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LUIGI FAGIOLI – A CINQUANT’ANNI DALLA MORTE
“Un pastaio…che non ci stava”
Era considerato un ruvido, un burbero, uno “difficile”, da prendersi con le molle. Di
corporatura massiccia, i lineamenti marcati della gente marchigiana, orgoglioso e
gentile allo stesso tempo. Forse era solo uno a cui non piaceva far da secondo a
nessuno, che pretendeva di essere giudicato in base al suo effettivo valore: una
pretesa non piaceva molto, in un mondo dove comandavano gli Hitler e i Mussolini,
ed era di moda la gente inquadrata e messa in fila. Alla disciplina di squadra
dovevano essere sacrificate le ambizioni (e le opinioni) personali, e pazienza per chi
non ci stava.
Luigi Fagioli però, nato ad Osimo (Ancona) nel 1898, non era soltanto uno “che non
ci stava”, era anche uno che non mollava mai. La sua attività sportiva coprì gli anni
dal 1925 al 1952, anno in cui subì un ultimo fatale incidente, e fu definito nel volume
“I più grandi piloti di un tempo”, di Richard von Frankenberg (Motorbuch Verlage,
Stuttgart, 1966) “il più grande fenomeno che ci sia stato fino ad oggi nello sport
automobilistico – il più grande fenomeno rispetto all’età”. Quando l’Alfa Romeo nel
1950 radunò la sua squadra di piloti per la Formula 1, andò a chiamare proprio il
cinquantaduenne Luigi Fagioli, insieme a Farina e Fangio (la squadra dei tre Fa, fu
chiamata). Insieme, raggiungevano i 135 anni, una media di 45 per ciascuno. Non era
mai successo nella storia della massima formula. Per di più, Fagioli tornava alle corse
dopo un’assenza dalla ribalta di dodici anni, smentendo così quel detto secondo cui in
nessuno sport, meno che mai quello automobilistico, un campione riesce ad imporsi
allo stesso livello di prima dopo una lunga assenza. Lui ce la fece, anche a costo di
comprarsi le vetture su cui correre. Partecipò alla Mille Miglia del 1950 con una Osca
1100, e ottenne un’ottima vittoria di classe, facendo registrare una velocità media di
115,4 chilometri all’ora (contro i 123,2 del vincitore assoluto, Giannino Marzotto).
Quando fu chiamato dall’Alfa Romeo, chiuse la stagione con un terzo posto nella
classifica del Campionato Mondiale Conduttori. Ma il suo capolavoro rimane la Mille
Miglia del 1952. Vi partecipava di nuovo, per la prima volta dopo la guerra, la
Daimler Benz, la sua antica squadra, con i suoi compagni di un tempo, Caracciola,
Lang e Kling, tutti sulla 300 SL. Fagioli, su una Lancia Aurelia gran turismo coupé,
bellissima vettura ma sicuramente meno veloce della 300 SL, riuscì ad arrivare terzo,
dietro Bracco e Kling, ma davanti a Caracciola, per tacere dei giovani piloti della
Lancia che surclassò decisamente. Non male, per un cinquantaduenne…
Fagioli inizia a gareggiare nel 1925 su una Salmson, considerata il meglio nel campo
delle 1100, e vi corre sopra per quattro anni, fino al 1928, per passare quindi ad una
Maserati 8 cilindri di 1500 cc (si tratta sempre di vetture acquistate di tasca propria, e
pagate con i premi di gara). E’ il primo di classe a Caserta, a Modena, a Roma, in
Abruzzo, due volte a Rimini, due volte ad Avellino, tre volte a Tolentino, due volte
alla Vermicino – Rocca di Papa, a Verona, alla Mengara. Lentamente (siamo nel
1930) le vittorie e i piazzamenti assoluti cominciano a sostituirsi a quelli di classe.
