Non è tardi - cronache di rap in comunità

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Non è tardi - cronache di rap in comunità
NON E' TARDI - CRONACHE DI RAP IN COMUNITA' Villa Plinia di Fondazione Rosa dei venti onlus
"Hai tempo un attimo? Posso farti sentire una cosa?". Prendo un auricolare, ci sediamo su una panchina nel
sole autunnale, mi concentro sulle musica che parte ritmata in cuffia. Stigma, si fa chiamare così, tiene tra
le mani il suo cellulare, scorre rapido il testo che sta cantando, potrebbe anche non leggere in realtà, vedo
che conosce le parole alla perfezione, ma forse così si sente più sicuro.
VITA DI M****
Sono indeciso/ fra l’uccidermi o l’essere ucciso/questa vita mi ha tolto tutto e mi ha lasciato al suolo
distrutto./Non faccio una vita normale da tempo/e il tempo passa molto lento qui dentro./In questa
struttura/chiuso in queste mura/è diventata oramai una tortura/cinese./Quante energie spese/per poi
essere preso in giro/non essere arrivato dove aspiro/in un luogo tutto mio/e di nessun altro./Tutti falsi
sembra un teatro/sembra che la vita si prenda gioco di me/e mi chiedo il perché /proprio a me./Ma resisto
finché riesco/Appena riesco esco /e me ne vado/lontano/nella galassia come un marziano/via da questo
posto/anche se lì fuori il mondo è tosto./Sono stufo di questa vita/non vedo l’ora che sia finita/ho
sopportato troppo/se continua così scoppio./Quindi dico stop/vado con l’hip hop/smetto a una certa/e
intanto vivo una vita di m****./Sono indeciso/tra l’inferno e il paradiso/stanco di vivere/non riesco più a
ridere/per tirare fuori quello che ho non basta un clistere/certe giornate sono nere/altre no/come mai non
lo so/e non lo possono sapere gli altri/che a mio parere sono un po’ matti/o per lo meno abbiamo una
mentalità diversa/e non sarà mai la stessa./Quindi continuo con la mia testa/appena posso faccio una
siesta/mi rilasso e non penso/visto che nella testa ho un casino immenso/dentro brucio come l’incenso/e il
fuoco è intenso/a questa vita non ho ancora trovato un senso./Prendo le forze e vado avanti/Quanti
problemi ho? Tanti/forse troppi./Quante notti/passate a girovagare/senza mai arrivare/a una meta
concreta/a una meta mentale/e il risultato è stato letale/ Sono stufo di questa vita/non vedo l’ora che sia
finita/ho sopportato troppo/se continua così scoppio./Quindi dico stop/vado con l’hip hop/smetto a una
certa/e intanto vivo una vita di m****.
Rimango colpita dall'intensità di quello che dice, cose che in una normale "chiacchierata" non potrebbero
venire fuori con la stessa potenza. Trema leggermente nel cantare, trema la voce e la mano che tiene il
cellulare. Mi assicura che è il freddo, mentre io penso che per dire certe cose e aprirsi così ci vuole coraggio,
e un po' di paura ci può stare eccome.
In Comunità conosciamo Stigma e il suo stare male, per questo so che le sue parole non sono dette per
impressionare, sono espressione di una sofferenza purtroppo autentica, che accomuna buona parte dei
ragazzi con cui entriamo in contatto quotidianamente. Arrivano in questo luogo da strade differenti,
approdano ad una "struttura terapeutico-riabilitativa" con molti punti di domanda, spesso senza avere ben
chiaro perché sono qui, accomunati però da differenti ma tangibili forme di "stare male".
