estratto_talenti_2011 - BCC Gradara
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TALENTI Premio “Guido Paolucci” Quaderno n. 5/2011 Immagine di copertina: Lezione all’Università, miniatura sec. XIV. Banca di Credito Cooperativo di Gradara Consiglio Direttivo Fausto Caldari, presidente Riccardo Romagna, vice presidente Massimo Arduini, consigliere Virgilio Foschi, consigliere Stefano Gennari, consigliere Luigi D’Annibale, consigliere Maurizio Semprini, consigliere Francesco Tucci, consigliere Romeo Gerboni, consigliere Collegio Sindacale Claudio Marchetti, presidente Luigi Maffi, sindaco effettivo Vittorio Brunaccioni, sindaco effettivo Giorgio Del Bianco, vice direttore vicario, responsabile Area Credito Domenico Mancini, vice direttore, responsabile Area Commerciale Talenti Giovanni Lisotti, direttore generale 3 Il Premio “Giovani Talenti”, riservato ai laureati che si sono maggiormente distinti con il loro elaborato di laurea, quest’anno è arrivato alla 5a edizione. Il 2011 è stato per la Banca di Credito Cooperativo di Gradara, un anno molto importante e significativo. Un’annata ricca di iniziative sociali e culturali, che ci ha visto vicini al nostro territorio, protagonisti, insieme alle istituzioni, alle scuole, alle varie associazioni no profit. Questo è l’anno del centenario della BCC di Gradara, formalmente costituita il 25 marzo 1911 e diventata operativa il 25 maggio dello stesso anno. É l’anno dei festeggiamenti, dei ricordi, dei progetti, dei programmi; è l’anno delle grandi iniziative, del raggiungimento dei traguardi importanti. La BCC di Gradara è una piccola banca locale, molto legata a questo territorio, e molto sensibile a tutto ciò che interessa la crescita, e lo sviluppo. In questi anni la nostra attenzione si è indirizzata alla prevenzione e cura della salute anche con donazioni significative, quali la tac, il mammografo, l’ecocardiografo, l’ecotomografo, la risonanza magnetica, ma non abbiamo mai tralasciato la promozione sociale, culturale, e la valorizzazione delle identità dei nostri luoghi. Essere banca locale significa soprattutto essere insieme alla gente, comprenderne le esigenze e le situazioni; significa conoscere, condividere, partecipare, significa reinvestire sul territorio tutto ciò che dal territorio si ottiene. Auspico che i valori veri, quelli che hanno caratterizzato la nostra crescita in un periodo storico ben definito, caratterizzino anche la formazione dei giovani di oggi, affinchè il merito, la capacità, l’impegno, il lavoro, possano tornare ad essere i valori essenziali per crescere ed affermarsi. Con le nostre iniziative giovanili vorremmo consolidare queste convinzioni, per creare i presupposti di formazione e di crescita di questi giovani che hanno una preparazione di base di alto livello, ma che per circostanze esterne alla loro volontà, ma non ai nostri comportamenti, hanno difficoltà a crearsi una loro strada, ad aprire una via per costruirsi un proprio futuro. Ai giovani bisogna dare fiducia, ascoltarli crear loro nuove occasioni, assecondandoli nei loro progetti, aiutandoli a superare la precarietà e conquistare il loro futuro. Questo è quello che vorremmo fare con la nostra iniziativa. Si tratta di un piccolo sasso lanciato nel mare, ma è comunque un segnale di attenzione, di rispetto, di conoscenza di un problema che esiste, e che bisogna affrontare e risolvere. Occorre dare una risposta a tutto questo, occorre ridare prospettive alle nuove generazioni per traghettarli verso il domani. Forse questa nostra idea è una grande illusione, forse è un qualcosa che non riuscirà a creare i presupposti necessari a risolvere questo grande problema, ma resta comunque un tentativo per sensibilizzare chi di dovere, per creare solidarietà attorno all’argomento, per conoscere meglio i giovani, per costruire una vetrina alle loro possibilità e ai loro progetti. I giovani rappresentano anche il nostro futuro. Non c’è futuro senza giovani! Fausto Caldari Presidente della Banca di Credito Cooperativo di Gradara Talenti Presentazione 5 Ambiti disciplinari prescelti per l’edizione 2011 1.Biologia ed ecologia marina Ruolo dei procarioti nel funzionamento dell’ecosistema marino profondo di Massimiliano Molari 2.Diritto civile Il patto di famiglia di Alessandra Annibalini 3.Medicina interna Valutazioni alle metodiche d’immagine degli aspetti di presentazione dei tumori maligni colangiocellulari insorti su cirrosi di Laura Venerandi 4.Storia dell’arte Vita pubblica e privata della nobildonna pesarese Vittoria Mosca Talenti di Elena Bacchielli 7 Prokaryotic structure and metabolic activities in benthic deepsea eco system. Ruolo dei procarioti nel funzionamento dell’ecosistema marino profondo di Massimiliano Molari Biologia ed ecologia marina, Università Politecnica delle Marche Negli ultimi trent’anni l’ecologia microbica marina ha fatto notevoli progressi nello studio della diversità dei procarioti, dei processi metabolici da essi mediati, e nell’indagine dei fattori ambientali che controllano abbondanza, distribuzione e attività dei microrganismi. Oggi molte delle scoperte più importanti, che continuano a modificare la visione del ruolo dei procarioti nel funzionamento degli ecosistemi marini, riguardano l’ambiente marino profondo. Quest’ultimo si estende al di sotto del limite inferiore della zona fotica, cioè quella porzione di mare in cui penetra la luce solare, che generalmente è attorno ai 200 metri di profondità. Con una profondità media di 3.850 mt. e un’estensione pari al 67% della superficie terrestre, l’ambiente marino profondo è l’ecosistema più grande sul nostro pianeta. Esso è un ambiente apparentemente inospitale: è perennemente al buio, le temperature sono bassissime (-1°C a 4°C), è soggetto a un’elevata pressione (>400 atm) dovuta al peso delle centinaia di metri d’acqua che lo sovrastano, e l’unica fonte di cibo, in assenza di luce, è costituita dal materiale organico prodotto in superficie proveniente dalla porzione fotica e “precipitato” in fondo al mare. A causa di queste sue caratteristiche l’ambiente marino profondo era considerato un ambiente uniforme, statico e privo di vita. Tuttavia negli anni 50’ le prime spedizioni esplorative hanno osservato la presenza di milioni di batteri vivi per grammo di sedimento a profondità superiori a 10000 metri. In seguito, nel 1977, vennero individuate sorgenti idrotermali (emissioni d’acqua solfurea a una temperatura superiore ai 370°C) sul fondo degli oceani, e si scoprì che esse erano popolate da una ricca fauna di molluschi e vermi giganti, crostacei e “tappeti” di batteri chemosintetici (organismi autotrofi che utilizzano l’energia chimica di composti come lo zolfo, anziché la luce, per produrre biomassa utilizzando la CO2 come fonte di carbonio). Ciò fu la prova che l’ambiente marino profondo non solo era in grado di ospitare la vita, ma addirittura poteva favorire lo sviluppo di una ricca biodiversità. In seguito, con l’impiego di strumenti Talenti Tesi di dottorato. Giudizio sul lavoro prodotto: Massimiliano Molari, oltre ad aver conseguito alti risultati nel proprio percorso universitario, nel trennio post laurea ha svolto attività di ricerca attinente allo studio della biodiversità negli ecosistemi marini bentonici profondi nell’ambito di una borsa di studio finanziata dall’Università Politecnica delle Marche e l’Ente CNR-ISMAR UOS di Ancona. La sua ricerca merita particolare attenzione, sia per l’originalità che per l’impostazione del problema scientifico, ma soprattutto per i risultati. Si è convinti che raccoglierà a breve copiosi frutti scientifici derivati dalla sua totale dedizione alla ricerca. Attualmente svolge attività presso il dipartimento di studi eco sistemici del centro di ricerca NIOO-CEME per condurre esperimenti congiunti di “Stable Isotopic Probing” (SIP) nell0ambito del programma di ricerca BIOFUN (Eurocores Euro Deep). 9 all’avanguardia nell’osservazione, mappatura e campionamento del fondo degli oceani, si è presa coscienza che l’ambiente marino profondo costituisce un ecosistema altamente eterogeneo e dinamico. Tra le vaste “pianure” di fango, infatti, ci sono diversi paesaggi come scarpate, canyon e frane sottomarine, barriere coralline profonde, vulcani di fango, colline di carbonato, montagne sottomarine, dorsali e fosse oceaniche che ospitano ricche comunità microbiche il cui studio è appena agli inizi. Studiare l’ecologia delle comunità microbiche marine profonde è importante per cogliere il funzionamento dell’ecosistema più grande del pianeta e soprattutto per capire come questo influisce sull’intero ecosistema Terra e sul nostro clima, che oggi più che mai, ha bisogno di essere compreso a causa dei rapidi cambiamenti che sta subendo. La vita sul nostro pianeta può essere divisa in tre grandi domini: Bacteria, Archaea ed Eukarya (Fig. 1). Ai domini dei Bacteria e degli Archaea fanno parte i procarioti, cioè tutti quegli organismi monocellulari il cui DNA non è racchiuso in un nucleo. Il dominio degli Eukarya è costituito invece da organismi mono e pluri-cellulari (ad es. piante, protozoi, funghi, animali) caratterizzati dalla presenza all’interno della cellula di un nucleo contenente Talenti Fig. 1 - Struttura ad albero nella quale gli organismi viventi sono raggruppati in base alle loro somiglianze genetiche. Questo modo per organizzare la vita è definito albero filogenetico ed è costituito alla base da tre grandi domini (Bacteria, Archaea, Eukarya) all’interno dei quali partono altre ramificazioni che contengonio organismi con un DNA via via sempre più simile, fino ad arrivare all’apice dei rami in cui si trovano le singole specie. Figura presa dal Brock biologia dei microrganismi, terza edizione. 10 il DNA. La disciplina che studia le interazioni tra gli organismi, e tra gli organismi e l’ambiente, è l’ecologia. Per lungo tempo questa disciplina si è occupata esclusivamente di studiare i macro-organismi, sviluppando i concetti di specie, popolazione e di comunità, e osservando che ogni singola pianta o animale possiede specifiche esigenze nutrizionali e instaura peculiari relazioni con l’ambiente e con le altre specie. Si è così giunti prima a definire la catena trofica come un flusso di energia/materia che si muove dai produttori primari (organismi autotrofi fotosintetici come le piante) ai consumatori primari (gli erbivori), e poi da questi ai consumatori secondari (i carnivori), e poi a comprendere che il funzionamento di un sistema naturale dipende dalle caratteristiche di questo flusso di energia/materia, caratteristiche definite dal numero di specie (piante o animali) presenti in ogni livello trofico (ad es. specie diverse di piante, di erbivori, di carnivori) e dal numero di relazioni che si vengono a instaurare all’interno e tra i diversi livelli trofici. Il ruolo ecologico dei procarioti all’interno della catena trofica, quindi nel flusso di materia e nel funzionamento degli ecosistemi naturali, è stato per lungo tempo trascurato. Tuttavia a partire dall’inizio del secolo scorso è divenuto sempre più evidente che i batteri non solo Talenti sono abbondanti e ubiquitari - basti pensare che più del 90% delle cellule del nostro corpo sono batteriche! - ma svolgono un ruolo chiave nella degradazione della sostanza organica e quindi nel trasferimento di energia/materia ai livelli trofici superiori e nel controllare la mobilitazione e trasformazione degli elementi biologicamente importanti (ad es. carbonio, azoto, fosforo). È a fronte di tali evidenze che ha iniziato a svilupparsi l’ecologia microbica. Oggi, grazie al lavoro degli ecologi microbici, sappiamo che i procarioti sono fondamentali per l’evoluzione e il mantenimento della vita sulla Terra, infatti: essi sono gli unici organismi sempre presenti in tutti gli ambienti terrestri fino ad ora esplorati (aria, suolo e acqua), la loro biomassa totale, cioè i grammi di carbonio organico che compongono tutte le cellule procariotiche, equivale