La Temperanza Le virtù dell`arbitro di calcio Dal Vangelo secondo

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La Temperanza Le virtù dell`arbitro di calcio Dal Vangelo secondo
La Temperanza
Le virtù dell’arbitro di calcio
Dal Vangelo secondo Giovanni, capitolo 18, vv. 1-10
[Dopo l’ultima cena] Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cèdron,
dove c'era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore,
conosceva quel posto, perché Gesù vi si ritirava spesso con i suoi discepoli. Giuda
dunque, preso un distaccamento di soldati e delle guardie fornite dai sommi
sacerdoti e dai farisei, si recò là con lanterne, torce e armi. Gesù allora, conoscendo
tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli
risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era là con loro anche
Giuda, il traditore. Appena disse «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra.
Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù
replicò: «Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne
vadano». Perché s'adempisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto
nessuno di quelli che mi hai dato».
Ad un giovane arbitro che scende in campo viene richiesto di non reagire alle
provocazioni, anche se – lo sappiamo bene – i genitori dei giovanissimi calciatori non
sempre si comportano come fossero a teatro. Le cose non cambiano nelle categorie
superiori, ma noi siamo chiamati a non insultare chi ci insulta e ad imporci con
compostezza ed educazione.
Davanti ad uno dei suoi migliori amici che lo tradisce, consegnandolo ad una morte
tremenda, Gesù mantiene un estremo autocontrollo: né fugge né dà un ceffone a
Giuda, che pure ha a portata di mano, ma preferisce obbedire al Padre e si consegna
ai suoi persecutori pur di salvare gli uomini. Il Vangelo di Giovanni gioca molto sulle
ambiguità e in questa scena non si capisce se è il traditore che consegna Gesù o se è
lui stesso che si consegna. In ogni caso, Egli appare calmo. Sarà impassibile anche
qualche ora dopo, davanti agli insulti e agli sputi dei soldati.
La Temperanza è la capacità di soddisfare con equilibrio e moderazione i propri
desideri ed istinti. Alla temperanza sono dunque collegati numerosi atteggiamenti
come il dominio di sé, l’ordine e la misura, l’armonia, l’equilibrio e l’autocontrollo.
Tanti sono gli ambiti in cui esercitare questa virtù fuori dal campo, ne richiameremo
due. Il primo, può sembrare insolito, è l’utilizzo del denaro. Mi accorgo spesso che
ragazzi che si lamentano della propria condizione economica non rinunciano a
costosi status symbol (come vestiti firmati o smartphone sempre nuovissimi ) o a
feste di compleanno simili a qualche cerimonia di inaugurazione di un’Olimpiade.
Come canta un famoso gruppo musicale: “Quest’anno ho avuto fame/ma per due
settimane/ho fatto il ricco a Porto Cervo”. Imparare a gestire il denaro dei rimborsi
spesa, cercando anche di metterne un po’ da parte, è un esercizio utile: chi è saggio
con poco lo sarà anche con molto.
Vi è poi un ultimo ambito in cui essere temperanti: nel sacrificio. Un arbitro pian
piano si abitua a fare sacrifici e può intuire che il dolore è fecondo, cioè porta frutti.
La preparazione estiva, infatti, è spesso molto dura e dolorosa. Soprattutto nei primi
giorni, il dolore dovuto all’acido lattico ci accompagna per tutta la giornata. Quando
si finisce un allenamento particolarmente faticoso non si vedono subito i risultati,
anzi ci si sente più debole. Il frutto delle faticose e calde corse di luglio e agosto si
inizia a sentire solo con le prime partite, alcune settimane dopo. Il dolore e la fatica
degli allenamenti, dunque, portano attraverso il controllo di se stessi e la resistenza
nella fatica ad un bene che non è immediato e che non si vede subito.
Un cristiano non ha la soluzione in tasca a tutte le domande e il male rimane per lui
un mistero. Di fronte al dolore innocente, il cristiano sa di non sapere la
motivazione. Certo, però, sente la vicinanza di Gesù, perché anche lui ha sofferto
sulla croce. Inoltre, può intuire che quel dolore è fecondo, cioè che esiste un bene
che si realizza attraverso quel dolore, un bene che però è spesso difficile se non
impossibile da vedere. Una pessima prestazione o una dismissione percepita come
ingiusta, così come una brutta malattia o una morte improvvisa per un incidente
stradale possono sicuramente sembrare senza senso. Eppure un cristiano sa che,
come dice san Paolo nella lettera ai Romani, tutto concorre al suo bene, anche la
sofferenza. Questo non deve indurre ad auto infliggersi dolore, o a cercare
continuamente questo bene nascosto, ma ad una lenta e fiduciosa accettazione di
tutte le situazioni impreviste e difficili. Questo significa rimanere temperanti.
Riesco a controllarmi sempre, anche nelle situazioni più difficili? So usare il mio
denaro? Mi sto abituando a fare sacrifici nella mia vita quotidiana?