Vince ad Avellino, alla Coppa Ciano a Livorno, alla “Tre Provincie”, ai Castelli
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Romani, alla Coppa Leonardi, a Monza. Un incidente a Fiume non ne arresta
l’ascesa; nel 1931 Fagioli si afferma ancora a Tunisi (secondo arrivato, dietro la
Bugatti di Varzi, ma davanti alla Bugatti di Lehoux) e a Montecarlo (idem, è il
migliore degli italiani, si infila tra la Bugatti di Chiron e quella di Varzi), segna il
record del giro al Gran Premio di Francia e infine coglie una brillantissima vittoria al
Gran Premio di Monza, per il quale la Maserati gli aveva affidato la famosa 16
cilindri da 4 litri e mezzo con compressore.
Fagioli ha trentatré anni: non è vecchio, ma neanche di primo pelo. Questa vittoria,
ottenuta ad una velocità di oltre 240 chilometri all’ora (stiamo parlando di
settant’anni fa), gli apre finalmente le porte della notorietà e dei riconoscimenti. E’ la
guida numero 1 della Maserati, e questo significa, tra l’altro, avere le macchine
migliori senza doversele comprare. Significa vincere, ad aprile del 1932, il Gran
Premio di Roma ed essere portato in trionfo dal pubblico scatenato fino in albergo.
Soprattutto significa giocarsela con Nuvolari e con gli altri grandi nomi dello sport
automobilistico ad armi pari: al Gran Premio d’Italia, a giugno, e al Gran Premio di
Monza, a settembre, sulla stessa pista, si scatenarono epici duelli che si conclusero
entrambi, è vero, con la vittoria di Nuvolari, ma anche con un meritatissimo secondo
posto per Fagioli.
Fagioli però non ci sta ad arrivare secondo, sia pure dopo il mitico Nuvolari. Ritiene
che la potentissima Maserati sovralimentata non sia la macchina giusta per lui (“ogni
volta ci perdo cinque chili”, ebbe a dire), e passa al volante dell’Alfa Romeo. Si tratta
di un vero scambio di campioni, perché Tazio nello stesso momento dall’Alfa Romeo
passa alla Maserati (mai i due campioni corsero sotto la stessa bandiera, nessuno dei
due avrebbe sopportato la supremazia dell’altro). Scrisse Enzo Ferrari: “Fagioli era
un solido, quadrato pilota marchigiano. Aveva un pastificio, correva per passione.
Aveva cominciato con vetturette di categoria minima, e qui spopolava. Quando
giunse all’Alfa Romeo, dopo varie esperienze, era un corridore fatto. Al Gran Premio
di Monza del 1933 vinse una memorabile partita, superando lo stesso Nuvolari”. La
contrapposizione Fagioli-Nuvolari, evidente in queste parole, è alla base proprio della
sua chiamata da parte della Scuderia Ferrari, che voleva dimostrare che il mantovano
non era insostituibile. I risultati di Fagioli non si fecero attendere: tre vittorie in sei
gare, tre secondi posti, e il titolo di Campione Italiano al termine della stagione. Al di
la’ però del duello Nuvolari – Fagioli, la stagione 1933 si rivelò uno spartiacque. A
Monza morirono, in un colpo solo, tre grandissimi campioni, Campari, Borzacchini e
Czaikowski, e la loro morte concluse il ciclo dei piloti di prima generazione, quella
degli Ascari, dei Bordino, dei Brilli Peri. In quegli anni esplose la seconda
generazione di piloti: Alfieri ed Ernesto Maserati, poi divenuti costruttori, e, oltre a
Nuvolari e a Varzi, Materassi, Fagioli, Caracciola, Chiron, Trintignant, Biondetti,
Dreyfus, Chinetti, mentre cominciava a profilarsi Nino Farina.
La gara di Monza, segnata dal gravissimo lutto, fu interessante soltanto nei momenti
più caldi dell’alternarsi in testa di Fagioli e di Nuvolari, che si inseguono per tutti e
cinquanta giri del percorso lungo dieci chilometri. Una gara estenuante, che alla fine
il pubblico non seguiva quasi più, anche per l’oggettiva difficoltà di distinguere tra
doppiati e macchine in testa, fermate ai box strategiche e difficoltà fatali. Un po’ di
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suspence fu causata dalla sfortuna di Nuvolari con le ruote: al penultimo giro rallenta
ai box con una gomma floscia ed un’altra senza battistrada. Il cambio avviene in 38”
ma ormai Fagioli ne ha approfittato e vola verso la vittoria, aggiudicandosi anche il
record sul giro alla media di 186 km/h e il record dei 500 km alla media di 174 km/h.
