Nota CSC n. 10

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Nota CSC n. 10
NOTA DAL CSC Numero 12-10
1° settembre 2012
Numero 2012-10
NOTA DAL CSC
I prezzi delle case in Italia sono ancora alti
Scenderanno molto nei Paesi Bassi e in Francia. Sono in recupero negli Stati Uniti.
Matteo Pignatti
Le bolle immobiliari sono ormai quasi ovunque scoppiate e i prezzi delle case sono scesi e
continuano a scendere rapidamente, soprattutto in termini reali. Solo negli Stati Uniti ci
sono chiari segnali di stabilizzazione.
In Italia sono diminuiti, a partire dall’inizio del 2008 e fino al principio del 2012, di oltre il
10%, pari a un -2,7% annuo in termini nominali (-4,3% al netto dell’inflazione), rimanendo
però del 9,2% sopra il livello medio di lungo periodo, in rapporto alla capacità di spesa
delle famiglie (misurata dal reddito disponibile). Per completare l’aggiustamento entro la
fine del 2013 sarebbe necessaria una diminuzione del 7,0% delle quotazioni. La discesa
potrebbe però essere più prolungata e profonda: nel 1997 avevano toccato un minimo del
22,7% sotto la media di lungo termine (sempre in rapporto al reddito disponibile).
Uno scenario reso più probabile dalla persistenza della crisi che obbliga le famiglie a
rivedere i piani di spesa e sta imprimendo un’accelerazione alla caduta dei prezzi, come si
desume dal crollo del numero di compravendite (-19,6% tendenziale nel 1o trimestre
2012), dall’aumento della quota di agenzie immobiliari che segnalano variazione negativa
dei prezzi (74,4% nel 2o trimestre 2012) e dallo sconto sulla richiesta iniziale (15,4% in
media).
Le bolle immobiliari si erano gonfiate a partire dalla seconda metà degli anni 90 con
straordinaria e non casuale sincronia nei principali paesi, avanzati e non. Con due grandi
eccezioni: Germania e Giappone, dove altrettanto ampie bolle si erano avute negli anni 80
e nei primi 90, scoppiando prima e lasciando a lungo depresso il mercato delle abitazioni.
Soprattutto lo sfasamento tedesco è cruciale nel determinare, anche nei prossimi anni, le
divergenze di crescita nell’Eurozona, visto che il sistema economico germanico sarà
l’unico a ricevere una spinta dall’edilizia. Altrove, invece, agirà da freno; in particolare in
due fondamentali tasselli core dell’Area euro: i Paesi Bassi e la Francia. In entrambii le
quotazioni delle abitazioni sono tuttora molto elevate rispetto all’esperienza passata,
qualunque sia il metro utilizzato.
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L’implosione dei prezzi delle case, coniugata con famiglie molto indebitate, ha già
dimostrato di essere una potente causa recessiva in USA, Irlanda e Spagna, anche
attraverso le ripercussioni sui conti delle banche e sulla dinamica del credito. Graverà sulle
prospettive di crescita dell’Area euro, tolta la Germania, perché indebolirà a lungo il settore
delle costruzioni. Ciò è tanto più vero in Italia, dove il reddito disponibile e le possibilità di
risparmio delle famiglie sono da tempo penalizzate dalla bassa crescita, che intacca
occupazione e retribuzioni reali, e dall’aumento della pressione fiscale, giunta a livelli
record (45,4% del PIL nel 2013; 54,6% l’incidenza effettiva, al netto cioè del sommerso).
I prezzi delle case in Italia e nel mondo. Lo scoppio delle bolle immobiliari è iniziato
negli Stati Uniti, a cavallo tra il 2006 e il 2007. L’indice Case-Shiller dei prezzi delle
abitazioni è crollato del 33,7% in termini reali dal picco nel 2o trimestre 2006 al 1o trimestre
2012. Dopo quasi sei anni di caduta, ha iniziato a invertirsi la dinamica dei prezzi: l’indice
Case-Shiller è aumentato dello 0,9% congiunturale in giugno (da +1,0% in maggio; +0,5%
tendenziale, primo guadagno annuale dal 2010).
