DEFICIT STRUTTURALI E PATTO DI STABILITÀ La

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DEFICIT STRUTTURALI E PATTO DI STABILITÀ La
DEFICIT STRUTTURALI E PATTO DI STABILITÀ
La discussione sul Patto di Stabilità e sull’opportunità di renderlo più flessibile origina soprattutto dalla constatazione che quattro su dodici paesi (Germania, Francia, Italia e Portogallo)
dovrebbero chiudere il 2001 superando in misura sensibile (con divari anche superiori all’1%, cfr.
tab. 25 nel testo) gli obiettivi previsti; si noti che nel 2000, Francia e Portogallo, erano perfettamente in linea con gli obiettivi prefissati, mentre Germania ed Italia erano leggermente al di sopra.
Varie proposte sono state avanzate per rendere più flessibile il Patto. Ad esempio definire
obiettivi a medio termine di consolidamento della spesa in luogo di obiettivi definiti in termini di
saldi di bilancio, consentendo inoltre agli stabilizzatori automatici di agire liberamente, lasciando
cioè che il gettito fiscale vari in funzione del ciclo economico. Una alternativa è stabilire gli obiettivi in termini di saldi di bilancio aggiustati per il ciclo. Ciò renderebbe in effetti possibile perseguire obiettivi di consolidamento a medio termine, consentendo al tempo stesso una politica fiscale anti-ciclica nel breve termine. Un’altra proposta è quella di escludere la spesa per investimenti
pubblici dall’obbligo del pareggio, limitandolo quindi alla parte corrente del bilancio. Ciò viene
motivato con il fatto che in molti casi l’obiettivo del risanamento dei conti è stato raggiunto a scapito della formazione di capitale e della dimensione e qualità delle infrastrutture, fondamentali
per la crescita.
In ogni caso l’idea è di separare le due cause di peggioramento dei conti, quella ciclica (e per
così dire esogena), e quella legata alle politiche di bilancio; e pretendere quindi rispetto assoluto
degli obiettivi solo in riferimento a quest’ultima.
Questione collegata è se il rispetto del Patto di Stabilità debba intendersi riferito al medio o
al breve termine. Il Patto originario del 1997 parlava esplicitamente di pareggio di bilancio nel
medio termine. I Programmi di stabilità dei vari Governi nazionali hanno fissato valori per i singoli anni a partire dal 1999, ovvero per il breve termine, definiti esplicitamente come obiettivi dei
Governi nel percorso verso il pareggio da raggiungere per il 2003-2004. Dunque il mancato rispetto dell’obiettivo di uno specifico anno, come ad esempio il 2001, non dovrebbe rappresentare una
violazione del Patto di Stabilità.
Tuttavia il Patto richiede ai Governi nazionali anche interventi correttivi immediati non appena vi siano informazioni indicanti divergenze significative effettive o attese dagli obiettivi, facendo dunque pensare anche al breve termine. Alla luce di questa prescrizione, lo scostamento
dall’obiettivo del 2001 sarebbe dunque una violazione del Patto e non solo dei Programmi di Stabilità.
Come prevede la procedura stabilita, ogni Governo nazionale ha presentato un Programma di
Stabilità iniziale nel 1998 sottoposto ad approvazione del Consiglio, e lo ha poi rivisto nei due anni successivi, 1999 e 2000, sempre con la approvazione del Consiglio; l’Italia ha gia presentato il
nuovo Programma per il 2001, mentre per gli altri paesi europei la presentazione dei nuovi piani
è prevista per l’inizio di dicembre di quest’anno.
Il confronto per l’Italia tra i programmi del 1998, del 1999 e del 2000 mostra che i vari governi hanno rispettato gli obiettivi fissati nel 1998 per il 1999 e per il 2000. Inoltre non sono stati
allentati gli impegni presi nel 1999 per il 2001, anzi nell’aggiornamento fatto nel 2000 si è assunto un obiettivo più stringente per il 2001. Il nuovo programma del 2001 attenua l’obiettivo per
l’anno in corso, e quello per il 2004, lasciando inalterati i due obiettivi intermedi; rimane fermo
quindi l’impegno per il pareggio di bilancio nel 2003. (cfr. tab. 1).
Tab. 1 - Italia, aggiornamento dei programmi di stabilità
Surplus (+) o deficit (−) in % del Pil
Piano
Piano
Piano
Piano
1998
1999
2000
2001
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
–2,7
–2,8
–2,7
—
–2,6
–2,7
–2,8
—
–2,0
–2,0
–1,9
—
–1,5
–1,5
–1,3
–1,5
–1,0
–1,0
–0,8
–1,1
—
–0,6
–0,5
–0,5
—
–0,1
0,0
0,0
—
—
0,3
0,0
—
—
—
0,2
I dati in corsivo indicano stime del governo sulla base dei dati parziali disponibili e dei provvedimenti adottati, quelli in grassetto indicano gli obiettivi.
