Piattaforma Petrolifera nel Golfo del Messico

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Piattaforma Petrolifera nel Golfo del Messico
PIATTAFORMA PETROLIFERA BP -GOLFO DEL MESSICOA cura di Domenica DI CARLO
A.A: 2009-2010
Il disastro Deepwater Horizon
La Deepwater Horizon era una piattaforma petrolifera, dal valore di
circa 370 milioni di dollari, di proprietà della svizzera Transocean, la più
grande compagnia del mondo nel settore delle perforazioni off-shore, prestata
alla multinazionale British Petroleum per 496 mila dollari al giorno. Estraeva
circa 8000 barili di petrolio al giorno, era grande quanto 2 campi da calcio e
poteva ospitare circa 130 persone. Essa si trovava a circa 80 km dalla
Louisiana, nel Golfo del Messico.
Il 2 settembre 2009 la Deepwater Horizon ha trivellato il pozzo di
idrocarburi più profondo al mondo, lungo 10685 metri, di cui 1259 di acqua,
nel giacimento di Tiber, sempre nel Golfo del Messico. La trivella della
Deepwater Horizon era una delle più grandi al mondo, lunga 121 metri per 78
metri di larghezza, poteva operare in acque profonde fino a 2400 metri e
scavare pozzi profondi fino a 9100 metri.
Il 20 aprile 2010, mentre la trivella della Deepwater Horizon stava
completando un pozzo petrolifero, un’esplosione sulla piattaforma ha
innescato un incendio con la conseguente morte, nell'immediato, di 11
persone ed il ferimento di altri 17 lavoratori. La flotta della British Petroleum,
oltre a recuperare i superstiti, ha tentato invano di spegnere le fiamme. Due
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giorni dopo l’esplosione, la piattaforma è affondata depositandosi a circa 400
metri di profondità e circa mezzo km a nord-ovest del pozzo. Nonostante il
suo affondamento, dal pozzo petrolifero sul fondale marino è continuato a
fuoriuscire il petrolio greggio, spinto dalla pressione più elevata del
giacimento petrolifero e poi risalito per via della minor densità rispetto
all'acqua. Infatti le valvole di sicurezza di chiusura del pozzo (della Cameron
International) non hanno funzionato.
Fig. 1-Esplosione sulla piattaforma che ha innescato l’incendio
Dopo il fallito tentativo di chiudere le valvole della testa di pozzo con
un robot filoguidato (ROV, remote operated vehicle), il 7 maggio 2010 la
British Petroleum ha tentato di arginare la falla utilizzando una cupola di
cemento e acciaio dal peso di 100 tonnellate. Tuttavia la perdita di greggio
non si è arrestata ed il tentativo di ridurre il danno è fallito. In ogni caso i
tempi richiesti per arginare la perdita sono stati lunghi. La condotta (che
perdeva petrolio in almeno tre punti) doveva essere tagliata e le perdite del
petrolio, che fuoriusciva anche da fessurazioni nel fondo marino, potevano
essere bloccate solo scavando un altro pozzo (a mezzo miglio di distanza) per
"togliere pressione" al pozzo in perdita.
Sono stati necessari dei mesi. Un caso analogo si è verificato nel 1979
quando, sempre nel Golfo del Messico, dal pozzo esplorativo Ixtoc 1 si
originò una delle più grandi perdite di petrolio della storia. Ixtoc 1 è esploso il
3 giugno 1979 ed è stato chiuso solo nel marzo 1980.
Si riporta di seguito la situazione alla data del 7 maggio 2010 secondo quanto
si legge sul sito dell’ANSA-(ASCA-AFP), Port Fourchon, 7 maggio 2010:
“La cupola di contenimento progettata dalla British Petroleum per fermare la
più grande delle tre falle della Deepwater Horizon è partita ieri a bordo del
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rimorchiatore ''Joe Griffin'' e, secondo i funzionari dell'azienda,
probabilmente potrà essere operativa già da lunedì. Intanto i soccorritori
stanno tentando di innescare delle esplosioni guidate per bruciare il petrolio
riversatosi in acqua. Il dispositivo, di circa 100 tonnellate, si occuperà di
aspirare una miscela di greggio e acqua per portarli su una nave in superficie,
a bordo della quale il petrolio sarà separato dall'acqua. Intanto ieri la BP è
riuscita a bloccare la più piccola delle tre falle della Deepwater Horizon,
anche se il flusso di greggio riversato nel mare è rimasto invariato.