In Italia, la caduta dei prezzi delle case è cominciata quasi due anni dopo: dal picco
toccato nel 1o trimestre 2008 al 1o 2012 le quotazioni sono scese, complessivamente, del
10,4%, del 16,2% in termini reali. Tuttavia, il rapporto tra prezzi e reddito disponibile
procapite, che è un indicatore della capacità di spesa delle famiglie, è rimasto nettamente
superiore (+9,2% nel 1o trimestre 2012) rispetto alla media di lungo periodo, calcolata a
partire dal 1970 (Tabella A). Poiché il reddito disponibile procapite ha arrestato la propria
crescita nell’attuale fase di recessione (+0,3% tendenziale nel 1o trimestre 2012), gran
parte del peso dell’aggiustamento dovrà ricadere sul livello dei prezzi.
Per tornare sui valori di lungo periodo entro la fine del 2013 (in tempi simili a quelli seguiti
dalla bolla americana) e scontando un aumento del reddito disponibile del 2,6% cumulato
nel 2012-2013 (secondo le previsioni Ref), i prezzi nominali dovrebbero ancora scendere
del 7,0%. L’aggiustamento potrebbe essere però più prolungato e più profondo, dato che
nel 2000 il rapporto tra quotazioni e reddito disponibile procapite era del 15,0% sotto la
media di lungo periodo e nel 1997 del 22,7%. Negli Stati Uniti, per esempio, lo scoppio
della bolla ha più che controbilanciato gli aumenti precedenti, e tale rapporto è al minimo
storico (-18,2% rispetto alla media): pesa lì, ma non in Italia, l’ingente stock di case
invendute in seguito ai default sui mutui.
Il quadro congiunturale del mercato immobiliare italiano è in rapido peggioramento.
Crollano le transazioni immobiliari: giù le compravendite registrate (-19,6% tendenziale nel
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1o trimestre 2012) e la quota di agenzie che hanno venduto abitazioni (-6,6 punti
percentuali nel 2o trimestre rispetto all’anno precedente); si allungano i tempi di vendita
(8,2 mesi, uno in più di un anno fa) e quindi la riduzione media rispetto al prezzo
inizialmente richiesto (15,4%). La domanda è compressa dalla caduta del reddito
disponibile e dal credit crunch (64,7% gli acquisti finanziati con un mutuo nel 2o trimestre,
-7,9 punti percentuali rispetto all’anno precedente, per una quota media del 63,0% del
valore dell’immobile, -10,0). Coerentemente, peggiorano i giudizi sulle variazioni dei prezzi
(-74,0 il saldo tra la quota di agenzie che ritengono ci sarà un aumento e quella che ritiene
avverrà una diminuzione delle quotazioni). Tali dati sono peggiori di quelli registrati nel
2008-2009, biennio nel quale la diminuzione dei prezzi nominali è stata del 6,1%
complessivo.
Anche in altri paesi all’interno dell’Eurozona l’aggiustamento dei prezzi delle abitazioni è
molto lontano dall’essersi concluso. Oltre che in Italia, essi sono elevati, in rapporto al
reddito disponibile, in Spagna (25,4% sopra la media di lungo periodo) e soprattutto nei
Paesi Bassi (+36,6%) e in Francia (+34,3%).
Tabella A
Case: ancora lontano l'aggiustamento in molti paesi europei
2000
2007
Ultimo trimestre disponibile
Stati Uniti
88,8
106,9
81,8
II 2012
Giappone
91,0
70,4
62,0
I 2012
Germania
94,2
76,4
83,3
II 2012
Francia
84,2
138,2
134,3
I 2012
Italia
85,0
117,2
109,2
I 2012
Spagna
94,6
162,3
125,4
II 2012
Regno Unito
94,2
149,7
130,1
II 2012
Irlanda
109,4
156,3
88,1
II 2012
Paesi Bassi
126,7
150,6
136,6
II 2012
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Dalla seconda metà degli anni 90 (nei Paesi Bassi dall’inizio di quel decennio) i prezzi reali
delle case hanno iniziato a salire, accelerando il passo nell’ultima fase della bolla, sia al di
là sia al di qua dell’Atlantico (Grafico A). Con un solo importante andamento divergente:
quello in Germania, che aveva vissuto la bolla immobiliare nel boom post Riunificazione e
che successivamente ha sperimentato un lungo periodo di aggiustamento delle quotazioni.
