studi e opinioni - Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti

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studi e opinioni - Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti
Anno 13 – Numero 1
7 gennaio 2015
NORMATIVA, GIURISPRUDENZA, DOTTRINA E PRASSI
IL NUOVO DIRITTO
DELLE SOCIETÀ
D IRETTA
DA
O RESTE C AGNASSO
C OORDINATA
DA
E
M AURIZIO I RRERA
G ILBERTO G ELOSA
• LE BANCHE FALLIVANO ANCHE A ROMA: IL CRACK DI CALLISTO
ALL'EPOCA DI COMMODO
• LEVERAGED BUYOUT
• CRITERI STATUTARI DI LIQUIDAZIONE DELLE AZIONI
ItaliaOggi
DIREZIONE SCIENTIFICA
Oreste Cagnasso – Maurizio Irrera
COORDINAMENTO SCIENTIFICO
Gilberto Gelosa
La Rivista è pubblicata con il supporto degli Ordini dei Dottori
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Bergamo, Biella, Busto Arsizio, Casale Monferrato, Crema,
Cremona, Lecco, Mantova, Monza e Brianza, Verbania
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Garufi, Stefano Graidi, Alessandro Monteverde, Enrico Rossi, Riccardo Russo, Cristina
Saracino, Marina Spiotta, Andrea Sacco Ginevri, Maria Venturini
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO
Pietro Borsano, Elena Fregonara, Maria Antonietta Ligios
I saggi costituenti “Studi e Opinioni” sono sottoposti a blind referees, scelti tra
professori universitari
universitaricompetenti
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Comitato
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atti di
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convegni e degli scritti già pubblicati o di prossima pubblicazione è riservata ai
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Saranno
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pubblicazione è riservata ai Direttori.
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Ogni scritto è accompagnato da un abstract in italiano e in inglese. Vengono
pubblicati scritti, oltre che in italiano, in: inglese; francese; spagnolo e
portoghese.
INDICE
Pag.
STUDI E OPINIONI
Regolare l’economia: il difficile equilibrio fra diritto e mercato dall’antica
Roma alle odierne piazze finanziarie
Introduzione
di Maurizio Irrera
8
Le banche fallivano anche a Roma: il crack di Callisto all'epoca di
Commodo
di Maria Antonietta Ligios
11
Il leveraged buyout nell’ordinamento giuridico italiano. Modalità operative
e rapporti con la disciplina sui gruppi di imprese
di Pietro Borsano
53
COMMENTI A SENTENZE
I criteri statutari di liquidazione delle azioni e il principio del c.d. “going
concern”- (Cass. civ., 15 luglio 2014, n. 16168)
di Elena Fregonara
118
SEGNALAZIONI DI DIRITTO COMMERCIALE
123
SEGNALAZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO
131
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
4
SOMMARIO
STUDI E OPINIONI
Regolare l’economia: il difficile equilibrio fra diritto e mercato dall’antica Roma
alle odierne piazze finanziarie.
Introduzione
L’Autore presenta i saggi raccolti nel primo dei Quaderni RES.
di Maurizio Irrera
Le banche fallivano anche a Roma: il crack di Callisto all'epoca di Commodo
Il saggio analizza un passaggio tratto da Ippolito (ref. 9.12.1-9)riguardante
l’insolvenza di una banca posseduta dal liberto Carpoforo, un membro della comunità
cristiana. La banca fu gestita da Callisto uno schiavo di Carpoforo. La vicenda viene
analizzata giuridicamente sulla base degli orientamenti giurisiprudenziali in materia
di fallimento.
di Maria Antonietta Ligios
Il leveraged buyout nell’ordinamento giuridico italiano. Modalità operative e
rapporti con la disciplina sui gruppi di imprese
L’Autore affronta complessivamente l’istituto del merger leveraged buyout. Nel primo
capitolo, si sofferma sulla sua natura giuridica (con un riferimento al dibattito,
precedente la riforma del 2003, circa la sua liceità) e sui principali aspetti operativi.
Nel secondo capitolo esamina attentamente la disciplina positiva concepita dal
legislatore all’art. 2501-bis c.c., con particolare attenzione ai doveri degli
amministratori ed al concreto oggetto delle numerose relazioni previste dalla legge.
Nel terzo capitolo, infine, dopo aver delineato in breve i tratti della recente disciplina
sull’attività di direzione e coordinamento di imprese, ne traccia un raccordo con la
normativa sul merger leveraged buyout.
di Pietro Borsano
COMMENTI A SENTENZE
I criteri statutari di liquidazione delle azioni e il principio del c.d. “going
concern”- (Cass. civ., 15 luglio 2014, n. 16168)
La Corte di Cassazione nel valutare gli aspetti liquidatori nell’ambito di due clausole
di prelazione, da un lato, dichiara legittimo il rinvio al principio della continuità
aziendale, c.d. “going concern”, dall’altro lato, conferma la nullità della clausola che
faccia esclusivo riferimento al criterio del “giusto prezzo”.
di Elena Fregonara
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
5
INDEX-ABSTRACT
Page
STUDIES AND OPINIONS
Regulate the economy: the difficult balance between law and market
from ancient Rome to today's financial markets. Introduction
The Author presents the essays collected in the first of Notebooks RES.
by Maurizio Irrera
8
The banks also failed in Rome: the crack of Callisto at the time of
Commodus
The essay analyzes a passage by Hippolytus (ref. 9.12.1-9) dealing with the
insolvency of a bank owned by the freedman Carpophorus, a member of the
Christian community. The bank was managed by Carpophorus’ slave
Callistus. The juridical issues of the event are analyzed in the light of the
jurisprudential sources regarding bankruptcy.
by Maria Antonietta Ligios
11
The leveraged buyout in Italian law. Operating procedures and
relations with the discipline on enterprise groups
The Author studies the legal institute of merger leveraged buy out. In the
first chapter, he analyses its legal nature and main operative features. In the
second chapter, the Author peruses the regulation of merger leveraged buy
out under the Article 2501-bis of the Italian Civil Code. In particular, he
focuses on Directors’ duties and liabilities and on the instruments of
disclosure provided by the law.
In the third chapter, he outlines the characteristics of the legislation about
the guidance of corporate groups; finally, he examines the connection
between this legislation and the merger leveraged buyout.
by Pietro Borsano
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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
6
INDEX-ABSTRACT
COMMENTS ON JUDGEMENTS
The statutory liquidation: criteria of shares and the principle of the
"going concern" (Cass. civ., 15 luglio 2014, n. 16168)
The Supreme Court in assessing aspects liquidators in two pre-emption, on
the one hand, legitimates states the reference to going concern basis, cds
"going concern", on the other hand, confirms the invalidity of the clause
that makes exclusive reference to the criterion of "fair price".
by Elena Fregonara
118
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
REGOLARE L’ECONOMIA: IL
DIFFICILE EQUILIBRIO FRA DIRITTO
E MERCATO DALL’ANTICA ROMA
ALLE ODIERNE PIAZZE FINANZIARIE
- INTRODUZIONE di MAURIZIO IRRERA
I saggi raccolti nel presente volume1 possono apparire, di primo acchito, slegati
tra di loro; viceversa, pur appartenendo a studiosi di discipline diverse, storici del
diritto e di diritto positivo, appaiono collegati da un filo comune: mostrano come il
diritto dell’economia, in ogni tempo, abbia prospettato e prospetti tuttora questioni di
estremo interesse per la collettività.
Il saggio di apertura, di Maria Antonietta Ligios, prende in esame il caso storico
del fallimento di una “banca” nell’Antica Roma, in un quadro in cui “la complessità e il
rilievo del fenomeno creditizio nell’economia romana” sono ben testimoniati
dall’impiego di una varietà di termini per distinguere le diverse specifiche attività
finanziarie. La narrazione di Ippolito sul crack della banca amministrata dal cristiano
Callisto, schiavo del liberto imperiale Carpoforo, è di sicuro interesse. Da essa si
possono trarre indicazioni significative in ordine a molti profili che l’Autrice pone in
corretto risalto: il tipo di attività svolta, l’assetto organizzativo della banca, le cause
1
Lo scritto costituisce l’introduzione al 1° volume dei Quaderni del Centro studi
d’impresa Regolazione, Etica, Società (Centro RES) dal titolo Regolare l’economia: il
difficile equilibrio fra diritto e mercato dall’antica Roma alle odierne piazze
finanziarie.
Di detto volume questa Rivista ha già pubblicato il saggio di MARINA SPIOTTA,
Impresa ed etica: un ossimoro o un connubio indispensabile per uscire dalla crisi?, n.
18, p. 19. A partire dal presente numero, vengono pubblicati gli ulteriori saggi, partendo
dalla introduzione di MAURIZIO IRRERA e dal contributo di MARIA ANTONIETTA LIGIOS,
Le banche fallivano anche a Roma: il crack di Callisto all'epoca di Commodo.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
I QUADERNI RES – VOL. 1, INTRODUZIONE
della crisi e l’emersione della stessa, la condanna di Callisto e la posizione dei
creditori. Si tratta di argomenti che ancora oggi hanno a che fare con il diritto
fallimentare: l’insolvenza, le sue cause e le sue manifestazioni; le reazioni
dell’ordinamento al crack di un’impresa con rapporti diffusi; le dimensioni dell’attività
svolta e le iniziative concorsuali dei creditori.
Le Casse di Risparmio, che vengono costituite nel nostro paese a partire dai
primi decenni dell’Ottocento, sono il risultato, come sottolinea nel suo saggio Francesco
Campobello, delle idee filantropiche dell’illuminismo. Il problema giuridico che le ha
sempre accompagnate, almeno sino alla riforma Amato negli anni ’90 del secolo appena
trascorso, è stato quello di individuare una disciplina coerente con la loro funzione a
cavallo tra credito e beneficienza. Di particolare interesse sono i rilievi storici in ordine
all’humus sociale nel cui ambito esse vengono costituite pur nella diversità di situazioni
economiche e sociali e pur in un “contesto di attrito tra élite liberali ed enti
ecclesiastici”. Su questo crinale tra credito e beneficienza, come osserva l’Autore, si
sono giocate per decenni partite economiche di tutto rilievo.
I contratti differenziali, ovvero contratti a termine che hanno per oggetto soltanto
il pagamento di differenze, sono stati in Italia al centro, come rileva nel suo saggio di
Federico Alessandro Goria, di un acceso dibattito nei decenni a cavallo tra l’Ottocento e
il Novecento: la questione apicale era quella di stabilire se essi fossero da considerare
meritevoli di tutela giuridica piena o, viceversa, da ricondurre nel novero delle
scommesse. L’Autore conduce il lettore in un interessante viaggio a ritroso nel tempo, a
partire dalla Francia di Colbert per tornare al dibattito italiano. Il percorso storico
sembra mostrare come gli interventi, prima legislativi emergenziali (tesi a reprimere
scandali finanziari e superare crisi finanziarie) e poi giurisprudenziali, si siano via via
sviluppati nella ricerca di un complicato equilibrio tra la tutela di “concreti interessi
commerciali (di riduzione del rischio, facilitazione degli scambi e altro)” e la volontà di
non “arrendersi di fronte alle più azzardate manovre speculative”.
Anche gli studi di diritto positivo raccolti nel presente volume hanno un grande
interesse. Il saggio di Stefano Balzola offre uno stimolante panorama delle iniziative
assunte sul piano legislativo dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea per fronteggiare
l’uso puramente speculativo degli strumenti finanziari derivati ed, in particolare, dei
cosiddetti credit default swaps (CDS), ovvero “quei particolari contratti derivati con il
quale una parte contrattuale ‘trasferisce’ verso corrispettivo all’altra parte il rischio di
credito di un soggetto terzo”, stipulati al di fuori dei mercati regolamentati ossia over
the counter (OTC). Le misure adottate o in via di adozione, come l’Autore pone in
risalto, appaiono complesse e articolate e riflettono la difficoltà di “contenere” le attività
finanziarie speculative; si tratta dell’introduzione di quattro pilastri comuni che vanno
dall’imposizione di obblighi di compensazione (cosiddetto clearing) attraverso la
presenza di una specifica autorità di vigilanza all’obbligo di negoziazione dei derivati (o
almeno di una parte di essi) su mercati in qualche modo regolamentati, mentre per gli
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
9
STUDI E OPINIONI
I QUADERNI RES – VOL. 1, INTRODUZIONE
strumenti che rimangono over the counter si prevedono obblighi di marginalizzazione
e di collateralizzazione, tesi ad evitare la presenza di un’eccessiva leva finanziaria.
L’impressione, forse un po’ pessimistica, è che si stia tentando di chiudere la stalla
quando i buoi sono già scappati, in una sorta di inseguimento, senza fine, tra nuove
regole tese a regolare fenomeni speculativi e nuovi strumenti finanziari non ancora
disciplinati.
Il saggio di Alessandra Quarta offre un interessante spaccato su come un tema
cruciale per la collettività, quale la gestione dei servizi idrici, possa - nel volgere di poco
meno di vent’anni - essere regolato dall’ordinamento in modo diametralmente opposto
(una sorta di movimento a pendolo: pubblico-privato-pubblico), obbligando gli
operatori del diritto a far fronte ai mutamenti di politica legislativa con gli strumenti
tecnici a disposizione, non sempre adattabili allo scopo in modo agevole. E’ il caso
appunto della gestione dell’acqua per la quale a partire dal 1994 è parso auspicabile
l’affidamento, prima suggerito e poi imposto, a soggetti privati, per poi ritornare – non
prima di numerosi sobbalzi legislativi, refendari e di giustizia costituzionale – nel 2012
alla preferenza per una gestione pubblica delle risorse idriche. In tale contesto l’Autrice
presenta un caso paradigmatico ossia la trasformazione “atipica” di una società per
azioni in una “vecchia” azienda speciale con un processo a “gambero” denso di profili
problematici sul piano tecnico-giuridico.
L’ultimo saggio che compone il presente volume è di Marina Spiotta ed affronta
un tema dibattuto e controverso: il rapporto tra etica ed impresa. Il tentativo
apprezzabile dell’Autrice è quello, tra l’alto, di individuare – nell’ambito del diritto
societario – le norme in grado di orientare, in senso “etico”, la gestione dell’impresa; si
tratta di capire, ad esempio, se l’obbligo di correttezza – soprattutto - possa essere letto,
interpretato ed applicato in modo funzionale rispetto ai temi dell’etica. In tale contesto
la riscoperta negli Stati Uniti di un duty of obiedence a fianco dei tradizionali doveri di
diligenza (care) e fedeltà (loyalty) – in un paese nel quale l’ossessione per il profitto
l’ha sempre fatta da padrone – mostra in modo tangibile la necessità di un qualche
contemperamento che si estrinseca nell’obbligo in primis di rispettare la legge e dunque
– in fondo – i principi etici che ad essi sono sottostanti.
Una cavalcata dunque di sicuro interesse fra tanti temi, antichi, ma ancora vivi, o
nuovi, ma densi di significato profondo, tra banche insolventi dell’Antica Roma e Casse
di Risparmio “strabiche” (a cavallo tra credito e beneficenza); tra contratti differenziali
nella storia e contratti derivati contemporanei che hanno contribuito a causare una crisi
economica mondiale dalla quale non siamo ancora usciti; tra pubblico e privato nella
gestione di un bene primario come l’acqua; tra etica e profitto nella gestione dell’attività
d’impresa.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
LE BANCHE FALLIVANO ANCHE A
ROMA: IL CRACK DI CALLISTO
ALL'EPOCA DI COMMODO
Il saggio analizza un passaggio tratto da Ippolito (ref. 9.12.1-9)riguardante
l’insolvenza di una banca posseduta dal liberto Carpoforo, un membro della comunità
cristiana. La banca fu gestita da Callisto uno schiavo di Carpoforo. La vicenda viene
analizzata giuridicamente sulla base degli orientamenti giurisiprudenziali in materia di
fallimento.
di MARIA ANTONIETTA LIGIOS
1.
Premessa
La presenza a Roma di attività che oggi potremmo definire 'finanziarie', è
attestata fin da epoca assai risalente. Per esempio, Livio menziona l'esistenza di
tabernae argentariae nel foro già intorno al 310 a. C. 1. Per un periodo più recente, a
ridosso delle guerre puniche, abbiamo le ben note testimonianze di Plauto2.
In particolare, la crescente egemonia romana nel bacino del Mediterraneo, che
ha inizio con la vittoria nella I guerra punica, comporta una incisiva trasformazione
dell'economia e, di conseguenza, il credito assume il ruolo di fattore trainante delle
1
9.40.16; si vedano ancora 26.11.7 (211 a. C.); 26.27.2 (210 a. C.); 40.51.5 (179 a. C.).
2
Si vedano, per esempio, Asin. 436-440; Aulul. 525-530; Capt. 192-193; Cas. 25-28; Curc. 7179; 340-349; 419-436; 480; 506-511; 535-550; 617-618; 679-682; 721-722; Epid. 141-143;
Pers. 433-444; Trin. 425-427a; 964-966; Truc. 66-73. Ma si vedano anche Ter. Phorm. 921-922
e Polyb. 31.27.1-8; su questi passi, e più in generale sulle fonti letterarie attestanti il fenomeno,
si fa rinvio ad A. MASELLI, Argentaria. Banche e banchieri nella Roma repubblicana.
Organizzazione terminologia prosopografia, Bari 1986, 19 ss.; J. ANDREAU, La vie financière
dans le monde romain. Les métiers de manieurs d'argent (IVᵉ siècle av. J. C. - III ͤ siècle ap. J.
C.), Rome 1987, 61 ss.; M. A. PEÑALVER RODRIGUEZ, La banca en Roma, in Estudios en
homenaje al Profesor Juan Iglesias, Madrid 1988, III, 1537 ss.; A. PETRUCCI, Mensam
exercere. Studi sull'impresa finanziaria romana (II secolo a. C. - metà del III secolo d. C.),
Napoli 1991, 34 ss.; 67 ss.; P. SCHEIBELREITER, Das depositum in Plautus' Bacchides: Zu
einer frühen Quelle für die offene Verwahrung, in ZSS., 129 (2012), 206 ss.; 226 ss.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
sempre più numerose attività commerciali che si sviluppano, si consolidano e si
affermano a partire da questo periodo3.
La complessità e il rilievo del fenomeno creditizio nell'economia romana4 sono
riflesse nella stessa varietà di termini che designano sia il 'banchiere' in senso lato sia il
3
A. DI PORTO, Impresa collettiva e schiavo 'manager' in Roma antica (II sec. a. C. - II sec. d.
C.), Milano 1984, 32 s., elenca le diverse attività imprenditoriali che si affermano a partire da
questo periodo: a) la produzione agricola, che si trasforma, diventando da estensiva intensiva,
grazie all'apporto massiccio di manodopera servile, alla progressiva conquista di terre
coltivabili, all'introduzione di tecniche di coltivazione maggiormente produttive; b) le attività
commerciali tra la penisola italica e gli altri paesi del bacino del Mediterraneo; c) i trasporti,
soprattutto sulle vie d'acqua, sia marittime sia fluviali; d) le attività creditizie; e) le attività
produttive e artigianali. Sul punto si vedano anche F. SERRAO, Diritto privato, economia e
società nella storia di Roma, Napoli 1984, I, 4 ss.; 324 ss.; ID., L’impresa in Roma antica.
Problemi e discussioni, in Studi per Luigi De Sarlo, Milano 1989, poi in Impresa e
responsabilità a Roma nell'età commerciale, Ospedaletto (PI) 1989 e, infine, in Atti del
seminario sulla problematica contrattuale in diritto romano. Milano, 7-9 aprile 1987, (da cui si
cita), Milano 1990, II, 21 ss.; L. LABRUNA, Il diritto mercantile dei Romani e l'espansionismo,
in Le strade del potere. Maiestas populi romani Imperium Coercitio Potestas, (cur. A.
CORBINO), Catania 1994, 118 s.; P. CERAMI, Diritto commerciale romano: dalla prassi dello
scambio all'exercitio negotiationis, in SSE., 119 (2007), 244 ss.; ID., Introduzione allo studio
del diritto commerciale romano, in P. CERAMI, A. PETRUCCI, Diritto commerciale romano.
Profilo storico³, Torino 2010, 13 s.; 27 ss. Più in generale, sull'economia romana, tra i contributi
più recenti, si vedano: Quantifying the Roman Economy: Methods and Problems, (cur. A. K.
BOWMAN, A. I. WILSON), Oxford 2009, 213 ss.; Affari, finanza e diritto nei primi due secoli
dell'impero. Atti del convegno internazionale di diritto romano, Copanello, 5-8 giugno 2004,
(cur. F. MILAZZO), Milano 2012; C. HOLLERAIN, Shopping in Ancient Rome. The Retail
Trade in the Late Republic and the Principate, Oxford 2012, 11 ss.; 62 ss.; P. TEMIN, The
Roman Market Economy, Princeton 2013, 95 ss.; 193 ss.
4
Sulla materia si vedano: J. ANDREAU, Declino e morte dei mestieri bancari nel
Mediterraneo occidentale (II-IV D. C.), in Società romana e impero tardoantico. I. Istituzioni,
ceti, economia, (cur. A. GIARDINA), Roma-Bari 1980, 601 ss.; ID., La vie financière, cit.; ID.,
Banking and Business in the Roman World, Cambridge 1999; A. MASELLI, Argentaria, cit.; A.
BÜRGE, Fiktion und Wirklichkeit: Soziale und rechtliche Strukturen des römischen
Bankwesens, in ZSS., 104 (1987), 465 ss.; M. A. PEÑALVER RODRIGUEZ, La banca en
Roma, cit., 1531 ss.; A. PETRUCCI, Mensam exercere, cit.; ID., L'organizzazione delle imprese
bancarie alla luce della giurisprudenza romana del Principato, in Credito e moneta nel mondo
romano, (cur. E. LO CASCIO), Bari 2000, 99 ss.; ID., Profili giuridici delle attività e
dell'organizzazione delle banche romane, Torino 2002; ID., Per una storia della protezione dei
contraenti con gli imprenditori, Torino 2007, I, 155 ss.; ID., L'impresa bancaria: attività,
modelli organizzativi, funzionamento e cessazione, in Diritto commerciale romano³, 109 ss.; A.
FÖLDI, Dubbi ed ipotesi in tema della terminologia relativa ai banchieri romani, in Au-delà
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
professionista specializzato nell'esercizio di specifiche attività finanziarie5. Inoltre
l'esercizio delle attività creditizie e, in particolare, del prestito a interesse, non è
limitato a figure 'professionali'6, ma è ampiamente praticato da privati7 che in tal modo
investono proficuamente parte dei loro patrimoni e, soprattutto, i redditi scaturenti
dall'esercizio di attività produttive, in primis quelle agricole8.
des frontières. Mélanges de droit romain offerts à Witold Wolodkiewicz, Warszawa 2000, I, 207
ss.; M. J. GARCÍA GARRIDO, El comercio, los negocios y las finanzas en el Mundo Romano,
Madrid 2001, 32 ss.; A. M. GIOMARO, Mutuo, inadempimento e onere della prova nel diritto
commerciale romano, Fano (PU) 2012, 86 ss.; 102 ss.
5
A. PETRUCCI, Mensam exercere, cit., 19 ss.; 293 ss.; ID., Profili giuridici, cit., 13 ss.; ID.,
Per una storia della protezione, cit., 155 ss.; ID., L'impresa bancaria, cit., 109 ss., osserva come
tale varietà di termini corrisponda, almeno in origine, alle diverse specializzazioni degli
operatori professionali: il termine più antico è 'argentarius' (con il corrispondente greco
τραπεζίτης), che designa i primi banchieri operanti a Roma già dalla fine del IV secolo a. C.
Almeno a partire dal I secolo a. C. sono attestati 'nummularius', vale a dire il cambiavalute e il
saggiatore di monete, e 'coactor argentarius', che indica il professionista specializzato
nell'organizzazione delle vendite all'asta e che - all'interno di queste - può anche operare come
intermediatore creditizio tra i venditori e gli acquirenti, mentre 'mensarius' o 'mensularius'
designa sia il titolare di una banca, detta, appunto, 'mensa' (cui corrisponde il greco τράπεζα) sia
il cassiere di una banca pubblica. Di riflesso, le fonti qualificano di volta in volta l'impresa di
questi operatori professionali come 'argentaria' o 'nummularia'. A partire dalla fine del II secolo
d. C., il termine 'mensa', che in origine designava propriamente il banco o il tavolo sul quale il
banchiere lavorava, inizia a indicare anche la banca nel suo complesso, mentre la locuzione
'taberna argentaria' indica il locale predisposto per l'esercizio dell'impresa bancaria. M. A.
PEÑALVER RODRIGUEZ, La banca en Roma, cit., 1534, distingue quelli che chiama
banchieri privati (gli argentarii) dai banchieri pubblici (mensarii, nummularii, coactores
argentarii), senza però che ciò determini una rigida ripartizione delle specializzazioni e delle
attività tra i vari operatori finanziari. A rendere ancora più variegato e complesso il quadro
appena delineato si aggiunga che, nel corso dei secoli, alcuni tra questi termini mutarono il loro
significato originario, in conseguenza delle evoluzioni e dei cambiamenti che subirono le
attività esercitate da questi professionisti. Sul punto si vedano anche J. ANDREAU, Declino e
morte, cit., 601 ss.; ID., La vie financière, cit., 3 ss.; 61 ss.; 445 ss.; ID., Banking and Business,
cit., 30 ss.; A. MASELLI, Argentaria, cit., 19 ss.; 39 ss.; A. BÜRGE, Fiktion und Wirklichkeit,
cit., 467 ss.; 476 ss.; 484 ss.; A. FÖLDI, Dubbi ed ipotesi, cit., 207 ss.; M. J. GARCÍA
GARRIDO, El comercio, cit., 32 ss.
6
A. PETRUCCI, Mensam exercere, cit., 4, nota che l'attività di argentarius o di nummularius è
accessibile anche agli schiavi; non presuppone la cittadinanza romana; non è permessa alle
donne, almeno in epoca imperiale, ma è consentito loro di preporre institores a mensae delle
quali siano proprietarie e di costituire peculia a schiavi operanti in qualità di argentarii (su
questo punto si veda infra nel testo, al § 3); l'attività è altresì preclusa agli impuberes, ma è
accessibile ai minori di 25 anni.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
Dal punto di vista della disciplina giuridica, si devono segnalare, a partire
dall'epoca tardo-repubblicana, gli editti pretorî9, concernenti specificamente gli
argentarii, appunto i banchieri, e poi in età imperiale, a partire da Adriano,
7
A. PETRUCCI, Mensam exercere, cit., 9 ss.; ID., Per una storia della protezione, cit., 157, ne
stila un lungo elenco: I) operatori che erogano prestiti a interesse, talora in connessione con altre
attività, denominati sia feneratores sia negotiatores; II) uomini d'affari, che, in prima persona o
per mezzo di servi o filii, erogano prestiti a scadenza a inizio mese, mediante il kalendarium e il
connesso liber kalendarii; III) membri della nobilitas che pongono in essere complesse
operazioni finanziarie per mezzo di schiavi, liberti, clienti e amici; IV) societates publicanorum,
che, per conto dell'erario, trasferiscono denaro pubblico e gestiscono conti fruttiferi di fondi
dell'erario stesso da impiegare in attività di pubblico interesse; V) schiavi e liberti imperiali, che
operano per conto dei rispettivi domini e patroni; VI) tutori, che investono nel prestito a
interesse il denaro dei pupilli.
8
Il connubio agros colere/pecuniam faenerare ricorre di frequente nelle fonti letterarie, come
risulta - per esempio - da Plin. ep. 3.19.8; Tac. ann. 14.53.6; Sen. ep. 41.7; 87.7; Petr. satyr. 76;
sul punto si veda, per tutti, G. GILIBERTI. Legatum kalendarii. Mutuo feneratizio e struttura
contabile del patrimonio nell'età del principato, Napoli 1984, 1 ss.; 39 ss.
9
Si tratta degli editti concernenti: a) l'editio rationum, alla quale sono tenuti gli argentarii, per il
quale si veda O. LENEL, Das Edictum Perpetuum. Ein Versuch zu siener Wiederherstellung³,
Leipzig 1927, tit. III, § 9, 62 ss.; A. BÜRGE, Fiktion und Wirklichkeit, cit., 509 ss.; ID., Zum
Edikt De edendo, in ZSS., 112 (1995), 37 s.; J. ANDREAU, La vie financière, cit., 617 ss.; M.
A. PEÑALVER RODRIGUEZ, La banca en Roma, cit., 1546 ss.; A. PETRUCCI, Mensam
exercere, cit., 141 ss.; ID., L'impresa bancaria, cit., 191 ss.
b) il receptum argentarii, per il quale si veda O. LENEL, Das Edictum Perpetuum, cit., tit. XI, §
50, 132 ss.; A. BÜRGE, Fiktion und Wirklichkeit, cit., 527 ss.; M. A. PEÑALVER
RODRIGUEZ, La banca en Roma, cit., 1567 ss.; A. PETRUCCI, Mensam exercere, cit., 383
ss.; ID., L'impresa bancaria, cit., 143 ss.
c) l'agere cum compensatione, per il quale si veda O. LENEL, Das Edictum Perpetuum, cit., tit.
XVII, § 100, 256; M. A. PEÑALVER RODRIGUEZ, La banca en Roma, cit., 1551; A.
PETRUCCI, Mensam exercere, cit., 369 ss.; ID., L'impresa bancaria, cit., 203 ss.; P.
PICHONNAZ, La compensation. Analyse historique et comparative des modes de compenser
non conventionnels, Fribourg 2001, 9 ss.; 127 ss.
d) l'exceptio mercis non traditae, l'exceptio redhibitionis e l'exceptio pecuniae pensatae, per le
quali si vedano O. LENEL, Das Edictum Perpetuum, cit., tit. XLIV, § 272, 503 ss.; A.
PETRUCCI, In margine a Gai 4,126a. Osservazioni sulla exceptio mercis non traditae e la
praedictio ne aliter emptori res traderetur quam si pretium solverit in un'auctio argentaria, in
Vincula Iuris. Studi in onore di Mario Talamanca, Napoli 2001, VI, 313 ss.
ID., Per una storia della protezione, cit., 158 ss.
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IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
l'affermazione della competenza extra ordinem del praefectus urbi10 (che così si affianca a quella del pretore nell'ordo iudiciorum privatorum), per quelle liti nelle quali
una delle parti sia un argentarius o un nummularius11.
10
La competenza extra ordinem del praefectus urbi per le liti nella quali una della parti sia un
argentarius è attestata in due passi del Digesto; il primo è D. 1.12.2 (Paul. l. sing. de off. praef.
urbi): Adiri etiam ab argentariis vel adversus eos ex epistula divi Hadriani et in pecuniariis
causis potest.
[Secondo un'epistola del divino Adriano (il prefetto all'urbe) può essere adito anche dagli
argentarii o contro di essi e anche nelle cause pecuniarie].
Il secondo testo è D. 1.12.1.9 (Ulp. l. sing. de off. praef. urbi): Praeterea curare debebit
praefectus urbi, ut nummularii probe se agant circa omne negotium suum et temperent his, quae
sunt prohibita.
[Inoltre il prefetto all'urbe dovrà curare che i nummularii si comportino correttamente in merito
a ogni loro negozio e si astengano da quelli che sono proibiti].
A. PETRUCCI, L'impresa bancaria, cit., 112 ss., ipotizza che dapprima il prefetto all'urbe
avesse i compiti menzionati nel testo di Ulpiano - e pertanto vigilasse sul comportamento dei
banchieri e sanzionasse, all'occorrenza, l'esercizio di attività negoziali proibite - e poi, a partire
da Adriano, alle competenze originarie si sia aggiunta quella per le liti nelle quali una delle parti
fosse un argentarius o un nummularius e questo per la "necessità di accordare protezione ai
nuovi negozi della prassi bancaria, soprattutto i depositi irregolari produttivi di interessi, che
molti giuristi avevano difficoltà ad inquadrare negli schemi esistenti, e quindi nelle
corrispondenti azioni predisposte dal pretore". Sulla competenza del praefectus urbi si vedano
anche A. DELL'ORO, I libri de officio nella giurisprudenza romana, Milano 1960, 246; D.
MANTOVANI, Sulla competenza penale del «praefectus urbi» attraverso il «liber singularis»
di Ulpiano, in Idee vecchie e nuove sul diritto criminale romano, (cur. A. BURDESE), Padova
1988, 171 ss.; J. DE CHURRUCA, Die Gerichtsbarkeit des praefectus urbi über die argentarii
im klassischen römischen Recht, in ZSS., 108 (1991), 304 ss.; L. SOLIDORO MARUOTTI,
Aspetti della 'giurisdizione civile' del «praefectus urbi» nell'età severiana, in Labeo, 39 (1993),
174 ss.; 228 ss.; A. PETRUCCI, L'impresa bancaria, cit., 112 ss.
11
Ulteriori indicazioni sono offerte, per quanto riguarda specificamente l'attività dei coactores
argentarii, cioè dei banchieri specializzati nell'organizzazione delle vendite all'asta, dalle
tavolette degli archivi di Lucio Cecilio Giocondo e della famiglia dei Sulpicii, per le quali si fa
rinvio a G. CAMODECA, L'archivio pompeiano dei Sulpici, I, Napoli 1992; ID., Tabulae
Pompeianae Sulpiciorum. Edizione critica dell'archivio puteolano dei Sulpici, Roma 1999; P.
GRÖSCHLER, Die tabellae. Urkunden aus den pompejanischen und herkulanensischen
Urkundenfunden, Berlin 1997; J. G. WOLF, Der neue pompejanische Urkundenfund, in ZSS.,
118 (2001), 78 ss.; K. VERBOVEN, The Sulpicii from Puteoli and usury in the early Roman
empire, in TR., 71 (2003), 10 ss. Più in generale, sulle auctiones argentariae, si vedano M.
TALAMANCA, Contributi allo studio delle vendite all'asta nel mondo classico, in Memorie
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STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
In questo contributo, tra i tanti aspetti concernenti l'esercizio dell'attività
bancaria, concentrerò l'attenzione sul tema del dissesto della banca.
L'obiettivo è cercare di chiarire quali fattori economici o di mercato potevano
determinare la crisi di una banca e quali procedure giudiziarie conseguivano allo stato di
crisi, quando cioè il dissesto era conclamato e i creditori lamentavano l'insolvenza del
banchiere.
2.
La narrazione di Ippolito
Si può provare ad affrontare queste tematiche ripercorrendo la vicenda del
fallimento della banca amministrata da Callisto, schiavo del liberto imperiale
Carpoforo12, vicenda che si svolse a Roma sotto Commodo, probabilmente nel 188 d.
C.13, e che all'epoca dovette destare un certo scalpore, specialmente all'interno della
comunità cristiana.
Partiamo dalla lettura della fonte che ce ne riporta ampia notizia: si tratta del Κατὰ
πασῶν αἱρέσεων ἔλεγχος (o Refutatio omnium haeresium) attribuito a Ippolito
dell'Accademia Nazionale dei Lincei, VIII serie, vol. 6, Roma 1954; A. PETRUCCI, In margine
a Gai. 4,126a, cit., 313 ss.; ID., Per una storia della protezione, cit., 158 ss.; ID., L'impresa
bancaria, cit., 126 ss.; M. GARCÍA MORCILLO, Las ventas por subasta en el mundo romano:
la esfera privada, Barcelona 2005.
12
Dovrebbe trattarsi di M. Aurelius Aug. libertus Carpophorus, citato in CIL. VI, 13040.
L'identificazione è considerata sicura da S. MAZZARINO, Religione ed economia sotto
Commodo e i Severi. Premesse sulla 'democratizzazione' della cultura nella tarda antichità, in
Annuario dell'Istituto Universitario di Magistero di Catania, 11 (1957/58), poi in Antico, tardo
antico ed era costantiniana, (da cui si cita), Città di Castello (PG) 1974, I, 55; H. GÜLZOW,
Christentum und Sklaverei in den ersten drei Jahrhunderten, Bonn 1969, 152, nt. 3; J.
ANDREAU, La vie financière, cit., 631, nt. 107; A. TORRENT, Turbulencias financieras en
época de Cómodo: la quiebra de la banca de Calisto, in AUPA., 56 (2013), 186. Più cauto J. DE
CHURRUCA, La quiebra de la banca del cristiano Calisto (ca. 185-190), in Seminarios
Complutenses de derecho romano, 3 (1991), 69, il quale ritiene l'identificazione verosimile.
13
Sulla datazione della vicenda il margine di dubbio è assai ristretto, poiché Seio Fusciano,
menzionato nel testo come praefectus urbi, dovette rivestire la carica nel 188-189; sul punto si
vedano G. VITUCCI, Ricerche sulla praefectura urbi in età imperiale, Roma 1956, 118; H.
GÜLZOW, Christentum und Sklaverei, cit., 158, nt. 7; R. BOGAERT, Changeurs et banquiers
chez les Pères de l'Église, in Ancient Society, 4 (1973) 253; J. DE CHURRUCA, Die
Gerichtsbarkeit des praefectus urbi, cit., 310; ID., La quiebra de la banca, cit., 66 s.; F. P.
RIZZO, Un esempio di banca nella Chiesa antica, in La civiltà cattolica, 160, I, quad. 3807
(2009), 265; A. TORRENT, Turbulencias financieras, cit., 192, nt. 54.
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Romano14, un'opera pervasa da un astio profondo nei confronti di Callisto, dettato sia
dalle divergenze dottrinarie sia dalla concorrenza tra i due personaggi per conseguire il
primato nella comunità cristiana di Roma, ulteriormente esacerbato dal fatto che
Callisto, dapprima schiavo, poi liberto, al culmine di una vita assai movimentata
divenne papa dal 217 al 22215, andando infine incontro al martirio, linciato della plebe
inferocita contro i cristiani.
Il brano che qui interessa è ref. 9.12.1-916:
1. Οἰκέτης ἐτύγχανε Καρποφόρου τινός, ἀνδρὸς πιστοῦ ὄντος ἐκ τῆς Καίσαρος
οἰκίας. τούτῳ ὁ Καρποφόρος, ἅτε δὴ ὡς πιστῷ, χρῆµα οὐκ ὀλίγον
14
Sull'attribuzione dell'opera a Ippolito Romano e sulla personalità di questi si vedano, per tutti,
J. DE CHURRUCA, La quiebra de la banca, cit., 64 ss.; A. BRENT, Hippolytus & the Roman
Church in the Third Century. Communities in Tension before the Emergence of a MonarchBishop, Leiden - New York - Köln 1995; E. CASTELLI, L'Elenchos, ovvero una «biblioteca»
contro le eresie, in Ippolito, Confutazione di tutte le eresie, (trad. it., cur. A. MAGRIS), Brescia
2012, 21 ss.; 46 ss.; A. TORRENT, Turbulencias financieras, cit., 187 ss.
15
Sul punto si vedano A. HAMEL, Kirche bei Hippolyt von Rom, Gütersloh 1951, 125 ss.; K.
BEYSCHLAG, Kallist und Hippolyt, in Theologische Zeitschrift, 20 (1964), 115 ss.; H.
GÜLZOW, Christentum und Sklaverei, cit., 147 ss.; R. BOGAERT, Changeurs et banquiers,
cit., 253; F. P. RIZZO, Un esempio di banca, cit., 264 ss.; A. TORRENT, Turbulencias
financieras, cit., 192 s.
16
Ed. M. MARCOVICH, Berlin-New York, 1986, 350-352. La bibliografia sul brano è assai
ampia, anche per le diverse tematiche che esso implica: H. GÜLZOW, Christentum und
Sklaverei, cit., 142 ss., lo ha considerato in riferimento alla posizione degli schiavi nel
Cristianesimo primitivo; R. BOGAERT, Changeurs et banquiers, cit., 252 ss., ha privilegiato il
profilo relativo all'atteggiamento del Cristianesimo nei confronti del mondo degli affari e della
finanza; E. CASPAR, Geschichte des Papstums, Tübingen 1930, I, 25 ss.; A. HAMEL, Kirche
bei Hippolyt, cit., 61 ss.; K. BEYSCHLAG, Kallist und Hippolyt, cit., 103 ss., se ne sono
occupati in ricerche di storia della dogmatica cristiana; S. MAZZARINO, Religione ed
economia, cit., 54 ss.; M. MAZZA, Lotte sociali e restaurazione autoritaria nel 3° secolo d. C.,
Catania 1970, 328 s.; F. DE MARTINO, Storia economica di Roma antica, Firenze 1979, II,
364 s., hanno posto le vicende della banca di Callisto in stretta correlazione con la cattiva
congiuntura finanziaria che si sarebbe creata durante il regno di Commodo (sul punto si veda
infra al § 4); J. DE CHURRUCA, Die Gerichtsbarkeit des praefectus urbi, cit., 310; ID., La
quiebra de la banca, cit., 61 ss.; A. PETRUCCI, Mensam exercere, cit., 366 ss.; 392; A.
TORRENT, Turbulencias financieras, cit., 183 ss., si sono soffermati sui profili giuridici, in
particolare su quelli relativi all'assetto organizzativo della banca, al ruolo giocato da Callisto (in
merito, si fa rinvio infra al § 3), al tipo di negozi che lo stesso Callisto concludeva con i clienti
della banca (sui quali si veda infra al § 6) e al processo che questi subisce dinanzi al praefectus
urbi Seio Fusciano (sul punto si veda infra al § 7).
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
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κατεπίστευσεν, ἐπαγγειλάµενος κέρδος προσοίσειν ἐκ πραγµατείας τραπεζιτικῆς· ὃς
λαβὼν τράπεζαν ἐπεχείρηςεν ἐν τῇ λεγοµένῃ Πισκίνῃ πουπλικῇ. ᾧ οὐκ ὀλίγαι
παραθῆκαι τῷ χρόνῳ ἐπιστεύθησαν ὑπὸ χηρῶν καὶ ἀδελφῶν προσχήµατι τοῦ
Καρποφόρου· ὁ δὲ ἐξαφανίσας τὰ πάντα ἠπόρει. οὗ ταῦτα πράξαντος οὐκ
ἔλιπεν ὃς ἀπαγγείλῃ τῷ Καρποφόρῳ, 2. ὁ δὲ ἔφη ἀπαιτ<ήσ>ειν λόγους παρ'
αὐτοῦ. ταῦτα <δὲ> συνιδὼν ὁ Κάλλιστος καὶ τὸν παρὰ τοῦ δεσπότου κίνδυνον
ὑφορώµενος, ἀπέδρα τὴν φυγὴν κατὰ θάλασσαν ποιούµενος· ὃς εὑρὼν πλοῖον
ἐν τῷ Πόρτῳ ἕτοιµον πρὸς ἀναγωγήν, ὅποι <ἂν> ἐτύγχανε πλέον ἀνέβ(η)
πλευσόµενος. ἀλλ'οὐδὲ οὕτως λαθεῖν δεδύνηται. οὐ γὰρ ἔλιπεν ὃς ἀπαγγείλῃ τῷ
Καρποφόρῳ τὸ γεγε/νηµένον. 3. ὁ δὲ ἐπιστὰ(ς) κατὰ τὸν λιµένα ἐπειρᾶτο ἐπὶ τὸ
πλοῖον ὁρµᾶν κατὰ <τὰ> µεµ(η)νυµένα· τοῦτο γὰρ ἦν ἑστὸς ἐν µέσῳ τῷ λιµένι.
τοῦ δὲ πορθµέως βραδύνοντος, ἰδὼν πόρρωθεν ὁ Κάλλιστος τòν δεσπότην, ὢν
ἐν τῷ πλοίῳ καὶ γνοὺς ἑαυτὸν συνειλῆφθαι, ἠφείδησε τοῦ ζῆν καὶ ἔσχατα ταῦτα
λογισάµενος <εἶναι> ἔρριψεν ἑαυτὸν εἰς τὴν θάλασσαν. 4. οἱ δὲ ναῦται
καταπηδήσαντες εἰς τὰ σκάφη ἄκοντα αὐτὸν ἀνείλοντο, τῶν δὴ ἀπὸ τῆς γῆς
µεγάλα βοώντων, καὶ οὕτως τῷ δεσπότῃ παραδοθεὶς ἐπανήχθη εἰς τὴν Ῥώµην.
ὃν ὁ δεσπότης εἰς πιστρῖνον κατέθετο.
5. Χρόνου δὲ διελθόντος, ὡς συµβαίνει γίνεσθαι, προσελθόντες ἀδελφοὶ
παρεκάλουν τὸν Καρποφόρον, ὅπως ἐξαγάγῃ τῆς κολάσεως τὸν δραπέτην,
φάσκοντες αὐτὸν ὁµολογεῖν ἔχειν παρά τισι χρῆµα ἀποκείµενον. 6. ὁ δὲ
Καρποφόρος, ὡς εὐλαβής, τοῦ µὲν ἰδίου ἔλεγεν ἀφειδεῖν, τῶν δὲ παραθηκῶν
φροντίζειν - πολλοὶ γὰρ αὐτῷ ἀπεκλαίοντο λέγοντες ὅτι τῷ αὐτῦ προσχήµατι
ἐπίστευσαν τῷ Καλλίστῳ ἃ πεπιστεύκεισαν -, καὶ πεισθεὶς ἐκέλευσεν ἐξαγαγεῖν
αὐτόν. 7. ὁ δὲ µηδὲν ἔχων ἀποδιδόναι, καὶ πάλιν ἀποδιδράσκειν µὴ δυνάµενος
διὰ τὸ φρουρεῖσθαι, τέχνην θανάτου ἐπενόησε καὶ σαββάτῳ, σκηψάµενος
ἀπιέναι ὡς ἐπὶ χρεώστας, ὥρµησεν ἐπὶ τὴν συναγωγὴν τῶν Ἰουδαίων
συνηγµένην καὶ στὰς κατεστασίαζεν αὐτῶν. οἱ δὲ καταστασιασθέντες (ὑ)π ̓
αὐτοῦ, ἐνυβρίσαντες αὐτὸν καὶ πληγὰς ἐµφορήσαντες ἔσ(υ)ρον ἐπὶ τὸν
Φουσκιανόν, ἔπαρχον ὄντα τῆς πόλεως. 8. ἀπεκρίναντο δὲ τάδε· Ῥωµαῖοι
συνεχώρησαν <µὲν> ἡµῖν τοὺς πατρῴους νόµους δηµοσίᾳ ἀναγινώσκειν,
οὗτος δὲ ἐπεισελθὼν / ἐκώλυε καταστασιάζων ἡµῶν, φάσκων εἶναι Χριστιανός.
τοῦ δὲ Φο<υ>σκιανοῦ πρὸ βήµατος τυγχάνοντος καὶ τοῖς ὑπὸ <τῶν>
Ἰουδαίων λεγοµένοις κατὰ τοῦ Καλλίστου ἀγανακτοῦντος, οὐκ ἔλιπεν ὁ
ἀπαγγείλας τῷ Καρποφόρῳ τὰ πρασσόµενα. 9. ὁ δὲ σπεύσας ἐπὶ τὸ βῆµα τοῦ
ἐπάρχου ἐβόα· δέοµαι, κύριε Φουσκιανέ, µὴ σ<ὺ> αὐτῷ πίστευε· οὐ γάρ ἐστι
Χριστιανός, ἀφορµὴν δὲ ζητεῖ θανάτου χρήµατά µου πολλὰ ἀφανίσας, ὡς
ἀποδείξω. τῶν δὲ Ἰουδαίων ὑποβολὴν τοῦτο νοµισάντων, ὡς ζητοῦντος τοῦ
Καρποφόρου ταύτῃ τῇ προφάσει ἐξελέσθαι αὐτόν, µᾶλλον ἐπιφθόνως
κατεβόων τοῦ ἐπάρχου. ὁ δὲ κινηθεὶς ὑπ' αὐτῶν, µαστιγώσας αὐτὸν ἔδωκεν εἰς
µέταλλον Σαρδονίας.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
[1. Si dà il caso che (Callisto) lavorasse come schiavo di un certo Carpoforo, un
fedele della casa dell'imperatore. Carpoforo gli affidò considerando che era
fedele, una somma non piccola di denaro con l'incarico di farla fruttare
mediante operazioni finanziarie; questi accettò e avviò una banca nella
cosiddetta Piscina Pubblica. Col tempo gli furono affidati non pochi depositi
da vedove e confratelli grazie alla reputazione di Carpoforo, ma Callisto perse
tutto e rimase senza un quattrino. Di questo suo comportamento non mancò
chi presentasse denuncia a Carpoforo, 2. il quale rispose che gliene avrebbe
chiesto conto. Callisto, venuto a sapere ciò e temendo il pericolo da parte del
padrone, scappò dandosi alla fuga per mare: trovata una nave al Porto pronta
per la partenza, si imbarcò per navigare ovunque capitasse che la nave fosse
diretta. Eppure nemmeno così poté restare nascosto: non era mancato, infatti,
chi denunciasse a Carpoforo quanto era accaduto. 3. Questi, saputolo, fece del
suo meglio per raggiungere in fretta il molo ove, secondo quanto gli era stato
raccontato, la nave si trovava; in effetti il vascello era alla fonda in mezzo al
porto. Poiché il capitano tardava a salpare, Callisto, dalla tolda, scorse in
lontananza il padrone e, sapendo che sarebbe stato catturato, non ebbe
riguardo della vita: conscio che ormai era la fine, si gettò in mare. 4. I marinai
saltati nelle scialuppe tirarono su Callisto a viva forza, mentre alcuni urlavano
alto da terra, e così, dopo essere stato riconsegnato al padrone, fu riportato a
Roma. Il padrone lo mise a lavorare al mulino. 5. Trascorso del tempo, come
suole accadere, vennero alcuni confratelli per chiedere a Carpoforo di liberare
dalla punizione il fuggitivo, dicendo che questi sosteneva di aver prestato del
denaro a certa gente. 6. Carpoforo allora, da uomo pio, rispose che non gli
interessava del proprio denaro, ma gli importava dei depositi altrui (molti, infatti, venivano a piangere da lui dicendo che proprio per la reputazione di
Carpoforo avevano dato a Callisto il denaro presso di lui investito) e,
persuaso, ordinò che fosse liberato. 7. Callisto non avendo nulla da restituire e
non potendo scappare via di nuovo poiché era sorvegliato, escogitò un modo
per morire e un sabato, facendo finta di andare dai debitori, si diresse verso la
sinagoga dov'erano riuniti gli Ebrei e qui, alzatosi, cominciò a polemizzare
con loro. Quelli che avevano subìto le sue provocazioni, dopo averlo insultato
e bastonato, lo portarono da Fusciano, il prefetto all'Urbe. 8. Si difesero in
questo modo: mentre i Romani ci concessero di professare in pubblico le
leggi dei padri, costui, arrivato qua, ce lo impediva mettendoci in agitazione,
affermando d'essere un cristiano. Mentre Fusciano presiedeva il tribunale ed
era in collera per ciò che gli Ebrei dicevano contro Callisto, non mancò una
persona che andasse da Carpoforo a raccontare quanto era accaduto. 9.
