Sviluppo rurale multifunzionalità occupazione - Ciofs-Fp
Transcript
Sviluppo rurale multifunzionalità occupazione - Ciofs-Fp
CIOSF 2015 XXVII Seminario Europa ENERGIA GIOVANE pane per il futuro del pianeta 23-24 settembre – Cinisello Balsamo (Mi) Roberto Polidori Università degli Studi di Firenze Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agricoli, Alimentari e Forestali BOZZA Sviluppo rurale, multifunzionalità dell’agricoltura e occupazione: le nuove figure professionali 1) Introduzione I processi di trasformazione che hanno riguardano il settore, chiaramente evidenziabili attraverso l’analisi dei risultati del 6° Censimento generale dell’agricoltura, hanno determinato un radicale cambiamento anche in quelli che sono i meccanismi di funzionamento del mercato del lavoro agricolo con particolare riguardo ai profili professionali richiesti dalle imprese del settore. Nell’agricoltura italiana, infatti, emerge la necessità di implementare nuovi modelli organizzativi per permettere alle imprese di affrontare le sfide del futuro, che oltre alle nuove forme di attività agricole multifunzionali, riguardano il rafforzarsi del rapporto tra agricoltura e territorio, il disaccoppiamento della politica agricola, l’evoluzione della filiera agroalimentare. Lo scopo di questa breve relazione è l’analisi del processo di cambiamento che ha caratterizzato l’agricoltura negli ultimi sessanta anni con particolare riferimento alla dinamica e all’evoluzione occupazionale del settore. Al fine di renderne agevole l’interpretazione, sarà utilizzato come “modello” del cambiamento “l’azienda agraria” intesa come unità economica di produzione inserita in un complesso sistema tecnologico, economico e istituzionale. In particolare la relazione si articola in quattro parti. Nella prima parte l’azienda sarà analizzata e descritta in tre periodi tipici del suo processo evolutivo: il primo periodo si riferisce all’immediato dopoguerra, il secondo riguarda gli anni ottanta e il terzo la situazione 1 attuale, rilevandone di volta in volta le differenze e la dinamica. Nella seconda parte saranno ricordati i caratteri strutturali dell’agricoltura e del sistema agroalimentare in Italia. Nella terza parte sarà analizzata l’occupazione in agricoltura; in particolare saranno presentate le specificità e criticità del mercato del lavoro agricolo con particolare riferimento alla domanda di lavoro espressa dalle imprese in termini di figure professionali impiegate nei diversi settori produttivi. In questa situazione una riflessione particolare riguarderà il lavoro dei migranti. Nella quarta parte ci soffermeremo sulla multifunzionalità come uno dei risultati evolutivi dell’azienda agricola per definirne i caratteri, gli obiettivi e per rilevarne le capacità di produrre occupazione e di essere competitiva sui mercati. 2) Evoluzione storica dell’azienda agraria L’utilità pubblica e privata di avere modelli aziendali è da sempre stata avvertita dagli economisti agrari: si può dire che anzi che questi abbiano rappresentato uno dei principali strumenti di lavoro nell’economia agraria. Molti economisti si sono avvalsi di questo strumento per descrivere i rapporti interni fra fattori produttivi e per illustrare l’economia agricola di un dato territorio o la sua evoluzione nel tempo, riconoscendo in questa descrizione schematica e sistematica di azienda uno strumento fondamentale per le loro indagini. Il modello aziendale non descrive un’azienda concreta ma analizza gli elementi essenziali dell’atto produttivo quali gli aspetti riguardanti le caratteristiche quantitative e qualitative dei mezzi di produzione, i reciproci rapporti, la tecnologia che nel complesso costituiscono il primo quadro dei vincoli all’interno dei quali si svolge la produzione. Gli altri aspetti presi in considerazione e che si riallacciano al primo, sono le relazioni esterne costituite dal tipo di organizzazione sociale, istituzionale, tecnologica e la presenza d’infrastrutture, elementi altrettanto importanti nello stabilire sia i rapporti