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4 Domanda e offerta aggregata nel lungo periodo II 4.1 Mercato dei beni imperfetto Presentiamo qui di seguito il modello AD-AS nel lungo periodo sostituendo l’ipotesi di concorrenza perfetta utilizzata nel capitolo precedente con quella di concorrenza imperfetta. Studieremo, quindi, un economia in cui gli operatori (imprese e lavoratori) sono dotati di un certo potere di mercato nella determinazione dei prezzi e dei salari. Ovviamente la concorrenza imperfetta descrive una situazione, a un tempo, più generale e più realistica rispetto alla concorrenza perfetta. Quest’ultima, infatti, presuppone che nessun soggetto sia in grado di influire sugli esiti di mercato, tanto che tali esiti non verrebbero modificati se un qualsiasi soggetto non operasse, cioè se sottraessimo dal novero delle imprese o dei lavoratori un qualsiasi elemento. In generale, però una condizione così restrittiva non si verifica mai. Provate a togliere dal mercato dell’automobile italiano o europeo una impresa come la Volkswagen o come la Fiat o provate a togliere dal mercato del lavoro italiano un sindacato come la Cisl o la Cgil: i risultati che si otterebbero sui mercati in assenza di operatori di tale calibro non sarebbero certo gli stessi che si ottengono in loro presenza. Dalla Microeconomia è noto che le imperfezioni dei mercati dei beni determinano delle “perdite di benessere sociale”, ovvero che i maggiori profitti ottenuti dalle imprese monopoliste sono più che compensati dalle perdite di “surplus del consumatore”. L’analisi macroeconomica della concorrenza imperfetta, estesa anche al mercato del lavoro, ci consente di vedere come tali perdite di benessere si allarghino a livello collettivo. Possiamo così sintetizzare i principali risultati che emergono dallo studio della macroeconomia della concorrenza imperfetta: 1) l’equilibrio di lungo periodo sarà caratterizzato - a parità di tecnologia e di preferenze dei lavoratori - da un tasso di disoccupazione più elevato e da un livello di produzione aggregata inferiore; 2) rimarrà la completa ininfluenza della domanda aggregata sulle variabili reali (PIL, occupazione e salario reale). In questa prima sezione presenteremo un semplicissimo modello di concorrenza imperfetta sul mercato dei beni, continuando a supporre che il mercato del lavoro sia perfettamente concorrenziale. Nella prossima sezione 42 4. Domanda e offerta aggregata nel lungo periodo II presentermo diverse ragioni per le quali il mercato del lavoro è imperfetto. Poi cercheremo di analizzare una situazione in cui tanto il mercato del lavoro quanto il mercato dei beni sono imperfetti. Inizieremo analizzando un modello in cui si ipotizza che i rendimenti siano decrescenti (α < 1 nella funzione di produzione). Ciò ci consentirà un immediato confronto con i risultati di concorrenza perfetta visti nel precedente capitolo. Successivamente analizzeremo un modello in cui si ipotizzano rendimenti costanti, che poi verrà impiegato anche nell’analisi delle fluttuazioni illustrata nei capitoli 8-11. Dalla Microeconomia sappiamo che, in concorrenza imperfetta, il prezzo sarà fissato dalle imprese con un mark-up sui costi marginali. Tale mark-up sarà in generale collegato all’elasticità della domanda. In particolare, tanto maggiore è l’elasticità della domanda e tanto minore è il “ricarico”, cioè il mark-up che le imprese sono in grado di far pagare ai consumatori. Il mark-up sarà dunque inversamente correlato all’elasticità della domanda. Possiamo supporre che l’unico bene prodotto nella nostra economia, il PIL, sia prodotto da un’unica impresa monopolista. La massimizzazione del