Questi, corso al tribunale del prefetto, si mise a gridare: "Ti prego, signore
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
Fusciano, di non credere a quello lì: non è per niente un cristiano, ma cerca un
pretesto di morte poiché ha perduto molti soldi miei, come dimostrerò". Siccome
gli Ebrei credevano che fosse una finzione (come se Carpoforo con questo
pretesto volesse far in modo che Callisto fosse liberato) urlavano con ancor
più foga davanti al prefetto. Fusciano, istigato da costoro, dopo averlo fatto
flagellare condannò Callisto ai lavori forzati nelle miniere della Sardegna]17.
I punti da chiarire nella vicenda narrata da Ippolito sono sostanzialmente cinque:
I) l'assetto organizzativo impresso da Carpoforo alla banca gestita da Callisto, suo
schiavo, con particolare riguardo al ruolo di questi;
II) le cause che scatenano la crisi della banca;
III) il meccanismo che si innesta nel momento in cui tale crisi si manifesta in tutta
la sua gravità, con l'insolvenza di Callisto nei confronti dei creditori della banca;
IV) la tipologia di attività negoziali poste in essere da Callisto con la clientela;
V) se e come i creditori della banca vedono riconosciute le proprie pretese.
3.
L’assetto organizzativo della banca e il ruolo di Callisto
Procediamo con ordine, richiamando di volta in volta i passaggi del testo dai
quali partire per le nostre riflessioni e, all'occorrenza, gli ulteriori elementi offerti dalle
fonti giuridiche in materia.
L'attività di Callisto inizia quando il suo dominus Carpoforo gli affida una
significativa somma di denaro da far fruttare in operazioni finanziarie, aventi la propria
sede in una banca aperta presso la cosiddetta Piscina Pubblica: per l'esattezza, l'attività
iniziale della banca consiste nel prestito feneratizio, cioè nel prestito a interesse (ref.
9.12.1).
In seguito, Callisto non si limita a concedere prestiti, ma inizia a ricevere
depositi da vedove e confratelli18, i quali sono incoraggiati ad avvalersi dei servizi
offerti dalla banca dalla retta reputazione di cui gode Carpoforo; questo profilo, che
emerge a più riprese nel corso della narrazione di Ippolito (ref. 9.12.1;6), è decisivo per
comprendere non solo il ruolo giocato da Callisto all'interno dell'impresa bancaria da lui
gestita, ma anche le vicende della banca a lui affidata, in ordine alle quali Ippolito è
17
La traduzione è tratta da Ippolito, Confutazione di tutte le eresie, cit., 310 s.
18
Secondo R. BOGAERT, Changeurs et banquiers, cit., 254 e J. DE CHURRUCA, La quiebra
de la banca, cit., 78, Ippolito menzionerebbe le vedove per rimarcare l'odiosità della condotta di
Callisto.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
20
STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
talora reticente, essendo più attento, nel corso della sua narrazione, a cercare di metter
in cattiva luce il suo antagonista19.
Ora, come tutte le imprese (negotiationes)20 'terrestri', quella bancaria21 può
presentare almeno due distinti assetti organizzativi: impresa individuale o impresa
19
Si veda in tal senso F. P. RIZZO, Un esempio di banca, cit., 267 s.: "Ma della fallimentare
esperienza bancaria neppure un accenno. Eppure, il richiamarla come prova dell'immoralità e
dell'inettitudine del personaggio avrebbe offerto al facondo narratore il destro per togliere
credibilità alle capacità imprenditoriali di cui Callisto sembrò presto dar prova nel sovrintendere
a quelle catacombe che porteranno sempre il suo nome, e che Ippolito menziona come
occasione di disonesti ricavi".
20
Sulla materia si veda, da ultima, M. A. LIGIOS, Nomen negotiationis. Profili di continuità e
di autonomia della negotiatio nell'esperienza giuridica romana, Torino 2013, 11 ss., alla quale
si fa rinvio per la precedente bibliografia. La nozione di negotiatio è desumibile soprattutto dai
passi nei quali il termine si affianca al verbo exercere - D. 1.18.6.4 (Ulp. 1 op.); D. 14.3.11.3
(Ulp. 28 ad ed.); D. 14.4.5.15-16 (Ulp. 29 ad ed.); D. 26.7.58 pr. (Scaev. 2 resp.); D. 32.65 pr.
(Marcian. 7 inst.); D. 33.7.23 (Ner. 2 resp.); D. 38.1.45 (Scaev. 2 resp.); D. 40.9.10 (Gai. 1 rer.
cott.); D. 50.6.6[5].8 (Call. 1 de cogn.) - e dai testi nei quali la locuzione 'exercere negotium'
assume lo stesso significato di 'exercere negotiationem' - D. 4.9.3.2 (Ulp. 14 ad ed.); D.
14.3.19.1-2 (Pap. 3 resp.); D. 26.7.47.6 (Scaev. 2 resp.); D. 26.7.58 pr. (Scaev. 11 dig.); D.
32.65 pr. (Marcian. 7 inst.); D. 37.14.18 (Scaev. 4 resp.); D. 38.1.38.1 (Call. 3 ed. mon.); D.
50.5.8.1 (Pap. 1 resp.); P. S. 2.8.1. Tra questi brani è fondamentale D. 32.65 pr. (Marcian. 7
inst.): Legatis servis exceptis negotiatoribus Labeo scripsit eos legato exceptos videri, qui
praepositi essent negotii exercendi causa, veluti qui ad emendum locandum conducendum
praepositi essent: cubicularios autem vel obsonatores vel eos, qui piscatoribus praepositi sunt,
non videri negotiationis appellatione contineri: et puto veram esse Labeonis sententiam.
[Essendo stati legati gli schiavi, a eccezione dei negotiatores, Labeone scrisse che paiono
esclusi dal legato quegli schiavi che fossero stati preposti all’esercizio di un negotium, come per
esempio quelli che fossero stati preposti a comprare, locare, prendere in conduzione: comunque
i camerieri o gli addetti ad acquistare le derrate alimentari per la dispensa di casa o quelli
preposti ai pescatori, non sembrano riconducibili alla denominazione di negotiatio: e ritengo che
sia vera la pronuncia di Labeone].
Il passo concerne un legato di 'servis exceptis negotiatoribus': Labeone, del quale Marciano
riporta adesivamente il pensiero, ritiene che siano esclusi dalla disposizione gli schiavi addetti
all'esercizio di un negotium, come quelli che siano stati preposti alla conclusione di contratti di
compravendita e di locazione-conduzione, mentre non rientrerebbero nella nozione di
negotiatores, e sarebbero pertanto ricompresi nel legato, gli schiavi addetti al servizio della casa
padronale, come i camerieri e gli addetti all'acquisto delle cibarie, nonché i preposti agli schiavi
pescatori. È interessante notare come Labeone proceda in maniera differente alla
determinazione delle due categorie di schiavi: gli schiavi negotiatores sono individuati
genericamente sulla base del riferimento al genere di attività contrattuale posta in essere con i
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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collettiva; peraltro, nell'impresa bancaria collettiva, basata su un contratto di societas
fra gli argentarii o i nummularii, i socii sono tenuti tra loro da un regime di solidarietà
attiva e passiva e di reciproca rappresentanza22, che costituisce un'eccezione rispetto al
regime ordinario del contratto di societas. Nel caso in esame, comunque, non v'è dubbio
terzi, mentre gli schiavi che non rivestono tale qualifica sono designati, sia pure a titolo
esemplificativo, con il preciso riferimento al tipo di attività prestata al servizio del testatore. Si
può pertanto ipotizzare, con tutte le cautele del caso, che il giurista abbia avuto a disposizione,
per la pronuncia della sua sententia, delle notizie piuttosto circostanziate sugli schiavi di
proprietà del disponente: questi, forse, era proprietario di una numerosa familia di schiavi
addetti a vario titolo alla cura della domus ed era titolare di un'attività ittica di dimensioni
probabilmente rilevanti, come indurrebbe a ritenere la menzione dei piscatoribus praepositi,
cioè degli schiavi predisposti per dirigere e coordinare l'attività di pesca svolta dalla
manovalanza. Questi schiavi sarebbero ricompresi nel legato poiché non pongono in essere in
maniera continuativa e professionale - e quindi con fine di lucro - attività negoziali con terzi; ciò
vale anche per gli obsonatores, che concludono abitualmente contratti di compravendita per
l'acquisto delle cibarie, ma senza il fine di lucro, dato che le derrate sono destinate al consumo
domestico, e per i piscatoribus praepositi, che pur partecipando a un'attività qualificabile come
imprenditoriale, sono addetti a una fase prodromica rispetto a quella della commercializzazione
del pescato e, pertanto, non sono qualificabili come negotiatores. Secondo la pronuncia di
Labeone, quindi, il legato avrebbe ricompreso queste tre categorie di schiavi e, più in generale,
quelli che non concludevano contratti di compravendita e di locazione-conduzione, inerenti,
verosimilmente, all'attività di pesca della quale era titolare il testatore. Ciò induce altresì a
ritenere che, sempre per Labeone, l'ambito degli schiavi negotiatores non sia limitato solo a
coloro che 'ad emendum locandum conducendum praepositi essent', ma possa ricomprenderne
anche altri, come quelli preposti all'esercizio professionale di attività finanziarie, come
risulterebbe da D. 14.3.5.2 (Ulp. 28 ad ed.): Labeo quoque scripsit, si quis pecuniis faenerandis,
agris colendis, mercaturis redempturisque faciendis praeposuerit, in solidum eum teneri.
[Anche Labeone scrisse, che se qualcuno abbia preposto uno a dare del denaro in prestito a
interesse, a coltivare dei campi, a esercitare il commercio e gli appalti, egli è tenuto per l'intero].
Ciò consente di affermare con un buon margine di sicurezza che, almeno dall'ultima età
repubblicana, gli operatori professionali esercenti attività finanziarie o i preposti a queste dai
titolari siano qualificati come negotiatores.
21
Sulla qualifica di negotiatores attribuita ai banchieri e, più in generale, agli operatori
finanziari, si veda A. BÜRGE, Fiktion und Wirklichkeit, cit., 488 ss.
22
Come risulta da D. 2.14.25 (Paul. 3 ad ed.); D. 2.14.27 pr. (Paul. 3 ad ed.); D. 2.14.9 pr.
(Paul. 62 ad ed.); D. 4.8.34 pr. (Paul. 13 ad ed.); rhet. ad Her. 2.13.9. P. CERAMI, Impresa e
societas nei primi due secoli dell'Impero, in AUPA., 52 (2007-2008), poi in Affari, finanza e
diritto, (da cui si cita), 198, osserva che "la ragion d'essere della solidarietà (attiva e passiva)
degli argentarii socii verso i terzi è data dal fatto che i loro crediti, simul facta, sono da
computare - come sottolinea espressamente Paolo (D. 2.14.9 pr.; D. 4.8.34 pr.) - come uno solo,
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
22
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che ci troviamo dinanzi a un'impresa individuale, avente quale unico titolare
Carpoforo, il quale però non esercita l'attività in prima persona, ma per mezzo di un
suo schiavo di fiducia, Callisto. Ed è proprio la posizione di questi ad apparire incerta,
poiché nel caso in cui l'impresa sia esercitata non direttamente dal titolare (o dai titolari,
dato che l'alternativa sussiste anche nel caso di impresa collettiva), ma da un soggetto
sottoposto alla sua potestas, figlio o servo23, sono configurabili due diversi assetti
organizzativi:
giacché uno solo è il debito: 'quorum nomina simul facta sunt: unius loco numerabuntur, quia
unum debitum est' (D. 2.14.9 pr.)". Sulla societas argentariorum si vedano: F. SERRAO, Sulla
rilevanza esterna del rapporto di società in diritto romano, in Studi in onore di Edoardo
Volterra, Milano 1971, V, e poi in F. SERRAO, Impresa e responsabilità, (da cui si cita), 65
ss.; M. J. GARCÍA GARRIDO, La sociedad de los banqueros ("societas argentaria"), in Studi
in onore di Arnaldo Biscardi, Milano 1982, III, 373 ss.; A. BÜRGE, Fiktion und Wirklichkeit,
cit., 519 ss.; M. MONTANARI, Impresa e responsabilità. Sviluppo storico e disciplina positiva,
Milano 1990, 21 ss.; A. PETRUCCI, Mensam exercere, cit., 334 ss.; ID., L'impresa bancaria,
cit., 182 ss.; F. S. MEISSEL, Societas. Strukturen und Typenvielfalt des römischen
Gesellschaftsvertrages, Frankfurt am M. 2004, 155 ss.; P. CERAMI, Diritto commerciale
romano, cit., 258 ss.; ID., Introduzione, cit., 83 s.
23
L'impiego preponderante da parte degli uomini di affari di soggetti sottoposti alla loro
potestas (filii e servi) nell'esercizio delle negotiationes costituisce, a partire almeno dal II secolo
a. C., la caratteristica più significativa e peculiare dell'economia romana, che avrebbe portato
alla creazione da parte del pretore delle cosiddette actiones adiecticiae qualitatis. La
bibliografia in materia è ricchissima, si vedano, in particolare, solo in riferimento alla
produzione scientifica degli ultimi decenni: A. DI PORTO, Impresa collettiva, cit., 19 ss.; ID., Il
diritto commerciale romano. Una «zona d'ombra» nella storiografia romanistica e nelle
riflessioni storico-comparative dei commercialisti, in Nozione formazione e interpretazione del
diritto dall'età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al Professor Filippo Gallo,
Napoli 1997, III, 420 ss.; ID., Filius, servus e libertus, strumenti dell'imprenditore romano, in
Imprenditorialità e diritto nell'esperienza storica. Erice, 22-25 novembre 1988, (cur. M.
MARRONE), Palermo 1992, poi in P. CERAMI, A. DI PORTO, A. PETRUCCI, Diritto
commerciale romano. Profilo storico², (da cui si cita), Torino 2004, 77 ss.; A.
KIRSCHENBAUM, Sons, Slaves and Freedmen in Roman Commerce, Jerusalem - New York
1987, 1 ss.; F. SERRAO, L'impresa in Roma antica, cit., 21 ss.; A. WACKE, Die adjektizischen
Klagen im Überblick. Erster Teil: von der Reeder- und der Betriebsleiterklage zur direkten
Stellvertretung, in ZSS., 111 (1994), 280 ss.; A. FÖLDI, Remarks on the legal structure of
enterprises in Roman law, in RIDA., 43 (1996), 179 ss.; ID., Eine alternative
Annäherungsweise: Gedanken zum Problem des Handelsrechts in der römischen Welt, in
RIDA., 48 (2001), 65 ss.; DE LIGT, Legal History and Economic History: the Case of the
'actiones adiecticiae qualitatis', in T., 67 (1999), 218 ss.; M. MICELI, Sulla struttura formulare
delle 'actiones adiecticiae qualitatis', Torino 2001, 7 ss.; EAD., Institor e procurator nelle fonti
romane dell'età preclassica e classica, in IURA, 53 (2002) [pubbl. 2005], 69 ss.; EAD., Studi
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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- quello imperniato sulla preposizione institoria, per il quale il titolare dell'impresa
bancaria, nomina un institor24, figlio o servo - ma in epoca imperiale anche un estraneo
sulla «rappresentanza» nel diritto romano, Milano 2008, I, 31 ss.; G. COPPOLA BISAZZA,
Dallo iussum domini alla contemplatio domini. Contributo allo studio della storia della
Rappresentanza, Milano 2008, 89 ss.; P. CERAMI, Diritto commerciale romano, cit., 36 ss.;
ID., Introduzione, cit., 9 ss.; 27 ss.; 36 ss.; B. ABATINO, G. DARI-MATTIACCI, E.
PEROTTI, Early Elements of the Corporate Form: Depersonalization of Business in Ancient
Rome, in Oxford Journal of Legal Studies, 31 (2011), 10 ss.
24
Nelle fonti in nostro possesso sono conservate tre definizioni di institor; la prima è enunciata
da Ulpiano in D. 14.3.3 (Ulp. 28 ad ed.): Institor appellatus est ex eo, quod negotio gerendo
instet: nec multum facit, tabernae sit praepositus an cuilibet alii negotiationi,
(L'institore è chiamato così da questo, che persiste nella gestione di un negotium: né fa molta
differenza, se sia preposto a una taberna o a qualsiasi altra negotiatio);
la seconda, sempre di Ulpiano, è riportata in D. 14.3.5 pr. (Ulp. 28 ad ed.): Cuicumque igitur
negotio praepositus sit, institor recte appellabitur.
(Dunque, a qualsiasi negotium sia stato preposto, sarà chiamato giustamente institore);
la terza definizione è enunciata da Paolo in D. 14.3.18 (Paul. l. sing. de var. lect.): Institor est,
qui tabernae locove ad emendum vendendumve praeponitur quique sine loco ad eundem actum
praeponitur.
(L'institore è colui il quale è stato preposto a una taberna o a un altro luogo per comprare e
vendere e chi sia stato preposto alla stessa attività senza un luogo determinato).
Sulla nozione di institor si vedano: P. FABRICIUS, Der gewaltfreie Institor im klassischen
römischen Recht, Würzburg 1926, 7 ss.; 17 ss.; 26 ss., al quale si fa rinvio per la bibliografia
precedente; G. LONGO, Actio exercitoria, actio institoria, actio quasi institoria, in Studi in
onore di Gaetano Scherillo, Milano 1972, II, 610 ss.; K. VISKY, L'affranchi comme institor, in
BIDR., 22 (1980), 202 ss.; 207 ss.; G. HAMZA, Aspetti della rappresentanza negoziale in
diritto romano, in Index, 9 (1980), 202 ss.; H. WAGNER, Zur wirtschaftlichen und rechtlichen
Bedeutung der Tabernen, in Studi in onore di Arnaldo Biscardi, III, 402 ss.; A. DI PORTO,
Impresa collettiva, cit., 37 ss.; 63 ss.; ID., Il diritto commerciale romano, cit., 413 ss.; A.
KIRSCHENBAUM, Sons, Slaves and Freedmen, cit., 90 ss.; F. SERRAO, L'impresa in Roma
antica, cit., 42; 46; ID., Impresa, mercato, diritto. Riflessioni minime, in Mercati permanenti e
mercati periodici nel mondo romano. Atti degli Incontri capresi di storia dell'economia antica
(Capri, 13-15 ottobre 1997), (cur. E. LO CASCIO), Bari 2000, 35 ss.; A. WACKE, Die
adjektizischen Klagen, cit., 289 ss.; 311 ss.; J.-J. AUBERT, Business Managers in Ancient
Rome. A Social and Economic Study of Institores, 200 B.C. - A.D. 250, Leiden - New York Köln 1994, 5 ss.; 52 ss.; A. FÖLDI, Remarks on the legal structure, cit., 186 ss.; ID., Eine
alternative Annäherungsweise, cit., 78 ss.; A. PETRUCCI, Neque enim decipi debent
contrahentes. Appunti sulla tutela dei contraenti con un'impresa nel diritto romano
tardorepubblicano e del principato, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell'esperienza
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
24
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rispetto alla sua sfera potestativa25 - alla gestione della banca26 o comunque di
un'attività finanziaria27; nel caso di insolvenza dell'institor, i terzi con i quali questi
giuridica storica e contemporanea. Atti del Convegno internazionale di studi in onore di
Alberto Burdese, (Padova - Venezia - Treviso, 14-15-16 giugno 2001), (cur. L. GAROFALO),
Padova 2003, III, 91 ss.; ID., Ulteriori osservazioni sulla protezione dei contraenti con gli
institores ed i magistri navis nel diritto romano dell'età commerciale, in IURA, 53 (2002), ma
[pubbl. 2005], 18 ss.; ID., Per una storia della protezione, cit., 9 ss.; ID., Disciplina processuale
delle negotiationes e ius controversum, in Ius controversum e processo fra tarda repubblica ed
età dei Severi. Atti del Convegno (Firenze, 21-23 ottobre 2010), (cur. V. MAROTTA, E.
STOLFI), Roma 2012, 82 ss.; M. MICELI, Sulla struttura formulare, cit., 185 ss.; EAD.,
Institor e procurator, cit., 57 ss.; EAD., L'actio institoria e l'azione concessa al preponente
contro i terzi che hanno negoziato con un preposto libero, in Studi in onore di Giovanni
Nicosia, Milano 2007, V, 369 ss.; EAD., Studi sulla «rappresentanza», cit., 31 ss.; 363 ss.; M.
A. LIGIOS, «Taberna», «negotiatio», «taberna cum instrumento» e «taberna instructa» nella
riflessione giurisprudenziale classica, in «Antecessori oblata». Cinque studi dedicati ad Aldo
Dell'Oro (con, in appendice, un inedito di Arnaldo Biscardi), Padova 2001, 35 ss.; EAD.,
Nomen negotiationis, cit., 21 ss.; G. COPPOLA BISAZZA, Dallo iussum domini, cit., 163 ss.;
183 ss.; A. CAMPANELLA, Brevi riflessioni su D. 50.16.185 (Ulp. 28 ad ed.). Profili
terminologici-concettuali della definizione ulpianea di taberna instructa e locuzioni
sostanzialmente equivalenti nella riflessione giurisprudenziale romana tra il I sec. a. C. e il III
d. C., in Diritto@Storia, 8 (2009), 1 ss.; P. CERAMI, Introduzione, cit., 42 ss.; 48 ss.; 56 ss.; R.
MARTINI, Relazione di sintesi, in Affari, finanza e diritto, 467 ss.
25
In merito alla condizione personale dei preposti, sia institores sia magistri navium, la dottrina
si è attestata su due posizioni contrastanti: alcuni Autori ritengono che, in un primo momento, le
azioni institoria ed exercitoria sarebbero state esperibili solo nel caso in cui i preposti fossero
stati soggetti alla potestas, dominica o patria, del preponente e che solo a partire da un secondo
momento sia stato possibile impiegarle anche nel caso di preposti estranei rispetto alla sfera
potestativa del preponente; si vedano in tal senso P. FABRICIUS, Der gewaltfreie Institor, cit.,
7 ss.; G. PUGLIESE, In tema di «actio exercitoria», in Labeo, 8 (1958), poi in Studi in onore di
F. Messineo, Milano 1958, IV, infine in Scritti giuridici scelti. II. Diritto romano, (da cui si
cita), Napoli 1985, 505 s. e nt. 1; F. DE MARTINO, v. 'Exercitor', in NNDI., Torino 1960, VI,
1089; A. DI PORTO, Impresa collettiva, cit., 24; 37 ss.; M. TALAMANCA, Istituzioni di
diritto romano, Milano 1990, 85 s.; 267; M. MICELI, Institor e procurator, cit., 69 s.; A.
PETRUCCI, Per una storia della protezione, cit., 14; P. CERAMI, Introduzione, cit., 47; M. A.
LIGIOS, Nomen negotiationis, cit., 26 s. e nt. 11. Altri Autori, invece, sostengono che, fin dal
momento della loro creazione, queste azioni sarebbero state esperibili anche nel caso in cui il
preponente si fosse avvalso di preposti estranei, cioè sui iuris o sottoposti alla potestas di un
terzo; si vedano in tal senso A. WATSON, The Law of Obligations in the Later Roman
Republic, Oxford 1965, 192; M. KASER, Das römische Privatrecht. Erster Abschnitt. Das
altrömische, das vorklassische und klassische Recht², München 1971, 608, nt. 27; G. HAMZA,
Aspetti della rappresentanza, cit., 211 s.; A. WACKE, Die adiektizischen Klagen, cit., 295 ss.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
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avesse concluso negozi compresi nell'ambito della praepositio, avrebbero convenuto in
giudizio il preponente con l'actio institoria28; questi, se condannato, avrebbe dovuto
26
Per dei casi di preposizione institoria a una banca, è indicativa la lettura di D.14.3.5.3 (Ulp. 28
ad ed.): Sed et si in mensa habuit quis servum praepositum, nomine eius tenebitur.
[Ma anche se uno ha preposto un servo a una mensa, sarà tenuto in nome di quello].
D. 14.3.19.1 (Pap. 3 resp.): Si dominus, qui servum institorem apud mensam pecuniis
accipiendis habuit, post libertatem quoque datam idem per libertum negotium exercuit,
varietate status non mutabitur periculi causa.
[Se il proprietario, che abbia preposto uno schiavo come institore a una mensa per ricevere
versamenti in denaro, anche dopo avergli fatto conseguire la libertà si sia avvalso del liberto per
esercitare lo stesso negotium, la sua condizione di rischio e pericolo non si modificherà a
seguito della variazione di status (dell'institore)].
D. 14.3.20 (Scaev. 5 dig.): Lucius Titius mensae nummulariae quam exercebat habuit libertum
praepositum: is Gaio Seio cavit in haec verba: 'Octavius Terminalis rem agens Octavii Felicis
Domitio Felici salutem. habes penes mensam patroni mei denarios mille, quos denarios vobis
numerare debebo pridie kalendas Maias.' quaesitum est, Lucio Titio defuncto sine herede bonis
eius venditis an ex epistula iure conveniri Terminalis possit. respondit nec iure his verbis
obligatum nec aequitatem conveniendi eum superesse, cum id institoris officio ad fidem mensae
protestandam scripsisset.
[Lucio Tizio ha avuto come preposto alla mensa nummularia che esercitava un liberto: costui ha
disposto in uno scritto a Caio Seio secondo queste parole: 'Ottavio Terminale incaricato d'affari
di Ottavio Felice saluta Domizio Felice. Tu hai presso la mensa del mio patrono mille denari,
che dovrò versarvi il giorno prima delle calende di maggio'. Si è chiesto se, essendo morto
Lucio Tizio senza erede ed essendo stati venduti i suoi beni, Terminale possa essere convenuto
in giudizio a causa della lettera. (Scevola) rispose che da quelle parole egli non è né obbligato
sulla base del diritto né è conforme a equità convenirlo in giudizio, poiché le ha scritte nello
svolgimento dei suoi compiti di institore per attestare l'impegno (a pagare) della mensa].
27
Si è già accennato al fatto che, nel mondo economico romano, l'esercizio delle attività
finanziarie non era appannaggio esclusivo degli operatori professionali, qualificati nelle fonti
come argentarii, nummularii, ecc., ma anche di soggetti che, in prima persona o mediante
preposti in qualità di institores, praticavano il prestito a interesse come modalità di investimento
di una parte del proprio patrimonio. Esemplare, a questo proposito, il caso del cosiddetto 'superpreposto' trattato in D. 14.3.5.2 (Ulp. 28 ad ed.), per il quale si fa rinvio supra alla nt. 20, in
fine.
28
La nozione di actio institoria è enunciata in Gai. 4.71: ... Institoria vero formula tum locum
habet, cum quis tabernae aut cuilibet negotiationi filium servumve aut quemlibet extraneum sive
servum sive liberum praeposuerit, et quid cum eo eius rei gratia cui praepositus est contractum
fuerit. Ideo autem institoria vocatur, quia qui tabernae praeponitur institor appellatur ...
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
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rispondere in solidum, cioè illimitatamente, per le obbligazioni assunte dal preposto29;
- quello imperniato sulla concessione di un peculium30 da parte del titolare della banca,
[... In verità la formula institoria trova applicazione, quando qualcuno abbia preposto a una
taberna o a qualsiasi altra negotiatio un figlio o un servo o un qualsiasi estraneo sia servo sia
libero, e qualcosa sia stato contratto con lui in rapporto all'attività alla quale è preposto. Per
questo infatti è chiamata institoria, perché chi è stato preposto alla taberna è chiamato institore
...]
e in I. 4.7.2-2a:
2. ... institoria tunc locum habet, cum quis tabernae forte aut cuilibet negotiationi servum
praeposuerit et quid cum eo eius rei causa, cui praepositus erit, contractum fuerit. ideo autem
institoria appellatur, quia qui negotiationibus praeponuntur institores vocantur. 2a. Istas tamen
duas actiones praetor reddit et si liberum quis hominem aut alienum servum navi aut tabernae
aut cuilibet negotiationi praeposuerit, scilicet quia eadem aequitatis ratio etiam eo casu
interveniebat.
[2. ... l'(azione) institoria trova applicazione, quando qualcuno abbia preposto per
esempio a una taberna o a qualsiasi altra negotiatio uno schiavo e si sia concluso
qualche contratto con lui in rapporto all'attività alla quale sarà stato preposto. Per questo
infatti è chiamata institoria, perché coloro i quali sono preposti alle negotiationes sono
chiamati institori. 2a. Tuttavia il pretore concede queste due azioni anche se qualcuno
abbia preposto un uomo libero o un servo altrui alla nave o a una taberna o a qualsiasi
altra negotiatio, naturalmente perché la stessa ragione di equità interveniva anche in
quel caso].
Sull'actio institoria si vedano gli Autori citati supra alle ntt. 23-25.
29
Secondo l'autorevole ricostruzione di O. LENEL, Das Edictum Perpetuum, cit., 263, questo
sarebbe il testo dell'actio institoria: Quod Aˢ Aˢ de Lucio Titio, cum is a Nº Nº tabernae
instructae praepositus esset, eius rei nomine decem pondo olei emit, q. d. r. a., quidquid ob eam
rem Lucium Titium Aº Aº dare facere oportet ex fide bona, eius iudex Nᵐ Nᵐ Aº Aº c. s. n. p. a.
[Poiché A. Agerio ha comprato da L. Tizio, essendo stato questi preposto da N. Negidio a una
taberna instructa, per il nome di quell'attività dieci libbre di olio, in ordine alle quali si agisce,
con riguardo a qualsiasi cosa che per tale causa L. Tizio è opportuno che dia e faccia secondo
buona fede, il giudice condanni N. Negidio a favore di A. Agerio, se non risulti, lo assolva].
30
Le fonti in nostro possesso conservano diverse definizioni di peculium: D. 15.1.4 pr. (Pomp. 7
ad Sab.); D. 15.1.5.3-4 (Ulp. 29 ad ed.); D. 15.1.7 pr. (Ulp. 29 ad ed.); D. 15.1.9.2-3 (Ulp. 29 ad
ed.); D. 15.1.39 (Flor. 11 inst.); D. 15.1.40 (Marcian. 5 reg.); D. 15.1.49 pr. (Pomp. 4 ad Q.
Muc.); D. 15.2.3 (Pomp. 4 ad Q. Muc.); D. 32.79.1 (Cels. 9 dig.). Su questi passi si vedano gli
Autori citati infra alla nt. 32.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
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pater o dominus, rispettivamente al figlio o al servo, affinché il sottoposto lo impieghi
nella gestione della banca31; nel caso di insolvenza del filius o del servus peculiatus, i
terzi avrebbero convenuto in giudizio il pater o il dominus con l'actio de peculio et de in
rem verso32; questi, se condannato, avrebbe dovuto rispondere per le obbligazioni
31
Per un caso di gestione di una banca interna al peculium, è utile la lettura di D.
2.13.4.2-3 (Ulp. 4 ad ed.): 2. Sed et filius familias continetur his verbis, ut vel ipse
cogatur edere: an et pater, quaeritur. Labeo scribit patrem non cogendum, nisi sciente
eo argentaria exercetur: sed recte Sabinus respondit tunc id admittendum, cum patri
quaestum refert. 3. Sed si servus argentariam faciat (potest enim), si quidem voluntate
domini fecerit, compellendum dominum edere ac perinde in eum dandum est iudicium,
ac si ipse fecisset. sed si inscio domino fecit, satis esse dominum iurare eas se rationes
non habere: si servus peculiarem faciat argentariam, dominus de peculio vel de in rem
verso tenetur: sed si dominus habet rationes nec edit, in solidum tenetur.
[2. Ma anche il figlio di famiglia è ricompreso in queste parole ('gli esercenti un'impresa
bancaria'), in modo che egli stesso sia costretto a esibire (i conti); ci si chiede se lo sia
anche il padre. Labeone scrive che il padre non può essere costretto, salvo che egli non
fosse a conoscenza che il figlio esercitava l'impresa bancaria: ma correttamente Sabino
rispose che ciò sia da ammettere, in tanto in quanto il figlio devolve il guadagno al
padre. 3. Ma se un servo eserciti l'impresa bancaria (infatti lo può), se lo avrà fatto per
volontà del proprietario, (rispose che) si debba costringere il proprietario a esibire (i
conti) e si debba dare l'azione contro di lui, come se avesse operato egli stesso. Ma se (il
servo) operò all'insaputa del proprietario, basta che il proprietario giuri di non avere
quei conti. Se il servo eserciti l'impresa bancaria per mezzo del peculio, il proprietario è
tenuto nei limiti del peculio o di quanto riversato nel suo patrimonio; ma se il
proprietario ha i conti e non ne fa l'esibizione, è tenuto per l'intero].
32
Sul peculium cosiddetto profettizio e sull'actio de peculio et de in rem verso si vedano G.
MICOLIER, Pécule et Capacité Patrimoniale. Etude sur le pécule, dit profectice, depuis l'édit
"de peculio" jusqu'à la fin de l'époque classique, Lyon 1932, 7 ss.; - al quale si fa rinvio per la
bibliografia precedente -; G. E. LONGO, Appunti critici in tema di peculio, in SDHI., 1 (1935),
392 ss.; I. BUTI, Studi sulla capacità patrimoniale dei «servi», Napoli 1976, 13 ss.; 147 ss.; R.
ASTOLFI, Studi sull'oggetto dei legati in diritto romano, Padova 1979, III, 1 ss.; B.
ALBANESE, Le persone nel diritto privato romano, Palermo 1979, 150 ss.; G. FABRE,
Libertus. Recherches sur le rapports patron-affranchi à la fin de la république romaine, Rome
1981, 271 ss.; Y. THOMAS, Pécule et honores de fils de famille, in MEFRA., 94 (1982), 527
ss.; A. BURDESE, Controversie giurisprudenziali in tema di capacità degli schiavi, in Studi in
onore di Arnaldo Biscardi, I, 147 ss.; ID., Considerazioni in tema di peculio c. d. profettizio, in
Studi in onore di Cesare Sanfilippo, Milano 1982, I, 71 ss.; 83 ss.; L. AMIRANTE, Lavoro di
giuristi sul peculio. Le definizioni da Quinto Mucio a Ulpiano, in Studi in onore di Cesare
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
28
STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
assunte dal figlio o dal servo limitatamente al peculium o alla versio in rem, cioè nei limiti dell'eventuale arricchimento derivante dall'attività negoziale del sottoposto.
Ora, il testo di Ippolito non chiarisce il dubbio circa la qualifica di Callisto, forse
anche perché la lingua greca non ha consentito l'impiego della terminologia tecnica che
sul punto sarebbe risolutiva. D'altro canto, lo stesso testo presenta degli elementi che
potrebbero essere addotti a sostegno di entrambe le soluzioni:
a) il fatto che Carpoforo affidi a Callisto una rilevante somma di denaro, affinché
la faccia fruttare mediante operazioni finanziarie, e che quest'ultimo eserciti questa
attività con così ampia autonomia da andare oltre l'originario incarico (che sembrerebbe
limitato al prestito feneratizio) e iniziare a ricevere depositi da clienti, sembra indurre a
ritenere che Callisto sia un servus peculiatus33;
b) d'altro canto, il dominus non si limita ad affidare a Callisto la somma di
denaro, ma lo insedia in un edificio situato nel quartiere di Piscina Pubblica, nel quale
Sanfilippo, III, 3 ss.; A. DI PORTO, Impresa collettiva, cit., 42 ss.; 207 ss.; ID., Il diritto
commerciale romano, cit., 420 ss.; A. KIRSCHENBAUM, Sons, Slaves and Freedmen, cit., 31
ss.; 47 ss.; F. SERRAO, L'impresa in Roma antica, cit., 23 ss.; 28 ss.; A. WACKE, Peculium
non ademptum videtur tacite donatum: zum Schicksal des Sonderguts nach der
Gewaltentlassung, in IURA, 42 (1991), 33 ss.; ID., Die Notbedarfseinrede des enterbten
Haussohns. Wirkungen der Erbschaftsausschlagung für das peculium und Abwicklung der
Pekuliarschulden bei Beendigung der Hausgewalt, in SDHI., 60 (1994), 469 ss.; ID., Le pécule:
patrimoine du père ou propriété du fils? Le destin du pécule après la fin de la puissance
domestique, in Estudios de derecho romano y moderno en cuatro idiomas, Arganda del Rey
(Madrid) 1996, 163 ss.; A. FÖLDI, Remarks on the legal structure, cit., 188 ss.; A. PETRUCCI,
I servi impuberum esercenti attività imprenditoriali nella riflessione della giurisprudenza
romana dell'età commerciale, in Societas - Ius. Munuscula di allievi a Feliciano Serrao, Napoli
1999, 218 ss.; ID., Per una storia della protezione, cit., 79 ss.; M. MICELI, Sulla struttura
formulare, cit., 126 ss.; 229 ss.; M. A. LIGIOS, «Ademptio peculii» e revoca implicita del
legato: riflessioni su D. 34.4.31.3 (Scaev. 14 dig.), in Index, 34 (2006), 501 ss.; R. PESARESI,
Ricerche sul peculium imprenditoriale, Bari 2008, 15 ss.; ID., Studi sull'actio de peculio, Bari
2012, 11 ss.; P. CERAMI, Introduzione, cit. 38 ss.; 61 ss.
33
Si veda in tal senso, J. ANDREAU, La vie financière, cit., 614 s.; A. McCLINTOCK, Servi
della pena. Condannati a morte nella Roma imperiale, Napoli 2010, 116 e, sia pure con cautela,
A. PETRUCCI, Mensam exercere, cit., 367 s., il quale rileva come non sia chiara la posizione
soggettiva di Carpoforo nei confronti della gestione di Callisto, pur escludendo una sua
ignorantia. Egli si chiede poi se la concessione del peculium da lui ipotizzata rispecchi da parte
del liberto "una voluntas o una mera scientia" e ritiene preferibile la presenza della voluntas
sulla base di tre argomenti: I) Carpoforo dispone che la somma da lui erogata venga investita in
una impresa argentaria; II) le vedove e i confratelli effettuano i loro depositi per la fides che
essi nutrono nei confronti di Carpoforo; III) lo stesso Carpoforo tenta di porre rimedio alla crisi
della banca cercando di recuperare i crediti.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
29
STUDI E OPINIONI
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ha sede la banca34; questo ulteriore elemento può configurare altrettanto bene una
situazione in cui Carpoforo prepone Callisto all'esercizio di una impresa (negotiatio) in
una taberna instructa35; in tal caso Callisto sarebbe un institor36.
Si noti anche che vedove e confratelli affidano a Callisto i propri risparmi,
confidando sulla retta reputazione di Carpoforo; inoltre Carpoforo sembra ingerirsi
piuttosto di frequente negli affari della banca; questi due ultimi particolari potrebbero
rafforzare l'ipotesi dell'esistenza, nel caso di specie, di una preposizione institoria, resa
pubblica mediante una proscriptio37, che contiene una esplicita assunzione di
34
Ma si veda contra J. DE CHURRUCA, La quiebra de la banca, cit., 73, il quale ritiene che
Callisto "más que un argentarius con establecimiento fijo en un lugar público, pudo ser un
agente móvil que buscaba y atendía a su clientela de depositantes y prestatarios". Sulle tabernae
argentariae si veda A. MASELLI, Argentaria, cit., 17 ss.; 91; 175 s.
35
La definizione di taberna instructa è enunciata da Ulpiano in D. 50.16.185 (Ulp. 28 ad ed.):
'Instructam' autem tabernam sic accipiemus, quae et rebus et hominibus ad negotiationem
paratis constat.
[Riteniamo 'instructa' la taberna dotata sia delle cose sia degli uomini predisposti per l'esercizio
della negotiatio].
Su questa definizione e, più in generale, sulla taberna come sede di negotiatio, si vedano: H.
WAGNER, Zur wirtschaftlichen und rechtlichen Bedeutung der Tabernen, cit., 403 ss.; A. DI
PORTO, Impresa collettiva, cit., 64, nt. 1; 164; ID., Filius, servus e libertus, cit., 90; 92; ID., Il
diritto commerciale romano, cit., 440 ss.; F. SERRAO, L’impresa in Roma antica, cit., 25 ss. e
39; ID., Impresa, mercato, diritto, cit., 34 ss.; M. A. LIGIOS, «Taberna», cit., 24 ss.; 107 ss.;
EAD., Nomen negotiationis, cit., 152 ss.; R. ORTU, Note in tema di organizzazione e attività
dei venaliciarii, in Diritto@Storia, 2 (2003), poi in Schiavi e mercanti di schiavi in Roma
antica, (da cui si cita), Torino 2012, 119 ss.; M. MICELI, Sulla struttura formulare, cit., 205, nt.
25; EAD., Studi sulla «rappresentanza», cit., 64 ss.; P. CERAMI, Diritto commerciale romano:
dalla prassi dello scambio all’exercitio negotiationis, cit., 246 ss.; ID., Impresa e societas, cit.,
186 ss.; ID., Introduzione, cit., 52 ss.; T. J. CHIUSI, Diritto commerciale romano? Alcune
osservazioni critiche, in Fides Humanitas Ius. Studii in onore di Luigi Labruna, (cur. C.
CASCIONE, C. MASI DORIA), Napoli 2007, II, 1035 s.; A. CAMPANELLA, Brevi
riflessioni, cit., 1 ss.; G. SANTUCCI, Diritto romano e diritti europei. Continuità e
discontinuità nelle figure giuridiche, Bologna 2010, 30 s.; C. HOLLERAIN, Shopping in
Ancient Rome, cit., 99 ss.
36
Come sostengono S. MAZZARINO, Religione ed economia, cit., 57; F. P. RIZZO, Un
esempio di banca, cit., 266 e, con un margine di dubbio, A. TORRENT, Turbulencias
financieras, cit., 196 s.; 208 s.
37
Le caratteristiche della proscriptio sono minuziosamente descritte da Ulpiano in D. 14.3.11.34 (Ulp. 28 ad ed.): 3. Proscribere palam sic accipimus claris litteris, unde de plano recte legi
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
30
STUDI E OPINIONI
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responsabilità da parte del preponente per l'attività negoziale (rientrante nell'ambito
della praepositio38 o comunque connessa all'oggetto di questa39) posta in essere dal
possit, ante tabernam scilicet vel ante eum locum in quo negotiatio exercetur, non in loco
remoto, sed in evidenti. litteris utrum Graecis an Latinis? puto secundum loci condicionem, ne
quis causari possit ignorantiam litterarum. certe si quis dicat ignorasse se litteras vel non
observasse quod propositum erat, cum multi legerent cumque palam esset propositum, non
audietur.
4. Proscriptum autem perpetuo esse oportet: ceterum si per id temporis, quo propositum non
erat, vel obscurata proscriptione contractum sit, institoria locum habebit. proinde si dominus
quidem mercis proscripsisset, alius autem sustulit aut vetustate vel pluvia vel quo simili
contingit, ne proscriptum esset vel non pareret, dicendum eum qui praeposuit teneri. sed si ipse
institor decipiendi mei causa detraxit, dolus ipsius praeponenti nocere debet, nisi particeps doli
fuerit qui contraxit.
[3. Intendiamo per 'rendere noto pubblicamente' quando ciò avviene a chiare lettere, in modo
tale che si possa leggere correttamente senza difficoltà, ovviamente davanti alla taberna o
davanti a quel luogo nel quale è esercitata la negotiatio, non in un posto lontano, ma in
evidenza. In caratteri greci o latini? Ritengo secondo l'esigenza del luogo, affinché nessuno
possa addurre come pretesto l'ignoranza della scrittura. Sicuramente, non si dovrà dar retta a chi
affermi di non aver conoscenza della scrittura o di non essersi accorto di ciò che era stato
esposto, quando molti avevano letto ciò che era stato esposto pubblicamente.
4. Occorre altresì che ciò che è reso noto pubblicamente lo sia in permanenza: d'altronde, se si
sia concluso un contratto durante quel lasso di tempo nel quale (la proscriptio) non era esposta o
era divenuta illeggibile, l'azione institoria troverà applicazione. Pertanto, se il proprietario
avesse indicato la merce messa in vendita e un altro avesse rimosso il cartello o se succede che
per il lungo trascorrere del tempo o per la pioggia o per qualcosa di simile non fosse più esposto
o più leggibile, si deve dire che chi ha preposto l'institore deve risponderne. Ma se lo stesso
institore abbia rimosso il cartello per ingannarmi, il suo comportamento doloso deve nuocere al
preponente, a meno che non sia stato partecipe dell'inganno il terzo con cui l'institore aveva
concluso il contratto].
Su questo brano si veda, da ultima, M. A. LIGIOS, Nomen negotiationis, cit., 40 ss.
38
Come risulta da D. 14.3.11.5 (Ulp. 28 ad ed.): Condicio autem praepositionis servanda est:
quid enim si certa lege vel interventu cuiusdam personae vel sub pignore voluit cum eo contrahi
vel ad certam rem? aequissimum erit id servari, in quo praepositus est. item si plures habuit
institores vel cum omnibus simul contrahi voluit vel cum uno solo. sed et si denuntiavit cui, ne
cum eo contraheret, non debet institoria teneri: nam et certam personam possumus prohibere
contrahere vel certum genus hominum vel negotiatorum, vel certis hominibus permittere. sed si
alias cum alio contrahi vetuit continua variatione, danda est omnibus adversus eum actio:
neque enim decipi debent contrahentes.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
31
STUDI E OPINIONI
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preposto. Tale pubblica assunzione di responsabilità veniva resa nota alla potenziale
clientela dell'impresa per mezzo di un cartello di norma esposto davanti alla taberna o
comunque alla sede dell'impresa stessa.
Se così fosse, pertanto, la proscriptio affissa dinanzi alla banca avrebbe dovuto
recare il nome del preponente (Carpoforo), il nome del preposto in qualità di institor
(Callisto), l'indicazione del suo status (schiavo di Carpoforo), l'indicazione del negozio
a lui affidato (il prestito feneratizio)40.
[Comunque, la condizione della preposizione dev'essere osservata: cosa succede, dunque, se (il
preponente) volle che si concludessero contratti con l'institore facendo accedere al contratto una
determinata clausola o con l'intervento di una qualche persona o con pegno o con riguardo a una
certa cosa? Sarà massimamente equo che sia rispettato ciò per cui (l'institore) è stato preposto.
Allo stesso modo, se (il preponente) ebbe più institori o se volle che si concludessero contratti
allo stesso tempo con tutti o con uno soltanto. Ma anche se (il preponente) abbia intimato di non
concludere contratti con quello, non deve rispondere in base all'azione institoria: infatti
possiamo anche proibire che si concludano contratti con una certa persona o con un certo genere
di uomini o di negotiatores, o permetterlo a certi uomini. Ma se si proibisce di concludere
contratti ora con gli uni ora con l'altro con una variazione continua, si deve dare a tutti l'azione
contro di lui: infatti i contraenti non devono essere tratti in inganno da ciò].
Su questo brano si veda, da ultima, M. A. LIGIOS, Nomen negotiationis, cit., 26 ss.
39
Sulle attività negoziali funzionalmente connesse a quelle oggetto della praepositio si veda, da
ultima, M. A. LIGIOS, Nomen negotiationis, cit., 29 ss.; 52 ss.; 144 s.
