estratto_talenti_2011 - BCC Gradara

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estratto_talenti_2011 - BCC Gradara
TALENTI
Premio “Guido Paolucci”
Quaderno n. 5/2011
Immagine di copertina: Lezione all’Università, miniatura sec. XIV.
Banca di Credito Cooperativo di Gradara
Consiglio Direttivo
Fausto Caldari, presidente
Riccardo Romagna, vice presidente
Massimo Arduini, consigliere
Virgilio Foschi, consigliere
Stefano Gennari, consigliere
Luigi D’Annibale, consigliere
Maurizio Semprini, consigliere
Francesco Tucci, consigliere
Romeo Gerboni, consigliere
Collegio Sindacale
Claudio Marchetti, presidente
Luigi Maffi, sindaco effettivo
Vittorio Brunaccioni, sindaco effettivo
Giorgio Del Bianco, vice direttore vicario, responsabile Area Credito
Domenico Mancini, vice direttore, responsabile Area Commerciale
Talenti
Giovanni Lisotti, direttore generale
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Il Premio “Giovani Talenti”, riservato ai laureati che si sono maggiormente distinti
con il loro elaborato di laurea, quest’anno è arrivato alla 5a edizione.
Il 2011 è stato per la Banca di Credito Cooperativo di Gradara, un anno molto importante e significativo. Un’annata ricca di iniziative sociali e culturali, che ci ha visto
vicini al nostro territorio, protagonisti, insieme alle istituzioni, alle scuole, alle varie
associazioni no profit.
Questo è l’anno del centenario della BCC di Gradara, formalmente costituita il 25
marzo 1911 e diventata operativa il 25 maggio dello stesso anno. É l’anno dei festeggiamenti, dei ricordi, dei progetti, dei programmi; è l’anno delle grandi iniziative, del
raggiungimento dei traguardi importanti.
La BCC di Gradara è una piccola banca locale, molto legata a questo territorio, e
molto sensibile a tutto ciò che interessa la crescita, e lo sviluppo.
In questi anni la nostra attenzione si è indirizzata alla prevenzione e cura della salute
anche con donazioni significative, quali la tac, il mammografo, l’ecocardiografo,
l’ecotomografo, la risonanza magnetica, ma non abbiamo mai tralasciato la promozione sociale, culturale, e la valorizzazione delle identità dei nostri luoghi.
Essere banca locale significa soprattutto essere insieme alla gente, comprenderne
le esigenze e le situazioni; significa conoscere, condividere, partecipare, significa
reinvestire sul territorio tutto ciò che dal territorio si ottiene.
Auspico che i valori veri, quelli che hanno caratterizzato la nostra crescita in un
periodo storico ben definito, caratterizzino anche la formazione dei giovani di oggi,
affinchè il merito, la capacità, l’impegno, il lavoro, possano tornare ad essere i valori
essenziali per crescere ed affermarsi.
Con le nostre iniziative giovanili vorremmo consolidare queste convinzioni, per creare i presupposti di formazione e di crescita di questi giovani che hanno una preparazione di base di alto livello, ma che per circostanze esterne alla loro volontà, ma non
ai nostri comportamenti, hanno difficoltà a crearsi una loro strada, ad aprire una via
per costruirsi un proprio futuro.
Ai giovani bisogna dare fiducia, ascoltarli crear loro nuove occasioni, assecondandoli nei loro progetti, aiutandoli a superare la precarietà e conquistare il loro futuro.
Questo è quello che vorremmo fare con la nostra iniziativa.
Si tratta di un piccolo sasso lanciato nel mare, ma è comunque un segnale di attenzione,
di rispetto, di conoscenza di un problema che esiste, e che bisogna affrontare e risolvere.
Occorre dare una risposta a tutto questo, occorre ridare prospettive alle nuove generazioni per traghettarli verso il domani.
Forse questa nostra idea è una grande illusione, forse è un qualcosa che non riuscirà a
creare i presupposti necessari a risolvere questo grande problema, ma resta comunque un
tentativo per sensibilizzare chi di dovere, per creare solidarietà attorno all’argomento, per
conoscere meglio i giovani, per costruire una vetrina alle loro possibilità e ai loro progetti.
I giovani rappresentano anche il nostro futuro. Non c’è futuro senza giovani!
Fausto Caldari
Presidente della Banca di Credito Cooperativo di Gradara
Talenti
Presentazione
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Ambiti disciplinari
prescelti per l’edizione 2011
1.Biologia ed ecologia marina
Ruolo dei procarioti nel funzionamento dell’ecosistema marino profondo
di Massimiliano Molari
2.Diritto civile
Il patto di famiglia
di Alessandra Annibalini
3.Medicina interna
Valutazioni alle metodiche d’immagine degli aspetti di
presentazione dei tumori maligni colangiocellulari
insorti su cirrosi
di Laura Venerandi
4.Storia dell’arte
Vita pubblica e privata della nobildonna pesarese
Vittoria Mosca
Talenti
di Elena Bacchielli
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Prokaryotic structure and metabolic activities in benthic deepsea eco system.
Ruolo dei procarioti nel funzionamento dell’ecosistema marino profondo
di Massimiliano Molari
Biologia ed ecologia marina, Università Politecnica delle Marche
Negli ultimi trent’anni l’ecologia microbica marina ha fatto notevoli progressi nello studio
della diversità dei procarioti, dei processi metabolici da essi mediati, e nell’indagine dei
fattori ambientali che controllano abbondanza, distribuzione e attività dei microrganismi.
Oggi molte delle scoperte più importanti, che continuano a modificare la visione del ruolo
dei procarioti nel funzionamento degli ecosistemi marini, riguardano l’ambiente marino
profondo.
Quest’ultimo si estende al di sotto del limite inferiore della zona fotica, cioè quella porzione
di mare in cui penetra la luce solare, che generalmente è attorno ai 200 metri di profondità.
Con una profondità media di 3.850 mt. e un’estensione pari al 67% della superficie
terrestre, l’ambiente marino profondo è l’ecosistema più grande sul nostro pianeta. Esso
è un ambiente apparentemente inospitale: è perennemente al buio, le temperature sono
bassissime (-1°C a 4°C), è soggetto a un’elevata pressione (>400 atm) dovuta al peso delle
centinaia di metri d’acqua che lo sovrastano, e l’unica fonte di cibo, in assenza di luce, è
costituita dal materiale organico prodotto in superficie proveniente dalla porzione fotica
e “precipitato” in fondo al mare. A causa di queste sue caratteristiche l’ambiente marino
profondo era considerato un ambiente uniforme, statico e privo di vita. Tuttavia negli
anni 50’ le prime spedizioni esplorative hanno osservato la presenza di milioni di batteri
vivi per grammo di sedimento a profondità superiori a 10000 metri. In seguito, nel 1977,
vennero individuate sorgenti idrotermali (emissioni d’acqua solfurea a una temperatura
superiore ai 370°C) sul fondo degli oceani, e si scoprì che esse erano popolate da una
ricca fauna di molluschi e vermi giganti, crostacei e “tappeti” di batteri chemosintetici
(organismi autotrofi che utilizzano l’energia chimica di composti come lo zolfo, anziché
la luce, per produrre biomassa utilizzando la CO2 come fonte di carbonio). Ciò fu la prova
che l’ambiente marino profondo non solo era in grado di ospitare la vita, ma addirittura
poteva favorire lo sviluppo di una ricca biodiversità. In seguito, con l’impiego di strumenti
Talenti
Tesi di dottorato. Giudizio sul lavoro prodotto: Massimiliano Molari, oltre ad aver conseguito alti risultati nel proprio percorso universitario, nel trennio post laurea ha svolto attività
di ricerca attinente allo studio della biodiversità negli ecosistemi marini bentonici profondi nell’ambito di una borsa di studio finanziata dall’Università Politecnica delle Marche e
l’Ente CNR-ISMAR UOS di Ancona. La sua ricerca merita particolare attenzione, sia per
l’originalità che per l’impostazione del problema scientifico, ma soprattutto per i risultati. Si
è convinti che raccoglierà a breve copiosi frutti scientifici derivati dalla sua totale dedizione
alla ricerca. Attualmente svolge attività presso il dipartimento di studi eco sistemici del centro di ricerca NIOO-CEME per condurre esperimenti congiunti di “Stable Isotopic Probing”
(SIP) nell0ambito del programma di ricerca BIOFUN (Eurocores Euro Deep).
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all’avanguardia nell’osservazione, mappatura e campionamento del fondo degli oceani,
si è presa coscienza che l’ambiente marino profondo costituisce un ecosistema altamente
eterogeneo e dinamico. Tra le vaste “pianure” di fango, infatti, ci sono diversi paesaggi
come scarpate, canyon e frane sottomarine, barriere coralline profonde, vulcani di fango,
colline di carbonato, montagne sottomarine, dorsali e fosse oceaniche che ospitano ricche
comunità microbiche il cui studio è appena agli inizi.
Studiare l’ecologia delle comunità microbiche marine profonde è importante per cogliere il
funzionamento dell’ecosistema più grande del pianeta e soprattutto per capire come questo
influisce sull’intero ecosistema Terra e sul nostro clima, che oggi più che mai, ha bisogno di
essere compreso a causa dei rapidi cambiamenti che sta subendo.
La vita sul nostro pianeta può essere divisa in tre grandi domini: Bacteria, Archaea ed
Eukarya (Fig. 1). Ai domini dei Bacteria e degli Archaea fanno parte i procarioti, cioè tutti
quegli organismi monocellulari il cui DNA non è racchiuso in un nucleo. Il dominio degli
Eukarya è costituito invece da organismi mono e pluri-cellulari (ad es. piante, protozoi,
funghi, animali) caratterizzati dalla presenza all’interno della cellula di un nucleo contenente
Talenti
Fig. 1 - Struttura ad albero nella quale
gli organismi viventi sono raggruppati
in base alle loro somiglianze genetiche.
Questo modo per organizzare la vita
è definito albero filogenetico ed è costituito alla base da tre grandi domini
(Bacteria, Archaea, Eukarya) all’interno dei quali partono altre ramificazioni che contengonio organismi con un
DNA via via sempre più simile, fino
ad arrivare all’apice dei rami in cui si
trovano le singole specie. Figura presa
dal Brock biologia dei microrganismi,
terza edizione.
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il DNA. La disciplina che studia le interazioni tra gli organismi, e tra gli organismi e
l’ambiente, è l’ecologia. Per lungo tempo questa disciplina si è occupata esclusivamente
di studiare i macro-organismi, sviluppando i concetti di specie, popolazione e di comunità,
e osservando che ogni singola pianta o animale possiede specifiche esigenze nutrizionali
e instaura peculiari relazioni con l’ambiente e con le altre specie. Si è così giunti prima a
definire la catena trofica come un flusso di energia/materia che si muove dai produttori primari
(organismi autotrofi fotosintetici come le piante) ai consumatori primari (gli erbivori), e poi
da questi ai consumatori secondari (i carnivori), e poi a comprendere che il funzionamento
di un sistema naturale dipende dalle caratteristiche di questo flusso di energia/materia,
caratteristiche definite dal numero di specie (piante o animali) presenti in ogni livello trofico
(ad es. specie diverse di piante, di erbivori, di carnivori) e dal numero di relazioni che si
vengono a instaurare all’interno e tra i diversi livelli trofici.
Il ruolo ecologico dei procarioti all’interno della catena trofica, quindi nel flusso di materia
e nel funzionamento degli ecosistemi naturali, è stato per lungo tempo trascurato. Tuttavia
a partire dall’inizio del secolo scorso è divenuto sempre più evidente che i batteri non solo
Talenti
sono abbondanti e ubiquitari - basti pensare che più del 90% delle cellule del nostro corpo
sono batteriche! - ma svolgono un ruolo chiave nella degradazione della sostanza organica
e quindi nel trasferimento di energia/materia ai livelli trofici superiori e nel controllare la
mobilitazione e trasformazione degli elementi biologicamente importanti (ad es. carbonio,
azoto, fosforo). È a fronte di tali evidenze che ha iniziato a svilupparsi l’ecologia microbica.
Oggi, grazie al lavoro degli ecologi microbici, sappiamo che i procarioti sono fondamentali
per l’evoluzione e il mantenimento della vita sulla Terra, infatti: essi sono gli unici organismi
sempre presenti in tutti gli ambienti terrestri fino ad ora esplorati (aria, suolo e acqua), la
loro biomassa totale, cioè i grammi di carbonio organico che compongono tutte le cellule
procariotiche, equivale ad almeno tutta quella degli altri organismi sul nostro pianeta, e
la loro elevata diversità genetica/metabolica gli consente di compiere numerose reazioni
biochimiche e di sintetizzare, così, un’ampia varietà di composti organici che permette loro
di modificare l’ambiente in cui vivono e di colonizzare anche ambienti inospitali per altre
forme di vita.