ad almeno tutta quella degli altri organismi sul nostro pianeta, e la loro elevata diversità genetica/metabolica gli consente di compiere numerose reazioni biochimiche e di sintetizzare, così, un’ampia varietà di composti organici che permette loro di modificare l’ambiente in cui vivono e di colonizzare anche ambienti inospitali per altre forme di vita. In ambiente marino i procarioti possiedono una duplice importanza ecologica: hanno un ruolo sia come autotrofi (produttori primari), sia come eterotrofi (produttori secondari). Sono produttori primari in quanto, insieme alle alghe eucariotiche, sono i responsabili della produzione di biomassa attraverso il processo di fotosintesi (processo mediante il quale il carbonio inorganico, sotto forma di CO2, è utilizzato per sintetizzare nuovi composti organici a partire dalla luce in quanto fonte di energia). Essi rappresentano, perciò, la base della catena trofica marina. L’importanza ecologica dei procarioti eterotrofi risiede, invece, nella capacità di produrre biomassa attraverso la degradazione del detrito organico. Infatti, attraverso questo processo, i procarioti riciclano la materia organica “persa” dalla catena trofica durante il rilascio di composti organici, lisi cellulare o escrezione, trasferiscono quindi energia/ materia ai livelli trofici superiori attraverso processi di predazione, e infine contribuiscono alla rigenerazione dei nutrienti (azoto, fosforo, ferro, ecc.) essenziali per sostenere l’attività degli organismi autotrofi (Fig. 2). Il ciclo appena descritto è definito circuito microbico. La sua individuazione e definizione, agli inizi degli anni ’70, ha cambiato drasticamente la nostra visione del ruolo dei batteri nel flusso del carbonio in oceano e delle interazioni trofiche che coinvolgono i microorganismi. Nei sedimenti marini profondi i procarioti, poiché costituiscono il 90% della biomassa, sono i principali responsabili dei processi di produzione di biomassa e di respirazione, e sono loro che perciò regolano il ciclo del carbonio e che sovraintendono al funzionamento dell’ambiente marino profondo. La nostra conoscenza di tale funzionamento è tuttavia limitata dalle scarse informazioni che si hanno sulla composizione delle comunità procariotiche, sui processi metabolici da loro mediati e sui fattori ambientali che controllano abbondanza e attività dei microrganismi. Questo lavoro di tesi si è focalizzato sullo studio delle comunità procariotiche che abitano i sedimenti marini profondi dei margini continentali Europei e del Mediterraneo. Ha come obiettivi principali quelli di determinare l’abbondanza di batteri e archaea; di misurare i principali processi metabolici (autotrofi ed eterotrofi) da loro mediati e infine, di identificare i principali fattori ambientali che ne controllano abbondanza e attività. Allo scopo di avere uno scenario il più esaustivo possibile, i campioni sono stati raccolti a differenti profondità (da 150 a 5571 metri di profondità), su ampie scale spaziali (dalle isole Svalbard al Mar Nero), in differenti condizioni topografiche (scarpate continentali, canyon sottomarini, piane abissali), ambientali (temperatura, pH, salinità, tipo di sedimento) e trofiche (dai sistemi più produttivi del nord Atlantico a quelli poverissimi del Mediterraneo Orientale), per un totale di più di 70 11 Talenti Fig. 2 - Lo schema descrive sinteticamente il circuito microbico. Le freccie nere indicano il flusso di energia e di materia lungo la catena trofica e la perdita di materia organica disciolta. Le freccie rosse mostrano come l’energia/materia sotto forma di la meteria organica disciolta, “persa” dalla catena trofica, viene prima recuperata dai procarioti per nutrirsi e per produrre biomassa, e poi ri-inserita nella catena trofica ad opera dei processi di predazione da parte dei protisti sui procarioti e dello zooplancton sui protisti. La linea blu mostra la rigenerazione dei nutrienti ad opera della degradazione (consumo) della materia organica disciolta da parte dei procarioti. 12 siti di campionamento e più di 200 campioni analizzati (Fig. 3). I risultati emersi da questo studio hanno mostrato che i sedimenti marini profondi ospitano comunità microbiche eterogenee di batteri e archaea. Gli archaea costituiscono un’importante frazione della comunità microbica, raggiungendo anche il 40% delle cellule procariotiche presenti nel sedimento. Fino a una ventina di anni fa si riteneva che in mare vi fossero solo batteri e che gli archaea fossero un gruppo di organismi definito estremofili, poiché capaci di vivere solo in ambienti con caratteristiche chimico-fisiche non favorevoli alla vita: ad es. in laghi salati, vere e proprie salamoie in cui la concentrazione di cloruro di sodio è vicina al punto di saturazione, o in ambienti completamente privi di ossigeno e ricchi di zolfo, oppure in ambienti in cui la temperatura raggiunge, o spesso supera, i 100°C. Tuttavia negli ultimi dieci anni, grazie all’impiego sistematico di tecniche di biologia molecolare, è divenuto sempre più chiaro che i batteri non sono gli unici procarioti ad abitare le acque oceaniche, e che gli archaea sono una componente ubiquitaria ed importante delle comunità planctoniche. I risultati di questo studio dimostrano per la prima volta che anche i sedimenti marini profondi ospitano un’abbondante e diversificata comunità di archaea, composta dai phyla dei Crenaechaea e dei Euryarchaea. Gli archaea possiedono un’elevata diversità genetica e plasticità metabolica, perciò, proprio come i batteri, possono adattarsi a diverse condizioni ambientali e vivere molteplici habitat. Per comprendere quali sono i fattori ambientali che maggiormente influenzano le abbondanze di batteri e archaea nei sedimenti marini profondi, si è confrontato come variavano le loro abbondanze con il variare dei principali parametri ambientali e delle risorse di cibo a disposizione. Com’è stato osservato per i batteri, l’abbondanza degli archaea su scala locale è influenzata non solo dai parametri abiotici (temperatura, pH, salinità, profondità) dei sedimenti, ma soprattutto dalla quantità e dalla qualità della materia organica presente nei sedimenti, cioè dallo stato trofico del sistema. L’importanza dello stato trofico nel controllare l’abbondanza dei microrganismi è confermata anche dalla distribuzione dei batteri e degli archaea su ampie scale spaziali, le cui abbondanze diminuiscono man mano che ci si sposta da sistemi più produttivi a quelli meno produttivi. Questi risultati dimostrano che i batteri non sono i soli procarioti a popolare i sedimenti marini profondi. Suggeriscono inoltre che anche gli archaea potrebbero avere un ruolo importante, fino ad ora trascurato, nei processi di degradazione della materia organica e di produzione di biomassa, e quindi nel controllare il ciclo del carbonio del domino bentonico profondo. L’intensa attività metabolica dei procarioti eterotrofi misurata nei sedimenti marini profondi rivela che, nonostante le scarse risorse di cibo, essi sono dei siti con un’attività biosintetica intensa. La produzione eterotrofa di biomassa, infatti, spesso eccede gli input di cibo provenienti dalle comunità fotosintetiche che abitano gli strati più superficiali della colonna d’acqua. Ciò significa che i procarioti che abitano i sedimenti marini profondi mangiano più cibo di quello che effettivamente hanno a disposizione, casa che è impossibile e che perciò costituisce un paradosso. Tale paradosso, però, non è la prima volta che si presenta negli studi di ecologia microbica marina. Infatti, numerosi studi, condotti sia in colonna d’acqua sia nei sedimenti marini profondi, riportano che le richieste di carbonio organico eccedono gli input, portando così a uno squilibrio del ciclo dello stesso. Gli ecologi, ben consapevoli che “nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”, hanno formulato molte ipotesi per spigare questo sbilanciamento. Alcuni ritengono che il paradosso sia apparente in quanto dovuto a problemi di misurazione (sovra stima della produzione di biomassa eterotrofa e sottostima del flusso di carbonio organico che giunge al fondo degli oceani). Altri cercano di spiegarlo indicando la presenza di fonti trascurate di carbonio organico alloctono, come flussi laterali di sostanza organica provenienti da regioni limitrofe più produttive. Posizioni differenti lo adducono a un rapido riciclo della comunità procariotica dovuto ad infezione virale, che, provocando la lisi cellulare dei procarioti, mette a disposizione nuovi composti organici per i procarioti non infettati. Un’altra possibile spiegazione è la presenza di microorganismi autotrofi capaci di sintetizzare materia organica ex-novo utilizzando, anziché la luce, l’energia chimica di alcuni composti inorganici altamente ridotti (ad es. ammoniaca, ferro, manganese, acido solforico, idrogeno), e per questo definiti chemolitotrofi. Sebbene sia possibile che l’insieme di tutte queste spiegazioni possa giustificare lo sbilanciamento del budget di carbonio, in questo lavoro di tesi si è andati a verificare l’ultima ipotesi: la presenza di processi autotrofi di fissazione della CO2 nei sedimenti marini profondi. I risultati ottenuti mostrano che, in tutti i siti studiati, Talenti Fig. 3 - La mappa riporta le aree dove erano localizzati i siti di campionamento nei quali sono stati raccolti i campioni di sedimento marino profondo, poi trasportati in laboratorio per le analisi. a) Isole Svalbard; b) Rockall; c) margine continentale portoghese; d) golfo di Cadice; e) Mare di Alboran; f) Margine continentale catalano; g) Bacino Arghero-provenzale; h) Mar Tirreno; i) scarpata di Malta; l) Mar Ionio; m) scarpata di Creta; n) Mar Levantino; o) Mar Nero. 13 Talenti 14 l’incorporazione di anidride carbonica è stata elevata e che, in media, più del 27% della produzione di biomassa totale procariotica ha origine da fonti inorganiche di carbonio (CO2) ed è quindi autotrofa. Questa biomassa autotrofa può arrivare a rappresentare più del 50% della materia organica proveniente dalla colonna d’acqua, confermando quindi che la presenza di procarioti chemoautotrofi può effettivamente contribuire a spiegare lo sbilanciamento osservato tra richiesta e apporto di cibo nei sedimenti marini profondi. Esperimenti condotti con specifici inibitori (antibiotici) per gli archaea e l’utilizzo di appropriati strumenti di analisi statistica suggeriscono che questa produzione autotrofa sia mediata prevalentemente dagli archaea. Al contrario non è chiaro quanto gli archaea contribuiscano alla produzione di biomassa eterotrofa. Negli ultimi anni si sta dibattendo molto su quali siano le fonti di energia e di carbonio che gli archaea utilizzano per sopravvivere. Numerosi lavori riportano che gli archaea marini sono attivi consumatori sia di composti organici, come gli aminoacidi, che di anidride carbonica. Ciò significa che all’interno del dominio degli archaea ci possono essere gruppi di microrganismi eterotrofi e altri autotrofi, tuttavia non è da escludere che in condizioni di limitate risorse trofiche alcuni microrganismi possano avere un metabolismo mixotrofo, capace cioè di essere sia eterotrofo sia autotrofo in risposta al tipo di cibo a disposizione. A questo riguardo l’aumento d’incorporazione di anidride carbonica, misurato in esperimenti condotti in presenza di composti organici, fornisce un ulteriore elemento che suggerisce uno strettissimo legame tra il metabolismo eterotrofo e quello autotrofo. Per riuscire a comprendere il significato ecologico di questo processo di fissazione della CO2, in futuro sarà necessario condurre studi più dettagliati sulla natura metabolica di questo processo biologico. Indipendentemente da tali considerazioni, i risultati ottenuti dimostrano che gli archaea hanno un ruolo fondamentale nel funzionamento degli ecosistemi profondi e, forse più importante, che nei sedimenti marini profondi è presente una produzione di