di produzione sia la qualità e quantità dei beni prodotti. Diventa così possibile interpretare nei differenti modelli considerati alcuni aspetti importanti dell’evoluzione aziendale quali, ad esempio, l’organizzazione produttiva e la divisione del lavoro. Seguendo questa impostazione abbiamo utilizzato per descrivere l’evoluzione dell’agricoltura italiana tre modelli aziendali ognuno dei quali rappresentativo della propria epoca sia in termini di rapporti interni tra fattori produttivi che di relazioni con la realtà territoriale: l’azienda mista, l’azienda specializzata e l’azienda integrata (tabella n. 1). Dagli anni cinquanta fino agli anni settanta l’agricoltura rappresenta il settore che dà più lavoro alla popolazione, l’assetto produttivo agricolo ha subito grandi lacerazioni tuttavia riesce a contribuire all’approvvigionamento alimentare. Si attua la riforma agraria sulle spinte delle lotte dei braccianti, mentre la Politica comunitaria muove i suoi primi passi misurandosi sull’armonizzazione delle Politiche agricole. L’industrializzazione guida lo sviluppo economico e l’industria attira la forza lavoro agricola in eccesso (esodo agricolo), d’altra parte l’esubero del lavoro agricolo è favorito anche dall’introduzione nel settore di progresso tecnico volto a incrementare sia la produttività della terra (esempio concimi) che del lavoro (esempio macchine). L’obiettivo della politica agricola è garantire la sicurezza alimentare, il principale vincolo è costituito dalle risorse fisiche e in particolare dalla terra. L’efficienza produttiva aziendale è ricercata attraverso la realizzazione di ordinamenti produttivi misti (associazioni di colture e allevamenti) volti ai minimi tempi d’ozio della terra, realizzata tenendo conto dei vincoli istituzionali e delle disponibilità delle altre risorse conferite, prima di tutte dalla composizione della famiglia contadina. Dal punto di vista normativo la chiave di lettura da valutare e misurare è costituita dalla “capacità produttiva aziendale” condizionata sia da fattori interni sia di ambiente. In questo periodo inizia il processo di modernizzazione, aiutato dal credito agevolato e dalle politiche nazionali (primo e secondo piano verde). Sul piano comunitario l’intervento è prevalentemente affidato al sostegno sui prezzi dei prodotti agricoli. 2 Tabella n. 1 Evoluzione dell’azienda agricola Periodo Obiettivo di politica Vincolo Chiave di lettura Strumenti di intervento I Azienda mista (1950/1970) Sicurezza alimentare Risorse fisiche (terra) Capacità produttiva II Azienda specializzata (1970/1990) Sostenibilit à sociale Risorse umane Capacità reddituale Credito agevolato, misure di ammodernamento, sgravi fiscali, politiche di prezzo Politiche di prezzo, protezione doganale e commerciale III Azienda integrata: multifunzionale e/o convenziona le (1990/2015) Sostenibilit à ambientale Risorse naturali Multifunzionalità Standar minimi, misure agroambientali Processo di aggiustamento Modernizzazione, progresso tecnico Pluriattività Applicazione buone pratiche agricole, differenziazione, qualità, salubrità, Filiere corte Indicatori Occupazione Variabili strutturali: dimensione fisica, economica Variabili relazionali, e di organizzazione del lavoro (part-time full-time, fuori e dentro l’azienda) Indicatori Agroambientali L’unità di lavoro è la famiglia occupata interamente in azienda Divisione del nucleo familiare: 1) lavoro in azienda; 2) lavoro fuori azienda. Pluriattività La multifunzionalità determina incremento di occupazione qualificata sia in azienda che nel territorio In questa situazione l’azienda è descritta soprattutto attraverso le variabili strutturali: dimensioni fisiche ed economiche, rapporto terra/lavoro, ordinamenti produttivi, rapporto tra proprietà, impresa e lavoro, le fonti di finanziamento. Nella stragrande maggioranza dei casi i redditi dell’unità familiare che gestisce l’azienda sono interamente o in altissima percentuale di provenienza agricola. Anche il lavoro necessario alle esigenze aziendali è prevalentemente