Nei Paesi Bassi i prezzi reali (cioè al netto dell’inflazione) sono saliti senza soluzione di
continuità fino a tutto il 2008; in Francia, Italia e Spagna la bolla è cresciuta dalla fine degli
anni Novanta fino al 2007, per poi scoppiare all’inizio del 2008. La fase post-bolla è stata
meno uniforme. In alcuni paesi la caduta dei prezzi è stata di pari intensità a quella
americana: essi sono calati dal picco, in valore reale, a un tasso medio annuo del 7,3% in
Spagna, del 7,5% in Grecia e addirittura dell’11,7% in Irlanda. In Italia la flessione è stata
più graduale e contenuta: a un ritmo del 4,3%, ma non meno continuo. Simile a quella
italiana per velocità, ma partita quasi un anno dopo, la contrazione olandese: -5,1%
annuo.
Grafico A
La bolla immobiliare è scoppiata nei Paesi Bassi; in Francia non ancora
(prezzi delle abitazioni in termini reali; numeri indice 1990 = 100)
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Fonte: elaborazioni CSC su dati OCSE.
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Le due maggiori economie core dell’Area euro si trovano ora di fronte a prospettive
opposte. La Germania, uscita dal lungo periodo di deflazione nei prezzi delle case, ha
imboccato da fine 2010 un sentiero di aumento sostenuto, al 7,8% medio annuo e in
accelerazione (+10,5% tendenziale nel 2o trimestre 2012). In Francia le quotazioni hanno
ricominciato a salire da metà 2009 fino a sfiorare nel 3o trimestre 2011 il picco raggiunto
quattro anni prima, ma hanno poi intrapreso una decisa discesa (-5,0% annuo) che
segnala l’inizio dello sgonfiamento della bolla.
Fattori strutturali della domanda abitativa. Dal lato della domanda, un importante
indicatore è dato dall’indice di accessibilità (affordability) dell’acquisto della casa finanziato
con un mutuo ipotecario. L’acquisto dell’abitazione è oneroso, perciò le famiglie fanno per
lo più ricorso al mutuo, che tipicamente copre una quota elevata dell’investimento
sostenuto (75% nell’Eurozona, secondo dati 2007) e dura per un lungo periodo di tempo
(25 anni in media). L’indice di accessibilità è determinato dal costo del servizio del mutuo,
pari alla quota di ammortamento del debito più gli interessi maturati, rapportato al reddito
disponibile procapite. Il costo del servizio del mutuo è direttamente proporzionale al prezzo
delle case perché più alto è quest’ultimo, maggiore è il mutuo da dover contrarre. E
inversamente proporzionale al livello dei tassi di interesse: minori i tassi, maggiore la
possibilità di sostenere le rate di un mutuo di ammontare più elevato. Un valore elevato
dell’indice di accessibilità migliora le condizioni della domanda di case perché vuol dire
che più favorevole è il mix reddito disponibile (più alto), tassi e prezzi delle case (entrambi
più bassi; grafico B).