Fonte: Ministero del Tesoro;
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Di recente (riunione del 6 novembre) l’Ecofin, il Consiglio dei ministri economici e finanziari
europei, ha stabilito che dal 2003 il rispetto degli obiettivi sarà valutato tenendo in maggior considerazione il deficit strutturale. Le autorità politiche sembrano dunque cercare un compromesso:
piuttosto che rinviare il pareggio di bilancio attualmente previsto per il 2003-2004 in base al disavanzo nominale, si potrebbe puntare su di un pareggio negli stessi tempi ma in base al disavanzo strutturale. Sarà inoltre adottato un nuovo metodo di calcolo dei bilanci strutturali (basato sulla funzione di produzione), che affiancherà il metodo del filtro Hp utilizzato finora dalla
Commissione europea1. Non si intende modificare la sostanza del Patto, bensì precisare meglio la
definizione di deficit strutturale, in vista di un suo possibile utilizzo ufficiale.
L’utilizzo delle due metodologie dà naturalmente luogo a due stime diverse del Pil potenziale, che solo occasionalmente possono coincidere, essendo basate su ipotesi e calcoli completamente diversi. Il trend è calcolato meccanicamente nel filtro Hp e non richiede ipotesi se non la scelta di un parametro di smoothing che è però del tutto arbitraria; presenta inoltre un problema alla
fine del campione perché la media mobile deve essere troncata. Con la funzione di produzione sono necessarie forti ipotesi a priori e una gran mole di dati, e il problema dell’estrazione del trend
è spostato sulla serie dell’occupazione e della produttività totale dei fattori. In generale il tasso di
crescita del Pil potenziale ottenuto con la funzione di produzione è più variabile di quello che si
ricava dal filtro Hp.
Nella Tab. 2 si evidenzia la difformità tra i calcoli della Commissione europea, basati sul filtro Hp, e quelli del Fmi, basati sulla funzione di produzione. In particolare, per la Commissione,
Italia e Germania sarebbero fuori dagli obiettivi per il 2001 ed il 2002, mentre stando al metodo
seguito dal Fmi sarebbero largamente in linea. In generale, il metodo utilizzato dalla Commissione Ue fornisce stime più pessimistiche.
Tab. 2 - Saldi di bilancio strutturali ed obiettivi
Surplus (+) o deficit (−) in % del Pil
Comm. (nov-01)
Fmi (ott-01)
Ocse (nov-01)
Programmi 2000
Paesi
2001
2002
2001
2002
2001
2002
Belgio
Germania
Grecia
Spagna
Francia
Irlanda
Italia (a)
–0,7
–2,3
–0,8
–0,4
–1,9
0,4
–1,2
0,1
–2,0
–0,1
–0,3
–1,9
0,9
–1,0
0,1
–1,4
–0,1
–0,4
–1,0
1,6
–0,5
0,2
–0,8
0,1
—
–1,0
1,0
–0,1
–0,2
–2,0
–0,3
0,0
–1,7
2,0
–0,6
0,6
–1,5
0,3
0,0
–1,7
2,2
0,1
Lussemb.
Olanda
Austria
Portogallo
Finlandia
3,1
0,8
–0,3
–2,5
3,4
2,8
0,8
–0,2
–1,8
2,4
n.d.
n.d.
–0,3
–2,1
4,7
n.d.
–0,1
0,4
–1,6
3,6
n.d.
0,9
0,0
–1,6
4,0
n.d.
1,1
–0,1
–0,9
3,4
2001
2002
0,2
–1,5
0,5
0,0
–1,0
4,3
–0,8
(–1,1)
2,6
0,7
–0,8
–1,1
4,7
0,3
–1,0
1,5
0,2
–0,6
3,8
−0,5
(–0,5)
2,5
0,6
0,0
–0,7
4,4
(a) Tra parentesi programma di stabilità 2001.
Fonte: Commissione europea, Autumn Forecasts; Fmi, World Economic Outlook; Ocse, Economic Outlook.
1
Il primo metodo (gia utilizzato da Fmi e Ocse), assume una forma funzionale per la tecnologia produttiva del paese e calcola il trend del Pil sulla base di dati su capitale, e trend dell’occupazione e della produttività totale dei fattori. Il filtro Hp invece utilizza la serie storica del Pil per calcolare i valori di trend per ogni
periodo tramite l’applicazione di medie mobili ponderate. In entrambi i casi i valori ottenuti per il trend del
Pil sono interpretati come stima del Pil potenziale; l’output gap per ogni periodo è ottenuto dalla differenza
tra Pil effettivo e Pil potenziale, ed utilizzato quindi per calcolare gli effetti ciclici su entrate e spese pubbliche.