In ambiente marino i procarioti possiedono una duplice importanza ecologica: hanno un
ruolo sia come autotrofi (produttori primari), sia come eterotrofi (produttori secondari).
Sono produttori primari in quanto, insieme alle alghe eucariotiche, sono i responsabili della
produzione di biomassa attraverso il processo di fotosintesi (processo mediante il quale il
carbonio inorganico, sotto forma di CO2, è utilizzato per sintetizzare nuovi composti organici
a partire dalla luce in quanto fonte di energia). Essi rappresentano, perciò, la base della catena
trofica marina. L’importanza ecologica dei procarioti eterotrofi risiede, invece, nella capacità
di produrre biomassa attraverso la degradazione del detrito organico. Infatti, attraverso
questo processo, i procarioti riciclano la materia organica “persa” dalla catena trofica durante
il rilascio di composti organici, lisi cellulare o escrezione, trasferiscono quindi energia/
materia ai livelli trofici superiori attraverso processi di predazione, e infine contribuiscono
alla rigenerazione dei nutrienti (azoto, fosforo, ferro, ecc.) essenziali per sostenere l’attività
degli organismi autotrofi (Fig. 2). Il ciclo appena descritto è definito circuito microbico.
La sua individuazione e definizione, agli inizi degli anni ’70, ha cambiato drasticamente
la nostra visione del ruolo dei batteri nel flusso del carbonio in oceano e delle interazioni
trofiche che coinvolgono i microorganismi.
Nei sedimenti marini profondi i procarioti, poiché costituiscono il 90% della biomassa, sono
i principali responsabili dei processi di produzione di biomassa e di respirazione, e sono loro
che perciò regolano il ciclo del carbonio e che sovraintendono al funzionamento dell’ambiente
marino profondo. La nostra conoscenza di tale funzionamento è tuttavia limitata dalle scarse
informazioni che si hanno sulla composizione delle comunità procariotiche, sui processi
metabolici da loro mediati e sui fattori ambientali che controllano abbondanza e attività dei
microrganismi.
Questo lavoro di tesi si è focalizzato sullo studio delle comunità procariotiche che abitano
i sedimenti marini profondi dei margini continentali Europei e del Mediterraneo. Ha come
obiettivi principali quelli di determinare l’abbondanza di batteri e archaea; di misurare i
principali processi metabolici (autotrofi ed eterotrofi) da loro mediati e infine, di identificare i
principali fattori ambientali che ne controllano abbondanza e attività. Allo scopo di avere uno
scenario il più esaustivo possibile, i campioni sono stati raccolti a differenti profondità (da
150 a 5571 metri di profondità), su ampie scale spaziali (dalle isole Svalbard al Mar Nero), in
differenti condizioni topografiche (scarpate continentali, canyon sottomarini, piane abissali),
ambientali (temperatura, pH, salinità, tipo di sedimento) e trofiche (dai sistemi più produttivi
del nord Atlantico a quelli poverissimi del Mediterraneo Orientale), per un totale di più di 70
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Fig. 2 - Lo schema descrive sinteticamente il circuito microbico. Le
freccie nere indicano il flusso di
energia e di materia lungo la catena trofica e la perdita di materia
organica disciolta. Le freccie rosse
mostrano come l’energia/materia
sotto forma di la meteria organica disciolta, “persa” dalla catena
trofica, viene prima recuperata dai
procarioti per nutrirsi e per produrre biomassa, e poi ri-inserita nella
catena trofica ad opera dei processi
di predazione da parte dei protisti
sui procarioti e dello zooplancton
sui protisti. La linea blu mostra la
rigenerazione dei nutrienti ad opera
della degradazione (consumo) della
materia organica disciolta da parte
dei procarioti.
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siti di campionamento e più di 200 campioni analizzati (Fig. 3).
I risultati emersi da questo studio hanno mostrato che i sedimenti marini profondi ospitano
comunità microbiche eterogenee di batteri e archaea. Gli archaea costituiscono un’importante
frazione della comunità microbica, raggiungendo anche il 40% delle cellule procariotiche
presenti nel sedimento. Fino a una ventina di anni fa si riteneva che in mare vi fossero solo
batteri e che gli archaea fossero un gruppo di organismi definito estremofili, poiché capaci
di vivere solo in ambienti con caratteristiche chimico-fisiche non favorevoli alla vita: ad
es. in laghi salati, vere e proprie salamoie in cui la concentrazione di cloruro di sodio è
vicina al punto di saturazione, o in ambienti completamente privi di ossigeno e ricchi di
zolfo, oppure in ambienti in cui la temperatura raggiunge, o spesso supera, i 100°C. Tuttavia
negli ultimi dieci anni, grazie all’impiego sistematico di tecniche di biologia molecolare,
è divenuto sempre più chiaro che i batteri non sono gli unici procarioti ad abitare le acque
oceaniche, e che gli archaea sono una componente ubiquitaria ed importante delle comunità
planctoniche. I risultati di questo studio dimostrano per la prima volta che anche i sedimenti
marini profondi ospitano un’abbondante e diversificata comunità di archaea, composta dai
phyla dei Crenaechaea e dei Euryarchaea.
Gli archaea possiedono un’elevata diversità genetica e plasticità metabolica, perciò, proprio
come i batteri, possono adattarsi a diverse condizioni ambientali e vivere molteplici habitat.
Per comprendere quali sono i fattori ambientali che maggiormente influenzano le abbondanze
di batteri e archaea nei sedimenti marini profondi, si è confrontato come variavano le
loro abbondanze con il variare dei principali parametri ambientali e delle risorse di cibo
a disposizione. Com’è stato osservato per i batteri, l’abbondanza degli archaea su scala
locale è influenzata non solo dai parametri abiotici (temperatura, pH, salinità, profondità) dei
sedimenti, ma soprattutto dalla quantità e dalla qualità della materia organica presente nei
sedimenti, cioè dallo stato trofico del sistema. L’importanza dello stato trofico nel controllare
l’abbondanza dei microrganismi è confermata anche dalla distribuzione dei batteri e degli
archaea su ampie scale spaziali, le cui abbondanze diminuiscono man mano che ci si sposta
da sistemi più produttivi a quelli meno produttivi. Questi risultati dimostrano che i batteri
non sono i soli procarioti a popolare i sedimenti marini profondi. Suggeriscono inoltre che
anche gli archaea potrebbero avere un ruolo importante, fino ad ora trascurato, nei processi
di degradazione della materia organica e di produzione di biomassa, e quindi nel controllare
il ciclo del carbonio del domino bentonico profondo.
L’intensa attività metabolica dei procarioti eterotrofi misurata nei sedimenti marini profondi
rivela che, nonostante le scarse risorse di cibo, essi sono dei siti con un’attività biosintetica
intensa. La produzione eterotrofa di biomassa, infatti, spesso eccede gli input di cibo provenienti
dalle comunità fotosintetiche che abitano gli strati più superficiali della colonna d’acqua. Ciò
significa che i procarioti che abitano i sedimenti marini profondi mangiano più cibo di quello
che effettivamente hanno a disposizione, casa che è impossibile e che perciò costituisce un
paradosso. Tale paradosso, però, non è la prima volta che si presenta negli studi di ecologia
microbica marina. Infatti, numerosi studi, condotti sia in colonna d’acqua sia nei sedimenti
marini profondi, riportano che le richieste di carbonio organico eccedono gli input, portando
così a uno squilibrio del ciclo dello stesso. Gli ecologi, ben consapevoli che “nulla si crea e
nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”, hanno formulato molte ipotesi per spigare questo
sbilanciamento. Alcuni ritengono che il paradosso sia apparente in quanto dovuto a problemi
di misurazione (sovra stima della produzione di biomassa eterotrofa e sottostima del flusso
di carbonio organico che giunge al fondo degli oceani). Altri cercano di spiegarlo indicando
la presenza di fonti trascurate di carbonio organico alloctono, come flussi laterali di sostanza
organica provenienti da regioni limitrofe più produttive. Posizioni differenti lo adducono a
un rapido riciclo della comunità procariotica dovuto ad infezione virale, che, provocando la
lisi cellulare dei procarioti, mette a disposizione nuovi composti organici per i procarioti non
infettati. Un’altra possibile spiegazione è la presenza di microorganismi autotrofi capaci di
sintetizzare materia organica ex-novo utilizzando, anziché la luce, l’energia chimica di alcuni
composti inorganici altamente ridotti (ad es. ammoniaca, ferro, manganese, acido solforico,
idrogeno), e per questo definiti chemolitotrofi. Sebbene sia possibile che l’insieme di tutte
queste spiegazioni possa giustificare lo sbilanciamento del budget di carbonio, in questo lavoro
di tesi si è andati a verificare l’ultima ipotesi: la presenza di processi autotrofi di fissazione
della CO2 nei sedimenti marini profondi. I risultati ottenuti mostrano che, in tutti i siti studiati,
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Fig. 3 - La mappa riporta le aree
dove erano localizzati i siti di campionamento nei quali sono stati
raccolti i campioni di sedimento
marino profondo, poi trasportati in
laboratorio per le analisi. a) Isole
Svalbard; b) Rockall; c) margine
continentale portoghese; d) golfo
di Cadice; e) Mare di Alboran; f)
Margine continentale catalano; g)
Bacino Arghero-provenzale; h) Mar
Tirreno; i) scarpata di Malta; l) Mar
Ionio; m) scarpata di Creta; n) Mar
Levantino; o) Mar Nero.
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l’incorporazione di anidride carbonica è stata elevata e che, in media, più del 27% della
produzione di biomassa totale procariotica ha origine da fonti inorganiche di carbonio (CO2)
ed è quindi autotrofa. Questa biomassa autotrofa può arrivare a rappresentare più del 50% della
materia organica proveniente dalla colonna d’acqua, confermando quindi che la presenza di
procarioti chemoautotrofi può effettivamente contribuire a spiegare lo sbilanciamento osservato
tra richiesta e apporto di cibo nei sedimenti marini profondi.
Esperimenti condotti con specifici inibitori (antibiotici) per gli archaea e l’utilizzo di appropriati
strumenti di analisi statistica suggeriscono che questa produzione autotrofa sia mediata
prevalentemente dagli archaea. Al contrario non è chiaro quanto gli archaea contribuiscano
alla produzione di biomassa eterotrofa. Negli ultimi anni si sta dibattendo molto su quali siano
le fonti di energia e di carbonio che gli archaea utilizzano per sopravvivere. Numerosi lavori
riportano che gli archaea marini sono attivi consumatori sia di composti organici, come gli
aminoacidi, che di anidride carbonica. Ciò significa che all’interno del dominio degli archaea ci
possono essere gruppi di microrganismi eterotrofi e altri autotrofi, tuttavia non è da escludere che
in condizioni di limitate risorse trofiche alcuni microrganismi possano avere un metabolismo
mixotrofo, capace cioè di essere sia eterotrofo sia autotrofo in risposta al tipo di cibo a
disposizione. A questo riguardo l’aumento d’incorporazione di anidride carbonica, misurato
in esperimenti condotti in presenza di composti organici, fornisce un ulteriore elemento che
suggerisce uno strettissimo legame tra il metabolismo eterotrofo e quello autotrofo. Per riuscire
a comprendere il significato ecologico di questo processo di fissazione della CO2, in futuro sarà
necessario condurre studi più dettagliati sulla natura metabolica di questo processo biologico.
Indipendentemente da tali considerazioni, i risultati ottenuti dimostrano che gli archaea hanno
un ruolo fondamentale nel funzionamento degli ecosistemi profondi e, forse più importante,
che nei sedimenti marini profondi è presente una produzione di biomassa autotrofa in situ che
potrebbe rappresentare una fonte aggiuntiva di cibo preziosa per gli organismi bentonici.
Nello studio dei sistemi bentonici profondi esistono alcuni paradigmi considerati veri
da sempre. Ad esempio, “negli ambienti marini profondi i batteri dominano i processi
di degradazione della materia organica e di respirazione” e ancora “l’ambiente marino
profondo, data l’assenza di luce, è caratterizzato dalla mancanza di produzione primaria in
situ e di conseguenza il suo funzionamento dipende esclusivamente dall’export di materia
organica di origine fotosintetica della porzione fotica della colonna d’acqua”. Sulla base
dei risultati emersi da questo studio, siamo ancora certi della fondatezza di tali assunti? Gli
archaea sono uno dei tre domini in cui si divide la vita sul nostro pianeta, e tuttavia è il
domino che si conosce meno in termini sia di diversità genetica sia di processi metabolici.