Negli Stati Uniti la caduta dei prezzi delle case e dei tassi di interesse sui mutui e
l’aumento del reddito disponibile hanno reso molto più conveniente acquistare casa:
nell’arco di sei anni, dal 2o trimestre 2006 al 2o 2012, l’affordability index è aumentato
dell’86,9% ed è ai massimi storici. L’abbassamento dei tassi di interesse e la dinamica
positiva del reddito hanno prima fatto salire l’indice di accessibilità (fino al termine del
2010) e successivamente hanno contenuto la sua riduzione, quando è iniziato l’aumento
delle quotazioni immobiliari. Al contrario, in Spagna e in Italia il credit crunch ha
comportato un aumento dei tassi di interesse sui mutui e la recessione ha colpito il reddito
delle famiglie: ciò ha attutito, ma non impedito, il miglioramento dell’accessibilità
determinato dalla discesa dei prezzi delle abitazioni. In Olanda l’indice è in salita dalla fine
del 2009, ma resta contenuto agli stessi valori di metà 2005. In Francia, infine, nonostante
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la dinamica discendente dei tassi di interesse e ascendente del reddito familiare,
l’accessibilità all’abitazione è rimasta onerosa: alla fine del 2011 l’indice era al livello del 3o
trimestre 2006 e non lontano dal minimo raggiunto nel 3o trimestre 2008.
Grafico B
Per le famiglie USA e tedesche è diventato molto più conveniente acquistare casa, non per le altre
(affordability index 1; numeri indice 2003=100)
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1
Rapporto tra il reddito disponibile procapite delle famiglie e il servizio di un nuovo mutuo ipotecario a tasso fisso con scadenza
a 30 anni (tasso di interesse superiore a 10 anni per i paesi dell'
Eurozona).
Fonte: elab orazioni CSC su dati OCSE, BCE e Federal Reserve .
Un altro fattore cruciale per la domanda di lungo periodo delle abitazioni è costituito dalla
formazione di nuove famiglie e, più in generale, dalla crescita della popolazione in età
lavorativa, che è formata dagli individui più mobili, in termini di luogo di lavoro e residenza
e in termini di benessere familiare. In Europa la domanda potenziale di abitazioni è limitata
dall’invecchiamento della popolazione. Tuttavia, tra il 1995 e il 2010 le nuove famiglie sono
aumentate a un ritmo stabile, seppur non elevato, nelle principali economie europee:
+0,6% medio annuo in Germania, +0,9% in Francia e in Olanda, +1,1% in Italia. Un
incremento maggiore di quello della crescita della popolazione in età lavorativa, addirittura
negativa in Germania (-0,2% medio annuo), per effetto della riduzione del numero medio
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di componenti dei nuclei famigliari e dell’aumento del numero di quelli con un capofamiglia
straniero, grazie all’immigrazione.
Questa tendenza, però, può cambiare nel tempo, perché condizionata da comportamenti
sociali e condizioni economiche. Come è successo negli Stati Uniti, dove, in seguito alla
crisi, da un lato si è molto attenuata la tradizionale mobilità dei lavoratori e, dall’altro, molti
giovani per mancanza di occupazione sono dovuti tornare ad abitare dai genitori: la
formazione di nuove famiglie americane è così caduta dal +1,5% annuo nel 2000-2007 al
+0,4% nei successivi tre anni. Mentre la crescita della popolazione in età lavorativa è
rimasta più stabile (+1,2% e +0,9% annui rispettivamente negli stessi periodi di tempo). La
domanda potenziale, inoltre, rimane inespressa o comunque incapace di sostenere
elevate quotazioni immobiliari se le nuove famiglie, come accade in Italia, fronteggiano
prospettive occupazionali e retributive più deboli e incerte di quelle della generazione
precedente.
L’aggiustamento dal lato dell’offerta. L’offerta di nuove abitazioni è cresciuta a ritmi
elevati in tutti i paesi durante lo sviluppo della bolla, generando uno stock che si è rivelato
in eccesso rispetto ai fondamentali della domanda e rendendo quindi necessaria una
brusca correzione della dinamica dell’offerta al momento dello sgonfiamento dei prezzi. In
Francia, dal 1995 al 2007 il numero di costruzioni abitative avviate è cresciuto a un ritmo
del 3,5% annuo; successivamente si è contratto del 2,5% annuo fino al 2011. Nei Paesi
Bassi il fenomeno è stato ancora più marcato: il numero dei permessi per costruire è
aumentato a un tasso del 5,9% annuo dal 1995 al 2008 e poi è crollato del 14,0% annuo
fino al 2011. In Italia il volume degli investimenti residenziali (che sono meno volatili,
perché comprendono statisticamente oltre alle nuove costruzioni anche gli interventi di
manutenzione straordinaria) ha fatto registrare una crescita dell’1,8% annuo nel periodo
1995-2007 e una contrazione del 3,6% annuo dal 2007 al 2011. Gli interventi di
manutenzione straordinaria sono stati sostenuti da ripetuti incentivi fiscali, mentre gli
investimenti in nuove abitazioni saranno caduti a fine 2012 del 44,4% rispetto a inizio
2008, facendo registrare un -12,3% nell’anno in corso (previsioni ANCE).