Dai racconti carpiti tra una pausa sigaretta e un'attività con gli educatori trabocca l'espressione della fatica
che accompagna la presa di coscienza di avere qualcosa dentro che ti fa stare male, che sconvolge i tuoi
pensieri, che ti fa vedere e sentire tutto nero, e poi il giorno dopo quasi per magia tutto bianco. E non si
capisce il perché di queste oscillazioni: le persone che il giorno prima ti stavano vicine appaiono
improvvisamente minacciose, diventa difficile interpretare i gesti, le azioni, le parole dell'altro,
improvvisamente vengono avvolte da una patina che le rende confuse, ambigue, spaventose. Anche
portare avanti le normali attività quotidiane diventa faticoso: alzarsi dal letto, lavarsi, vestirsi, diventano
imprese epiche, come le 12 fatiche di Ercole che abbiamo letto insieme in comunità, e sembra sia
impossibile trovare l'energia per dare inizio alla giornata. L'inquietudine galoppa dentro, non c'è posto
sicuro in cui stare, e a volte non sembra esserci modo di alleviarla, se non sottrarsi al mondo. Meglio
dormire, avvolti in un bozzolo di coperte tirate fin sopra la testa. Sono i momenti di black out in cui staccare
la spina e mettersi un attimo in stand by sono necessari. Ed è da questo star male così potente e
apparentemente non verbalizzabile che è nata l'idea di usare la musica.
Quando Stigma è arrivato da noi, il contatto con lui è stato difficoltoso: le parole, le intenzioni, gli sguardi
venivano letti in chiave persecutoria, che poteva solo aumentare la diffidenza nei confronti dell'equipe.
Difficile anche il rapporto con gli altri ragazzi, depositari inconsapevoli delle sue proiezioni aggressive: il
clima emotivo del gruppo era diventato scoppiettante e litigioso, tutti contro tutti a guardarsi le spalle,
mentre inspiegabilmente una serie di oggetti venivano trovati rotti, sparivano, alimentavano la diffidenza
tra i pari.
In certe situazioni un normale "colloquio", con l'educatore o altra figura, non riesce ad arginare la carica di
angoscia portata dal ragazzo che ti sta di fronte, anzi, sembra avere l'effetto opposto: come se si aprissero
tutti i rubinetti contemporaneamente e si cercasse di contenere l'acqua in una tazzina da caffè. Impossibile.
Si rischia l'allagamento. Il caos interno è ancora troppo primitivo, non digerito, non elaborato per essere
raccontato e condiviso. Prima serve qualcosa d'altro, una trasformazione creativa che permetta a quel
dolore di essere almeno raccontabile.
Serve qualcosa di strutturato e strutturante, qualcosa su cui il ragazzo sente di avere pieno potere e
controllo, qualcosa che gli appartenga e gli permetta di tirare fuori i vissuti sepolti dentro e di dargli un
nome, eventualmente anche senza la presenza a tratti minacciosa dell'altro.
E così l'idea delle canzoni. La metrica imbriglia le parole e con loro i vissuti, che non possono esondare,
devono essere circoscritti, limitati, controllati. La traccia musicale ha una funzione analoga di
strutturazione, ha un inizio e una fine, permette di comunicare il malessere per non più di qualche minuto,
scandendo momenti di maggiore intensità ad altri più delicati. Inoltre fornisce una coloritura emotiva al
pezzo: a seconda della ritmica utilizzata, della velocità delle battute, ci saranno musiche percepite come
allegre, altre susciteranno tristezza, raccoglimento, nostalgia, ecc.
In tutto questo la dimensione creativa insita nello scrivere una canzone permette di trasformare il
materiale ingombrante che sta dentro a chi soffre in qualcosa di bello, dotato di significato, finalmente
dicibile, pronto eventualmente per essere condiviso con il mondo esterno a cui, in teoria, sarebbe
indirizzata la canzone. Lo star male fa un po' meno paura perché diventa qualcosa che può essere portato
alla luce con meno imbarazzo, diventa una creazione di cui andare fieri, e da quel momento in poi ci si può
lavorare sopra.
Le canzoni di Stigma hanno accompagnato il suo percorso in comunità, diventando strumento
fondamentale di espressione di sé e di lavoro con lui: rispecchiano i suoi vissuti, passando da temi
fortemente angoscianti e carichi di sofferenza ad altri di apertura al futuro, speranza, determinazione,
venati da quella lieve incertezza - un po' come il tremolio che si fa largo nella sua voce - di chi ha molto
sofferto e quindi non si fida ancora fino in fondo delle proprie risorse, "della propria testa" e "della propria
pancia".