fornito dalla famiglia. La capacità di fornire servizi da parte del lavoro umano può essere misurata in base alla divisione del lavoro, in funzione cioè alle modalità di svolgimento delle operazioni. Per divisione del lavoro s’intende quindi una funzione definita dall'insieme dei compiti da svolgere all'insieme delle abilità, così che ogni abilità può essere associata a uno o più compiti e un qualsiasi compito solo a una singola abilità. Si avranno così lavori più o meno specializzati come indice di una maggiore o minore divisione del lavoro, in relazione al fatto che i diversi lavoratori risultino più o meno collegati ad uno specifico lavoro. Contemporaneamente il grado di specializzazione dei lavoratori e i modi di svolgimento dei lavori dipenderanno dal progresso tecnico 1. Dalla precedente definizione e considerando le specificità sopra delineate, è possibile evidenziare in agricoltura alcune forme di divisione del lavoro: 1) la divisione personale del lavoro si ha nelle aziende contadine quando disponibilità e fabbisogni di lavoro sono equilibrati nell'anno. In questo caso i singoli familiari si distribuiscono i lavori sulla base delle specifiche capacità di lavoro: gli uomini adulti eseguono lavori pesanti e diversi da quelli eseguiti dagli uomini giovani, le donne fanno lavori differenti da quelli degli uomini; 1 La divisione del lavoro in agricoltura è stata oggetto di analisi con il principale scopo di rilevarne le differenze con il settore industriale. La divisione tecnica del lavoro, intesa come scomposizione del processo produttivo in tante operazioni ognuna delle quali affidata a un lavoratore diverso, non è di effettiva realizzazione in agricoltura. Le caratteristiche naturali delle produzioni agricole (la stretta dipendenza dalle condizioni climatiche e stagionali, i ritmi biologici delle colture, la sequenza dei lavori nei processi produttivi) e la ridotta dimensione delle unità di produzione ne rende impossibile l'introduzione. 3 2) si ha invece una divisione funzionale del lavoro quando uno stesso lavoratore esegue molti lavori diversi ma dello stesso tipo, riassumibili quindi con una funzione. E' il caso di alcuni lavori necessari in azienda con una certa continuità, come la cura del bestiame, quelli attinenti alle industrie agrarie o quelli riguardanti la guida di mezzi meccanici; 3) si ha divisione del lavoro a contenuto specifico nel momento in cui è eseguita una mansione con continuità, indipendentemente dalle abilità richieste. E' il caso di lavoratori che trovano impiego nella stessa azienda, o in aziende diverse, per svolgere con continuità la raccolta della frutta o delle ortive o il taglio dei boschi. Nell’azienda mista, la famiglia è ancora identificabile come una società nella quale i componenti si distribuiscono i lavori sulla base delle proprie specifiche capacità: gli uomini adulti eseguono i lavori più pesanti comunque diversi rispettivamente da quelli effettuati dei giovani e delle donne si parla quindi di “divisione personale del lavoro”. Da ciò deriva che l’unità di lavoro non è l’individuo ma la famiglia che appare come un’associazione anche economica e rappresentata da una certa quantità di forza da impiegare nel lavoro agricolo (dipendente dal numero, sesso età delle persone che la compongono) e come tale si presenta sul mercato del lavoro. L’occupazione è quindi interamente agricola e aziendale (Eboli, 2004). Negli anni ottanta l’esodo agricolo, che ha stravolto l’assetto territoriale del paese, è terminato senza risolvere il problema delle dimensioni aziendali. Le zone più interne si sono svuotate a favore delle zone costiere più fertili e produttive. Nei territori a sviluppo ed industrializzazione diffusa questi squilibri si attutiscono. In queste aree si va consolidando una forma d’uso della forza lavoro e dell’occupazione che prevede la divisione del nucleo familiare in due componenti: la prima, generalmente costituita da anziani, donne, ragazzi che assicura la continuità dell’attività aziendale; la seconda garantisce