Se le stime sono corrette, dal 22 aprile al 7 maggio in mare si sono riversati
circa 2,5 milioni di galloni di greggio.
Fig.2 -La chiazza di petrolio (in grigio chiaro,sulla destra) vista dal satellite.
(foto NASA/ Goddard/MODIS Rapid Response Team
Secondo gli esperti ambientali, l'espansione della chiazza di greggio nel
Golfo del Messico minaccia circa 600 specie di animali marini.”
La mattina del 18 maggio la compagnia petrolifera BP ha riferito che
era riuscita a introdurre un tubo di aspirazione nella perdita di petrolio
greggio ma, alla fine, i tecnici BP sono stati costretti a sospendere
l’operazione, anche se fonti della società affermano che il metodo si è
dimostrato valido. Il tubo è riuscito a far risalire il gas naturale, aspirandolo
dal pozzo fino alla superficie del mare. È anche riuscito ad aspirare il petrolio
greggio, senza riuscire però a raggiungere l’esterno. Il tubo si è intasato, e
questo ha costretto i tecnici BP a sospendere l’operazione.
“L’esperimento può essere considerato valido”, ha detto BP riferendosi alla
tecnica utilizzata, che implica l’uso di una pompa a pressione e il
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posizionamento del tubo di 53 centimetri di diametro nel punto della perdita
mediante un robot sottomarino.
Gli sforzi dei soccorsi
Le squadre di soccorso hanno lottato contro il tempo nel Golfo del
Messico, approfittando delle condizioni meteorologiche favorevoli per
contenere l'enorme chiazza di petrolio.
Nel tentativo di porre rimedio al disastro gli ingegneri hanno adottato almeno
cinque strategie:
• Veicoli sottomarini operanti in remoto allo scopo di chiudere le valvole
di sicurezza sul fondo del mare
• Spargimento di agenti disperdenti attraverso robot sommergibili, aerei
e navi di supporto, allo scopo di legare chimicamente il petrolio e farlo
precipitare sul fondo del mare dove dovrebbe rimanere inerte nei
confronti dell'uomo.
• Trivellazione adiacente al punto di fuoriuscita del petrolio, allo scopo
di raggiungere con un tubo di perforazione il canale di comunicazione
fra il giacimento petrolifero e il fondale marino per potervi iniettare del
cemento.
• Piattaforme galleggianti aspiranti il petrolio che raggiunge la superficie
• Camera di contenimento calata al di sopra della perdita primaria del
tubo di perforazione danneggiato
Fig.3-Squadre di soccorso a lavoro
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Le conseguenze
L’affondamento della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon al
largo delle coste della Lousiana è il più grande disastro petrolifero di cui si
abbia memoria. Secondo gli ultimi dati resi noti dalla Guardia Costiera
americana, le tre falle aperte nel complesso sistema di tubi che collega il
giacimento (1500 metri di profondità) alla piattaforma hanno riversato in
mare oltre 800.000 litri di petrolio ogni giorno, pari a circa 9 litri al secondo:
5 volte di più rispetto a quanto inizialmente ipotizzato.
Si tratta di una catastrofe ambientale senza precedenti che, avvenuta il
20 aprile 2010, alla terza settimana di giugno ha superato per gravità quella
provocata dalla petroliera Exxon Valdez nel 1999, quando riversò nel mare
dell’Alaska oltre 40.000 tonnellate di greggio. Gli effetti a breve e medio
termine del disastro della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon sulla
popolazione locale si manifesteranno in termini di esacerbazione di malattie
respiratorie e patologie della pelle (follicoliti cutanee) e, a lungo termine,
come gravi effetti in termini di aumento statistico dell'incidenza di tumori. Gli
effetti a lungo termine comprenderanno anche aumenti statistici degli aborti
spontanei, nascita di neonati di basso peso alla nascita o prematuri. Il petrolio
e le sostanze chimiche disperdenti rilasciate sul luogo del disastro
contamineranno la popolazione locale nel breve e medio termine per via
inalatoria; nel lungo terminela contaminazione avverrà per via orale, come
conseguenza dell'accumulo degli idrocarburi nella catena alimentare.