Stavolta è Nuvolari a doversi accontentare del secondo posto. Non era questione di
poco conto, perché questa vittoria valse a Fagioli il titolo italiano. A pari numero di
gare vinte, come risultò alla fine dell’anno per Fagioli, Nuvolari e Trossi, fu
considerato vincente il pilota primo arrivato a Monza, per il diverso rilievo della gara
rispetto alle altre. Così vinse un pilota che era arrivato due volte primo ed una volta
terzo (Fagioli) anziché un pilota arrivato due volte primo e tre volte secondo
(Nuvolari). D’altra parte anche in Formula Uno vi è stato recentemente un vincitore
che aveva ottenuto un minor numero di primi posti rispetto al secondo classificato: è
Nelson Piquet su Williams Honda che, nel 1987, con tre vittorie e sette secondi posti,
si impone sul compagno di squadra Mansell, che aveva vinto sei gran Premi. Un caso
ben più eclatante.
Gli anni, per Fagioli, cominciavano ad essere trentasei. Tanti, o pochi? Fagioli è un
osso duro, è uno di quelli che crescono lentamente, saldamente, che non si bruciano
in pochi anni, non si lasciano divorare dal successo, come tanti altri suoi compagni.
Lo dimostra nel 1934, un anno di svolta nella storia della Formula 1. L’AIACR
(Association Internationale des Automobiles Club Reconnus) cambia il regolamento,
imponendo un peso massimo di 750 kg, a secco, senza limitazioni di cilindrata.
Questo apre possibilità enormi all’industria metallurgica, che può per la prima volta
sperimentare soluzioni d’avanguardia, come l’adozione di nuovi materiali, di nuove
leghe al magnesio, e il largo impiego dei cosiddetti acciai bianchi. L’AIACR aveva
studiato queste nuove regole, in realtà, nella speranza di riuscire a ridurre la velocità
nei gran premi (era ancora vivissimo il ricordo della tragedia di Monza dell’anno
prima), ritenendo che le restrizioni di peso avrebbero obbligato ad una dimensione di
motore non superiore ai due litri. Illusione! Daimler Benz e AutoUnion, sostenute da
un’industria pesante assolutamente d’avanguardia, decisero di scendere in campo,
anche perché Hitler, genuinamente appassionato di sport automobilistico, aveva
offerto un bonus di 450.000 marchi per la fabbrica tedesca che si fosse decisa a
costruire una vettura da gran premio, oltre ad altri premi “governativi” previsti per
ogni piazzamento. Con gli anni, i tedeschi riuscirono ad inserire in una vettura di soli
settecento chilogrammi motori di sei litri di cilindrata e anche oltre, mentre la
Scuderia Ferrari non riusciva a superare i due litri e sei, per arrivare, dopo qualche
tempo, a tre litri e a tre litri e due al massimo. Dal punto di vista degli uomini, invece,
la Daimler doveva ancora mettere insieme la squadra. Il posto di direttore sportivo
non poteva che toccare ad Alfred Neubauer, nato per quel ruolo e quel comando. Ma
in quanto ai piloti, la situazione non era così rosea. La guida n. 1, Caracciola,
risentiva ancora pesantemente dei postumi di un brutto incidente e della tragica
perdita della moglie, e non lo si riteneva più all’altezza della concorrenza. Manfred
von Brauchitsch ed Ernst Henne non avevano esperienza di circuiti europei.
Occorreva trovare un pilota non tedesco. Nuvolari correva per Maserati e Bugatti;
Varzi aveva appena firmato con la Scuderia Ferrari; rimaneva Fagioli, e Neubauer lo
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ingaggiò al volo, con una trattativa rapidissima, convinto che al di fuori dei piloti
italiani non esistevano altri assi da affiancare ai propri.
Cominciò così, in una gelida mattina di aprile, la carriera di Fagioli in Germania.