La presenza di una comunità abbondante di archaea anche nei sedimenti marini profondi,
oltre ad avere implicazioni di tipo ecologico sul ruolo che essi hanno in questi ambienti,
apre perciò nuovi orizzonti per lo studio della biodiversità e degli adattamenti fisiologici
di questo gruppo di microrganismi. La presenza nei sedimenti marini profondi di processi
di fissazione dell’anidride carbonica ha importanti implicazioni sulla struttura della catena
trofica bentonica profonda e sul ciclo del carbonio in oceano. Perciò determinare l’entità
e la natura metabolica di questo processo non solo consentirà di comprendere meglio il
funzionamento dell’ambiente marino profondo, ma data l’importanza del ciclo del carbonio
nel regolare gli scambi di anidride carbonica tra idrosfera e atmosfera, anche di valutare
meglio la capacità che hanno gli oceani di influire sulle variazioni climatiche globali. Il mio
studio contribuisce a “fare luce” sul funzionamento degli ecosistemi marini profondi e pone
le basi per condurre ricerche maggiormente focalizzate sul ruolo ecologico che gli archaea e
i processi di fissazione della CO2 hanno nel fondo degli oceani.
Il patto di famiglia
di Alessandra Annibalini
Laurea magistrale in Diritto civile, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli studi di Pesaro e Urbino
1. RATIO DEL PATTO DI FAMIGLIA.
1. 1 Le ragioni economico-sociali sottese alla riforma.
Con la legge 14 febbraio 2006 n.55 recante “Modifiche al codice civile in materia di patto di
famiglia”, entrata in vigore il 16 marzo 2006, il Legislatore della riforma ha inserito, all’interno
del Titolo IV, Libro II del Codice Civile, un nuovo Capo V – bis (artt.768 bis / 768 octies c.c.),
ed ha provveduto alla modifica dell’art.458 c.c., mediante l’introduzione, al primo periodo,
dell’inciso «Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768 bis e seguenti».
L’articolo 768 bis definisce il Patto di famiglia come il «contratto con cui, compatibilmente
con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie
societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni
societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti».
Dalla lettura di tale norma e dei successivi articoli, emerge che l’imprenditore dispone ora
di uno strumento giuridico, profondamente innovativo, indispensabile per pianificare il
c.d.passaggio generazionale, cioè il trasferimento della propria azienda o quota societaria
solamente ai discendenti con vocazione e competenza gestionali, senza che l’operazione
possa, in seguito essere, messa in discussione da parte degli altri legittimari.
L’istituto del Patto di famiglia è frutto dell’esigenza, sempre più avvertita dagli operatori del
diritto, di una nuova e moderna regolamentazione della successione nei beni produttivi, che
da sempre rappresenta un evento traumatico nelle dinamiche interne della vita dell’impresa.
Una rassegna di dati permette di comprendere quanto tale esigenza sia radicata nel tessuto
sociale italiano, caratterizzato da un’accentuata discontinuità e da una forte accelerazione
dei processi di cambiamento1, e quanto il problema del passaggio generazionale sia, prima
ancora che giuridico, sostanzialmente economico:
− il Patto di famiglia interessa il 92% delle imprese italiane;
− circa il 55% delle imprese ha al vertice imprenditori con oltre 60 anni;
− solo il 30% delle imprese arriva alla seconda generazione e non più del 15% arriva alla terza;
− ogni anno sono 80.000 gli imprenditori che si trovano a gestire il passaggio dell’impresa
ai propri figli2.
Da ciò si può dedurre il grave rischio economico ed occupazionale che il passaggio
generazionale comporta: infatti i momenti di maggior tensione delle aziende familiari sono
probabilmente quelli in cui, a seguito della morte del titolare, i figli si trovano a decidere
la gestione e la ri-organizzazione dell’impresa. Non sono pochi i casi in cui essi abbiano
preferito la vendita in blocco della stessa (come è accaduto in Francia con la famosa impresa
produttrice di champagne, la Taittinger) o, peggio, quelli in cui la loro cattiva gestione abbia
condotto al fallimento.
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Giudizio sul lavoro di tesi: profondità di indagine, autonomia di valutazione e di giudizio,
sicura attitudine all’attività di studio e di ricerca. Elaborato di qualità scientifico professionale decisamente sopra la media dei lavori analoghi del settore.
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Premesso ciò, individuare le due linee direttrici, su cui si estende la ratio del Patto di
famiglia, è semplice: da un lato, l’interesse generale alla promozione dell’attività economica
di impresa; dall’altro, l’interesse privato di ciascun imprenditore all’autoregolamentazione
del proprio assetto patrimoniale, nel rispetto dei diritti dei legittimari.
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2. NATURA ECCEZIONALE DEL PATTO DI FAMIGLIA: PATTI SUCCESSORI E
DEROGHE AI PRINCIPI CONSOLIDATI.
2. 1. L’eccezionalità del Patto di famiglia
Accertato che lo scopo perseguito dal Legislatore è quello di assicurare alle aziende un
passaggio generazionale più oculato, mediante l’individuazione del discendente con migliori
capacità gestionali, è necessario ora comprendere l’interazione di tale nuovo istituto con le
altre norme giuridiche in materia successoria, principalmente di natura codicistica.
2. 2 I patti successori.
Sicuramente l’attenzione dei primi commentatori del Patto di famiglia non poteva non
focalizzarsi sulla compatibilità di tale nuovo istituto con il divieto dei patti successori.
Enunciava l’art.458 c.c., prima della riforma del 2006: «É nulla ogni convenzione con cui
taluno dispone della propria successione. É del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone
dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai
medesimi.»
Dalla lettura della norma si deduce il divieto di tutti quei negozi che attribuiscono o negano
diritti su una successione non ancora aperta. La ragione sottesa al divieto dei patti successori
consiste nel fatto che, a nessun soggetto giuridico, l’ordinamento riconosce, anteriormente
all’apertura della successione, alcun diritto sulla massa ereditaria, né come pretesa sull’eredità,
né come aspettativa giuridica.
Premesso ciò, occorre ora stabilire, sulla base dell’inciso premesso al primo periodo
dell’art.458 («Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768 bis e seguenti»), quale sia il
rapporto fra Patto di famiglia e divieto dei patti successori. Secondo autorevole dottrina3,
il Patto di famiglia sarebbe qualificabile come: patto successorio dispositivo, laddove i
legittimari dispongono dei loro diritti spettanti sulla futura successione del disponente, non
ancora aperta, accettando la liquidazione della quota in compensazione di legittima; patto
successorio rinunciativo, laddove i legittimari stessi rinunciano, in tutto o in parte, al diritto
di pretendere la legittima che competerebbe loro sull’azienda, al momento dell’apertura
della successione. Il Patto di famiglia non sarebbe infine riconducibile al patto successorio
istitutivo, poiché privo della natura di atto mortis causa.
2. 3. Il diritto di legittima e la disattivazione dei meccanismi della collazione e della
riduzione.
Il diritto alla legittima consiste in quel diritto di successione che spetta agli stretti congiunti,
i legittimari, (coniuge, figli e, in mancanza di questi, gli ascendenti), anche contro la volontà
del defunto. Tale diritto, di origine romanistica, trova il suo fondamento nel principio
della solidarietà familiare, in base al quale, i soggetti legittimari hanno diritto di acquisire,
direttamente o mediante azione giudiziaria, beni dell’eredità e beni donati in vita dal
defunto, fino alla concorrenza del valore della legittima (cd. riserva). In particolare, tale
diritto si struttura, non tanto come diritto su determinati beni del defunto (diritto di legittima
qualitativa), quanto piuttosto come diritto ad una quota di valore sulla massa ereditaria (diritto
di legittima quantitativa). Tale diritto, data l’importanza riconosciutagli dall’ordinamento,
prevale addirittura sulla stessa autonomia privata del de cuius, il quale, oltre a non dover
ledere la quota di legittima, è obbligato anche a non gravarla con pesi o condizioni (art.549
3. I PROFILI PROBLEMATICI DEL PATTO DI FAMIGLIA.
3. 1 Qualificazione giuridica.
Dal punto di vista strutturale, l’art.768 bis attribuisce espressamente al Patto di famiglia
natura di contratto. In particolare si tratta di atto strutturalmente inter vivos (seppur non vi sia
dubbio che esso possa produrre anche effetti mortis causa) con immediata efficacia traslativa:
l’azienda o le partecipazioni sociali entrano, al momento della stipula del Patto di famiglia,
in maniera immediata e definitiva nel patrimonio dell’assegnatario. Tale immediatezza si
rinviene, del resto, tanto sotto il profilo oggettivo, dal momento che l’oggetto dell’attribuzione
patrimoniale è determinata al momento della stipulazione del patto, quanto sotto quello
soggettivo, dato che, anche l’individuazione dei beneficiari non è riferita al momento della
morte del disponente.
Sotto il profilo funzionale, l’omessa specificazione, in sede di nozione del Patto di famiglia,
circa la natura giuridica dell’atto, ha attribuito implicitamente all’interprete il compito di
qualificarne la natura giuridica. In particolare, interessante appare la distinzione fra «tesi
atomistiche» e «tesi unitarie»4. Le prime rinvengono nel Patto di famiglia una pluralità di
negozi distinti, fra loro autonomi, aventi ciascuno una propria causa. Tale impostazione
si afferma sia avallata, in un certo senso, anche dal Legislatore, laddove abbia previsto la
possibilità che l’assegnazione dei beni in natura possa avvenire con un successivo contratto
espressamente dichiarato collegato al primo (art.768 quater, 3° comma, c.c.): tale riferimento
al collegamento negoziale suggerirebbe l’assenza di un negozio singolo. Le «tesi unitarie»,
al contrario, rintracciano nel Patto di famiglia un nuovo contratto che presenta, sia sotto il
profilo strutturale che funzionale, una propria unitarietà.
A partire da tale distinzione, non è mancata in dottrina la tendenza a ricondurre l’istituto
del Patto di famiglia ad uno schema contrattuale già previsto, al fine di applicarne il relativo
trattamento normativo: numerose sono state le tesi che hanno interpretato il Patto di famiglia
Talenti
c.c.). Gli ulteriori rimedi riconosciuti dall’ordinamento, a tutela del diritto di legittima, ai
suoi titolari, consistono in: azione di riduzione, cioè azione giudiziale contro le disposizioni
testamentarie o donative lesive del loro diritto di legittima (art.553 e ss. c.c.); obbligo di
collazione, cioè atto col quale i discendenti e il coniuge, che hanno accettato l’eredità,
conferiscono, per imputazione o in natura, alla massa ereditaria, le liberalità ricevute in vita
dal de cuius (art.737 e ss. c.c.).
La portata innovativa del Patto di famiglia si sostanzia principalmente nell’ultimo comma
dell’art.768 quater, che così dispone: «Quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto
a collazione o riduzione». Tale assunto rappresenta una deroga implicita all’art. 557, 2°
comma che stabilisce che i legittimari, i loro eredi o aventi causa, non possono rinunciare
all’azione di riduzione delle donazioni e delle disposizioni lesive della porzione di legittima,
finché vive il donante, né con dichiarazione espressa, né prestando il loro assenso alla
donazione. Il Patto di famiglia quindi prevede una deroga a tutti gli effetti, poiché i legittimari
non assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni sociali, nel momento in cui accettano
o rifiutano la liquidazione, rinunziano, implicitamente, all’azione di riduzione, in vita del
donante. Si tratta quindi di un atto rinunciativo al rimedio giudiziale dell’azione di riduzione,
atto che, oltre ad essere tacito, poiché implicito nell’assenso all’operazione da parte del
legittimario non assegnatario, si connota anche del carattere della parzialità: la rinunzia si
riferisce esclusivamente ai beni oggetto del Patto di famiglia (id est, azienda o partecipazioni
sociali), non quindi a tutti quegli ulteriori beni che costituiscono l’asse ereditario, e per i quali
varrà il rimedio posto dall’art.553 c.c., al momento della effettiva apertura della successione.