biomassa autotrofa in situ che potrebbe rappresentare una fonte aggiuntiva di cibo preziosa per gli organismi bentonici. Nello studio dei sistemi bentonici profondi esistono alcuni paradigmi considerati veri da sempre. Ad esempio, “negli ambienti marini profondi i batteri dominano i processi di degradazione della materia organica e di respirazione” e ancora “l’ambiente marino profondo, data l’assenza di luce, è caratterizzato dalla mancanza di produzione primaria in situ e di conseguenza il suo funzionamento dipende esclusivamente dall’export di materia organica di origine fotosintetica della porzione fotica della colonna d’acqua”. Sulla base dei risultati emersi da questo studio, siamo ancora certi della fondatezza di tali assunti? Gli archaea sono uno dei tre domini in cui si divide la vita sul nostro pianeta, e tuttavia è il domino che si conosce meno in termini sia di diversità genetica sia di processi metabolici. La presenza di una comunità abbondante di archaea anche nei sedimenti marini profondi, oltre ad avere implicazioni di tipo ecologico sul ruolo che essi hanno in questi ambienti, apre perciò nuovi orizzonti per lo studio della biodiversità e degli adattamenti fisiologici di questo gruppo di microrganismi. La presenza nei sedimenti marini profondi di processi di fissazione dell’anidride carbonica ha importanti implicazioni sulla struttura della catena trofica bentonica profonda e sul ciclo del carbonio in oceano. Perciò determinare l’entità e la natura metabolica di questo processo non solo consentirà di comprendere meglio il funzionamento dell’ambiente marino profondo, ma data l’importanza del ciclo del carbonio nel regolare gli scambi di anidride carbonica tra idrosfera e atmosfera, anche di valutare meglio la capacità che hanno gli oceani di influire sulle variazioni climatiche globali. Il mio studio contribuisce a “fare luce” sul funzionamento degli ecosistemi marini profondi e pone le basi per condurre ricerche maggiormente focalizzate sul ruolo ecologico che gli archaea e i processi di fissazione della CO2 hanno nel fondo degli oceani. Il patto di famiglia di Alessandra Annibalini Laurea magistrale in Diritto civile, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli studi di Pesaro e Urbino 1. RATIO DEL PATTO DI FAMIGLIA. 1. 1 Le ragioni economico-sociali sottese alla riforma. Con la legge 14 febbraio 2006 n.55 recante “Modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia”, entrata in vigore il 16 marzo 2006, il Legislatore della riforma ha inserito, all’interno del Titolo IV, Libro II del Codice Civile, un nuovo Capo V – bis (artt.768 bis / 768 octies c.c.), ed ha provveduto alla modifica dell’art.458 c.c., mediante l’introduzione, al primo periodo, dell’inciso «Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768 bis e seguenti». L’articolo 768 bis definisce il Patto di famiglia come il «contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti». Dalla lettura di tale norma e dei successivi articoli, emerge che l’imprenditore dispone ora di uno strumento giuridico, profondamente innovativo, indispensabile per pianificare il c.d.passaggio generazionale, cioè il trasferimento della propria azienda o quota societaria solamente ai discendenti con vocazione e competenza gestionali, senza che l’operazione possa, in seguito essere, messa in discussione da parte degli altri legittimari. L’istituto del Patto di famiglia è frutto dell’esigenza, sempre più avvertita dagli operatori del diritto, di una nuova e moderna regolamentazione della successione nei beni produttivi, che da sempre rappresenta un evento traumatico nelle dinamiche interne della vita dell’impresa. Una rassegna di dati permette di comprendere quanto tale esigenza sia radicata nel tessuto sociale italiano, caratterizzato da un’accentuata discontinuità e da una forte accelerazione dei processi di cambiamento1, e quanto il problema del passaggio generazionale sia, prima ancora che giuridico, sostanzialmente economico: − il Patto di famiglia interessa il 92% delle imprese italiane; − circa il 55% delle imprese ha al vertice imprenditori con oltre 60 anni; − solo il 30% delle imprese arriva alla seconda generazione e non più del 15% arriva alla terza; − ogni anno sono 80.000 gli imprenditori che si trovano a gestire il passaggio dell’impresa ai propri figli2. Da ciò si può dedurre il grave rischio economico ed occupazionale che il passaggio generazionale comporta: infatti i momenti di maggior tensione delle aziende familiari sono probabilmente quelli in cui, a seguito della morte del titolare, i figli si trovano a decidere la gestione e la ri-organizzazione dell’impresa. Non sono pochi i casi in cui essi abbiano preferito la vendita in blocco della stessa (come è accaduto in Francia con la famosa impresa produttrice di champagne, la Taittinger) o, peggio, quelli in cui la loro cattiva gestione abbia condotto al fallimento. Talenti Giudizio sul lavoro di tesi: profondità di indagine, autonomia di valutazione e di giudizio, sicura attitudine all’attività di studio e di ricerca. Elaborato di qualità scientifico professionale decisamente sopra la media dei lavori analoghi del settore. 15 Talenti Premesso ciò, individuare le due linee direttrici, su cui si estende la ratio del Patto di famiglia, è semplice: da un lato, l’interesse generale alla promozione dell’attività economica di impresa; dall’altro, l’interesse privato di ciascun imprenditore all’autoregolamentazione del proprio assetto patrimoniale, nel rispetto dei diritti dei legittimari. 16 2. NATURA ECCEZIONALE DEL PATTO DI FAMIGLIA: PATTI SUCCESSORI E DEROGHE AI PRINCIPI CONSOLIDATI. 2. 1. L’eccezionalità del Patto di famiglia Accertato che lo scopo perseguito dal Legislatore è quello di assicurare alle aziende un passaggio generazionale più oculato, mediante l’individuazione del discendente con migliori capacità gestionali, è necessario ora comprendere l’interazione di tale nuovo istituto con le altre norme giuridiche in materia successoria, principalmente di natura codicistica. 2. 2 I patti successori. Sicuramente l’attenzione dei primi commentatori del Patto di famiglia non poteva non focalizzarsi sulla compatibilità di tale nuovo istituto con il divieto dei patti successori. Enunciava l’art.458 c.c., prima della riforma del 2006: «É nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. É del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi.» Dalla lettura della norma si deduce il divieto di tutti quei negozi che attribuiscono o negano diritti su una successione non ancora aperta. La ragione sottesa al divieto dei patti successori consiste nel fatto che, a nessun soggetto giuridico, l’ordinamento riconosce, anteriormente all’apertura della successione, alcun diritto sulla massa ereditaria, né come pretesa sull’eredità, né come aspettativa giuridica. Premesso ciò, occorre ora stabilire, sulla base dell’inciso premesso al primo periodo dell’art.458 («Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768 bis e seguenti»), quale sia il rapporto fra Patto di famiglia e divieto dei patti successori. Secondo autorevole dottrina3, il Patto di famiglia sarebbe qualificabile come: patto successorio dispositivo, laddove i legittimari dispongono dei loro diritti spettanti sulla futura successione del disponente, non ancora aperta, accettando la liquidazione della quota in compensazione di legittima; patto successorio rinunciativo, laddove i legittimari stessi rinunciano, in tutto o in parte, al diritto di pretendere la legittima che competerebbe loro sull’azienda, al momento dell’apertura della successione. Il Patto di famiglia non sarebbe infine riconducibile al patto successorio istitutivo, poiché privo della natura di atto mortis causa. 2. 3. Il diritto di legittima e la disattivazione dei meccanismi della collazione e della riduzione. Il diritto alla legittima consiste in quel diritto di successione che spetta agli stretti congiunti, i legittimari, (coniuge, figli e, in mancanza di questi, gli ascendenti), anche contro la volontà del defunto. Tale diritto, di origine romanistica, trova il suo fondamento nel principio della solidarietà familiare, in base al quale, i soggetti legittimari hanno diritto di acquisire, direttamente o mediante azione giudiziaria, beni dell’eredità e beni donati in vita dal defunto, fino alla concorrenza del valore della legittima (cd. riserva). In particolare, tale diritto si struttura, non tanto come diritto su determinati beni del defunto (diritto di legittima qualitativa), quanto piuttosto come diritto ad una quota di valore sulla massa ereditaria (diritto di legittima quantitativa). Tale diritto, data l’importanza riconosciutagli dall’ordinamento, prevale addirittura sulla stessa autonomia privata del de cuius, il quale, oltre a non dover ledere la quota di legittima, è obbligato anche a non gravarla con pesi o condizioni (art.549 3. I PROFILI PROBLEMATICI DEL PATTO DI FAMIGLIA. 3. 1 Qualificazione giuridica. Dal punto di vista strutturale, l’art.768 bis attribuisce espressamente al Patto di famiglia natura di contratto. In particolare si tratta di atto strutturalmente inter vivos (seppur non vi sia dubbio che esso possa produrre anche effetti mortis causa) con immediata efficacia traslativa: l’azienda o le partecipazioni sociali entrano, al momento della stipula del Patto di famiglia, in maniera immediata e definitiva nel patrimonio dell’assegnatario. Tale immediatezza si rinviene, del resto, tanto sotto il profilo oggettivo, dal momento che l’oggetto dell’attribuzione patrimoniale è determinata al momento della stipulazione del patto, quanto sotto quello soggettivo, dato che, anche l’individuazione dei beneficiari non è riferita al momento della morte del disponente. Sotto il profilo funzionale, l’omessa specificazione, in sede di nozione del Patto di famiglia, circa la natura giuridica dell’atto, ha attribuito implicitamente all’interprete il compito di qualificarne la natura giuridica. In particolare, interessante appare la distinzione fra «tesi atomistiche» e «tesi unitarie»4. Le prime rinvengono nel Patto di famiglia una pluralità di negozi distinti, fra loro autonomi, aventi ciascuno una propria causa. Tale impostazione si afferma sia avallata, in un certo senso, anche dal Legislatore, laddove abbia previsto la possibilità che l’assegnazione dei beni in natura possa avvenire con un successivo contratto espressamente dichiarato collegato al primo (art.768 quater, 3° comma, c.c.): tale riferimento al collegamento negoziale suggerirebbe l’assenza di un negozio singolo. Le «tesi unitarie», al contrario, rintracciano nel Patto di famiglia un nuovo contratto che presenta, sia sotto il profilo strutturale che funzionale, una propria unitarietà. A partire da tale distinzione, non è mancata in dottrina la tendenza a ricondurre l’istituto del Patto di famiglia ad uno schema contrattuale già previsto, al fine di applicarne il relativo trattamento normativo: numerose sono state le tesi che hanno interpretato il Patto di famiglia Talenti c.c.). Gli ulteriori rimedi riconosciuti dall’ordinamento, a tutela del diritto di legittima, ai suoi titolari, consistono in: azione di riduzione, cioè azione giudiziale contro le disposizioni testamentarie o donative lesive del loro diritto di legittima (art.553 e ss. c.c.); obbligo di collazione, cioè atto col quale i discendenti e il coniuge, che hanno accettato l’eredità, conferiscono, per imputazione o in natura, alla massa ereditaria, le liberalità ricevute in vita dal de cuius (art.737 e ss. c.c.). La portata innovativa del Patto di famiglia si sostanzia principalmente nell’ultimo comma dell’art.768 quater, che così dispone: «Quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o riduzione». Tale assunto rappresenta una deroga implicita all’art. 557, 2° comma che stabilisce che i legittimari, i loro eredi o aventi causa, non possono rinunciare all’azione di riduzione delle donazioni e delle disposizioni lesive della porzione di legittima, finché vive il donante, né con dichiarazione espressa, né prestando il loro assenso alla donazione. Il Patto di famiglia quindi prevede una deroga a tutti gli effetti, poiché i legittimari non assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni sociali, nel momento in cui accettano o rifiutano la liquidazione, rinunziano, implicitamente, all’azione di riduzione, in vita del donante. Si tratta quindi di un atto rinunciativo al rimedio giudiziale dell’azione di riduzione, atto che, oltre ad essere tacito, poiché implicito nell’assenso all’operazione da parte del legittimario non assegnatario, si connota anche del carattere della parzialità: la rinunzia si riferisce esclusivamente ai beni oggetto del Patto di famiglia (id est, azienda o partecipazioni sociali), non quindi a tutti quegli ulteriori beni che costituiscono l’asse ereditario, e per i quali varrà il rimedio posto dall’art.553 c.c., al momento della effettiva apertura della successione. 