profitto da parte di quest’ultima si realizza quando si verifica la condizione ¶ µ 1 CM A P 1− η dove η è il valore assoluto dell’elasticità della domanda rispetto al prezzo1 e CM A è il costo marginale di produzione. Quando l’unico fattore produttivo W . Possiamo pertanto riscrivere impiegato è il lavoro si ha che CM A = P ML la precedente espressione come: ¶ µ W η−1 P η PML Da tale espressione si ricava subito: µ ¶ W η P = P ML η − 1 (4.1) Poiché η nella situazione di equilibrio dell’impresa monopolista è sempre maggiore di 1 (perché?) si ricava subito che P > CM L. La (4.1) può anche essere scritta come: W (1 + z) P = (4.2) P ML 1 Quale valore assume tale elasticità con una funzione di domanda del tipo Y = Aµ1 cui otteniamo la trasformata logaritmica y = µ1 a + µ2 (m − p)? ¡M ¢µ2 P , da 4. Domanda e offerta aggregata nel lungo periodo II 43 ω=w-p nDCP nDCI 0 n FIGURE 4.1. 1 è il mark-up, come si vede inversamente correlato con l’eη−1 lasticità della domanda. Un’elasticità della domanda costante implica un mark-up costante, cioè che non varia con il livello della produzione. Dalla (4.2) si ricava immediatamente: dove z = P ML W = P (1 + z) che ci dice come, in monopolio, il salario reale sia sempre inferiore a quello che si avrebbe (a parità di tecnologia) in concorrenza perfetta, dove sarebbe uguale a P M L. Se - come nel precedente capitolo - partiamo da una funzione di produzione del tipo Y = N α , ricaviamo il prodotto marginale P M A = αN α−1 . Utilizzando le trasformazioni logaritmiche otterremo nuovamente y 0 = x + (a−1)n. Facendo uso della stessa terminologia impiegata nel capitolo precedente potremo quindi scrivere la funzione di domanda (inversa) di lavoro come: ω ≡ w − p = x − dn − z dove abbiamo sfruttato la proprietà secondo cui z ' ln(1 + z). Da tutto ciò segue naturalmente che la curva di domanda di lavoro in concorreza imperfetta è tutta spostata a sinistra, rispetto a quella di concorrenza perfetta. A parità di curva di offerta di lavoro, l’equilibrio implica meno occupazione, meno produzione aggregata (4.3 e 4.4)e salario reale più basso 44 4. Domanda e offerta aggregata nel lungo periodo II (dimostratelo). w − p = x − dn − z w − p = −b + cn z x+b n∗ = − (4.3) c+d c+d Rimane comunque una curva di offerta aggregata verticale, come si può ricavare dalla (4.4) e vedere nel grafico sottostante. ∗ = yCI a a ∗ (z + b − z) < (x + b) = yCP c+d c+d p ASCI (2) ω (4.4) ASCP (1) ωCP ωCI AD yCI* yCP* y nCI* (3) nCP* (4) n FIGURE 4.2. Anche se assumiamo rendimenti costanti, i risultati macroeconomici, qualitativamente, non cambiano. Tuttavia possiamo ottenere una migliore comprensione del rapporto tra equilibrio macroeconomico ed equilibrio distributivo tra salario e profitto. Assumiamo dunque una funzione dei produzione del tipo: Y = ϑN (4.5) o, in logaritmi: y = ln ϑ + n = f + n (4.6) 4. Domanda e offerta aggregata nel lungo periodo II 45 f profitto per lavoratore f-z PRW salario reale per lavoratore 0 n FIGURE 4.3. dove f = ln ϑ. La massimizzazione del profitto richiederà ora: W ϑ = P 1+z o, in logaritmi: w−p=f −z (4.7) Si vede chiaramente che la domanda di lavoro è ora una retta orizzontale, essendo il salario reale che le imprese sono disposte a pagare indipendente dal livello di occupazione. La retta che rappresenta tale livello del salario è talvolta chiamata PRW (Price determined Real Wage). Sul grafico è presente la retta di ordinata f . Essendo il modello in logaritmi f rappresenta il prodotto per lavoratore2 . Di tale prodotto per lavoratore le imprese sono disposte a darne f − z al salario, riservandone z al profitto. Data la solita curva di offerta di lavoro (w − p = −b + cn), possiamo