17
Talenti
18
in termini di donazione modale, di contratto a favore di terzi o, infine, di successione
anticipata con effetti divisionali. Tuttavia, nel tracciare le possibili letture interpretative,
non si è tralasciato di condividere l’opinione di chi5 ha qualificato il Patto di famiglia quale
nuovo ed autonomo contratto, irriducibile a qualsiasi tipo contrattuale precedentemente
disciplinato dal Codice Civile, avente natura unitaria, ma complessa: alla funzione di
liberalità, che caratterizza il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni sociali da
parte del disponente a favore di uno o più discendenti, va affiancata quella solutoria, che
contraddistingue invece le attribuzioni patrimoniali liquidative effettuate dall’assegnatario
agli altri legittimari, a tacitazione dei diritti di legittima loro spettanti. Una precisazione
è doverosa: la considerazione del carattere liberale del trasferimento dell’azienda o delle
partecipazioni sociali dal disponente all’assegnatario non depone assolutamente a favore
della natura giuridica del Patto di famiglia in termini di donazione, come pure parte della
dottrina ha sostenuto, quanto piuttosto in termini di liberalità non donative, tale da dar luogo
ad «un negozio con causa in parte onerosa ed in parte liberale».
3. 2 La forma.
A norma dell’art.768 ter c.c., «A pena di nullità, il contratto deve essere concluso per atto
pubblico». Tuttavia, tale articolo nulla dispone circa la necessaria presenza dei testimoni alla
stipulazione e conclusione del Patto di famiglia. Sicuramente l’opinione prevalente6 è nel senso
di ritenere che, nonostante l’assenza di una espressa richiesta del Legislatore, l’assistenza
dei testimoni alla redazione del contratto, vada considerata, se non necessaria, quanto meno
opportuna, almeno fino a quando la giurisprudenza non assumerà una posizione precisa al
riguardo. Inoltre, tale scelta prudenziale permetterebbe, eventualmente, la conversione in
donazione di un Patto di famiglia nullo.
3. 3 I profili soggettivi.
La nozione di Patto di famiglia offerta dall’art.768 bis c.c., in cui il Legislatore si limita a
prendere in considerazione la posizione dei soli disponente e discendenti/e assegnatari/o, ha
indotto una parte della dottrina7 ad ipotizzare che, esclusivamente, tali soggetti siano parti
necessarie del contratto, poiché, senza il loro accordo, l’intera operazione di trasferimento
dell’azienda o delle partecipazioni sociali non giungerebbe a conclusione: il Patto di famiglia
sarebbe quindi un contratto bilaterale, in cui parti dello stesso andrebbero individuate
solamente nel disponente e nell’assegnatario (o assegnatari).
Tale corrente di pensiero non riscuote tuttavia l’avallo di altra parte della dottrina8, intervenuta
in materia, che propende piuttosto per ampliare la qualifica di parte anche ad ulteriori soggetti,
i legittimari. Le argomentazioni, assunte a sostegno di tale tesi, muovono principalmente dal
dato letterale offerto dal 1° comma dell’art.768 quater: «Al contratto devono partecipare
anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la
successione nel patrimonio dell’imprenditore». Dall’interpretazione della locuzione «devono
partecipare» si desume la necessaria partecipazione al contratto dei legittimari che assumono,
conseguentemente, la qualifica di parte. Pertanto, il Patto di famiglia si presenterebbe come
contratto plurilaterale o, più esattamente, trilaterale in cui le parti sarebbero rappresentate dal
disponente, assegnatario (o assegnatari) e legittimari.
Premesso ciò, doverosa risulta un’accurata indagine di tutti i soggetti coinvolti e del ruolo che
essi assumono nella vicenda contrattuale.
a) L’imprenditore ed il titolare di partecipazioni societarie.
Secondo dottrina maggioritaria9, l’espressione «imprenditore», adottata dall’art.768 bis c.c.,
va intesa in senso economico, a-tecnico ed estensivo, atteso che, una sua interpretazione
restrittiva, comporterebbe necessariamente un’ingiustificata limitazione applicativa del
Talenti
Patto di famiglia. In particolare, secondo autorevole Autore10 , bisognerebbe fare ricorso
al «concetto economico di imprenditore»: tale qualità andrebbe individuata sulla base
dell’esposizione al rischio economico, giustificato, oltre che dal profitto, dal potere di
direzione economica dell’impresa. In definitiva, è «imprenditore», secondo il riferimento di
cui all’art.768 bis, colui che assume, rispetto all’impresa, la posizione di «capo», ovvero di
titolare del potere di direzione dell’impresa. Anche il «titolare di partecipazioni societarie»,
al fine di vedersi attribuita la qualità di disponente all’interno del Patto di famiglia, dovrà
essere immancabilmente qualificabile come imprenditore nel senso appena menzionato:
dovrà quindi, da un lato, distinguersi la partecipazione a società di persone, da quella a
società di capitali; dall’altro, all’interno di ciascuna di queste categorie, individuarsi quale
partecipazione societaria possa attribuire la qualifica di capo dell’impresa. Dovranno quindi
escludersi dal novero dei soggetti idonei ad assumere la parte di disponente nell’ambito del
Patto di famiglia, i soci limitatamente responsabili di società di persone ed i soci di società di
capitali che non siano titolari di una partecipazione di controllo o comunque di riferimento
poiché «essi non svolgono all’interno delle compagini societarie di cui fanno parte, funzioni
di direzione dell’impresa e non si configura quindi, con riferimento a queste ipotesi, quel
rischio di provocare un cambiamento nella gestione dell’impresa che giustifica l’uso della
speciale disciplina introdotta con la novella»11.
b) I discendenti assegnatari.
L’art.768 bis c.c. prevede che il beneficiario del trasferimento dell’azienda o delle
partecipazioni societarie sia rappresentato da uno o più «discendenti» del disponente. Con
tale specificazione il Legislatore ha voluto delimitare il campo di applicazione soggettiva
della nuova normativa ai soli figli e nipoti del disponente, restando, pertanto, esclusi dalla
possibilità di ricevere l’azienda o le partecipazioni societarie, gli altri parenti legittimi
(ascendenti e collaterali), gli altri parenti naturali (genitori e fratelli naturali) ed il coniuge.
c) I legittimari ed il coniuge.
Il 1° comma dell’art.768 quater dispone che, oltre al disponente e all’assegnatario/i, «al
contratto devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in
quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore». Tale disposizione
merita approfondimenti, per quanto riguarda l’individuazione dei soggetti in essa menzionati.
Ai sensi dell’art.536 c.c., sono legittimari le persone a favore delle quali la legge riserva una
quota di eredità o altri diritti di successione: il coniuge, i figli legittimi (cui sono equiparati i
legittimati e gli adottivi) o naturali, ed, in mancanza di questi, gli ascendenti . L’altro soggetto
menzionato dal 1° comma dell’art. 768 quater, è il «coniuge» del disponente. Va rilevato il
carattere destabilizzante della necessaria partecipazione del coniuge, in quanto, quest’ultimo,
al momento della morte del disponente, può non essere più soggetto legittimario oppure non
essere più la stessa persona che ha precedentemente stipulato il Patto di famiglia: si pensi al
caso di separazione con addebito all’altro coniuge o di divorzio del disponente e nuove nozze.
d) I legittimari sopravvenuti.
L’art.768 sexies c.c., rubricato «Rapporti con i terzi», dispone, al 1° comma, che
«All’apertura della successione dell’imprenditore, il coniuge e gli altri legittimari che non
abbiano partecipato al contratto possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il
pagamento della somma prevista dal secondo comma dell’articolo 768 quater, aumentata
degli interessi legali». L’articolo in questione fa sicuramente riferimento a quei soggetti non
partecipanti al Patto di famiglia, poiché divenuti legittimari in un momento successivo (ad
es. figlio del disponente, nato successivamente alla stipulazione del Patto di famiglia; figlio
naturale nato prima della stipulazione, ma riconosciuto solo successivamente; nuovo coniuge
19
Talenti
20
del disponente, a seguito di premorienza del primo coniuge o di divorzio dallo stesso). Più
problematico è invece determinare se, fra i «terzi» cui fa riferimento l’art.768 sexies, possano
essere compresi anche i legittimari già esistenti al momento della stipulazione del patto,
tuttavia, per i motivi più vari, non partecipanti alla stessa. Nonostante le numerose e divergenti
correnti di pensiero, la tesi, a parere di chi scrive, più convincente, è quella che individua i
soggetti «terzi» nei legittimari che, sebbene esistenti all’epoca della stipulazione del patto,
non vi abbiano partecipato, nonché in quelli sopravvenuti. Tale soluzione combina stabilità
ed operatività del Patto di famiglia: si evita che la conclusione del patto possa essere impedita
dall’assenza di uno solo dei legittimari; si accorda a favore dei legittimari non partecipanti,
il pagamento di una somma equivalente a quella liquidata ai partecipanti, rimanendo salva
comunque la possibilità di non aderire affatto al patto, riservandosi di agire in riduzione e
collazione.
e) I beneficiari del contratto.
Per «beneficiari» non si intendono esclusivamente i discendenti assegnatari dell’azienda e
delle partecipazioni societarie, bensì «tutti coloro a cui vantaggio, in dipendenza del patto di
famiglia, siano state effettuate delle attribuzioni12»
3. 4 I profili oggettivi.
La definizione offerta dall’art.768 bis c.c. permette di individuare due diversi beni produttivi
oggetto del trasferimento da parte del disponente ad uno o più dei suoi discendenti: l’azienda
e le partecipazioni societarie.
Ai sensi dell’art.2555 c.c. per «azienda» si intende quel «complesso di beni organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa». Sulla base di quanto emerge dalla lettera
dell’art.768 bis ed, in particolare, dall’indicazione per cui «[…] l’imprenditore trasferisce, in
tutto o in parte, l’azienda», è possibile rintracciare quella facoltà, riconosciuta dal Legislatore
al disponente, di scegliere di trasferire o l’intero complesso aziendale o solamente quella
parte di cui è titolare o, infine, uno o più rami dello stesso. Quanto alle «partecipazioni
societarie», potranno essere oggetto del Patto di famiglia, solamente quelle qualificate,
idonee ad inglobare un certo potere di controllo e di direzione dell’impresa.
3. 5 La liquidazione dei legittimari.
Il Patto di famiglia, prevedendo il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie
da parte del titolare delle stesse, ad uno o più dei propri discendenti, evidentemente va
compromettere i diritti di legittima degli altri soggetti che, al momento dell’apertura della
successione, sarebbero legittimari, ma, in sede di stipulazione del patto, non destinatari di tali
attribuzioni. Conseguentemente, la prima preoccupazione del Legislatore del 2006, è stata
quella di salvaguardare tale diritto alla quota di legittima, considerato da sempre intangibile
ed inattaccabile, mediante la previsione di una corresponsione, cd. liquidazione, di beni o
di denaro, da parte dell’assegnatario, ai legittimari partecipanti al patto. Così infatti dispone
il 2° comma dell’art.768 quater, secondo il quale: «Gli assegnatari dell’azienda o delle
partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non
vi rinunziano in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore
delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti; i contraenti possono convenire che la
liquidazione, in tutto o in parte, avvenga in natura». Da una prima lettura, soggetto passivo
dell’obbligo di liquidazione sembrerebbe lo stesso soggetto beneficiario dei beni oggetto del
patto. Tuttavia, tale assunto ha generato non poche perplessità fra i vari commentatori della
novella che hanno ricompreso fra i soggetti deputati alla liquidazione, oltre al beneficiario
(generalmente giovane e con poche risorse finanziarie), anche lo stesso disponente. Tuttavia,
la scelta da preferire sembra piuttosto quella che esclude la qualificazione di soggetto passivo
4. LA FASE PATOLOGICA.
4. 1 L’azione di annullamento per vizi del consenso.
L’art.768 quinquies recita: «Il patto può essere impugnato dai partecipanti ai sensi degli
articoli 1427 e seguenti . L’azione si prescrive nel termine di un anno».
La previsione dell’impugnazione del Patto di famiglia secondo la disciplina dell’annullamento
per vizi del consenso, è stata definita dai primi commentatori della novella, come
«pleonastica14», in ragione dell’apparente inutilità di una simile formulazione: in effetti,
essendo l’istituto in esame, qualificato come «contratto», ad esso si applicherebbe
automaticamente, in forza del richiamo operato dall’art.1323 c.c., la disciplina generale
prevista dal Titolo II del Codice Civile, senza la necessità di una espressa previsione di
rinvio. Il quid novi sarebbe piuttosto rappresentato dalla riduzione ad un anno del termine di
prescrizione dell’azione di annullamento, rispetto a quello ordinario quinquennale.