Come dovevano andare le cose, gli fu subito chiaro fin dalla prima gara, la corsa
dell’Eifel sul terribile circuito del Nurburgring. Furono iscritte le due W25A di
Fagioli e Brauchitsch. Per un soffio non risultarono escluse: pesavano infatti un chilo
in più dei prescritti 750, e per alleggerirle non si trovò altra soluzione che quella di
togliere la vernice bianca; fu da quel momento che diventarono le “freccie
d’argento”. Al via, le due vetture si catapultarono avanti, con Brauchitsch in testa,
solo per essere superato da Fagioli in forma strepitosa. Ma non pareva bello lasciare
che in terra tedesca su vettura tedesca vincesse un non – tedesco, e così Neubauer
ordinò a Fagioli di lasciare passare il suo compagno. L’italiano obbedì, ma si vendicò
standogli sulla coda e dandogli continuamente l’impressione di poterlo (e volerlo)
sorpassare. Al primo stop, volarono parole grosse, anche se probabilmente ciascuno
nella propria lingua. Neubauer ripeté l’ordine a Fagioli, questi ripartì, raggiunse
Brauchitsch, lo tallonò impetuosamente…dopodiché si fermò di nuovo ai box e
ricominciò l’alterco. Esasperato, Fagioli abbandonò la gara (con una macchina
perfettamente funzionante!) al tredicesimo giro. Un bel problema per Neubauer, che
non si aspettava di trovarsi subito ad affrontare un problema di disciplina di squadra;
ma un bel problema anche per Fagioli, che aveva avuto il coraggio di mandare al
diavolo tutti (alla sua prima gara in squadra!) ma che in definitiva non aveva potuto
vincere, come avrebbe meritato. Sperava di rifarsi alla Coppa Ciano, da corrersi a
Livorno, ma Neubauer, dopo avergli mezzo promesso una macchina, decise di non
partecipare. La rivincita non poteva mancare alla Coppa Acerbo: se Neubauer glielo
avesse impedito, la Daimler probabilmente avrebbe dovuto cercarsi un nuovo pilota.
A vincere fu perciò Fagioli, davanti a Nuvolari su Maserati e a Brivio su Bugatti, tre
italiani su tre vetture di marche diverse. In Svizzera vinse la Auto Union, ma per la
gara di Monza la Daimler corse ai ripari, schierando una vettura di cilindrata
aumentata a 3170 cc, non potendo ancora contare sulla nuova W25B di 3990 cc in
preparazione per la stagione 1935. Gli organizzatori avevano introdotto nuove
chicanes per rallentare l’andatura, il che costrinse i piloti a continui cambi di marcia e
variazioni di velocità, il tutto peggiorato da un caldo soffocante. Fagioli era balzato al
comando al primo giro, ma dovette ritirarsi per problemi al compressore. Ma non
tutto era perduto: il dolore alla gamba di Caracciola (ancora conseguenza dell'antico
incidente) divenne così lancinante da costringere il pilota tedesco a cedere la
macchina al gongolante Fagioli, che arrivò primo. In Spagna, invece, Caracciola e
Fagioli lottarono uno contro l’altro per diciassette giri, senza alcun riguardo per le
sorti della squadra, e senza che Neubauer ritenesse opportuno intervenire. Si impose
Fagioli, di nuovo primo, e non sapremo mai se il lento mollare di Caracciola, dal
diciottesimo giro in avanti, sia ascrivibile a stanchezza, a ordini di scuderia
(dopotutto, in un paese latino, poteva ben vincere un latino!) o a una affermazione di
supremazia ed indipendenza del bollente Fagioli. Dopo la gara sul circuito di
Masaryk, a Brno in Cecoslovacchia (vinta da Auto Union, con Fagioli al secondo
posto ?), la Daimler Benz poteva già tirare le conclusioni della stagione: aveva
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partecipato ad otto gran premi, ne aveva vinti quattro e per tre volte era arrivata
seconda. Chiunque al mondo avrebbe considerato questi risultati strepitosi: non la
Daimler, non Neubauer, che mirava al dominio completo. Per di più il direttore
sportivo si trovava a dover gestire degli autentici fuoriclasse maldisposti però,
soprattutto quell’irruente di italiano, ad accettare ordini di squadra, e pronti a
sbranarsi l’un l’altro.