40
In CIL. IV 138 (FIRA. III, n. 143, p. 453 s.) è conservata la proscriptio di un institor, un
insularius, per l'esattezza: Insula Arriana | Polliana Cn. Allei Nigidi Mai. | Locantur ex i(dibus)
Iulis primis tabernae | cum pergulis suis et c[e]nacula | equestria et domus. Conductor |
convenito Primum Cn. Allei Nigidi Mai ser(vum).
[Nell'insula Arriana Polliana di Cnaius Alleius Nigidus Maius sono locate dal 1 luglio tabernae
con i relativi soppalchi, appartamenti degni dell'ordine equestre e una casa unifamiliare. Il
conduttore si accordi con Primus, servo di Cnaius Alleius Nigidus Maius].
Il testo presenta, pur nella sua sinteticità, tutti i dati utili ai potenziali clienti: a) il nome del
preponente, Cnaius Alleius Nigidus Maius; b) il nome del preposto e la sua condizione di servo
del preponente, Primus Cn. Allei Nigidi Mai ser(vus); c) l'assunzione di responsabilità del
preponente per l'attività negoziale del preposto inerente alla praepositio, implicita nell'invito ai
terzi di concludere il contratto con il preposto stesso, conductor | convenito Primum Cn. Allei
Nigidi Mai ser(vum); d) la menzione delle tabernae e delle unità abitative locate, con
l'indicazione della data d'inizio della locazione, locantur ex i(dibus) Iulis primis tabernae | cum
pergulis suis et c[e]nacula | equestria et domus. Su CIL. IV 138 (FIRA. III, n. 143, p. 453 s.) si
veda più ampiamente M. A. LIGIOS, Nomen negotiationis, cit., 45 ss.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
32
STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
4. Le cause della crisi
Dopo aver descritto gli esordi di Callisto nel mondo della finanza e degli affari,
Ippolito ci dice che egli perse tutto e rimase senza un quattrino (ref. 9.12.1). Si deve
pertanto cercare di capire se la responsabilità del crack sia attribuibile a Callisto, e
quindi a sue operazioni speculative avventate41, quali la scelta di debitori che poi si
siano rivelati non solvibili o la mancata assunzione di garanzie adeguate42, oppure,
come sostengono alcuni storici moderni43, a una cattiva congiuntura finanziaria creatasi
durante il regno di Commodo e testimoniata dalle fonti44.
La seconda spiegazione sembra a mio giudizio la più plausibile. Semplificando
al massimo il discorso, la congiuntura negativa sarebbe stata causata dalla riduzione del
contenuto argenteo del denarius45, che produsse effetti rovinosi proprio su operazioni
del genere di quelle che Callisto poneva in essere nella sua banca, cioè il prestito a
interesse e il ricevimento di depositi. Infatti, poiché all'epoca il valore reale delle somme
non poteva essere intaccato, le banche erano costrette a garantire i depositi con una
quantità maggiore di moneta divisionale e richiedere tassi di interessi sempre più alti ai
propri debitori46. Ciò potrebbe aver determinato, pertanto, la concreta impossibilità per
quei soggetti ai quali la banca aveva erogato i prestiti feneratizi di restituire i capitali
41
Forse è ciò che vorrebbe far credere Ippolito, come rilevano R. BOGAERT, Changeurs et
banquiers, cit., 253 e J. DE CHURRUCA, La quiebra de la banca, cit., 78.
42
Come sostiene A. TORRENT, Turbulencias financieras, cit., 185 ss.; 196 ss. e, soprattutto,
210 ss.; tuttavia da D. 14.3.11.5 (Ulp. 28 ad ed.), riportato supra alla nt. 38, risulta che dovrebbe
essere il preponente e non il preposto a decidere se e come far accedere idonee garanzie
all'attività negoziale oggetto della praepositio e a renderlo noto nella proscriptio. Va comunque
precisato che tali garanzie possono anche non costituire, per il preponente, una tutela adeguata,
come parrebbe risultare dalla fattispecie trattata da Paolo in D. 14.5.8 (Paul. 1 decret.), per la
quale si fa rinvio infra al § 8, nt. 87.
43
Sul punto si vedano S. MAZZARINO, Religione ed economia, cit., 58 ss.; R. BOGAERT,
Changeurs et banquiers, cit., 254; F. DE MARTINO, Storia economica, cit., 364 s.
44
Dio Cass. hist. rom. 51.21.5; S.H.A. vita Comm. 14.1-3.
45
M. MAZZA, Lotte sociali, cit., 328 s., osserva: "La caduta del saggio d'interesse, a sua volta
connesso con le variazioni del contenuto di fino della moneta divisionale argentea, non poteva
non avere influenze sugli affari avventurosamente portati avanti dallo schiavo-banchiere". Si
vedano in tal senso anche F. DE MARTINO, Storia economica, cit., 364 s. e F. P. RIZZO, Un
esempio di banca, cit., 266; di diverso avviso S. MAZZARINO, Religione ed economia, cit., 61,
il quale afferma che Commodo non avrebbe sminuito sostanzialmente il fino argenteo del
denarius. Più generici R. BOGAERT, Changeurs et banquiers, cit., 254; J. DE CHURRUCA,
La quiebra de la banca, cit., 77; A. TORRENT, Turbulencias financieras, cit., 183.
46
Così F. P. RIZZO, Un esempio di banca, cit., 266 s.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
33
STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
ricevuti e gli interessi, accresciuti notevolmente per il fenomeno appena descritto. È
inoltre probabile che, nel caso di specie, almeno in base agli indizi, pur di parte, forniti
da Ippolito, Callisto avesse ricevuto i depositi senza che questi avessero le idonee
coperture e li avesse poi impiegati in prestiti non adeguatamente garantiti. Infatti, anche
nel caso di deposito non fruttifero, in deroga alla disciplina ordinaria del deposito - per
la quale il depositario non può utilizzare il bene ricevuto ed è responsabile per furto
d'uso, se lo fa - il banchiere può utilizzare il denaro depositato, purché nella banca vi sia
la somma corrispondente sempre a disposizione del cliente depositante che, in tal modo,
la può ritirare in qualsiasi momento47. Ma se il banchiere risulta privo della suddetta
copertura, perché l'ha utilizzata in prestiti che non sono stati onorati dai debitori, nel
momento in cui i depositanti richiedono indietro il denaro e questo non viene restituito
loro è conclamata l'insolvenza della banca. Questo, forse, è proprio ciò che dovette
succedere a Callisto.
5.
L’esplosione della crisi
Quale meccanismo si innesca nel momento in cui i creditori della banca, cioè le
vedove e i confratelli che avevano depositato i propri risparmi, si presentano a
Carpoforo per fargli presente l'insolvenza del suo schiavo? Il liberto si impegna nei loro
confronti a chiedere i conti a Callisto48 e questi, venutolo a sapere, pur di sfuggire alle
47
Sul punto si veda A. PETRUCCI, Mensam exercere, cit., 210.
48
I registri contabili degli argentarii, diversamente da quelli degli altri operatori economici,
devono presentare una chiara distinzione tra il codex accepti et expensi - una specie di libro
giornale nel quale si annotano movimenti di cassa (nomina arcaria), obbligazioni letterali
mediante expensilatio e acceptilatio litteris e novazioni di obbligazioni preesistenti -, gli
adversaria - il brogliaccio dei conti giornalieri, suddivisi nelle colonne del dare e dell'avere - e il
liber rationum - la raccolta delle membranae, che riportano i conti correnti intestati ai singoli
clienti. Posta questa fondamentale distinzione, si deve comunque ricordare che gli adversaria
sono di norma costituiti da tavolette cerate, destinate a essere riutilizzate , poiché i conti
giornalieri vengono cancellati ogni mese e riportati sul codex e che nella raccolta delle
membranae le rationes degli argentarii e dei nummularii sono suddivise in partite (partes), che
ripetono le registrazioni annotate nel codex in ordine cronologico. Sul punto si vedano G.
GILIBERTI, Legatum kalendarii, cit., 20 ss., nt. 51; 54; 57; A. MASELLI, Argentaria, cit., 28
ss.; 101 ss.; J. ANDREAU, La vie financière, cit., 617 ss.; A. BÜRGE, Fiktion und Wirklichkeit,
cit., 509 ss.; M. A. PEÑALVER RODRIGUEZ, La banca en Roma, cit., 1544 ss.; G. MINAUD,
La comptabilité à Rome. Essai d'histoire économique sur la pensée comptable commerciale et
privée dans le monde antique romain, Lausanne 2005, 117 ss.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
34
STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
ire del suo padrone, si dà alla fuga49 e cerca di imbarcarsi a Porto su una nave diretta
verso qualsiasi destinazione (ref. 9.12.2). Tuttavia la sua fuga viene segnalata a
Carpoforo, che riesce a raggiunge il suo schiavo e dopo varie peripezie ad averlo in
consegna (ref. 9.12.3). Carpoforo lo riconduce a Roma e lo mette a lavorare in un
mulino50 (ref. 9.12.4); è superfluo precisare che ci si trova dinanzi semplicemente
all'esercizio del ius puniendi da parte del dominus nei confronti dello schiavo fuggiasco
e non a una condanna della pubblica autorità51.
Fin qui il racconto di Ippolito, pur vivido e ricco di particolari, si limita a
descrivere il rocambolesco tentativo di fuga del nostro personaggio e l'inevitabile
punizione comminatagli dal suo padrone, ma successivamente l'autore riporta delle
notizie che offrono alcuni elementi utili ai fini della configurazione giuridica, se così si
può dire, della crisi della banca, ormai conclamata.
Infatti Ippolito ci dice che dopo un po' di tempo alcuni confratelli chiesero a
Carpoforo di liberare Callisto, poiché questi affermava di aver prestato del denaro a
delle persone (ref. 9.12.5)52 (notizia, del resto, del tutto plausibile, dato che il prestito a
interesse doveva essere, almeno nelle intenzioni iniziali di Carpoforo, l'attività della
banca). Quest'ultimo dichiara ai creditori di non essere interessato al proprio denaro,
ormai perduto, ma ai depositi dei suoi clienti, anche perché molti fra costoro erano
49
Sul fenomeno della fuga degli schiavi si veda H. BELLEN, Studien zur Sklavenflucht im
römischen Kaiserreich, Wiesbaden 1971, 1 ss.
50
Apuleio, metam. 9.12.3-4, offre una descrizione assai triste degli uomini addetti al mulino: Dii
boni, quales illic homunculi vibicibus lividis totam cutem depicti dorsumque plagosum scissili
centunculo magis inumbrati quam obtecti, nonnulli exiguo tegili tantum modo pubem iniecti,
cuncti tamen sic tunicati, ut essent per pannulos manifesti, frontes litterati et capillum semirasi
et pedes anulati, tum lurore deformes et fumosis tenebris vaporosae caliginis palpebras adesi
atque adeo male luminati et in modum pugilum, qui pulvisculo perspersi dimicant, farinulenta
cinere sordide candidati.
[Santi Numi! Che omiciattoli con la pelle striata di lividure e la schiena lacerata dalle battiture,
piuttosto adombrata di stracci che coperta, al punto che molti nascondevano appena il pube, con
larve di vestiti, e tutti attraverso i pochi stracci parevano nudi; con le fronti marchiate, i capelli a
metà rasi, le catene al piede, lividi da non sembrare più uomini, con le palpebre consunte o gli
occhi ciechi addirittura per le tenebre e la fuliggine e il fumo; e a guisa di pugilatori che lottano
dopo essersi cosparsi di minuta polvere, tutti sudiciamente bianchi sotto una crosta di farina].
51
Sul punto si vedano le considerazioni di R. ÉTIENNE, Recherches sur l'ergastule, in Actes du
colloque 1972 sur l'esclavage. Annales littéraires de l'Université de Besançon, Paris 1974, 252
s.
52
Per Ippolito questa affermazione di Callisto sarebbe menzognera e avrebbe quale unico fine la
liberazione; si veda in tal senso R. BOGAERT, Changeurs et banquiers, cit., 253 s.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
35
STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
andati a lamentarsi proprio con lui dell'insolvenza di Callisto, affermando di aver
depositato il denaro nella banca perché facevano affidamento sul suo buon nome e
sulla sua retta reputazione (ref. 9.12.6).
L'atteggiamento di Carpoforo è davvero singolare: egli avrebbe potuto far
presente ai creditori che lo assillavano che il ricevimento dei depositi non costituiva
oggetto della praepositio di Callisto (se è corretta la narrazione dei fatti dovuta a
Ippolito) e invece si assume esplicitamente la responsabilità per i debiti che questi aveva
contratto con i depositanti. Così, per dare concreta attuazione al suo impegno,
Carpoforo libera Callisto dal mulino53, ma questi non riesce a recuperare il denaro che
aveva prestato: Ippolito, con la solita malevolenza, racconta che a questo punto Callisto,
per cercare ancora la morte, si sarebbe recato alla sinagoga per provocare gli Ebrei,
disturbandoli durante le celebrazioni del sabato, con la scusa di voler richiedere loro il
denaro del quale erano debitori.
6.
Le attività della banca
Dal particolare appena riferito emerge un elemento assai significativo ai fini
della ricostruzione delle attività finanziarie esercitate dalla banca gestita da Callisto:
essa eroga prestiti a interesse a soggetti estranei rispetto alla comunità cristiana e riceve
depositi da vedove e confratelli della comunità54. In buona sostanza, uno dei due settori
finanziari, se così si può dire, è rivolto all'esterno della comunità, mentre l'altro è rivolto
all'interno di questa.
Ora, Ippolito pare dare per scontato che pur non avendo dato Carpoforo a
Callisto l'incarico di ricevere i depositi dei confratelli, egli si senta comunque
responsabile nei confronti di costoro. In proposito si può ipotizzare, sia pure con
cautela, che Carpoforo - che sembra occupare una posizione di prestigio nella comunità
cristiana di Roma - sia stato previamente informato dai confratelli che essi erano
intenzionati ad affidare i propri risparmi alla sua banca. Se ciò fosse accaduto, sarebbe
stato ben possibile che Carpoforo avesse approvato, anche solo tacitamente,
l'ampliamento del raggio di affari operato da Callisto e, di conseguenza, che egli fosse a
conoscenza dei depositi già prima dell'esplosione della crisi. Ma siamo ovviamente sul
piano delle congetture: il brano di Ippolito non consente davvero di dare un riscontro
oggettivo a questa, ripetiamo, pur possibile spiegazione del comportamento
responsabile di Carpoforo nei confronti dei depositanti.
53
Pare superfluo precisare che Carpoforo libera Callisto dal mulino, nel quale lo aveva messo a
lavorare per punirlo, ma non lo manomette.
54
Si vedano in tal senso S. MAZZARINO, Religione ed economia, cit., 57; R. BOGAERT,
Changeurs et banquiers, cit., 254; F. P. RIZZO, Un esempio di banca, cit., 266 s.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
36
STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
Occorre segnalare un ulteriore problema, relativo al tipo di contratto che i
creditori della banca potevano aver stipulato con Callisto. Anche in ordine a tale
profilo giuridico il testo di Ippolito non è risolutivo, poiché egli usa il termine παραθήκη
(ref. 9.12.1; 6), che designa il deposito greco (detto anche παρακαταθήκη), il quale
aveva un ambito negoziale più ampio rispetto al deposito irregolare romano, potendo
avere per oggetto sia il denaro sia altri beni fungibili e, nel caso del denaro, essere
chiuso o aperto e prevedere o meno la corresponsione di interessi, secondo gli accordi
tra le parti55. Si possono comunque richiamare molto rapidamente tre testi del Digesto
relativi proprio all'insolvenza della banca, che offrono spunti utili ai fini della
risoluzione del problema appena segnalato. È altresì superfluo precisare che i passi di
seguito riportati riflettono le incertezze derivanti dal dibattito giurisprudenziale
(evidentemente ancora aperto agli inizi del III secolo d. C.) in merito alla qualifica
negoziale dei conferimenti da parte dei clienti ai banchieri di somme di denaro aperte,
posto che la corresponsione di interessi maturati sulle somme suddette rende
problematico l'inquadramento del rapporto nell'ambito del deposito56.
Il primo è D. 16.3.7.2-3 (Ulp. 30 ad ed.):
55
Sul punto si vedano le considerazioni di J. DE CHURRUCA, La quiebra de la banca, cit., 70
s. e A. TORRENT, Turbulencias financieras, cit., 198 s. e nt. 93.
56
M. TALAMANCA, Istituzioni, cit., 551, rilevato come il deposito irregolare parrebbe
rientrare, almeno in astratto, nel mutuo e come per lungo tempo i giuristi romani abbiano
ricondotto nell'ambito negoziale del mutuo la consegna di una somma di denaro da restituire nel
tantundem, osserva però che a partire da un certo momento, nella prassi socio-economica, si sia
cominciato a diversificare tale fattispecie rispetto alle applicazioni tipiche del mutuo. Infine,
"verso la fine dell'età classica, probabilmente sotto l'influenza della prassi ellenistica, alcuni
giuristi arrivarono a concedere, nel deposito irregolare, l'actio depositi, con formula in ius
concepta e con intentio ex fide bona. Non si trattava di una semplice questione di tecnica
formulare: nell'actio depositi come iudicium bonae fidei il giudice poteva tener conto degli
interessi convenzionali, anche se solo pattuiti, nel che si deve trovare la spinta per riportare la
fattispecie in questione non al mutuo bensì al deposito (irregolare)". Sul punto si vedano anche
F. BONIFACIO, Ricerche sul deposito irregolare in diritto romano, in BIDR., 49-50 (1947),
146 ss.; W. LITEWSKI, Le dépôt irrégulier, II, in RIDA., III s., 22 (1975), 287 ss.; A.
MASELLI, Argentaria, cit., 109 ss.; J. ANDREAU, La vie financière, cit., 541 s.; A. BÜRGE,
Fiktion und Wirklichkeit, cit., 504; 536 ss.; J. DE CHURRUCA, Die Gerichtsbarkeit des
praefectus urbi, cit., 322 s.; A. VALMAÑA OCHAITA, El deposito irregulare en la
Jurisprudencia romana, Madrid 1996, 106; 113; 121 ss.; F. SCOTTI, Il deposito nel diritto
romano. Testi con traduzione italiana e commento, Torino 2008, 56 ss.; 63 ss.; P.
SCHEIBELREITER, Das depositum, cit., 222 ss.; A. TORRENT, Turbulencias financieras,
cit., 207.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
37
STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
Quotiens foro cedunt57 nummularii58, solet primo loco ratio59 haberi depositariorum, hoc est eorum qui depositas pecunias habuerunt, non quas faenore apud
nummularios vel cum nummulariis vel per ipsos exercebant. et ante privilegia
igitur, si bona venierint, depositariorum ratio habetur, dummodo eorum qui
vel postea usuras acceperunt ratio non habeatur, quasi renuntiaverint
deposito. 3. Item quaeritur, utrum ordo spectetur eorum qui deposuerunt an
vero simul omnium depositariorum ratio habeatur. et constat simul
admittendos: hoc enim rescripto principali significatur.
[Tutte le volte che i nummularii falliscono, si suole prendere in considerazione innanzi tutto il conto dei depositanti, quello cioè di coloro i quali
hanno depositato somme di denaro, non le somme di denaro di quelli che le
hanno depositate presso i nummularii per investirle mediante prestiti a
interesse, con i nummularii o per loro tramite. Dunque, se i beni (dei
nummularii) sono stati venduti, prima dei privilegi, si prende in considerazione il conto dei depositanti, senza considerare il conto di quelli che, anche
in un secondo momento, hanno percepito interessi, come se avessero
rinunciato al contratto di deposito. 3. Ci si chiede poi se si consideri l'ordine
cronologico di coloro che hanno depositato o se invece i conti di tutti i
depositanti concorrano insieme. Ed è evidente che costoro debbano essere
ammessi insieme: questo è infatti indicato in un rescritto imperiale].
57
A. WACKE, Pecunia in arca, Lecce 2002, 58, nt. 64, nota come la locuzione 'foro cedere',
che designa specificamente il fallimento del banchiere, si spiegherebbe col fatto che in tale
evenienza fosse necessario rimuoverne la taberna dal foro. Sul punto si vedano anche A.
PETRUCCI, Mensam exercere, cit., 208 ss. e, da ultimo, A. CASSARINO, Riflessioni sulla
nozione di 'foro cedere' in riferimento all'esecutato nel diritto romano tra tarda repubblica e
principato, in Teoria e storia del diritto privato. Rivista internazionale on line, 7 (2014), §§ 4-5.
58
In origine i nummularii erano specializzati nel cambio e nel saggio delle monete, ma nel
lessico giurisprudenziale - almeno a partire da Cervidio Scevola, D. 2.14.47.1 (Scaev. 1 dig.) - il
termine designa anche operatori finanziari che esercitano le stesse attività degli argentarii
(ricevimento di depositi ed erogazione di prestiti), come risulta dal testo in esame e da D.
2.13.9.2 (Paul. 3 ad ed.), in cui Paolo riporta un parere di Pomponio. A. PETRUCCI, Mensam
exercere, cit., 208 ss., proprio in riferimento a D. 16.3.7.2-3 (Ulp. 30 ad ed.), D. 16.3.8 (Pap. 9
quaest.) e D. 42.5.24.2 (Ulp. 63 ad ed.), osserva come sia Papiniano sia Ulpiano pongano la
mensa argentaria e la mensa nummularia sullo stesso piano e utilizzino una terminologia
promiscua in riferimento a entrambe, "essendosi ormai alla loro epoca pienamente concluso
quel processo di osmosi fra i due tipi di impresa".
59
La definizione di conto (ratio) è enunciata da Labeone ed è riferita (e integrata) da Ulpiano in
D. 2.13.6.3 (Ulp. 4 ad ed.), ma si veda anche D. 2.14.47.1 (Scaev. 1 dig.); per l'esame di questi
passi si fa rinvio, da ultimo, ad A. PETRUCCI, L'impresa bancaria, cit., 116 ss.
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STUDI E OPINIONI
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Ulpiano delinea l'ordine secondo il quale sono soddisfatti i creditori della banca
in caso di fallimento: per primi coloro i quali avevano concluso contratti di deposito
chiuso, distinti rispetto a quelli che avevano affidato alla banca il proprio denaro perché
venisse investito in operazioni speculative, aventi per oggetto il prestito a interesse.
Queste ultime sono menzionate nella frase 'non quas faenore apud nummularios vel
cum nummulariis vel per ipsos exercebant', che dovrebbe fare riferimento a due diverse
specie di attività ricomprese nel genus 'pecunias faenore exercere apud nummularios'60:
a) nella prima cliente e nummularius parrebbero operare insieme ('pecunias
faenore exercere cum nummulariis'), forse dando vita a una impresa collettiva collegata
alla banca, nella quale il cliente è comunque coinvolto nella gestione del capitale
depositato, magari concordandone le modalità di investimento con il banchiere;
b) nella seconda il cliente sembrerebbe limitarsi ad affidare il proprio denaro al
banchiere, senza essere coinvolto negli investimenti, demandati in toto alla
discrezionalità del banchiere, che quindi opererebbe senza concordare col cliente le
operazioni da compiere ('pecunias faenore exercere per nummularios').
Se così fosse, la differenza tra le due attività speculative starebbe nel ruolo del
cliente, coinvolto in prima persona nel primo caso e più defilato nel secondo.
Alla posizione dei 'creditori-speculatori' Ulpiano avvicina quella dei depositanti
che, in un momento successivo alla conclusione del contratto, si siano accordati col
60
W. LITEWSKI, Le dépôt irrégulier, cit., 292, individua tre tipologie di operazioni: "le
versement d'intérêts par le banquier lui-même, la participation aux bénéfices d'une affaire gérée
en commun, la perception d'intérêts dans un placement effectué par l'entremise du banquier". A.
PETRUCCI, Mensam exercere, cit., 213 ss., ritiene che la frase 'non quas faenore apud
nummularios vel cum nummulariis vel per ipsos exercebant' faccia riferimento a tre diverse
specie di speculazioni:
I) la locuzione 'pecunias faenore exercere apud nummularios' designerebbe una forma di credito
a interesse, che oggi verrebbe qualificato come deposito d'investimento;
II) 'pecunias faenore exercere cum nummulariis', potrebbe essere equivalente a 'pecunias
faenore exercere apud nummularios', oppure designare:
a) una società tra nummularius e cliente per la conclusione di uno o più affari o per l'esercizio di
una o più attività, nella quale il primo conferisce la capacità professionale propria o del servo
che gestisce la banca e il secondo mette in tutto o in parte il proprio denaro;
b) l'esercizio collettivo al di fuori del contratto di società di una impresa collegata alla banca,
nella quale opera un servo con peculium avente funzioni manageriali;
III) 'pecunias faenore exercere per nummularios', infine, designerebbe l'incarico conferito dal
cliente all'operatore finanziario di investire i propri capitali, mediante crediti concessi a terzi.
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STUDI E OPINIONI
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banchiere per la percezione di interessi, come se avessero rinunciato al contratto di
deposito e così, di conseguenza, alla loro posizione di creditori privilegiati.
Il secondo passo è D. 16.3.8 (Pap. 9 quaest.):
Quod privilegium exercetur non in ea tantum quantitate, quae in bonis
argentarii ex pecunia deposita reperta est, sed in omnibus fraudatoris
facultatibus: idque propter necessarium usum argentariorum ex utilitate
publica receptum est. plane sumptus causa, qui necessarie factus est,
semper praecedit: nam deducto eo bonorum calculus subduci solet.
[Privilegio che non si esercita soltanto sulla quantità di denaro depositato
rinvenuta tra i beni dell'argentarius, ma sull'intero patrimonio dell'autore
della frode: il che viene ammesso nel pubblico interesse, in vista della
necessità di ricorrere agli argentarii. Le spese necessarie hanno peraltro
sempre la precedenza: il calcolo del valore dei beni si suole fare, infatti,
dedotte queste spese].
Papiniano osserva come, nel caso di insolvenza della banca dovuta a frode del
banchiere che abbia causato il fallimento con il suo comportamento doloso, i creditori
possano rivalersi non solo sul denaro depositato, ma anche su tutti i beni del banchiere,
perché si fa ricorso ai servizi degli argentarii per una utilitas publica.
Il terzo brano è D. 42.5.24.2 (Ulp. 63 ad ed.):
In bonis mensularii vendundis post privilegia potiorem eorum causam esse
placuit, qui pecunias apud mensam fidem publicam secuti deposuerunt. sed
enim qui depositis nummis usuras a mensulariis acceperunt, a ceteris
creditoribus non separantur, et merito: aliud est enim credere, aliud
deponere. si tamen nummi exstent, vindicari eos posse puto a depositariis et
futurum eum qui vindicat ante privilegia.
[Nella vendita dei beni dei mensularii si è deciso di preferire, dopo i
privilegi, coloro che hanno depositato in banca somme di denaro in ragione
dell'affidabilità di cui godono le mensae, mentre coloro che hanno percepito
degli interessi sulle somme depositate presso i mensularii non sono tenuti
distinti dagli altri creditori, e opportunamente: altro infatti è dare a credito,
altro è depositare. Se però i soldi ci sono, ritengo che questi ultimi possano
essere rivendicati dai depositanti e colui che li rivendica sia da anteporre ai
privilegi].
Ulpiano delinea l'ordine secondo il quale sono soddisfatti i creditori del banchiere
nel caso in cui questi subisca la bonorum venditio: al primo posto si trovano i creditori
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
privilegiati61, al secondo i depositanti, al terzo coloro i quali hanno percepito degli
interessi sulle somme consegnate alla banca; costoro sono posti sullo stesso piano
rispetto agli ulteriori creditori della banca, ma nel caso in cui il banchiere abbia denaro
in cassa, i depositanti possono agire per questo, scavalcando anche i creditori privilegiati. Qui dovrebbe trattarsi di depositanti che avevano concluso contratti di deposito
chiuso, con precisa identificazione delle somme consegnate (pecunia obsignata): in
questo caso la rei vindicatio risulta più vantaggiosa rispetto all'actio depositi, perché la
posizione dell'attore è ante privilegia62.
L'incipit del passo parrebbe contraddire quanto affermato dallo stesso giurista
severiano in D. 16.3.7.2 (Ulp. 30 ad ed.), 'solet primo loco ratio haberi depositariorum .
. . . et ante privilegia igitur, si bona venierint, depositariorum ratio habetur'. Petrucci63
cerca di risolvere l'antinomia, rilevando come nei due passi Ulpiano abbia trattato la
questione da due punti di vista differenti: in D. 16.3.7.2 (Ulp. 30 ad ed.), nel commento
all'editto sull'actio depositi, egli avrebbe delineato la distinzione tra i depositanti e gli
speculatori, rimarcando la precedenza dei primi e il fatto che, se il depositante si fosse
in seguito accordato col banchiere per il pagamento di interessi sulla somma
depositata64, tale precedenza sarebbe venuta meno, mentre in D. 42.5.24.2 (Ulp. 63 ad
ed.) il giurista severiano commenta le disposizioni edittali in merito alla posizione dei
creditori privilegiati in sede di bonorum venditio. L'Autore65 ritiene, pertanto, che
dall'esame congiunto dei due testi ulpianei risulti l'ordine secondo il quale i creditori
venivano soddisfatti nel caso di bonorum venditio del banchiere insolvente:
61
Si pensi, per esempio, ai creditori che vantino un diritto reale di garanzia nei confronti del
debitore; per l'elenco dei creditori privilegiati si vedano M. KASER, K. HACKL, Das römische
Zivilprozessrecht², München 1996, 401 ss.
62
M. MARRONE, Contributi in tema di legittimazione passiva alla «rei vindicatio», in Studi in
onore di Gaetano Scherillo, Milano 1972, I, poi in Scritti giuridici, (cur. G. FALCONE), (da cui
si cita), Palermo 2003, I, 375 s., nt. 113, osserva come questo sia uno dei casi eccezionali nei
quali l'azione di rivendica è più conveniente rispetto alla concorrente azione in personam.
63
Mensam exercere, cit., 208 ss. e, in particolare, 214; ID., Per una storia della protezione, cit.,
181 ss.; ID., L'impresa bancaria, cit., 211 ss.
64
W. LITEWSKI, Le dépôt irrégulier, cit., 289, osserva: "Il est certain que les parties n'avaient
pas contracté de convention d'intérêts sous forme de stipulation. En revanche, un pacte non
formel ne pouvait engendrer une obligation de payer des intérêts dans le cadre du prêt. Il devait
donc s'agir d'une situation où, dans un rapport juridique qu'Ulpien qualifie de prêt, les intérêts
avaient été acceptés. Leur paiement volontaire excluait la condictio".
65
A. PETRUCCI, Per una storia della protezione, cit., 184; ID., L'impresa bancaria, cit., 214.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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I) precedenza assoluta per quei clienti che avevano concluso contratti di deposito
chiuso (pecunia obsignata) o regolare (in cui il banchiere può utilizzare le monete, ma
non la somma)66;
II) subito dopo, i creditori privilegiati e poi i clienti che avevano concluso
contratti di deposito aperto o irregolare;
III) infine i creditori chirografari, posti sullo stesso piano dei clienti che avevano
depositato somme di denaro pattuendo con il banchiere, anche in un momento
successivo, la corresponsione di interessi e di quelli che avevano posto in essere operazioni speculative con il banchiere67.
Io sarei propensa a tenere anche conto dello spunto offerto da Marrone68 e
ritenere, pertanto, che la posizione dei depositanti che 'scavalcano' anche i creditori
privilegiati dipenda dalla loro scelta di intentare l'azione di rivendica. Questo
consentirebbe di superare l'apparente antinomia tra D. 16.3.7.2 (Ulp. 30 ad ed.) e D.
42.5.24.2 (Ulp. 63 ad ed.).
Dalla narrazione di Ippolito non risulta che tipo di deposito avessero concluso le
vedove e i confratelli, se un deposito 'chiuso', oppure un deposito produttivo di interessi,
che per Ulpiano, come si è appena visto, non garantirebbe comunque una posizione
privilegiata al creditore della banca nel caso di procedura esecutiva per l'insolvenza di
questa. Per Mazzarino69, che propende - probabilmente a ragione - per la seconda
soluzione, gli interessi che la banca richiedeva ai clienti ai quali aveva erogato prestiti
erano più alti di quelli che la stessa pagava sui depositi fruttiferi e questo avrebbe
66
Sul punto si vedano F. BONIFACIO, Ricerche sul deposito irregolare, cit., 149 ss. e W.
LITEWSKI, Le dépôt irrégulier, cit., 288 s.
67
F. BONIFACIO, Ricerche sul deposito irregolare, cit., 150, individua tre diverse posizioni
sulle quali si può attestare il depositante nella procedura concorsuale nei confronti del
banchiere:
I) se il deposito è chiuso e v'è il denaro nelle casse del banchiere, il depositante potrà agire con
la rei vindicatio;
II) se il deposito è chiuso, ma il denaro consegnato dal depositante non esiste più nella sua
specifica individualità, il depositante potrà soddisfarsi dopo i creditori privilegiati e prima dei
chirografari;
III) infine, se il deposito è usurario, il depositante rientrerà nella massa degli altri creditori.
68
Per il quale si veda supra alla nt. 62.
69
Religione ed economia, cit., 57; si veda in tal senso anche J. DE CHURRUCA, La quiebra de
la banca, cit., 70 s.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
42
STUDI E OPINIONI
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dovuto consentire, in una congiuntura economica 'sana', un buon margine di guadagno
per la banca.
Ora, anche alla luce di questa importante osservazione, si può provare a capire
cosa sia successo alla banca gestita da Callisto; si debbono fare tre considerazioni,
suggerite dal confronto tra i testi del Digesto appena riportati e la narrazione di Ippolito
(ref. 9.12.1;5):
I) i depositanti - qualificati come vedove e confratelli - sembrano essere piccoli
risparmiatori non propensi a rischiose speculazioni finanziarie; essi si rivolgono alla
banca per ottenere un servizio di custodia delle proprie somme, il che non dovrebbe
escludere la possibilità di percepire anche degli interessi. Elemento decisivo ai fini della
conclusione del contratto è la retta reputazione, il buon nome di cui gode Carpoforo (ref.
9.12.1;6), che pare richiamare la fides publica di cui godono i banchieri, menzionata per
esempio da Ulpiano in D. 42.5.24.2 (Ulp. 63 ad ed.)70;
II) non sembra che nel caso sia riscontrabile la varietà di creditori che risulta dai
due passi di Ulpiano; non dovrebbe pertanto porsi il problema del grado in base al quale
essi potranno rivalersi;
III) nel momento in cui gli affari della banca iniziano ad andar male e i depositanti
si rendono conto che Callisto non è più grado di restituire loro le somme affidate,
Carpoforo, avvisato della crisi, chiede a Callisto i registri della contabilità e questi,
spaventato, si dà alla fuga (ref. 9.12.2). In questo momento Carpoforo è ormai a
conoscenza dell'insolvenza del suo schiavo, ma ciò che egli con buona probabilità vuol
verificare è se questi abbia utilizzato per i prestiti a interesse non solo la somma di
denaro che gli aveva affidato a tal fine, ma anche i depositi di vedove e confratelli e,
soprattutto, se Callisto abbia fatto queste operazioni senza che vi fosse nella cassa della
banca il denaro necessario per restituire le somme oggetto dei depositi a richiesta dei
depositanti.
E proprio quest'ultimo è il 'punto dolente' della gestione di Callisto: egli ha
impiegato nel prestito a interesse non solo la somma affidatagli da Carpoforo, ma anche
i depositi dei confratelli, i quali ben difficilmente potevano averlo incaricato di svolgere
speculazioni finanziarie coi loro risparmi. Forse, in una situazione finanziaria 'sana',
nella quale i debitori della banca sono di norma adempienti, l'operazione poteva aver un
margine di rischio non eccessivo e garantire da una parte buoni guadagni alla banca e,
dall'altra, interessi per i depositanti, ma nella cattiva congiuntura finanziaria che si crea
sotto il regno di Commodo l'operazione diventa rovinosa perché, come si è visto, i
debitori della banca che avevano da questa ricevuto i prestiti non sono più in grado di
restituire le somme ricevute con gli interessi; quindi Callisto, a sua volta, non può
70
Si veda anche D. 2.13.9.2 (Paul. 3 ad ed.).
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STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
restituire ai depositanti le somme che costoro gli avevano affidato e la sua azzardata
operazione diventa palese71.
7.
La condanna di Callisto
Ma ritorniamo al racconto di Ippolito: abbiamo visto che Callisto si reca di
sabato alla sinagoga, secondo l'autore per provocare gli Ebrei e trovare la morte nel
tumulto; più verosimilmente, per chiedere ai debitori della banca, almeno in parte membri di questa comunità, la restituzione delle somme ricevute in prestito con gli interessi
maturati72. I debitori, però, com'era prevedibile, si infuriano con Callisto, la discussione
forse degenera dal campo degli affari a quello religioso - sembra infatti avvertirsi una
certa tensione tra le due comunità - e ne nasce una rissa, nel corso della quale Callisto
viene insultato e malmenato, per poi essere trascinato dinanzi al praefectus urbi Seio
Fusciano (ref. 9.12.7)73. Col prefetto gli Ebrei si lamentano del disturbo arrecato da
Callisto alle loro funzioni, facendo presente che i Romani permettevano loro di praticare
pubblicamente i propri culti, cosa che Callisto aveva impedito col suo comportamento
(ref. 9.12.8).
A questo punto, sempre davanti al prefetto, interviene Carpoforo prontamente
avvisato dei guai del suo schiavo, il quale accusa Callisto per il cattivo andamento dei
suoi affari e nega che questi appartenga alla comunità cristiana (gli Ebrei lo avevano
accusato, dicendo che li aveva disturbati dichiarandosi cristiano), ma Seio Fusciano,
71
A. TORRENT, Turbulencias financieras, cit., 184 s.; 210 ss., ritiene che la bancarotta di
Callisto sia colposa e non fraudolenta: egli non avrebbe sottratto i depositi dei clienti, né
avrebbe agito con il proposito di ingannarli, ma avrebbe investito il loro denaro senza che la
banca avesse le coperture necessarie e senza valutare in maniera corretta i rischi insiti in tale
operazione; inoltre egli non avrebbe neppure richiesto garanzie adeguate ai clienti ai quali aveva
erogato i prestiti feneratizi, non potendosi poi rivalere in alcun modo nei loro confronti.
72
Si vedano in tal senso R. BOGAERT, Changeurs et banquiers, cit., 254 e nt. 92; J. DE
CHURRUCA, La quiebra de la banca, cit., 81; F. P. RIZZO, Un esempio di banca, cit., 267.
73
È superfluo precisare come, in ambito criminale, lo schiavo sia considerato in linea di
principio responsabile come un soggetto libero - secondo quanto risulta, per esempio, da D.
48.2.12.4 (Ven. Sat. 2 de iud. publ.) e da D. 48.19.28.16 (Call. 5 de cogn.) - benché nei suoi
confronti siano irrogate pene particolarmente ignominiose e crudeli; sul punto si vedano B.
ALBANESE, Le persone, cit., 111 e G. PUGLIESE, Linee generali dell'evoluzione del diritto
penale pubblico durante il Principato, in ANRW., 14.II, (cur. H. TEMPORINI, W. HAASE),
Berlin - New York 1982, 767.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
istigato dagli Ebrei, fa flagellare Callisto e lo condanna ai lavori forzati nelle miniere
della Sardegna (ref. 9.12.9)74.
A quale titolo Seio Fusciano pronuncia questa condanna? Per quale crimine
Callisto è stato denunciato dagli Ebrei? Per il fatto di essere cristiano o per il tumulto
alla Sinagoga75? È del tutto plausibile che gli Ebrei, proprio facendosi forti della
protezione accordata loro, abbiano denunciato Callisto per il grave disturbo arrecato al
culto e si siano difesi per aver partecipato a una rissa che doveva aver evidentemente
turbato l'ordine pubblico, il cui mantenimento era proprio demandato al praefectus
urbi76. Mazzarino77 ipotizza che Seio Fusciano possa aver condannato Callisto in
applicazione del rescritto di Marco Aurelio menzionato in D. 48.19.30 (Mod. 1 de
poen.):
Si quis aliquid fecerit, quo leves hominum animi superstitione numinis
terrentur, divus Marcus huiusmodi homines in insulam relegari rescripsit.
[Se qualcuno avrà fatto qualcosa, in ragione della quale gli animi
suggestionabili degli uomini siano atterriti dalla paura della divinità, il
74
Sulla condanna ai lavori forzati nelle miniere si vedano, da ultimi, F. SALERNO, «Ad
metalla». Aspetti giuridici del lavoro in miniera, Napoli 2003, 1 ss.; S. DORE, La damnatio ad
metalla degli antichi cristiani: miniere o cave di pietra?, in ArcheoArte, 1 (2010), 77 ss.; A.
McCLINTOCK, Servi della pena, cit., 13 ss. e, in particolare, 116 s., per la condanna di
Callisto.
75
Non sembra invece plausibile che Callisto sia stato accusato di essere cristiano. Infatti le fonti
in nostro possesso ci permettono di affermare che, a partire da Traiano, si richiedesse una
denuncia circostanziata per accusare qualcuno di essere un cristiano (Plin. epist. 10.96-97) e, a
partire da Adriano, nel caso in cui l'accusa si fosse dimostrata infondata, il denunciante sarebbe
andato incontro a gravi conseguenze in quanto calunniatore, secondo ciò che risulta dal rescritto
di questo imperatore a Gaio Minucio Fundano, riferito in Iust. apol. 68.2-3 e in Eus. hist. eccl.
4.8.6-8; 4.9.1-3 (ma si veda anche acta Cypr. 1.5). Sul punto si fa rinvio a G. LANATA, Gli atti
dei martiri come documenti processuali, Milano 1973, 61 ss.; M. SORDI, I cristiani e l'impero
romano, Milano 1983, 67 ss.; 73 ss.; D. A. CENTOLA, Il crimen calumniae. Contributo allo
studio del processo criminale romano, Napoli 1999, 150 ss.
76
Sulle competenze del praefectus urbi in materia di ordine pubblico cittadino si vedano D.
MANTOVANI, Sulla competenza penale del «praefectus urbi», cit., 184 ss.; J. DE
CHURRUCA, Die Gerichtsbarkeit des praefectus urbi, cit., 308 s.; ID., La quiebra de la banca,
cit., 81 ss.; L. SOLIDORO MARUOTTI, Aspetti della 'giurisdizione civile', cit., 198; 219 ss.; B.
SANTALUCIA, Diritto e processo penale nell'antica Roma², Milano 1998, 222 ss.
77
Religione ed economia, cit., 55, nt. 4.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
45
STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
divino Marco dispose per rescritto che uomini siffatti siano relegati in un'isola].
In realtà si tratta di capire se il rescritto sanzioni la condotta di chi abbia suscitato
uno smodato terrore di carattere religioso in persone dal carattere non saldo78 (e in
questo caso non dovrebbe essere applicabile a Callisto) oppure la condotta che abbia
urtato il sentimento religioso delle persone, causando fra queste terrore e quindi
agitazione e perturbamento dell'ordine pubblico. Se il rescritto è focalizzato su questa
seconda tipologia di condotta, punita per l'allarme sociale che essa suscita, non si può
escludere, seguendo l'autorevole opinione dello Studioso siciliano, che Seio Fusciano
possa aver condannato Callisto proprio in applicazione del rescritto di Marco Aurelio.
8.
E i creditori della banca?
Come hanno agito i creditori della banca per far valere le proprie pretese?
All'epoca, come già detto, per le liti nelle quali una delle parti fosse stato un argentarius
o un nummularius, v'era l'alternativa tra il processo formulare e la procedura cognitoria
e si poteva, pertanto:
a) agire davanti al pretore con l'actio depositi, adattata come actio depositi
institoria - se, come pare più probabile, Callisto avesse rivestito la qualifica di institor79
- o come actio depositi de peculio et de in rem verso - se Callisto fosse stato un servus
peculiatus80; l'actio depositi in ius ex fide bona (o institoria o de peculio et de in rem
verso) avrebbe implicato la condanna per Carpoforo, convenuto per le obbligazioni
assunte da Callisto, anche al pagamento degli interessi convenzionali; se Carpoforo non
avesse potuto ottemperare alla condanna, a questa sarebbe eventualmente seguita la
bonorum venditio, secondo la procedura abituale, che parrebbe quella seguita nei tre
testi del Digesto esaminati supra81, nei quali appunto si tratta dell'ordine secondo il
quale debbono essere soddisfatti i creditori dell'argentarius o del nummularius
insolvente.
Nel nostro caso, però, non sembra che i depositanti si siano avvalsi di questa
misura processuale. Secondo Ippolito, infatti, essi si rivolgono direttamente a Carpoforo
e questi risponde loro che avrebbe richiesto le rationes al proprio schiavo. Inoltre i
depositanti fanno presente a Carpoforo che Callisto aveva rivelato loro l'esistenza di
78
Si veda sostanzialmente in tal senso G. DE BONFILS, Roma e gli ebrei (secoli I-V), Bari
2002, 70 s.
79
Sul punto si veda supra al § 3.
80
Sul punto si veda supra al § 3.
81
D. 16.3.7.2-3 (Ulp. 30 ad ed.); D. 16.3.8 (Pap. 9 quaest.); D. 42.5.24.2 (Ulp. 63 ad ed.), per i
quali si veda supra al § 6.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
46
STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
crediti vantati dalla banca nei confronti di altri clienti (almeno in parte, a quanto pare,
membri della comunità ebraica di Roma), ragion per cui il dominus libera il servo dal
mulino affinché li possa riscuotere;
b) accantonata l'ipotesi del procedimento formulare, si può considerare
l'alternativa del processo cognitorio dinanzi al praefectus urbi. Ma anche tale evenienza
pare improbabile, poiché Ippolito nomina più volte Seio Fusciano, che all'epoca dei fatti
rivestiva tale carica, e descrive dettagliatamente il procedimento nei confronti di
Callisto per la rissa alla sinagoga, ma non dice nulla in merito a un eventuale processo
per l'insolvenza di Callisto, che avrebbe dovuto aver luogo nei confronti di Carpoforo.
Infatti Carpoforo si presenta dinanzi al praefectus urbi solo per negare che il suo
schiavo sia cristiano e affermare di aver subito una forte perdita per il suo
comportamento (con l'intento, probabilmente, di allontanare l'attenzione della pubblica
autorità dalla comunità cristiana82).
Ora, facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire per quale ragione, forse, i
creditori della banca non diedero inizio a nessuna delle procedure alternativamente a
loro disposizione: in ref. 9.12.6 si legge che Carpoforo si impegna personalmente nei
confronti delle vedove e dei confratelli per consentire loro il recupero dei depositi e
afferma di non preoccuparsi per la somma di denaro che egli stesso aveva affidato a
Callisto perché avviasse l'attività creditizia, alla cui perdita si era evidentemente
rassegnato83. Pertanto, a fronte dell'impegno di Carpoforo, è ipotizzabile che i creditori
si aspettino che il liberto imperiale provveda con prontezza e in prima persona a onorare
i debiti assunti dal suo schiavo. Forse anch'essi, al pari di Carpoforo, non vogliono
attirare l'attenzione della pubblica autorità sulla comunità cristiana, agendo in giudizio
per far valere le proprie pretese. Questa ipotesi è rafforzata dalle stesse parole che
Carpoforo pronuncia dinanzi a Seio Fusciano: egli dice che Callisto gli ha fatto perdere
una grossa somma, ma non accenna minimamente alla perdita dei depositi e, più in
generale, al crack della banca.
A queste considerazioni si deve aggiungere l'argomento più significativo, quello
e silentio: Ippolito non fa menzione alcuna di un procedimento, formulare o extra
ordinem, nei confronti di Carpoforo per la 'bancarotta' di Callisto, né, tanto meno,
dell'apertura di una eventuale procedura concorsuale, che si sarebbe dovuta svolgere
sempre nei confronti di Carpoforo, con gravissime conseguenze patrimoniali e non. Se
anche solo una di queste tre possibili procedure avesse avuto luogo, Ippolito ne avrebbe
dato sicuramente conto, al fine di gettare ulteriore discredito sul suo rivale e invece,
nella sua narrazione, non v'è riferimento alcuno in tal senso.
82
Sul punto si veda ancora infra nel testo.
83
Si veda supra al § 5.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
47
STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
Un profilo da tenere ben presente consiste nel fatto che sia se i creditori avessero
scelto la procedura formulare sia se si fossero rivolti al praefectus urbi, sia se si fosse
aperta la procedura concorsuale, il procedimento sarebbe stato comunque contro
Carpoforo, perché è il dominus a dover rispondere dell'attività negoziale posta in essere
dallo schiavo preposto alla mensa, come risulta dai testi in tema di preposizione
institoria e, nello specifico, da quelli relativi a questo genere di negotiatio84, principio
ancora ribadito da una costituzione di Alessandro Severo del 230 d. C., riportata in C.
4.25.3:
Imp. Alexander A. Marciae.