4. 2 L’azione di annullamento per inadempimento.
Il rimedio dell’impugnazione del Patto di famiglia mediante azione di annullamento, trova
applicazione anche in caso di mancata liquidazione della somma spettante al coniuge e ai
legittimari non partecipanti al patto, così come dispone il 2° comma dell’art.768 sexies:
«L’inosservanza delle disposizioni del primo comma costituisce motivo di impugnazione ai
sensi dell’articolo 768 quinquies». Secondo parte della dottrina15, tale 2° comma farebbe
riferimento all’ipotesi di inadempimento, da parte dei beneficiari, dell’obbligo di pagamento
nei confronti dei non partecipanti al Patto di famiglia. Non può non riconoscersi, tuttavia, il
carattere singolare della previsione dell’azione di annullamento. In effetti, in dottrina non
sono mancate critiche ad una simile scelta ritenendosi «un’indubbia distonia del sistema aver
previsto, per un’alterazione del sinallagma funzionale, uno strumento tipicamente diretto
a porre rimedio alle alterazioni del sinallagma genetico, quale, per l’appunto l’azione di
annullamento16».
4. 3 Le presunte ipotesi di nullità.
Accanto al caso di invalidità del patto per vizi del consenso, è stata avanzata in dottrina la
configurazione di nullità del Patto di famiglia, oltre che per i casi di cui all’art.1418 c.c.,
anche nell’ipotesi di mancato intervento di tutti i legittimari esistenti al momento della stipula
del contratto. Come si è in precedenza avuto modo di osservare, le soluzioni prospettate in
dottrina, sono state le più varie.
Secondo opinioni più radicali17, deve ritenersi nullo, per violazione di norma imperativa,
il contratto concluso in assenza anche di un solo dei soggetti che sarebbero legittimari al
momento dell’apertura della successione, trattandosi, in particolare, di nullità virtuale.
Secondo altre18, configurando il Patto di famiglia quale contratto plurilaterale, in cui la
Talenti
della liquidazione in capo al disponente: la sottrazione alle comuni regole successorie dei
beni che costituiscono il Patto di famiglia, si giustifica solamente in ragione della loro
particolare natura di beni-impresa. Al contrario, ammettendo la possibilità che le attribuzioni
vengano compensate direttamente dal disponente con propri beni non produttivi, i cd. benipatrimonio, si amplierebbe, di fatto, la deroga all’azione di riduzione ed alla collazione, con
conseguente grave pregiudizio per i legittimari sopravvenuti.
In conclusione, ogni assegnazione ai legittimari effettuata dal disponente con beni appartenenti
al proprio patrimonio, dovrà inquadrarsi fra le liberalità indirette a favore dello stesso
assegnatario, che, come autorevole Autore13 afferma, si «innesta» sul Patto di famiglia, ma ne
resta estraneo, sicché, all’apertura della successione del disponente, potranno esplicarsi gli
effetti della collazione e della riduzione.
21
Talenti
partecipazione di ogni avente diritto è essenziale ai sensi degli artt.1420 e 1466 c.c., la mancata
partecipazione comporterebbe una nullità ab origine del patto. Di segno completamente
opposto, è quella parte della dottrina19 che, in ragione del carattere bilaterale del Patto di
famiglia, sottolinea il «carattere sempre inessenziale della partecipazione dei legittimari»,
escludendone quindi , in ogni caso, la nullità.
In realtà, la tesi20 da accogliere è quella che non rinviene, nella mancata partecipazione anche
di un solo legittimario esistente alla stipula del patto, la nullità dello stesso, quanto piuttosto
la mera inopponibilità ai non intervenuti.
4. 4 Modifica e scioglimento.
Ai sensi dell’art. 768 septies c.c. «il contratto può essere sciolto o modificato dalle medesime
persone che hanno concluso il patto di famiglia nei modi seguenti:
1) mediante diverso contratto, con le medesime caratteristiche ed i medesimi presupposti di
cui al presente capo;
2) mediante recesso, se espressamente previsto nel contratto stesso e, necessariamente,
attraverso dichiarazione agli altri contraenti certificata da un notaio.»
La locuzione «diverso contratto» rappresenta, senza dubbio, una tipica fattispecie di mutuo
dissenso, disciplinata dall’art.1372, comma 1, c.c. Si tratta di un nuovo accordo fra le parti,
diretto ad estinguere il già costituito rapporto contrattuale, e che priva il precedente degli
effetti traslativi o obbligatori che ne sarebbero derivati. Il contratto consensualmente risolto,
resta comunque un contratto valido, suscettibile quindi si assumere, ad altri possibili effetti,
giuridica rilevanza.
Per quanto riguarda il «recesso», che deve necessariamente essere formulato in sede di
redazione del patto, interessante è la distinzione operata in relazione ai soggetti esercenti
tale facoltà: nel caso in cui il recesso venga compiuto dal disponente o dall’assegnatario,
il Patto di famiglia necessariamente si scioglierebbe, venendo a mancare quell’effetto
traslativo dell’azienda o delle partecipazioni societarie, proprio della prestazione principale;
al contrario, il recesso esercitato da uno o più degli altri partecipanti, non comporterebbe
ovviamente lo scioglimento dell’intero patto, ma solamente l’obbligo, in capo al recedente,
di restituire la somma ricevuta a titolo di liquidazione, maggiorata dei relativi interessi,
oppure del bene attribuito in natura.
4. 5 La conciliazione stragiudiziale.
Ai sensi dell’art.768 octies c.c, le controversie scaturenti dal Patto di famiglia sono
devolute, preliminarmente, agli organismi di conciliazione stragiudiziale. La scelta del
Legislatore di prevedere una forma di arbitrato obbligatorio comporta che, laddove venga
instaurata un’azione giudiziale avente ad oggetto il Patto di famiglia, il giudice adito sia
tenuto a sospendere immediatamente il procedimento, rinviando le parti all’organismo di
conciliazione di cui all’art. 38 del d. lgs. 5/2003.
22
5. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE DE IURE CONDENDO.
Le considerazioni finora svolte evidenziano che sono ancora numerosi gli aspetti del Patto
di famiglia caratterizzati da un elevato tasso di problematicità. Del resto, l’insuccesso
riscosso tanto nel mondo imprenditoriale - ancora restio nel ricorrere al nuovo istituto per
regolamentare il trasferimento generazionale della propria ricchezza produttiva -, quanto
in quello giuridico - caratterizzato da una moltitudine di voci discordanti -, può spiegarsi
solo in considerazione del fatto che, sostanzialmente, non si è assistito ad un adeguamento
sistematico dell’ordinamento giuridico rispetto alla portata innovativa del Patto di famiglia.
Nonostante i quattro anni trascorsi dalla sua entrata in vigore, tale nuovo istituto si trova
Note
1
G. ATTANZIO, Una riforma al passo con i tempi, in Il Sole 24 Ore, 30 marzo 2006, 3.
2
Dati elaborati dall’Associazione Italiana delle Aziende Familiari, G. ATTANZIO, L’impresa di generazione in generazione,in AA.
VV. Patti di famiglia per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2006, 16.
3
G. PETRELLI, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv. Not., 2006, 408; DELLE MONACHE, Spunti ricostruttivi e
qualche spigolatura in tema di patto di famiglia, in Riv. not., 2006, I, 889 e ss; G. OBERTO, Il patto di famiglia, Padova, 2006,
62 e ss.; A. MERLO, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati. Profili civilistici del patto di famiglia, in AA.
VV. Patti di famiglia per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, cit., 105.
4
A. DI SAPIO, Osservazioni sul patto di famiglia (brogliaccio per una lettura disincantata), in Dir. famiglia,1, 2007.
5
G. PETRELLI, La nuova disciplina del patto di famiglia, cit., 417.
6
In tal senso, A. MERLO, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati. Profili civilistici del patto di famiglia
in AA.VV. Patti di famiglia per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, cit., 110; M. LUPETTI, Patti di
famiglia: note a prima lettura, in CNN Notizie del 14 febbraio 2006, 4.
7
C. CACCAVALE, Divieto dei patti successori e attualità degli interessi tutelati. Appunti per uno studio sul patto di famiglia:
profili strutturali e funzionali della fattispecie,in AA. VV. Patti di famiglia per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per
il Notariato, cit., 38 e ss.
8
G. DI GIANDOMENICO, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati, in AA. VV. Patti di famiglia per
l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, cit., 143; F. GAZZONI, Appunti e spunti in tema di patto di
famiglia, in Giust. Civ., 2006, 3.
9
G. FIETTA, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati. Prime osservazioni sul Patto di famiglia,in AA. VV.
Patti di famiglia per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, cit.; F. GAZZONI, Appunti e spunti in tema
di patto di famiglia, in Giust. Civ., cit., 3.
10
Così, F. GALGANO, voce Imprenditore, in Dig. disc.priv., sez. comm., VII, Torino, 1992, 1.
11
Così L. CAROTA, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, Padova, 2008, 178.
12
Così, G. DE NOVA, F. DELFINI, S. RAMPOLLA, A. VENDITTI, (a cura di DE NOVA), Il patto di famiglia. Legge 14 febbraio
2006, n. 55, Torino, 2006, 42.
13
F. TASSINARI, Patto di famiglia: presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti formali, in AA. VV. Patti di famiglia
per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, cit., 169.
14
Tale definizione appartiene a F. DELFINI, Il patto di famiglia. Legge 14 febbraio 2006, n. 55, cit., 33.
15
G. PETRELLI, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv. Not.,cit., 451; F. DELFINI, in Il patto di famiglia. Legge 14
febbraio 2006, n. 55,(a cura di) G. DE NOVA, cit., 47; B. INZITARI, P. DAGNA, M. FERRARI, V. PICCININI, Il patto di
famiglia. Negoziabilità del diritto successorio con la legge 14 febbraio 2006, n. 55, Torino, 2006, 239; C. CHERRA, La tutela dei
“terzi”, in Il patto di famiglia, (a cura di) U. LA PORTA, Torino, 2007, 205.
16
Così, G. OBERTO, Il patto di famiglia, cit., 128.
17
F. GAZZONI, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia, in Giust. Civ.,cit., 219; B. INZITARI, P. DAGNA, M. FERRARI, V.
PICCININI, Il patto di famiglia. Negoziabilità del diritto successorio con la legge 14 febbraio 2006, n. 55, cit., 104 e ss; M. IEVA,
Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria:patto di famiglia e patto d’impresa. Profili generali di revisione del
divieto dei patti successori,in Riv. Notar., 1997, 1373.
18
G. BUFFONE, Patto di famiglia: le modifiche al codice civile, in www.altalex.it, 8 febbraio 2006, 2.
19
C. CACCAVALE, Divieto dei patti successori e attualità degli interessi tutelati. Appunti per uno studio sul patto di famiglia:
profili strutturali e funzionali della fattispecie, in AA. VV. Patti di famiglia per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per
il Notariato, cit., § 3-6.
20
G. PETRELLI, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv. Not., cit., 430 e ss.
Talenti
ancora “impigliato” fra le strette maglie dei principi fondanti la materia successoria: il divieto
dei patti successori, da un lato, e l’istituto della successione necessaria dall’altro. Non è un
caso, in effetti, che a distanza di pochi mesi dall’emanazione della novella, sia stato presentato
alla Commissione Giustizia del Senato il disegno di legge n.1043 recante l’abrogazione della
successione necessaria, nonché, conseguentemente delle disposizioni in materia di Patto di
famiglia. Tuttavia, affermare un’abrogazione totale del sistema di successione necessaria,
oltre ad avere, per certi versi, caratteristiche molto più simili ad un’utopia, che alla realtà
effettiva, appare quanto mai azzardato e prescinde completamente dai principi fondanti
i sistemi di civil law. Se in effetti, in materia successoria esiste un discrimen fra sistemi
giuridici di civil law e di common law, questo risiede senza ombra di dubbio, nella scelta
operata, da un lato, dal modello anglosassone, ovvero quella di ignorare completamente la
categoria dei legittimari, limitando il meno possibile la libertà del testatore, mentre dall’altra,
dai modelli continentali, di comprimere la sovranità del de cuius, in nome della solidarietà
familiare. In conclusione, accertato che i nodi da sciogliere sono ancora numerosi e per i quali
probabilmente ancora occorrerà del tempo, si auspica, per il futuro più prossimo, almeno un
graduale rinnovamento del sistema successorio italiano.