calcolare l’occupazione di equilibrio utilizzando la (4.7): n∗ = f +b−z c Sostituendo il valore di n∗ appena trovato nella (4.6) si ottiene subito: y∗ = f ( b−z 1+c )+ c c 2 Dalla (4.5) si vede subito che il prodotto per lavoratore è Y = θ. Dalla (4.6) si ricava invece N che il prodotto per lavoratore è y − n = f 46 4. Domanda e offerta aggregata nel lungo periodo II p ASCI (2) f (1) f-z AD ω yCI* y nCI* (4) (3) n FIGURE 4.4. Ancora una volta abbiamo una curva AS verticale, dal momento che y ∗ risulta indipendente dal livello dei prezzi. La flessibilità di prezzi e salari è sufficiente a garantire y ∗ e n∗ . Come si può constatare facilmente, i livelli normali di occupazione e di produzione dipendono positivamente dalla produttività del lavoro (rappresentata dal parametro f ) e negativamente dal mark-up z. Poiché quest’ultimo è interpretabile come un indice del potere di mercato delle imprese o, se si preferisce, del grado di imperfezione del mercato dei beni e dei servizi, possiamo dire che occupazione e PIL sono influenzati negativamente dal potere di mercato delle imprese. Tanto maggiore è il “grado di monopolio” di cui godono le imprese tanto minore sarà - a parità di altre condizioni - il livello di occupazione e di PIL di lungo periodo. 4.2 Mercato del lavoro imperfetto Finora abbiamo assunto che l’offerta di lavoro fosse quella derivata nel caso di mercato perfettamente concorrenziale. Dobbiamo adesso vedere quali sono le conseguenze delle imperfezioni sul mercato del lavoro. In primo luogo 4. Domanda e offerta aggregata nel lungo periodo II 47 esaminiamo la presenza di potere di mercato da parte dei lavoratori. 4.2.1 Il sindacato e il salario contrattato Il sindacato nasce come organizzazione per la difesa degli interessi dei lavoratori, nei confronti degli imprenditori, particolarmente quando questi godono di posizioni monopolistiche, per cui possono pagare salari inferiori al prodotto marginale del lavoro. Il sindacato si presenta come un “cartello dei lavoratori”, protetto da una legislazione che impedisce alle imprese di aggirarlo e che tutela il diritto di sciopero. Se i lavoratori non possono essere assunti a un salario inferiore a quello contrattato (cioè in assenza di underbidding), le imprese assumeranno solo gli iscritti al sindacato, con retribuzioni più elevate di quelle che si affermerebbero in un mercato concorrenziale. I non iscritti o restano disoccupati o vanno in posti non sindacalizzati dove i salari diminuiscono. Qui di seguito, per semplicità, assumeremo che l’unica alternativa al lavoro remunerato secondo quanto contrattato dai sindacati sia la disoccupazione. I sindacati contrattano i salari cercando di otterere il meglio per i proprio iscritti. La forza del sindacato è tanto maggiore quanti più sono i suoi iscritti e quanto più basso è il tasso di disoccupazione. W è una funzione inversa In generale possiamo dire che il salario reale P W = f (u), f 0 < 0. Una formulazione di tale del tasso di disoccupazione u : P relazione inversa, in termini logaritmici, può essere: w − p = ω = b̄ + s(¯l − u) (4.8) dove b̄ è il sussidio di disoccupazione (in logaritmi) e s un indicatore del potere sindacale. I sussidi di disoccupazione, da un lato, hanno l’effetto di rendere più sopportabile la disoccupazione e sono buoni “ammortizzatori sociali” per la disocupazione temporanea; servono quindi a dare flessibilità al mercato del lavoro. Ma sussidi molto alti e “incodizionati” prolungano la durata della disoccupazione e possono portare alla cosiddetta “trappola della povertà”, cioè a una situazione in cui alcuni lavoratori preferiscono non accettare un lavoro e continuare a vivere con il