Institoria tibi adversus eum actio competit, a quo servum mensae praepositum dicis, si eius negotii causa, quod per eum exercebatur, deposita pecunia
nec reddita potest probari.
PP. non. Mai. Agricola et Clemente conss.
[a.
230]
[A te spetta l'azione institoria, contro colui dal quale tu dici che è stato
preposto uno schiavo a una mensa, se si può provare che a causa di quel
negotium, che era stato esercitato per suo tramite, è stato depositato del
denaro e non è stato restituito].
Secondo la cancelleria imperiale, a Marcia, cliente di una mensa presso la quale
aveva depositato una somma di denaro, spetta l'actio institoria contro il dominus che
abbia preposto uno schiavo all'attività finanziaria, se essa dimostra che questi abbia ricevuto il denaro che poi non ha restituito nell'ambito delle attività finanziarie alle quali era
stato preposto 85.
84
D. 14.3.5.2-3 (Ulp. 28 ad ed.); D. 14.3.19 (Pap. 3 resp.); D. 14.3.20 (Scaev. 5 dig.); si veda
anche D. 14.5.8 (Paul. 1 decret.), per il quale si fa rinvio infra alla nt. 87.
85
Ulteriori indicazioni sono offerte dalla lettura di D. 14.3.19.1 (Pap. 3 resp.): Si dominus, qui
servum institorem apud mensam pecuniis accipiendis habuit, post libertatem quoque datam
idem per libertum negotium exercuit, varietate status non mutabitur periculi causa.
Per la traduzione di questo passo si veda supra al § 3, nt. 26.
Il principio enunciato da Papiniano costituisce l'esplicazione del principio generale
risultante da una lunga serie di testi giurisprudenziali, specialmente in tema di actio
institoria, per il quale la negotiatio sarebbe caratterizzata da una continuità e
un'autonomia che le consentono, si potrebbe quasi dire, di 'vivere una vita propria', non
risentendo delle vicende concernenti preponente e preposto. Di conseguenza, la
negotiatio esercitata per mezzo di un institor prosegue ininterrottamente il suo corso sia
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
Pertanto, anche nel caso narrato da Ippolito - che presenta degli evidenti profili
di analogia con la fattispecie in merito alla quale era stata emanata questa costituzione
imperiale - sarebbe dovuto essere Carpoforo a dover rispondere in giudizio per i debiti
contratti da Callisto. Dunque, se riconsideriamo ref. 9.12.1, pare chiaro, malgrado il
lieve margine di incertezza derivante dal testo greco, che Carpoforo ricorra agli
'strumenti giuridici' del diritto romano (probabilmente praepositio dell'institor e taberna
instructa) per organizzare la sua impresa bancaria, predisponendo a tal fine un
complesso di beni e preponendovi Callisto. Ma, nel momento in cui gli affari iniziano
ad andar male e si profila in tutta la sua gravità lo stato d'insolvenza, i depositanti non si
avvalgono dei mezzi di tutela predisposti dal diritto romano: essi non esperiscono l'actio
institoria davanti al pretore, né in alternativa si rivolgono al praefectus urbi.
Dalla narrazione di Ippolito risulta inoltre con chiarezza come si cerchi di
risolvere le questioni della banca all'interno della comunità cristiana, senza far ricorso
all'autorità pubblica: c'è sempre qualcuno che avverte Carpoforo dei movimenti di Callisto, i creditori si rivolgono direttamente a Carpoforo, lamentando l'insolvenza del suo
schiavo, sempre i creditori chiedono a Carpoforo di liberare Callisto dal mulino, per
agevolare la riscossione dei crediti che aveva erogato quando era a capo della banca, c'è
infine qualcuno che va prontamente a riferire a Carpoforo della rissa scatenata da
Callisto nella sinagoga e del fatto che questi sia stato trascinato dinanzi al praefectus
urbi. È solo in questo momento che Carpoforo mette piede in un tribunale e non vi è
certo trascinato dai creditori della banca.
D'altro canto, Carpoforo non sembrerebbe agire in giudizio per cercare di
recuperare i prestiti erogati dallo schiavo, più gli interessi. Non solo: se davvero - come
si deduce dalla narrazione di Ippolito - i debitori della banca (o parte di questi) sono
membri della comunità ebraica, egli non fa neppure presente questa circostanza quando
compare dinanzi al praefectus urbi nel corso del processo per la lite alla sinagoga. Tale
nel caso di morte del preponente sia nel caso di sostituzione, manomissione, morte e
vendita del preposto. Nel caso di specie trattato da Ulpiano, il fatto che il dominus
titolare di una mensa abbia manomesso lo schiavo institor non incide affatto sulla
responsabilità del preponente, che dovrà comunque rispondere per l'attività negoziale
del preposto, del quale abbia continuato ad avvalersi dopo l'affrancazione. Secondo A.
PETRUCCI, Mensam exercere, cit., 309, il frammento D. 14.3.19 (Pap. 3 resp.)
illustrerebbe tre diverse attività offerte dall'imprenditore finanziario alla clientela: nel
principium si tratta di un 'procurator mutuis pecuniis accipiendis'; nel § 1 di un 'servus
institor apud mensam pecuniis accipiendis'; nel § 3 di un 'servus pecuniis tantum
faenerandis praepositus'. Su questo passo si vedano, da ultimi, ancora A. PETRUCCI,
Per una storia della protezione, cit., 178 s.; M. MICELI, Studi sulla «rappresentanza»,
cit., 340 ss.; P. CERAMI, Introduzione, cit., 47 s.; M. A. LIGIOS, Nomen negotiationis,
cit., 87 ss.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
atteggiamento, forse, può essere dettato dalla volontà di stemperare le tensioni
intercorrenti tra la comunità cristiana e quella ebraica, che all'epoca godeva della
libertà di culto che alla prima non era concessa, pur aprendosi con Commodo un
periodo favorevole per i cristiani, che prosegue con la dinastia severiana86.
Proviamo a capire il comportamento quantomeno singolare del liberto imperiale:
alla fine della lunga e travagliata vicenda, l'unico ad aver subito un danno dal crack
della banca parrebbe essere appunto Carpoforo. Possiamo pertanto ipotizzare che egli
abbia pagato i creditori della banca utilizzando del denaro proprio (evidentemente non
investito nell'impresa bancaria) e onorando così l'impegno assunto nei confronti delle
vedove e dei confratelli (ref. 9.12.6)87. Ma si può credere che questo comportamento
86
Sul punto si vedano, per esempio, S. MAZZARINO, Religione ed economia, cit., 54 ss.; M.
SORDI, I cristiani e l'impero romano, cit., 83 ss.; J. DE CHURRUCA, La quiebra de la banca,
cit., 67 s.
87
In condizioni normali, tuttavia, l'insolvenza delle banche sfociava o in procedimenti
davanti al pretore o in procedimenti cognitori. A questo proposito, interessanti spunti di
riflessione sono offerti dalla lettura di D. 14.5.8 (Paul. 1 decret.): Titianus Primus
praeposuerat servum mutuis pecuniis dandis et pignoribus accipiendis: is servus etiam
negotiatoribus hordei solebat pro emptore suscipere debitum et solvere. cum fugisset
servus et is, cui delegatus fuerat dare pretium hordei, conveniret dominum nomine
institoris, negabat eo nomine se conveniri posse, quia non in eam rem praepositus
fuisset. cum autem et alia quaedam gessisse et horrea conduxisse et multis solvisse idem
servus probaretur, praefectus annonae contra dominum dederat sententiam. dicebamus
quasi fideiussionem esse videri, cum pro alio solveret debitum, [non] <nam> pro aliis
suscipit debitum: non solere autem ex ea causa in dominum dari actionem nec [videtur]
<videri> hoc dominum mandasse. sed quia videbatur in omnibus eum suo nomine
substituisse, sententiam conservavit imperator.
[Tiziano Primo aveva preposto un servo a erogare mutui in denaro e a ricevere pegni;
questo servo era anche solito accollarsi e pagare il debito del compratore a favore dei
commercianti d'orzo. Il servo era fuggito e colui al quale il servo era stato delegato a
versare il prezzo dell'orzo, aveva convenuto in giudizio il proprietario per l'attività
negoziale esercitata dall'institore; costui negava che lo si potesse convenire per questo
nome, poiché il servo non era stato preposto a quell'attività. Tuttavia, avendo provato
che lo stesso servo aveva sia gestito molti altri affari sia preso in affitto dei magazzini
sia pagato a molti, il prefetto dell'annona aveva emanato una sentenza contro il
proprietario. Dicevamo che era parsa come una fideiussione, perché il servo avrebbe
pagato il debito per conto di un altro, in quanto per conto di altri aveva assunto il debito:
non si era soliti tuttavia concedere l'azione institoria contro il proprietario per tale causa,
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
50
STUDI E OPINIONI
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né era sembrato che il proprietario avesse dato incarico di ciò. Ma poiché era parso che
il servo lo avesse sostituito in tutti gli affari in suo nome, l'imperatore aveva confermato
la sentenza].
Paolo non dice che lo schiavo di Tiziano Primo è preposto a una banca, però questi
esercita un'attività sostanzialmente analoga a quella di Callisto, vale a dire l'erogazione
di prestiti feneratizi, con la sola differenza che, nel caso trattato dal giurista severiano,
l'institore si fa garantire da pegni la restituzione delle somme che presta. Anche in
questo caso il servo institore esorbita dall'ambito della praepositio e inizia a esercitare
un'attività alla quale non era stato preposto: infatti egli funge da intermediatore
finanziario tra i mercanti d'orzo e gli acquirenti, anticipando i pagamenti di costoro.
Questa attività assume proporzioni sempre più ampie, coinvolge una numerosa clientela
e rende necessaria la locazione di magazzini per lo stoccaggio delle derrate che ne sono
oggetto. A un certo punto, però, lo schiavo fugge - non è chiaro se ciò sia dovuto a un
rovescio degli affari (come nel caso di Callisto) o se egli scappi col denaro dei clienti - e
diversamente da Callisto non si fa riacciuffare. Tiziano Primo viene convenuto in
giudizio davanti al prefetto dell'annona da un creditore che non aveva ricevuto il prezzo
per una partita di granaglie. Qui, peraltro, va notato come, pur essendo Tiziano Primo
titolare di un'attività finanziaria, l'attore agisca dinanzi al prefetto dell'annona,
competente extra ordinem per le liti in materia di approvvigionamento alimentare
dell'urbe, e non dinanzi al prefetto all'urbe, competente per le liti nelle quali una delle
parti sia un banchiere. Si può ipotizzare o che il praefectus urbi sia competente per le
attività dei soli argentarii e nummularii, e non anche per quelle di altri operatori
finanziari non qualificati espressamente da questi termini, o che, nel caso di un possibile
conflitto di competenze, che si verrebbe a delineare in un caso come quello trattato in D.
14.5.8 (Paul. 1 decret.), in cui una delle parti è un operatore finanziario e l'altra è un
commerciante di derrate alimentari destinate all'approvvigionamento di Roma,
quest'ultimo profilo sia considerato d'interesse prevalente e, di conseguenza, il
procedimento abbia luogo dinanzi al prefetto dell'annona e non dinanzi al praefectus
urbi. Il caso di Tiziano Primo, comunque, ha un esito differente rispetto alla vicenda di
Callisto: il negotiator hordei che lo schiavo fuggitivo non ha pagato conviene in
giudizio Tiziano Primo davanti al praefectus annonae: qui egli si difende facendo
presente che quest'attività non costituiva oggetto della praepositio e pertanto non
sarebbe tenuto a risponderne. Malgrado questa obiezione, Tiziano Primo è condannato e
anche l'appello che egli presenta dinanzi all'imperatore si conclude con la sua condanna
(già pronunciata dal praefectus annonae), motivata dal fatto che risultava che lo schiavo
avesse agito come sostituto del dominus in tutte le attività di questi. A tali elementi, che
avvalorano l'ipotesi che il dominus non potesse non essere a conoscenza delle attività
del suo schiavo e ne avesse tacitamente approvato o comunque tollerato lo svolgimento,
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
51
STUDI E OPINIONI
IL CRACK DI CALLISTO ALL'EPOCA DI COMMODO
possa anche essere dettato dalla volontà di Carpoforo di non attirare l'interesse della
pubblica autorità sulla comunità cristiana, cosa che sarebbe potuta accadere se
qualcuno dei creditori della banca avesse deciso di agire in giudizio - davanti al pretore
con la procedura formulare o extra ordinem davanti al praefectus urbi - per far valere il
proprio credito e in questa prospettiva si può anche comprendere il fatto che Carpoforo
neghi che Callisto sia cristiano.
La vicenda parrebbe quindi chiudersi per lui con delle gravi perdite sul piano
economico, ma la comunità cristiana è protetta e il suo buon nome è salvo e infatti non è
un caso che Ippolito lo rimarchi nella sua narrazione.
si aggiunga che nell'ambito della cognitio extra ordinem la formula - impiegata
dall'attore per esprimere in termini sintetici ed esaustivi la pretesa dell'attore - non
vincola l'organo giudicante con la rigidità che connotava il compito del giudice privato
nel processo formulare e che, nel caso di specie, è altresì ipotizzabile il favore nei
confronti del negotiator hordei, che contribuisce a rifornire di derrate alimentari la città.
Su questo passo si veda, da ultima, M. A. LIGIOS, Nomen negotiationis, cit., 67 ss.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
52
STUDI E OPINIONI
IL LEVERAGED BUYOUT
NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO
ITALIANO. MODALITÀ OPERATIVE E
RAPPORTI CON LA DISCIPLINA SUI
GRUPPI DI IMPRESE*
L’Autore affronta complessivamente l’istituto del merger leveraged buyout.
Nel primo capitolo, si sofferma sulla sua natura giuridica (con un riferimento al
dibattito, precedente la riforma del 2003, circa la sua liceità) e sui principali aspetti
operativi. Nel secondo capitolo esamina attentamente la disciplina positiva concepita
dal legislatore all’art. 2501-bis c.c., con particolare attenzione ai doveri degli
amministratori ed al concreto oggetto delle numerose relazioni previste dalla legge.
Nel terzo capitolo, infine, dopo aver delineato in breve i tratti della recente disciplina
sull’attività di direzione e coordinamento di imprese, ne traccia un raccordo con la
normativa sul merger leveraged buyout.
di PIETRO BORSANO
1. Il leveraged buyout: un’introduzione sull’istituto
1.1. Il dibattito italiano ante riforma
“Tizio ha pochi soldi, qualche decina di milioni e c’è una società il cui controllo
si può pagare 300 miliardi. I trecento miliardi erano nella liquidità della società, quindi
se Tizio avesse chiesto 300 miliardi alla società in prestito ed avesse comprato il
pacchetto azionario della stessa società ne sarebbe diventato il controllore. Questo non
è consentito dalla legge, perché l'art. 2358 lo vieta espressamente. Tizio allora che cosa
fa? Costituisce una piccola società, compra il pacchetto azionario di controllo per 300
miliardi, lo deposita a garanzia della banca che presta il denaro alla società [...], fonde
le due società, prende 300 miliardi dalla società risultante dalla fusione che restituisce
alla banca e così diventa proprietario della vecchia società, senza avere speso una lira.
(*) Il presente lavoro costituisce oggetto della tesi in Diritto Societario che l’Autore discuterà
dinanzi alla Commisione esaminatrice della Scuola Nazionale Giuristi d’Impresa, istituita
dall’A.I.G.I. (Associazione Italiana Giuristi d’Impresa).
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
53
STUDI E OPINIONI
LBO
Se le cose vanno male, chi paga?”1. I miliardi citati erano espressi in lire e l’anno di
questo primo intervento in tema di merger leveraged buyout era il 1990. Da quel
momento, dopo un acceso dibattito dottrinale, che ha trovato talora alcune conferme in
giurisprudenza, il leveraged buyout (LBO) ha acquisito centralità nella prassi finanziaria
– come preferenziale strumento di investimento usato dai fondi di private equity – ed
anche una consacrazione legislativa, peraltro di rilevo. Infatti, nel 2003, il legislatore
della riforma societaria ha ritenuto opportuno regolare la materia all’interno dello stesso
codice civile (ed all’inizio della disciplina delle fusioni), all’art. 2501-bis2.
1
Così F. GRANDE STEVENS, Intervento, in Dir. fall., 1990, I, 694 ss.: è unanimemente
considerato il primo Autore ad aver introdotto l’argomento in Italia e ad aver richiamato
l’attenzione sui profili di rischio di tali operazioni; e cfr. anche ID., Fuori chi bara, in
Espansione, 1988, 212 ss. e ID., LBO/MBO: intervista a Franzo Grande Stevens (di U.
Morello), in AA. Vv., Fusioni, concentrazioni e trasformazioni tra autonomia e controllo,
Milano, Giuffrè, 1990, 157 ss.. Ad aver delineato compiutamente la disciplina del leveraged
buyout nella prima monografia ad essa dedicata è stato P. MONTALENTI, Il leveraged buyout,
Milano, Giuffrè, 1991.
2
Converrà sin d’ora delineare una bibliografia di massima degli Autori che si sono occupati
dell’argomento, poiché, nonostante la recente introduzione dell’art. 2501-bis c.c., copiosa è la
letteratura in tema. Ex multis, v. P. MONTALENTI, Il leveraged buyout nel nuovo diritto penale
commerciale e nella riforma del diritto societario, in Giur. comm., 2003, 791 ss.; ID.,
Commento all’art. 2501-bis, in Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da Cottino,
Bonfante, Cagnasso, Montalenti, Bologna, Zanichelli, 2004; O. CAGNASSO - M. D’ARRIGO, Le
nuove s.p.a., Bologna, Zanichelli, 2010, 1532 ss.; O. CAGNASSO - M. D’ARRIGO - A.
GALLARATI - L. PANZANI - M.T. QUARANTA, Trasformazione, fusione e scissione, Milano,
Giuffrè, 2012, 155 ss.; L. ARDIZZONE, Sub art. 2501-bis, in Commentario alla riforma delle
società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, Giuffrè, 2006, 463 ss.; A.
ACCORNERO, Come si strutturano i leveraged buyout, in RDS, 2010, 268 ss.; S. CACCHI
PESSANI, La tutela dei creditori nelle operazioni di merger leveraged buy-out. L’art. 2501-bis e
l’opposizione dei creditori alla fusione, Milano, Giuffrè, 2007; P. CARRIÈRE, Il leveraged
financing e il project financing alla luce della riforma del diritto societario: opportunità e
limiti, in Riv. soc., 2003, 995 ss.; ID., Le operazioni di «leveraged cash-out»: spunti critici, in
Soc., 2005, 716 ss.; ID., Dal merger leveraged buy out al (de-merger) de-leveraged sell out: la
«conversione» dei crediti nelle operazioni di ristrutturazione, in Soc., 2012, 278 ss.; A.
GIARDINO, Normativa sulla direzione e sul coordinamento e operazioni di leveraged buyout, in
Soc., 2005, 1103 ss.; M. CARONE, Le operazioni di merger leveraged cash-out: il labile confine
tra rischio ed illegittimità, in Soc., 2011, 180 ss.; C. CINCOTTI, Fusione con indebitamento, leva
finanziaria e distruzione del valore della target, in www.orizzontideldirittocommerciale.it; V.
SANGIOVANNI, Indebitamento, acquisizione e fusione: il merger leveraged buy out, in NDS - Il
Nuovo Diritto delle Società, 2011, n. 13, 16 ss.; F. MAGLIULO, Il leveraged buyout nella fusione
e nella scissione, in NDS - Il Nuovo Diritto delle Società, 2013, n. 12, 11 ss.; G.F. SCIFONI, Il
leveraged buy-out a valori di mercato esclude l’elusione, sul Sole 24 Ore, 9 aprile 2014, 23.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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Il leveraged buyout consiste in una modalità di acquisizione societaria, in cui
l’elemento di maggiore rilievo è rappresentato dall’indebitamento (leverage), tramite il
quale l’operazione in questione è portata a termine. L’acquisizione è condotta da una
società, spesso di recente costituzione, comunemente conosciuta come newco (new
company), fornita di scarsi mezzi finanziari propri (equity) ed invece gravata da un
consistente indebitamento nei confronti degli istituti di credito. La newco è, nella prassi
di queste operazioni, una società meramente destinata alla gestione di partecipazioni
azionarie e, quindi, senza una sottostante attività operativa; inoltre, è, di frequente, una
società di capitali, o per azioni o a responsabilità limitata.
La società oggetto del buyout, la c.d. target, svolge, per parte sua, attività di
impresa. Anzi, l’attività di impresa da essa compiuta è il principale, se non unico,
motivo per il quale si pone in essere l’acquisizione della target. Inoltre – elemento
peculiare dell’istituto – “il debito contratto per l’acquisizione della […] target company
o società bersaglio viene «trasferito» sul patrimonio della stessa”3.
L’operazione in commento, come segnala efficacemente anche l’epigrafe che la
contraddistingue, ebbe origine negli Stati Uniti degli anni settanta. In quegli anni,
infatti, vide luce l’istituto opposto al going public, il going private, che era finalizzato a
concentrare nelle mani di pochi soci il controllo azionario di una public limited
company (PLC)4. Come noto, negli Stati Uniti vi è sempre stata la tendenza ad un’ampia
diffusione degli strumenti finanziari, nell’ottica di una corporate governance
caratterizzata da un azionariato diffuso – il pubblico dei risparmiatori e gli investitori
istituzionali – e da un’ampia autonomia del management5. Il termine buyout indica
3
P. MONTALENTI, Il leveraged buyout nel nuovo diritto penale commerciale, cit., 793.
4
Ossia una società ad azionariato diffuso, a differenza dell’altro tipo societario anglosassone, la
private limited company (Ltd).
5
Corporate governance è un termine tanto usato nell'onomastica societaria, quanto difficile da
definire. Da ultima, particolarmente interessante è la definizione di J.R. MACEY, Corporate
Governance, Promises Made, Promises Broken, Princeton, Princeton University Press, 2008,
pp. 1 ss.: “the purpose of corporate governance is to persuade, induce, compel, and otherwise
motivate corporate manager to keep the promises they make to investors. Another way to say
this is that corporate governance is about reducing deviance by corporations where deviance is
defined as any actions by management or directors that are at odds with the legitimate,
investment-backed expectations of investors. Good corporate governance, then, is simply about
keeping promises. Bad governance (corporate deviance) is defined as promise-breaking
behavior. [...] Corporate governance is a broad descriptive term rather than a normative term.
Corporate governance describes all of the devices, institutions, and mechanisms by which
corporations are governed. Anything and everything that influences the way that a corporation
is actually run falls within this definition of corporate governance. Every device, institution, or
mechanism that exercises power over decision-making within a corporation is part of the system
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
LBO
quindi l’operazione di riacquisto delle azioni quotate sul mercato borsistico da parte
degli investitori o dei manager o dei soci stessi; prassi ancor oggi particolarmente
diffusa nel contesto nordamericano, ove l’acquisto di azioni proprie è di frequente posto
in atto nelle maggiori società, sia per remunerare gli azionisti, sia per sostenere
l’andamento di listino del proprio titolo. Accanto all’aggettivo leveraged, questo
termine finì quindi per identificare quelle acquisizioni tramite effetto leva che trovarono
piena affermazione, sul suolo americano, nel decennio successivo6, per giungere infine,
dapprima come mera astrazione dottrinale, anche sulla sponda orientale dell’Atlantico.
Prima delle riforma del diritto societario, esistevano dubbi, in dottrina ed in
giurisprudenza, a proposito della liceità del leveraged buyout, soprattutto in relazione al
divieto di financial assistance dettato dall’art. 2358, primo comma, c.c., secondo cui “la
società non può, direttamente o indirettamente, accordare prestiti né fornire garanzie
per l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni”7. Tale posizione era argomentata
a partire dalla considerazione che la tutela del capitale è un principio di ordine
pubblico8.
of corporate governance for that firm. [...] The purpose of corporate governance is to safeguard
the integrity of the promises made by corporations to investors”. Sempre in tema di corporate
governance, classica è la distinzione operata da P. MONTALENTI, La società quotata, Padova,
CEDAM, 2004, p. 4, per cui, stante che “la genericità della formula, sia pure comunemente
utilizzata in tutti gli ordinamenti, sottende un pluralità di significati”, una “più ristretta, ma non
per questo meno pregnante accezione, intende per corporate governance l'insieme delle regole
relative alla direzione dell'impresa azionaria, con particolare riferimento al problema
dell'equilibrio tra amministrazione e supervisione”, mentre “un concetto più ampio
ricomprende nella nozione il più vasto campo problematico delle regole dirette ad allocare con
efficienza il controllo delle imprese, a garantire adeguata protezione agli interessi degli
investitori, ad assicurare una conduzione corretta, trasparente ed efficace dell'impresa
societaria con titoli a larga diffusione”.
6
Negli U.S.A. il volume di affari complessivo generato dalle acquisizioni a debito passò da 2
miliardi di dollari nel 1979 ad 88 miliardi nel 1988.
7
Al riguardo, P. MONTALENTI, Il leveraged buyout nel nuovo diritto penale commerciale, cit.,
797, afferma che “la ratio della norma [l’art. 2358 c.c.] deve […] essere individuata nella
tutela, oltreché del capitale sociale, del patrimonio sociale, come strumento di produzione di
reddito”.
8
V., ex plurimis, A. MORANO, Liceità o illiceità del leveraged buy out?, in Soc., 1992, 889 ss. e
D. PREITE, I merger leveraged buy-outs e gli artt. 2357 e 2358 c.c., in Giur. comm., 1993, 104
ss.. Per una ricostruzione del dibattito e per i riferimenti agli Autori che, ante riforma, si
preoccuparono della materia, cfr. L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 470-475 e F. MAGLIULO, op. ult.
cit., 11 ss..
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LBO
In particolare, ci si interrogava sulla liceità dei levareged buyouts condotti sotto
forma di fusione a seguito di acquisizione, dal momento che la target company, dopo la
fusione con la newco, avrebbe assunto su di sé il peso dell’indebitamento in precedenza
contratto dalla newco, “per effettuare l’acquisizione stessa, diventando la fusione un
elemento imprescindibile per garantire il rimborso dei finanziamenti”9.
A causa della formulazione generica dell’art. 2358 c.c. sul punto delle garanzie10,
alcuni ritenevano che l’operazione integrasse gli estremi del contratto in frode alla
legge, attuato con l’implicito fine di aggirare il divieto di cui all’art. 2358 c.c.11. Donde
derivava l’orientamento secondo cui sarebbero state soggette al divieto di financial
assistance anche le acquisizioni nelle quali le garanzie fossero state prestate “in un
momento cronologicamente successivo all’acquisto di azioni (proprie), purché in
presenza di un rapporto eziologico tra gli atti di prestazione della garanzia e l’acquisto
di azioni”12.
La dottrina maggioritaria propendeva, però, per la liceità dell’acquisizione a
leva13, dal momento che le target companies non accordavano prestiti o garanzia per
l’acquisto o sottoscrizione di azioni proprie; infatti, ora come allora, quando avviene
l’acquisizione, la newco e la target rimangono ben distinte“e solo in un momento
9
L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 471.
10
Ci si chiedeva infatti se le garanzie ex art. 2358 c.c. fossero da intendersi in senso tecnico o
meno.
11
Questa era, e.g., la posizione pre-riforma di F. GRANDE STEVENS e P. MONTALENTI, citati a
nt. 1, i quali riscontravano “una possibile natura in frode alla legge (c.d. tesi sostanzialistica),
anche là ove la struttura dell’operazione non implicasse una formale violazione dei presupposti
di applicazione dell’art. 2358. Unico antidoto contro il conseguente effetto della nullità veniva
individuato nella sussistenza di concrete ragioni imprenditoriali” (L. ARDIZZONE, op. ult. cit.,
473, ove ulteriori riferimenti). P. MONTALENTI, op. ult. cit., 800, precisa che “anche prima delle
riforma, l’intento elusivo non poteva discendersi automaticamente dal ricorso all’LBO come
tecnica di acquisizione, ma doveva essere verificato con un’attenta valutazione della struttura
finanziaria dell’operazione, per verificare se la traslazione del debito ne fosse il fine esclusivo o
predominante oppure se invece, in base ad un piano economico e finanziario, costituisse uno
dei mezzi finanziari unito all’impiego di mezzi propri o di mezzi dell’impresa che non incida,
ragionevolmente, sul suo equilibrio finanziario: nella prima ipotesi vi era […] elusione dell’art.
2358, nella seconda l’operazione doveva ritenersi legittima”.
12
L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 473.
13
Il termine “leva”, riferito a questo genere di operazioni, deriva dal fatto che esse vengono
compiute “facendo leva […] sulla maggior capacità patrimoniale e di indebitamento di
quest’ultima [la target company] per il rimborso del debito contratto per il suo acquisto” (O.
CAGNASSO - M. D’ARRIGO - A. GALLARATI - L. PANZANI - M.T. QUARANTA, op. ult. cit., 157).
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successivo se ne verifica la fusione”14. A sostegno di questa seconda tesi, stava anche il
disposto dell’art. 2358 c.c., a norma del quale la condotta illecita deve essere compiuta
dagli amministratori della società che presta le garanzie15: nel nostro caso, la target
company. Ma, come emerge ictu oculi dal nome, essa, nella maggioranza delle ipotesi di
leveraged buyout, è un soggetto passivo16.
Con l’introduzione dell’art. 2501-bis c.c., ad opera del d.lgs. 6/2003 e, inoltre, con
la novella dell’art. 2358 c.c., ad opera dell’art. 14 d. lgs. 4 agosto 2008, n. 142, “tale
dibattito si è ridotto, ma, incredibilmente, non si è estinto”17. Il fatto però che il
legislatore si sia preoccupato di dettare una disciplina positiva in materia18, nonché
l’aggiunta all’art. 2358 c.c. di uno specifico comma (“resta salvo quanto previsto dagli
artt. 2391-bis e 2501-bis”19) hanno fatto propendere la dottrina maggioritaria per
l’ammissibilità dell’istituto.
Sul punto, rimane da valutare se, a tutt’oggi, persistano quali condizioni di
legittimità del leveraged buyout le valide ragioni imprenditoriali. E, ancora, se le
molteplici forme, sotto cui quest’ultimo può sostanziarsi, siano tutte lecite.
Converrà, quindi, esaminare le modalità (internazionalmente conosciute) per la
realizzazione di tali operazioni e la disciplina (italiana) ex art. 2501-bis c.c.. Con un
‘avviso ai naviganti’: il presente lavoro si pone nell’ottica di individuare gli aspetti,
giuridici ed operativi, di maggior rilievo per i manager che intendano procedere ad
14
F. MAGLIULO, op. ult. cit., 11 ss..
15
A M.S. SPOLIDORO, Incorporazione della controllante nella controllata e «leveraged buy
out», in Soc., 2000, 75 ss., pare evidente che “l’art. 2358 c.c. mira specificamente ad impedire
che, attraverso prestiti o garanzie, gli amministratori della società emittente eludano il divieto
di acquistare o sottoscrivere azioni proprie, riuscendo così ad influenzare il corso di borsa dei
titoli, ad alterare a vantaggio proprio (o dei propri affiliates) gli equilibri organizzativi della
società oppure a discriminare a favore di taluni soci nell’utilizzo del patrimonio sociale. Da ciò
deriva che si può prospettare una violazione materiale dell’art. 2358 c.c. solo se si sta
discutendo di una condotta degli amministratori della società emittente”.
16
E si pensi al caso di un leveraged buyout con cui si realizzi un takeover ostile sulla target, al
fine di cambiare il management, considerato incapace di gestire efficacemente l’impresa.
17
Icasticamente A. ACCORNERO, op. ult. cit., 271.
18
In conformità con l’art. 7, primo comma, lett. d) della legge delega.
19
F. MAGLIULO, op. ult. cit., 11 ss., in proposito osserva che “la principale cautela introdotta
dal nuovo testo dell’art. 2358 c.c. è […] diretta al controllo dell’operato degli amministratori
della società target mediante l’assoggettamento dell’operazione all’autorizzazione
assembleare. E ciò proprio al fine di evitare che gli amministratori influenzino gli assetti
proprietari e organizzativi della società dai medesimi gestita, affrancandosi in qualche modo
dal controllo assembleare”.
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un’operazione di MLBO. Evidenziando, in particolar modo, i rischi connessi al loro
operato, nella strutturazione della fusione a seguito di acquisizione con indebitamento.
Il tema della tutela dei soci e dei creditori, e le azioni loro riservate, rimarranno quindi
in secondo piano.
1.2. I vari tipi di leveraged buyouts: loro esame. Il merger leveraged buyout
La forma più classica attraverso cui le operazioni di acquisizione a debito
vengono realizzate è il merger leveraged buyout (MLBO).
Come detto, la società che intende effettuare l’acquisizione (c.d. raider) è – in
genere, ma non necessariamente – di recente costituzione e del tutto strumentale al
compimento dell’operazione.
Una volta costituita la newco, “con un capitale sociale modesto, largamente
inferiore in ogni caso al prezzo di vendita delle azioni della società bersaglio”20, essa
contrae un prestito presso istituti di credito o enti finanziari specializzati o merchant
banks, le quali – spesso – apportano anche capitale di rischio, insieme con i fondi di
investimento promotori di tali operazioni21. Il prestito, sproporzionato rispetto al
capitale sociale della raider, comporta una “ampiezza differenziale del rapporto tra
questi due valori”, che “misura l’entità dell’indebitamento e, quindi, della «leva»
finanziaria (leverage)”22. La sproporzione ora sottolineata non è casuale, ma è dettata
dai migliori principi di finanza aziendale: infatti, come noto, “il ricorso al debito è
idoneo ad amplificare […] la redditività del capitale, in funzione del rapporto tra
redditività dell’investimento finanziato e tasso di interesse corrisposto sul
finanziamento”23.
A garanzia del prestito sono generalmente offerte in datio le azioni della newco o,
eventualmente, quelle della stessa target company; una volta che l’acquisizione sia stata
20
P. MONTALENTI, op. ult. cit., 794.
21
Come è stato osservato, i fondi di private equity “spesso dividono l’investimento (i) con il
management, (ii) con altri fondi (cosiddetti coinvestors) o (iii) con banche che apportano debito
a diverso grado di rischio” (A. ACCORNERO, op. ult. cit., 274).
22
L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 467.
23
C. CINCOTTI, op. ult. cit., 1. Cfr. sul punto la spiegazione finanziaria riportata a nt. 1: “Il ROE
(Return On common Equity), ossia la redditività del capitale proprio, è pari a ROI + ((ROI –
rD) x LEVA), dove ROI (Return On Investment) è l’indice di redditività del capitale investito ed
rD è il costo del debito. […] E’ evidente che, ove il ROI sia superiore al tasso di interesse
dovuto a fronte del debito contratto dall’impresa, la leva finanziaria determina un aumento del
ROE, ossia della redditività del capitale proprio. Per contro, un ROI inferiore al tasso di
interesse corrisposto dall’impresa ai creditori determina un effetto inverso ed il ricorso alla
leva finanziaria determina una riduzione della redditività del capitale”.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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portata a termine, si procede quindi a fusione tra le due entità, di norma per
incorporazione della società acquisita nella società acquirente. Ma nulla impedisce che
avvenga il contrario: soprattutto qualora la fama della target sia tale da consigliare il
mantenimento del suo nome e della sua struttura societaria. La società risultante dalla
fusione è convenzionalmente indicata con il termine mergeco.
Il prestito, a questo punto, non può più essere garantito dalle azioni di una delle
due società originarie, perché, a seconda dei casi, sono annullate o le azioni della newco
o quelle della società bersaglio. In sostituzione, a tutela delle ragioni dei creditori
intervengono garanzie reali sui beni aziendali disponibili nella società emersa dalla
fusione; e che corrispondono agli assets in precedenza di proprietà della società
acquisita.
Ma la vera ‘garanzia’ accordata ai finanziatori per un’operazione così rischiosa va
piuttosto rinvenuta nel reddito e nella ricchezza che possono essere estratti dalla società
target.
Quest’ultima, infatti, può generare consistente flussi di cassa (cash flows) dalla
sua attività ordinaria, flussi presumibilmente migliorabili a seguito dell’acquisizione del
controllo da parte della società raider. In questo caso, la società acquisita è definita cash
company e la fusione per incorporazione cash merger24.
In alternativa, essa può disporre, all’interno del suo patrimonio, di ingenti cespiti,
valorizzabili attraverso una loro cessione sul mercato, se considerati non strumentali
allo svolgimento dell’attività imprenditoriale. La vendita degli assets costituisce
pertanto un’altra modalità di rimborso del debito contratto, secondo i principi dell’assetbased finance.
Ma il MLBO ‘finanziario’ non è l’unica forma sotto cui può manifestarsi l’istituto
in commento: la prassi dei c.d. M&A (mergers& acquisitions) ne conosce diverse.
24
Le cash companies sono caratterizzate da un elevato cash flow in entrata, superiore a quello in
uscita: vi è, quindi, un risultato positivo nella differenza tra la liquidità registrata ad inizio
esercizio e quella registrata a fine del medesimo. Un buon andamento finanziario della target è
necessario per la sostenibilità del debito contratto dalla raider; risultato che non sarebbe
conseguibile soltanto attraverso un efficiente risultato economico della società (per cui i ricavi
sono strutturalmente superiori ai costi). Si ricordi infatti che, a livello di equilibrio economico,
semplificando le più elementari regole di contabilità, si parla di crediti (ricavi) e debiti (costi), e
non di entrata/uscita di denaro (nella cassa della società e, soprattutto, sui conti bancari).
L’equilibrio economico non è pertanto sufficiente a garantire il rimborso del debito, in quanto
ad un fatturato in crescita non è detto che corrisponda, brutalmente, altrettanta moneta incassata;
invece, il parametro dei flussi di cassa, “considerato al netto delle necessità d’investimento (free
cash flow)”, è il “presupposto per lo sviluppo della società acquisita e, quindi, per il
mantenimento della sua capacità di rimborso dell’intero indebitamento” (L. ARDIZZONE, op.
ult. cit., 467-468).
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Va innanzitutto menzionato il management buyout, ove a costituire la newco
destinata a condurre l’acquisizione sono i manager della target company. A guidare
costoro è il desiderio di affrancarsi dai loro principals, gli azionisti, per essere in grado
di guidare la ‘propria’ società senza interferenze esterne. Gli investitori coinvolti
nell’acquisizione possono fare affidamento su una équipe dirigenziale che ha già dato
buona prova di sé nella conduzione dell’impresa, che ne conosce a fondo le
problematiche e che potrebbe incrementarne ulteriormente gli utili (e, in particolare, i
flussi di cassa in entrata). Nella species ora esaminata, se condotta senza determinate
cautele, emergono i profili di conflitto con l’art. 2358 c.c. prima menzionati.
L’acquisizione a leva ad opera della dirigenza conosce anche un’altra modalità, il
c.d. management buyin: ad agire, questa volta, sono gli amministratori non della società
bersaglio, bensì di un’altra società operante nel medesimo settore. La target, infatti,
presenta una gestione insoddisfacente ed inadeguata, a cui gli amministratori esterni
intendono porre rimedio, sfruttando la loro approfondita conoscenza del settore.
Quest’ultimo aspetto incoraggia gli investitori a sostenere l’operazione, confidando in
un miglioramento delle condizioni imprenditoriali, grazie all’esperienza dei futuri
azionisti.
Non solo agenti esterni pongono in essere operazioni di leveraged buyout.
Nel family buyout a costituire la newco è la famiglia che controlla, di fatto o di
diritto, la società bersaglio, principalmente per due ordini di ragioni. La prima consiste
nella volontà di rafforzamento del capitale della target, senza dover ricorrere o ad un
aumento di capitale o a finanziamenti bancari diretti o, ancora, all’emissione di
obbligazioni. La seconda consiste, invece, nella volontà di liquidare la partecipazione di
alcuni componenti della famiglia, monetizzando la propria uscita dalla società grazie
all’effetto leva. In tal modo, non si pregiudica il controllo dei restanti familiari, i quali
anzi mantengono saldamente la propria presenza nella compagine societaria.
Nell’employee stock ownership plan a strutturare il classico schema operativo
sono i dipendenti della target, qualora essa versi in una situazione economicofinanziaria precaria, tale da mettere a rischio i posti di lavoro da essa generati: i
lavoratori subordinati agiscono per ristrutturare quella che è la ‘loro’ società, per
garantirsi una solida occupazione e per poter decidere personalmente della propria sorte.
I finanziatori accordano loro fiducia nella ragionevole aspettativa di un futuro
turnaround effettuato da “soggetti conoscitori della realtà societaria e, soprattutto,
protagonisti della sua vita operativa”25.
Rilevante è, infine, un’ultima fattispecie, il corporate buyout: esso avviene
all’interno di un gruppo societario e, ponendo attenzione ad eventuali situazioni di
conflitto di interesse degli amministratori, è volto ad una riorganizzazione complessiva
del gruppo.
25
L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 469.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
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L’excursus comparatistico non pretende di essere esaustivo26; all’opposto, tale è la
molteplicità delle forme dei leveraged buyouts, che sarebbe impossibile offrirne
un’elencazione completa.
Ciò non toglie l’unicità della fattispecie in esame: nonostante assuma aspetti
diversi, gli elementi tipici dell’istituto permangono. E’ infatti evidente come le maggiori
differenze emergano nelle ragioni poste a fondamento delle operazioni di acquisizione a
leva27.
Si può allora compendiare in questa sede un’altra questione a lungo dibattuta:
ossia se debbano sussistere delle «valide ragioni imprenditoriali» a sostegno del
leveraged buyout. Ad un primo sguardo, già si è osservato che l’operazione in
commento non debba essere necessariamente finanziaria, recte, speculativa; né essere
necessariamente eseguita da fondi di private equity28. Inoltre, non è sempre volta ad un
change of control societario29. Talune forme di LBO, infatti, presentano protagonisti e
motivazioni diametralmente opposti a quelli dell’operazione tradizionalmente intesa. Si
pensi al caso del family buyin: in esso permangono evidenti i caratteri salienti del
capitalismo familiare (a noi particolarmente caro); ed ai problemi che eventualmente
attanaglino questa forma di capitalismo, il LBO può fornire soluzioni interessanti.
1.3. Le «valide ragioni imprenditoriali» ed altre condizioni. Loro esclusione
Nonostante queste prime considerazioni, sul punto permane una disomogeneità di
opinioni.
26
Comparatistico in quanto molte di queste operazioni non vedono luce in Italia.
27
In questo senso L. ARDIZZONE, ibidem: “le sfaccettature che ogni modalità presenta sono
riferite essenzialmente ai promotori e non ai soggetti finanziatori, la cui posizione rimane
sostanzialmente uniforme nella ricerca del profitto. Inoltre, si priverebbe di un unico significato
la stessa categoria generale del leveraged buy out, accentuandone al contempo la
frammentazione. D’altronde, l’operazione, in qualunque forma sia strutturata, potrebbe
perseguire un intento estraneo allo schema prescelto”. Cfr. anche A. ACCORNERO, op. ult. cit.,
274, secondo cui “management buy out («MBO»), family buy out, employees buy out, fiscal
leveraged buy out […] descrivono le finalità che si vogliono perseguire con l’operazione ovvero
i soggetti che ne sono coinvolti […]. La struttura non cambia, ma vi sono piccole variazioni
necessarie per adeguarla alle diverse esigenze dei soggetti coinvolti”.
28
Anche se costituiscono gli attori più frequenti dei leveraged buyouts.
29
Inteso in senso effettivo, con riferimento ai soci - persone fisiche: infatti, l’art. 2501-bis c.c.,
come si vedrà, non impone che al trasferimento della partecipazione “consegua anche un
mutamento effettivo del controllo della società acquisita” (M.S. SPOLIDORO, Fusioni pericolose
(merger leveraged buy out), in AA. VV., Le operazioni societarie straordinarie: questioni di
interesse notarile e soluzioni applicative, Milano, Giuffrè, 2007, 86).
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
62
STUDI E OPINIONI
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Ancora di recente si è sostenuto che, “con tutta evidenza”, il legislatore dell’art.
2501-bis c.c. “si è preoccupato di evitare per quanto possibile che il leveraged buyout
venga posto in essere senza valide ragioni imprenditoriali e, soprattutto, gravando di
eccessivi debiti la società target, sulla base di un intento meramente speculativo”30.
Questa posizione, in precedenza sostenuta dalla giurisprudenza ante riforma31, si
preoccupa non solo della rischiosità dell’operazione in sé, ma anche delle possibili
conseguenze che lo squilibrio patrimoniale della mergeco non venga sanato dalla
capacità reddituale della componente operativa (ex target) della nuova impresa. E.
probabilmente, vengono in considerazioni anche diffidenze verso un mondo (la
finanza), sovente accusato di intenti predatori ed elusivi tout court.
L’orientamento però è insostenibile.
Lo era prima della riforma, in quanto le valide ragioni imprenditoriali non
sarebbero state un’esimente sufficiente, se si considerava – come si considerava – il
leveraged buyout alla stregua di un contratto in frode alla legge, in violazione del
disposto di cui all’art. 2358 c.c.32.
Lo è anche nella vigenza dell’art. 2501-bis c.c.. Oltre alla pacifica considerazione
per cui, se il legislatore ne ha dettato espressamente la disciplina, il LBO sia intendersi
come legittimo, atteso il rispetto della norma in commento, va inoltre considerato un
secondo aspetto. Una lettura tesa a disincentivare le operazioni meramente speculative
“contrasta non solo con la legge delega, ma anche con il principio di libera iniziativa
economica contenuto nell’art. 41 Cost.: il (merger) leveraged buy out è un’operazione
di mercato, che oggettivamente può implicare una migliore allocazione delle risorse
produttive, anche mediante una differente corporate governance, da cui consegue una
più efficiente gestione della società acquisita”33.
30
F. MAGLIULO, op. ult. cit., 11 ss, enfasi aggiunta.
31
V. Trib. Milano, 13 maggio 1999, in Giur. it., 1999, 2105, secondo cui “non è configurabile
un negozio in frode alla legge con riferimento alla fusione, deliberata nell’ambito di un
leveraged buy out, fra la società acquirente e quella acquisita se, al momento in cui tale
negozio è sorto, sussistevano concrete ragioni imprenditoriali che lo giustificavano”.
32
E’ stato infatti notato (da F. MAGLIULO, op. ult. cit., 11 ss.) che, se la frode alla legge ha
valenza oggettiva e prescinde dall’intento delle parti, il LBO non violava il dettato dell’art. 2358
c.c., “trattandosi di fattispecie sostanzialmente diversa da quella prevista da detta norma”. Se
invece rileva l’intenzione fraudolenta delle parti e la legge la punisce con il disposto dell’art.
1344 c.c., allora è proprio l’intentio fraudis (una volta dimostrata) a rendere illecito il LBO, non
invero l’assenza di valide ragioni imprenditoriali.
33
L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 496, il quale di seguito aggiunge anche come “solo con il
raggiungimento di tale obiettivo si rende possibile il rimborso del debito e, quindi, un buon
esito dell’operazione, con contestuale creazione di valore a favore dell’acquirente, dei suoi
finanziatori, ma anche dei soci di minoranza e dei creditori della società obiettivo”.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
63
STUDI E OPINIONI
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Più interessante, invece, chiedersi se si debba ritenere esistente un livello di
indebitamento così sproporzionato da configurare l’illiceità dell’istituto. A tal fine
soccorrono alcuni studi di finanza aziendale, in particolare il noto teorema di Modigliani
- Miller: le due proposizioni del teorema, infatti, affermano che il valore dell’impresa è
pari al valore attuale dei cash flows attesi a seguito dell’operatività aziendale, senza che
rilevino né la struttura finanziaria della società, né la politica dei dividendi34.
Il legislatore italiano, al momento di stendere l’art. 2501-bis c.c., memore delle
acquisizioni, ormai consolidate, della finanza aziendale, non ha posto dei limiti fissi
all’indebitamento, ma, invece, ha previsto diversi momenti di disclosure sul
procedimento di MLBO. Infatti, a causa della maggior pericolosità per i soci e per i
creditori della fattispecie in esame rispetto ad una fusione ordinaria, al legislatore è
parso opportuno potenziare la disclosure sull’operazione, in confronto a quanto previsto
nella normativa generale sulle fusioni: si pensi, ad esempio, al diritto di informazione
spettante ai soci, sancito dall’art. 2501-septies c.c.35.
34
In proposito v. M. PAGANO, I teoremi di Modigliani-Miller: una pietra miliare della finanza,
in Moneta e Credito, 2005, 257: “Il primo teorema di MM [Modiglaini - Miller] stabilisce le
condizioni in cui la scelta tra l’emissione di debito e l’emissione di azioni per finanziare un
dato livello di investimento non influisce sul valore di un’impresa, cosicché non esiste un
rapporto ottimale di indebitamento rispetto ai mezzi propri. Il secondo teorema di MM dimostra
che nelle stesse condizioni neanche la politica dei dividendi influisce sul valore dell’impresa, e
quindi non esiste un rapporto ottimale tra dividendi e utili. Entrambi i teoremi appartengono
quindi a quella classe di sorprendenti risultati noti in economia come «proposizioni di
irrilevanza», altrimenti denominati «proposizioni di neutralità» o «proposizioni di invarianza».