23
24
Talenti
Valutazioni alle metodiche d’immagine degli aspetti di presentazione dei tumori maligni colangiocellulari insorti su cirrosi
di Laura Venerandi
Laurea in Medicina interna, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli
studi di Bologna
Giudizio sul lavoro di tesi: indagine accurata e di buona qualità scientifico professionale.
Il colangiocarcinoma è stato per lungo
tempo oggetto di scarso interesse, soprattutto
rispetto all’epatocarcinoma, per la minore
incidenza e la mancanza di lesioni
preneoplastiche facilmente identificabili. Lo
scenario però sta cambiando. Numerosi studi
riportano, infatti, un progressivo aumento,
avvenuto in tutto il mondo negli ultimi
trent’anni, dell’incidenza e della mortalità
per la forma intraepatica, mentre la forma
Fig. 1 - Classificazione anatomica del colangiocarcinoma.
extraepatica sembra avere un trend stabile
o, addirittura, in diminuzione. Ciò ha fatto
supporre l’esistenza di diverse eziologie per
le due forme e ha spinto alla ricerca di nuovi fattori di rischio per il colangiocarcinoma
intraepatico. Tra essi, è stato recentemente dimostrato il ruolo della cirrosi epatica e delle
infezioni da virus dell’epatite B e C.
I pochi dati presenti in letteratura (Forner 2008 e Sangiovanni 2010) indicano un tasso di ICC
attorno all’1-2% dei noduli su cirrosi.
La cirrosi epatica è nota essere un fattore di rischio per lo sviluppo di epatocarcinoma. Per
tale ragione, le linee guida AASLD (American Association for the Study of Liver Diseases)
raccomandano una sorveglianza ecografica semestrale in tutti i pazienti cirrotici, allo scopo di
individuare precocemente l’insorgenza di eventuali noduli. Secondo tali linee guida del 2005, di
fronte al riscontro di un nodulo di dimensioni superiori ad 1 cm, è necessario eseguire una metodica
di immagine con mezzo di contrasto (tra ecografia -CEUS-, TC e RM) per confermare la diagnosi
di epatocarcinoma, il cui aspetto tipico è rappresentato da un enhancement arterioso (captazione
Talenti
Background
Il colangiocarcinoma (CCA) è un tumore maligno originante dalla trasformazione neoplastica
dell’epitelio biliare. Esso rappresenta, per frequenza, la seconda lesione primitiva maligna
del fegato, dopo l’epatocarcinoma (HCC), ed è responsabile, ogni anno, del 10-20% della
mortalità mondiale per neoplasie del sistema epatobiliare.
Dal punto di vista anatomico, si distinguono due forme:
- Colangiocarcinoma intraepatico (ICC): cresce all’interno del parenchima epatico.
- Colangiocarcinoma extraepatico (ECC): origina dai dotti biliari extraepatici e comprende
la forma ilare e quella distale (tumore di
Klatzkin).
25
Talenti
26
del mezzo di contrasto), seguito dal cosiddetto
wash out (assenza di mezzo di contrasto) in fase
portale e tardiva. Tale caratteristica è dovuta alla
vascolarizzazione esclusivamente arteriosa dei
noduli di epatocarcinoma. Secondo le linee guida,
per noduli superiori a 2 cm, il riscontro di tale
aspetto ad una sola metodica di immagine con
mezzo di contrasto è sufficiente per fare diagnosi
di epatocarcinoma.
L’aumento dell’incidenza del colangiocarcinoma
su cirrosi ha aperto il dibattito sulla diagnosi
differenziale tra esso e l’epatocarcinoma.
Recentemente, due studi spagnoli degli stessi Fig. 2 - Management dei noduli su cirrosi secondo
autori (Vilana et al. 2010) hanno confrontato le linee guida AASLD del 2010. MDCT: TC con
l’aspetto alla CEUS e alla RM dell’epatocarcinoma mezzo di contrasto. MRI: risonanza magnetica.
e del colangiocarcinoma su cirrosi, descrivendo HCC: epatocarcinoma.
come alla CEUS il colangiocarcinoma possa
presentare il tipico aspetto dell’epatocarcinoma, mentre la RM mostra nel colangiocarcinoma un
enhancement incostante in fase arteriosa e mancanza di wash out in fase tardiva.
Sulla base di questi dati, nel 2010 è stato pubblicato un aggiornamento delle linee guida
AASLD, che tiene in estremo conto il rischio
di falsi positivi per epatocarcinoma da parte
della CEUS (diagnosi erronea al posto di
colangiocarcinoma). Questa metodica non viene
quindi più contemplata dalle nuove linee guida
americane per il management dei noduli su
cirrosi.
Tali risultati non sono stati ancora confermati
né in modo prospettico né retrospettivo. Inoltre,
questi dati sulla CEUS non tengono conto
di alcune caratteristiche di comportamento
contrastografico più sottili, ma potenzialmente
significative, come la rapidità e l’intensità
del wash out. L’epatocarcinoma infatti tende
ad avere assenza di wash out, specie se ben
differenziato, o wash out tardivo e moderato,
Fig. 3 - Aspetto più tipico alla CEUS del colangioe solo raramente rapido ed intenso, di solito
carcinoma su cirrosi.
corrispondente alle forme poco differenziate,
come descritto da Iavarone nel 2010. Tale
aspetto viene sottolineato dalle linee guida dell’EFSUMB (European Federation of Society
for Ultrasound in Medicine and Biology) del 2008, che evidenziano come, di fronte ad un
wash out intenso, si ponga il dubbio di colangiocarcinoma.
Obiettivi
Sulla base di tutto ciò, abbiamo condotto uno studio retrospettivo, con l’obiettivo di valutare
il tasso di colangiocarcinoma su cirrosi e l’aspetto dei noduli alle metodiche con mezzo di
contrasto CEUS, TC e RM, con particolare riferimento alla CEUS.
Talenti
Materiali e metodi - Risultati
È stato stimato il numero di nuovi casi di epatocarcinoma su cirrosi insorti da maggio 2003 a
maggio 2010 presso il policlinico S.Orsola-Malpighi ed esso è risultato di 800-900.
Sono stati raccolti i nuovi casi di colangiocarcinoma intraepatico insorti nello stesso periodo
di tempo. Questi sono risultati 37, di cui 28 insorti su fegato sano e 9 su cirrosi.
Ci siamo quindi concentrati sull’analisi dei 9 pazienti in cui il colangiocarcinoma era insorto
su cirrosi. Questi erano 8 uomini ed una donna, con un’età media di 58,3 anni. Per quanto
riguarda l’eziologia della cirrosi, si sono riscontrate 4 cirrosi alcoliche, 2 virali (una da HBV
ed una da HCV), 2 steatoepatiti ed una cirrosi criptogenetica. La cirrosi era nota in 5 pazienti,
mentre negli altri 4 è stata riscontrata all’esame istologico del nodulo. Tutti i pazienti avevano
una funzionalità epatica conservata (classe A dello score di Child-Pugh).
Sono stati quindi analizzati gli aspetti dei noduli alle metodiche d’immagine a cui erano stati
sottoposti, prestando attenzione al sospetto diagnostico con cui venivano inviati all’eventuale
resezione chirurgica. Una CEUS era stata eseguita in 6 pazienti, una TC con mezzo di
contrasto in 9 ed una RM in 7.
La stima del tasso di colangiocarcinoma è risultata attorno all’1-1,12% dei tumori primitivi su cirrosi.
Per quanto riguarda l’aspetto dei noduli analizzati all’ecografia, più frequentemente (80%) questi
presentavano un’ipoecogenicità all’esame basale. Alla CEUS, l’aspetto più frequente (57%) è
risultato quello di un iperenhancement in fase arteriosa, con marcato wash out in fase tardiva.
Alla TC con mezzo di contrasto, il 50% dei noduli mostrava un rim periferico iperdenso
in fase arteriosa. In fase tardiva, tutti i noduli presentavano un certo grado di wash out,
mostrandosi per lo più globalmente ipodensi, ad eccezione di uno che manteneva un cercine
sfumato ed uno con enhancement disomogeneo.
L’aspetto più frequente dei
noduli alla RM è risultato
quello di un’ipointensità in T1
e di un’iperintensità globale o
periferica in T2. All’indagine con
mezzo di contrasto, tutti i noduli,
eccetto uno, presentavano un
rim periferico iperintenso in fase
arteriosa. In fase tardiva, il 50% Fig. 4 - Aspetto più frequente alla TC con mezzo di contrasto del codei noduli mostrava wash out e il langiocarcinoma su cirrosi.
50% manteneva un certo grado di
iperintensità centrale, periferica
o disomogenea.
Dalla tabella 1, che riassume
l’iter diagnostico-terapeutico dei
pazienti, possiamo notare come:
- alla CEUS, nessun nodulo è
stato descritto come tipico per
epatocarcinoma. La presenza
di
ipervascolarizzazione
arteriosa con wash out Fig. 5 - Aspetto più frequente alla RM con mezzo di contrasto del
colangiocarcinoma su cirrosi.
marcato ha infatti fatto porre
il sospetto di metastasi o
colangiocarcinoma.
27
- alla TC, 3 noduli sono stati descritti come epatocarcinoma.
- alla RM, nessun nodulo mostrava un aspetto tipico per epatocarcinoma e in due casi è
stata indicata la diagnosi di colangiocarcinoma.
Paziente
Sospetto diagnostico
TC
RM
secondarismo
secondarismo/neoformazione epatica
non tipico di HCC
angioma atipico/
HCC/CCA/
HCC atipico/
CCA
metastasi
metastasi
ascesso epatico
-
Biopsia
Resezione
no
no
no
sì
sì
sì
sì
sì
sì
no
riscontro casuale al
trapianto per HCC
CEUS
1
2
3
4
5
6
-
7
lesione
proliferativa
8
-
9
-
HCC
-
epatocolangio/
HCC atipico/
altro
HCC
CCA
lesione primitiva/ lesione primitiva/
angioma atipico angioma atipico
HCC
no
sì
no
no
sì
sì
sì
Talenti
Tab. 1. Iter diagnostico-terapeutico dei pazienti. HCC: epatocarcinoma. CCA: colangiocarcinoma.
28
Conclusioni
Il presente lavoro conferma un tasso di colangiocarcinoma attorno all’1-2% dei noduli epatici
su cirrosi, in linea con le precedenti poche casistiche pubblicate.
Il comportamento del colangiocarcinoma alla CEUS può talvolta essere confuso, da operatori
inesperti di ecografia, con il comportamento vascolare tipico dell’epatocarcinoma, in quanto
può presentare enhancement arterioso omogeneo e wash out in fase tardiva. Tuttavia, nel
nostro policlinico, dove ci sono operatori esperti di CEUS, le caratteristiche dell’enhancement
sono state sempre ritenute non abituali per epatocarcinoma, suggerendo la possibilità di
diagnosi alternative, successivamente confermate istologicamente.
La RM dell’addome ha dimostrato elevatissima sensibilità nel riscontro di un aspetto atipico
per epatocarcinoma, non avendo mai suggerito una diagnosi univoca di epatocarcinoma (cosa
invece emersa in 3 referti con la TC).
In sintesi, la diagnosi di colangiocarcinoma intraepatico su cirrosi con le tecniche di imaging resta
difficile o meglio quasi impossibile, non essendovi un pattern specifico. I nostri dati confermano
la RM come metodica molto valida per la diagnosi delle lesioni focali su cirrosi, in linea con le
nuove linee guida AASLD. Tuttavia, a differenza di quanto prospettato dalle linee guida, la CEUS
è risultata non meno accurata della TC nell’identificare un aspetto atipico, evitando il rischio di
false diagnosi di epatocarcinoma. Per tale motivo, non riteniamo giustificata, almeno in mani
esperte, la sua rimozione tra le tecniche in grado di porre diagnosi di epatocarcinoma.
L’importanza di questa ricerca risiede nella dimostrazione dell’accuratezza della CEUS, se
utilizzata da operatori esperti, nel management dei noduli epatici su cirrosi. Ciò, unitamente
al basso costo e alla sicurezza del mezzo di contrasto utilizzato da questa tecnica ecografica,
la rende una metodica utile da impiegare di fronte al riscontro di un nodulo epatico in un
paziente cirrotico.