sussidio di disoccupazione. Così perdono la possibilità di avviare una carriera lavorativa capace di portarli a redditi più elevati: rimangono, appunto, intrappolati nella povertà. D’altra parte, i sussidi offrono ai disoccupati la possibilità di rifiutare offerte che ritengono inadeguate e di continuare a cercare un lavoro migliore. Per trasformare la relazione (4.8) in una relazione tra salario reale e n, basta sfruttare la definizione di tasso di disoccupazione, per ottenere n = 48 4. Domanda e offerta aggregata nel lungo periodo II ω=w-p BRW b l 0 n FIGURE 4.5. l − u. Perciò ottenamo: ω = b̄ + sn che è la curva del salario reale contrattato o BRW (Bargained Real Wage). Tale curva si trova interamente a nord-ovest della curva di offerta di lavoro perfettamente concorrenziale, il che significa che in un mercato del lavoro sindacalizzato, per ogni dato salario reale, la quantità di lavoro che può essere assunta è inferiore rispetto a quella del mercato concorrenziale. Mettendo insieme la BRW e la PRW si ottiene il livello di occupazione di equilibrio, che dipenderà negativamente tanto dal potere di mercato delle imprese quanto dal potere di mercato dei sindacati e dal livello del sussidio di disoccupazione: f − z − b̄ n∗ = s 4.2.2 Salari di efficienza Alla base della teoria dei salari di efficienza c’è una semplice intuizione economica: non esiste alcuna certezza che il lavoratore effettui prestazioni lavorative e profonda sforzo nella misura desiderabile da parte dell’impresa. È quindi la stessa impresa a non avere convenienza a pagare di meno i propri 4. Domanda e offerta aggregata nel lungo periodo II ω=w-p 49 BRW f PRW f-z b u 0 n* l n FIGURE 4.6. occupati, pena una riduzione dello sforzo erogato e dell’output prodotto. I disoccupati potrebbero essere disposti a lavorare ad un salario inferiore a quello corrente, ma questa azione di giuoco al ribasso (underbidding) non sarebbe accettabile. Le imprese stesse sarebbero infatti contrarie ad una riduzione salariale che porterebbe ad un minore impegno dei lavoratori e finirebbe per deprimere i profitti.Vi sono varie ragioni per cui le imprese possono pagare salari più alti di quelli di mercato; le principali tra queste sono: 1- Ragioni nutrizionali (di particolare rilevanza nei paesi poveri). Bassi salari =⇒ scarsa nutrizione =⇒ bassa produttività; quindi alle imprese conviene mantenere alta la retribuzione anche in presenza di eccesso di offerta per mantenere alto il livello di produttività. 2- Costi di turnover. L’impresa può trovare conveniente disincentivare i lavoratori ad abbandonare l’impresa stessa perché il turnover dei lavoratori è costoso; l’impresa quindi fissa un salario che le consenta di minimizzare il costo del turnover. Poiché la probabilità che i lavoratori trovino un lavoro che paga un salario più elevato di quello che hanno cresce al crescere dell’occupazione, le imprese, per evitare il turn-over, dovranno pagare un salario reale più alto al crescere dell’occupazione / diminuire della disoccupazione. W/P = f (U ), f 0 (U ) < 0. 50 4. Domanda e offerta aggregata nel lungo periodo II 3- Impegno del lavoratore. L’impegno (sforzo) produttivo dei lavoratori non è direttamente monitorabile. I lavoratori sanno quanto si stanno impegnando, ma le imprese non lo sanno. C’è asimmetria informativa tra lavoratori e imprese. Pagare alti salari è un modo per rendere il licenziamento (se si verrà beccati) costoso e quindi per spingere i lavoratori ad impegnarsi. I lavoratori possono impegnarsi poco o tanto, una volta occupati, mentre l’impresa non sempre riesce a distringuere gli scansafatiche da quelli che si impegnano seriamente. Per disincentivare il comportamento degli scansafatiche l’impresa può rendere più costosa la perdita del lavoro a chi viene “sorpreso” a fare lo scansafatiche. Perciò l’impresa paga salari più elevati. La disoccupazione (o la minaccia di disoccupazione) ha la funzione di strumento di disciplina. dei lavoratori occupati. 