17 Talenti 18 in termini di donazione modale, di contratto a favore di terzi o, infine, di successione anticipata con effetti divisionali. Tuttavia, nel tracciare le possibili letture interpretative, non si è tralasciato di condividere l’opinione di chi5 ha qualificato il Patto di famiglia quale nuovo ed autonomo contratto, irriducibile a qualsiasi tipo contrattuale precedentemente disciplinato dal Codice Civile, avente natura unitaria, ma complessa: alla funzione di liberalità, che caratterizza il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni sociali da parte del disponente a favore di uno o più discendenti, va affiancata quella solutoria, che contraddistingue invece le attribuzioni patrimoniali liquidative effettuate dall’assegnatario agli altri legittimari, a tacitazione dei diritti di legittima loro spettanti. Una precisazione è doverosa: la considerazione del carattere liberale del trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni sociali dal disponente all’assegnatario non depone assolutamente a favore della natura giuridica del Patto di famiglia in termini di donazione, come pure parte della dottrina ha sostenuto, quanto piuttosto in termini di liberalità non donative, tale da dar luogo ad «un negozio con causa in parte onerosa ed in parte liberale». 3. 2 La forma. A norma dell’art.768 ter c.c., «A pena di nullità, il contratto deve essere concluso per atto pubblico». Tuttavia, tale articolo nulla dispone circa la necessaria presenza dei testimoni alla stipulazione e conclusione del Patto di famiglia. Sicuramente l’opinione prevalente6 è nel senso di ritenere che, nonostante l’assenza di una espressa richiesta del Legislatore, l’assistenza dei testimoni alla redazione del contratto, vada considerata, se non necessaria, quanto meno opportuna, almeno fino a quando la giurisprudenza non assumerà una posizione precisa al riguardo. Inoltre, tale scelta prudenziale permetterebbe, eventualmente, la conversione in donazione di un Patto di famiglia nullo. 3. 3 I profili soggettivi. La nozione di Patto di famiglia offerta dall’art.768 bis c.c., in cui il Legislatore si limita a prendere in considerazione la posizione dei soli disponente e discendenti/e assegnatari/o, ha indotto una parte della dottrina7 ad ipotizzare che, esclusivamente, tali soggetti siano parti necessarie del contratto, poiché, senza il loro accordo, l’intera operazione di trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni sociali non giungerebbe a conclusione: il Patto di famiglia sarebbe quindi un contratto bilaterale, in cui parti dello stesso andrebbero individuate solamente nel disponente e nell’assegnatario (o assegnatari). Tale corrente di pensiero non riscuote tuttavia l’avallo di altra parte della dottrina8, intervenuta in materia, che propende piuttosto per ampliare la qualifica di parte anche ad ulteriori soggetti, i legittimari. Le argomentazioni, assunte a sostegno di tale tesi, muovono principalmente dal dato letterale offerto dal 1° comma dell’art.768 quater: «Al contratto devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore». Dall’interpretazione della locuzione «devono partecipare» si desume la necessaria partecipazione al contratto dei legittimari che assumono, conseguentemente, la qualifica di parte. Pertanto, il Patto di famiglia si presenterebbe come contratto plurilaterale o, più esattamente, trilaterale in cui le parti sarebbero rappresentate dal disponente, assegnatario (o assegnatari) e legittimari. Premesso ciò, doverosa risulta un’accurata indagine di tutti i soggetti coinvolti e del ruolo che essi assumono nella vicenda contrattuale. a) L’imprenditore ed il titolare di partecipazioni societarie. Secondo dottrina maggioritaria9, l’espressione «imprenditore», adottata dall’art.768 bis c.c., va intesa in senso economico, a-tecnico ed estensivo, atteso che, una sua interpretazione restrittiva, comporterebbe necessariamente un’ingiustificata limitazione applicativa del Talenti Patto di famiglia. In particolare, secondo autorevole Autore10 , bisognerebbe fare ricorso al «concetto economico di imprenditore»: tale qualità andrebbe individuata sulla base dell’esposizione al rischio economico, giustificato, oltre che dal profitto, dal potere di direzione economica dell’impresa. In definitiva, è «imprenditore», secondo il riferimento di cui all’art.768 bis, colui che assume, rispetto all’impresa, la posizione di «capo», ovvero di titolare del potere di direzione dell’impresa. Anche il «titolare di partecipazioni societarie», al fine di vedersi attribuita la qualità di disponente all’interno del Patto di famiglia, dovrà essere immancabilmente qualificabile come imprenditore nel senso appena menzionato: dovrà quindi, da un lato, distinguersi la partecipazione a società di persone, da quella a società di capitali; dall’altro, all’interno di ciascuna di queste categorie, individuarsi quale partecipazione societaria possa attribuire la qualifica di capo dell’impresa. Dovranno quindi escludersi dal novero dei soggetti idonei ad assumere la parte di disponente nell’ambito del Patto di famiglia, i soci limitatamente responsabili di società di persone ed i soci di società di capitali che non siano titolari di una partecipazione di controllo o comunque di riferimento poiché «essi non svolgono all’interno delle compagini societarie di cui fanno parte, funzioni di direzione dell’impresa e non si configura quindi, con riferimento a queste ipotesi, quel rischio di provocare un cambiamento nella gestione dell’impresa che giustifica l’uso della speciale disciplina introdotta con la novella»11. b) I discendenti assegnatari. L’art.768 bis c.c. prevede che il beneficiario del trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie sia rappresentato da uno o più «discendenti» del disponente. Con tale specificazione il Legislatore ha voluto delimitare il campo di applicazione soggettiva della nuova normativa ai soli figli e nipoti del disponente, restando, pertanto, esclusi dalla possibilità di ricevere l’azienda o le partecipazioni societarie, gli altri parenti legittimi (ascendenti e collaterali), gli altri parenti naturali (genitori e fratelli naturali) ed il coniuge. c) I legittimari ed il coniuge. Il 1° comma dell’art.768 quater dispone che, oltre al disponente e all’assegnatario/i, «al contratto devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore». Tale disposizione merita approfondimenti, per quanto riguarda l’individuazione dei soggetti in essa menzionati. Ai sensi dell’art.536 c.c., sono legittimari le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti di successione: il coniuge, i figli legittimi (cui sono equiparati i legittimati e gli adottivi) o naturali, ed, in mancanza di questi, gli ascendenti . L’altro soggetto menzionato dal 1° comma dell’art. 768 quater, è il «coniuge» del disponente. Va rilevato il carattere destabilizzante della necessaria partecipazione del coniuge, in quanto, quest’ultimo, al momento della morte del disponente, può non essere più soggetto legittimario oppure non essere più la stessa persona che ha precedentemente stipulato il Patto di famiglia: si pensi al caso di separazione con addebito all’altro coniuge o di divorzio del disponente e nuove nozze. d) I legittimari sopravvenuti. L’art.768 sexies c.c., rubricato «Rapporti con i terzi», dispone, al 1° comma, che «All’apertura della successione dell’imprenditore, il coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato al contratto possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma prevista dal secondo comma dell’articolo 768 quater, aumentata degli interessi legali». L’articolo in questione fa sicuramente riferimento a quei soggetti non partecipanti al Patto di famiglia, poiché divenuti legittimari in un momento successivo (ad es. figlio del disponente, nato successivamente alla stipulazione del Patto di famiglia; figlio naturale nato prima della stipulazione, ma riconosciuto solo successivamente; nuovo coniuge 19 Talenti 20 del disponente, a seguito di premorienza del primo coniuge o di divorzio dallo stesso). Più problematico è invece determinare se, fra i «terzi» cui fa riferimento l’art.768 sexies, possano essere compresi anche i legittimari già esistenti al momento della stipulazione del patto, tuttavia, per i motivi più vari, non partecipanti alla stessa. Nonostante le numerose e divergenti correnti di pensiero, la tesi, a parere di chi scrive, più convincente, è quella che individua i soggetti «terzi» nei legittimari che, sebbene esistenti all’epoca della stipulazione del patto, non vi abbiano partecipato, nonché in quelli sopravvenuti. Tale soluzione combina stabilità ed operatività del Patto di famiglia: si evita che la conclusione del patto possa essere impedita dall’assenza di uno solo dei legittimari; si accorda a favore dei legittimari non partecipanti, il pagamento di una somma equivalente a quella liquidata ai partecipanti, rimanendo salva comunque la possibilità di non aderire affatto al patto, riservandosi di agire in riduzione e collazione. e) I beneficiari del contratto. Per «beneficiari» non si intendono esclusivamente i discendenti assegnatari dell’azienda e delle partecipazioni societarie, bensì «tutti coloro a cui vantaggio, in dipendenza del patto di famiglia, siano state effettuate delle attribuzioni12» 3. 4 I profili oggettivi. La definizione offerta dall’art.768 bis c.c. permette di individuare due diversi beni produttivi oggetto del trasferimento da parte del disponente ad uno o più dei suoi discendenti: l’azienda e le partecipazioni societarie. Ai sensi dell’art.2555 c.c. per «azienda» si intende quel «complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa». Sulla base di quanto emerge dalla lettera dell’art.768 bis ed, in particolare, dall’indicazione per cui «[…] l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda», è possibile rintracciare quella facoltà, riconosciuta dal Legislatore al disponente, di scegliere di trasferire o l’intero complesso aziendale o solamente quella parte di cui è titolare o, infine, uno o più rami dello stesso. Quanto alle «partecipazioni societarie», potranno essere oggetto del Patto di famiglia, solamente quelle qualificate, idonee ad inglobare un certo potere di controllo e di direzione dell’impresa. 3. 