bivalente preservando però l’immagine del Cristo
dall’ironia della polivalenza25. Prendendo in considerazione alcune
affermazioni presenti nel libro sembra invece l’inanità il tratto caratteristico
da cui il don Quijote preserva l’immagine del Cristo; il tratto comico del
personaggio di Cervantes, anzi, non deve fuorviare il lettore:
"Рыцарь бедный" тот же Дон-Кихот, нo только серьезный,
а не комический.26
Un’altra importante raffigurazione letteraria del cavaliere, appena
successiva alla poesia di Tarkovskij, è quella che viene concretamente
realizzata da un personaggio del romanzo В круге первом (Il primo cerchio)
di Aleksandr Solženicyn, il pittore Krondrašёv-Ivanov, e che coincide con
l’effigie del Perceval:
– Это – только эскиз. Эскиз главной картины моей жизни.
Я ее, наверно, никогда не напишу. Это то мгновение, когда
Парсифаль впервые увидел – замок! святого!! Грааля!!!27
Il ritorno con il Perceval all’iconografia classica della cavalleria, quella di
Chrétien de Troyes, è un mezzo per esprimere l’aspirazione dell’artista
all’ideale (il pittore di В круге первом mostra lo schizzo del quadro sul
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Perceval proprio durante una discussione sulla concezione idealistica della
vita).
Perceval corrisponde infatti al cavaliere “puro”, mosso da un impulso
spirituale, mistico, in contrasto con un’idea di cavalleria più pragmatica, di
avventura, perfettamente rappresentata nel romanzo di Chrétien de Troyes
da Gauvain.
La rappresentazione del poeta come рыцарь бедный si offre dunque
come complessa riflessione sulla condizione dell’artista, il cui
disadattamento, come si è scritto, è segno di grandezza e superamento della
normalità. Tarkovskij per ritrarlo però recupera integralmente il tratto
comico del don Quijote, espresso in un’esecuzione quasi in allegro della
ritmica puškiniana.
L’immagine di Mandel’štam che emerge dai versi di Поэт è così
l’immagine dell’artista che incarna il ruolo dello юродивый e, insieme, quello
del клоун (clown, pagliaccio), dello шут (buffone). Due volti di un’unica
maschera narrativa che già Andrej Belyj, all’inizio del XX secolo, aveva
esemplarmente rappresentato, e che avrebbe lasciato il posto sul finire di un
Novecento ormai scristianizzato alla maschera del чудак (zotico, strambo),
come testimoniano le opere di Platonov e Šukšin o il cinema dello stesso
figlio di Arsenij, Andrej Tarkovskij28.
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Note
1Arsenij
Tarkovskij comincia a scrivere poesie già negli anni Venti senza tuttavia riuscire a
pubblicarle per l’ostracismo della cultura ufficiale. È così costretto come, tra gli altri,
Boris Pasternak, Anna Achmatova e Osip Mandel’štam, a dedicarsi quasi
esclusivamente alla traduzione.
2 Aхматова, А. A., 2001, Собрание сочинений в шести томах. Том 5, Эллис Лак,
Москва: 261-263. Le traduzioni sono a cura dell’autore del saggio quando non
diversamente specificato.
3 Ibid.
4 Anatolij Najman (1936), poeta e memorialista, fu segretario letterario di Anna Achmatova
dal 1962.
5 АCHMATOVA, А. A., 1995, Io sono la vostra voce…, Edizioni Studio Tesi, Pordenone: 8687.
6 Tarkovskij si sente legato all’antica tradizione russa e ucraina come Mandel’štam a quella
greca ed ebraica.
7 Камень è la prima raccolta di versi di Mandel’štam, pubblicata nel 1913.
8 Per le notizie biografiche si è tenuto conto dei seguenti volumi: Русские писатели 20 века. Биографический Словарь, 2000, Москва; Тарковский, A., 2004,
Стихотворения, У‐Фактория, Екатеринбург; Tarkosvkij, A., 1993, Costantinopoli Prose varie Lettere, Scheiwiller, Milano.