Si tratta di teoremi che dimostrano l’irrilevanza di una scelta che a prima vista sembrerebbe
molto importante, come la decisione sulla struttura del capitale o la decisione sui dividendi”.
35
Sul tema del diritto di informazione dei soci uti singuli, ossia anche di coloro i quali non
raggiungono soglie qualificate di partecipazione, sia consentito il rimando a P.L. BORSANO, I
diritti di informazione (pre)assembleare dei soci nelle s.p.a. quotate alla luce delle recenti
evoluzioni, in NDS - Il Nuovo Diritto delle Società, 2014, n. 12, 52 ss..
L’art. 2501-septies recita che: “devono restare depositati in copia nella sede delle società
partecipanti alla fusione ovvero pubblicati sul sito Internet delle stesse, durante i trenta giorni
che precedono la decisione in ordine alla fusione, salvo che i soci rinuncino al termine con
consenso unanime, e finché la fusione sia decisa: 1) il progetto di fusione con le relazioni, ove
redatte, indicate negli articoli 2501-quinquies e 2501-sexies; 2) i bilanci degli ultimi tre
esercizi delle società partecipanti alla fusione, con le relazioni dei soggetti cui compete
l'amministrazione e la revisione legale; 3) le situazioni patrimoniali delle società partecipanti
alla fusione ove redatte a norma dell'articolo 2501-quater, primo comma, ovvero, nel caso
previsto dall'articolo 2501-quater, secondo comma, la relazione finanziaria semestrale. I soci
hanno diritto di prendere visione di questi documenti e di ottenerne gratuitamente copia. Su
richiesta del socio le copie gli sono trasmesse telematicamente. La società non è tenuta a
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
64
STUDI E OPINIONI
LBO
Come si vedrà, la ragionevolezza dell’operazione deve essere vagliata soltanto
alla luce ed in base ai piani attuati (professionalmente) dagli amministratori36. Soltanto
la violazione dei doveri loro imposti dall’art. 2381 c.c. nella stesura dei documenti, con
conseguente irragionevolezza dell’operazione, è motivo di censura da parte dei soci o
dei creditori, che va fatto valere attraverso i diversi rimedi previsti dall’ordinamento (ex
art. 2377 c.c.; ex art. 2379 c.c.; ex artt. 2503 e 2503-bis c.c. per l’opposizione alla
fusione da parte di creditori ed obbligazionisti; ex art. 2504-quater, secondo comma,
c.c. per il risarcimento del danno spettante a soci o terzi).
In questo modo, si sono ricondotte sul piano dell’essere affermazioni che, invece,
confutando la legge di Hume, si muovevano sul piano del dover essere37.
Senza contare l’ormai affermato principio della business judgment rule e
l’impostazione del legislatore della riforma (e, più in generale, del nostro diritto
societario): nel rispetto delle libere scelte imprenditoriali, il legislatore mai ha inteso
sottoporre a sindacato di ragionevolezza le operazioni straordinarie, compiute dagli
amministratori, o la costituzione delle società.
Viene in considerazione un’ultima questione, a proposito della legittimità del
merger leveraged buyout: se il rispetto degli obblighi informativi posti dall’art. 2501-bis
rappresenti la condicio sine qua non esso possa dirsi lecito.
La tesi è stata autorevolmente sostenuta: “l’art. 2501-bis dovrebbe leggersi come
norma interpretativa che chiarisce e precisa a quali condizioni le operazioni di merger
fornire copia dei documenti, qualora gli stessi siano stati pubblicati sul sito Internet della
società dal quale sia possibile effettuarne liberamente copia o stampa”.
36
In argomento, v. amplius C. CINCOTTI, op. ult. cit., 1 ss.: il saggio è interamente dedicato al
rapporto tra indebitamento e legittimità dell’operazione di MLBO, con riferimenti anche alle
best practices previste, sul punto della redazione dei piani economici, dagli IAS. Sulla redazione
dei documenti da parte degli amministratori ci soffermeremo infra, quando affronteremo
l’analisi dell’art. 2501-bis c.c..
37
Il riferimento va, ovviamente, a D. HUME, Opere filosofiche. Trattato sulla natura umana,
Roma-Bari, Laterza, 2008, I, 496-497: “in ogni sistema morale in cui finora mi sono imbattuto,
ho sempre trovato che l'autore va avanti per un po' ragionando nel modo più consueto, e
afferma l'esistenza di un Dio, o fa delle osservazioni sulle cose umane; poi tutto a un tratto
scopro con sorpresa che al posto delle abituali copule è o non è incontro solo proposizioni che
sono collegate con un deve o un non deve; si tratta di un cambiamento impercettibile, ma che
ha, tuttavia, la più grande importanza. Infatti, dato che questi deve, o non deve, esprimono una
nuova relazione o una nuova affermazione, è necessario che siano osservati e spiegati; e che
allo stesso tempo si dia una ragione per ciò che sembra del tutto inconcepibile ovvero che
questa nuova relazione possa costituire una deduzione da altre relazioni da essa completamente
differenti”.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
65
STUDI E OPINIONI
LBO
leveraged buyout sono legittime, in quanto non in contrasto con il divieto di fornire
prestiti o prestare garanzie per l’acquisto di azioni proprie”38.
Si potrebbe comunque rilevare che il legislatore, nel disciplinare la fattispecie, ha
inteso affermarne la liceità, ribadendo in seguito la sua volontà con la novella dell’art.
2358 c.c.. I momenti di disclosure, seppure fondamentali nell’architettura della
normativa del MLBO, non rappresentano il discrimen tra liceità ed illiceità del
medesimo. Conferme in tal senso si rinvengono non solo nel testo della legge delega39,
ma anche nel codice civile riformato, nel quale è stato deciso di riconoscere espressa
tutela risarcitoria ai soci ed ai terzi ex art. 2504-quater c.c., accantonando invece le
tutele ‘reali’40, “posto che dalle informazioni fornite dagli amministratori (o, a maggior
ragione, dalla loro mancanza) è più facile individuare le cause della loro
responsabilità”41.
Peraltro, anche la lettera dell’art. 2501-bis c.c. pare inserirlo con piena dignità
nella normativa prevista per le fusioni: non solo per la collocazione all’inizio della
medesima, ma anche per il fatto che la norma si limita a dire che, in caso di fusioni
mediante indebitamento, occorre applicare la disciplina di cui all’articolo in commento.
Nulla lascia supporre che, quindi, il MLBO sia una fattispecie illegittima ed in contrasto
con l’art. 2358 c.c., ma che, per la sola applicazione degli obblighi informativi, in
conseguenza diventi lecita.
Si pensi, ad esempio, alla diversa formulazione degli artt. 2358 e 2501-bis c.c.: nel
primo, il legislatore fa divieto espresso di financial assistance (“la società non può …”),
38
P. MONTALENTI, op. ult. cit., 816. Nel medesimo senso anche O. CAGNASSO - M. D’ARRIGO A. GALLARATI - L. PANZANI - M.T. QUARANTA, op. ult. cit., 163 ss.: “le informazioni
prescritte dall’art. 2501 bis c.c. costituiscono quindi le condizioni di legittimità delle operazioni
di merger-leveraged buyot e devono essere presenti, pena l’invalidità del procedimento di
fusione; rappresentano infatti […] la linea di demarcazione preventiva, oltre la quale viene in
applicazione l’art. 2358 c.c., per violazione del divieto di financial assistance”.
39
In argomento, A. ACCORNERO, op. ult. cit., 273, precisa che “stante il chiarissimo disposto
della legge delega circa il fatto che i LBO non violano l’art. 2358 c.c., sostenere che il
compimento di un atto seguente alla fusione riporti in auge una discussione a cui il Legislatore
ha voluto mettere fine, è comprensibile […] ma poco realista”.
40
Intendendosi con il termine “reale” quella tutela in grado di incidere sul buon esito del
processo di fusione.
41
L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 518. L’Autore ritiene ibidem che l’art. 2501-bis, “oltre ad
imporre obblighi informativi, afferma implicitamente la validità del merger leveraged buy out,
che, in quanto tale, non comporta una violazione dell’art. 2358, né direttamente, né come
negozio in frode alla legge, pur rimanendo possibile la violazione del divieto, in virtù
dell’operato degli organi della società obiettivo”. Per il medesimo orientamento v. L. PICONE,
Il Leveraged buy out nella riforma del diritto societario, in Contratto e Impresa, 2003, 1451.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
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salve le ipotesi previste dalla norma (“se non alle condizioni previste …”). Nel secondo,
invece, detta semplicemente il processo da seguirsi in caso di MLBO, così come alla
sezione II del capo X detta il processo da seguirsi in caso di fusioni tout court (“nel caso
di fusione tra società … si applica la disciplina del presente articolo”).
Inoltre, la legge, nel dettare i tempi e la modalità della fusione mediante
acquisizione a leva, specifica che la garanzia per l’avvenuta acquisizione sorge al
momento della fusione e non prima; con ciò quindi sembra escludere il verificarsi
dell’assistenza finanziaria da parte della società acquisita al momento,
cronologicamente anteriore, della sua stessa acquisizione (“quando per effetto della
fusione il patrimonio di quest'ultima [ossia la target] …”)42. Ovviamente, rimane il
riferimento (logico-economico, prima che giuridico) al patrimonio della società
controllata, dal momento che è l’unica società operativa (nonché, presumibilmente,
florida) presente in questo tipo di operazioni.
L’unico caso di possibile conflitto con l’art. 2358 c.c. rimane quello in cui gli
amministratori della target company prestino attivamente garanzie in favore della
newco, al fine della successiva acquisizione. In quest’ultimo caso, sarebbe violato il
divieto di prestazione di garanzie dirette per l’acquisto e la sottoscrizione delle proprie
azioni. Infatti, “sembra più opportuno valorizzare l’aspetto soggettivo dell’art. 2358,
sia per quanto attiene ai soggetti beneficiari (soci o terzi), sia, soprattutto, con
riferimento ai soggetti agenti”43.
Beninteso, permangono (e devono permanere) cautele intorno a questi processi di
fusioni: cautele però che derivano soltanto dall’applicazione dell’art. 2501-bis c.c. e dai
principi contabili che presidiano le relazioni degli amministratori e degli esperti. Cautele
che, giova ribadirlo, non sono la condizione di legittimità del merger leveraged buyout,
ma grazie alle quali si recupera, nel perimetro della norma e non al di fuori di essa, un
limite alla spoliazione predatoria della società obiettivo44.
Implicita conferma della piena legittimità del MLBO giunge anche da una recente
giurisprudenza tributaria, che ha consacrato tali operazioni anche dal punto di vista
fiscale. Già nel 201145, la Commissione provinciale tributaria di Milano aveva sancito
che “l’assenza di elusività rispetto ad un’operazione di merger leveraged buy-out
ricorre in ogni ipotesi di rinnovo della compagine societaria, anche se la quota che si
42
Qualora si interpreti, come si interpreta nel corso del testo, quel “per effetto della fusione” alla
stregua di un complemento di causa e non di fine. Nel medesimo senso A. ACCORNERO, op. ult.
cit., 272, il quale sostiene che “l’art. 2501-bis c.c. richiede che dopo la fusione il patrimonio di
Target venga a costituire «garanzia generica o fonte di rimborso»”.
43
L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 520.
44
Sul punto cfr. C. CINCOTTI, op. ult. cit., 1 ss., nonché infra par. 2.3.
45
Con la sentenza 36/34/2011, rinvenibile nella banca dati Leggi di Italia.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
LBO
acquisisce non è di maggioranza”46. La medesima Commissione è tornata sul tema
qualche tempo dopo47, sia stabilendo una serie di elementi, in presenza dei quali è
manifesta la non elusività del MLBO, sia legittimandolo pienamente quale miglior
forma di acquisizione societaria per i fondi di private equity.
In particolare, gli elementi che rilevano ai fini della manifesta non elusività del
merger leveraged buyout consistono nel fatto che esso sia intercorso: i) tra soggetti
terzi, indipendenti tra di loro; ii) nel rispetto delle condizioni economiche di mercato;
iii) non utilizzando società o enti con sede sita nei c.d. ‘paradisi fiscali’; iv) con lo scopo
di un mutamento del controllo societario: mutamento che, ad operazione conclusa, deve
essersi verificato.
Quanto al secondo aspetto, la Commissione ha respinto la tesi del Fisco (secondo
cui sarebbe stato meglio ricorrere ad un’acquisizione societaria diretta), per due ordini
di ragioni.
La prima. I fondi di private equity presentano la necessità di dividere e
segmentare i propri investimenti e pertanto lo schema offerto dal MLBO – costituzione
di una newco e successiva acquisizione tramite quest’ultima – è, a tal fine, il più
efficiente.
La seconda. Gli stessi finanziatori della società raider – in primis, gli istituti di
credito – sono maggiormente tutelati da questa segmentazione, poiché, in tal modo,
hanno la certezza che il prestito da loro erogato vada a finire esclusivamente in quella
specifica operazione, e non in una degli svariati altri investimenti che il fondo stia
attuando nel medesimo periodo.
1.4. La struttura del MLBO: ad una sola newco
Classicamente, ad un’operazione di MLBO partecipano: la società raider, sovente
di recente costituzione e partecipata da fondi di private equity, banche d’affari ed
eventualmente altri soci; la società obiettivo; e gli istituti di credito, che finanziano gran
parte del processo.
La newco è una società di capitale: una s.p.a. o, in alternativa, una s.r.l..
Essa contrae il finanziamento dalle banche partecipanti, il c.d. bridge (prestitoponte), che tendenzialmente è in rapporto di 2:1 con il capitale sociale.
Quindi, acquista le azioni (o quote) della società bersaglio, per poi darle in pegno,
a garanzia del bridge, alle banche finanziatrici.
Ad ulteriore garanzia del prestito-ponte, i soci della raider danno in pegno ai
medesimi istituti anche le azioni (o quote) di quest’ultima.
46
G.F. SCIFONI, op. ult. cit., 23.
47
Con la sentenza 1527/1/2014, rinvenibile nella banca dati Leggi di Italia. In specifico, la
Commissione ha annullato la tassazione degli interessi passivi del merger leveraged buyout
posto in essere, considerati indeducibili dal Fisco.
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STUDI E OPINIONI
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A questo punto, vengono liquidate le spese dei numerosi consulenti che hanno
reso possibile l’operazione48 e le imposte indirette allo stato.
Si procede allora alla fusione tra le due società, sia per fusione diretta di target in
raider sia per fusione inversa di raider in target. Quest’ultimo caso è più particolare, ed
è motivato dall’intenzione di non far sparire il brand, anche a livello di governo
societario, della società bersaglio; o dall’intenzione di non trasferire alla raider la
proprietà di marchi, brevetti, licenze, immobili e quanto altro sia nella disponibilità
della target, anche a causa dei conseguenti oneri fiscali. Si è però obiettato che, in tal
modo, essendo annullate le azioni (o quote) della newco, ai cui soci vengono, invece,
assegnate le azioni (o quote) della target, o, meglio, della target post-fusione, si
incorrerebbe nel già citato divieto di financial assistance. All’obiezione si è risposto che
“gli effetti contabili della fusione inversa e di quella diretta sono identici e quindi non
avrebbe senso che un tipo di fusione fosse permessa ed una no”. Inoltre, “le ragioni che
spingono a procedere alla fusione inversa […] sono collegate ai maggiori costi
transattivi che si debbono talora affrontare nel caso di fusione diretta”49. Si pensi al
caso eclatante di una target quotata: soltanto con la fusione inversa si mantiene
inalterata la negoziazione delle azioni sul mercato regolamentato di riferimento. Infine,
è la stessa lettera della legge a parlare indistintamente di “fusione tra società, una delle
quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell’altra […]”.
Una volta che sia stata costituita la società risultante dalla fusione, occorre
rifinanziare il prestito bancario, estinguendo il finanziamento breve, in precedenza
stipulato al solo fine di procedere all’acquisizione, per stipularne uno nuovo, del
medesimo importo, il c.d. senior. Questo secondo prestito a lungo termine sarà
rimborsato negli anni, alle condizioni contrattuali previste con l’istituto di credito.
La sostituzione del finanziamento rappresenta una condizione di favore concessa
ai promotori dell’operazione, sia per i tassi di interesse più bassi rispetto a quelli previsti
nel bridge, sia per la possibilità di restituire la somma prestata in un periodo di tempo
più lungo. La concessione del senior potrebbe costituire una violazione dell’art. 2358
c.c., poiché la società risultante dalla fusione, per ottenere questo finanziamento a lungo
termine, sarebbe costretta a prestare garanzie specifiche (e non soltanto generiche) alla
banca; garanzie che gravano comunque sugli assets della società acquisita (gli unici
48
Come ricorda A. ACCORNERO, op. ult. cit., 269, nt. 2, “sui LBO lavorano numerosi
consulenti, quali avvocati (due diligence legale e negoziazione del contratto di acquisizione, del
patto parasociale, del finanziamento e del security package, cioè delle garanzie a favore delle
banche), fiscalisti (strutturazione dell’operazione e due diligence fiscale), società di revisione
(due diligence contabile), società di consulenza strategica (due diligence di business), oltre alla
società di gestione del fondo che valuta la fattibilità dell’operazione. I compensi sono elevati e
incrementano il costo complessivo dell’operazione”.
49
A. ACCORNERO, op. ult. cit., 272.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
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beni ‘operativi’ anche della società post-fusione). Questa opinione è stata però respinta,
sostenendo che il finanziamento senior rientra nella previsione normativa, ed in
particolare nella statuizione per cui il patrimonio della società obiettivo costituisce fonte
di rimborso dei debiti contratti per la sua acquisizione50.
Alla struttura ad una sola newco possono affiancarsi alcune variazioni sul tema.
Ad esempio, si potrebbero coinvolgere nell’operazione i manager o i socialienanti della società bersaglio. Costoro entreranno nella compagine sociale di newco
prima che venga intrapresa l’operazione ex art. 2501-bis, o personalmente come singoli
soci, o raggruppandosi, a loro volta, in una ‘propria’ società. I rapporti tra il fondo di
investimento e questi ulteriori soci sono regolati da una serie di patti parasociali51.
Un altro possibile schema societario è rappresentato dall’allungamento della
catena di controllo della newco. Tale schema è adottato soprattutto nel caso in cui vi sia
un apporto di equity da parte delle banche d’affari: infatti, queste ultime “chiedono di
strutturare il debito su diversi livelli (layers) creando una subordinazione tra i
finanziamenti che dipende dalla stessa struttura societaria (structural subordination).
Mentre il finanziamento concesso a Target (o a MargeCo dopo la fusione) è, per sua
natura, garantito dai beni di Target, il finanziamento concesso ai veicoli sopra NewCo
è garantito solo dal patrimonio di tali veicoli, che consiste unicamente nelle
partecipazioni nella società sottostante”52. Le società che controllano la raider,
generalmente, hanno sede al di fuori dei confini nazionali, e, segnatamente, in territorio
lussemburghese.
50
A. ACCORNERO, op. ult. cit., 272-273, il quale adduce ulteriori elementi a conforto della sua
tesi. Rileva ad esempio che “proibire a MergeCo [la società post-fusione] di sostituire un bridge
con un senior metterebbe non soltanto a rischio tutte le operazioni di LBO condotte da fondi,
ma creerebbe un danno agli stessi creditori di Target. […] Impedire una simile operazione sol
perché il nuovo debito è collegato a garanzie specifiche significherebbe obbligare MergeCo a
pagare interessi più elevati e a restituire l’importo del bridge in tempi più rapidi. I creditori di
Target ante fusione ne sarebbero danneggiati, in quanto Target chiuderebbe con meno utile
(avendo già pagato più interessi) e meno cassa (dovendo rimborsare il bridge in tempi rapidi).
Proibire un atto che migliora le capacità reddituali e finanziarie significa ridurre l’efficienza
del sistema”.
51
In generale, possono essere stipulate clausole di tag along (i soci di minoranza hanno diritto
di vendere la propria partecipazione insieme al fondo), di lock-up (obbligo di non alienazione
delle proprie azioni o quote, temporalmente limitato) e di drag along (il fondo obbliga i soci di
minoranza a vendere la propria partecipazione insieme alla sua).
52
A. ACCORNERO, op. ult. cit., 277, ove ulteriori riferimenti sulla costruzione di un’operazione
di tal genere.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
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1.5. La struttura del MLBO: a doppia newco. Profili critici
Alla tipologia appena descritta, se ne affianca un’altra, che, per la sua preminenza,
va affrontata, seppur sfugga alla tipizzazione normativa operata dal Codice.
Nella struttura a doppia newco il fondo di private equity costituisce una prima
società (1st newco), la quale contrae un debito con gli intermediari finanziari, con un
rapporto di 2:1 rispetto all’equity. Giunge quindi il momento della costituzione di 2nd
newco, ad opera di 1st newco; l’ultima società creata procede all’acquisto della target
company, e – di conseguenza – alla fusione. La fusione però non rientra nella nozione
disciplinata dall’art. 2501-bis c.c., che riguarda soltanto le fusioni tra una società
equilibrata dal punto di vista patrimoniale ed una società indebitata. Infatti, se si
esaminasse lo stato patrimoniale di 2nd newco, si vedrebbe, sul lato del passivo,
esclusivamente patrimonio netto (in cui rientra anche la riserva per sovraprezzo azioni,
molto usata in queste operazioni), senza alcun apporto di debito da parte di terzi
finanziatori. Non può pertanto essere definita come una fusione tra società, una delle
quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell’altra, perché 2nd newco non ha
alcun debito. A questo punto, la società risultante dalla fusione stipula un contratto di
finanziamento a lungo termine con gli istituti di credito e poi inizia a rimborsare il
proprio socio. Perciò, trasferisce parte della riserva sovrapprezzo azioni a riserva legale,
in modo da rispettare quanto stabilito dalla legge53, per poi distribuire quel che residua
della riserva sovrapprezzo azioni a 1st newco, usando la liquidità derivante dal debito
senior contratto con le banche. In alternativa, per rimborsare la sua controllante e,
quindi, il fondo di investimento, può procedere alla distribuzione straordinaria di
dividendi, anch’essa permessa dai flussi di cassa ottenuti tramite il successivo
indebitamento della mergeco.
La ragione dell’operazione descritta si rinviene principalmente in una duplice
necessità del fondo: ottenere il controllo sulla target e gestire la presenza di soci di
minoranza nella 2nd newco54. Infatti, con questo tipo di leveraged buyout si evita
l’effetto di diluzione caratteristico di ogni fusione, anche se l’ente post-fusione deve
sopportare un “debito più elevato rispetto a quello che sopporterebbe […] con la
struttura classica, in quanto la distribuzione del sovrapprezzo va a vantaggio di tutti i
soci”55.
53
L’art. 2431 c.c. prevede che le somme percepite dalla società per l'emissione di azioni ad un
prezzo superiore al loro valore nominale, ivi comprese quelle derivate dalla conversione di
obbligazioni, non possono essere distribuite fino a che la riserva legale non abbia raggiunto uno
specifico limite: almeno la ventesima parte degli utili netti annuali, e comunque mai un
ammontare inferiore ad un quinto del capitale sociale.
54
Che potrebbero anche essere anche i medesimi soci venditori della target o i manager
chiamati a gestirla.
55
A. ACCORNERO, op. ult. cit., 285.
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71
STUDI E OPINIONI
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Se, in un momento successivo, si opera una ulteriore fusione tra la controllante e
la società risultante dalla precedente fusione tra 2nd newco e target, si applica senz’altro
la disciplina civilistica, dal momento che se ne rinvengono tutti gli elementi costituivi56.
Sulla legittimità della struttura a doppia newco si contrappongono alcuni
orientamenti.
Una prima opinione sostiene che l’operazione sia del tutto illegittima, dal
momento che viene attuata con il preciso intento di frodare la legge e, in specifico, il
disposto dell’art. 2501-bis c.c.57.
Un secondo orientamento, per contro, non ravvede l’illegittimità della fattispecie,
ma, in un’ottica di tutela per gli amministratori, preferisce che, “quanto meno in via
cautelativa, […] la disciplina contenuta nell’art. 2501-bis c.c. sia applicata nel caso in
esame (benché la relativa fattispecie non sia formalmente integrata)”58.
Infine, altri ancora ritengono che tale operazione non integri gli elementi
costitutivi dell’istituto ex art. 2501-bis e pertanto la relativa normativa non vada
applicata né in via diretta né, tantomeno, in via analogica. I profili di rischio della
struttura a doppia newco presentano, infatti, caratteristiche diverse rispetto all’ordinario
MLBO: “non sembrano comparabili, da un lato, la fusione della società target con la
società indebitatasi per l’acquisizione […], elemento essenziale della fattispecie di cui
all’art. 2501-bis, […] e, dall’altro, l’eventuale distribuzione di dividendi o riserve,
anche se mero momento attuativo di un’unica operazione”59. Altrimenti, ne
conseguirebbe l’applicazione in via analogica dell’istituto in commento “a tutte le
operazioni compiute con effetto leva con o senza fusione, in contrasto con la lettera
della norma, con la sua collocazione sistematica, nonché con la stessa legge delega”60.
1.6. L’indebitamento: tipi di prestito
Abbiamo già visto che, a fianco del fondo di investimento, si stagliano altri
soggetti, essenziali al fine del conferimento del debito necessario a condurre in porto
l’operazione. Oltre alle banche d’affari ed agli istituti di intermediazione finanziaria
specializzati, potrebbero concorre, per piccole quote, anche investitori non
56
Cfr. L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 493.
57
V. per tutti M.S. SPOLIDORO, Fusioni pericolose, cit., 239: “la frode alla legge non potrebbe
essere più evidente: tolti i casi in cui si siano verificate improbabili coincidenza, l’intento di
aggirare la norma imperativa si manifesta in re ipsa, senza che occorrano altre indagini di tipo
psicologico”.
58
Così L. PICONE, Il Leveraged buy out, cit., 1411.
59
L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 490.
60
L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 491.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
72
STUDI E OPINIONI
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professionisti. Vengono in considerazione, ad esempio, la categoria degli obbligazionisti
o i soci venditori della target o, ancora i suoi manager.
Nel caso in cui i soci venditori partecipino all’operazione prestando denaro,
invece che far ingresso nella compagine sociale della raider, trova applicazione l’art.
2467 c.c., se è coinvolta una società a responsabilità limitata61. Quindi, “il rimborso dei
finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione
degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento
della società, deve essere restituito”. La modalità del finanziamento soci è piuttosto
diffusa, atteso che sfuma la rischiosità dell’investimento, nonostante quanto stabilito dal
primo comma dell’art. 2467 c.c.: infatti, gli istituti di credito preferiscono concedere un
finanziamento a lungo termine, postergato al rimborso degli altri finanziatori, il che
attenua la rilevanza dell’art. 2467.
Per approfondire quest’ultima affermazione, sarà il caso di accennare alle
tipologie di prestiti forniti dalle banche62. Sul punto, il legislatore non ha statuito alcuna
specifica previsione: occorrerà, quindi, far particolare riferimento alla prassi seguita
dagli operatori di M&A.
In un primo momento, come visto, il mediatore creditizio stipula un prestitoponte, strumentale soltanto all’acquisizione (il c.d. acquisition loan). Successivamente,
interviene in sostituzione un prestito più lungo (il c.d. senior term loan), con tassi di
interesse più bassi e concepito per lo sviluppo della società risultante dalla fusione: il
momento del suo rimborso è pertanto posticipato nel tempo. Con la sostituzione dei
prestiti, avviene anche una traslazione delle garanzie su cui questi ultimi poggiano:
dapprima il pegno sulle quote o le azioni della società obiettivo, poi il medesimo
direttamente sui beni e sugli assets specifici della società post-fusione. Rispetto ai
senior term loans, va ancora tenuta a mente quell’ulteriore categoria, costituita da
finanziamenti concessi senza alcun ricorso a garanzie reali (i c.d. senior unsecured
debt). Esistono, inoltre, finanziamenti concessi con garanzie minori e subordinati ai
senior (i c.d. junior loans): essi sono remunerati con tassi di interesse più alti e con
garanzie subordinate a quelle attribuite al senior term loan. Ricorrono spesso, infine, i
c.d. debiti mezzanini, ossia dei finanziamenti sempre subordinati e con tassi di interesse
elevati: il loro capitale ed i relativi interessi sono pagati alla scadenza del contratto ed a
tali debiti sono collegati degli ulteriori contratti derivati di warrant, tramite i quali si ha
diritto alla sottoscrizione del capitale della mergeco.
Come visto, in tema di indebitamento ci si può chiedere quale sia il limite al
leverage assunto della società raider ai fini dell’acquisizione. E’ pacifico constatare che
un riferimento di tal genere non sia stato previsto in specifico dall’art. 2501-bis c.c.,
anche in considerazione del fatto che, nel tessuto normativo del codice civile, altre sono
61
E cfr. infra par. 3.7
62
Sul punto cfr. amplius L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 484 e nt. 51.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
73
STUDI E OPINIONI
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le norme che regolano questo aspetto. Si pensi, senza pretesa di esaustività, al già citato
art. 2467 c.c., allorquando, in tema di finanziamento soci, riporta la nozione di “un
eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto”. E, inoltre,
all’attenzione che il legislatore ha posto nel richiedere la sostenibilità degli equilibri
patrimoniale e finanziario di un’impresa (cfr. artt. 2433-bis, 2447-ter e 2503 c.c.)63.
Concetto, quello della sostenibilità, centrale anche nella disciplina positiva del MLBO,
sia per quanto attiene ai piani economici stilati dagli amministratori, sia per quanto
attiene ai giudizi formulati da esperti e società di revisione64.
Va comunque considerato che l’indebitamento, quale che sia il limite che,
secondo le best practices di corporate finance, vada applicato al caso concreto, non sarà
mai di limitata entità. In altri termini, se il Codice ha previsto una puntuale disciplina,
che grava gli amministratori della raider, gli esperti e pure la società di revisione di una
serie di obblighi di disclosure e di controllo, allora tali doveri trovano giustificazione
“solamente nel caso di una reale sottoposizione del peso debitorio a carico della
società acquisita”65. Pertanto, “il patrimonio e la redditività (flussi di reddito e flussi di
cassa) della società acquisita” devono risultare “indispensabili per il ripianamento del
debito contratto per l’acquisizione”66.
Inoltre, occorre rilevare che tra l’indebitamento e l’acquisizione intercorre uno
stringente rapporto di causalità; a prescindere dalla qualificazione formale dei contratti
di finanziamento o dalla loro struttura, importa che essi siano strumentali al realizzo
dell’operazione in commento. In merito a quest’ultimo aspetto, riveste interesse
l’esame, sul piano diacronico, della stipulazione dei prestiti, e in particolar modo la loro
distanza temporale dall’avverarsi della acquisizione. Sarà dunque necessario indagare,
sotto il profilo causale, se il prestito, seppur (di gran lunga) antecedente all’operazione,
sia comunque finalizzato al suo compimento.
E’, infine, necessario menzionare gli strumenti finanziari partecipativi ex art.
2346, sesto comma, c.c., che, stante la loro malleabilità, trovano un certa applicazione
nei MLBOs. Questi strumenti sono devoluti all’autonomia privata: infatti, la società, a
seguito dell’apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, può emettere
strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi,
escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti. Lo statuto ne disciplina le
modalità e le condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di
inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione. Gli strumenti
finanziari partecipativi rappresentano un unicum nell’ambito del diritto societario,
63
Cfr. amplius C. CINCOTTI, op. ult. cit., 1 ss..
64
Su cui ci si soffermerà infra: cfr. parr. 2.4. e 2.5.
65
L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 483.
66
L. ARDIZZONE, ibidem, enfasi originale.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
74
STUDI E OPINIONI
LBO
poiché costituiscono un mix tra leverage ed equity: in altre parole, per taluni versi sono
assimilabili ad un prestito, cui però sono conferiti particolari poteri di monitoring sulla
gestione imprenditoriale67. Infatti, secondo la previsione normativa dell’art. 2351, ult.
comma, c.c., gli strumenti finanziari di cui all’art. 2346, sesto comma, possono essere
dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati; in particolare, può essere
ad essi riservata, secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di un componente
indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o, ancora,
di un sindaco: alle persone così nominate si applicano le medesime norme previste per
gli altri componenti dell'organo cui partecipano.
2. La disciplina civilistica introdotta dalla riforma societaria: l’art. 2501-bis c.c.
2.1. L’acquisizione del controllo
Il primo comma dell’art. 2501-bis c.c. statuisce: “nel caso di fusione tra società,
una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell’altra, quando per
effetto della fusione il patrimonio di quest’ultima viene a costituire garanzia generica o
fonte di rimborso di detti debiti, si applica la disciplina del presente articolo”.
Il preliminare accorgimento, che deriva dalla lettura della norma, riguarda la
specifica nozione legislativa: la fusione a seguito di acquisizione con indebitamento.
Tale nozione non coincide con il più ampio genus del leveraged buyout, ma ha confini
simili (non analoghi) a quelli del merger leveraged buyout; tuttavia, anche rispetto a
quest’ultimo istituto, permangono alcune differenze nell’estensione della fattispecie,
stante la molteplicità di forme che può assumere. Forme che, volutamente, il legislatore
non ha voluto prender in considerazione, onde evitare di frammentare l’istituto. Per
comodità, comunque, in questo capitolo si farà coincidere la nozione legislativa con
quella economico-finanziaria di MLBO.
La fattispecie presenta una costruzione alquanto complessa.
In primis, rileva la presenza di due (o più) società. Una delle due entità ottiene il
controllo dell’altra: il controllo, però, è acquisito mediante l’indebitamento, che è stato
precedentemente contratto. Dopo il conseguimento del controllo, avviene la fusione tra
controllante e controllata. Infine, il patrimonio della società acquisita, al momento, e
non prima, della fusione, può (e non: deve) essere utilizzato come garanzia generica o
fonte di rimborso di tale indebitamento.
Gli elementi ora citati sono concorrenti tra di loro e non alternativi: in altre parole,
per aversi un MLBO non deve sussistere soltanto una delle condizioni imposte dalla
legge.
Riferendosi genericamente a “società”, il legislatore non ha escluso alcun tipo
societario dalla disciplina in esame. L’esclusione avrebbe infatti permesso facili
67
In tema v. M. NOTARI, Azioni e strumenti finanziari: confini della fattispecie e profili di
disciplina, in Banca, borsa, 2003, 542 ss..
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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elusioni. Peraltro, all’art. 2505-quater c.c., ove ha predisposto alcune particolarità per le
fusioni a cui non partecipano società con capitale rappresentato da azioni, non ha
espressamente richiamato l’art. 2501-bis, implicitamente sostenendo la piena validità di
quest’ultimo per ogni tipo di società.
L’acquisizione del controllo, invece, rimanda alla nozione legislativa disciplinata
all’art. 2359 c.c..
Quest’ultimo prevede tre distinte ipotesi di controllo: il controllo di diritto; il
controllo di fatto; il controllo c.d. contrattuale. Infatti sono considerate controllate: i) le
società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili
nell’assemblea ordinaria; ii) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti
per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; iii) le società che sono
sotto influenza dominante di un’altra società, in virtù di particolari vincoli contrattuali
con essa. Peraltro, nel caso in esame, quest’ultima previsione sarà piuttosto infrequente.
Va inoltre precisato che, nelle prime due fattispecie di controllo, si computano anche i
voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie ed a persona interposta68; mentre
non si computano i voti spettanti per conto di terzi.
L’importanza del controllo di fatto emerge soprattutto in quelle società, c.d. public
companies, nelle quali l’azionariato diffuso tra molti, piccoli azionisti comporta una
frammentazione degli equilibri societari; quindi, anche una modesta partecipazione
permette il raggiungimento del controllo societario, a causa della nota apatia razionale
degli azionisti-risparmiatori.
In merito al controllo di fatto, occorre precisare che il suo raggiungimento è,
invero, più difficile da provare: l’influenza dominante esercitata in assemblea può
variare da un’adunanza all’altra e perdere o acquisire importanza a seconda del
momento. Perciò si ritiene che l’influenza “debba costituire non tanto una condizione di
fatto isolata, quanto piuttosto una situazione ragionevolmente perdurante nel tempo”,
non essendo sufficiente “la circostanza di avere raggiunto la maggioranza necessaria
per deliberare la fusione (situazione che – fra l’altro – richiede maggioranze più
elevate, per il suo carattere di straordinarietà), ma occorre che una maggioranza di
fatto venga mantenuta per un certo lasso di tempo dopo la fusione”69.
Si noti, infine, che le soglie stabilite dalla legge potrebbero non coincidere, nella
realtà, con quelle necessarie per conseguire il controllo della società bersaglio. Ciò
avviene nel caso in cui quest’ultima abbia previsto, grazie alla sua autonomia statutaria,
68
E’ il c.d. controllo mediato, per cui il controllo viene raggiunto tramite partecipazioni
azionarie all’interno del medesimo gruppo societario.
69
Così V. SANGIOVANNI, op. ult. cit., 22 ed in maniera conforme anche F. MAGLIULO, op. ult.
cit., 11 ss..
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
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soglie particolari per l’approvazione delle delibere assembleari riguardanti le fusioni, o,
più in generale, per l’esercizio del voto in tema di operazioni straordinarie70.
Non rileva, invece, il c.d. controllo congiunto, che pure, nella realtà del governo
societario, è prassi molto frequente: si tratta di quel tipo di controllo esercitato tramite
un patto parasociale tra due, o più, soci di rilievo. Il richiamo operato dall’art. 2501-bis
c.c. alla nozione civilistica del controllo, nonché le opinioni in dottrina maggioritarie,
comportano un’esclusione della rilevanza del controllo congiunto dalla disciplina ex art.
2501-bis c.c.71. Una grave mancanza, che può far propendere per l’inapplicabilità della
norma in esame all’ipotesi del controllo congiunto; ma pure indurre a ritenere che
operazioni di leveraged buyout condotte da due società, le quali acquisiscano
congiuntamente il controllo della target per poi procedere a fusione, siano da ritenersi in
frode alla legge, qualora non abbiano comunque rispettato i requisiti di forma di cui
all’art. 2501-bis72.
La dottrina si è anche interrogata in merito alla rilevanza (o meno) dell’ipotesi di
incremento del controllo, ossia quella situazione “in cui una società già controllante si
indebiti per aumentare la percentuale di possesso della controllata”73. Vengono in
considerazione due fattispecie: l’incremento che conduca a fare ‘un salto di categoria’,
consentendo di passare dal controllo di fatto a quello di diritto; l’incremento all’interno
della ‘medesima categoria’, per cui aumenta quantitativamente la soglia di
partecipazione nella società bersaglio.
A proposito di quest’ultimo si è rilevato che “l’incremento meramente
quantitativo del controllo non muta in sé il grado di rischio […]: rileva l’approvazione
delle deliberazioni assembleari (il risultato), non la quantità dei voti riferibili al singolo
azionista di controllo (il mezzo)”74. Pertanto, ai fini dell’applicazione dell’art. 2501-bis
c.c., questo incremento quantitativo non ha rilevanza.
Rilevanza ha, per parte sua, il primo caso (il passaggio da controllo di fatto a
controllo di diritto), in quanto – come notato dalla medesima dottrina – accedendo al
controllo di diritto si raggiungono anche quelle soglie di partecipazione qualificate
necessarie per poter deliberare in assemblea la fusione tra le due società. Infatti, il
70
Cfr. amplius D. GALLETTI, Leveraged buy out ed interessi tutelati: appunti per la
ricognizione della fattispecie, in Giur. comm., 2008, 442 ss.
71
Nonostante che, per quanto attiene alla normativa antitrust, pacificamente si ammette l’ipotesi
del controllo congiunto. V. ex multis M.S. SPOLIDORO, Il concetto di controllo nel codice civile
e nel diritto antitrust, in Riv. Soc., 1995, 487.
72
In questo senso pare L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 478-479 e nt. 37.
73
L. ARDIZZONE, op. ult. cit.,479.
74
L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 479-480.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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momento assembleare, nella disciplina dei mergers, riveste (ancora) una particolare
importanza.
Nella seconda parte del primo comma, l’art. 2501-bis statuisce che il patrimonio
della società acquisita viene a costituire garanzia generica o fonte di rimborso dei debiti
assunti dall’acquirente. Come già affermato, il legislatore fa riferimento alle best
practices adottate in caso di MLBO.
Con l’espressione “garanzia generica”, si pone l’attenzione sul fatto che, essendo
la target una società operativa e redditizia, è in grado, in via generale, di supportare
l’indebitamento che graverà su di essa al momento della fusione. Estrema conseguenza
di questo assunto è la potenziale realizzabilità di tutte quelle operazioni finalizzate alla
vendita dei cespiti patrimoniali della società bersaglio. Grazie al ricavato ottenuto dalle
alienazioni, si potrebbe così rimborsare il debito assunto dalla newco.
Con l’espressione “fonte di rimborso”, la mente corre piuttosto al caso, più
frequente, in cui la capacità di generare cassa (ossia liquidità) da parte della società
obiettivo sia sfruttata ai fini del rientro dell’esposizione debitoria.
Come avviene in ogni acquisizione, la società acquirente deve disporre del denaro
necessario per acquistare tutte le azioni o le quote della società obiettivo; nel nostro
caso, però, il capitale sociale di cui dispone la prima è minimo e non permette di portare
a termine la compravendita della seconda, se non intervenisse un sostanzioso prestito
bancario. Il prestito sarà, di norma, fornito da istituti di credito o enti finanziari
specializzati, i quali, a salvaguardia del rischio corso75, richiedono una garanzia. La
garanzia specifica può essere costituita dal pegno delle azioni della raider; ma la vera
tutela dei creditori risiede nelle potenzialità inespresse della target, nei suoi assets e, in
definitiva, nella sua capacità di generare ricchezza. A questa garanzia “generica” fa
dunque riferimento la legge76. Al riguardo, è stato giustamente notato che “il vero
obiettivo della complessiva operazione non è la fusione fra le società; lo scopo reale è
invece l’acquisizione di una società. Per raggiungere tale fine il finanziamento viene
75
In tutte le altre ipotesi, infatti, il rischio dei creditori è minore di quello corso dagli azionisti: i
secondi, in caso di liquidazione, sono rimborsati soltanto dopo l’avvenuta soddisfazione di tutti
gli altri stakeholders della società. Inoltre, corrono il rischio legato al valore di mercato della
propria partecipazione. Nel caso di un MLBO, però, i creditori assumono un rischio che si
avvicina, per grado, al “rischio di impresa”.
76
In proposito si è affermato che, per differenziare la previsione di cui all’articolo in esame da
quella generale di cui all’art. 2740 c.c. (“il debitore risponde dell'adempimento delle
obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”), l’art. 2501-bis c.c. va letto nel senso che “le
potenzialità patrimoniali (e reddituali) della società acquisita debbano essere condicio sine qua
non dell’erogazione e del rimborso dei finanziamenti (verosimilmente in un contesto in cui il
debito contratto sia nettamente prevalente rispetto ai mezzi propri della società acquirente)” (L.
ARDIZZONE, op. ult. cit., 495).
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garantito con il patrimonio della società acquisenda, circostanza che impone – infine –
di giungere a una fusione per unire i patrimoni delle due società”77. Infatti, tutto il
meccanismo si basa sull’assunto per cui “maggiore è il patrimonio della società
obiettivo, maggiore sarà il finanziamento che potrà essere ottenuto. Conseguentemente
sarà maggiore l’effetto-leva che potrà essere prodotto”78.
Ora ci si soffermerà sugli aspetti normativi del progetto di fusione e sugli obblighi
di disclosure e di attestazione previsti dalla legge.
2.2. Il progetto di fusione
Nella disciplina prevista al capo X, il legislatore ha tipizzato alcune caratteristiche
del progetto di fusione. Alla redazione del progetto sono tenuti gli organi amministrativi
delle società partecipanti alla fusione.
Il progetto deve almeno prevedere: i) il rapporto di cambio delle azioni o quote,
nonché l'eventuale conguaglio in danaro; ii) il tipo, la denominazione o ragione sociale
e la sede delle società partecipanti alla fusione; iii) l'atto costitutivo della società
risultante dalla fusione o della incorporante, con le eventuali modificazioni derivanti
dalla fusione; iv) le modalità di assegnazione delle azioni o delle quote della società che
risulta dalla fusione o della incorporante; v) la data dalla quale tali azioni o quote
partecipano agli utili; vi) la data a decorrere dalla quale le operazioni delle società
partecipanti alla fusione sono imputate al bilancio della società risultante dalla fusione o
della incorporante; vii) il trattamento eventualmente riservato a particolari categorie di
soci e ai possessori di titoli diversi dalle azioni; viii) i vantaggi particolari
eventualmente proposti a favore dei soggetti cui compete l’amministrazione delle
società partecipanti alla fusione.
Tutte questi doveri sono imposti dall’art. 2501-ter c.c. e sono sottoposti ad un
regime di pubblicità legale, tramite iscrizione nel registro delle imprese. In alternativa al
deposito presso il registro delle imprese, il progetto di fusione può essere pubblicato sul
sito Internet della società, con modalità atte a garantire la sicurezza del sito medesimo,
l’autenticità dei documenti e la certezza della data di pubblicazione79.
La disciplina specifica del leveraged buyout in più prevede che “il progetto di
fusione di cui all'articolo 2501-ter deve indicare le risorse finanziarie previste per il
soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione”. Le medesime
risorse, oltre a questo obbligo pubblicitario, devono anche essere riportate dagli
amministratori nella relazione ex art. 2501-quinquies c.c..
77
Così V. SANGIOVANNI, op. ult. cit., 24.
78
V. SANGIOVANNI, ibidem.
79
Soprattutto in questa parte l’art. 2501-ter è stato modificato dall’art. 1, d.lgs. 21 giugno 2012,
n. 123.
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79
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Occorre dunque comprendere a cosa alluda il legislatore nello stabilire un obbligo
di disclosure sulle risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni
di mergeco.
L’analisi va svolta su due piani: le finalità verso cui tende questa previsione; e
l’ampiezza, a livello di contenuti ed a livello temporale, dell’obbligo in parola.
Quanto al primo aspetto (le finalità), ritornano le considerazioni prima svolte: il
fulcro del MLBO consiste proprio nell’indebitamento volto all’acquisizione di un’altra
società. L’indebitamento comporta alcuni profili di rischio che necessitano particolari
tutele per i soci della società obiettivo e per i creditori della raider. Si ricordi, inoltre,
che entrambe le categorie di soggetti possono diventare, in seguito, soci e creditori di
mergeco. Il rientro dell’esposizione debitoria deve pertanto essere chiarito sin dal
deposito del progetto di fusione, il quale “deve dunque indicare la «sostenibilità»
finanziaria dell’operazione di acquisizione”80.
Come detto, il progetto di fusione è molto importante per i soci, che possono,
tramite una sua analisi, comprendere i rischi ed i vantaggi derivanti dall’operazione,
nonché le inevitabili mutazioni della compagine sociale. Serve altresì per l’esercizio di
alcuni diritti sociali: in primis, l’exit dalla società, qualora non si condivida il progetto e
si intraveda la possibilità di guadagno dall’alienazione della propria partecipazione.
Invece, per quanti non intendano avvalersi di questa possibilità, rileverà ai fini di una
consapevole informazione sulle condizioni della fusione e, soprattutto, sul rapporto di
cambio81. Nel caso specifico della fusione mediante indebitamento, rileveranno in
particolare le condizioni di rimborso del debito e l’assicurazione che il raggiungimento
dell’obiettivo posto dagli amministratori di newco (l’acquisizione) non pregiudichi in
maniera definitiva le redditività di target, o, addirittura, il patrimonio della medesima.
Quanto al secondo aspetto (l’ampiezza del contenuto), ci si è chiesti se le risorse
finanziarie identifichino soltanto cespiti già presenti nel patrimonio della società
acquisita, nonché la sua attuale capacità di produrre liquidità; oppure, se la nozione
debba essere allargata anche alla futura e prevedibile crescita di mergeco, con
conseguenti cash flows idonei al pagamento del debito; o, infine, se debbano essere
ricomprese gli atti di straordinaria disposizione del patrimonio della società bersaglio
(vendita di assets).
Ancora, la dottrina si è interrogata se l’arco temporale, entro cui le modalità ora
elencate hanno luogo, debba essere circoscritto ai tempi tecnici dell’operazione, ovvero
se possa essere più esteso.
80
V. SANGIOVANNI, op. ult. cit., 25.
81
In argomento v. L.A. BIANCHI, La congruità del rapporto di cambio nella fusione, Milano,
Giuffrè, 2002.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
80
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Ai dubbi ora esposti, la dottrina ha preferito una concezione non stringente di
risorsa finanziaria. Infatti, se si fosse arricchita l’indefinita nozione legislativa (i cui
incerti confini furono probabilmente voluti dal medesimo legislatore), si sarebbe
ristretto il campo di azione dell’art. 2501-bis c.c.. Comunque, i mezzi più frequenti per
rifondere il debito sono costituiti dai flussi di cassa in entrata e dalla cessione di beni
d’azienda o di rami d’azienda, considerati non coerenti con il proprio core business.