5 La liquidazione dei legittimari. Il Patto di famiglia, prevedendo il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie da parte del titolare delle stesse, ad uno o più dei propri discendenti, evidentemente va compromettere i diritti di legittima degli altri soggetti che, al momento dell’apertura della successione, sarebbero legittimari, ma, in sede di stipulazione del patto, non destinatari di tali attribuzioni. Conseguentemente, la prima preoccupazione del Legislatore del 2006, è stata quella di salvaguardare tale diritto alla quota di legittima, considerato da sempre intangibile ed inattaccabile, mediante la previsione di una corresponsione, cd. liquidazione, di beni o di denaro, da parte dell’assegnatario, ai legittimari partecipanti al patto. Così infatti dispone il 2° comma dell’art.768 quater, secondo il quale: «Gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunziano in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti; i contraenti possono convenire che la liquidazione, in tutto o in parte, avvenga in natura». Da una prima lettura, soggetto passivo dell’obbligo di liquidazione sembrerebbe lo stesso soggetto beneficiario dei beni oggetto del patto. Tuttavia, tale assunto ha generato non poche perplessità fra i vari commentatori della novella che hanno ricompreso fra i soggetti deputati alla liquidazione, oltre al beneficiario (generalmente giovane e con poche risorse finanziarie), anche lo stesso disponente. Tuttavia, la scelta da preferire sembra piuttosto quella che esclude la qualificazione di soggetto passivo 4. LA FASE PATOLOGICA. 4. 1 L’azione di annullamento per vizi del consenso. L’art.768 quinquies recita: «Il patto può essere impugnato dai partecipanti ai sensi degli articoli 1427 e seguenti . L’azione si prescrive nel termine di un anno». La previsione dell’impugnazione del Patto di famiglia secondo la disciplina dell’annullamento per vizi del consenso, è stata definita dai primi commentatori della novella, come «pleonastica14», in ragione dell’apparente inutilità di una simile formulazione: in effetti, essendo l’istituto in esame, qualificato come «contratto», ad esso si applicherebbe automaticamente, in forza del richiamo operato dall’art.1323 c.c., la disciplina generale prevista dal Titolo II del Codice Civile, senza la necessità di una espressa previsione di rinvio. Il quid novi sarebbe piuttosto rappresentato dalla riduzione ad un anno del termine di prescrizione dell’azione di annullamento, rispetto a quello ordinario quinquennale. 4. 2 L’azione di annullamento per inadempimento. Il rimedio dell’impugnazione del Patto di famiglia mediante azione di annullamento, trova applicazione anche in caso di mancata liquidazione della somma spettante al coniuge e ai legittimari non partecipanti al patto, così come dispone il 2° comma dell’art.768 sexies: «L’inosservanza delle disposizioni del primo comma costituisce motivo di impugnazione ai sensi dell’articolo 768 quinquies». Secondo parte della dottrina15, tale 2° comma farebbe riferimento all’ipotesi di inadempimento, da parte dei beneficiari, dell’obbligo di pagamento nei confronti dei non partecipanti al Patto di famiglia. Non può non riconoscersi, tuttavia, il carattere singolare della previsione dell’azione di annullamento. In effetti, in dottrina non sono mancate critiche ad una simile scelta ritenendosi «un’indubbia distonia del sistema aver previsto, per un’alterazione del sinallagma funzionale, uno strumento tipicamente diretto a porre rimedio alle alterazioni del sinallagma genetico, quale, per l’appunto l’azione di annullamento16». 4. 3 Le presunte ipotesi di nullità. Accanto al caso di invalidità del patto per vizi del consenso, è stata avanzata in dottrina la configurazione di nullità del Patto di famiglia, oltre che per i casi di cui all’art.1418 c.c., anche nell’ipotesi di mancato intervento di tutti i legittimari esistenti al momento della stipula del contratto. Come si è in precedenza avuto modo di osservare, le soluzioni prospettate in dottrina, sono state le più varie. Secondo opinioni più radicali17, deve ritenersi nullo, per violazione di norma imperativa, il contratto concluso in assenza anche di un solo dei soggetti che sarebbero legittimari al momento dell’apertura della successione, trattandosi, in particolare, di nullità virtuale. Secondo altre18, configurando il Patto di famiglia quale contratto plurilaterale, in cui la Talenti della liquidazione in capo al disponente: la sottrazione alle comuni regole successorie dei beni che costituiscono il Patto di famiglia, si giustifica solamente in ragione della loro particolare natura di beni-impresa. Al contrario, ammettendo la possibilità che le attribuzioni vengano compensate direttamente dal disponente con propri beni non produttivi, i cd. benipatrimonio, si amplierebbe, di fatto, la deroga all’azione di riduzione ed alla collazione, con conseguente grave pregiudizio per i legittimari sopravvenuti. In conclusione, ogni assegnazione ai legittimari effettuata dal disponente con beni appartenenti al proprio patrimonio, dovrà inquadrarsi fra le liberalità indirette a favore dello stesso assegnatario, che, come autorevole Autore13 afferma, si «innesta» sul Patto di famiglia, ma ne resta estraneo, sicché, all’apertura della successione del disponente, potranno esplicarsi gli effetti della collazione e della riduzione. 21 Talenti partecipazione di ogni avente diritto è essenziale ai sensi degli artt.1420 e 1466 c.c., la mancata partecipazione comporterebbe una nullità ab origine del patto. Di segno completamente opposto, è quella parte della dottrina19 che, in ragione del carattere bilaterale del Patto di famiglia, sottolinea il «carattere sempre inessenziale della partecipazione dei legittimari», escludendone quindi , in ogni caso, la nullità. In realtà, la tesi20 da accogliere è quella che non rinviene, nella mancata partecipazione anche di un solo legittimario esistente alla stipula del patto, la nullità dello stesso, quanto piuttosto la mera inopponibilità ai non intervenuti. 4. 4 Modifica e scioglimento. Ai sensi dell’art. 768 septies c.c. «il contratto può essere sciolto o modificato dalle medesime persone che hanno concluso il patto di famiglia nei modi seguenti: 1) mediante diverso contratto, con le medesime caratteristiche ed i medesimi presupposti di cui al presente capo; 2) mediante recesso, se espressamente previsto nel contratto stesso e, necessariamente, attraverso dichiarazione agli altri contraenti certificata da un notaio.» La locuzione «diverso contratto» rappresenta, senza dubbio, una tipica fattispecie di mutuo dissenso, disciplinata dall’art.1372, comma 1, c.c. Si tratta di un nuovo accordo fra le parti, diretto ad estinguere il già costituito rapporto contrattuale, e che priva il precedente degli effetti traslativi o obbligatori che ne sarebbero derivati. Il contratto consensualmente risolto, resta comunque un contratto valido, suscettibile quindi si assumere, ad altri possibili effetti, giuridica rilevanza. Per quanto riguarda il «recesso», che deve necessariamente essere formulato in sede di redazione del patto, interessante è la distinzione operata in relazione ai soggetti esercenti tale facoltà: nel caso in cui il recesso venga compiuto dal disponente o dall’assegnatario, il Patto di famiglia necessariamente si scioglierebbe, venendo a mancare quell’effetto traslativo dell’azienda o delle partecipazioni societarie, proprio della prestazione principale; al contrario, il recesso esercitato da uno o più degli altri partecipanti, non comporterebbe ovviamente lo scioglimento dell’intero patto, ma solamente l’obbligo, in capo al recedente, di restituire la somma ricevuta a titolo di liquidazione, maggiorata dei relativi interessi, oppure del bene attribuito in natura. 4. 5 La conciliazione stragiudiziale. Ai sensi dell’art.768 octies c.c, le controversie scaturenti dal Patto di famiglia sono devolute, preliminarmente, agli organismi di conciliazione stragiudiziale. La scelta del Legislatore di prevedere una forma di arbitrato obbligatorio comporta che, laddove venga instaurata un’azione giudiziale avente ad oggetto il Patto di famiglia, il giudice adito sia tenuto a sospendere immediatamente il procedimento, rinviando le parti all’organismo di conciliazione di cui all’art. 38 del d. lgs. 5/2003. 22 5. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE DE IURE CONDENDO. Le considerazioni finora svolte evidenziano che sono ancora numerosi gli aspetti del Patto di famiglia caratterizzati da un elevato tasso di problematicità. Del resto, l’insuccesso riscosso tanto nel mondo imprenditoriale - ancora restio nel ricorrere al nuovo istituto per regolamentare il trasferimento generazionale della propria ricchezza produttiva -, quanto in quello giuridico - caratterizzato da una moltitudine di voci discordanti -, può spiegarsi solo in considerazione del fatto che, sostanzialmente, non si è assistito ad un adeguamento sistematico dell’ordinamento giuridico rispetto alla portata innovativa del Patto di famiglia. Nonostante i quattro anni trascorsi dalla sua entrata in vigore, tale nuovo istituto si trova Note 1 G. ATTANZIO, Una riforma al passo con i tempi, in Il Sole 24 Ore, 30 marzo 2006, 3. 2 Dati elaborati dall’Associazione Italiana delle Aziende Familiari, G. ATTANZIO, L’impresa di generazione in generazione,in AA. VV. Patti di famiglia per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2006, 16. 3 G. PETRELLI, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv. Not., 2006, 408; DELLE MONACHE, Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia, in Riv. not., 2006, I, 889 e ss; G. OBERTO, Il patto di famiglia, Padova, 2006, 62 e ss.; A. MERLO, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati. Profili civilistici del patto di famiglia, in AA. VV. Patti di famiglia per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, cit., 105. 4 A. DI SAPIO, Osservazioni sul patto di famiglia (brogliaccio per una lettura disincantata), in Dir. famiglia,1, 2007. 5 G. PETRELLI, La nuova disciplina del patto di famiglia, cit., 417. 6 In tal senso, A. MERLO, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati. Profili civilistici del patto di famiglia in AA.VV. Patti di famiglia per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, cit., 110; M. LUPETTI, Patti di famiglia: note a prima lettura, in CNN Notizie del 14 febbraio 2006, 4. 7 C. CACCAVALE, Divieto dei patti successori e attualità degli interessi tutelati. Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie,in AA. VV. Patti di famiglia per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, cit., 38 e ss. 8 G. DI GIANDOMENICO, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati, in AA. VV. Patti di famiglia per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, cit., 143; F. GAZZONI, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia, in Giust. Civ., 2006, 3. 9 G. FIETTA, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati. Prime osservazioni sul Patto di famiglia,in AA. VV. Patti di famiglia per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, cit.; F. GAZZONI, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia, in Giust. Civ., cit., 3. 10 Così, F. GALGANO, voce Imprenditore, in Dig. disc.priv., sez. comm., VII, Torino, 1992, 1. 11 Così L. CAROTA, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, Padova, 2008, 178. 12 Così, G. DE NOVA, F. DELFINI, S. RAMPOLLA, A. VENDITTI, (a cura di DE NOVA), Il patto di famiglia. Legge 14 febbraio 2006, n. 55, Torino, 2006, 42. 13 F. TASSINARI, Patto di famiglia: presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti formali, in AA. VV. Patti di famiglia per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, cit., 169. 14 Tale definizione appartiene a F. DELFINI, Il patto di famiglia. Legge 14 febbraio 2006, n. 55, cit., 33. 15 G. PETRELLI, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv. Not.,cit., 451; F. DELFINI, in Il patto di famiglia. Legge 14 febbraio 2006, n. 55,(a cura di) G. DE NOVA, cit., 47; B. INZITARI, P. DAGNA, M. FERRARI, V. PICCININI, Il patto di famiglia. Negoziabilità del diritto successorio con la legge 14 febbraio 2006, n. 55, Torino, 2006, 239; C. CHERRA, La tutela dei “terzi”, in Il patto di famiglia, (a cura di) U. LA PORTA, Torino, 2007, 205. 16 Così, G. OBERTO, Il patto di famiglia, cit., 128. 17 F. GAZZONI, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia, in Giust. Civ.,cit., 219; B. INZITARI, P. DAGNA, M. FERRARI, V. PICCININI, Il patto di famiglia. Negoziabilità del diritto successorio con la legge 14 febbraio 2006, n. 55, cit., 104 e ss; M. IEVA, Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria:patto di famiglia e patto d’impresa. Profili generali di revisione del divieto dei patti successori,in Riv. Notar., 1997, 1373. 