4- Qualita del lavoratore. Alti salari attirano i lavoratori migliori: anche qui il problema è l’asimmetria informativa, perché l’impresa non può conoscere direttamente la qualità del lavoratori che fanno domanda di assunzione. La riduzione dei salari minimizza i costi nel breve periodo, ma può comportare una riduzione della produzione nel periodo medio lungo. Qui di seguito sviluppiamo, in forma assai semplificata, un modello dal quale emerge il salario di efficienza come strumento di disciplina dei lavoratori. Supponiamo che l’utilità dei lavoratori dipenda positivamente dal salario e negativamente dallo sforzo, o impegno lavorativo: v(ω, e) = ω − e. ω è il salario reale in logaritmi, mentre e è il logaritmo dello sforzo. Se un lavoratore viene licenziato, perché sorpreso a fare lo scansafatiche, riceve: z = gω ∗ + (1 − g)b̄ dove g= probabilità di trovare un altro lavoro, ω∗ salario reale medio dell’economia, b̄ sussidio di disoccupazione. Possiamo supporre che la probabilità di trovare un lavoro g = (1−u), perché è tanto più probabile trovare un altro lavoro quanto più bassa è la disoccupazione. L’utilità di fare lo scansafatiche dipende da ω ∗ , da z, ma anche dalla probabilità di essere beccato q: vs = qz + (1 − q)ω Affinché un lavoratore non trovi conveniente fare lo scansafatiche dovrà verificarsi: v(ω, e) > vs ovvero: ω − e > q(1 − u)ω ∗ + qu · b̄ + (1 − q)ω Imponendo che, in equilibrio, il salario pagato da tutte le imprese sia il medesimo (ω∗ = ω), avremo: ω − e > qω − quω + qu · b̄ + ω − qω 4. Domanda e offerta aggregata nel lungo periodo II ω=w-p 51 NSC f PRW f-z b u 0 l n* n FIGURE 4.7. e < qu(ω − b̄) e quindi: ω − b̄ > e qu In conclusione avremo: ω > b̄ + e e = b̄ + qu q(l − n) che è una relazione diretta, e non lineare, tra ω e n. Questa relazione è nota come condizione di non ozio (no shirking condition). Essa ci dice che il salario reale che le imprese sono disposte a pagare è tanto più elevato quanto: 1) più alto è il sussidio di disoccupazione b̄; 2) più alto è il sacrificio procurato dalla sforzo e; 3) più alta è l’occupazione n; 4) più bassa è la probabilità q di beccare gli scansafatiche. Comunque la SNC si trova al di sopra della curva di offerta di lavoro concorrenziale, con conseguente occupazione più bassa di quella concorrenziale. A livello macroeconomico la teoria dei salari di efficienza giunge a conclusioni analoghe a quelle ottenute con la teoria della contrattazione 52 4. Domanda e offerta aggregata nel lungo periodo II sindacale. È dunque la presenza di imperfezioni sul mercato del lavoro, indipendentemente dalla causa ultima dell’imperfezione, che ha effetti negativi sull’occupazione aggregata e sul tasso di disoccupazione. Le teorie esaminate sin qui non modificano il fatto che la curva AS nel lungo periodo è verticale, anche se spostata a sinistra, rispetto a quella di concorrenza perfetta. Quindi non c’è alcuna influenza della AD su y e n di equilibrio. La politica economica non può quindi influire sul PIL e l’occupazione di equilibrio se cerca di stimolare la domanda. Il problema non è rilevante in un mondo di concorrenza perfetta, dal momento che in quel mondo l’equilibrio che i mercati raggiungono spontaneamente è Pareto-efficiente. Ma così non è in concorrenza imperfetta. Qui l’equilibrio “spontaneo” non è efficiente: occupazione e PIL sono troppo bassi e quindi una politica