A Montecarlo, primo Gran Prix della stagione 1935, Fagioli ottenne una splendida
vittoria sulla nuova W25B, di 3,9 litri di cilindrata. Ma la gara di Tripoli, dove si
correva a Formula libera, imponeva un impegno ancora maggiore. Grazie alla
mancanza di restrizioni la Scuderia Ferrari schierò due temibili “Bimotore”, da 3,2
litri di cilindrata, mentre Mercedes inviò il suo solito trio, ed Auto Union faceva
scendere in campo il suo nuovo acquisto, Achille Varzi, e un vecchio maestro come
Stuck. Fagioli come al solito partì a razzo, anche se fu quasi subito superato da
Caracciola. A questo punto si inserì Nuvolari sulla sua Bimotore, che diede
spettacolo anche se fu costretto a tredici fermate ai box per cambiare le gomme.
Furono quest’ultime, infatti, le vere protagoniste della gara: a causa delle elevate
velocità e del caldo africano, la loro tenuta diventò cruciale. Si impose Caracciola
proprio grazie ad una tattica di gara che aveva come scopo risparmiare le gomme il
più possibile e perciò fermarsi ai box meno degli altri. Fu una vittoria calcolata che
dimostrò l’importanza di una tattica di gara, a fronte dell’impetuosità e irruenza
spettacolari dei piloti italiani. Fagioli ne tenne il dovuto conto, e vinse il Gran
Premio successivo, sul circuito dell’Avus in Germania, proprio con un
comportamento più prudente. Le gare successive (Gran Premio dell’Eifel, al
Nurburgring; Gran Premio di Francia) non furono granché soddisfacenti per Fagioli,
arrivato quarto in entrambi i casi. Ma il suo temperamento doveva di nuovo rivelarsi
appieno in Spagna, al Penya Rhin Grand Prix, quando decise che stavolta toccava a
lui vincere. Per quaranta giri Caracciola e Fagioli si diedero battaglia senza pietà, al
quarantaduesimo il tedesco passò in testa, cinque giri dopo Neubauer espose il
segnale di “mantenete le posizioni”, al che Fagioli rispose da par suo sorpassando il
compagno ed andando a vincere. Ingestibile, deve aver pensato Neubauer, anche se in
fondo questa rivalità, finora, aveva portato risultati indiscutibili. Ma un tedesco non
poteva sopportare che i suoi ordini non fossero rispettati…Decise che era l’ultima
volta. Al Gran Premio del Belgio, quando si accorse che Fagioli, come al solito, stava
insidiando la posizione al comando di Caracciola, lo fece rientrare ai box. Ne seguì
una discussione…animata, con Fagioli assolutamente non disposto a farsi da parte. Il
risultato fu che Neubauer diede la sua macchina a von Brauchitsch, adducendo a
spiegazione una eccessiva stanchezza di Fagioli. In realtà, Fagioli aveva dato in
escandescenze, minacciando fisicamente Caracciola…Fortunatamente si intromise la
massiccia corporatura di Neubauer, e non vi furono conseguenze. Ma certo gli animi
erano lungi dall’essersi placati. Il protagonista stesso ebbe a dire, quindici anni dopo:
“Un giorno, con Caracciola, feci baruffa Anzi, ci litigai due volte, a Tripoli e a Spa,
nel Belgio. Ero convinto che di proposito non mi volesse mai dare strada. Avevo un
martello in mano e gli ero balzato addosso…Per fortuna mi trattennero e io son lieto
di non avere rimorsi. Passai all’Auto Union. Ora siamo amici, come prima, più di
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prima”. Attutisce i toni, Fagioli, ma allora gli deve essere sembrato un affronto
incancellabile.. “Ad un Fagioli una cosa così non si fa”, sono le sue parole riportate
da un testimone.
La stagione continuò in modo trionfale per la Mercedes Benz, che chiuse con nove
vittorie in undici gran premi, e Caracciola acclamato come grande campione.