18 G. BUFFONE, Patto di famiglia: le modifiche al codice civile, in www.altalex.it, 8 febbraio 2006, 2. 19 C. CACCAVALE, Divieto dei patti successori e attualità degli interessi tutelati. Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, in AA. VV. Patti di famiglia per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, cit., § 3-6. 20 G. PETRELLI, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv. Not., cit., 430 e ss. Talenti ancora “impigliato” fra le strette maglie dei principi fondanti la materia successoria: il divieto dei patti successori, da un lato, e l’istituto della successione necessaria dall’altro. Non è un caso, in effetti, che a distanza di pochi mesi dall’emanazione della novella, sia stato presentato alla Commissione Giustizia del Senato il disegno di legge n.1043 recante l’abrogazione della successione necessaria, nonché, conseguentemente delle disposizioni in materia di Patto di famiglia. Tuttavia, affermare un’abrogazione totale del sistema di successione necessaria, oltre ad avere, per certi versi, caratteristiche molto più simili ad un’utopia, che alla realtà effettiva, appare quanto mai azzardato e prescinde completamente dai principi fondanti i sistemi di civil law. Se in effetti, in materia successoria esiste un discrimen fra sistemi giuridici di civil law e di common law, questo risiede senza ombra di dubbio, nella scelta operata, da un lato, dal modello anglosassone, ovvero quella di ignorare completamente la categoria dei legittimari, limitando il meno possibile la libertà del testatore, mentre dall’altra, dai modelli continentali, di comprimere la sovranità del de cuius, in nome della solidarietà familiare. In conclusione, accertato che i nodi da sciogliere sono ancora numerosi e per i quali probabilmente ancora occorrerà del tempo, si auspica, per il futuro più prossimo, almeno un graduale rinnovamento del sistema successorio italiano. 23 24 Talenti Valutazioni alle metodiche d’immagine degli aspetti di presentazione dei tumori maligni colangiocellulari insorti su cirrosi di Laura Venerandi Laurea in Medicina interna, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli studi di Bologna Giudizio sul lavoro di tesi: indagine accurata e di buona qualità scientifico professionale. Il colangiocarcinoma è stato per lungo tempo oggetto di scarso interesse, soprattutto rispetto all’epatocarcinoma, per la minore incidenza e la mancanza di lesioni preneoplastiche facilmente identificabili. Lo scenario però sta cambiando. Numerosi studi riportano, infatti, un progressivo aumento, avvenuto in tutto il mondo negli ultimi trent’anni, dell’incidenza e della mortalità per la forma intraepatica, mentre la forma Fig. 1 - Classificazione anatomica del colangiocarcinoma. extraepatica sembra avere un trend stabile o, addirittura, in diminuzione. Ciò ha fatto supporre l’esistenza di diverse eziologie per le due forme e ha spinto alla ricerca di nuovi fattori di rischio per il colangiocarcinoma intraepatico. Tra essi, è stato recentemente dimostrato il ruolo della cirrosi epatica e delle infezioni da virus dell’epatite B e C. I pochi dati presenti in letteratura (Forner 2008 e Sangiovanni 2010) indicano un tasso di ICC attorno all’1-2% dei noduli su cirrosi. La cirrosi epatica è nota essere un fattore di rischio per lo sviluppo di epatocarcinoma. Per tale ragione, le linee guida AASLD (American Association for the Study of Liver Diseases) raccomandano una sorveglianza ecografica semestrale in tutti i pazienti cirrotici, allo scopo di individuare precocemente l’insorgenza di eventuali noduli. Secondo tali linee guida del 2005, di fronte al riscontro di un nodulo di dimensioni superiori ad 1 cm, è necessario eseguire una metodica di immagine con mezzo di contrasto (tra ecografia -CEUS-, TC e RM) per confermare la diagnosi di epatocarcinoma, il cui aspetto tipico è rappresentato da un enhancement arterioso (captazione Talenti Background Il colangiocarcinoma (CCA) è un tumore maligno originante dalla trasformazione neoplastica dell’epitelio biliare. Esso rappresenta, per frequenza, la seconda lesione primitiva maligna del fegato, dopo l’epatocarcinoma (HCC), ed è responsabile, ogni anno, del 10-20% della mortalità mondiale per neoplasie del sistema epatobiliare. Dal punto di vista anatomico, si distinguono due forme: - Colangiocarcinoma intraepatico (ICC): cresce all’interno del parenchima epatico. - Colangiocarcinoma extraepatico (ECC): origina dai dotti biliari extraepatici e comprende la forma ilare e quella distale (tumore di Klatzkin). 25 Talenti 26 del mezzo di contrasto), seguito dal cosiddetto wash out (assenza di mezzo di contrasto) in fase portale e tardiva. Tale caratteristica è dovuta alla vascolarizzazione esclusivamente arteriosa dei noduli di epatocarcinoma. Secondo le linee guida, per noduli superiori a 2 cm, il riscontro di tale aspetto ad una sola metodica di immagine con mezzo di contrasto è sufficiente per fare diagnosi di epatocarcinoma. L’aumento dell’incidenza del colangiocarcinoma su cirrosi ha aperto il dibattito sulla diagnosi differenziale tra esso e l’epatocarcinoma. Recentemente, due studi spagnoli degli stessi Fig. 2 - Management dei noduli su cirrosi secondo autori (Vilana et al. 2010) hanno confrontato le linee guida AASLD del 2010. MDCT: TC con l’aspetto alla CEUS e alla RM dell’epatocarcinoma mezzo di contrasto. MRI: risonanza magnetica. e del colangiocarcinoma su cirrosi, descrivendo HCC: epatocarcinoma. come alla CEUS il colangiocarcinoma possa presentare il tipico aspetto dell’epatocarcinoma, mentre la RM mostra nel colangiocarcinoma un enhancement incostante in fase arteriosa e mancanza di wash out in fase tardiva. Sulla base di questi dati, nel 2010 è stato pubblicato un aggiornamento delle linee guida AASLD, che tiene in estremo conto il rischio di falsi positivi per epatocarcinoma da parte della CEUS (diagnosi erronea al posto di colangiocarcinoma). Questa metodica non viene quindi più contemplata dalle nuove linee guida americane per il management dei noduli su cirrosi. Tali risultati non sono stati ancora confermati né in modo prospettico né retrospettivo. Inoltre, questi dati sulla CEUS non tengono conto di alcune caratteristiche di comportamento contrastografico più sottili, ma potenzialmente significative, come la rapidità e l’intensità del wash out. L’epatocarcinoma infatti tende ad avere assenza di wash out, specie se ben differenziato, o wash out tardivo e moderato, Fig. 3 - Aspetto più tipico alla CEUS del colangioe solo raramente rapido ed intenso, di solito carcinoma su cirrosi. corrispondente alle forme poco differenziate, come descritto da Iavarone nel 2010. Tale aspetto viene sottolineato dalle linee guida dell’EFSUMB (European Federation of Society for Ultrasound in Medicine and Biology) del 2008, che evidenziano come, di fronte ad un wash out intenso, si ponga il dubbio di colangiocarcinoma. Obiettivi Sulla base di tutto ciò, abbiamo condotto uno studio retrospettivo, con l’obiettivo di valutare il tasso di colangiocarcinoma su cirrosi e l’aspetto dei noduli alle metodiche con mezzo di contrasto CEUS, TC e RM, con particolare riferimento alla CEUS. Talenti Materiali e metodi - Risultati È stato stimato il numero di nuovi casi di epatocarcinoma su cirrosi insorti da maggio 2003 a maggio 2010 presso il policlinico S.Orsola-Malpighi ed esso è risultato di 800-900. Sono stati raccolti i nuovi casi di colangiocarcinoma intraepatico insorti nello stesso periodo di tempo. Questi sono risultati 37, di cui 28 insorti su fegato sano e 9 su cirrosi. Ci siamo quindi concentrati sull’analisi dei 9 pazienti in cui il colangiocarcinoma era insorto su cirrosi. Questi erano 8 uomini ed una donna, con un’età media di 58,3 anni. Per quanto riguarda l’eziologia della cirrosi, si sono riscontrate 4 cirrosi alcoliche, 2 virali (una da HBV ed una da HCV), 2 steatoepatiti ed una cirrosi criptogenetica. La cirrosi era nota in 5 pazienti, mentre negli altri 4 è stata riscontrata all’esame istologico del nodulo. Tutti i pazienti avevano una funzionalità epatica conservata (classe A dello score di Child-Pugh). Sono stati quindi analizzati gli aspetti dei noduli alle metodiche d’immagine a cui erano stati sottoposti, prestando attenzione al sospetto diagnostico con cui venivano inviati all’eventuale resezione chirurgica. Una CEUS era stata eseguita in 6 pazienti, una TC con mezzo di contrasto in 9 ed una RM in 7. La stima del tasso di colangiocarcinoma è risultata attorno all’1-1,12% dei tumori primitivi su cirrosi. Per quanto riguarda l’aspetto dei noduli analizzati all’ecografia, più frequentemente (80%) questi presentavano un’ipoecogenicità all’esame basale. Alla CEUS, l’aspetto più frequente (57%) è risultato quello di un iperenhancement in fase arteriosa, con marcato wash out in fase tardiva. Alla TC con mezzo di contrasto, il 50% dei noduli mostrava un rim periferico iperdenso in fase arteriosa. In fase tardiva, tutti i noduli presentavano un certo grado di wash out, mostrandosi per lo più globalmente ipodensi, ad eccezione di uno che manteneva un cercine sfumato ed uno con enhancement disomogeneo. L’aspetto più frequente dei noduli alla RM è risultato quello di un’ipointensità in T1 e di un’iperintensità globale o periferica in T2. All’indagine con mezzo di contrasto, tutti i noduli, eccetto uno, presentavano un rim periferico iperintenso in fase arteriosa. In fase tardiva, il 50% Fig. 4 - Aspetto più frequente alla TC con mezzo di contrasto del codei noduli mostrava wash out e il langiocarcinoma su cirrosi. 50% manteneva un certo grado di iperintensità centrale, periferica o disomogenea. Dalla tabella 1, che riassume l’iter diagnostico-terapeutico dei pazienti, possiamo notare come: - alla CEUS, nessun nodulo è stato descritto come tipico per epatocarcinoma. La presenza di ipervascolarizzazione arteriosa con wash out Fig. 5 - Aspetto più frequente alla RM con mezzo di contrasto del colangiocarcinoma su cirrosi. marcato ha infatti fatto porre il sospetto di metastasi o colangiocarcinoma. 27 - alla TC, 3 noduli sono stati descritti come epatocarcinoma. - alla RM, nessun nodulo mostrava un aspetto tipico per epatocarcinoma e in due casi è stata indicata la diagnosi di colangiocarcinoma. Paziente Sospetto diagnostico TC RM secondarismo secondarismo/neoformazione epatica non tipico di HCC angioma atipico/ HCC/CCA/ HCC atipico/ CCA metastasi metastasi ascesso epatico - Biopsia Resezione no no no sì sì sì sì sì sì no riscontro casuale al trapianto per HCC CEUS 1 2 3 4 5 6 - 7 lesione proliferativa 8 - 9 - HCC - epatocolangio/ HCC atipico/ altro HCC CCA lesione primitiva/ lesione primitiva/ angioma atipico angioma atipico HCC no sì no no sì sì sì Talenti Tab. 1. Iter diagnostico-terapeutico dei pazienti. HCC: epatocarcinoma. CCA: colangiocarcinoma. 