Il disastro in cifre
Di seguito sono riportate una serie di cifre che possono aiutare a
comprendere l’entità di quanto sta accadendo in queste ore nel Golfo del
Messico.
11: il numero dei lavoratori dispersi nell’incendio e nell’affondamento della
piattaforma e presumibilmente morti.
5.000: il numero dei barili di petrolio che ogni giorno si riversa in mare.
230.000.000 €: il costo che la BP dovrà sostenere per chiudere le falle nei
suoi oleodotti.
20.000.000.000 €: la perdita di valore delle azioni BP nei primi 12 giorni
dopo l’affondamento della piattaforma.
16: le migliaia di costa della Louisiana interessate dalla marea nera.
30 o più: le specie di uccelli colpite dal disastro che, oltretutto, coincide con
l’inizio della stagione degli amori.
25.000.000: secondo Greenpeace il numero di uccelli che ogni giorno,
durante la stagione migratoria primaverile,vola sopra il Golfo del
Messico e la cui vita stata messa in pericolo.
400: il numero di specie animali messe in pericolo dalla perdita di petrolio.
Tra queste: balene, delfini, tonni, gamberi, uccelli, mammiferi terrestri
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come la volpe e il cervo,e anfibi delle Badlands come l’alligatore o la
tartaruga.
1.500: l’ampiezza della chiazza in chilometri quadrati al 3 maggio.
1.100.000.000 €: il risarcimento che le assicurazioni di BP saranno tenute a
pagare.
La moratoria alle estrazioni petrolifere offshore negli USA non è
cominciata per caso. Nel 1969 esplodeva infatti la piattaforma Santa Barbara
(California): in dieci giorni, furono rilasciate in mare 12-13.000 tonnellate di
petrolio. Almeno 10.000 uccelli furono uccisi. Dieci anni dopo era la volta
della Ixtoc 1, della compagnia di Stato messicana PeMex: 450-480.000
tonnellate di petrolio furono rilasciate in mare nell'arco di oltre 9 mesi, nel
Golfo del Messico. E' il maggior rilascio di petrolio in mare mai registrato,
con danni anche negli USA che la PeMex non volle mai pagare. Migliaia di
tartarughe marine furono sgomberate con gli aerei dalle spiagge messicane,
pesantemente contaminate. Altri pesanti rilasci di petrolio furono causati dalle
30 piattaforme danneggiate o affondate dall'uragano Katrina, nel 2005:
proprio in Louisiana.
Con la stessa cifra con la quale la Deepwater Horizon ha affittato la BP
dalla Transocean sarebbe stato possibile acquistare e utilizzare un sistema di
bloccaggio del pozzo
"a distanza" (azionabile con un sistema
acustico, dalla superficie). Perché questo
utile congegno, obbligatorio in Norvegia e
in Brasile, non è stato
utilizzato in una piattaforma assolutamente
all'avanguardia (come
sostiene la stessa BP)?
L'uso di questo congegno è stato a lungo
dibattuto negli USA,
almeno dal 2000. Ma, dopo forti pressioni della lobby petrolifera, nel 2003 lo
US Mineral Management Service concludeva che "questi sistemi non sono
raccomandati perché tendono a essere troppo costosi". Certo, mezzo milione
di dollari sono una bella cifra: ma sono appena il costo dell'affitto giornaliero
di una piattaforma. E nel primo quadrimestre 2010 la stessa BP, che ha fatto
profitti per quasi 6 miliardi di dollari, per attività di lobby al Congresso USA
ha speso non meno di 3,5 milioni di dollari.