un reddito aggiuntivo attraverso un’occupazione extraziendale e generalmente extragricola. E’ la pluriattività che assicura la permanenza di unità aziendali di dimensioni ridotte purché il lavoro extraziendale possa compensare l’esiguità delle risorse fisiche. L’azienda si presenta “specializzata” in virtù del progresso tecnico e del maggior rapporto con i mercati dei prodotti e dei fattori (con particolare riferimento al mercato del lavoro) e si afferma all’interno dell’azienda la “divisione funzionale del lavoro”. L’obiettivo delle politiche agricole diventa la sostenibilità sociale, la capacità reddituale (reddito di lavoro manuale) diventa la chiave di lettura per la valutazione dei processi di permanenza o l’espulsione. Oltre alle variabili strutturali l’azienda è descritta anche dal modo in cui l’organizzazione aziendale si confronta con le risorse familiari: se impiega lavoro familiare o lavoro esterno, se impiega lavoro familiare all’interno o lo lascia esterno per attività extraziendali. La dimensione nazionale dell’intervento pubblico è ormai soppiantata dalle politiche comunitarie e tra queste diventa cruciale l’intervento basato sul sostegno dei prezzi. Nel descrivere l’azienda sono identificate le relazioni che la legano all’ambiente esterno, l’esistenza del contotersismo, le forme ed il grado di pluriattività, la misura del sostegno fornite dalle attività esterne e dall’interventi sui prezzi (Eboli, 2004). A cavallo del nuovo millennio sono ormai scoppiate le contraddizioni legate all’insostenibilità economica, sociale e ambientale della politica agraria basata sul sostegno dei prezzi. Economisti e addetti al settore sottolineano sempre più spesso le molteplici funzioni che l’agricoltura svolge (agricoltura multifunzionale) ed il ruolo del settore nei percorsi di sviluppo. Il percorso di trasformazione della vecchia Politica Agricola Comunitaria (PAC), nata per aumentare l’offerta, alla nuova PAC volta ad affrontare le eccedenze produttive e le esigenze di sostenibilità economica sociale ed ambientale, sottende un’agricoltura che pone attenzione alle “buone pratiche agricole” e alle “produzioni tipiche locali”. E’ in quest’ambiente che si fanno strada interventi di politica agricola non più volti ad un uso intensivo delle risorse naturali (intensificazione, inquinamento, specializzazione) ma indirizzati verso le politiche di sviluppo rurale. 4 La descrizione dell’azienda si fa ora più difficile non basta più leggere la produttività e l’efficienza, la capacità produttiva e lavorativa, ma occorre verificare se l’attività agricola è in grado di rispondere ai nuovi bisogni. Occorre prestare una diversa attenzione all’occupazione, all’equilibrio ecologico e quindi all’impatto sulla qualità e quantità delle risorse naturali, alla biodiversità, alla qualità dei prodotti alimentari, ai loro contenuti igienici e salutistici, all’impatto sul paesaggio e ai valori estetici cui gli agricoltori contribuiscono direttamente, sia in senso positivo sia negativo, con la loro attività. L’azienda attuale può essere quindi definita “integrata” e che svolge molte funzioni nel senso che è un’unità economico-gestionale volta a interagire nel modo più proficuo col territorio e /o con l’ambiente economico-istituzionale. Anche in precedenza l’agricoltura svolgeva diverse funzioni, tuttavia queste non erano percepite come “importanti”; sulla base della valorizzazione della sola attività produttiva efficiente non si prestava attenzione alla considerazione dei benefici e dei costi in parte espliciti generati dall’agricoltura nel sistema locale. La lente della multifunzionalità rileva una realtà molto complessa, multidimensionale, sfaccettata, proiettata sul territorio, in cui assume rilevanza il ruolo dei differenti agenti sociali coinvolti, con diversi obiettivi anche se talora in contrasto tra loro (Eboli, 2004). I processi d’integrazione e di specializzazione produttiva che comunque proseguono specialmente in alcune realtà territoriali e tipologie aziendali conducono l’azienda