economica finalizzata ad accrescere occupazione e PIL di lungo periodo sarebbe desiderabile. Chiaramente le politiche in grado di far spostare la AS verso destra devono essere in grado di influenzare il punto di incontro tra PRW e BRW (o tra PRW e NSC). Accenniamo qui di seguito a tre possibili forme di intervento potenzialmente capaci di raggiungere l’obiettivo desiderato. La prima forma di intervento è volta ad alzare la PRW. Per fare ciò si può promuovere la concorrenzialità dei mercati dei beni e dei servizi, cercando di ridurre per questa via il mark-up praticato dalle imprese. Condanna degli abusi di posizione dominante, delle intese volte a restringere la concoirrenza e liberalizzazioni in quei settori che sono stati a lungo protetti (come i servizi di pubblica utilità) sono le vie maestre di una politica per la concorrenza. Anche la seconda forma di intervento è volta ad alzare la PRW, ma non per via di una diminuzione di z, quanto per via di un aumento di f . E ciò è possibile con una politica di incentivazione e promozione dell’innovazione tecnologica e quindi della ricerca scientifica che ne costituisce la necessaria premessa. La terza forma di intervento è finalizzata ad abbassare la BRW. Cosa che si può ottenere cercando di comprimere il potere dei sindacati, riducendo il sussidio di disoccupazione o, più ragionevolmente, riducendo le imposte sui redditi. Nel nostro modello semplificato non abbiamo mai menzionato l’imposizione fiscale, ma nulla vieta di interpretare la BRW come la curva del salario lordo contrattato. Ma, naturalmente, l’obiettivo del sindacato e dei lavoratori è il salario al netto dell’imposizione fiscale. Una riduzione delle imposte sui redditi da lavoro, allora, garantirà di raggiungere un certo salario netto con un salario lordo più basso. Ne segue che per ogni livello di salario lordo la BRW sarà spostata verso sud-est e il punto di incontro con la PRW - a parità di altre condizioni - avverrà per livelli più elevati di n e 4. Domanda e offerta aggregata nel lungo periodo II 53 più bassi di u. 4.3 Esercizi Esercizio 1 L’economia è rappresentata dal seguente modello di concorrenza imperfetta in logaritmi: y = 5+n z = 2 ω = 1 + 0, 5n l = 5 dove tutte le variabili hanno i significati noti. a) Determinate l’occupazione, il prodotto e il tasso di disoccupazione di equilibrio di lungo periodo. b) Qual’è il valore della elasticità della domanda rispetto ai prezzi compatibile con il valore z = 2? c) Quale è l’effetto sul tasso di disoccupazione di una aumento del potere sindacale del 20%? Esercizio 2 Sia dato il seguente modello macroeconomico di lungo periodo: w−p=f −z w − p = b̄ + sn y = µ1 a + µ2 (m − p) Supponete che f = 4, b̄ = 1, 5, s = 0, 75, µ1 = 1, 2, µ2 = 2, 5, m = 10. (a) Calcolate il salario reale, l’occupazione, il prodotto aggregato e il livello dei prezzi di equilibrio di equilibrio. (b) Quale è l’impatto sull’equilibrio macroeconomico di (i) un aumento di µ2 da 2, 5 a 3? Esercizio 3 Considerate un modello macroeconomico di lungo periodo con concorrenza imperfetta, rendimenti costanti e mercato del lavoro sindacalizzato. I valori dei parametri siano quelli dell’Esercizio 2. a) Di quanto deve diminuire f perché si abbia una diminuzione del reddito del 5% b) Di quanto variano il prodotto e i prezzi se µ2 passa da 2, 5 a 2. Esercizio 4 Data una funzione di utilità del lavoratore del tipo U = ω − e, una probabilità di essere sorpresi a far flanella pari a 0,5, un salario di efficienza pari a 10 e un tasso di disoccupazione pari a 4, calcolate la disutilità dello sforzo compatibile con la “no-shirking condition”. 54 4. Domanda e offerta aggregata nel lungo periodo II