Piuttosto, l’attenzione è stata focalizzata sulla qualità delle obbligazioni di
mergeco. Infatti, “risulta essenziale per gli amministratori compiere una valutazione
prospettica anche con riferimento a questo parametro, che non riguarda i soli debiti
contratti per l’acquisizione, ma anche tutte le altre obbligazioni di cui la società
risultante dalla fusione dovrà rispondere per tutta la durata dell’operazione e, quindi,
fino al rimborso degli stessi debiti contratti per l’acquisizione”82. Di conseguenza, la
medesima dottrina giunge ad identificare le risorse finanziarie anche in ulteriori
operazioni di rifinanziamento del debito, a patto che manifestino condizioni più
vantaggiose rispetto all’originario finanziamento con cui newco ha acquisito target.
Infatti, nella nozione di “obbligazioni della società risultante dalla fusione” si
ricomprendono sia l’indebitamento contratto da newco, sia l’indebitamento (operativo,
prima che finanziario) di target, sia, infine, le obbligazioni sorte dopo la fusione83.
2.3. Le ragioni a sostegno del MLBO ed il piano economico-finanziario
La legge, all’art. 2501-quinquies c.c., prevede che gli organi amministrativi delle
società partecipanti alla fusione predispongano una relazione, la quale illustra e
giustifica, sotto il profilo giuridico-economico, il progetto di fusione e, in particolare, il
rapporto di cambio delle azioni o delle quote. La relazione, inoltre, deve indicare i
criteri di determinazione del rapporto di cambio e segnalare le eventuali difficoltà di
valutazione.
Coerentemente con l’ampio spazio accordato all’autonomia privata in sede di
riforma societaria, nel 2012 è stato introdotto, nella medesima norma, un ultimo comma,
di tale tenore: “la relazione di cui al primo comma non è richiesta, se vi rinunciano
all’unanimità i soci e i possessori di altri strumenti finanziari che attribuiscono il diritto
di voto di ciascuna delle società partecipanti alla fusione”.
Per parte sua, l’art. 2501-bis, terzo comma, c.c., statuisce che la relazione di cui
all'art. 2501-quinquies c.c. debba indicare le ragioni che giustificano l’operazione e
contenere un piano economico e finanziario con indicazione della fonte delle risorse
finanziarie e la descrizione degli obiettivi che si intendono raggiungere.
Va pertanto delineato il rapporto intercorrente tra le due fattispecie normative ora
citate ed il contenuto delle relazioni imposte all’organo amministrativo.
82
L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 498.
83
L. ARDIZZONE, ibidem.
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81
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Ad un primo sguardo, le due previsioni parrebbero abbastanza simili, ma, dopo un
esame più attento, si individuano alcune differenze sostanziali.
La relazione (generale) ai sensi dell’art. 2501-quinquies c.c. conferisce una
giustificazione giuseconomica al progetto di fusione, attestandone la sua conformità alle
disposizioni di legge in materia e spiegando quali siano le finalità (economiche) che con
il compimento dell’operazione si intendono perseguire. Le finalità possono essere
svariate: dal raggiungimento di una dimensione maggiore nel mercato, alle sinergie
industriali ed alla conseguente diminuzione dei costi fissi, dalla condivisione dei costi di
ricerca e sviluppo, all’ottenimento di economie di scala. E così via.
Quanto al rapporto di cambio, che gli amministratori devono individuare, esso
segnala il ‘peso’ che i soci delle società promotrici rivestiranno nell’entità giuridica
risultante dalla fusione. Il rapporto deriva dalla due diligence svolta sulle società
promotrici: qualora una sia sopravvalutata rispetto all’altra, “il rapporto di cambio
risulta incongruo a vantaggio dei soci della prima società”, il che “determina una
perdita netta in capo ai soci della società che viene erroneamente sottovalutata”84.
Oltre queste disposizioni generali, l’art. 2501-bis c.c. arricchisce la relazione
dell’organo gestorio con alcuni elementi di non poco conto.
Innanzitutto, si pone all’attenzione dell’interprete il dato letterale: infatti, il
management ha il dovere di indicare le ragioni che giustificano l’operazione, e non le
ragioni che giustificano la fusione. Il riferimento va quindi, complessivamente, a quel
complesso schema, già descritto, tramite il quale si attua la fattispecie del merger
leveraged buyout. Il periodo temporale preso in considerazione è pertanto più esteso di
quello normalmente esaminato in caso di fusione; e anche il contenuto è notevolmente
più ampio, ricadendo al suo interno anche i contratti di debito con gli istituti di credito,
nonché l’acquisizione della target.
A proposito delle ragioni, torna di attualità quel dibattito (al quale già si è fatto
riferimento), tra chi ritiene che le scelte imprenditoriali debbano costituire la condicio
sine qua non della liceità del MLBO, attraverso un giudizio di merito su di esse, e chi,
per contro, non considera lecita tale ingerenza, in un campo in cui dovrebbe operare,
invece, la business judgment rule. Pare opportuno seguire la già citata opinione, per cui
le ragioni si sostanziano nel “naturale supporto casuale del piano economico e
finanziario, del progetto di fusione e, quindi, della stessa operazione”85.
Le ragioni si legano indissolubilmente agli obiettivi dell’operazione, parimenti
previsti dal legislatore al terzo comma dell’art. 2501-bis c.c.. Essi coincidono, in
definitiva, con le finalità che si vogliono raggiungere con il MLBO, che, in tutti i casi
84
V. SANGIOVANNI, op. ult. cit., 27.
85
L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 500.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
82
STUDI E OPINIONI
LBO
sopra elencati (e negli altri eventualmente immaginabili), non sono altro che previsioni
di maggiori ricavi ottenuti dalla nuova società e/o di maggiori cash flows in entrata.
Quindi, “immaginando le risorse finanziarie come un mezzo di locomozione, si
dovrebbe vedere nelle ragioni che giustificano l’operazione il punto di partenza e negli
obiettivi che si intendono raggiungere il conseguente punto di arrivo”86.
L’art. 2501-bis c.c. prevede anche la redazione di un piano economico-finanziario,
con indicazione della fonte delle risorse finanziarie.
Questo business plan ha per oggetto i dettagli dell’operazione globalmente intesa,
dall’indebitamento e dall’acquisizione di target sino alla fusione tra quest’ultima e la
raider; vanno inoltre specificate le risorse finanziarie attraverso le quali si intendono
realizzare i vari passaggi per giungere al compimento del merger87.
In particolare, gli amministratori devono porre cura nell’esplicare i profili più
rischiosi dell’operazione, che sono l’assunzione del debito da parte della società
acquirente e il pagamento dello stesso. Questi due obiettivi vanno raggiunti, senza, al
contempo, pregiudicare la redditività della target, o spogliare di qualsiasi tutela i suoi
creditori. Tout court, il business plan deve assicurare che l’operazione non comporti il
dissesto della società operativa88. In altre parole, l’indebitamento deve essere sostenibile
86
L. ARDIZZONE, ibidem.
87
In corso di testo si usa il termine business plan in senso volutamente atecnico. Come è stato
correttamente notato, la dottrina aziendalistica definisce business plan “il documento redatto in
occasione dell’avvio di una nuova iniziativa imprenditoriale al fine di ricercare i finanziamenti
necessari a sostenere lo start up dell’impresa”. Pertanto, il business plan “si sofferma
principalmente sulle previsioni economico-finanziarie volte ad individuare il fatturato di
pareggio e la stima del tempo necessario a raggiungerlo”. Esiste anche un secondo tipo di
piano, da approntare quando l’impresa è ormai ‘nata’: si tratta del piano industriale, cui fa
riferimento l’art. 2381, terzo comma, c.c.. Consiste nel “documento nel quale, a partire dalle
strategie di fatto adottate dall’impresa e dall’eventuale fabbisogno o opportunità di
rinnovamento esistente, si procede ad illustrare con idoneo grado di dettaglio le intenzioni
strategiche del management relative alle future strategie competitive. Questo fornisce
informazioni essenziali per l’elaborazione del piano finanziario e ne è a sua volta influenzato, sì
che, in definitiva, i due documenti vanno necessariamente letti e valutati congiuntamente” (C.
CINCOTTI, op. ult. cit., 11 e nt. 35). L’art. 2501-bis c.c., invece, si riferisce ad un terzo tipo di
piano, il piano economico-finanziario, riguardo al quale è dibattuto se coincida (o no) con un
vero e proprio piano industriale (ma cfr. infra in corso di testo).
88
Con riferimento al business plan, P. MONTALENTI, op. ult. cit., 815, ha affermato che “il
piano economico-finanziario essendo, per definizione, un progetto programmatico e non una
certificazione o anche soltanto una comunicazione di informazioni rappresentative di una
situazione pregressa o attuale, si configura come espressione tipica delle scelte d’impresa, rette
dal principio (ormai anche da noi sintetizzato con la formula) della c.d. Business judgment
rule”.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
83
STUDI E OPINIONI
LBO
ed i flussi di cassa della mergeco dovranno essere in grado di far fronte a questa
situazione di squilibrio patrimoniale.
Per assicurare ciò, il piano poggia sulle stime dei flussi di cassa futuri, approntate
dagli amministratori, e, quindi, “sulla validità delle ipotesi poste a suo fondamento
(assumptions) e sul corretto sviluppo di questi dati. Le assumptions devono essere scelte
sulla base della coerenza con le capacità ed i mezzi di cui la società dispone,
compatibilità esterna con l’evoluzione dello scenario dei mercati in cui la società opera,
e compatibilità interna intesa come non contraddittorietà tra le varie ipotesi formulate
nel piano”89. In definitiva, la riforma societaria ha inteso conferire “rilevanza giuridica
alle stime dei risultati economici futuri, in precedenza considerati del tutto
inattendibili”90.
Tuttavia, in merito alla natura del piano economico-finanziario previsto dall’art.
2501-bis c.c., le opinioni non sono del tutto concordanti.
A fronte di alcuni, che ritengono si debba predisporre un vero e proprio piano
industriale, la cui inadeguatezza è fonte di responsabilità per gli amministratori91, altri
sostengono che “in nessuna operazione di merger leveraged buyout potranno giammai
individuarsi genuine motivazioni «industriali» nella fusione tra una newco di nuova
costituzione indebitatasi ad hoc e una target operativa, risultando ovvio che la fusione
sia giustificata da mere (ma pienamente lecite) motivazioni finanziarie”92.
Rimane un ultimo aspetto problematico: la novella dell’art. 2501-quinquies c.c. ha
concesso ai soci la possibilità di rinunciare alla relazione dell’organo gestorio, nulla
disponendo riguardo alle ‘integrazioni’ previste all’art. 2501-bis c.c..
Ci si può chiedere pertanto se, in un rapporto di genus (la relazione di cui all’art.
2501-quinquies) e species (la relazione di cui all’art. 2501-bis), tale disposizione valga,
a fortiori, per le ulteriori allegazioni cui sono tenuti gli amministratori in forza del
secondo articolo citato. In questo modo, i soci potrebbero rinunciare alle relazioni che
individuano le ragioni della fusione e anche a quelle che individuano le ragioni e le
finalità del MLBO e ne predispongono il business plan.
Al contrario, potrebbe preferirsi un’altra via: quella, cioè, di mantenere in vita,
come fattispecie autonoma, le relazioni ex art. 2501-bis c.c., anche nel caso in cui i soci
89
C. CINCOTTI, op. ult. cit., 11.
90
C. CINCOTTI, op. ult. cit., 12.
91
E’ la posizione, ad esempio, di F. MAGLIULO, op. ult. cit., 11 ss..
92
P. CARRIÈRE, Il leveraged financing e il project financing, cit., 1045 ss.. Nel medesimo senso
v. anche L. PICONE, Il Leveraged buy out, cit., 1428.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
84
STUDI E OPINIONI
LBO
delle società promotrici decidessero, all’unanimità, la rinuncia alla relazione generale
sulla fusione93.
Vengono in soccorso di questa seconda soluzioni molteplici ragioni.
In primis, questa relazione, come visto, ha per oggetto l’intera operazione e non
solo la fusione. Il che fa propendere per una sua specificità ed autonomia (atteso anche
l’ampio arco temporale abbracciato), tale da non farla ricadere nell’ambito operazionale
dell’art. 2501-quinquies c.c..
In secondo luogo, l’intera disciplina del merger leveraged buyout è stata concepita
dal legislatore al fine di tutelare non solo i soci (di minoranza) delle società coinvolte,
ma anche i creditori delle stesse. Perciò, l’interesse alla predisposizione delle relazioni,
in caso di MLBO, non è esclusivo appannaggio dei soci.
Inoltre, i profili di rischio del merger leveraged buyout e le esigenze di tutela dei
creditori e dei soci fanno propendere per la necessità della relazione, proprio perché
l’ordinamento ha voluto disegnare una disciplina specifica di tutela a favore di entrambe
le categorie.
Infine, il piano economico-finanziario è elemento topico della relazione specifica,
che non è previsto da quella generale: ulteriore motivo per indurre a ritenere come non
rinunciabile questa relazione.
Uscendo poi dalle motivazioni strettamente giuridiche, in un’ottica di risk
management da parte dell’organo amministrativo, stante la più volte enunciata
rischiosità del MLBO, è certamente più prudente ed aderente ai profili di responsabilità
professionale degli amministratori stilare la relazione specifica, pur in presenza di
un’unanime rinuncia sociale a quella generale.
2.4. La relazione degli esperti. Ancóra sulla «ragionevolezza»
Al quarto comma, l’art. 2501-bis c.c. prevede che la relazione degli esperti, di cui
all’art. 2501-sexies c.c., attesti la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel
progetto di fusione, ai sensi del secondo comma della medesima norma. Come visto, il
secondo comma disciplina il progetto di fusione, il quale deve indicare le risorse
93
Per questo orientamento, v. ex multis F. MAGLIULO, op. ult. cit., 11 ss.: “nella specifica
ipotesi della fusione a seguito di acquisizione mediante indebitamento, il contenuto della
relazione dell’organo amministrativo si arricchisce di contenuti ulteriori, quali la previsione di
un piano economico e finanziario con indicazione delle risorse finanziarie e la descrizione degli
obiettivi che si intendono raggiungere. Tali elementi […] sono diretti ad evitare che
l’operazione possa condurre al dissesto finanziario della società target e dunque attengono, con
ogni evidenza, alla tutela dei terzi, se non addirittura del sistema economico nel suo
complesso. Se ne deve dedurre che la facoltà di rinunzia alla relazione dell’organo
amministrativo non può ritenersi applicabile al nostro istituto”.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
85
STUDI E OPINIONI
LBO
finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante
dalla fusione94.
Nell’ambito generale delle fusioni, la relazione, redatta da uno o più esperti per
ciascuna società, ha per oggetto la congruità del rapporto di cambio delle azioni o delle
quote. La legge impone che indichi: i) il metodo o i metodi seguiti per la determinazione
del rapporto di cambio proposto e i valori risultanti dall’applicazione di ciascuno di essi;
ii) le eventuali difficoltà di valutazione.
La relazione, inoltre, deve contenere un parere sull’adeguatezza del metodo o dei
metodi seguiti per la determinazione del rapporto di cambio e sull’importanza relativa
attribuita a ciascuno di essi nella determinazione del valore adottato.
L’art. 2501-sexies c.c. enuclea altresì la modalità di selezione degli esperti
incaricati della relazione95, i poteri loro conferiti96 ed i profili di responsabilità97; infine,
prevede che la relazione non sia richiesta, se vi rinunciano all'unanimità i soci (e i
possessori di altri strumenti finanziari che attribuiscono il diritto di voto) di ciascuna
società partecipante alla fusione.
La relazione ex art. 2501-sexies c.c. svolge una funzione fondamentale, ossia
garantisce che l’elemento più delicato della fusione – il rapporto di cambio, intorno al
quale, tra l’altro, sorge il maggior numero di contenziosi inerenti alle fusioni – sia
congruo e non vada a detrimento dei soci di minoranza.
Peraltro, a differenze che nelle fusioni ordinarie, questi ultimi, all’esito di un
MLBO, partecipano ad una società molto più rischiosa, a causa del maggior
indebitamento. Una società che, per di più, sarà vincolata al repayment plan
(dell’indebitamento contratto per la sua acquisizione), e che, quindi, non staccherà
dividendi, ma dedicherà gli utili soltanto al fine ora espresso.
94
Cfr. supra par. 2.2.
95
L'esperto o gli esperti sono scelti tra i soggetti di cui al primo comma dell'articolo 2409-bis
(un revisore legale dei conti o da una società di revisione legale iscritti nell'apposito registro) e,
se la società incorporante o la società risultante dalla fusione è una società per azioni o in
accomandita per azioni, sono designati dal tribunale del luogo in cui ha sede la società. Se la
società è quotata in mercati regolamentati, l'esperto è scelto tra le società di revisione sottoposte
alla vigilanza della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa. In ogni caso, le società
partecipanti alla fusione possono congiuntamente richiedere al tribunale del luogo in cui ha sede
la società risultante dalla fusione o quella incorporante la nomina di uno o più esperti comuni.
96
Ciascun esperto ha diritto di ottenere dalle società partecipanti alla fusione tutte le
informazioni e i documenti utili e di procedere ad ogni necessaria verifica.
97
L'esperto risponde dei danni causati alle società partecipanti alle fusioni, ai loro soci e ai terzi.
Si applicano le disposizioni dell'art. 64 del codice di procedura civile.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
86
STUDI E OPINIONI
LBO
c.c..
Si esamini ora, nello specifico, la relazione degli esperti di cui all’art. 2501-bis
L’attestazione degli esperti valuta che il progetto di fusione sia corretto; con
correttezza si intende la validità delle misure contabili adottate dagli amministratori e,
appunto, la ragionevolezza delle assumptions poste a fondamento del progetto,
attraverso un criterio probabilistico ed informato alle best practices societarie. In
definitiva, un ‘giudizio cautelare’, volto ad assicurare che la target abbia effettive
capacità patrimoniale per reggere, sulle sue spalle, il peso complessivo dell’operazione.
Tale giudizio, inoltre, non può ignorare l’intera dinamica del MLBO e, quindi, attestare
che, al futuro esito della fusione, mergeco sarà “ragionevolmente” in grado di assolvere
al repayment plan, oltre che, al contempo, essere redditizia. Invece, la relazione sulla
congruità del rapporto di cambio si sofferma su un momento che è immediatamente
precedente alla fusione, ed elude del tutto i temi legati al finanziamento dello stato
passivo.
Nell’opinione di alcuni autori, l’attestazione degli esperti deve avere ad oggetto
non solo la ragionevolezza delle risorse finanziarie, previste per il soddisfacimento delle
obbligazioni di mergeco e contenute nel progetto di fusione, bensì anche la
ragionevolezza del piano-economico finanziario regolato dal terzo comma dell’art.
2501-bis98.
Secondo un autorevole commentatore, “il giudizio degli esperti si configura come
«certificazione» come «asseverazione» – «la relazione … attesta», recita la norma –
della congruità, della corrispondenza a principi di corretta gestione imprenditoriale,
dell’effetto-leva divisato nell’operazione”. La valutazione assegnata a questa scelta
legislativa è favorevole, in quanto “riavvicina il linguaggio normativo al vocabolario
della corretta finanza aziendale ed accorcia – nel rispetto del diritto comunitario – le
distanze tra il paradigma normativo italiano e la case law d’oltreoceano”99.
Altri, approfondendo questo legame tra la legge italiana ed i principi finanziari
internazionali, hanno rinvenuto il contenuto della relazione in parola e le modalità della
98
E’ la posizione ad esempio di C. CINCOTTI, op. ult. cit., 13.
99
Così P. MONTALENTI, op. ult. cit., 815-816. Cfr. contra L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 502 e nt.
97, secondo cui questa interpretazione risulta “priva del fondamento di qualsiasi indizio che
induca a considerare il compito specificamente richiesto in questa sede su un piano diverso
rispetto alla dichiarazione di congruità, ai sensi dell’art. 2501-sexies. Per cui, pur in presenza
di specifici contenuti, l’intera relazione deve essere compiuta secondo criteri uniformi, che
conducano ad omogenei risultati formali, anche in rapporto al profilo della responsabilità
(civile e penale) degli stessi esperti (o dei loro legali rappresentanti), ed alla natura non
vincolante della relazione”.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
87
STUDI E OPINIONI
LBO
sua stesura nel principio di revisione n. 3400 dell’ISAE100, cui è consuetudine
professionale far riferimento nei casi in cui il legislatore preveda delle “attestazioni” da
parte di un esperto contabile101. L’intento dell’ISAE n. 3400 consiste nello stabilire
alcuni standard di valutazione e fornire una “guidance on engagements to examine and
report on prospective financial information including examination procedures for bestestimate and hypothetical assumptions”102.
Il principio 3400 si esprime proprio nei termini di un giudizio di ragionevolezza.
Infatti, l’auditor deve valutare, con sufficienti evidenze, che: i) le best estimate
assumptions avanzate dal management (e sulle quali è basata la prospecitve financial
information)103, siano non irragionevoli e, nel caso di hypotetical assumptions, queste
100
ISAE sta per International Standard on Assurance Engagements, principi di contabilità e di
revisione internazionalmente riconosciuti stilati dalla International Auditing and Assurance
Standards Board (IAASB), in seno all’International Federation of Accountants (IFAC). Per un
esame più ampio cfr. C. CINCOTTI, op. ult. cit., 13-15.
101
Sono i casi, ad esempio, delle attestazioni che i professionisti incaricati devono compiere in
merito ai piani attestati di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d), l. fall., al concordato preventivo
di cui all’art. 161, terzo comma, l. fall., agli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis l.
fall., ai finanziamenti prededucibili di cui all’art. 182-quinquies l. fall. e al concordato con
continuità aziendale di cui all’art. 186-bis l. fall..
102
Il
principio
ISAE
n.
3400
è
consultabile
www.ifac.org/sites/default/files/downloads/b013-2010-iaasb-handbook-isae-3400.pdf.
on-line:
103
Così il principio ISAE n. 3400 definisce la prospective financial information:
un’informazione finanziaria basata su assumptions inerenti agli eventi che potrebbero verificarsi
in futuro e le possibili azioni che una società potrebbe intraprendere. E’ altamente soggettiva e
la sua preparazione richiede l’esercizio di una considerevole capacità di discernimento. Può
essere sotto forma di un forecast, di un projection o di una combinazione di entrambi. Con
forecast il principio n. 3400 intende una prospective financial information preparata a partire da
assumptions riferite ad eventi futuri, che il management si aspetta che si verificheranno, e dalle
azioni che il medesimo management intende assumere, come ipotizzate al momento in cui
l’informazione è preparata (siamo quindi nell’ambito di best-estimate assumptions, che si
basano su una ragionevole aspettativa in riferimento ad eventi futuri). Con projection si intende
una prospective financial information preparata a partire da: i) hypotetical assumptions riguardo
ad eventi futuri e alle azioni degli amministratori, che questi non si aspettano che –
necessariamente – possano aver luogo, come avviene nei casi di società in fase di start-up; ii) un
insieme di hypotetical e best-estimate assumptions. Il projection illustra le possibili
conseguenze, come ipotizzate al momento della sua redazione, se gli eventi immaginati
dovessero accadere (il c.d. what-if scenario). La prospective financial information può includere
i financial stetements oppure uno o più elementi dei medesimi statements ed è predisposta: a)
come uno strumento manageriale interno, ad esempio a supporto della valutazione di un
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
88
STUDI E OPINIONI
LBO
ultime siano coerenti con lo scopo dell’informazione; ii) la prospecitve financial
information sia adeguatamente preparata sulle basi delle specificate assumptions; iii) la
prospecitve financial information sia adeguatamente resa nota, così come tutte le
assumptions, con una chiara indicazione di quali siano le best-estimate e quali, invece,
le hypotetical; iv) la prospecitve financial information sia preparata su una solida base
costituita dai financial statements storici, tramite l’utilizzo di appropriati principi
contabili.
Come si è visto, il legislatore nazionale ed i principi internazionali di revisione
fanno affidamento su un giudizio di ragionevolezza, proprio perché l’oggetto del
giudizio non sono altro che stime probabilistiche, più o meno certe (da cui la distinzione
tra best-estimate e hypotetical), ma che non possono essere sottoposte, stante la loro
natura, ad un vaglio più severo di quello di ragionevolezza.
Per questo motivo, “gli esperti non attestano (né possono attestare) la verità del
piano economico e finanziario, ma unicamente la sua ragionevolezza intesa come
corretta selezione delle assumption, loro attendibilità (e dunque attendibilità dei dati
contabili delle società partecipanti) e coerenza delle conclusioni prospettiche cui
giungono gli amministratori”104.
Da queste considerazioni, la medesima dottrina fa discendere due conseguenze, in
grado di definire meglio le caratteristiche della relazione ex art. 2501-bis, quarto
comma, c.c..
In primo luogo, il piano economico-finanziario ha mutevole natura a seconda del
periodo temporale preso in considerazione. Infatti, nel breve periodo il piano “deve
dimostrare la continuità aziendale sulla base di forecast basate essenzialmente su best
estimate assumption”, mentre, “nel medio lungo termine, deve dimostrare la
sostenibilità dell’indebitamento principalmente mediante projection fondate su dati
ipotetici”105.
In secondo luogo, nonostante il fatto che il repayment plan approntato dagli
amministratori poggi quasi esclusivamente sulla stima dei flussi di cassa futuri, “gli
esperti possono concludere la propria attestazione con un giudizio positivo, purché le
assumption siano state correttamente selezionate e le conclusioni siano coerenti”106.
Chiudendo sul punto, il termine “ragionevolezza” usato dal legislatore non sta ad
indicare alcun giudizio di merito sull’operazione, come invece, temporibus illis, certa
possibile investimento; b) per essere distribuita a terze parti, tra le quali: potenziali investitori e
gli attuali azionisti e finanziatori della società.
104
C. CINCOTTI, op. ult. cit., 15.
105
C. CINCOTTI, ibidem.
106
C. CINCOTTI, op. ult. cit., 15-16.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
89
STUDI E OPINIONI
LBO
giurisprudenza e certa dottrina avevano invocato107. Bensì sancisce l’adesione del nostro
sistema legislativo ai principi di revisione internazionalmente riconosciuti, consacrando
sia i metodi probabilistici per la valutare la sostenibilità dell’indebitamento contratto per
l’acquisizione, sia giudizi ragionevoli sulla correttezza di queste stime di fattibilità
dell’operazione di MLBO108. Peraltro, il giudizio di ragionevolezza di cui all’art. 2501bis c.c. non è rimasta un’ipotesi isolata nell’ambito della riforma societaria. Si pensi, ad
esempio, all’art. 2427-bis c.c., rubricato “informazioni relative al valore equo «fair
value» degli strumenti finanziari”, nel quale si prevede tra l’altro che “il fair value è
determinato, con riferimento […] al valore che risulta da modelli e tecniche di
valutazione generalmente accettati, per gli strumenti per i quali non sia possibile
individuare facilmente un mercato attivo; tali modelli e tecniche di valutazione devono
assicurare una ragionevole [enfasi aggiunta] approssimazione al valore di mercato”.
In merito alla relazione degli esperti, va ancora affrontata una questione: la sua
rinunciabilità.
Come visto, i soci delle società partecipanti alla fusione possono rinunciare
all’unanimità alla relazione prevista dall’art. 2501-sexies c.c.. Si ripropongono, pertanto,
le medesime considerazioni svolte nel precedente paragrafo, in punto rinuncia alla
relazione degli amministratori.
Seppur precedente alla novella del 2009 che ha previsto questa possibilità109,
un’autorevole massima del Consiglio notarile di Milano si è espressa contro la
possibilità di rinunciare alla relazione. La massima n. 60 prevede appunto che
“l’attestazione richiesta dall’art. 2501 bis, comma 4°, c.c., nell'ambito della relazione
degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio, in caso di fusione a seguito di
acquisizione con indebitamento, deve essere resa anche nell’ipotesi di fusione per
incorporazione di società interamente posseduta o comunque in ogni altra ipotesi in cui
non sia richiesto il parere di congruità sul rapporto di cambio. […] I compiti assegnati
[…] all’esperto o alla società di revisione, in quanto fissati nell'interesse dei creditori,
sono infatti logicamente e funzionalmente autonomi dal giudizio di congruità, di guisa
107
V. par. 1.3.
108
Nel medesimo senso anche L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 503-504 (e v. nt. 101 per ulteriori
riferimenti): “il legislatore ha, dunque , palesato un criterio valutativo noto nel panorama
giurisprudenziale, chiamato a valorizzare i canoni di probabilità e di normalità (in
contrapposizione all’eccezionalità) degli eventi, nell’ambito di una prognosi preventiva
esercitata sulla base di criteri squisitamente tecnici, nonché di concetti e metodi provenienti
dalla scienza aziendalistica”.
109
Possibilità prevista dall’ottavo comma dell’art. 2501-sexies, aggiunto dall’art. 1, primo
comma, d. lgs. 13 ottobre 2009, n. 147.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
90
STUDI E OPINIONI
LBO
che possono e debbono essere assolti, ove ne ricorrano i presupposti, anche
indipendentemente dalla resa di un giudizio di congruità”110.
A sostegno di questa massima stanno le medesime motivazioni già espresse in
favore dell’obbligatorietà della relazione degli amministratori. Infatti, “la ragione della
necessità di una relazione degli esperti, seppur con limitata ed «anomala» (rispetto al
normale contenuto della relazione ex art. 2501 sexies c.c.) portata, di cui al quarto
comma dell'art. 2501 bis c.c., anche nella fusione della società interamente controllata
acquisita con indebitamento o comunque in caso di fusione in cui, anche per rinunzia di
tutti i soci, non sussista la necessità di una relazione sul rapporto di cambio, consiste
nel fatto che in tali casi la attestazione richiesta agli esperti è funzionale (anche)
all’interesse dei creditori e quindi ad un interesse non disponibile dalle parti. Più
precisamente, si tratta di render chiaro al ceto creditorio dell’incorporata se e in che
misura il patrimonio sociale corra il rischio di un utilizzo a servizio dell'investimento
dei soci, piuttosto che dei creditori dell’attività di impresa”111.
La questione, ancora una volta, verte sulla propensione a considerare la relazione
degli esperti ad esclusiva tutela dei soci (da cui la sua rinunciabilità)112, oppure sulla
propensione a considerarla come strumento di tutela (anche) di interessi terzi (da cui la
sua necessità)113.
2.5. La terza fase di disclosure: la relazione dei revisori
110
Le
massime
del
Consiglio
sono
consultabili
www.consiglionotarilemilano.it/notai/massime-commissione-societa.aspx.
111
In questo senso la motivazione della massima n. 60.
112
Questa è la posizione, ex plurimis, di L.A. BIANCHI, La congruità, cit., 383.
on-line:
113
Cfr. L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 505 (seppur pre-novella), secondo cui “neanche la volontà
unanime dei soci può, infatti, escludere l’applicabilità della norma, in considerazione della sua
ratio, che poggia sulla tutela di interessi differenti rispetto a quelli degli stessi soci. Quindi,
sembra opportuno credere che i soci, pur potendo ignorare il giudizio degli esperti, non
possano a monete, escluderlo, recando un danno potenziale, in generale, ai soggetti terzi ed, in
particolare, ai creditori. Questi, invece, in presenza di un eventuale giudizio negativo (disatteso
dall’assemblea) sarebbero tutelati dalla possibilità di far valere l’opinione degli esperti nel
relativo giudizio di opposizione, così come potrebbero fare indistintamente tutti i terzi in sede di
richiesta di risarcimento per eventuali danni”. Nel medesimo senso si segnala l’opinione di F.
MAGLIULO, op. ult. cit., 11 ss., secondo cui “le particolari disposizioni dettate dall’art. 2501bis c.c. inducono a ritenere in ogni caso impossibile che, sia pure con il consenso di tutti i soci
e di possessori di altri strumenti finanziari che attribuiscono il diritto di voto delle società
partecipanti la fusione, si possa derogare alle disposizioni dell’articolo 2501-sexies c.c.. Ed
invero, nella fusione a seguito di acquisizione con indebitamento la relazione degli esperti deve
contenere […] anche l’attestazione della ragionevolezza delle indicazioni contenute nel
progetto di fusione ai sensi del secondo comma dell’art. 2501-bis c.c.”.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
91
STUDI E OPINIONI
LBO
Come enunciato sin dall’inizio del capitolo, la volontà del legislatore è andata nel
senso di approntare una disciplina del leveraged buyout in cui fosse centrale la
disclosure dei suoi profili di rischio.
Quindi, coerentemente con questa visione, il quinto comma recita che “al progetto
deve essere allegata una relazione del soggetto incaricato della revisione legale dei
conti della società obiettivo o della società acquirente”. E’ un obbligo ulteriore, che non
trova riscontro nella normativa generale sulle fusioni; mentre le già esaminate relazioni
degli amministratori e degli esperti, seppur arricchite in sede di disciplina del MLBO,
hanno valenza per ogni fusione.
Questa relazione è, dunque, un’ulteriore forma di tutela prevista per a favore dei
soci di minoranza della target, ma anche dei creditori di entrambi le società, proprio per
la maggior rischiosità dei MLBO, di cui si è già dato ampiamente atto.
Va innanzitutto notato che questo comma è stata oggetto di recenti modifiche:
originariamente faceva riferimento alla “società di revisione incaricata della revisione
contabile obbligatoria”; successivamente, l’art. 37, trentunesimo comma, d.lgs. 27
gennaio 2010, n. 39 (Riforma della revisione legale) ha sostituito tale espressione con
quella attualmente vigente, in ossequio alla mutata normativa sulla revisione legale dei
conti114.
Sotto l’impero del vecchio testo, la dottrina sosteneva che soggiacessero a tale
imposizione le sole società ex lege soggette al controllo contabile da parte di una società
di revisione: quindi, soprattutto quelle con azioni quotate in mercati regolamentati o
diffuse tra il pubblico in misura rilevante e, pure, quelle facenti ricorso al mercato del
capitale di rischio115.
Oggi occorre applicare il nuovo dettato dell’art. 2409-bis c.c., il quale non
individua più quali siano le società obbligatoriamente sottoposte a revisione, ma si
limita a stabilire i soggetti che possono esercitare l’attività di revisione116.
114
La nuova disciplina è di origine europea: infatti, il d. lgs. 39/2010 ha dato attuazione alla
direttiva 2006/43/CE, che ha modificato le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE ed abrogato la
direttiva 84/253/CEE.
115
A. SACCHI, Fusione a seguito di acquisizione con indebitamento e attività del revisore. Le
relazioni ai sensi dell'art. 2501-bis, comma 4 e 5 , c.c., in Il controllo nelle società e negli enti,
2006, 179, osserva(va) che “tale adempimento sarebbe richiesto esclusivamente alle: (i) società
che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio (società con azioni quotate in mercati
regolamentati o diffuse tra il pubblico in misura rilevante); (ii) società controllate di società
quotate, ai sensi dell'art. 165 T.U.I.F.; (iii) società per le quali è legislativamente previsto che il
controllo contabile sia svolto da società di revisione (ad es. imprese di assicurazione”.
116
La nuova formulazione dell’art. 2409-bis c.c. statuisce che “la revisione legale dei conti sulla
società è esercitata da un revisore legale dei conti o da una società di revisione legale iscritti
nell'apposito registro. Lo statuto delle società che non siano tenute alla redazione del bilancio
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
92
STUDI E OPINIONI
LBO
Alcuni hanno dunque ritenuto che “ora la relazione del soggetto incaricato della
revisione nel contesto della fusione che fa seguito ad acquisizione con indebitamento
sia necessaria anche quando sono coinvolte nella operazione società che non fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio”117.
In senso opposto, si è rilevato invece che la “recente modifica del quinto comma
della norma in esame sembra da intendersi diretta al solo adeguamento della lettera
alla terminologia adottata dal d.lgs. 39/2010 e, pertanto, esclusiva di ogni ampliamento
dell’ambito di applicazione della norma, così come elaborato ed espresso dalla riforma
societaria”118.
In proposito, la massima n. 118 del Consiglio notarile di Milano, risalente al
2011119, stabilisce che “nella fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, se la
società obiettivo o la società acquirente è sottoposta alla revisione legale dei conti, al
progetto di fusione deve essere allegata una relazione del soggetto che ne è incaricato:
revisore legale, società di revisione legale, collegio sindacale. Se entrambe le società,
obiettivo e acquirente, sono sottoposte alla revisione legale dei conti, può essere
predisposta una sola relazione, la cui redazione viene affidata, a cura degli
amministratori, ad uno dei soggetti incaricati della revisione legale dei conti”.
Nella lettera della legge mancano chiare indicazioni a proposito del contenuto
della relazione in esame120.
consolidato può prevedere che la revisione legale dei conti sia esercitata dal collegio sindacale.
In tal caso il collegio sindacale è costituito da revisori legali iscritti nell'apposito registro”.
117
V. SANGIOVANNI, op. ult. cit., 32-33.
118
O. CAGNASSO - M. D’ARRIGO - A. GALLARATI - L. PANZANI - M.T. QUARANTA, op. ult.
cit., 169, ove ulteriori riferimenti. Espressamente contra questa soluzione, la motivazione della
massima n. 118 del Consiglio notarile di Milano: “la nuova formulazione della norma
attribuisce espressamente e senza alcuna limitazione il compito della redazione della relazione
ivi prevista al soggetto incaricato della revisione legale dei conti della società obiettivo o della
società acquirente. Non resta spazio pertanto per interpretazioni riduttive della sua portata, che
ravvisino nell'intervento del legislatore soltanto la necessità di adeguarne il tenore letterale
alla nuova definizione legale dell'attività di revisione dei conti, lasciandone immutato l'ambito
applicativo soggettivo in precedenza individuato nelle sole società «aperte» e nelle altre
società soggette alla revisione contabile ai sensi degli artt. 155 ss. TUF”.
119
Intitolata: La relazione del soggetto incaricato della revisione legale nella fusione a seguito
di
acquisizione
con
indebitamento;
è
consultabile
on-line:
www.consiglionotarilemilano.it/notai/massime-commissione-societa.aspx.
120
Mancanza “sorprendente”, a detta di V. SANGIOVANNI, op. ult. cit., 33, il quale, per
scongiurare il pericolo che “tale relazione diventi una sorta di doppione della relazione cui sono
già tenuti gli esperti”, afferma che al revisore “compete l’esercizio di quelli che sono i suoi
compiti tipici. Il soggetto incaricato deve verificare l’attendibilità dei dati di bilancio”, che
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
LBO
Secondo le opinioni prevalenti, il contenuto di questa relazione va quindi
individuato nell’attenta verifica dei dati contabili posti alla base dell'operazione
complessiva di MLBO; ma deve soprattutto soffermarsi sul vaglio dei prospetti contabili
stilati dagli amministratori nel piano economico-finanziario, di cui al terzo comma
dell’art. 2501-bis c.c.121.
Seguendo le indicazioni del Consiglio notarile di Milano, quanto ai soggetti tenuti
a tale obbligo di disclosure la prescrizione in commento “appare dunque compatibile
con tutte le ipotesi in cui almeno una delle società coinvolte nella fusione con
indebitamento sia sottoposta alla revisione legale dei conti e la sua estensione a tutte le
società soggette a revisione legale dei conti risulta coerente con l'intento di ricorrere ai
revisori, ogni qualvolta siano nominati”122.
L’esame della norma pone alcune ulteriori questioni.
In primis, come già sottolineato in merito alle due precedenti relazioni, anche in
questo caso non pare ammissibile una rinuncia, anche unanime, da parte della
compagine sociale; stante, come sempre, il carattere di tutela di interessi terzi che l’art.
2501-bis c.c. riveste nel suo complesso.
In secondo luogo, qualora una società si sottoponga volontariamente a revisione
legale dei conti, essa sarà obbligatoriamente tenuta anche all’obbligo di disclosure di
cui al quinto comma. A questa soluzione, infatti, non ostano né la lettera della legge,
che nulla eccepisce al riguardo, né l’interpretazione logica, prima che giuridica, della
disciplina della revisione: se si è scelto volontariamente di sottoporsi a revisione,
occorre rispettarne i conseguenti obblighi.
“costituiscono la base per la determinazione del valore della società e, dunque, del rapporto di
cambio”.
121
Nel medesimo senso la dottrina maggioritaria. Cfr. ex multis V. SANGIOVANNI, op. ult. cit.,
11 ss.: il revisore deve “indicare le risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle
obbligazioni della società risultante dalla fusione, onde deve ritenersi che la relazione debba
esprimere anche una valutazione su tale indicazione. Ma la valutazione in parola dovrà
ritenersi limitata alla revisione dei dati contabili posti a base di tali valutazioni finanziarie,
stante il ruolo del revisore e l’esigenza di evitare duplicazioni con l’attestazione degli esperti
prevista dall’art. 2501-bis, quarto comma, c.c.”. V. anche L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 505-506.
L’Autore evidenzia in particolar modo l’autonomia valutativa, che connota figura del revisore e
che deve scandagliare l’attendibilità contabile del progetto di fusione nonché della relazione e
del piano economico-finanziario approntati dall’organo gestorio. Considera infine che la società
di revisione debba valutare non solo la situazione contabile della società sua cliente, ma anche la
“situazione patrimoniale delle altre società coinvolte nell’operazione di fusione, facendo
confluire tutte le relative risultanze contabili in un unico documento”.
122
Conforme V. SANGIOVANNI, ibidem.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
LBO
Infine, la previsione dell’art. 2409-bis c.c., per cui, in determinati casi, la revisione
legale dei conti può essere effettuata anche dal collegio sindacale, fa sì che la relazione
in esame possa essere stilata anche da quest’ultimo organo. I sindaci, in questa
eventualità, dovranno essere tutti revisori legali123.
Inoltre, in dottrina si è a lungo dibattuto sul numero di relazioni necessarie: se ne
fosse sufficiente una soltanto o se, invece, ne occorresse una per ogni società
partecipante all’acquisizione tramite indebitamento.
La dottrina maggioritaria si è schierata con la prima soluzione. Infatti, “la
necessità di una duplicazione viene esclusa sia dal dato letterale, che prevede la
predisposizione di «una» relazione, sia dalla terzietà attribuita dal legislatore alle
società di revisione, sia infine, dall’omogeneità dell'oggetto di analisi, ovvero
l'operazione ed i relativi documenti nel loro complesso, con riferimento a tutte le
società coinvolte nella fusione”124.
123
A favore di questa soluzione, così si esprime la motivazione della massima n. 118: “se infatti
il legislatore consente che ad esso venga attribuita in determinate fattispecie anche tale attività
ha, evidentemente, ritenuto che lo stesso non sia privo della necessaria indipendenza o della
idonea competenza professionale e che possa pertanto adeguatamente svolgere tutti i compiti e
ottemperare a tutti gli obblighi che ne derivano e, tra questi, anche la redazione della relazione
prevista dall'articolo 2501-bis, comma 5, c.c.. Il tenore letterale della disposizione, che parla di
«soggetto» (laddove il collegio sindacale è un «organo»), non sembra dunque possa prevalere
su ragioni di coerenza sistematica”.
124
L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 508. Per il medesimo orientamento, cfr. A. SACCHI, op. ult. cit.,
179 ss., secondo cui: “per soddisfare l’adempimento richiesto dalla norma, sarebbe sufficiente
la predisposizione ed allegazione di una sola relazione, emessa, alternativamente, dalla società
di revisione incaricata del controllo contabile della società obiettivo ovvero da quella chiamata
a svolgere la revisione contabile della società acquirente. La relativa scelta ricadrebbe nella
discrezionalità degli organi amministrativi delle società coinvolte”; M.S. SPOLIDORO, Fusioni
pericolose (merger leveraged buy out), in Riv. soc. 2004, 260 ss., che ritiene: “se più di una
società partecipante alla fusione è soggetta alla revisione contabile obbligatoria di una società
di revisione, può esser sostenuto che basti la relazione di una sola delle società di revisione
coinvolte: infatti il testo della legge richiede «una relazione», non tante relazioni quante sono
le società di revisione oppure le società partecipanti alla fusione. La scelta della società di
revisione cui affidare l'incarico, fra quelle che svolgono l’attività di controllo contabile, per
almeno una delle società partecipanti alla fusione, è lasciata agli amministratori di queste
ultime. Il fatto che la legge dica che la relazione è compito della società di revisione «della
società obiettivo o della società acquirente» non significa che i revisori della società acquirente
vengano in gioco solo se la società obiettivo non è soggetta a revisione contabile obbligatoria
da parte di una società di revisione”; L.G. PICONE, op. ult. cit., 1442, per il quale “si deve,
infine, considerare che la norma non precisa quale società di revisione debba redigere la
relazione di cui si tratta, allorquando entrambe le società partecipanti alla fusione siano
soggette a revisione obbligatoria: l'articolo, invero, si esprime in termini alternativi; il
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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Vi sono tuttavia alcune opinioni di segno contrario. L’interrogativo di partenza è il
medesimo (ossia: “se entrambe le società partecipanti alla fusione siano soggette per
legge alla revisione contabile obbligatoria da parte di una società di revisione, ci si
potrebbe chiedere se occorra redigere una distinta relazione per ogni società
partecipante alla fusione o se sia sufficiente che una sola di esse effettui detto
adempimento, a scelta degli amministratori delle società coinvolte, atteso che la norma
in esame si esprime in termini di alternatività”125). La soluzione preferita, però, va nel
senso di una doppia redazione, “in quanto l'alternatività prevista dalla norma si
riferisce alla circostanza che ad essere assoggettata a revisione contabile obbligatoria
da parte di una società di revisione potrebbe essere anche soltanto la società obiettivo
ovvero la società acquirente. Ma, ove entrambe lo siano, non vi sarebbe alcuna ragione
logica per «preferire» la società di revisione dell’una o dell’altra società”126.
legislatore richiede soltanto che almeno una società di revisione – sembrerebbe non rilevare
quale – intervenga per effettuare il controllo contabile della situazione patrimoniale
predisposta dagli amministratori. Pertanto, nel caso in cui sia la società acquirente sia quella
bersaglio siano soggette a revisione obbligatoria, alla luce dell'attività prettamente tecnicocontabile posta in essere dal revisore, deve ritenersi che sia del tutto indifferente quale società
di revisione rilasci la relazione”; V. SANGIOVANNI, op. ult. cit., 33, a detta del quale “basta
un’unica relazione, in quanto la legge usa l’espressione disgiuntiva («della società obiettivo o
della società acquirente»). Spetterà agli organi amministrativi delle società da fondersi
stabilire quale dei due soggetti incaricati della revisione legale dei conti preparerà la
relazione. La scelta a favore di una sola relazione è preferibile nell’ottica di ridurre i costi, già
piuttosto ingenti, del procedimento di fusione”; infine, la motivazione della massima n. 118,
secondo la quale: “nel caso in cui entrambe le società siano sottoposte alla revisione legale dei
conti si può ritenere sufficiente la predisposizione di una sola relazione indifferentemente
redatta, per scelta degli organi amministrativi delle società coinvolte, da uno soltanto dei
soggetti che ne sono incaricati. Non appare necessario, infatti, che ciascun revisore attesti la
correttezza dei dati contabili della società dal medesimo controllata, considerati il tenore
letterale della norma, l’omogeneità dell’oggetto dell’analisi e l’affidabilità, che deriva dalla
disciplina legale, del soggetto cui è attribuita”.
125
F. MAGLIULO, op. ult. cit., 11 ss..
126
F. MAGLIULO, ibidem. L’Autore riconosce però come “la dottrina prevalente sia di diverso
avviso” e aggiunge: “del resto ciascun revisore appare maggiormente idonea ad attestare la
correttezza dei dati contabili rilevanti della società dalla medesima controllata. In tali casi si
pone il problema di stabilire se occorra redigere tante relazioni quante sono le società
partecipanti alla fusione ovvero se sia possibile procedere ad una relazione congiunta, unica
per tutte le società. Sembra peraltro che si possa anche procedere a redigere un’unica
relazione ove nella stessa siano raggruppati i contenuti che sarebbero stati propri di ciascuna
relazione, qualora si fosse proceduto a redigere relazioni distinte”.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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Infine, occorre soffermarsi sul significato dell’espressione iniziale, ossia cosa
intenda il legislatore nello statuire che la relazione debba essere allegata al progetto di
fusione.
Vi è infatti una discrasia temporale tra la redazione del progetto di fusione e
quella della relazione del revisore legale: in altre parole, i due documenti si trovano tra
di loro in rapporto diacronico. Peraltro, è la stessa logica a suggerire che la relazione di
per sé presuppone la precedente esistenza sia del progetto di fusione sia del piano
economico-finanziario, dei quali valuta – successivamente – la correttezza contabile. Il
Consiglio notarile di Milano ha risolto l’apparente contrasto, considerando che “la
formazione del progetto si perfeziona ed assume rilevanza una volta che ad esso sia
unita anche la relazione del revisore legale dei conti”; con la conseguenza che, “ove
quest’ultima fosse oggetto di un deposito separato e successivo a quello del progetto,
solo dopo tale adempimento potranno validamente decorrere i termini fissati dagli artt.