28 Conclusioni Il presente lavoro conferma un tasso di colangiocarcinoma attorno all’1-2% dei noduli epatici su cirrosi, in linea con le precedenti poche casistiche pubblicate. Il comportamento del colangiocarcinoma alla CEUS può talvolta essere confuso, da operatori inesperti di ecografia, con il comportamento vascolare tipico dell’epatocarcinoma, in quanto può presentare enhancement arterioso omogeneo e wash out in fase tardiva. Tuttavia, nel nostro policlinico, dove ci sono operatori esperti di CEUS, le caratteristiche dell’enhancement sono state sempre ritenute non abituali per epatocarcinoma, suggerendo la possibilità di diagnosi alternative, successivamente confermate istologicamente. La RM dell’addome ha dimostrato elevatissima sensibilità nel riscontro di un aspetto atipico per epatocarcinoma, non avendo mai suggerito una diagnosi univoca di epatocarcinoma (cosa invece emersa in 3 referti con la TC). In sintesi, la diagnosi di colangiocarcinoma intraepatico su cirrosi con le tecniche di imaging resta difficile o meglio quasi impossibile, non essendovi un pattern specifico. I nostri dati confermano la RM come metodica molto valida per la diagnosi delle lesioni focali su cirrosi, in linea con le nuove linee guida AASLD. Tuttavia, a differenza di quanto prospettato dalle linee guida, la CEUS è risultata non meno accurata della TC nell’identificare un aspetto atipico, evitando il rischio di false diagnosi di epatocarcinoma. Per tale motivo, non riteniamo giustificata, almeno in mani esperte, la sua rimozione tra le tecniche in grado di porre diagnosi di epatocarcinoma. L’importanza di questa ricerca risiede nella dimostrazione dell’accuratezza della CEUS, se utilizzata da operatori esperti, nel management dei noduli epatici su cirrosi. Ciò, unitamente al basso costo e alla sicurezza del mezzo di contrasto utilizzato da questa tecnica ecografica, la rende una metodica utile da impiegare di fronte al riscontro di un nodulo epatico in un paziente cirrotico. Vita pubblica e privata della nobildonna pesarese Vittoria Mosca di Elena Bacchielli Laurea in Storia dell’arte, Facoltà di Lettere, Università degli studi di Urbino Con il presente lavoro di ricerca ho voluto aggiornare il tema relativo alla vita pubblica e privata di Vittoria Mosca Toschi. Si tratta di una nobildonna pesarese molto generosa che ha deciso di lasciare alla morte, avvenuta l’8 settembre 1885, il suo palazzo di Pesaro e tutte le collezioni di oggetti d’arte e di artigianato, insieme all’arredamento originale, al Comune della città, affinché venisse istituito un museo d’arte industriale. Scopo della tesi è quello di portare all’attenzione generale non solo la storia pubblica, ma anche quella più intima di Vittoria, per aiutare il lettore a capire per intero la figura di questa donna. In lei la sfera pubblica e quella privata sono fortemente intrecciate. Lo scritto si compone di quattro capitoli suddivisi all’interno di due volumi. Il primo capitolo è incentrato sulla biografia della marchesa e sul contesto storico – culturale nel quale essa è nata e cresciuta, per capire da dove si sia originato il desiderio di creare un Museo d’Arte Industriale e di donarlo poi alla comunità1. La vita di questa donna si colloca infatti all’interno del vivace ambiente culturale che andava arricchendo la realtà pesarese - e non solo - tra Sette e Ottocento. Per non annoiare il lettore non ripercorrerò qui l’albero genealogico della marchesa, ma insisterò su quel contesto colto e altamente mondano nel quale essa è cresciuta, grazie ad esempio alla presenza della madre, la contessa Barbara Anguissòla Comneno. La donna proveniva dalla città di Milano che in quegli anni era un vero crogiuolo di idee e di cultura. Il salotto di famiglia era frequentato dalla migliore società milanese. La contessa cercò di dare alle sue figlie - Vittoria, Bianca e Carolina - un’educazione difficile da coltivare in una città di provincia come Pesaro. Da qui la decisione di mandare le giovani in un collegio di Firenze per completare la loro educazione. Anche da parte del padre, il marchese Benedetto Mosca, Vittoria riuscì ad assorbire parte di quella cultura e di quella vivacità intellettuale che la contraddistinsero. Attraverso la figura paterna, infatti, la donna ebbe frequenti rapporti con alcuni dei personaggi più importanti della cultura del tempo, quali Giacomo Leopardi, l’umanista e filologo Giulio Perticari, il latinista Francesco Cassi (di lui si ricorda la traduzione della Farsaglia di Lucano) ed il ministro della Pubblica Istruzione Terenzio Mamiani della Rovere2. Ma che cosa rimane oggi della marchesa Mosca e della sua famiglia? Rimane quello che, più di cento anni fa, venne lasciato alla collettività confidando nel rispetto di un patrimonio storico e artistico che Vittoria aveva voluto rendere pubblico. Nel suo testamento la marchesa donò alla città di Pesaro il Palazzo Mazzolari di Via Rossini e tutto ciò che conteneva, compreso il mobilio e gli oggetti d’arte, ai fini di utilizzare il detto palazzo come museo e di aprire in esso una scuola d’arte applicata all’industria. Il museo venne inaugurato il 29 luglio 1888, ma rimase aperto solo pochi anni. Narra la cronaca del tempo3: “La scorsa domenica si è inaugurato questo stupendo museo. Alle ore 10 ant, la Giunta e i Consiglieri Comunali, il Marchese Benedetto Toschi Mosca e la sua Signora Marchesa Lucrezia Antaldi, gli esecutori testamentari Marchese Carlo Baldassini e Avv. Francesco Raffaelli, il Prefetto e la Deputazione Provinciale insieme alle Talenti L’indagine prodotta risulta di qualità scientifico-professionale al di sopra della media. 29 Talenti 30 altre primarie autorità […] Dopo acconcie parole di lode e di riconoscenza cittadina per la benefica testatrice Marchesa Vittoria Mosca in Toschi e la sua famiglia, pronunziate dal Sindaco Comm. Vaccaj, fu letto e firmato dai convenuti il verbale di costituzione del Museo, che quindi a mezzo giorno venne aperto al pubblico, mentre la banda suonava scelti pezzi nella corte […]”. “Nell’insieme l’inaugurazione è riuscita bene, ma forse non abbastanza solenne quanto l’importanza dell’avvenimento meritava.” Purtroppo, poco dopo l’inaugurazione, il Comune si accorse che gli introiti del lascito non erano sufficienti al mantenimento della scuola e del museo, per cui fu costretto, due anni più tardi (1890), a vendere una parte dei mobili e ad affittare il secondo piano a civile abitazione. Nel 1908 il Museo fu arricchito dall’aggiunta di mobili e di suppellettili delle donazioni Della Ripa4 e Salvatori5, ma nel 1914, per questioni economiche, si dovettero affittare anche i locali del piano terra al Monte di Pietà e l’intera cantina. I terremoti del ’16 e del ’30 non migliorarono la situazione; tra il 1930 e il 1940 il palazzo, destinato agli uffici comunali, perse totalmente la propria identità. Il museo non venne più ricostituito6. Molti dei suoi mobili e quadri furono trasferiti al Museo Civico, altri al Conservatorio, mentre la libreria, che contava più di 1545 volumi, passò all’Oliveriana7. Attualmente molti dei suoi pezzi migliori, comprese le collezioni di ceramiche, si trovano nei Musei Civici cittadini; il restante giace diviso tra Prefettura (che ha sede nel Palazzo Ducale), Comune, Assessorato alla Cultura (sono gli uffici del Palazzo Mazzolari in questione) e Conservatorio. Ripercorrendo questi tristi fatti burocratici, si comprende come l’istituzione cittadina abbia danneggiato la sfera pubblica di Vittoria, ed indirettamente – ma poi non tanto indirettamente – anche quella privata. Il grande sogno di questa donna ha avuto una vita troppo breve. Mossa da un senso di giustizia, ho deciso di approfondire la mia conoscenza relativa alla vita della marchesa, ed ho scoperto un altro fatto che mi ha sconcertato. Non solo il museo non è stato più – sin d’ora, specifichiamo, e lo dico a ragion veduta - riportato alla luce, ma anche il corpo di Vittoria giace ignorato da tutti nel Cimitero Centrale di Pesaro. Nei registri figura sepolta in un loculo singolo di forma oblunga sotto il numero 29 e nella prima fila, oltre il recinto del campo comune. Quando al Comune, anni fa, è stato richiesto di sistemare la tomba della marchesa, la sua lapide è passata inosservata, poiché è stata ritoccata quella esistente e nota a molti, che è la tomba del figlio Benedetto, della moglie Lucrezia Antaldi e dei due loro figli, Roberto e Vincenzo, posta dietro la chiesa di San Decenzio. Nel 2005 è stata aperta una pratica su questa spiacevole vicenda. Nello specifico si è richiesto al Comune di spostare quel che resta del corpo di Vittoria all’interno del monumento funerario del figlio, oppure di trasferire direttamente il loculo nel Palazzo Mosca (sede dei Musei Civici e palazzo di famiglia), per cominciare a restituire dignità alla figura della marchesa. Ancora oggi, però, la situazione non è cambiata: la lapide rimane isolata dalla tomba di famiglia, con la sua scritta quasi illeggibile, ed il custode non ne conosce l’esistenza. Proprio come sei anni fa. Ma qualcosa si sta accingendo a cambiare, nell’ambito pubblico. Per la primavera del 2012 il Comune ha previsto un progetto di recupero del Palazzo Mazzolari: esso verrà trasformato in una residenza nobiliare ottocentesca! Le opere della famiglia Mosca verranno ricollocate all’interno dei loro siti originari, ovviamente dopo un sapiente lavoro di restauro a cui sono già in parte sottoposte. Il progetto suddetto prevede anche il restauro filologico della facciata, restauro che tenterà di recuperare l’antico splendore cromatico del palazzo. Già terminati sono invece i lavori di ristrutturazione dell’arioso cortile. È proprio vero, la vita richiede tanta pazienza e a volte non è sufficiente un’esistenza terrena per vedere concretizzati i propri sogni. A volte, come in questo caso, si devono attendere 127 lunghissimi anni prima di vedere risolte le intricate questioni burocratiche. Ma quello che conta è che finalmente questa donna dal cuore generoso e dalla mente libera, possa trovare la giusta visibilità. Un altro sforzo in questa direzione il Comune l’ha già compiuto quando ha deciso di creare - nel 2009 - e di allestire poi - nel 2011 - le due salette del piano intermedio dei Musei Civici, esponendo a rotazione manufatti provenienti dal lascito Mosca. Un modo per avvicinare dolcemente i visitatori alla conoscenza di questa famiglia8. Il secondo capitolo vuole fare luce sulla vita privata della nobile attraverso citazioni continue di versi tratti dagli scritti da lei composti in momenti diversi della sua esistenza. Il quadro che emerge è quello di una vita piuttosto inquieta e sofferta, ma vissuta con quella libertà intellettuale che l’ha sempre contraddistinta. Vittoria è stata una donna fragile che si è straziata dal dolore per la perdita dei suoi familiari (tutti, ad eccezione di una sorella, Bianca). Il primo grande dolore la colpì alla tenera età di tre anni, quando il padre Benedetto morì improvvisamente nel gennaio del 1817, prima che avesse il tempo necessario per conoscerlo. “Non ti conobbi, o padre! al primo albore Orba di te restai nel patrio tetto, Né un bacio sol con figliale ardore Stampar potei nel tuo soave aspetto. Non ti conobbi… eppure eppur nel cuore Fiamma nutrii per te di sacro affetto, E dalla cuna in dolce suon d’amore Io benedissi al nome tuo diletto. Non ti conobbi è ver, ma agli occhi innante Veggio mai sempre la tua cara Immago, E ragiona il pensier teco anelante; Non ti conobbi è ver, ma il sol desio Che l’attrito mio cuor di se fa vago È d’esser teco ricongiunta in Dio.” [IX]9 La figura del padre non fu però del tutto sconosciuta a Vittoria, perché lei mantenne sempre il suo ricordo presente in fondo al cuore e dietro a quello sguardo sognante di ragazzina, consapevole che la fede li avrebbe riuniti un giorno. Sono parole dedicate alla memoria della sorella Carolina, la quale morì nel 1833 tra le braccia della sola Vittoria, dal momento che la madre era dovuta rimanere accanto all’altra figlia, Bianca, che si era ammalata improvvisamente a Pesaro. Carolina, invece, si trovava nel capoluogo toscano. Passò un solo anno, e la vita si spense anche per la marchesa Barbara. Talenti “Dille che il prisco amore in me non tace, Dille che più non vidi un dì sereno, E sempre in pianto il cuor mi si disface. D’allor che morte orbolla ai baci miei Sì ch’io bramo lasciar l’asil terreno E sopìr le mie pene in braccio a lei.” [X, vv. 9-14]10 31 “O madre mia, perché al mio sen rapita Fosti si tosto dell’età nel fiore? Coll’ ultimo sospir della tua vita Perdetti il ben del povero mio core.” [XVII, vv. 1-4] 11 Dopo questi tragici eventi, Vittoria rimase sola con la sorella Bianca nell’antico palazzo di famiglia. Dagli scritti emerge come la nobile sia stata al tempo stesso una donna coraggiosa, perchè ha saputo lottare contro una malattia sconosciuta che l’ha costretta a letto, immobile, per dieci lunghi anni. “Morto è il mondo per me, morta natura; Non ha beltade alcuna luce aurata; Non ha la vita una soave cura, Una lusinga, un’attrattiva grata. Oh! suonar possa l’ora mia suprema, Ch’io con fronte serena, ed alma invitta Guarderò morte senza affanno, e tema.” [XV, vv. 5-11]12 Dopo uno sconforto iniziale per la situazione di disagio che viveva, ha saputo trovare nuova luce nella fede religiosa: “Così a tuoi santi lumi, o Vergin bella, Solcando mar che rei perigli asconde I’ mi rivolsi e volgo, e non d’altronde Spero soccorso nella gran procella.” [XIX, vv.5-8]13 Dalla sua grave situazione di salute, Vittoria Mosca riuscì a guarire: “O madre mia, l’ausilio tuo celeste Valse all’afflitta figlia alfin salute, E sciolte fur le sorti mie funeste. Madre, per te salva e felice or sono; Così due volte l’immortal Virtute Per te mi diede l’esistenza in dono.” [XVII, vv. 9-14]14 Vittoria è stata una donna moderna, controcorrente perché ha rifiutato di sposare un uomo ricco che le veniva proposto dalla cerchia di intellettuali che frequentava: Talenti “[…] Io non potrei che apprezzare il partito propostomi, giacché venuto dalle sue mani non può essere che ottimo ma non per questo mi è dato di compiacerla […]”15. 