Vita pubblica e privata della nobildonna pesarese Vittoria Mosca
di Elena Bacchielli
Laurea in Storia dell’arte, Facoltà di Lettere, Università degli studi di Urbino
Con il presente lavoro di ricerca ho voluto aggiornare il tema relativo alla vita pubblica e
privata di Vittoria Mosca Toschi. Si tratta di una nobildonna pesarese molto generosa che ha
deciso di lasciare alla morte, avvenuta l’8 settembre 1885, il suo palazzo di Pesaro e tutte
le collezioni di oggetti d’arte e di artigianato, insieme all’arredamento originale, al Comune
della città, affinché venisse istituito un museo d’arte industriale.
Scopo della tesi è quello di portare all’attenzione generale non solo la storia pubblica, ma
anche quella più intima di Vittoria, per aiutare il lettore a capire per intero la figura di questa
donna. In lei la sfera pubblica e quella privata sono fortemente intrecciate.
Lo scritto si compone di quattro capitoli suddivisi all’interno di due volumi.
Il primo capitolo è incentrato sulla biografia della marchesa e sul contesto storico – culturale
nel quale essa è nata e cresciuta, per capire da dove si sia originato il desiderio di creare un
Museo d’Arte Industriale e di donarlo poi alla comunità1.
La vita di questa donna si colloca infatti all’interno del vivace ambiente culturale che
andava arricchendo la realtà pesarese - e non solo - tra Sette e Ottocento. Per non annoiare
il lettore non ripercorrerò qui l’albero genealogico della marchesa, ma insisterò su quel
contesto colto e altamente mondano nel quale essa è cresciuta, grazie ad esempio alla
presenza della madre, la contessa Barbara Anguissòla Comneno. La donna proveniva dalla
città di Milano che in quegli anni era un vero crogiuolo di idee e di cultura. Il salotto di
famiglia era frequentato dalla migliore società milanese. La contessa cercò di dare alle
sue figlie - Vittoria, Bianca e Carolina - un’educazione difficile da coltivare in una città di
provincia come Pesaro. Da qui la decisione di mandare le giovani in un collegio di Firenze
per completare la loro educazione. Anche da parte del padre, il marchese Benedetto Mosca,
Vittoria riuscì ad assorbire parte di quella cultura e di quella vivacità intellettuale che la
contraddistinsero. Attraverso la figura paterna, infatti, la donna ebbe frequenti rapporti
con alcuni dei personaggi più importanti della cultura del tempo, quali Giacomo Leopardi,
l’umanista e filologo Giulio Perticari, il latinista Francesco Cassi (di lui si ricorda la
traduzione della Farsaglia di Lucano) ed il ministro della Pubblica Istruzione Terenzio
Mamiani della Rovere2.
Ma che cosa rimane oggi della marchesa Mosca e della sua famiglia? Rimane quello che,
più di cento anni fa, venne lasciato alla collettività confidando nel rispetto di un patrimonio
storico e artistico che Vittoria aveva voluto rendere pubblico. Nel suo testamento la marchesa
donò alla città di Pesaro il Palazzo Mazzolari di Via Rossini e tutto ciò che conteneva,
compreso il mobilio e gli oggetti d’arte, ai fini di utilizzare il detto palazzo come museo e di
aprire in esso una scuola d’arte applicata all’industria. Il museo venne inaugurato il 29 luglio
1888, ma rimase aperto solo pochi anni.
Narra la cronaca del tempo3: “La scorsa domenica si è inaugurato questo stupendo museo.
Alle ore 10 ant, la Giunta e i Consiglieri Comunali, il Marchese Benedetto Toschi Mosca
e la sua Signora Marchesa Lucrezia Antaldi, gli esecutori testamentari Marchese Carlo
Baldassini e Avv. Francesco Raffaelli, il Prefetto e la Deputazione Provinciale insieme alle
Talenti
L’indagine prodotta risulta di qualità scientifico-professionale al di sopra della media.
29
Talenti
30
altre primarie autorità […] Dopo acconcie parole di lode e di riconoscenza cittadina per
la benefica testatrice Marchesa Vittoria Mosca in Toschi e la sua famiglia, pronunziate dal
Sindaco Comm. Vaccaj, fu letto e firmato dai convenuti il verbale di costituzione del Museo,
che quindi a mezzo giorno venne aperto al pubblico, mentre la banda suonava scelti pezzi
nella corte […]”.
“Nell’insieme l’inaugurazione è riuscita bene, ma forse non abbastanza solenne quanto
l’importanza dell’avvenimento meritava.”
Purtroppo, poco dopo l’inaugurazione, il Comune si accorse che gli introiti del lascito non
erano sufficienti al mantenimento della scuola e del museo, per cui fu costretto, due anni più
tardi (1890), a vendere una parte dei mobili e ad affittare il secondo piano a civile abitazione.
Nel 1908 il Museo fu arricchito dall’aggiunta di mobili e di suppellettili delle donazioni
Della Ripa4 e Salvatori5, ma nel 1914, per questioni economiche, si dovettero affittare anche
i locali del piano terra al Monte di Pietà e l’intera cantina.
I terremoti del ’16 e del ’30 non migliorarono la situazione; tra il 1930 e il 1940 il palazzo,
destinato agli uffici comunali, perse totalmente la propria identità. Il museo non venne più
ricostituito6.
Molti dei suoi mobili e quadri furono trasferiti al Museo Civico, altri al Conservatorio, mentre
la libreria, che contava più di 1545 volumi, passò all’Oliveriana7.
Attualmente molti dei suoi pezzi migliori, comprese le collezioni di ceramiche, si trovano nei
Musei Civici cittadini; il restante giace diviso tra Prefettura (che ha sede nel Palazzo Ducale),
Comune, Assessorato alla Cultura (sono gli uffici del Palazzo Mazzolari in questione) e
Conservatorio.
Ripercorrendo questi tristi fatti burocratici, si comprende come l’istituzione cittadina abbia
danneggiato la sfera pubblica di Vittoria, ed indirettamente – ma poi non tanto indirettamente
– anche quella privata. Il grande sogno di questa donna ha avuto una vita troppo breve. Mossa
da un senso di giustizia, ho deciso di approfondire la mia conoscenza relativa alla vita della
marchesa, ed ho scoperto un altro fatto che mi ha sconcertato. Non solo il museo non è stato
più – sin d’ora, specifichiamo, e lo dico a ragion veduta - riportato alla luce, ma anche il corpo
di Vittoria giace ignorato da tutti nel Cimitero Centrale di Pesaro. Nei registri figura sepolta
in un loculo singolo di forma oblunga sotto il numero 29 e nella prima fila, oltre il recinto
del campo comune. Quando al Comune, anni fa, è stato richiesto di sistemare la tomba della
marchesa, la sua lapide è passata inosservata, poiché è stata ritoccata quella esistente e nota a
molti, che è la tomba del figlio Benedetto, della moglie Lucrezia Antaldi e dei due loro figli,
Roberto e Vincenzo, posta dietro la chiesa di San Decenzio.
Nel 2005 è stata aperta una pratica su questa spiacevole vicenda. Nello specifico si è richiesto
al Comune di spostare quel che resta del corpo di Vittoria all’interno del monumento funerario
del figlio, oppure di trasferire direttamente il loculo nel Palazzo Mosca (sede dei Musei Civici
e palazzo di famiglia), per cominciare a restituire dignità alla figura della marchesa. Ancora
oggi, però, la situazione non è cambiata: la lapide rimane isolata dalla tomba di famiglia, con la
sua scritta quasi illeggibile, ed il custode non ne conosce l’esistenza. Proprio come sei anni fa.
Ma qualcosa si sta accingendo a cambiare, nell’ambito pubblico.
Per la primavera del 2012 il Comune ha previsto un progetto di recupero del Palazzo Mazzolari:
esso verrà trasformato in una residenza nobiliare ottocentesca! Le opere della famiglia Mosca
verranno ricollocate all’interno dei loro siti originari, ovviamente dopo un sapiente lavoro
di restauro a cui sono già in parte sottoposte. Il progetto suddetto prevede anche il restauro
filologico della facciata, restauro che tenterà di recuperare l’antico splendore cromatico del
palazzo. Già terminati sono invece i lavori di ristrutturazione dell’arioso cortile.
È proprio vero, la vita richiede tanta pazienza e a volte non è sufficiente un’esistenza terrena
per vedere concretizzati i propri sogni. A volte, come in questo caso, si devono attendere 127
lunghissimi anni prima di vedere risolte le intricate questioni burocratiche. Ma quello che
conta è che finalmente questa donna dal cuore generoso e dalla mente libera, possa trovare la
giusta visibilità. Un altro sforzo in questa direzione il Comune l’ha già compiuto quando ha
deciso di creare - nel 2009 - e di allestire poi - nel 2011 - le due salette del piano intermedio
dei Musei Civici, esponendo a rotazione manufatti provenienti dal lascito Mosca. Un modo
per avvicinare dolcemente i visitatori alla conoscenza di questa famiglia8.
Il secondo capitolo vuole fare luce sulla vita privata della nobile attraverso citazioni continue
di versi tratti dagli scritti da lei composti in momenti diversi della sua esistenza. Il quadro
che emerge è quello di una vita piuttosto inquieta e sofferta, ma vissuta con quella libertà
intellettuale che l’ha sempre contraddistinta.
Vittoria è stata una donna fragile che si è straziata dal dolore per la perdita dei suoi familiari
(tutti, ad eccezione di una sorella, Bianca).
Il primo grande dolore la colpì alla tenera età di tre anni, quando il padre Benedetto morì
improvvisamente nel gennaio del 1817, prima che avesse il tempo necessario per conoscerlo.
“Non ti conobbi, o padre! al primo albore
Orba di te restai nel patrio tetto,
Né un bacio sol con figliale ardore
Stampar potei nel tuo soave aspetto.
Non ti conobbi… eppure eppur nel cuore
Fiamma nutrii per te di sacro affetto,
E dalla cuna in dolce suon d’amore
Io benedissi al nome tuo diletto.
Non ti conobbi è ver, ma agli occhi innante
Veggio mai sempre la tua cara Immago,
E ragiona il pensier teco anelante;
Non ti conobbi è ver, ma il sol desio
Che l’attrito mio cuor di se fa vago
È d’esser teco ricongiunta in Dio.”
[IX]9
La figura del padre non fu però del tutto sconosciuta a Vittoria, perché lei mantenne sempre
il suo ricordo presente in fondo al cuore e dietro a quello sguardo sognante di ragazzina,
consapevole che la fede li avrebbe riuniti un giorno.
Sono parole dedicate alla memoria della sorella Carolina, la quale morì nel 1833 tra le
braccia della sola Vittoria, dal momento che la madre era dovuta rimanere accanto all’altra
figlia, Bianca, che si era ammalata improvvisamente a Pesaro. Carolina, invece, si trovava
nel capoluogo toscano.
Passò un solo anno, e la vita si spense anche per la marchesa Barbara.
Talenti
“Dille che il prisco amore in me non tace,
Dille che più non vidi un dì sereno,
E sempre in pianto il cuor mi si disface.
D’allor che morte orbolla ai baci miei
Sì ch’io bramo lasciar l’asil terreno
E sopìr le mie pene in braccio a lei.”
[X, vv. 9-14]10
31
“O madre mia, perché al mio sen rapita
Fosti si tosto dell’età nel fiore?
Coll’ ultimo sospir della tua vita
Perdetti il ben del povero mio core.”
[XVII, vv. 1-4] 11
Dopo questi tragici eventi, Vittoria rimase sola con la sorella Bianca nell’antico palazzo di
famiglia.
Dagli scritti emerge come la nobile sia stata al tempo stesso una donna coraggiosa, perchè ha
saputo lottare contro una malattia sconosciuta che l’ha costretta a letto, immobile, per dieci
lunghi anni.
“Morto è il mondo per me, morta natura;
Non ha beltade alcuna luce aurata;
Non ha la vita una soave cura,
Una lusinga, un’attrattiva grata.
Oh! suonar possa l’ora mia suprema,
Ch’io con fronte serena, ed alma invitta
Guarderò morte senza affanno, e tema.”
[XV, vv. 5-11]12
Dopo uno sconforto iniziale per la situazione di disagio che viveva, ha saputo trovare nuova
luce nella fede religiosa:
“Così a tuoi santi lumi, o Vergin bella,
Solcando mar che rei perigli asconde
I’ mi rivolsi e volgo, e non d’altronde
Spero soccorso nella gran procella.”
[XIX, vv.5-8]13
Dalla sua grave situazione di salute, Vittoria Mosca riuscì a guarire:
“O madre mia, l’ausilio tuo celeste
Valse all’afflitta figlia alfin salute,
E sciolte fur le sorti mie funeste.