9 Пушкинские эпиграфы (Epigrafi puškiniane) è anche il titolo di un mini-ciclo di poesie di
Arsenij Tarkovskij, raccolto nel volume Зимний день, Советский писатель, Москва 1980. 10 Тарковский, A. A., 2004, Стихотворения, У‐Фактория, Екатеринбург: 232. 11 Traduzione: «Il Poeta». Un giorno questo libro / Nel corridoio del Gosizdat / Un poeta
mi regalò; / Il libro è strappato, sgualcito, / E il poeta non c'è più. / Si diceva che
nell'aspetto / Il poeta avesse / Qualcosa dell'uccello e di egiziano; / Una nobiltà
immiserita / E spossato onore. / Come temeva i grandi corridoi! / E la costanza dei
creditori! / Come un dono, in un selvaggio / Attacco di leziosaggine / Accettava il suo
onorario. / Così striscia sullo schermo / Con inchini da ubriaco, / Il vecchio pagliaccio
in tubino / Ma, sobrio, nasconde la ferita / Sotto il panciotto di picché. / Impiumato
con la rima baciata, / È compiuto l’atto eroico / Buon viaggio a te, addio! / Salve, festa
dell’onorario, / Nera bianca pagnotta! / Giuocava piegando le parole, / Sorrideva con il
becco da uccello, / Afferrava i passanti, / La solitudine temeva, / Agli estranei amava
legger versi. / È così che deve vivere un poeta. / Anch’io vago per il mondo, / La
solitudine io temo, / Più che cento volte questo libro / In solitudine prendo. / In quei
versi pochi paesaggi, / Solo il trambusto della stazione / E il baccano del teatro, / Solo
gente come capita, / Mercato, coda, carcere. / Forse la vita ha chiacchierato / E il
destino intrecciato.
12 Puškin, A. S., 1990, Opere, Mondadori, Milano: 102-106.
13 Ibid.
14 La sacra Bibbia, 1968, San Paolo, Roma: 1264.
15 Dostoevskij, F. M., 1995, L’idiota, Mondadori, Milano: 14, n. 12.
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La figura dello jurodivyj è ampiamente rappresentata nelle opere di Dostoevskij,
particolarmente in Братья Карамазовы (I fratelli Karamazov), in Бесы (I demoni).
17 Dostoevskij annotò nel quaderno d’appunti del romanzo la frase: “Fare del principe una
sfinge. Si rivela da solo, senza spiegazioni dell’autore”, come riporta Igor Sibaldi
nell’introduzione di Dostoevskij, F. M., op. cit.: XXIII.
18 Достоевский, Ф. М., 1989, Собрание сочинений в пятнадцати томах, Том шестой, Идиот,
Наука, Ленинград: 248, trad. it. di Eugenia Maini ed Elena Mantelli in F. M.
Dostoevskij, op. cit.: 332: “Non c’è nessuno migliore del ‘cavaliere povero’!” sentenziò
all’improvviso Kolja, che era stato tutto il tempo in piedi presso la sedia di Lizaveta
Prokof’evna. “Questo lo penso anch’io” disse il principe Šč., e si mise a ridere. “Io sono
assolutamente dello stesso parere” proferì con aria di trionfo Adelaida. “Quale
‘cavaliere povero’?” chiese la generalessa scrutando perplessa e stizzita tutti gli
interlocutori, ma avendo visto che Aglaja era arrossita, insistette seccata: “Che assurdità!
Chi sarebbe questo ‘cavaliere povero’?”.
19 Ivi: 348, tr.: 468: “È uno scherzo. Fa parte dello stesso genere di scherzi di quel giorno in
cui venne fuori il ‘cavaliere povero’”.
20 Ivi: 249, tr.: 333: “perfino il principe Lev Nikolaevič sorrise, chissà perché arrossendo”.
21 Ibid., tr.: “Il mese scorso mentre sfogliavate il Don Chisciotte avete esclamato queste parole,
che non c’è nessuno migliore del ‘cavaliere povero’. Non so a chi vi riferiste allora: se a
Don Chisciotte, a Evgenij Pavlovič, o a un altro ancora, ma vi riferivate a qualcuno, e vi
fu una lunga conversazione…”.
22 Bonamour, J., 1983, Il romanzo russo, Sansoni, Firenze: 74.
23 F Dostoevskij, M. op. cit.: XX.
24 Ivi: XXII, lo scrive Igor Sibaldi nell’introduzione al romanzo. 25 Przybylski, R., 1971, Dostoevskij // Literatura Rosyjska II, Warsawa passim.
26 Достоевский, Ф. М., op. cit.: 251, tr.: 336-337: “Il ‘cavaliere povero’ è lo stesso Don
Chisciotte, soltanto non comico ma serio”.
27 Солженицын, А. И., 1990, В круге первом, Hyperion, Москва: 339-340, trad. it. di
Pietro Zveteremich in Solženicyn, A. I., 1974, Il primo cerchio, Mondadori, Milano: 344:
“È solamente un abbozzo. Lo schizzo del più importante quadro della mia vita.
Sicuramente non lo dipingerò mai. È l’istante in cui Parsifal vede per la prima volta… il
Castello! Del santo!! Graal!!!”.
28 Szilard, L., 1982, От «Бесов» к «Петербургу». Между полюсами юродства и шутовства (набросок темы) // Studies in 20th Century Russian Prose, Stockholm:
80-107.
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