a richiedere alcuni servizi al suo esterno perché non più in grado di realizzarli con proprie risorse, a proposito del mercato del lavoro si afferma così la “divisione del lavoro a contenuto specifico”. Il passaggio dal produttivismo al post-produttivismo non è un semplice passaggio di stadio: i modelli coesistono, a volte si sovrappongono, cercano legittimazione e sostegno pubblico per una politica che a sua volta diventa polimorfica e complessa, cercando di rispondere a più istanze contemporaneamente, spesso trovandosi anche di fronte a trade-off apparentemente insuperabili. In sintesi, quello che emerge dal recente Censimento e di cui si cercherà di dare conto nelle pagine successive, è un ritratto estremamente composito dell’agricoltura italiana, che sta al passo con i processi di sviluppo tipici delle economie avanzate e in particolare in quelle europee. La coesistenza di diversi modelli e di diverse forme e intensità d’interazione dell’attività agricola con le altre attività remunerative svolte in azienda che parlano - al plurale - di riconoscimento e di valorizzazione dei modelli di agricoltura europei ai quali si accompagnano specifici modelli occupazionali e figure professionali. (Henke, Povellato, 2012). 4) L’agricoltura italiana Nella tradizione dell’economia agraria il termine struttura viene in genere riferito alle caratteristiche aziendali in senso “fisico”. Nel linguaggio economico il termine in questione assume, invece, una valenza più ampia connotando più in generale relazioni tra fattori produttivi e attività economiche, in particolare con riferimento alla loro evoluzione nel mediolungo periodo. La relazione tra strutture e occupazione è esaminata considerando una serie di fenomeni che possono essere chiamati in causa per spiegare le dinamiche del lavoro in agricoltura in un orizzonte temporale abbastanza ampio. In questo quadro è evidente che il punto di vista considerato sia prevalentemente quello dell’azienda agricola, che è l’unità all’interno della quale si determinano i fabbisogni di lavoro del settore. Tuttavia è ampiamente noto che l’occupazione del comparto - e soprattutto le sue specificità (ad esempio il rapporto tra lavoro dipendente e indipendente) - è fortemente influenzata da una serie di variabili che hanno a che fare con le caratteristiche e le dinamiche delle famiglie presenti nelle aziende stesse e con l’ambiente socio-economico nell’ambito del quale operano quest’ultime. Sulla base del Censimento Generale dell’Agricoltura dell’Istat, al 2010 operavano in 5 Italia oltre 1,6 milioni di aziende agricole, con una variazione in termini di numerosità estremamente rilevante (-32% rispetto alle aziende censite nel 2000), che non trova precedenti all’interno delle rilevazioni su base decennale avviate a partire dal 1960. Al contempo, secondo il Censimento la superficie agricola utilizzata (Sau) è pari a circa 12,9 milioni di ettari. L’agricoltura italiana, diversamente da quelle europee, è caratterizzata da una struttura produttiva con un numero molto alto di aziende di ridotte dimensioni. I dati evidenziano la presenza contemporanea di molte piccole e piccolissime aziende da un estremo e di poche grandi aziende all’altro estremo. Nel 2010 il 69% del numero delle aziende con superficie totale inferiore ai cinque ettari occupa l’11% della superficie totale, mentre il 7% del numero delle aziende con superficie totale superiore ai trenta ettari occupa circa il 62% della superficie totale. La riduzione delle aziende e della Sau, si è quindi concentrata nelle prime classi dimensionali, mentre oltre la soglia dei 20 ettari si è registrato un aumento di entrambe le variabili. La lettura congiunta dei due processi dinamici rende evidente, da un lato la fuoriuscita dal sistema produttivo di molte microimprese, dall’altro un rilevante processo di ricomposizione fondiaria, con il trasferimento di una parte consistente delle superfici utilizzate a favore delle aziende rimaste attive o comunque di quelle appartenenti alle classi dimensionali più