2501-ter, u.c., c.c.. e 2501-septies, comma 1, c.c.”.
2.6. L’esclusione della normativa sulle fusioni semplificate
La legge espressamente prevede, all’ultimo comma dell’art. 2501-bis c.c., che alle
fusioni mediante acquisizione a leva non trovino applicazione le disposizioni degli artt.
2505 e 2505-bis. Questi ultimi regolano la c.d. fusione semplificata, nel caso di
incorporazione di società interamente possedute ed in quello di incorporazione di
società possedute al novanta per cento.
La fusione semplificata è così definita, in quanto, oltre alle numerose eccezioni
apportate alla disciplina ordinaria, essa è deliberata, con atto pubblico, dall’organo
amministrativo, a patto che l’atto costitutivo o lo statuto lo prevedano.
L’esclusione del sistema normativo delle fusioni semplificate all’istituto in esame
è motivata dal fatto che, altrimenti, il management della raider e quello della target
potrebbero portare a termine l’operazione senza dover assolvere agli obblighi di
disclosure caratteristici del merger leveraged buyout. Inoltre nel procedimento
semplificato viene eliminato quell’importante momento di verifica e di approvazione
costituito dalla deliberazione assembleare. Invece, proprio ad una consapevole delibera
sono volti gli accorgimenti informativi stabiliti dal legislatore all’art. 2501-bis..
All’inapplicabilità della procedura di fusione semplificata non osta neppure la
previsione (ad opera dell’art. 2505-bis c.c.) di un’ancora di salvezza per i soci di
minoranza, rappresentata dalla possibilità di esercitare il proprio diritto di exit.
In definitiva, il legislatore ha voluto lasciare impregiudicati i procedimenti di
disclosure disciplinati dall’art. 2501-bis, volutamente posti a garanzia tanto dei soci,
quanto dei creditori delle società coinvolte nel MLBO.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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Rimangono comunque aperte alcune altre questioni in merito al raccordo tra il
disposto dell’art. 2501-bis, ultimo comma, c.c. e la disciplina generale delle fusioni127, a
seguito delle intervenute novelle e nel silenzio della legge. Vengono in considerazione,
ad esempio, l’applicabilità, o meno, dell’art. 2501-quater, ultimo comma, c.c.128 e
quella dell’art. 2505-quater c.c.129.
2.7. I rimedi avverso le violazioni della disciplina ex art. 2501-bis c.c.
Si è già enunciato che il presente lavoro si focalizza, in particolare, sugli aspetti
operativi dell’istituto ex art. 2501-bis c.c.. Comunque, in un’ottica di risk management
per gli amministratori, sarà doveroso almeno un accenno alle possibili conseguenze di
un merger leveraged buyout condotto in porto a discapito delle regole civilistiche.
Esaminando per prima la posizione dei creditori, anche in questo particolare tipo
di fusione essi sono tutelati dall’istituto dell’opposizione alla fusione, disciplinato
all’art. 2503 c.c.130; il medesimo rimedio è concesso agli obbligazionisti dall’art. 2503bis c.c..
Secondo il disposto di queste due norme, la fusione può essere attuata solo dopo
sessanta giorni dall’ultima delle iscrizioni previste dall'articolo 2502-bis131, salvo che
consti: i) il consenso dei creditori (delle società partecipanti) anteriori all'iscrizione o
127
Si tralasciano, in questa sede, i dubbi riguardo all’applicabilità dell’art. 2501-sexies, ultimo
comma, c.c. e dell’art. 2501-quinquies, ultimo comma, c.c., in quanto già affrontate nei
precedenti paragrafi.
128
“La situazione patrimoniale non è richiesta se vi rinunciano all’unanimità i soci e i
possessori di altri strumenti finanziari che attribuiscono il diritto di voto di ciascuna delle
società partecipanti alla fusione”. Essendo una disposizione valida per ogni tipo di fusione (e
non pensata in specifico per il MLBO) e volta a tutelare soprattutto i soci, anziché i creditori, si
ritiene (v. F. MAGLIULO, op. ult. cit., 11 ss.) che i soci possano legittimamente rinunziare ad
essa, pur nell’ambito di applicazione dell’art. 2501-bis.
129
“Se alla fusione non partecipano società regolate dai capi V e VI del presente titolo, né
società cooperative per azioni, non si applicano le disposizioni degli articoli 2501, secondo
comma, e 2501-ter, secondo comma; i termini di cui agli articoli 2501-ter, quarto comma,
2501-septies, primo comma, e 2503, primo comma, sono ridotti alla metà”. Anche in tal caso,
“essendo un istituto previsto esclusivamente a tutela dei soci” (F. MAGLIULO, op. ult. cit., 11
ss.), esso è applicabile ad un’operazione di leveraged buyout.
130
In tema cfr. amplius S. CACCHI PESSANI, La tutela dei creditori, cit. (nt. 2). In generale, v. L.
ARDIZZONE, op. ult. cit., 522 ss..
131
Per cui la deliberazione di fusione delle società deve essere depositata per l'iscrizione nel
registro delle imprese, insieme con i documenti indicati nell'articolo 2501-septies.
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STUDI E OPINIONI
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alla pubblicazione prevista nel terzo comma dell'articolo 2501-ter; ii) il pagamento dei
creditori che non hanno dato il consenso, ovvero il deposito delle somme corrispondenti
presso una banca, salvo che la relazione di cui all’art. 2501-sexies sia redatta, per tutte le
società partecipanti, da un’unica società di revisione la quale asseveri, sotto la propria
responsabilità (ai sensi del sesto comma dell'articolo 2501-sexies), che la situazione
patrimoniale e finanziaria delle società partecipanti non rende necessarie garanzie a
tutela dei suddetti creditori. Quindi, se non ricorre alcuna di tali eccezioni, i creditori
indicati al comma precedente possono, nel termine di sessanta giorni, fare opposizione.
Tuttavia, il Tribunale, qualora ritenga infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori,
oppure qualora la società abbia prestato idonea garanzia, dispone che l’operazione abbia
luogo nonostante l'opposizione.
Parimenti, i possessori di obbligazioni delle società partecipanti alla fusione
possono fare opposizione a norma dell'art.2503, salvo che la fusione sia approvata
dall'assemblea degli obbligazionisti.
Va inoltre annoverata, tra i rimedi speciali previsti nell’ambito della fusione,
l’invalidità della medesima. Essa è disciplinata all’art. 2504-quater c.c.: “eseguite le
iscrizioni dell'atto di fusione a norma del secondo comma dell'articolo 2504,
l’invalidità dell'atto di fusione non può essere pronunciata. Resta salvo il diritto al
risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci o ai terzi danneggiati dalla
fusione”.
Se la prima previsione è stata considerata “meramente teorica”132, la seconda
invece permette la richiesta di risarcimento del danno, senza neanche subordinarla a
particolari soglie di partecipazione. Ma invero, “l’individuazione del pregiudizio non è
agevole. Esso non pare concretarsi […] nella incongruità del rapporto di cambio;
dovrebbe, piuttosto, configurarsi in termini di pregiudizio alla redditività e al valore
della partecipazione e/o all’integrità del patrimonio sociale arrecato dalla
irragionevolezza dell’impiego della leva finanziaria, utilizzando cioè un paradigma di
definizione del danno, che, in materia societaria, è rintracciabile, oggi, in sede
normativa (cfr. art. 2497, 1° comma)”133.
Venendo ai rimedi ordinari134, viene innanzitutto in rilievo l’impugnazione delle
delibere assembleari ex art. 2377 c.c.: infatti, le deliberazioni che non sono prese in
conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate dai soci assenti,
132
Da V. SANGIOVANNI, op. ult. cit., 34. Sul tema cfr. amplius F. PARELLA, Art. 2504-quater
c.c.: dieci anni di giurisprudenza, in Giur. comm., 2003, I, 363 ss..
133
P. MONTALENTI, Il leveraged buyout nel nuovo diritto, cit., 817-818.
134
Per un inquadramento sulle impugnazioni delle delibere v. O. CAGNASSO - G. GARESIO,
L’invalidità delle delibere assembleari: in particolare di quelle di approvazione del bilancio, in
Società, bilancio, 2014, I, 6 ss..
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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dissenzienti od astenuti, dagli amministratori, dal consiglio di sorveglianza e dal
collegio sindacale. Per quanto riguarda in specifico i soci, l’impugnazione può essere da
loro proposta, quando possiedono tante azioni aventi diritto di voto che rappresentino,
anche congiuntamente, l’uno per mille del capitale sociale, nelle società che fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio, ed il cinque per cento, nelle altre.
Con l’impugnazione i soci possono censurare la carenza o – addirittura – l’assenza
tout court delle relazioni e dei documenti (che dovrebbero essere stati) predisposti dagli
amministratori, dagli esperti contabili e dalle società di revisione.
Ancora, va menzionato la possibilità del risarcimento del danno ai sensi dell’art.
2377, quarto comma, c.c., per cui i soci uti singuli hanno diritto al risarcimento del
danno loro cagionato dalla non conformità della deliberazione alla legge o allo statuto
E’ poi possibile ricorrere alla nullità delle deliberazioni, soprattutto nel caso di
illiceità del loro oggetto. Esse possono essere impugnate da chiunque vi abbia interesse,
entro tre anni dalla loro iscrizione o deposito nel registro delle imprese (se soggette a
quest’obbligo), oppure dalla trascrizione nel libro delle adunanze dell'assemblea (se non
soggette né a iscrizione né a deposito). La nullità rileverà, ad esempio, ogni qualvolta
l’operazione in commento incorra in una violazione della previsione di cui all’art. 2358
c.c. (divieto di financial assistance).
Quanto riportato sinora in tema di s.p.a., vale anche in tema di s.r.l., con
riferimento però alla specifica norma sull’invalidità delle decisioni dei soci, l’art. 2479ter c.c..
Inoltre, alcuni dei rimedi più incisivi contro un MLBO illecito sono previsti dalla
disciplina sulla direzione e coordinamento di società, che sarà esaminata nel capitolo
successivo.
Infine, occorre ricordare che la deliberazione di fusione è sottoposta al controllo
notarile, il quale tuttavia costituisce un controllo di mera legalità135. Mentre non vi è più
alcuna sanzione penalistica che possa riguardare, anche solo latamente, un merger
leveraged buyout illecito, a seguito dell’introduzione del d. lgs. 11 aprile 2002, n. 61.
In merito invece ai profili di responsabilità dell’organo gestorio, non si rinviene
“la violazione di un dovere degli amministratori da porre a fondamento dell’azione, ove
questi abbiano correttamente rappresentato gli effetti della fusione per il tramite della
documentazione richiesta dall’art. 2501 bis, il debito contratto per l’acquisizione sia
sostenibile da parte della società derivante dalla fusione e sia stato tutelato lo
shareholder value per il tramite del rapporto di cambio”136.
135
Cfr. in tema F. MAGLIULO, op. ult. cit., 11 ss..
136
C. CINCOTTI, op. ult. cit., 29.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
100
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3. La disciplina dell’attività di direzione e coordinamento di imprese ed i suoi
rapporti con l’istituto del MLBO
3.1. La direzione unitaria. Legittimati attivi e passivi e preventiva escussione
Con la riforma del 2003, il legislatore, oltre ad aver introdotto l’istituto in
commento, ha anche costruito una nuova (complessa) disciplina inerente ai gruppi di
imprese. E’ infatti stato aggiunto il Capo IX al Titolo V del Libro V, intestato, appunto,
alla direzione ed al coordinamento di società; le norme di riferimento si rinvengono agli
artt. 2497 ss. c.c..
La direzione dei gruppi di imprese, prima del riconoscimento legislativo, aveva
trovato ampio spazio sia nelle pronunce giudiziali sia negli interventi dottrinali137.
E’ pacifica affermazione che la struttura dei gruppi di società sia – per
antonomasia – quella che si attanaglia meglio alla grande impresa contemporanea.
Pertanto, è inevitabile che la normativa prevista in tema di direzione (e, soprattutto, di
direzione abusiva) dei gruppi di imprese finisca per intersecarsi con il fenomeno,
altrettanto attuale, del merger leveraged buyout. Sono particolarmente interessanti, ai
nostri fini, le peculiari tutele concesse ai soci ed ai creditori di una società controllata;
tutele che ben possono rilevare per i soci ed i creditori della target (controllata dalla
raider). Ma, più in generale, è tutta la disciplina della direzione e coordinamento ad
integrare ed ampliare quella prevista dall’art. 2501-bis: dopotutto, il MLBO altro non è
che un particolare modo con cui è possibile costituire un gruppo di imprese.
Si ripercorreranno, quindi, i caratteri salienti della eterodirezione, in modo da
individuare i punti di maggior contatto con la nostra fattispecie.
--L’evoluzione redazionale dell’art. 2497 c.c., alquanto travagliata, ha infine
condotto all’approvazione di un testo di legge che individua la responsabilità delle
società o degli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società,
agiscano nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui, in violazione dei principi di
corretta gestione societaria ed imprenditoriale delle società medesime.
Legittimati ad agire, ai sensi dell’art. 2497, primo comma, c.c., sono i soci ed i
creditori della controllata. Come è stato sottolineato da parte della dottrina, “il nuovo
137
Ex multis v. P. MONTALENTI, Conflitto di interessi nei gruppi di società e teoria dei vantaggi
compensativi, in Giur. comm., 1995, I, 710 ss.; ID., Operazioni infragruppo e vantaggi
compensativi: l’evoluzione giurisprudenziale, nota Cass., 5 dicembre 1998, n. 12325, in Giur.
it., 1999, 2317; ID., Persona giuridica, gruppi di società, Corporate governance, Padova,
CEDAM, 1999. In giurisprudenza, v. innanzitutto la storica Cass., 26 febbraio 1990, n. 1439, in
Giur. it., 1990, I, 1, 713 ss., con nota di R. WEIGMANN, la prima ad occuparsi, peraltro, anche
della controversa questione della holding persona fisica. Per una rapida introduzione sulle
novità legislative in tema di direzione unitaria v. R. SACCHI, Sulla responsabilità da direzione e
coordinamento nella riforma delle società di capitali, in Giur. comm., 2003, I, 661 ss..
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testo dell’art. 2497 c.c., [...] derogando in modo evidente dall’art. 2395 c.c., legittima il
socio della società controllata a proporre direttamente, e nel proprio interesse, l’azione
di responsabilità contro gli enti controllanti, i quali, con le loro istruzioni agli
amministratori della società controllata, hanno prodotto il danno […] ai suoi diritti
patrimoniali di natura sociale”138.
Come visto, legittimati passivi sono, ai sensi dell’art. 2497 c.c., la società o gli
enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di imprese, agiscano
nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui e che violino i principi di corretta gestione
manageriale delle società medesime. Il danno rileva tanto per il pregiudizio arrecato alla
redditività ed al valore della partecipazione sociale, quanto per la lesione cagionata
all'integrità del patrimonio della società nei confronti dei creditori sociali.
Inoltre, a norma del secondo comma del medesimo articolo, risponde in solido
chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo perpetrato dalla holding e, nei limiti del
vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio.
L’art. 2497 c.c., al terzo comma, precisa che il socio o il creditore possano agire
solo se non siano stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e
coordinamento. Dunque, “la disposizione individua un patrimonio, quello della società
abusata, che in prima battuta deve far fronte alle pretese risarcitorie dei creditori e soci
di quella stessa società”139. Sussiste poi una “responsabilità sussidiaria rispetto a
quella della società eterodiretta il cui patrimonio sia stato leso”140, che può essere
accostata all’istituto del beneficio di preventiva escussione.
A partire da questo comma si è anche argomentato che, “con riguardo ai soci
esterni, la società eterodiretta, cioè la società danneggiata dalla direzione abusiva,
sembra autorizzata a effettuare pagamenti ai soci con procedure ignote al diritto
societario comune”, in modo tale che “la holding può trattare la società controllata
come una propria divisione interna, se con la mano sinistra restituisce alla società
eterodiretta almeno quanto prende con la destra, ovvero fa rimborsare direttamente ai
soci esterni l’ammontare del sacrificio che essi subiscono”141.
138
V. SALAFIA, La responsabilità della holding verso i soci di minoranza e le controllate, in
Soc., 2004, 8.
139
Così F. FIMMANÒ, Sub art. 2497, terzo comma, in Direzione e coordinamento di società, a
cura di G. Sbisà, Milano, 2012, 114-115; conforme S. GIOVANNINI, La responsabilità per
attività di direzione e coordinamento nei gruppi di società, Milano, 2007, 32.
140
F. FIMMANÒ, ibidem.
141
M. BUSSOLETTI, Sulla “irresponsabilità” da direzione unitaria abusiva e su altre questioni
aperte in tema di responsabilità ex art. 2497, in Riv. dir. comm., 2013, I, 400-401; e sul tema v.
A. VALZER, La responsabilità da direzione e coordinamento di società, Torino, Giappichelli,
2011, in specie 43-68.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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Infatti, nonostante tale norma abbia suscitato numerosi problemi interpretativi142,
la dottrina ha ricostruito in tal senso il raccordo tra il terzo comma ed il primo comma
dell’art. 2497 c.c.: “(i) l’art. 2497, comma 1°, c.c. dispone che il socio può pretendere
dalla capogruppo il risarcimento di quello che, nei suoi confronti, rappresenta […] un
«danno riflesso», introducendo, in tal modo, una deroga alle regole di «canalizzazione
verso la società del risarcimento di ogni danno rispetto al quale il patrimonio sociale
non sia rimasto indifferente»143 […];
(ii) nell’art. 2497 quater, comma 1°, lett. b, c.c. la legge afferma che lo stesso
presupposto perché il socio possa agire ex art. 2497 c.c. costituisce anche la causa per
pretendere dalla società partecipata la liquidazione del valore residuo della quota (se
si vuole: della quota superstite);
(iii) e l’art. 2497, comma 3°, c.c. nel disporre che il socio possa agire contro la
società capogruppo solo se non sia stato prima soddisfatto dalla società eterodiretta,
non fa altro che dirottare e radicalizzare – preventivamente – in capo a quest’ultima la
stessa pretesa già indicata sub i)”144.
3.2. La direzione unitaria. Sua esistenza e relativa presunzione
Manca, nella nuova disciplina legislativa sui gruppi di imprese, una definizione
dell’attività di eterodirezione: una scelta che lascia margini definitori all’interprete. Alla
luce (anche) del fenomeno economico, “per attività di direzione e coordinamento deve
intendersi l’esercizio di una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad
incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa, cioè sulle scelte strategiche e operative di
carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli
affari sociali”145.
Nel caso in cui venga in considerazione la previsione dell’art. 2497-sexies c.c.,
secondo cui l’attività di direzione e coordinamento di società ricorre in capo alla società
o all’ente tenuto al consolidamento dei bilanci o che comunque le controlla ai sensi
dell’art. 2359 c.c., tale attività è considerata presunta. Negli altri casi, invece, la sua
sussistenza dovrà venire dimostrata.
142
Cfr. la caustica annotazione di G. SCOGNAMIGLIO, I gruppi e la riforma del diritto
societario: prime riflessioni, in Riv. dir. impr., 2003, 592.
143
V. PINTO, La responsabilità degli amministratori per danno «diretto» agli azionisti, nel
Nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa e
Portale, Torino, 2006, 915.
144
Questa la ricostruzione di A. VALZER, op. ult. cit., 47-48.
145
P. MONTALENTI, Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, in
Riv. Soc., 2007, 321.
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Infatti, “nella normalità delle ipotesi, in sede di riscontro dell’esistenza
dell’attività di direzione e coordinamento, non può farsi a meno del controllo:
quest’ultima situazione giuridica costituisce normalmente (sebbene non
necessariamente) il prius dell’attività di direzione e coordinamento”146.
Molteplici sono gli elementi da cui può concretamente risultare evidente
l’esistenza di tale attività, sulla scorta di quanto pacificamente affermato sia in dottrina
sia in giurisprudenza.
Infatti, “un elemento sintomatico dell’esistenza di tale rapporto tra le due società
(controllante e controllata) può essere rinvenuto nell’identica (o, quanto meno,
parzialmente identica) composizione degli organi amministrativo e di controllo delle
due società”147. Del medesimo segno la giurisprudenza di merito, la quale ha
individuato “una conferma significativa di questa gestione «coordinata» delle due
società […] nell’identica composizione dell’organo amministrativo e di controllo”;
secondo quest’orientamento, l’attività di direzione e coordinamento “può ravvisarsi non
solo nei rapporti economici impostati tra le due società, ma anche nelle modalità di
manifestazione della volontà dell’organo amministrativo”148.
E’ stata altresì sancita la sussistenza dell’attività di direzione e coordinamento,
ove il medesimo soggetto sia, contemporaneamente, presidente del C.d.A. di entrambe
le società, ossia della controllante e della controllata149.
3.3. L’antigiuridicità della direzione unitaria. Suoi requisiti
Il legislatore, nel delineare la normativa sui gruppi di imprese, ha stabilito le
condizioni alle quali è possibile esercitare legittimamente l’attività di direzione e
coordinamento. L’eterodirezione è stata, dunque, consacrata legislativamente, sulla
scorta dell’importanza, riconosciuta pure dal Codice, del moderno assetto della grande
impresa azionaria: un assetto strutturato, appunto, sui gruppi di imprese.
Rispetto alle altre norme del Capo IX, l’art. 2497 c.c. si sofferma soprattutto sulla
patologia del fenomeno: l’esercizio della direzione unitaria in modo abusivo150.
146
L. BENEDETTI, La responsabilità “aggiuntiva” ex art. 2497, 2° co., c.c., in Quad. Giur.
Comm., n. 354, Giuffrè, Milano, 2012, 197-198.
147
E.E. BONAVERA, Abuso nell’attività di direzione e coordinamento e violazione dei principi
di corretta gestione societaria e imprenditoriale, in Soc., 2012, 755.
148
Trib. Verona, 13 luglio 2007, in Soc., 2008,1385 ss..
149
Trib. Milano, 2 febbraio 2012, in Leggi di Italia.
150
Come visto, l’antigiuridicità della condotta consiste nell’“esercizio di quell’attività
nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui, dunque estraneo a quello della società soggetta
alla sua direzione/coordinamento, e in violazione dei principi di corretta gestione societaria e
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Al fine di far valere l’antigiuridicità dell’eterodirezione, è sufficiente
l’acquisizione di indizi tali da desumere che l’influenza dell’ente dirigente sia stata in
grado di determinare il compimento dell’operazione, dannosa per la controllata, ma
vantaggiosa per la controllante. Tali indizi devono concernere “l’effettiva coerenza […]
dell’attività dannosa per la società diretta, […] con un «disegno di gruppo» tale per cui
l’atto dannoso ha determinato un corrispondente vantaggio per l’ente dirigente […], se
tale atto non è sorretto da una giustificazione economicamente razionale nella
prospettiva della controllata o il vantaggio evidenzia anomalie nella corretta gestione
imprenditoriale e societaria della società eterodiretta danneggiata”151.
Quindi, per ricadere sotto la responsabilità di cui all’art. 2497 c.c., occorre il
concorso di due elementi precisamente individuati dalla norma: l’esercizio dell’attività
in esame nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui e la violazione dei principi di
corretta gestione societaria e imprenditoriale della società controllata.
Quanto al primo elemento (l’esercizio della eterodirezione nell’interesse proprio),
esso comporta il sorgere del conflitto di interessi tra quello della holding e quello della
controllata, con una prevalenza dell’interesse della holding tale da sfociare in
un’amministrazione della controllata non coerente con i principi di correttezza.
Il legislatore, all’art. 2497-ter c.c., ha permesso un sindacato ex post sulle
motivazioni di determinate decisioni, che hanno coinvolto la società controllata. La
norma, infatti, prevede che le decisioni delle società soggette ad attività di direzione e
coordinamento, quando da questa influenzate, debbono essere analiticamente motivate e
recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso
sulla decisione152. Tuttavia, “la norma esige che questi superiori interessi, determinanti
la decisione, siano puntualmente indicati per consentire un sindacato sulla loro
rispondenza ad un interesse di gruppo, e perciò riferibile anche alla controllata e non
invece all’interesse esclusivo della sola controllante o di altra società del gruppo”153.
L’art. 2497-ter c.c. manca di una sanzione a presidio del suo disposto. Ma l’omissione
della motivazione suddetta “ben potrebbe indurre l’interprete a ritenere che sia stato
perseguito dalla capogruppo un interesse imprenditoriale proprio”: con la conseguenza
che, sussistendo il requisito dell’interesse proprio, la sanzione consiste, “in presenza
imprenditoriale delle società sottoposte ad essa” (Trib. Milano, 17 giugno 2011, in Soc., 2011,
1099).
151
Trib. delle Imprese di Milano, 20 dicembre 2013, in www.giurisprudenzadelleimprese.it.
152
E delle motivazioni viene dato conto nella relazione sulla gestione ex art. 2428 c.c..
153
F. GALGANO, Direzione e coordinamento di società, in Commentario Scialoja - Branca,
Bologna - Roma, 2005, 136.
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degli altri requisiti richiesti dall’art. 2497 c.c., [nel]la responsabilità a carico della
società controllante e di coloro che abbiano comunque preso parte al fatto lesivo”154.
Quanto al secondo elemento, dalla violazione dei principi di corretta gestione
deriva una responsabilità di carattere colposo.
La giurisprudenza di merito ha infatti affermato che “lo schema di responsabilità
che ne discende non è quello oggettivo, ma, piuttosto, quello colposo nascente dalla
violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede imprenditoriali, tali da
configurare una forma di «abuso» derivante dall’esercizio del potere di direttiva e di
istruzione, preordinato volutamente a soddisfare interessi propri della stessa
capogruppo […], in condizioni sfavorevoli o pregiudizievoli per la società
controllata”155.
La stessa relazione di accompagnamento alla riforma del 2003 prevedeva che i
criteri di individuazione dei corretti principi di gestione fossero rimessi a giurisprudenza
e dottrina: né la prima – come si è appena visto – né la seconda hanno mancato di
occuparsene. Infatti, “la corretta amministrazione del gruppo, con riferimento alla
direzione unitaria ed al coordinamento delle società controllate, consiste nella
individuazione, per ciascuna strategia od operazione, del punto di equilibrio fra gli
interessi delle controllate e della capogruppo, punto di equilibrio che può definirsi
come la situazione in cui convergano gli interessi di tutte le società coinvolte
nell’operazione o nella strategia con possibilità di soddisfazione, anche se di entità,
scadenza e qualità diverse, per tutte le società”156.
Né, nell’ambito del gruppo, si considera prevalente, come normalmente avviene,
la business judgment rule; non è dunque “irragionevole che la business judgment rule
non operi in presenza di rapporti infragruppo, quando, dato il maggior rischio di
comportamenti opportunistici, si tratta di verificare il rispetto del duty of loyalty (e non
semplicemente del duty of care)”157.
Inoltre, anche in merito a questo secondo requisito, in dottrina si afferma che, per
dimostrare la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale, sia
sufficiente contestare l’incongruità, la carenza o la mancanza della motivazione ai sensi
dell’art. 2497-ter158. In definitiva, “ciò significa che l’applicazione dell’art. 2497 cod.
civ. è condizionata al ricorrere di condotte, imputabili agli amministratori, consistenti
154
E.E. BONAVERA, op. ult. cit., 757.
155
Trib. Palermo, 15 giugno 2011, in Foro it., 2011, 3184 ss..
156
V. SALAFIA, op ult. cit., 10.
157
R. SACCHI, op. ult. cit., 663.
158
V. S. GIOVANNINI, op. ult. cit., 196.
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in violazione delle ordinarie regole di «corretta gestione» della società, altrimenti
qualificabili come illecite ai sensi ai sensi degli artt. 2392 ss. cod. civ.”159.
3.4. La direzione unitaria ed i vantaggi compensativi
L’art. 2497 c.c. prevede che non vi sia responsabilità, quando il danno risulti
mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento,
ovvero sia stato integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette.
Il legislatore ha, quindi, sancito due esimenti, che permettono l’esercizio della
direzione e coordinamento in danno alla società controllata. Infatti, tale dettato
normativo “riconosce la rilevanza dei vantaggi compensativi solo se il danno risulta: (i)
mancante, il che […] significa che deve essere eliso in senso ragionieristico e sul piano
quantitativo; (ii) ovvero integralmente eliminato (anche a seguito di operazioni a ciò
dirette). Sembra, perciò, che venga chiesta una rigida proporzionalità fra pregiudizio
prodotto dalla singola operazione infragruppo e vantaggio compensativo”160.
Non spetta però al soggetto legittimato attivo, qualora agisca in giudizio, provare
l’esistenza di queste esimenti.
Infatti, “è a carico dei convenuti la prova delle esimenti e cioè o che il danno
risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e
coordinamento, o che risulta integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a
ciò dirette”161.
Prova delle esimenti dovrebbe essere costituita, ad esempio, “dalle indicazioni
contenute nelle relazione sulla gestione della società coordinata e diretta, di cui all’art.
2497-bis, comma 5; dalle motivazioni delle decisioni, di cui all’art. 2497-ter; […] dai
budget e dai piani strategici industriali e finanziari di gruppo, nonché dalla eventuale
ulteriore documentazione relativa alle operazioni oggetto di contestazione”162.
3.5. La natura contrattuale della responsabilità della capogruppo
Il Codice, per quanto concerne la disciplina del risarcimento da esercizio illecito
della direzione unitaria, riconosce la lesione risarcibile come riguardante il diritto alla
redditività ed alla valorizzazione della partecipazione sociale.
159
E. MARCHISIO, I “principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale” delle società
per azioni eterodirette, Roma, Relazione in data 11-12 febbraio 2011, in
www.orizzontideldirittocommerciale.it.
160
R. SACCHI, op. ult. cit., 673.
161
G. SBISÀ, Sub art. 2497, primo comma, in Direzione e coordinamento di società, a cura di G.
Sbisà, Milano, Giuffrè, 2012, 67.
162
G. SBISÀ, ibidem.
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Recte, “il danno suddetto è […] ravvisato nel nocumento, che il socio della
società controllata subisce di riflesso, come conseguenza del danno direttamente patito
dal patrimonio della società”163. Questo danno afferisce alla fattispecie dei danni
indiretti, in quanto è una proiezione del danneggiamento arrecato al patrimonio della
società.
Parlando di danno, non può esimersi da un accenno alla natura della
responsabilità da eterodirezione abusiva. Tuttavia, la natura della responsabilità di cui
all’art. 2497 c.c. è stata a lungo dibattuta in dottrina.
Un’autorevole opinione, all’uscita della riforma del 2003, considerava preferibile
“qualificare la responsabilità da direzione e coordinamento come contrattuale, in
quanto questo consente di configurarla in termini coerenti con le scelte fatte dalla
riforma a livello di sistema, incentivando il monitoraggio dell’holding sulle società di
gruppo ed evitando, tra l’altro, il paradosso di un arretramento (che si verificherebbe
considerando extracontrattuale la responsabilità da direzione e coordinamento)
rispetto ai risultati raggiunti da una parte della dottrina e della giurisprudenza prima
della riforma”164.
Dal momento che però altri riteneva di aderire all’orientamento per cui la
responsabilità di cui all’art. 2497 c.c. andasse assimilata a quella derivante dall’art.
2043, si è addivenuti all’individuazione di una natura ambivalente della responsabilità
in parola, a seconda che ad agire siano i creditori o i soci della controllata: aquilana,
nell’un caso; contrattuale, nell’altro.
Infatti, l’obbligo di correttezza a carico della holding, “la cui violazione
potenzialmente genera responsabilità, non può certo […] essere inteso come volto solo
a tutela della società soggetta all’attività di direzione e coordinamento165, ma è
palesemente diretto anche alla specifica salvaguardia delle posizioni soggettive dei soci
(ed in specie di quelli minoritari) di tale società. Si prospetta, quindi, come un dovere di
protezione a contenuto definito, posto dal legislatore a carico di ben determinati
soggetti e nell’interesse di altri soggetti ugualmente ben determinati: nel che sembra
appunto risiedere la natura contrattuale dell’obbligo e della conseguente eventuale
responsabilità, almeno nella più ampia accezione che la responsabilità contrattuale è
andata assumendo nei tempi recenti”166.
Questa impostazione intermedia ha trovato seguito anche in giurisprudenza,
secondo la quale “l’attività di direzione e coordinamento fa sorgere un dovere di
163
V. SALAFIA, op. ult. cit., 8.
164
R. SACCHI, op. ult. cit., 670-671.
165
La quale può agire nei confronti della capogruppo, verisimilmente dopo essere stata acquisita
da altri proprietari o nel corso del fallimento.
166
R. RORDORF, I gruppi nella recente riforma del diritto societario, in Soc., 2004, 545.
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protezione avente contenuto definito e comportante, in caso di violazione, una
responsabilità contrattuale nei confronti dei soci della società eterodiretta”167.
A favore della natura contrattuale milita anche la considerazione per cui gli
amministratori della holding si ingeriscono negli affari della controllata, e perciò i
doveri di protezione della capogruppo si estendono anche ai soci esterni ed ai creditori
di queste ultime. Ne consegue che la responsabilità da direzione unitaria è contrattuale,
in ciò richiamando quanto affermato dalla Suprema Corte: “il discrimine tra
responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale va ricercato […] nella
natura della situazione giuridica violata: se si tratta di obbligazioni, anche se non
derivanti da contratto, la violazione dà luogo a responsabilità contrattuale”168.
3.6. Il regime pubblicitario ed i confini temporali della direzione unitaria
La disciplina sui gruppi di imprese prevede anche degli adempimenti pubblicitari
riguardanti l’inizio dell’attività di direzione. Essi sono individuati all’art. 2497-bis c.c. e
consistono in un obbligo di iscrizione dell’attività in un’apposita sezione del registro
delle imprese169. La legge assegna questo compito “agli amministratori della società
eterodiretta – e non invece alla capogruppo e per essa ai suoi legali rappresentanti,
come per i gruppi bancari – cui fanno riferimento tanto l’obbligo di esecuzione degli
167
Trib. Milano, 17 giugno 2011, in Soc., 2011, 1099.
168
C. Cass., 6 marzo 1990, n. 1925, in Giur.it., 2000, I, pp. 770 ss. Per un’esaustiva rassegna
delle molteplici ragioni addotte dalla dottrina a sostegno della natura contrattuale della
responsabilità di cui all’art. 2497 c.c. si veda S. GIOVANNINI, op. ult. cit.,110-121 e L.
BENEDETTI, op. ult. cit., 2012, 227- 234.
169
Così testualmente l’art. 2497-bis c.c.: “La società deve indicare la società o l'ente alla cui
attività di direzione e coordinamento è soggetta negli atti e nella corrispondenza, nonché
mediante iscrizione, a cura degli amministratori, presso la sezione del registro delle imprese di
cui al comma successivo.
È istituita presso il registro delle imprese apposita sezione nella quale sono indicate le società o
gli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento e quelle che vi sono soggette.
Gli amministratori che omettono l'indicazione di cui al comma primo ovvero l'iscrizione di cui
al comma secondo, o le mantengono quando la soggezione è cessata, sono responsabili dei
danni che la mancata conoscenza di tali fatti abbia recato ai soci o ai terzi.
La società deve esporre, in apposita sezione della nota integrativa, un prospetto riepilogativo
dei dati essenziali dell'ultimo bilancio della società o dell'ente che esercita su di essa l'attività
di direzione e coordinamento.
Parimenti, gli amministratori devono indicare nella relazione sulla gestione i rapporti
intercorsi con chi esercita l'attività di direzione e coordinamento e con le altre società che vi
sono soggette, nonché l'effetto che tale attività ha avuto sull'esercizio dell'impresa sociale e sui
suoi risultati”.
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adempimenti pubblicitari nel registro delle imprese quanto la decisione
sull’opposizione alle istanze di recesso eventualmente provenienti dai soci”170.
Infatti, “con la previsione degli obblighi pubblicitari ex art. 2497-bis commi 1 e 2,
c.c., il legislatore ha inteso pertanto segnare, a cura degli amministratori della società
eterodiretta e sia pure senza attribuirvi efficacia costitutiva, dei confini temporali al
rapporto giuridico di gruppo tra due (o più) società cui si riconnette, dal lato attivo, la
titolarità del potere di direzione e coordinamento e, da quello passivo, la
corrispondente soggezione”171.
La pubblicità rileva, ovviamente, anche nel caso in cui termini l’attività di
direzione unitaria. Essa può cessare, ad esempio, qualora venga meno la posizione di
controllo della holding o a seguito di una ristrutturazione della catena di controllo; per
contro, tale evento potrebbe anche dipendere non dalla volontà della controllante, bensì
da quella della controllata, qualora essa intraprenda un diverso posizionamento sul
mercato, tale da far cessare il suo stato di dipendenza economico-contrattuale dalla
controllata. Gli amministratori che mantengono l’iscrizione al registro delle imprese di
detta attività, quando la soggezione è cessata, sono responsabili dei danni che la
mancata conoscenza di tali fatti abbia arrecato ai soci o ai terzi.
Quale che sia la causa che ponga fine all’attività di direzione unitaria, va
innanzitutto ricordato che la cessazione della direzione dà adito al diritto di recesso del
socio172. In secondo luogo, che, se invece permane un controllo di diritto e la excontrollata risulta comunque nel consolidato della ex-holding, continua a sopravvivere
la presunzione (relativa, e quindi superabile con prova contraria) di cui all’art. 2497sexies, c.c..
Pertanto, nella delibera consiliare in cui si dichiara cessata l’attività di direzione
unitaria, dovrà essere fornita dagli amministratori (della ex-controllata) prova che la
direzione e coordinamento sia effettivamente conclusa, magari rimandando per
maggiori approfondimenti alla relazione sulla gestione. In dottrina si è ovviamente
evidenziato come tale prova possa essere accostata ad una probatio diabolica, non
essendo facile da fornire. In specifico, “la presunzione dell’esercizio di un potere di
direzione nei confronti di società non è facilmente contestabile da parte dei soggetti
tenuti al consolidamento dei loro bilanci, quando, nell’ambito dell’articolazione della
struttura organizzativa del gruppo, la società che consolida possiede le azioni o quote
della società controllata al fine di esercitare, attraverso la società controllata, l’attività
170
C. CARUSO, Inizio e cessazione della direzione e coordinamento e recesso del socio,
Giappichelli, Torino, 2012, 45.
171
C. CARUSO, op. ult. cit., 61.
172
Salve le eccezioni tassativamente previste dalla legge all’art. 2497-quater, primo comma,
lett. c), c.c..
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di impresa che ne costituisce l’oggetto. Per superare la presunzione prevista dall’art.
2497-sexies c.c., perciò, la controllante potrà dimostrare che il consolidamento è stato
effettuato benché non sussistessero i presupposti della sua obbligatorietà”173.
Indi, la cessazione dovrà essere dichiarata tramite la cancellazione della società
prima eterodiretta dall’apposita sezione speciale del registro delle imprese di cui all’art.
2497-bis c.c. e occorrerà infine rilasciare un’adeguata informativa nella relazione sulla
gestione stilata a fine dell’esercizio in cui ha avuto cessazione l’attività di direzione
unitaria (come si può dedurre dall’art. 2497-bis, ult. comma, c.c.).
Tale adempimento potrà essere accompagnato “da forme diverse di dichiarazione
della cessazione, quali il completamento dei diversi passaggi del procedimento in caso
di accorciamento della catena di controllo o, nei casi di direzione e coordinamento di
fonte statutaria, l’adozione di una delibera dell’assemblea che elimini la clausola
statutaria e dichiari cessato l’esercizio dell’attività”174.
Il tema della pubblicità di interseca con quello dell’inizio e della cessazione
dell’eterodirezione, tema, quest’ultimo, particolarmente significativo, poiché rileva ai
fini del diritto di recesso del socio.
L’art. 2497-quater c.c. infatti stabilisce che i soci di società soggette ad attività di
direzione e coordinamento possono recedere all’inizio ed alla cessazione dell’attività di
direzione e coordinamento, quando i) non si tratti di una società con azioni quotate in
mercati regolamentati; ii) ne derivi un’alterazione delle condizioni di rischio
dell'investimento; iii) e neppure venga promossa un’offerta pubblica di acquisto.
Peraltro, non è l’unica ipotesi di diritto recesso speciale in virtù della normativa
del Capo IX175. Il diritto di recesso può essere esercitato anche quando la controllante
abbia deliberato una trasformazione che implica il mutamento del suo scopo sociale,
ovvero abbia deliberato una modifica del suo oggetto sociale, consentendo l’esercizio di
attività che alterino in modo sensibile e diretto le condizioni economiche e patrimoniali
della società eterodiretta.
La terza ed ultima ipotesi di recesso può avverarsi qualora, a favore del socio, sia
stata pronunciata, con decisione esecutiva, condanna di chi esercita attività di direzione
e coordinamento ai sensi dell’art. 2497; in tal caso, il diritto di recesso può essere
esercitato soltanto per l’intera partecipazione sociale.
173
A. PICCIAU, Sub art. 2497-sexies, in Direzione e coordinamento di società, a cura di G.
Sbisà, Milano, Giuffrè, 2012, 370-371.
174
C. CARUSO, op. ult. cit., 77.
175
Con l’avvertenza che si applicano, a seconda dei casi ed in quanto compatibili, le
disposizioni previste per il diritto di recesso del socio nella società per azioni o in quella a
responsabilità limitata.
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3.7. La società controllata ed il merger leveraged buyout. Questioni aperte
L’inquadramento della elaborata disciplina sulla direzione e coordinamento di
imprese ha permesso di considerare le numerose integrazioni apportate all’istituto
disciplinato dall’art. 2501-bis c.c.; si pensi, a titolo di esempio, agli ulteriori obblighi
informativi ex art. 2497-ter, ai rimedi concessi ai soci, o, ancora, alle particolari
disposizioni inerenti al c.d. finanziamento soci.
Innanzitutto, va rilevato come sussista sempre una coesistenza tra le due
normative.
Il MLBO si attua, infatti, attraverso l’acquisizione della società obiettivo; e già si è
esaminato cosa si intenda per l’accezione di controllo176. Quest’ultimo rileva anche
nell’ambito dei gruppi di imprese, anzi, rappresenta addirittura la condicio sine qua non
per la presunzione ex art. 2497-sexies.
Beninteso, anche nel caso di acquisizione a leva resta salva l’opponibilità della
prova contraria alla presunzione semplice in commento. Tuttavia, si profila alquanto
difficile dimostrare che in realtà la controllante non eserciti attività di direzione e
coordinamento su di una società con cui andrà a fondersi di lì a poco e con la quale, per
i principi fondanti dell’istituto stesso, condivide la medesima visione strategica, tanto da
far (esclusivo) affidamento sulla sua redditività, al momento di redigere il piano
industriale a sostegno dell’operazione.
Altri elementi di rilievo emergono a supporto della (necessaria) coesistenza tra le
due discipline.
Le acquisizioni a leva vedono coinvolte, oltre ai fondi di private equity, le società
obiettivo, con buone potenzialità di crescita e spesso non gestite professionalmente: esse
necessitano in particolar modo delle capacità gestionali ed imprenditoriali proprie dei
fondi di investimento, per compiere “un salto di qualità” nella propria produzione o, in
alternativa, per gestire il passaggio generazionale ed uscire dall’alveo della media
impresa a conduzione familiare. Come è stato attentamente osservato177, è quindi
“ragionevole concludere che il nuovo azionista di controllo eserciti la direzione e il
coordinamento di target, ad esempio, esprimendo la maggioranza dei componenti il
consiglio di amministrazione di target e designando un manager di sua fiducia per la
gestione operativa della medesima società”178. Indizio, quest’ultimo, dell’esercizio
dell’attività di eterodirezione, giustificato dalla volontà di rendere professionale la
conduzione della società obiettivo. Pertanto, risulta quasi impossibile fornire prova
contraria alla presunzione, sebbene iuris tantum, sancita dall’art. 2497-sexies.
176
V. par. 2.1.
177
Da A. GIARDINO, Normativa sulla direzione e sul coordinamento, cit. (nt. 2), 1106 ss..
178
A. GIARDINO, ibidem.
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Ne deriva che la disciplina esaminata sinora vale anche in tutti i casi in cui si
ponga in essere un’acquisizione mediante indebitamento: ad esercitare la direzione
unitaria è la raider o newco; ad essere eterodiretta la target.
La prima, importante conseguenza è rappresentata da un’ulteriore tutela per la
target nelle operazioni in commento. Infatti, gli amministratori della newco non devono
agire esclusivamente nell’interesse imprenditoriale di newco o dei soci di quest’ultima
e neppure violare i princìpi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale della
target. Ovviamente, come ricordato, non sarebbe accettabile riproporre, attraverso
questa via, la tesi delle «valide ragioni imprenditoriali» quali condizione di liceità del
MLBO, perché sarebbe contraria alla natura dell’istituto.
La disciplina sulla eterodirezione è, piuttosto, un rafforzamento di quelle best
practices di gestione aziendale che si sono ampiamente esaminate nelle pagine
precedenti e che vanno necessariamente adottate nel corso dell’operazione.
Inoltre, rappresenta un brusco arresto nei confronti di quelle fusioni a leva volte
esclusivamente ad estrarre valore dalla target, senza prender in considerazione obiettivi
di sviluppo anche per quest’ultima. La spoliazione predatoria, contraria ad ogni minima
norma di corretta conduzione societaria, farebbe sorgere la responsabilità degli
amministratori della newco, nei confronti dei soci di target, per il pregiudizio arrecato
alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei
creditori sociali, per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società.
Vero che il medesimo art. 2497 c.c. prevede che non insorga responsabilità,
qualora il danno risulti mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di
direzione e coordinamento, ovvero integralmente eliminato anche a seguito di
operazioni a ciò dirette. La preventiva escussione provocherebbe l’obbligo da parte
della target di rimborsare i suoi soci e creditori dell’avvenuta perdita. In questo caso
tale istituto si dimostra particolarmente rilevante, vista la scarsa capitalizzazione di
raider, che, probabilmente, non potrebbe far fronte ad esborsi di tal genere. Abbastanza
ovvia è l’ulteriore considerazione per cui, se i flussi di cassa della società operativa
finiscono per rimborsare i soggetti danneggiati, non potranno, al contempo, soddisfare
le esigenze della controllante di rimborsare il suo indebitamento. E’, in definitiva, un
notevole disincentivo a leveraged buyouts condotti in spregio alle regole di corretto
management aziendale.
Invece, il fatto che il danno risulti mancante alla luce del risultato complessivo
(nel nostro caso: la fusione) non esorta comunque alla depredazione della società target,
ma incentiva, piuttosto, al compimento di un’operazione che valorizzi l’entità postfusione, tanto nella componente più finanziaria (area of practice della ex-newco),
quanto in quella più operativa (area of practice della ex-target). Non a caso, un intento
tout court predatorio è stato considerato “estraneo alle operazioni in esame, poiché il
successo imprenditoriale della società risultante dalla fusione, con la relativa creazione
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di valore in un quadro di sostenibilità dell’indebitamento, rappresenta l’auspicabile fine
di ogni merger leveraged buy out”179.
Venendo ora alle disposizioni che più potrebbero rilevare con riferimento al
merger leveraged buyout, viene innanzitutto in considerazione l’art. 2497-ter c.c., che,
come visto, impone alcuni doveri di disclosure.
Questi ulteriori obblighi vanno ad affiancarsi a quanto previsto dall’art. 2501-bis
c.c., anzi, più correttamente, si pongono in un momento posteriore all’avvenuta
operazione di MLBO. Infatti, la norma prevede espressamente che le analitiche
motivazioni e le puntuali indicazioni delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha
inciso sulla decisione (assunta dalla controllata su influenza della holding) siano rese
conoscibili nella relazione sulla gestione ex art. 2428 c.c., che correda il bilancio di
esercizio.
Inoltre, non vi è perfetta coincidenza tra il contenuto di queste indicazioni e quello
delle relazioni imposte agli amministratori dall’art. 2501-bis c.c.. La differenza non
verte tanto sulle «ragioni» da individuare, quanto, piuttosto, sulle analitiche motivazioni
e sulle puntuali indicazioni da fornirsi, peraltro dell’interesse della controllata (target) al
compimento dell’operazione. Rectius, agli amministratori della società obiettivo “viene
chiesto, da un lato, di giustificare la decisione di fusione, che, però, […] trova
necessariamente la propria ragione nella dinamica dell’operazione nel suo complesso.
Dall’altro, si impone di sottolineare quale sia lo specifico interesse – con riferimento
alla specifica decisione – della società soggetta ad influenza determinante”180. Il dettato
normativo implica pertanto che gli amministratori debbano concentrarsi soltanto
sull’influenza apportata dall’operazione ex art. 2501-bis sul patrimonio della controllata
e sull’interesse particolare di quest’ultima all’avvenuta fusione. Solo per citare un
esempio, si potrebbe rinvenire l’interesse nella necessità di dotare la target di una
gestione manageriale più efficiente.