Il 1936 si apriva in un clima reso sempre più difficile dalla politica; segno ne fu, per
esempio, il divieto imposto da Mussolini ai piloti italiani di partecipare a gare
francesi, in quanto la Francia partecipava alle sanzioni decise contro l’Italia per la sua
occupazione dell’Abissinia. La Mercedes si trovò a competere con una Auto Union
sempre più agguerrita, che vinse a Tripoli, all’Eifel, al Nurburgring e in Svizzera,
mentre in Spagna e in Ungheria tornò prepotentemente alla ribalta Nuvolari su Alfa
Romeo. Il disastro alla Mercedes era tale (soltanto due gare vinte) che addirittura
decise di non partecipare al Gran Premio d’Italia e fu profondamente rivista la
squadra anche dal punto di vista tecnico, spostando il trentenne Rudolf Uhlenhaut
dalla produzione alle corse, un’ottima mossa, come dovette risultare in seguito.
Il clima però per Fagioli si era fatto irrespirabile, e difatti per il 1937 firmò un
contratto per l’Auto Union. Il ritorno ad una squadra italiana, come avrebbe
desiderato, non era possibile: la scelta di tre anni prima pesava irrimediabilmente, in
periodi di esasperati nazionalismi come quelli, e pesò anche successivamente,
negandogli in patria i riconoscimenti dovutigli. La stagione 1937 all’Auto Union non
fu granché: quattro gare soltanto, e poi il ritiro. Cominciò ad accusare problemi di
salute, forse una sciatica mal curata che lo costrinse spesso all’immobilità. Ma da lì a
due anni scoppiò la guerra, e gli orizzonti si chiusero per tutti.
Cosa successe alla ripresa, negli anni cinquanta, è noto. Il vero e proprio ritorno alle
corse è datato 1949, quando con l’Osca corre a Pescara, Senigallia, Calabria e
Madrid. Ad inizio stagione era tornato alla Mille Miglia e si era classificato, con una
Fiat 1100 S, undicesimo su 89 partenti! Nel 1950 è chiamato, come abbiamo visto,
dall’Alfa Romeo. Fagioli è secondo in Inghilterra, in Svizzera, in Belgio ed in
Francia, e si presenta al Gran Premio d’Italia in lizza per il titolo, insieme a Farina e a
Fangio. Ancora una volta, però, la strategia di squadra ha la meglio su di lui, ed esce
primo campione del mondo Nino Farina. Nel 1951 prosegue l’attività con la Osca,
arrivando ottavo assoluto alla Mille Miglia, e vincendo a Roma, sulle Dolomiti e a
Madrid. Con l’Alfa Romeo, invece, vince, a cinquantratre anni (record ancora
imbattuto) il Gran Premio di Francia a Reims. Ormai dalla stampa viene definito
“intramontabile”, e riceve la chiamata dalla Lancia che gli affida l’Aurelia B20 da
due litri. Si iscrive al Premio di Montecarlo, una gara penalizzata dal calendario in
quanto inserita di misura tra altre due gare di fama internazionale, la Mille Miglia e
la 24 Ore di Le Mans. Giocoforza, i piloti più quotati del momento la saltarono, tanto
più che risultava annoverata tra le gare di vetture sport, con un regolamento identico a
quello delle 24 Ore. Durante le prove, all’uscita del tunnel, l’Aurelia di Fagioli
sbandava, forse per aver strisciato leggermente lungo il marciapiede, e urtava con
violenza contro il muro. Fagioli – scriveva Auto Italiana di qualche giorno dopo - “è
ancora gravemente ferito, e ne avrà per molto tempo. Se la sua vita è salva, questo è
esclusivamente dovuto all’uso del casco prescritto dal regolamento”. Sembrò
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riprendersi bene, ma a tre settimane dall’incidente ebbe un improvviso e fatale
peggioramento.
E’ rimasta memoria della sua splendida carriera grazie alla puntuale ed appassionata
attività dell’Autoclub Luigi Fagioli di Osimo, la città natale, che non lesina
nell’organizzare rievocazioni e mostre e curare pubblicazioni. Luigi Fagioli, un uomo
che si ribellò ai giochi sulla sua pelle e non si lasciò mai intimidire da nessuno, merita
questo e anche di più.
Donatella Biffignandi
Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino
(2002)
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