ampie. L’effetto complessivo delle variazioni indicate è bene esemplificato dalla notevole crescita delle superfici medie aziendali, che passano dai 5,5 ettari del 2000 ai 7,9 del 2010, attenuando di molto la storica disparità con il dato medio dei paesi dell’UE. Dai censimenti è possibile classificare le aziende per forma di conduzione allo scopo di porre in evidenza i rapporti tra imprenditore e lavoro manuale. Le principali forme di conduzione nei censimenti dell’agricoltura sono due: a) diretta del coltivatore quando l’imprenditore presta lavoro manuale nell’azienda con l’aiuto della manodopera familiare e / o di braccianti2; b) conduzione con salariati e / o con partecipanti quando l’imprenditore impiega normalmente manodopera salariata, mentre la sua prestazione riguarda la direzione dell’impresa. Nelle aziende a conduzione diretta il lavoro manuale, essendo prestato dall’imprenditore e dai suoi familiari, si configura come lavoro indipendente e senza vincoli di subordinazione, diversamente dalle imprese con salariati nelle quali il lavoro è prestato la maggior parte dei lavoratori dipendenti e contrattualizzati. Dai dati emerge un primo aspetto delle aziende rispetto alla forma di conduzione: nel 2010 su 1.6 milioni di aziende e 12,9 milioni di ettari di superficie totale agricola la conduzione diretta del coltivatore riguarda il 95% del numero delle aziende e il 79% della superficie, mentre la conduzione con salariati o compartecipanti riguarda il 5% circa del numero delle aziende e il 20% della superficie. Combinando tra loro i dati delle aziende per classi di ampiezza con quelli delle aziende per forma di conduzione si evidenzia come l’agricoltura italiana sia caratterizzata da un lato da molte aziende contadine di piccole e piccolissime dimensioni e dall’altro lato da poche aziende capitalistiche di grandi dimensioni. Questo fenomeno prende il nome di dualismo strutturale. Analizzando la fase agricola, il dato più rilevante è certamente rappresentato dal lento ma costante declino del peso del valore aggiunto (VA) agricolo sul totale dell’economia, che passa dal 3% del 2000 al 2,2% del 2010, a testimonianza della progressiva marginalizzazione dell’attività agricola sul complesso delle attività produttive nazionali. All’interno del settore 2 Nelle imprese lavoratrici il lavoro apportato dall’imprenditore e dalla sua famiglia può non essere sufficiente ai fabbisogni dell’azienda ed è necessario ricorrere all’acquisto di manodopera salariata, in questi casi le imprese lavoratrici assomigliano alle capitalistiche e sono definite capitalistico-lavoratrici o lavoratrici-capitalistiche a secondo della prevalenza di lavoro rispettivamente prestato dalle due figure economiche; nel caso in cui il lavoro dell’imprenditore e della sua famiglia è sufficiente ai fabbisogni aziendali le imprese vengono definite contadine pure. 6 primario, nel decennio appena trascorso, sono peraltro intervenute rilevanti modificazioni. Certamente indicativa è la riduzione della componente rappresentata dalle coltivazioni agricole, la cui quota perde circa 4 punti percentuali, a fronte del modesto, ma pur significativo rafforzamento del peso degli allevamenti zootecnici (32,2%). Ma il fenomeno più significativo dei cambiamenti intercorsi è ben rappresentato dalla continua crescita del peso rivestito dalle attività dei servizi connessi all’agricoltura, il cui contributo complessivo pesa al 2010 per oltre il 13,2% del totale. Le diverse attività non convenzionali in azienda possono essere classificate in due categorie secondo il loro rapporto con l’attività primaria in senso stretto: 1) attività finalizzate all’approfondimento e alla valorizzazione della produzione agricola (prima lavorazione e trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, lavorazione del legno, acquacoltura ecc.); 2) attività che amplia lo spettro d’interessi dell’azienda al di là dell’attività primaria in senso stretto (agriturismo, fattorie sociali e didattiche produzione di energia, ecc.). Seguendo quest’approccio