Un’altra norma che interessa da vicino il nostro istituto è costituita dall’art. 2497quater c.c., che disciplina il diritto di recesso concesso al socio (di minoranza).
Delle ipotesi individuate dalla norma, rileva particolarmente quella costituita dalla
lett. c) del primo comma, che conferisce ai soci il diritto di recedere all’inizio (o alla
fine) dell’attività di direzione e coordinamento, dalla quale derivi un’alterazione delle
condizioni di rischio dell'investimento. Il caso sembra attanagliarsi particolarmente bene
all’acquisizione a leva.
Infatti, al momento dell’acquisizione, come visto, la controllante inizierà anche ad
esercitare un’influenza dominante sulla scelte gestorie della controllata, con ciò
179
L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 513.
180
L. ARDIZZONE, ibidem.
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soddisfacendo il presupposto dell’inizio dell’attività di direzione e coordinamento (e
senza contare la presunzione di cui all’art. 2497-sexies c.c.).
Al contempo, a causa dei caratteri intrinseci del leveraged buyout, sembra essere
soddisfatto anche il secondo requisito, vale a dire quello dell’alterazione delle
condizioni di rischio dell’investimento. Si pensi al classico esempio di una target che
abbia attività comunque redditizie (anche se non esplicate al massimo della loro
potenzialità) e che, inoltre, disponga di un certo equilibrio patrimoniale: caratteristiche
che quasi sempre connotano le società obiettivo. Ebbene, la leva finanziaria scaturita
dall’acquisizione andrà ad incidere in maniera evidente su tale equilibrio, sbilanciando il
livello di rischiosità delle partecipazioni in quella società.
Questo rimedio, in dottrina annoverato tra quelli preventivi181, dimostra un
particolare grado di deterrenza verso gli amministratori che intendano compiere un
MLBO spoliativo, poiché comporta – proprio in coincidenza con il compiersi
dell’operazione – un ulteriore esborso da compiersi nei confronti dei soci di minoranza
in uscita. Si ricordi che la controllata non solo è fortemente indebitata, ma fa
affidamento (soltanto) sui cash flows della controllata per adempiere alle proprie
obbligazioni; i cash flows in questo caso, andrebbero invece a ‘coprire’ l’exit dei soci
receduti.
Inoltre, quanto ai criteri di determinazione del valore delle azioni in ipotesi di
recesso, la legge stabilisce che il loro valore di liquidazione sia determinato dagli
amministratori182, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue
prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato. Lo stesso è previsto
nell’ambito delle s.r.l., ove il rimborso delle quote è determinato tenendo conto del loro
valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso. Soltanto in caso di
disaccordo, la determinazione è compiuta tramite relazione giurata di un esperto
nominato dal Tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più
diligente183.
Dal recepimento del principio del fair value nel nostro ordinamento consegue che,
qualora i soci recedano ex art. 2497-quater c.c., il valore della loro partecipazione sarà
181
Cfr. L. ARDIZZONE, op. ult. cit., 521.
182
Sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei
conti. La norma in materia è l’art. 2437-ter c.c., come modificato dal d. lgs. 27 gennaio 2010, n.
39.
183
Tale è il dettato dell’art. 2473, terzo comma, c.c.. Anche nelle s.p.a. si procede, in caso di
disaccordo, alla valutazione di un esperto, nominato dal Tribunale. L’art. 2437-ter c.c. stabilisce
infatti che “in caso di contestazione da proporre contestualmente alla dichiarazione di recesso
il valore di liquidazione è determinato entro novanta giorni dall'esercizio del diritto di recesso
tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle spese,
su istanza della parte più diligente”.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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determinato a partire dal valore di mercato in quel momento manifestato. E, come
abitualmente avviene nelle acquisizioni e nelle quotazioni, tale valore di mercato sarà
particolarmente alto. Vi è infatti un’elevata domanda per quel bene (la società
operativa), ad un prezzo cospicuo, dato che “il metodo di valutazione aziendale più
diffuso nell’ambito del private equity è quello per multipli dell’enterprise value in
relazione al fatturato o al margine operativo lordo o al risultato operativo”184.
Un’ultima disposizione da prendere in considerazione, nell’analisi dei rapporti tra
disciplina sulla eterodirezione e quella sulla fusione mediante indebitamento, è
rappresentata dall’art. 2497-quinquies c.c.. Quest’ultimo, in merito ai finanziamenti
effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei
suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti, fa un rimando al disposto dell’art.
2467c.c.. Come noto, l’art. 2467 stabilisce che il rimborso dei finanziamenti dei soci a
favore della società sia postergato, rispetto alla soddisfazione degli altri creditori, e, se
avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, debba essere
restituito185.
E’ prassi abbastanza comune che la società raider annoveri nella sua compagine
sociale, oltre al fondo ed alle banche d’affari, anche altri soci, pure di provenienza dalla
target. In questo caso, l’operazione potrebbe anche essere strutturata ricorrendo, come
visto, alla costituzione di due nuove società: la vera e propria raider e una società
controllante della medesima, tra i cui soci figurano, appunto, i soci venditori. Quindi,
ricorrendo la direzione unitaria in capo alla holding di newco, si sostiene che “tutti i
finanziamenti [dei soci] a favore di newco e di target […], in qualsiasi forma effettuati,
siano destinati ad essere rimborsati successivamente agli altri creditori della
società”186.
Il problema, tuttavia, rileva in minima maniera per gli istituti di credito, i quali,
abitualmente, stipulano che il repayment plan sia postergato al rimborso degli altri
debiti, che siano verso i soci oppure di natura commerciale.
Il dispositivo dell’art. 2497-quinquies c.c. diventa invece molto più stringente
nell’ipotesi in cui l’attività di direzione e coordinamento sia esercitata dai soci venditori
e che, inoltre, questi ultimi concedano un finanziamento all’acquirente, sostituendo una
184
A. GIARDINO, op. ult. cit., 1107, nt. 10.
185
La definizione di finanziamento accolta dalla legge all’art. 2467 c.c. è piuttosto ampia, atteso
che “s’intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma
effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di
attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al
patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato
ragionevole un conferimento”.
186
A. GIARDINO, ibidem.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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STUDI E OPINIONI
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parte del prezzo pattuito con la cessione di partecipazioni della società acquisita (il c.d.
meccanismo del vendor note). A questo proposito, “il pagamento di tale finanziamento
sarebbe postergato rispetto al rimborso del finanziamento contratto con le banche per
l’acquisizione di target, quand’anche le parti (acquirente e venditori) avessero
convenuto termini differenti di rimborso”; con la conseguenza che “di ciò non potrà non
tenersi conto nella fase di negoziazione degli accordi contrattuali relativi
all’acquisizione di target e soprattutto degli accordi di finanziamento con le banche”187.
187
A. GIARDINO, op. ult. cit., 1108.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
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COMMENTI A SENTENZE
I CRITERI STATUTARI DI
LIQUIDAZIONE DELLE AZIONI E IL
PRINCIPIO
DEL C.D. “GOING CONCERN”.
(CASS. CIV., 15 LUGLIO 2014, N. 16168)
La Corte di Cassazione nel valutare gli aspetti liquidatori nell’ambito di due
clausole di prelazione, da un lato, dichiara legittimo il rinvio al principio della
continuità aziendale, c.d. “going concern”, dall’altro lato, conferma la nullità della
clausola che faccia esclusivo riferimento al criterio del “giusto prezzo”.
di ELENA FREGONARA
Il provvedimento della Suprema Corte offre l’occasione per affrontare due
differenti profili in tema di determinazione statutaria del valore di liquidazione delle
azioni, nel caso di specie emergenti da due clausole di prelazione, sui quali non si
rinvengono precedenti1.
1
Sul tema in generale v. VENTORUZZO, I criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso
del socio, in Riv. soc., 2005, 309; IOVENITTI, Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi, in
Riv. soc., 2005, 518; CAGNASSO, Le modifiche statutarie e il diritto di recesso, in Le società per
azioni, volume quarto, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Gastone Cottino, Padova,
2010, 965; DACCÒ, Il recesso nelle s.p.a., in Le nuove s.p.a., a cura di O. Cagnasso e L.
Panzani, bologna, 2010, 1441; CALANDRA BUONAURA, Il recesso del socio di società di
capitali, in Giur. comm., 2005, I, 291; DI CATALDO, Il recesso del socio di società per azioni, in
Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso diretto da P.
Abbadessa e G.B. Portale, 3, Torino, 2007, 219; BERGAMO, Il diritto di recesso nella riforma
del diritto societario, in Giur. It., 2006, 1098; CALLEGARI, Commento all’art. 3437 ter, in G.
Cottino-G. Bonfante-O. Cagnasso-P. Montalenti (diretto da), Il nuovo diritto societario,
Bologna, 2004, 1420; GALLETTI, Commento all’art. 2437 ter, in Il nuovo diritto delle società,
commentario a cura di Maffei Alberti, II, Padova, 2005, 1567; PACIELLO, Commento all’art.
2437 ter, in G. Niccolini-A. Stagno D’alcontres (a cura di), Società di capitali. Commentario, II,
Napoli, 2004, 1125; CARMIGNANI, Commento all’art. 2437 ter, in M. Sandulli-V. Santoro (a
cura di), La riforma delle società, Torino, 2003, 890. In giurisprudenza, in generale
sull’interpretazione di alcuni profili dell’art. 2437 ter cod. civ. Cfr. Trib. Roma, 5 marzo 2013,
in Corr. giur., 2013, 1396.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
118
COMMENTI A SENTENZE
CRITERI
DI VALUTAZIONE DELLE AZIONI
Come noto l’art. 2355 bis, secondo comma, cod. civ., applicabile a tutti i limiti
statutari alla circolazione delle azioni, rimanda per la valutazione della quota di
liquidazione delle azioni all’art. 2437 ter cod. civ.2. È, dunque, sull’interpretazione delle
previsioni contenute in questa norma che occorre soffermarsi: si tratta di metodi di
valutazione che mirano a far emergere un valore effettivo delle azioni in sede di
rimborso, tuttavia non senza una fisiologica discrezionalità nell’applicazione pratica.
In particolare, la prima clausola prevedeva la prelazione in favore dei soci
superstiti nel trasferimento mortis causa delle azioni del socio deceduto, stabilendo
espressamente: «il prezzo delle azioni verrà determinato, (…), sulla base della
consistenza patrimoniale valutata tenuto conto dell’utilizzo dei cespiti nella prospettiva
della conservazione della continuità aziendale, delle prospettive reddituali della
società, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni».
La clausola riproduce il contenuto del secondo comma dell’art. 2437 ter cod.
civ. introducendo un’ulteriore indicazione: la consistenza patrimoniale deve essere
valutata alla luce del principio del c.d. going concern.
Sul punto la Corte, partendo dal presupposto che il criterio della continuità
aziendale risulta giuridicamente qualificato3, si pone un quesito di diritto, rimasto senza
risposta nei gradi di giudizio precedenti, e in particolare si interroga sul fatto «se sia o
non consentito prevedere statutariamente che la consistenza patrimoniale, alla quale fa
riferimento l'art. 2437 ter, comma 2, ai fini della liquidazione della partecipazione in
caso di recesso (ma anche, in virtù del richiamo operato dall'art. 2355 bis, comma 3, in
caso di prelazione nella circolazione mortis causa), venga valutata secondo il criterio
che tiene conto dell'utilizzo dei cespiti nella prospettiva della continuità aziendale
(going concern)». A questa domanda il Collegio ritiene di rispondere in modo
affermativo giacché la clausola statutaria in esame non viola il contenuto precettivo
della norma imperativa di cui all'art. 2437 ter cod. civ. riguardante il criterio di
determinazione del valore di liquidazione della partecipazione azionaria. In tale
prospettiva la Corte osserva che «deve innanzitutto considerarsi come nella valutazione
ai fini indicati della consistenza patrimoniale - alla quale fa riferimento la norma di
legge richiamata - sia possibile, secondo la dottrina, adottare diversi metodi,
2
Sul rapporto tra le due norme v. ABRIANI, Le azioni e gli altri strumenti finanziari, in Le
società per azioni, volume quarto, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Gastone
Cottino, Padova, 2010, 383, secondo cui il rinvio al valore di acquisto delle azioni nell’ambito
di una clausola di prelazione non può in ogni caso essere inferiore a quello desumibile
dall’applicazione dell’art. 2437 ter cod. civ.; VENTORUZZO, op. cit., 431, secondo cui l’art. 2355
bis, secondo comma, cod. civ. Crea un peculiare problema di coordinamento, non essendo
chiaro se il rinvio debba essere inteso in ogni caso ai criteri legali di valutazione delle azioni,
ovvero se, qualora lo statuto abbia previsto criteri alternativi, si debbano applicare questi ultimi
3
Il collegio rinvia all’art. 2423 bis, n. 1, cod. civ.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
119
COMMENTI A SENTENZE
CRITERI
DI VALUTAZIONE DELLE AZIONI
nell'ambito di una discrezionalità tecnica i cui limiti vanno individuati - in
correlazione con la ratio della norma stessa, quella cioè di impedire che la possibilità
di exit del socio sia penalizzata - nell'esigenza di non discostarsi, nel risultato finale,
dal presumibile valore di mercato delle azioni. Considerato dunque che lo stesso
elemento indicato dalla norma di legge - la consistenza patrimoniale - si presta alla
applicazione di una pluralità di criteri di valutazione, è cioè dotato di una certa
elasticità, la specificazione, con la clausola statutaria in esame, del criterio di
valutazione basato sulla prospettiva della continuità aziendale non può ritenersi in
contrasto con la norma stessa per il solo fatto che questa non richiama tale criterio».
La previsione in effetti pare coerente, da un lato, con il sistema che emerge dalla
norma in commento non più penalizzante ma anzi incentivante per il socio uscente,
dall’altro lato, con l’obiettivo, che si era prefissato il legislatore della riforma, di trovare
un punto di incontro tra le aspettative del socio e della società che risultano
tradizionalmente contrastanti: in quest’ottica, si è infatti osservato che per consentire al
socio recedente di realizzare il miglior rimborso, riducendo al minimo il
depauperamento del patrimonio sociale, è ragionevole ritenere che il valore di
quest’ultimo debba essere calcolato nella prospettiva della continuazione aziendale 4.
La rettifica in via statutaria degli elastici criteri legali di cui al secondo comma
dell’art. 2437 ter cod. civ. sembra in ogni caso opportuna anche al fine di delimitare lo
spazio di discrezionalità degli amministratori5. Si è rilevato al proposito che l’elemento
della “consistenza patrimoniale” rappresenta una rivalutazione a valori correnti di
singole attività e passività senza vincoli con i dati contabili del bilancio di esercizio e
può essere relativizzato rispetto ai fini perseguiti6: seppure pare implicita nel riferimento
ai valori correnti una valutazione nella prospettiva della continuità aziendale, nel caso
di specie si è precisato che il patrimonio deve essere stimato a valori di funzionamento e
continuità, anziché in un’ottica di dismissione dei cespiti aziendali. Tale prospettiva è
parsa alla Corte coerente con la condizione dei beni organizzati in azienda «il cui valore
complessivo fino a che continua l’attività d’impresa, non si risolve nella somma del
valore statico dei singoli, essendo invece inevitabilmente influenzato dalla prospettiva
della continuazione dell’attività». In altri termini, prosegue la Corte, «l'applicazione di
tale criterio comporta (…) l'individuazione del valore dei beni aziendali in funzione
dell'attività svolta e della rappresentazione complessiva del capitale di funzionamento
dell'impresa, anziché in una prospettiva liquidatoria che consideri quei beni
isolatamente, a prezzo di dismissione». Seppure è vero che il socio che esce dalla
società (ovvero che soggiace all'esercizio del diritto di prelazione degli altri soci in caso
4
BERGAMO, op. cit., 1108.
5
DACCÒ, op. cit., 1444; CALLEGARI, op. cit., 1425.
6
GALLETTI, op. cit., 1580.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
120
COMMENTI A SENTENZE
CRITERI
DI VALUTAZIONE DELLE AZIONI
di trasferimento mortis causa) si pone non già nella prospettiva della continuazione
della società bensì in quella liquidatoria della sua partecipazione: «ciò non toglie che il
valore commerciale delle sue azioni, oggetto di liquidazione, finché dura la società
dipende normalmente anch'esso dalla prospettiva di tale continuazione, o almeno ne è
influenzato, e non si risolve nella somma del valore statico dei singoli beni dai quali è
composto il patrimonio sociale».
La seconda clausola sottoposta al vaglio della cassazione prevedeva che nella
circolazione inter vivos delle azioni il prelazionario avrebbe dovuto corrispondere il
«giusto prezzo».
Come noto, il quarto comma dell’art. 2437 ter cod. civ. lascia ampia autonomia
ai soci nel disporre per statuto il ricorso alla redazione di una situazione patrimoniale
“straordinaria” in cui possano essere rettificati determinati elementi dell’attivo e del
passivo del bilancio d’esercizio, ovvero vengano presi in considerazione altri
componenti suscettibili di valutazione patrimoniale: dalla lettura del dato normativo si
desume che il secondo comma individua unicamente dei criteri dispositivi.
La predisposizione di metodi statutari affatto diversi da quelli legali pare,
dunque, legittima, tuttavia, lo statuto deve indicare, con un certo grado di specificità, i
parametri da tenere in considerazione nella stima. Si è inoltre osservato che le
precisazioni statutarie dovrebbero consentire di pervenire più agevolmente ad una
migliore acquisizione del valore reale delle azioni e, in questo senso, non dovrebbero
penalizzare il socio uscente con un valutazione inferiore a quella che risulterebbe
applicando la regola di default7.
In ogni caso, la fantasia degli operatori pare circoscritta dall’esigenza di
specificare i criteri in una prospettiva di ragionevolezza economica8.
Alla luce del quadro normativo ed interpretativo di riferimento, pare
condivisibile la decisione della Corte che ha confermato la nullità della clausola di
prelazione che introduceva un parametro «vago ed arbitrario», non conforme né ai
criteri legali né al livello di specificità richiesto per la previsione statutaria: «quanto alla
violazione dell'art. 2437 ter, comma 2 (richiamato dall'art. 2355 bis, comma 2), la
non specificamente censurata applicazione nella specie dei criteri di liquidazione della
partecipazione previsti da tale disposizione normativa (…) non consente di ritenere
conforme a tali criteri - ben più stringenti del semplice riferimento al "giusto prezzo" 7
CAGNASSO, op. cit., 967; DACCÒ, op.cit., 1446; PACIELLO, op. cit., 1125; DI CATALDO, op.
cit., 237. Contra CARMIGNANI, op. cit., 890. Per una posizione intermedia v. CALANDRA
BUONAURA, op. cit., 314, secondo cui i criteri legali possono essere derogati, nelle ipotesi di
recesso disponibili e convenzionali, anche a sfavore del socio uscente. Ma v. VENTORUZZO, op.
cit., 417, secondo cui spesso non è possibile stabilire a priori se un criterio porterà ad un
risultato migliore o peggiore per il socio
8
VENTORUZZO, op. cit., 420.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
121
COMMENTI A SENTENZE
CRITERI
DI VALUTAZIONE DELLE AZIONI
la clausola in esame, che per l'appunto nessun riferimento specifico contiene agli
elementi indicati dall'art. 2437 ter, comma 2, (…), vero è che, a norma del comma 4, di
tale articolo, lo statuto può stabilire criteri diversi di determinazione del valore di
liquidazione delle azioni, ma l'esercizio legittimo di tale facoltà comporta un livello di
specificità nella previsione statutaria che nella specie evidentemente fa difetto».
Il tema offre l’occasione per ricordare al lettore che la recentissima l. 11 agosto
2014, n. 116 è intervenuta sull’articolo in commento prevedendo che anche le società
quotate in mercati regolamentati possano ora, attraverso apposita previsione statutaria,
determinare il valore di liquidazione delle azioni secondo i criteri indicati nei commi
secondo e quarto; tuttavia la nuova previsione fa salvo il fatto che questo valore non
potrà essere mai inferiore a quello legale derivante dalla media aritmetica dei prezzi di
chiusura nei sei mesi che precedono la pubblicazione ovvero ricezione dell’avviso di
convocazione dell’assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso. Quest’ultima
significativa precisazione, potrebbe forse comportare delle ricadute sistematiche, in
particolare fornendo un nuovo elemento agli interpreti per risolvere la querelle relativa
al rapporto tra il secondo ed il quarto comma con riferimento alle società non quotate. In
questo senso si prospettano due scenari: da un lato, l’innesto nel sistema di un rigido e
invalicabile limite rappresentato dal valore legato ai criteri legali potrebbe confermare
l’orientamento maggioritario della dottrina, che, nell’ambito delle società non quotate,
ha individuato nel secondo comma la garanzia minima per il socio uscente; dall’altro,
l’espressa segnalazione per le società quotate e il silenzio per le altre potrebbe
liberalizzare la valutazione statutaria alla luce del noto brocardo latino “ubi lex voluit
dixit, ubi noluit tacuit”.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
122
SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
SEGNALAZIONI DI
DIRITTO COMMERCIALE
NORMATIVA
Violazioni in materia antitrust – Sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 5
dicembre 2014, n. L 349, è stata pubblicata la Direttiva 2014/104/UE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 26 novembre 2014, recante “determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni
delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea”.
Tra gli altri profili, la Direttiva coordina a livello europeo i due canali di applicazione
della disciplina a tutela della concorrenza, “per garantire un’efficace applicazione a livello privatistico a norma del diritto civile e un’efficace applicazione a livello pubblicistico da parte delle autorità garanti della concorrenza” (così il sesto considerando).
Il suo recepimento negli ordinamenti nazionali è previsto entro il 27 dicembre 2016.
Tasso di interesse legale – Il D.M. 11 dicembre 2014, pubblicato in Gazzetta Ufficiale
del 15 dicembre 2014, n. 290, ha modificato il saggio di interesse legale, di cui all’art.
1284 c.c., fissandolo allo 0,5% annuo a decorrere dal 1° gennaio 2015.
Legge di stabilità – La L. 23 dicembre 2014, n. 190, contenente Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, è stata pubblicata in Gazzetta
Ufficiale, 29 dicembre 2014, n. 300, con entrata in vigore il 1° gennaio 2015.
INDICAZIONI INTERPRETATIVE E APPLICATIVE
ASSIREVI
Procedure di richiesta di conferme esterne – L’Assirevi ha reso noto il Documento di
ricerca n. 187, nel quale sono forniti chiarimenti sulla possibilità di utilizzare la posta
elettronica certificata nelle procedure di circolarizzazione di soggetti terzi da parte del
soggetto incaricato della revisione, trattandosi di uno “strumento idoneo a soddisfare
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
123
SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
quanto previsto dai principi di revisione di riferimento”, ovverosia, il principio di revisione internazionale ISA 505, ed il suo corrispondente a livello nazionale (PR 505), entrambi dedicati a “Le conferme esterne”.
Il Documento n. 187, diffuso nel mese di novembre 2014, è reperibile sul sito
www.assirevi.it.
ASSONIME - EMITTENTE TITOLI S.P.A.
Indagine sui sistemi di corporate governance – L’Assonime ed Emittente Titoli s.p.a.
hanno divulgato il documento Note e Studi n. 10/2014, concernente i risultati
dell’indagine condotta sui sistemi di corporate governance delle società quotate italiane, in cui sono state analizzate le informazioni sull’applicazione del Codice di autodisciplina presenti nelle relazioni sul governo societario redatte dagli organi amministrativi. Nella parte monografica del rapporto sono stati approfonditi sia il tema della remunerazione di amministratori e sindaci sia l’applicazione del principio cd. comply or explain.
Il testo di Note e Studi n. 10/2014 del 3 dicembre 2014 è integralmente disponibile sul
sito dell’Assonime: www.assonime.it.
BORSA ITALIANA
Corporate governance – Il Comitato per la corporate governance ha diffuso la relazione annuale sull’attività svolta nel corso del 2014, nella quale è stato incluso il secondo
Rapporto del Comitato sull’applicazione del Codice di autodisciplina. La sezione monografica di quest’ultimo esamina il principio comply or explain, “attraverso l’analisi
della qualità delle spiegazioni fornite dalle società quotate italiane in caso di disapplicazione di singole raccomandazioni del Codice”.
Il documento è consultabile sul sito www.borsaitaliana.it.
CNDCEC
Norme di comportamento – Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli
esperti contabili ha avviato una pubblica consultazione sul testo delle novelle Norme di
comportamento per i sindaci di società quotate, aggiornate “alla luce del rinnovato
quadro normativo”.
Il documento, in consultazione dal 29 dicembre 2014 al 15 febbraio 2015, è reperibile
sul sito ufficiale del Cndcec, www.commercialisti.it.
CONSOB
Rapporto sulla corporate governance – La Consob ha reso noto il terzo Rapporto sulla
corporate governance delle società quotate italiane, nel quale sono analizzati, tra i diversi profili, gli assetti proprietari e le strutture di controllo, la composizione degli orgaIL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
124
SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
ni amministrativi, la partecipazione alle assemblee societarie ed i rapporti con le parti
correlate.
Il documento, pubblicato il 17 dicembre 2014, è disponibile sul sito www.consob.it.
Regolamento emittenti – La Consob, all’esito della pubblica consultazione avviata in
data 5 novembre 2014 (vds. segnalazioni di diritto commerciale pubblicate sul n.
21/2014 di questa Rivista), ha apportato alcune modifiche al Regolamento emittenti, al
fine di recepire le innovazioni introdotte nel T.U.F. dal D.L. 24 giugno 2014, n. 91,
convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, in particolare per quanto
concerne le azioni a voto multiplo, nonché le disposizioni in materia di OPA obbligatoria e di assetti proprietari.
La delibera Consob del 19 dicembre 2014, n. 19084 – consultabile sul sito
www.consob.it – è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre 2014, n. 302,
con entrata in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione.
FONDAZIONE NAZIONALE DEI COMMERCIALISTI
Rinunzia del sindaco – La Fondazione nazionale dei commercialisti – che ha sostituito
l’Istituto di ricerca dei dottori commercialisti e degli esperti contabili (Irdcec) – ha divulgato un documento sulla decorrenza delle “dimissioni” del sindaco: un profilo, questo, sul quale si riscontrano numerose incertezze interpretative e contrastanti soluzioni
operative (vds. infra la decisione del Tribunale di Catania del 13 novembre 2014).
Oltre ad esaminare le caratteristiche della dichiarazione di rinuncia, l’approfondimento
si sofferma su “alcuni comportamenti prudenziali da adottare in occasione della rinuncia”, nonché sui rimedi previsti dall’ordinamento per evitare “la sopravvivenza di una
società priva di un sindaco (o di tutti i sindaci)”.
Il Documento, pubblicato il 1° dicembre 2014, è reperibile sul sito
www.fondazionenazionalecommercialisti.it.
Trasferimento di aziende insolventi – La Fondazione nazionale dei commercialisti ha
reso noto un documento dal titolo “Politiche attive del lavoro e trasferimento di aziende
insolventi: de iure condendo”, in cui sono illustrate le disposizioni lavoristiche dettate,
per le imprese decotte, dall’art. 47, commi 4 bis e 5, della L. 29 dicembre 1990, n. 428.
Il Documento, diffuso il 19 dicembre 2014, è disponibile sul sito
www.fondazionenazionalecommercialisti.it.
INTERNATIONAL ACCOUNTING STANDARDS BOARD
Modifiche al principio contabile internazionale IFRS 2 – L’International Accounting
Standards Board (IASB) ha diffuso un Exposure Draft concernente le possibili modifiche da apportare al principio IFRS 2 – il quale regola i Pagamenti basati su azioni – deIL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
125
SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
stinate ad incidere principalmente sulla loro classificazione e contabilizzazione in particolari situazioni.
Il testo dell’Exposure Draft n. ED/2014/5, in consultazione sino al 25 marzo 2015, è reperibile
al
link
http://www.ifrs.org/Current-Projects/IASB-Projects/IFRS-2Clarifications-Classification-and-Measurement/ED-November-2014/Documents/EDProposed-Amendments-IFRS-2-November-2014.pdf.
IASB - OIC
Principio contabile internazionale IAS 8 – L’International Accounting Standards
Board, in collaborazione con l’Organismo italiano di contabilità, ha avviato due distinti
sondaggi relativi al principio IAS 8 – dedicato a Principi contabili, cambiamenti nelle
stime contabili ed errori – nell’ambito del progetto di incorporazione del principio in un
unico standard, unitamente ai principi IAS 1 (Presentazione del bilancio) e IAS 7 (Rendiconto finanziario).
Il primo sondaggio, aperto sino al 15 febbraio 2015, si pone nella prospettiva dei fruitori
del bilancio – in particolare gli investitori e gli analisti– esaminando le informazioni
contabili richieste in caso di accounting changes e le correlate modalità di presentazione
di tale informativa.
Il secondo, il cui termine è fissato al 20 febbraio 2015, è destinato ai redattori del bilancio ed affronta l’applicazione pratica del principio IAS 8 ed un possibile approccio alternativo.
Entrambi i sondaggi sono disponibili sul sito www.fondazioneoic.eu.
GIURISPRUDENZA
Prorogatio dell’incarico dei sindaci rinunciatari – Intervenendo su una questione, allo
stato, ancora oggetto di dibattito, il Tribunale di Catania ha affermato che, “anche dopo
le modifiche introdotte agli artt. 2400 e 2401 c.c. dalla riforma del diritto societario”,
per i sindaci che abbiano rassegnato le proprie dimissioni vige “la proroga dell’incarico
fino a quando gli stessi non possano essere sostituiti”, in quanto non è tollerabile
“l’interruzione del funzionamento dell’organo di controllo al quale è demandato, tra
l’altro, il potere di convocazione dell’assemblea” ai sensi dell’art. 2406, 1° co., c.c.,
nonché quello di “chiedere al tribunale la riduzione del capitale sociale obbligatoria,
ove l’assemblea non vi provveda e gli amministratori restino inerti, nelle ipotesi previste dagli artt. 2357, 4° co., 2359 ter, 2° co. e 2446, 2° co. c.c.”.
Inoltre, per i Giudici, la rinuncia del sindaco, “per esser efficace, deve in primo luogo
giungere a conoscenza dell’ente con cui il sindaco intrattiene il rapporto”, nonché, al
fine di garantire la continuità di funzionamento dell’organo di controllo, “del sindaco
supplente, atteso che soltanto in tale momento quest’ultimo subentra al dimissionario”.
L’ordinanza del Tribunale di Catania del 13 novembre 2014 è consultabile sul sito
www.ilcaso.it.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
126
SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
Compiti del perito attestatore del piano concordatario – Il Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Firenze – chiamato a pronunciarsi sulla sussistenza, nel caso concreto, del novello reato di cui all’art. 236 bis L.F. – ha precisato che il perito attestatore del piano concordatario deve verificare che “esso soddisfi le sue finalità, senza
entrare nel merito delle scelte imprenditoriali che hanno originato i dati, senza ricercare eventi, comportamenti o situazioni suscettibili di evidenziare responsabilità a carico
di qualcuno o provocare la mancata ammissione della proposta, essendo l’attestatore
neutro rispetto alle vicende societarie”. Egli, conclude il Giudice, non deve pertanto “esprimersi sulla liceità delle operazioni” proposte.
Il provvedimento del Tribunale di Firenze del 25 novembre 2014 è reperibile sul sito
www.ilcaso.it.
Termine di prescrizione e azione di responsabilità – La sospensione del decorso della
prescrizione di cui all’art. 2941, n. 7, c.c., si applica – per il Tribunale di Milano – “anche nel caso di azione di responsabilità sociale svolta ex art. 2476, 3° co., c.c., dal socio di s.r.l., quale legittimato straordinario ex art. 81 c.p.c.”, in quanto si tratta di
un’azione promossa “nell’interesse dell’ente e come tale regolata anche quanto al regime della prescrizione”.
La sentenza del Tribunale di Milano del 26 novembre 2014 è disponibile sul sito
www.giurisprudenzadelleimprese.it.
Delibera negativa ed effetti dell’annullamento – Il Tribunale di Milano ha stabilito
che “la delibera negativa è da ritenere senz’altro una delibera assunta dall’assemblea,
come tale imputabile alla società, e dunque suscettibile di essere impugnata come quelle positive nelle forme e nei limiti di cui all’art. 2377 c.c.”.
L’annullamento di una delibera negativa – come chiarito dal Tribunale – “non fornisce
tutela alcuna all’impugnante od alla società dei cui diritti fosse riconosciuta la lesione,
né costituisce rimedio sinanco logicamente congruo alla riconosciuta illegittimità della
delibera, poiché è inane […] togliere effetto (id est: annullare) ad una delibera che, per
sua natura, non l’ha”. Di conseguenza, il giudice è tenuto a “ripercorrere il procedimento deliberativo, applicando le norme di legge, dunque giungendo all’eliminazione
dei voti che, non potendo per legge essere espressi, non potevano essere conteggiati nel
quorum assembleare – vuoi, tra le altre ipotesi, per mancata legittimazione al voto, vizio di delega o per conflitto di interessi – registrando il risultato deliberativo che vi è
stato e che illegittimamente non è stato proclamato”.
L’ordinanza del Tribunale di Milano del 28 novembre 2014 è consultabile sul sito
www.giurisprudenzadelleimprese.it.
Impugnazione del decreto di omologazione del concordato preventivo – La Corte di
Appello di Venezia ha statuito che “il termine di trenta giorni per l’impugnazione ex
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
127
SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
art. 183 L.F. del decreto del tribunale sull’omologazione del concordato preventivo”
decorre, “nei confronti dei soggetti diversi dal debitore, dall’iscrizione nel Registro delle imprese” del suddetto provvedimento.
Il decreto della Corte di Appello di Venezia del 2 dicembre 2014 è reperibile sul sito
www.ilcaso.it.
Bancarotta fraudolenta per distrazione in una s.a.s. – Per la Corte di Cassazione
“l’eventuale trasformazione meramente formale di una società in accomandita semplice” in un’impresa individuale, non assegnata all’accomandatario, “non esclude di per sé
la responsabilità per i reati fallimentari ed, in particolare, per il reato di bancarotta
fraudolenta patrimoniale per distrazione, dovendosi avere riguardo solo alla circostanza se gli atti di distrazione precedenti e/o successivi alla trasformazione siano stati
commessi dall’imputato o con il suo concorso”. Inoltre, “la qualità di socio accomandante non è di per sé incompatibile con la responsabilità in tema di reati fallimentari”.
Cassazione penale, 24 novembre 2014, n. 48679.
Termine di prescrizione della bancarotta fraudolenta preferenziale – Il Supremo
Collegio, confermando il più recente orientamento della Corte di legittimità (così Cass.
pen. 9.1.2014, n. 592; contra Cass. pen. 19.5.2009, n. 37428), ha deciso che, “anche in
caso di bancarotta preferenziale, il termine di prescrizione decorre dal momento della
sentenza dichiarativa di fallimento” e non da quello in cui sono stati effettuati i pagamenti contestati. E ciò in quanto “l’espresso riferimento del 3° co. dell’art. 216 L.F. alla condizione di fallito dell’imprenditore che esegue i pagamenti e, comunque, per
quanto riguarda i fatti posti in essere dai soggetti di cui al 1° co. dell’art. 223 L.F., al
fallimento delle società interessate, vale, pur nella diversità delle fattispecie incriminatrici, ad assegnare alla dichiarazione di fallimento lo stesso significato giuridico che
ricopre nelle altre ipotesi di bancarotta fraudolenta e, in conseguenza, il medesimo rilievo quanto al decorso del termine prescrizionale”.
Cassazione penale, 24 novembre 2014, n. 48739.
Cancellazione della società – La Suprema Corte si è recentemente espressa sulle conseguenze processuali della cancellazione di una società dal Registro delle imprese.
Con la prima pronuncia, la Cassazione ha confermato che l’impugnazione della sentenza di primo grado, “successiva al verificarsi della cancellazione” di una società di persone, “deve essere proposta oppure indirizzata alla giusta parte, ossia ai soci”, e non
promossa, come accaduto nel caso di specie, dalla società ormai estinta. Sicché, “si è in
presenza di un giudizio (o grado di giudizio) che, per l’inesistenza di uno dei soggetti
del rapporto processuale che si vorrebbe instaurare, si rivela strutturalmente inidoneo
a realizzare il proprio scopo. Di qui l’inammissibilità dell’atto che lo promuove”.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
128
SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
Con la seconda decisione, la Corte ha ribadito che, qualora una società sia cancellata dal
Registro delle imprese nel corso di un giudizio di secondo grado, “l’incidenza sul processo degli eventi previsti nell’art. 299 c.p.c. (morte o perdita di capacità della parte) è
disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo di difensore, dalla regola
dell’ultrattività del mandato alla lite, in ragione della quale, nel caso in cui l’evento
non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c. – situazione, questa, verificatasi nella vicenda posta al vaglio della Corte – il difensore continua a
rappresentare la parte come se l’evento non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva dei rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e
riattivazione dei rapporto a seguito della proposizione dell’impugnazione”.
Cassazione, ordinanza, 28 novembre 2014, n. 25275.
Cassazione, 17 dicembre 2014, n. 26495.
Criteri per distinguere i finanziamenti dai versamenti in conto capitale – La Suprema Corte, nel solco di un orientamento consolidato, ha affermato che “stabilire se un
determinato versamento tragga origine da un mutuo o se invece sia stato effettuato quale apporto del socio al patrimonio della società è questione di interpretazione della volontà negoziale delle parti, dovendo trarsi la relativa prova, di cui è onerato il socio interessato, non tanto dalla denominazione dell’erogazione contenuta nelle scritture contabili della società, quanto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle
finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi”; una
valutazione, questa che compete al giudice di merito, non censurabile in Cassazione
salvo che “per violazione delle regole giuridiche da applicare nell’interpretazione della
volontà delle parti o per eventuali carenze o vizi logici della motivazione che
quell’accertamento sorregga”.
Nel caso di specie, sono stati riscontrati alcuni elementi – ritenuti univoci e convergenti
dai Giudici di prime e seconde cure – che dimostravano la natura di finanziamento degli
apporti dei soci: “la qualificazione dei pregressi finanziamenti come «debiti della società nei confronti dei soci»; la richiesta ai soci di «ulteriori versamenti in conto finanziamento»; il loro inserimento nella voce «debiti verso altri finanziatori» nello stato patrimoniale del bilancio; l’analoga dizione usata nella successiva situazione contabile;
le valutazioni espresse dall’ispettore giudiziario”.
Cassazione, 3 dicembre 2014, n. 25585.
Bancarotta fraudolenta per distrazione e attività restitutoria – Ai fini
dell’esclusione della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per la
Corte di Cassazione occorre valutare l’attività restitutoria realizzata dall’amministratore
– nel caso di specie ritenuta irrilevante dalla Corte di Appello di Firenze – allorquando
“la contestata sottrazione dei beni venga annullata da una condotta di segno contrario,
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
129
SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della dichiarazione di fallimento ed impedisca l’insorgenza di alcun effettivo pregiudizio per i creditori”.
Cassazione penale, 4 dicembre 2014, n. 50979.
Omessa restituzione di indebito compenso del professionista – La Corte di Cassazione ha stabilito che integra il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento
del giudice, punito dall’art. 388 c.p., il professionista che, condannato in sede civile a
restituire un compenso indebitamente riscosso, abbia, nelle more del giudizio, “compiuto manovre fraudolente sui propri beni, al fine di sottrarli all’esecuzione forzata di una
eventuale sentenza di condanna”, e, successivamente, disatteso un’intimazione ad adempiere sì informale, ma a lui direttamente rivolta, “inequivoca e sicuramente collegata al provvedimento da eseguire”.
Cassazione penale, 10 dicembre 2014, n. 51218.
Fallimento di una società di fatto – La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Bari con ordinanza
del 20 novembre 2013 in relazione al 5° co. dell’art. 147 L.F., “nella parte in cui non
consente l’estensione del fallimento originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali ad una società di fatto costituita tra la società originariamente fallita e
altri soci di fatto” (vds. segnalazioni di diritto commerciale pubblicate sul n. 1/2014 di
questa Rivista).
Le motivazioni sottese alla decisione della Corte consistono nella mancanza di argomentazioni, da parte del Tribunale remittente, sulla “sussistenza delle condizioni per
l’eventuale applicazione dell’art. 147, 5° co., L.F., alla fattispecie concreta all’esame
del giudice a quo”, ovverosia, da un lato, sulle “conseguenze del mancato rispetto degli
adempimenti previsti dall’art. 2361, 2° co., c.c.”, in particolare nel caso di specie in cui
la società partecipante è una s.r.l., non avendo chiarito se “l’assunzione di partecipazioni in società di persone sia comunque efficace, rilevando eventualmente solo sul piano
interno alla società ai fini della configurabilità di una responsabilità degli amministratori, ovvero se tale mancanza precluda la stessa possibilità per una società per azioni di
partecipare ad una società di fatto”. Dall’altro lato, il Tribunale di Bari non ha motivato
“la sussistenza nella fattispecie al suo esame di una società di fatto di cui fosse socia la
società dichiarata fallita”, omettendo di riscontrare l’esistenza di un’affectio societatis
desumibile dagli indici rivelatori individuati dal curatore della fallita, nonché di “verificare se l’attività imprenditoriale svolta dalla società dichiarata fallita fosse riferibile
alla società di fatto eventualmente ritenuta esistente”.
Corte Costituzionale, 12 dicembre 2014, n. 276.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
130
SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
SEGNALAZIONI DI DIRITTO
TRIBUTARIO
NORMATIVA
Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata
Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.Lgs. n. 175/2014, entrano in vigore le
semplificazioni fiscali previste in attuazione della legge delega: dalla dichiarazione dei
redditi precompilata alle spese di vitto e alloggio dei professionisti, dall’esecuzione dei
rimborsi IVA alle società in perdita sistematica all’abrogazione della responsabilità
solidale negli appalti per le ritenute fiscali, in sintesi tutte le novità per imprese e
contribuenti.
(D. lgs. 21 novembre 2014, n. 175, GU Serie Generale N.277 del 28-11-2014)
Voluntary disclosure
Via libera definitivo del Senato al disegno di legge sulla voluntary disclosure e
sull'autoriciclaggio. Confermato il contenuto del testo, che non ha subito modifiche
rispetto a quello approvato dalla Camera lo scorso 16 ottobre. Rimangono tuttavia dei
profili di problematicità relativi agli aspetti penali e tributari della normativa che
potranno essere discussi e modificati con un successivo provvedimento legislativo.
Potranno accedere alla procedura per regolarizzare la propria posizione fiscale con
riferimento agli asset illecitamente detenuti all’estero, tutti i soggetti destinatari degli
obblighi di monitoraggio fiscale come indicati dall’articolo 4 del D.L. n. 167/1990,
ovvero: persone fisiche, enti non commerciali e società semplici ed equiparate ai sensi
dell'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi. Tali soggetti dovranno ricostruire
e presentare al Fisco la storia dei propri beni detenuti all’estero relativa a 4 periodi di
imposta (o 5, nel caso di omessa dichiarazione e, comunque, ai fini della
regolarizzazione della propria posizione con riferimento al quadro RW).
Detto termine può raddoppiare (8 o 10 anni) nel caso di patrimoni detenuti in Paesi a
fiscalità privilegiata, a meno che detti Paesi, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della
norma, non stipulino con l’Italia un accordo bilaterale che consenta l’effettivo scambio
di informazioni.
(Legge 15 dicembre 2014, n. 189, GU Serie Generale N. 292 del 17-12-2014)
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
131
SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
INDICAZIONI INTERPRETATIVE E APPLICATIVE
Voluntary disclosure
È disponibile sul sito dell’Agenzia delle entrate la modulistica non definitiva per la
richiesta di adesione alla procedura di collaborazione volontaria per regolarizzare le
attività finanziarie e gli investimenti detenuti all’estero, in violazione della normativa
sul monitoraggio fiscale.
GIURISPRUDENZA
IVA - Accertamento
In materia di accertamento induttivo operato dall'Ufficio sul rilievo della irregolare
vidimazione del registro IVA, in conseguenza del quale, constatata la irregolarità
formale della documentazione fiscale, segnatamente in punto di vidimazione del
registro unico tenuto ai fini IVA, l'Ufficio rettifichi la dichiarazione IVA, liquidi le
maggiori imposte dovute ed irroghi le corrispondenti sanzioni tributarie, non può essere
invocata l'applicazione del principio del favor rei (conseguente al venir meno della
obbligatorietà della vidimazione ex art. 8, L. n. 383 del 2001) con riferimento alle
sanzioni proprie, poiché quelle irrogate con l'avviso predetto sono conseguenza non
della inosservanza degli obblighi a suo tempo previsti dall'art. 39, D.P.R. n. 633 del
1972, in tema di tenuta di scritture contabili, bensì della infedele dichiarazione che
l'Ufficio ha potuto accertare in via induttiva. Ne consegue che se una relazione tra l'una
e l'altra violazione è statuibile, lo è solo nel senso che la prima (l'inosservanza degli
obblighi in tema di scritture contabili) è risultata lo strumento, rendendo inattendibile la
contabilità nel suo complesso, per accertare la seconda (infedeltà nella dichiarazione).
Dunque, invocare l'effetto salvifico dello ius superveniens che, avendo abrogato
l'obbligo di vidimazione delle scritture contabili, scagionerebbe il trasgressore da ogni
riflesso addebito in applicazione del principio del favor rei è in tal caso errato.
(Sent./Ord. Cassazione Civile, Sez. V n. 26475 del 17 dicembre 2014)
IVA - Detrazioni
In materia di detrazione dell'IVA per operazioni ritenute dall'Ufficio soggettivamente
inesistenti, ai fini della valutazione circa l'effettivo assolvimento, da parte
dell'Amministrazione finanziaria, dell'onere della prova sulla stessa incombente, è
necessario che il Giudice di merito tenga adeguatamente conto di tutte le inferenze
logiche che possono essere desunte dagli elementi dimostrativi addotti
dall'Amministrazione ed indicati nel ricorso con autosufficiente ricostruzione. In difetto,
incorre nel vizio di carente o insufficiente motivazione la decisione con la quale il
Giudice di appello si limiti ad assumere la insussistenza della prova, senza compiere
una analitica considerazione delle risultanze processuali acquisite agli atti di causa. Nel
caso concreto, ove la decisione si fonda su elementi tutt'altro che decisivi, in quanto
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 1/2015
132
SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
desunti da una consulenza di parte nemmeno valutata nella sua interezza, il Giudice ha
del tutto omesso di rilevare elementi di rilevante spessore indiziario, quali la carenza, in
capo alla ditta interessata dall'accertamento, di quel minimo di organizzazione di cui
necessita un soggetto che ha un fatturato di milioni di euro, ma che nel contempo di
palesa come soggetto non solvibile, e la coincidenza della sede dell'impresa con la
residenza dell'imprenditore.
Sent./Ord. Cassazione Civile, Sez. V n. 26485 del 17 dicembre 2014)
IVA - Accertamento
Il dissesto aziendale non può ritenersi da solo ragione giustificativa di manipolazioni
contabili (specificamente di sopravvalutazioni di magazzino) al fine di mascherare
all'esterno il disastroso evolversi della situazione aziendale, costituendo mera congettura
collegata ad una situazione, quella di dissesto economico, che, se assunta nella sua
assolutezza, sarebbe in grado di giustificare di per se stessa qual viglia irregolarità
rilevante ai sensi dell'art. 53, D.P.R. n. 633 del 1972. Di contro, la presunzione legale di
cessione si supera solo se si prova che i beni di cui alla discrepanza sono stati impiegati
nella produzione, perduti o distrutti, ovvero consegnati a terzi a titolo diverso, altrimenti
gravando sul contribuente l'onere di offrire obiettivi riscontri di una falsità ideologica
della contabilità di magazzino, come tale improduttiva di maggiori ricavi.
(Sent./Ord. Cassazione Civile, Sez. V n. 25983 del 10 dicembre 2014)
Imposte e tasse in genere - Reati tributari
Le fattispecie incriminatrici che puniscono l'occultamento o la distruzione di documenti
contabili e la bancarotta fraudolenta documentale sono oggettivamente e strutturalmente
diverse, richiedendo quella penal-tributaria la impossibilità di ricostruire l'ammontare
dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato
economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta;
diversamente, l'azione fraudolenta sottesa dall'art. 216, comma
2, della legge fallimentare si concreta in un evento da cui discende la lesione degli
interessi creditori, rapportato all'intero corredo documentale, risultando irrilevante
l'obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche
dalla sottrazione di scritture meramente facoltative. Inoltre, nell'ipotesi fallimentare la
volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sé o ad
altro ingiusto profitto o, alternativamente, di recare pregiudizio ai creditori, finalità non
presente nella fattispecie fiscale.
(Sent./Ord. Cassazione Penale, Sez. V n. 46475 dell’11 novembre 2014)
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