Qualche giorno fa Stigma si avvicina: "Posso farti sentire una cosa?". Ci avviamo lungo la scalinata del parco
della struttura, ci mettiamo comodi su una delle panchine di sasso sotto a un grosso castagno, in silenzio.
Spero di sentire qualcosa che parli di futuro e di speranza, mi sembra che Stigma ultimamente stia un po'
meglio ma fino a quando non sentirò la canzone posso solo fare ipotesi. Auricolari. Parte la base. Speriamo
che la canzone rispecchi i progressi che ha fatto. Inizia a cantare. L'ultima canzone che mi ha fatto ascoltare
è questa.
NON E’ TARDI
Non ho mai avuto un sogno/pensavo giorno per giorno/vivevo alla giornata/ma era la maniera
sbagliata/perché avere un obiettivo/ti fa sentire vivo/e non privo/di ambizioni e emozioni/quindi sai che ti
conviene/e allora pensa bene/a cosa fare/se non ti vuoi ammalare/ma scalare/la via del successo/se lo vuoi
fare fallo adesso/fallo senza esitare/vinci tutte le gare/vai pensa con la tua testa/ricorda quello che avrai e
quello che resta./La bomba si innesca/pronta all’esplosione/vola come un drone/utilizza ogni neurone/metti
tutto a tuo favore/tutto ha una soluzione/non ti scoraggiare/e continua a provare/fino allo sfinimento/e il
cuore batte a 100/devi essere duro come il cemento/in questo mondo qui/le scelte non sono facili./Prendi le
forze e parti/che ancora non è tardi/che è il tuo momento/e se dico che ce la fai non mento/anche se gli
ostacoli sono tanti/vai che non è tardi/ricorda non è tardi./La speranza è l’ultima a morire/quindi trova
qualcosa da inseguire/con tutte le forze/se ce la fai/non è sicuro ma è un forse/non ti arrendere mai/non
cedere/continua senza interruzioni/supera i limiti che ti poni/prendi le tue decisioni/se vuoi
puoi/l’importante è che tu lo voglia/supera la soglia/anche se il futuro è nero come la soia/anche se questa
vita è un boia/devi farcela/uccidi il dolore che ti lacera/puoi salire le scale ore e ore/ma ci sarà sempre chi
prende l’ascensore./ Prendi le forze e parti/che ancora non è tardi/che è il tuo momento/e se dico che ce la
fai non mento/anche se gli ostacoli sono tanti/vai che non è tardi/ricorda non è tardi.
Finisce la canzone. Mi guarda e sorride. Pacca sulla spalla. Sta meglio.
Un'ultima cosa: l'origine del suo soprannome. Quando lo ha comunicato, "Stigma", tra i membri dello staff
si sono fatte strada immagini di solitudine, isolamento, diversità...niente di positivo insomma. D'altra parte
l'equipe ha anche imparato a non accontentarsi dell'apparenza, chiedendo al diretto interessato il
significato. Ed ecco che viene fuori che mesi fa, quando si era in una fase un po' critica e di stallo e il canale
della musica ancora non praticato, per rappresentare il mondo comunitario e i diversi attori in gioco, con un
operatore aveva disegnato un fiore. "Quale parte ti piacerebbe essere?" chiede l'educatore. "Questa"
indica il ragazzo, "la parte centrale, come si chiama?". Wikipedia viene in aiuto: "Stimma o stigma" et voilà il
soprannome. Niente a che vedere quindi con diversità ed emarginazione, il contrario: lo stigma sta al centro
della corolla, è una parte essenziale del fiore, quella che entra in gioco nell'impollinazione, quella
generativa. Forse in questa immagine inconsapevolmente stava racchiusa la sua creatività, la voglia di far
nascere qualcosa di buono da quella sofferenza. Ci sta riuscendo.
Scritto da un minore che si è dato nome artistico Stigma e dalla Coordinatrice della Plinia E. Riva