32 È stata una donna libera di pensiero, perché è convolata a nozze, in età avanzata, con un uomo scelto da lei, più giovane di 21 anni: Vincenzo Maria Toschi. Se si pensa al periodo storico in cui questo accadeva, l’azione acquista ancora più potenza. Dagli scritti esaminati non emerge alcuna notizia certa sul luogo del loro possibile incontro, né sul motivo che spinse la donna a prendere la decisione di sposarsi. Gli unici versi trovati e rivolti all’uomo sono tratti dall’Elogio funebre. È possibile pensare che Vittoria abbia voluto lasciare ai posteri, attraverso i suoi scritti, solo notizie relative al forte legame di amore con Vincenzo, che lei chiama in modo affettuoso compagno di vita e non marito. Tutto il resto viene lasciato al libero arbitrio di ciascun lettore. “Come folgor tremenda a Ciel sereno Il triste annunzio del tuo fier malore Giunse a ferirmi ahi! mortalmente il cuore, Quasi esangue rimasi in un baleno.” [VIII, vv.1-4]16 I due si amavano molto, a tal punto che Vincenzo, stremato nel letto, cercava di dare forza alla moglie mandandole baci e occhiate pie, toccandole la mano e rimanendo sereno e calmo fino alla morte17. La malattia prima e la morte poi del marito, furono per Vittoria un dolore troppo forte da sopportare. Sette mesi dopo la scomparsa di Vincenzo, si lasciò infatti morire. Era l’8 settembre del 1885. Di lei vanno ricordati sempre la sensibilità umana ed artistica che l’accompagnò per tutta la vita, il rimpianto degli affetti perduti, l’inquietudine che si coglie nei moduli stilistici delle sue poesie, ed una serie di paure e di interrogativi che si possono sintetizzare in questi versi: “A quale scopo, o uom, tu versi mai Su dotte carte tanti bei sudori? E a qual vantaggio accumulando vai Tanti preziosi di ragion tesori? Forse i misteri di natura immensi T’apre, e dimostra a quale scopo, e meta L’umana vita, e il final fato intende?” [XXXI, vv. 1-4; 12-14]18 Il terzo capitolo riguarda l’inventario Mosca: si tratta di un paziente lavoro di trascrizione condotto all’interno dell’Archivio Notarile di Pesaro. Nell’ottobre 2006 ho svolto un tirocinio formativo presso i Musei civici cittadini: da allora si è creato un rapporto di lavoro che ancora oggi sta andando avanti. In quella occasione mi sono ritrovata a collaborare ad uno dei più importanti progetti che il museo sta conducendo già da alcuni anni: la ricognizione dell’intero patrimonio, operazione fondamentale per conoscere la reale consistenza delle collezioni, per conservarle adeguatamente e soprattutto per valorizzarle. Durante il periodo di stage mi sono occupata del riscontro inventariale tra le opere di provenienza ignota e il testamento di lascito della marchesa del 1885, con la consultazione dell’atto notarile originale. Ho analizzato per intero l’Inventario Mosca, in cui sono elencate le opere che la nobildonna lasciò alla città, poi pervenute ai Musei Civici e ho tentato di individuare, attraverso le sommarie descrizioni, alcuni manufatti presenti nelle collezioni museali la cui provenienza fino a quel momento era incerta, e ho ipotizzato che si tratta di opere Mosca19. Questo lavoro di ricerca è stato proficuo per il museo, perché ha permesso di approfondire il patrimonio civico, indagando opere di dubbia provenienza per la mancanza di documenti. Il personale dell’Ufficio Cultura dei Musei, altamente soddisfatto, mi ha proposto di trascrivere l’inventario Mosca. Si tratta di una ricerca work- in progress, che ha l’obiettivo di mantenere vivo il ricordo di Vittoria, del suo grande amore per la patria e di renderlo noto ai cittadini e a tutti i visitatori che fruiscono i musei. Il presente lavoro di ricerca è ancora più importante se si pensa al progetto di recupero Talenti Vittoria è stata una donna che ha conosciuto il valore della vita nel suo duplice aspetto: dolce e amaro. 33 Talenti del Palazzo Mazzolari di cui ho parlato sopra. Si tratta di uno studio/aggiornamento che permetterà, almeno in parte, di ricostruire gli spazi abitativi della famiglia Mosca il più possibile vicino all’idea originale. Uno studio che però non si potrà limitare al solo periodo di allestimento del palazzo, ma che dovrà andare avanti anche successivamente, data la complessità e la ricchezza dei manufatti in esame. Il secondo volume contiene al suo interno il quarto capitolo, un capitolo interamente dedicato ai dipinti, circa trecento, facenti parte della collezione Mosca. Si tratta di un aggiornamento relativo alla categoria, quella dei dipinti, appunto, già studiata da anni, per la prima volta da me documentata nella sua interezza. Rare sono le opere risalenti al XIV e al XV secolo; numerosi sono invece i dipinti realizzati tra il Seicento ed il Settecento. Ad esempio interessanti sono due quadri di origine fiamminga (Natura morta con uccelli di Hermans Johannes detto Monsù Aurora e Paesaggio con armenti di Johann Melchior Roos) che riflettono la nascita nel XVII secolo dei vari generi pittorici come la natura morta, il ritratto, il paesaggio. Si tratta di specializzazioni che hanno trovato un terreno particolarmente fertile nell’Europa del Nord (Fiandre). Nel secolo successivo spiccano i nomi di artisti locali quali Sebastiano Ceccarini (Fano, 1703- 1783) e Giannandrea Lazzarini (Pesaro, 1710-1801). La marchesa era una grande amante e conoscitrice d’arte che si dilettava nel creare rapporti professionali ma anche umani con gli artisti a lei contemporanei: in alcuni casi, infatti, risulta che certi pittori venissero chiamati a lavorare presso il suo palazzo. Al tempo stesso sembra ormai certo che nella scelta degli artisti abbia contribuito anche la figura del marito, uomo dotto e molto attivo in politica20. Dietro una grande donna c’è sempre la presenza di un grande uomo. Vincenzo Maria Toschi deve aver aiutato e consigliato Vittoria nella raccolta dei diversi oggetti d’arte della collezione, che qui chiamiamo infatti Toschi-Mosca e non solo Mosca. La vita pubblica e quella privata della marchesa risultano fortemente intrecciate. 34 Note 1 Sulla vita di Vittoria si consiglia la seguente lettura: C. Barletta, Il mondo privato di una nobildonna pesarese nell’Ottocento_ note biografiche su Vittoria Toschi Mosca, in Il mondo privato e l’eredità pubblica della marchesa Vittoria Toschi Mosca, Pesaro 1990, pp.8-27. 2 Per un preciso inquadramento storico del periodo, si rimanda a: M. Marcucci, Vittoria Mosca Toschi, il museo d’arte industriale in Pesaro, tesi di laurea, Università degli Studi di Urbino, A.A. 1986-87, vol 1, pp. 18-40. 3 L’Adriatico, 1 Agosto 1888. 4 Nel 1908 i signori Della Ripa, originari di Osimo, lasciarono al Comune di Pesaro numerose suppellettili ed alcuni dipinti. Questi ultimi vengono citati nell’inventario di G. Polidori (1945) e sono: una Sacra Famiglia di scuola veneta, un Cristo deriso attribuito a Gherardo Delle Notti e poi a Trophime Bigot, e la famosa Pollarola di bottega dell’Empoli. 5 Estratto dell’inventario dell’Eredità del fu …Fedele Salvatori redatto dal Notaio di Roma…Umberto Serafini lì 28.29.31 Maggio 4.5.25.28 Giugno 5.11 Luglio 1907. “Omesso? - Sei piccoli piatti di maiolica, stile antico lire cinque - Piccole figure in bronzo amore e Psiche con base di pietre diverse, lire trenta - Altro tavolino di palissandro, con zampe centinate, con piano intarsiato di vari legni lire venti - Sopra al medesimo alcuni sopra mobili di terraglia e metallo, lire otto - Due vasi di ceramica ( due vasi di ceramica) lire sette - Statua mezzana di bronzo rappresentante la Venere, con soprabase di legno lustro, lire duecento - Altro tavolino di palissandro, intarsiato in avorio con piedi centinati lire quaranta - Sopra il medesimo piccolo scrigno di ebano con nove…, decorato con quattro colonnine nel centro, e piccoli vasetti d’avorio, lire duecento - Sopra detto scrigno due vasi di porcellana del Giappone moderni lire dodici e cinquanta - Due piatti grandi in …tondo, di ceramica, decorati lire otto” Si ringrazia il signor Dante Trebbi per la gentilezza di aver reso pubblico tale inventario da lui rintracciato. Per maggiori delucidazioni, rivolgersi ai Musei Civici di Pesaro, dove è stata depositata una copia dell’atto. 6 M.G. Ciardi Dupré Dal Poggetto, Osservazioni introduttive sul Museo Mosca nel contesto europeo, in Le collezioni di Palazzo Mosca a Pesaro. Tessuti e merletti, a cura di Maria Grazia Ciardi Dupré Dal Poggetto, catalogo della mostra, Modena 1989, pp. 13-14. 7 L’Ora, 10 Settembre 1932; L’Ora, 1 Ottobre 1932. 8 Nel 2009 il Comune ha effettuato lavori di restauro e di ampliamento del Museo che hanno portato al recupero dell’ala destra del palazzo, gravemente danneggiata in seguito ai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Questi spazi recuperati sono diventati nuovi ambienti allestitivi. Vittoria Mosca, Versi, Ivrea 1857, sonetto IX. 10 Cfr. Versi, cit., sonetto X. 11 Cfr. Versi, cit., sonetto XVII. 12 Vittoria Mosca, Saggio poetico, Firenze 1852, p. 19. 13 Cfr. Versi, cit., sonetto XIX. 14 Cfr. Versi, cit., sonetto XVII. 15 In questo modo si rivolgeva Vittoria in una concisa ma pungente lettera al conte Francesco Cassi, nella quale la marchesa respinge un partito che le veniva proposto, affermando con decisione di essere capace di fare da sola le proprie scelte. Lettera di Vittoria Mosca a Francesco Cassi, in Ms. Oliv. 1900, Pesaro, Carteggio di Francesco Cassi, fascicolo III, 34bis (s. anno). 16 Vittoria Mosca, Elogio funebre a Vincenzo Maria Toschi, Pesaro 1885, p. 16. 17 Cfr. nota 16. 18 Cfr. Saggio poetico, cit., p. 35. 19 Inventario della eredità della marchesa Vittoria Toschi Mosca (Archivio Notarile Distrettuale di Pesaro), notaio Berardo Paolucci, 11 settembre 1885, rep. 411/980, reg. 3 maggio 1886 al n. 765, Allegato n. 72. Dalla lettura dell’Inventario notarile emerge l’esistenza di una collezione Mosca alquanto ricca e variegata, comprendente quadri, stampe, cornici, specchiere, sculture, arazzi, orologi, lampadari, pizzi, merletti, scrigni, stipi, ceramiche, suppellettili ecclesiastiche, vetri ed altro ancora. 20 Vittoria Mosca ed il marito fecero alcuni viaggi a Napoli: nel capoluogo campano la marchesa possedeva un villino. Probabilmente durante questi viaggi vennero acquistati molti degli oggetti d’arte e di artigianato che andarono ad arricchire le sue collezioni. Non sono stati ritrovati documenti in merito, come atti di vendita o altro, ma da un’analisi della raccolta dei dipinti emerge chiaro come alcuni pittori siano legati alla città di Napoli, e non mi pare si tratti di un caso fortuito ( si pensi a N. Casissa, B. De Caro, F. De Mura, G. Mancinelli). Talenti 9 35 Finito di stampare nel mese di ottobre 2011 presso La Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio srl