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Non sappiamo ancora quanto petrolio sia stato rilasciato in mare dalla
Deepwater Horizon. Sappiamo che BP ha mentito quando ha dichiarato una
stima di circa 1.000 barili al giorno (c.a. 135 tonnellate). Già dopo i primi
sopralluoghi la NOAA (National Oceanographic and Atmospheric
Administration) ha portato la stima a 5.000 barili/giorno (c.a. 675 tonnellate)
e i media riferiscono di stime assai maggiori: il 2 maggio il Wall Street
Journal parlava di 25.000 barili al giorno (ovvero 3.375 tonnellate!) e la
stessa BP ha dichiarato per la Deepwater Horizon una produzione potenziale
di 150.000 barili al giorno (20.250 tonnellate). Queste cifre devono essere
moltiplicate per la durata dello sversamento.
Sui media si legge che
BP avrebbe dichiarato
che si assumerà tutte le
responsabilità e che
pagherà tutti i danni.
Non è vero: BP ha
dichiarato che pagherà
tutte le perdite economiche accertate e quantificabili.
Probabilmente non è
poca cosa: già i pescatori
(soprattutto di ostriche e
gamberi)
si
stanno
attrezzando per organizFig.4-Rilascio del petrolio in mare
zare una "class action"
(azione legale collettiva) per chiedere a BP almeno 5 miliardi di dollari. Altri
danni economici potrebbero essere richiesti dal settore turistico: già solo la
pesca sportiva in mare da quelle parti è un business da oltre 700.000 di dollari
l'anno (oltre 7.700 posti di lavoro).
Tuttavia, i precedenti ci dicono che difficilmente BP pagherà i danni
ambientali che sta causando. Dopo il disastro della Exxon Valdes (Prince
William Sound, Alaska 1989) la Exxon Mobil era stata inizialmente
condannata a pagare 287 milioni di dollari di danni e 5 miliardi di dollari
come ammenda (anche per risarcire i danni ambientali). Dopo anni di appelli
e perizie in tribunale, il 25 giugno 2008, la Corte d'Appello ha deciso che
Exxon doveva pagare solo 507,5 milioni di dollari di danni. In altre parole, le
compagnie petrolifere (e le loro assicurazioni) difficilmente pagano per tutti i
danni ambientali collegati alle "maree nere", danni che, d'altra parte, sono
spesso difficili da quantificare.
La BP è ora anche sotto accusa per le misure di sicurezza nelle sue raffinerie
costiere ma, nel tentativo di risolvere il problema di questa voragine che
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eruttava petrolio, si è pensato persino ad una soluzione disperata e persino più
pericolosa del problema che essa avrebbe dovuto risolvere.
Infatti il presidente Usa ha inviato in Louisiana un team di cinque
scienziati nucleari per trovare soluzioni in grado di fermare la fuoriuscita.
Della squadra avrebbe fatto parte anche l'ottantaduenne Richard Garwin, uno
dei progettisti della prima bomba all'idrogeno. Evidentemente Obama si stava
preparando a tutto, anche all'utilizzo di una bomba atomica tattica, tentato
dalla possibilità di risolvere la tragedia petrolifera del Golfo del Messico con
un’esplosione nucleare sottomarina, come gli hanno suggerito di fare i russi e
mettendo in allarme anche i Paesi vicini, tra i quali Cuba che aveva incaricato
un gruppo di scienziati di sorvegliare da vicino la situazione, mettendo a
rischio anche l’equilibrio non solo ambientale ma anche politico.
Gli ecosistemi torneranno presto alla normalità?
Gli effetti di disastri petroliferi come questo sono difficili sia da
valutare che da monitorare. In particolare, gli effetti sull'ecosistema pelagico
sono particolarmente complessi. Le sostanze tossiche rilasciate dalle migliaia
di tonnellate di petrolio potrebbero avere effetti notevoli sia sulle comunità
del plancton (organismi che vivono nella colonna d'acqua) che su altre specie.
A ciò bisogna aggiungere gli effetti tossici dei disperdenti (ne sono stati
usati almeno 400.000 litri) tra cui è confermato l'uso del Corexit (2- butossietanolo), vietato in California perché causa infertilità e malformazioni (o
morte) dei feti.