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Non c’è dunque certezza sui metodi di stima del bilancio strutturale perché non esiste un metodo univoco; ciò induce alcuni a preferire il bilancio nominale senza aggiustamenti per il ciclo
perché si tratta di un dato più certo su cui basare decisioni di tale rilevanza. Del resto l’impegno
per un pareggio del bilancio nominale è pensato proprio per mettere al riparo da fluttuazioni cicliche, nel senso che in tale posizione un paese non dovrebbe avere problemi a rispettare la soglia
del 3% prevista dal Patto di Stabilità anche con il sopraggiungere di una crisi economica.
Ma il Patto è necessario? Dal punto di vista della teoria economica, le conclusioni non sono
univoche. Venuta meno la possibilità di utilizzare la politica monetaria per l’aggiustamento a
shock asimmetrici, e data la non perfetta mobilità tanto del lavoro come del capitale tra i paesi
dell’Unione monetaria, la politica fiscale può essere vista come l’ultimo strumento disponibile per
gli aggiustamenti a eventuali shock. In questa visione i limiti posti dal Patto costituiscono quindi
un ostacolo ad un aggiustamento ottimale.
Il Patto può però anche essere interpretato come una forma di coordinamento ex-ante delle
politiche fiscali, e l’analisi della sua desiderabilità può essere quindi ricondotta a quella della desiderabilità del coordinamento. L’elemento discriminante sembra essere soprattutto la natura degli shock: in caso di shock asimmetrici sui singoli paesi, il coordinamento delle politiche fiscali può
essere desiderabile perché i Governi nazionali internalizzano il fatto che le loro azioni si compensano in parte e limitano quindi l’uso dei loro strumenti; ma non lo è quando gli shock sono altamente correlati, nel qual caso è preferibile lasciar agire i Governi indipendentemente.
Il tipo di interazione strategica dei Governi nazionali con la Banca centrale europea pure è
cruciale: se i Programmi di stabilità riescono a rappresentare un impegno credibile dei vari Governi nazionali potrebbero dare a questi il vantaggio della prima mossa, ponendoli in posizione di
leadership rispetto alla Bce, il ché potrebbe giovare alla stabilità macroeconomica complessiva.
il pareggio di bilancio per la Francia slitti al 2006, due anni più tardi di
quanto previsto dal Patto di Stabilità e, in questo caso anche l’obiettivo di
medio termine non verrebbe rispettato. Sempre secondo la Commissione
anche in Italia il risanamento delle finanze pubbliche è fermo, con l’indebitamento all’1,2% del Pil sia nel 2001 che nel 2002 e al 0,9% nel 2003.
Oltre al monitoraggio delle politiche di bilancio, la Commissione ha effettuato anche una valutazione del livello di coordinamento finora raggiunto in tema di tassazione di redditi d’impresa (vedi riquadro: Verso un mercato interno senza ostacoli fiscali) e di aiuti di Stato (vedi riquadro: La nona
survey sugli aiuti di Stato nella Ue). All’interno della Ue, le risorse destinate agli aiuti alle imprese risultano in costante declino e si riducono le
disparità tra i singoli paesi. Riguardo la tassazione delle imprese, la Commissione sottolinea la presenza di sistemi ancora troppo differenziati e propone alcune soluzioni sia di breve che di medio periodo per migliorare il
coordinamento.
L’Italia: il 2001
Nella seconda metà dell’anno in corso, la situazione di cassa dei conti
pubblici ha registrato un miglioramento rispetto alle tendenze emerse nel
primo semestre. Secondo le elaborazioni della Banca d’Italia, il fabbisogno
mensile (sia della Pa che del Settore statale) cumulato negli ultimi dodici
mesi, dopo aver mostrato un andamento crescente dalla metà del 2000 fino
a maggio di quest’anno, ha poi iniziato a ridursi. Tra gennaio e settembre,
il fabbisogno lordo della Pa, calcolato dalla Banca d’Italia, è risultato pari
a 32,5 mld di euro, contro i 33 miliardi del corrispondente periodo del 2000.
Tra gennaio e ottobre il fabbisogno del settore statale è stato pari a 38 mld
di euro contro i 31 dello stesso periodo 2000.
Gli incassi tributari del settore statale (tab. 27) dei primi nove mesi
evidenziano un contenuto andamento dei gettiti, in aumento solo dell’1,3%
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