Negli Stati Uniti, dove la diminuzione del numero di costruzioni abitative avviate era
iniziata già a partire dal 2005 ed è stata del 18,4% medio annuo, nel 2011 era meno della
metà di quello del 1995. Nonostante ciò, lo stock di case invendute è rimasto molto
elevato, pari al 14% del totale, rallentando le possibilità di ripresa del settore immobiliare.
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L’eccesso di offerta negli Stati Uniti è dovuto, oltre che allo stock accumulato negli anni del
boom, anche al numero estremamente elevato di pignoramenti delle abitazioni in seguito
ai default sui mutui. Questi mutui sono andati under water (sott’acqua), ossia il loro
importo è diventato maggiore del valore stesso della casa, in seguito proprio al drastico
ridimensionamento dei prezzi delle abitazioni. Ancora nel 2011 circa un quarto dei mutui
sulle abitazioni unifamiliari erano under water. In tale situazione al proprietario può
convenire abbandonare l’abitazione, lasciandola in capo alla banca e liberandosi del
mutuo: in questo moto la sua ricchezza netta aumenta. Ciò è consentito dalla legislazione
americana, non da quella europea.
Il debito delle famiglie. Il livello di indebitamento delle famiglie determina il grado di
vulnerabilità del mercato immobiliare a shock dal lato dei prezzi o delle risorse disponibili
delle famiglie. Una riduzione delle quotazioni immobiliari può dare avvio a un circolo
vizioso che colpisce i bilanci familiari e quelli bancari e si estende così dal settore
immobiliare a quelli del credito e dei beni di consumo. Anche a questo riguardo, il quadro è
estremamente variegato all’interno dell’Eurozona (Grafico C).
Grafico C
Famiglie olandesi con debito record
(debito in % del reddito disponibile lordo)
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Fonte: elaborazioni CSC su dati BCE, Thomson Reuters.
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Il debito delle famiglie è massimo nei Paesi Bassi ed è costituito per la quasi totalità da
mutui sull’abitazione; ha raggiunto il livello record del 252,7% del reddito disponibile nel 4o
trimestre 2010, per poi scendere di 3,4 punti percentuali nel 1o 2012. Inoltre, il contratto
tipico di mutuo sulla prima casa copriva per intero il valore d’acquisto (101%, dati 2007),
pur con una garanzia statale del 13%; ciò aumenta la sensibilità dei bilanci familiari e
bancari olandesi, e potenzialmente dello stesso bilancio pubblico, alle variazioni dei prezzi
immobiliari. Anche in Francia la quota della somma pagata per l’acquisto della prima casa
coperta dal mutuo era molto elevata (91% nel 2007); ma il debito totale delle famiglie, pur
in crescita, era pari all’83,0% del reddito disponibile nel 1o trimestre 2012, tra i principali
paesi un livello superiore solo a quello dell’Italia (64,6%). Relativamente poco indebitate
sono anche le famiglie tedesche, che hanno intrapreso a partire dal 2001 l’abbattimento
dell’esposizione debitoria, per un totale cumulato di 20,5 punti percentuali del reddito
disponibile, all’86,1% a fine 2011. In Spagna, invece, le famiglie stanno cercando di
rientrare dal debito elevato, che nella seconda metà del primo decennio Duemila era pari
all’incirca a quello degli Stati Uniti; ma ciò avviene lentamente a causa della severità della
recessione, che ne sta intaccando il reddito e quindi la capacità di risparmio.
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