L'uso di disperdenti può ridurre l'impatto sugli uccelli (che vengono
"soffocati" dal catrame) ma aumenta quello sulla fauna e flora marina. Spesso
è una decisione che si prende per motivi di "pubbliche relazioni" (gli uccelli
incatramati fanno sensazione) che è come nascondere l'immondizia sotto il
tappeto visto che l'effetto sui pesci è poco visibile. Ad esempio, da metà
aprile a metà giugno nell'area è in corso la riproduzione del tonno rosso, una
specie già decimata dalla pesca eccessiva di cui è stato anche proposto (col
sostegno degli USA) il bando del commercio internazionale.
Nella stessa area sono presenti tartarughe marine e cetacei (come le
focene, varie specie di delfini, balenottere, capodoglio e capodoglio pigmeo o
cogia). Lungo la fascia costiera del Golfo del Messico, negli USA ci sono
oltre 2 milioni di ettari di zone umide, con oltre 400 specie a rischio.
Il Governatore della Louisiana ha dichiarato che la marea nera
minaccia almeno 14 Aree Protette. Tra le specie in pericolo ci sono varie
specie di rettili (tartarughe e alligatori), lontre, pellicano bruno (il simbolo
della Louisiana) e decine di specie di uccelli migratori, canori e limicoli. E'
difficile stimare in quanto tempo gli ecosistemi si riprenderanno: tra l'altro,
l'evento è purtroppo ancora troppo recente e non abbiamo una stima precisa
né dell'area colpita né dei quantitativi di petrolio riversato in mare.
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Tuttavia, il caso della Exxon Valdez ci ricorda che dopo oltre vent'anni
gli effetti sono ancora evidenti e le sostanze tossiche rilasciate con le 37.000
tonnellate di petrolio allora sversate sono ancora in circolazione. Se la
Deepwater Horizon sta davvero rilasciando oltre 3.000 tonnellate di petrolio
al giorno, già al 6 maggio lo sversamento potrebbe essere stato di circa
48.000 tonnellate. Particolare importanza ha anche il periodo della stagione in
cui avviene lo sversamento: quello della Exxon Valdez avvenne durante la
stagione di riproduzione delle aringhe del Pacifico e lo stock non si è ancora
ripreso.
Fig.5-Salvataggio di alcune specie operato dai soccorritori
Basta usare le migliori tecnologie per evitare questi disastri?
L'idea che incidenti come questo siano causati dall'incuria e dalla
cupidigia delle lobby petrolifere non è errata, ma affronta solo parte della
realtà. Questi incidenti, che sono più frequenti di quanto non riferiscono i
media (nel gennaio 2010, a Port Hartur (USA) c'è stato un "major oilspill" di
cui i mass media non hanno mai parlato) dipendono da "fattori" come
uragani, errore umano, malfunzionamento delle tecnologie e altri imprevisti.
Ce ne saranno sempre. Le statistiche poi ci dicono che, per quanto
appariscenti, le maree nere sono un contributo minoritario all'inquinamento
da petrolio in mare: i lavaggi delle cisterne e le fonti terrestri sono un
problema ben maggiore anche se "localmente" meno acuto. Per eliminare
questi pericoli, e per combattere il cambiamento climatico e l'acidificazione
degli oceani (entrambi conseguenza dell'aumento atmosferico della CO2
causato dai combustibili fossili), l'unica soluzione è smettere di cercare,
trasportare e usare questi prodotti.
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Settori sempre più ampi dell'industria si sono ormai appropriati degli
scenari della "Rivoluzione Energetica", descrivendo percorsi realistici che in
un futuro prossimo ci permetteranno di lasciar perdere lo sporco petrolio (e
fonti non meno pericolose come carbone e nucleare) passando alle energie
rinnovabili (solare ed eolico) e all'efficienza energetica.
Sitografia
www.focus.it./i numeri del disastro sulla piattaforma Bp nel golfo del
Messico.aspx
www.wikipedia.org/Disastro ambientale della piattaforma petrolifera
Deepwater Horizon (Golfo del Messico)
www.nationalgeographic.it
www.tomshw.it/..disastro del golfo del Messico
www.nytimes.com/science/07container.html
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