Madre, per te salva e felice or sono;
Così due volte l’immortal Virtute
Per te mi diede l’esistenza in dono.”
[XVII, vv. 9-14]14
Vittoria è stata una donna moderna, controcorrente perché ha rifiutato di sposare un uomo
ricco che le veniva proposto dalla cerchia di intellettuali che frequentava:
Talenti
“[…] Io non potrei che apprezzare il partito propostomi, giacché venuto dalle sue mani non
può essere che ottimo ma non per questo mi è dato di compiacerla […]”15.
32
È stata una donna libera di pensiero, perché è convolata a nozze, in età avanzata, con un uomo
scelto da lei, più giovane di 21 anni: Vincenzo Maria Toschi. Se si pensa al periodo storico
in cui questo accadeva, l’azione acquista ancora più potenza. Dagli scritti esaminati non
emerge alcuna notizia certa sul luogo del loro possibile incontro, né sul motivo che spinse
la donna a prendere la decisione di sposarsi. Gli unici versi trovati e rivolti all’uomo sono
tratti dall’Elogio funebre. È possibile pensare che Vittoria abbia voluto lasciare ai posteri,
attraverso i suoi scritti, solo notizie relative al forte legame di amore con Vincenzo, che lei
chiama in modo affettuoso compagno di vita e non marito. Tutto il resto viene lasciato al
libero arbitrio di ciascun lettore.
“Come folgor tremenda a Ciel sereno
Il triste annunzio del tuo fier malore
Giunse a ferirmi ahi! mortalmente il cuore,
Quasi esangue rimasi in un baleno.”
[VIII, vv.1-4]16
I due si amavano molto, a tal punto che Vincenzo, stremato nel letto, cercava di dare forza
alla moglie mandandole baci e occhiate pie, toccandole la mano e rimanendo sereno e calmo
fino alla morte17.
La malattia prima e la morte poi del marito, furono per Vittoria un dolore troppo forte
da sopportare. Sette mesi dopo la scomparsa di Vincenzo, si lasciò infatti morire. Era l’8
settembre del 1885.
Di lei vanno ricordati sempre la sensibilità umana ed artistica che l’accompagnò per tutta la
vita, il rimpianto degli affetti perduti, l’inquietudine che si coglie nei moduli stilistici delle
sue poesie, ed una serie di paure e di interrogativi che si possono sintetizzare in questi versi:
“A quale scopo, o uom, tu versi mai
Su dotte carte tanti bei sudori?
E a qual vantaggio accumulando vai
Tanti preziosi di ragion tesori?
Forse i misteri di natura immensi
T’apre, e dimostra a quale scopo, e meta
L’umana vita, e il final fato intende?”
[XXXI, vv. 1-4; 12-14]18
Il terzo capitolo riguarda l’inventario Mosca: si tratta di un paziente lavoro di trascrizione
condotto all’interno dell’Archivio Notarile di Pesaro. Nell’ottobre 2006 ho svolto un tirocinio
formativo presso i Musei civici cittadini: da allora si è creato un rapporto di lavoro che ancora
oggi sta andando avanti. In quella occasione mi sono ritrovata a collaborare ad uno dei più
importanti progetti che il museo sta conducendo già da alcuni anni: la ricognizione dell’intero
patrimonio, operazione fondamentale per conoscere la reale consistenza delle collezioni, per
conservarle adeguatamente e soprattutto per valorizzarle. Durante il periodo di stage mi sono
occupata del riscontro inventariale tra le opere di provenienza ignota e il testamento di lascito
della marchesa del 1885, con la consultazione dell’atto notarile originale. Ho analizzato per
intero l’Inventario Mosca, in cui sono elencate le opere che la nobildonna lasciò alla città,
poi pervenute ai Musei Civici e ho tentato di individuare, attraverso le sommarie descrizioni,
alcuni manufatti presenti nelle collezioni museali la cui provenienza fino a quel momento
era incerta, e ho ipotizzato che si tratta di opere Mosca19. Questo lavoro di ricerca è stato
proficuo per il museo, perché ha permesso di approfondire il patrimonio civico, indagando
opere di dubbia provenienza per la mancanza di documenti. Il personale dell’Ufficio Cultura
dei Musei, altamente soddisfatto, mi ha proposto di trascrivere l’inventario Mosca. Si tratta di
una ricerca work- in progress, che ha l’obiettivo di mantenere vivo il ricordo di Vittoria, del
suo grande amore per la patria e di renderlo noto ai cittadini e a tutti i visitatori che fruiscono i
musei. Il presente lavoro di ricerca è ancora più importante se si pensa al progetto di recupero
Talenti
Vittoria è stata una donna che ha conosciuto il valore della vita nel suo duplice aspetto: dolce
e amaro.
33
Talenti
del Palazzo Mazzolari di cui ho parlato sopra. Si tratta di uno studio/aggiornamento che
permetterà, almeno in parte, di ricostruire gli spazi abitativi della famiglia Mosca il più
possibile vicino all’idea originale. Uno studio che però non si potrà limitare al solo periodo
di allestimento del palazzo, ma che dovrà andare avanti anche successivamente, data la
complessità e la ricchezza dei manufatti in esame.
Il secondo volume contiene al suo interno il quarto capitolo, un capitolo interamente dedicato
ai dipinti, circa trecento, facenti parte della collezione Mosca. Si tratta di un aggiornamento
relativo alla categoria, quella dei dipinti, appunto, già studiata da anni, per la prima volta da
me documentata nella sua interezza. Rare sono le opere risalenti al XIV e al XV secolo;
numerosi sono invece i dipinti realizzati tra il Seicento ed il Settecento. Ad esempio interessanti
sono due quadri di origine fiamminga (Natura morta con uccelli di Hermans Johannes detto
Monsù Aurora e Paesaggio con armenti di Johann Melchior Roos) che riflettono la nascita
nel XVII secolo dei vari generi pittorici come la natura morta, il ritratto, il paesaggio. Si tratta
di specializzazioni che hanno trovato un terreno particolarmente fertile nell’Europa del Nord
(Fiandre). Nel secolo successivo spiccano i nomi di artisti locali quali Sebastiano Ceccarini
(Fano, 1703- 1783) e Giannandrea Lazzarini (Pesaro, 1710-1801).
La marchesa era una grande amante e conoscitrice d’arte che si dilettava nel creare rapporti
professionali ma anche umani con gli artisti a lei contemporanei: in alcuni casi, infatti, risulta
che certi pittori venissero chiamati a lavorare presso il suo palazzo. Al tempo stesso sembra
ormai certo che nella scelta degli artisti abbia contribuito anche la figura del marito, uomo
dotto e molto attivo in politica20.
Dietro una grande donna c’è sempre la presenza di un grande uomo. Vincenzo Maria Toschi
deve aver aiutato e consigliato Vittoria nella raccolta dei diversi oggetti d’arte della collezione,
che qui chiamiamo infatti Toschi-Mosca e non solo Mosca. La vita pubblica e quella privata
della marchesa risultano fortemente intrecciate.
34
Note
1
Sulla vita di Vittoria si consiglia la seguente lettura: C. Barletta, Il mondo privato di una nobildonna pesarese nell’Ottocento_ note
biografiche su Vittoria Toschi Mosca, in Il mondo privato e l’eredità pubblica della marchesa Vittoria Toschi Mosca, Pesaro 1990,
pp.8-27.
2
Per un preciso inquadramento storico del periodo, si rimanda a: M. Marcucci, Vittoria Mosca Toschi, il museo d’arte industriale
in Pesaro, tesi di laurea, Università degli Studi di Urbino, A.A. 1986-87, vol 1, pp. 18-40.
3
L’Adriatico, 1 Agosto 1888.
4
Nel 1908 i signori Della Ripa, originari di Osimo, lasciarono al Comune di Pesaro numerose suppellettili ed alcuni dipinti. Questi
ultimi vengono citati nell’inventario di G. Polidori (1945) e sono: una Sacra Famiglia di scuola veneta, un Cristo deriso attribuito
a Gherardo Delle Notti e poi a Trophime Bigot, e la famosa Pollarola di bottega dell’Empoli.
5
Estratto dell’inventario dell’Eredità del fu …Fedele Salvatori redatto dal Notaio di Roma…Umberto Serafini lì 28.29.31 Maggio
4.5.25.28 Giugno 5.11 Luglio 1907.
“Omesso?
- Sei piccoli piatti di maiolica, stile antico lire cinque
- Piccole figure in bronzo amore e Psiche con base di pietre diverse, lire trenta
- Altro tavolino di palissandro, con zampe centinate, con piano intarsiato di vari legni lire venti
- Sopra al medesimo alcuni sopra mobili di terraglia e metallo, lire otto
- Due vasi di ceramica ( due vasi di ceramica) lire sette
- Statua mezzana di bronzo rappresentante la Venere, con soprabase di legno lustro, lire
duecento
- Altro tavolino di palissandro, intarsiato in avorio con piedi centinati lire quaranta
- Sopra il medesimo piccolo scrigno di ebano con nove…, decorato con quattro colonnine nel centro, e piccoli vasetti d’avorio,
lire duecento
- Sopra detto scrigno due vasi di porcellana del Giappone moderni lire dodici e cinquanta
- Due piatti grandi in …tondo, di ceramica, decorati lire otto”
Si ringrazia il signor Dante Trebbi per la gentilezza di aver reso pubblico tale inventario da lui rintracciato. Per maggiori
delucidazioni, rivolgersi ai Musei Civici di Pesaro, dove è stata depositata una copia dell’atto.
6
M.G. Ciardi Dupré Dal Poggetto, Osservazioni introduttive sul Museo Mosca nel contesto europeo, in Le collezioni di Palazzo
Mosca a Pesaro. Tessuti e merletti, a cura di Maria Grazia Ciardi Dupré Dal Poggetto, catalogo della mostra, Modena 1989, pp.
13-14.
7
L’Ora, 10 Settembre 1932; L’Ora, 1 Ottobre 1932.
8
Nel 2009 il Comune ha effettuato lavori di restauro e di ampliamento del Museo che hanno portato al recupero dell’ala destra
del palazzo, gravemente danneggiata in seguito ai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Questi spazi recuperati sono
diventati nuovi ambienti allestitivi.
Vittoria Mosca, Versi, Ivrea 1857, sonetto IX.
10
Cfr. Versi, cit., sonetto X.
11
Cfr. Versi, cit., sonetto XVII.
12
Vittoria Mosca, Saggio poetico, Firenze 1852, p. 19.
13
Cfr. Versi, cit., sonetto XIX.
14
Cfr. Versi, cit., sonetto XVII.
15
In questo modo si rivolgeva Vittoria in una concisa ma pungente lettera al conte Francesco Cassi, nella quale la marchesa respinge
un partito che le veniva proposto, affermando con decisione di essere capace di fare da sola le proprie scelte.
Lettera di Vittoria Mosca a Francesco Cassi, in Ms. Oliv. 1900, Pesaro, Carteggio di Francesco Cassi, fascicolo III, 34bis (s.
anno).
16
Vittoria Mosca, Elogio funebre a Vincenzo Maria Toschi, Pesaro 1885, p. 16.
17
Cfr. nota 16.
18
Cfr. Saggio poetico, cit., p. 35.
19
Inventario della eredità della marchesa Vittoria Toschi Mosca (Archivio Notarile Distrettuale di Pesaro), notaio Berardo Paolucci,
11 settembre 1885, rep. 411/980, reg. 3 maggio 1886 al n. 765, Allegato n. 72.
Dalla lettura dell’Inventario notarile emerge l’esistenza di una collezione Mosca alquanto ricca e variegata, comprendente
quadri, stampe, cornici, specchiere, sculture, arazzi, orologi, lampadari, pizzi, merletti, scrigni, stipi, ceramiche, suppellettili
ecclesiastiche, vetri ed altro ancora.
20
Vittoria Mosca ed il marito fecero alcuni viaggi a Napoli: nel capoluogo campano la marchesa possedeva un villino. Probabilmente
durante questi viaggi vennero acquistati molti degli oggetti d’arte e di artigianato che andarono ad arricchire le sue collezioni. Non
sono stati ritrovati documenti in merito, come atti di vendita o altro, ma da un’analisi della raccolta dei dipinti emerge chiaro come
alcuni pittori siano legati alla città di Napoli, e non mi pare si tratti di un caso fortuito ( si pensi a N. Casissa, B. De Caro, F. De
Mura, G. Mancinelli).
Talenti
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Finito di stampare
nel mese di ottobre 2011
presso La Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio srl