dal Censimento emerge che in media, poco più di 76.000 aziende dichiarano di avere una o più attività remunerative “connesse” a quella agricola (4,7% del totale), per un totale di circa 10 milioni di giornate di lavoro ad esse dedicate (3,7%). Si tratta di un numero relativamente modesto di aziende, ma che si differenzia molto secondo la dimensione; le aziende più ampie (da 10 ettari in su), sono quelle che diversificano e acquistano quote crescenti, fino a pesare per quasi un quarto sul totale per le aziende al di sopra di 100 ettari. Tuttavia, va segnalato che circa il 44% delle unità con attività connesse ricade nelle classi comprese tra 3 e 10 ettari. L’importanza di questo processo può essere ulteriormente apprezzata al momento in cui si analizzano le sole aziende professionali e non tutto l’universo aziendale come dai dati dei Censimenti. A tal proposito la RICA (Rete Italiana di Contabilità Agraria) fornisce le indicazioni circa la consistenza e l’evoluzione delle attività connesse in Italia relative ad un campione rappresentativo dell’agricoltura professionale italiana, ovvero delle aziende che nel censimento 2000 risultavano avere un Reddito Lordo Standard (RLS) superiore alle 4 Unità di Dimensione Economica (UDE) equivalente a 5600,00 euro anno. I dati mostrano che la dinamica delle frequenze di diffusione delle tipologie di aziende in precedenza definite è rimasta sostanzialmente stabile, che in Italia le aziende con attività connesse che contano più del 50% delle totali aziende professionali, arrivando a rappresentare il 67% tra le aziende familiari. Il fenomeno non è però omogeneo su tutto il territorio nazionale, mentre nelle aree del nord prevalgono le aziende convenzionali rispetto alle diversificate, nel centro sono quest’ultime a essere numericamente più importanti rispetto alle prime. Va ricordato comunque che i redditi più elevati sono realizzati nelle aziende convenzionali, infatti, i redditi delle aziende diversificate sono mediamente l’80% dei redditi delle aziende convenzionali (Henke, Salvioni, 2013). Se da una parte l’importanza relativa dell’agricoltura sul sistema economico tende nel tempo a declinare, assume sempre più importanza relativa il sistema agroalimentare. Il sistema agroalimentare è l’insieme di attività tra di loro collegate da rapporti commerciali e che contribuiscono alla creazione del valore del prodotto alimentare come, infine, giunge sulla tavola del consumatore: esso è una parte fondamentale dell’economia del nostro paese. La composizione di questo sistema varia nel tempo e nello spazio, in virtù del cambiamento di tecnologie e comportamenti di consumo. L’agricoltura è l’anello primario e, di fatto, l’unico settore irrinunciabile, qualsiasi forma prenda tale sistema, collegando a monte e a valle, altri settori economici produttori di mezzi tecnici e servizi, conto terzisti, produttori di mangimi, 7 attività di trasformazione dell’industria alimentare, distribuzione, ristorazione che valgono, nel loro complesso, la ragguardevole cifra di 266 miliardi di euro, vale a dire quasi il 17% del PIL nazionale mentre in termini di occupazione raggiunge circa il 10% degli occupati a livello nazionale. Le principali componenti sono rappresentate dall’industria di trasformazione alimentare il cui indice del fatturato si mostra in costante crescita, con un andamento sistematicamente superiore a quello dell’industria manifatturiera totale. Tale risultato, peraltro, risulta trainato dal fatturato realizzato sui mercati esteri, il cui indice si presenta considerevolmente più elevato a partire dalla seconda metà del periodo osservato. Particolarmente significative sono state anche le modifiche intervenute nel campo della distribuzione, le cui vendite di beni alimentari all’interno della Gdo si sono mostrate in costante crescita, avendo raggiunto al 2010 una concentrazione pari al 64% del totale nazionale, con la sola eccezione dell’area meridionale, al cui interno il 58,5% delle vendite passa ancora per il canale del dettaglio tradizionale. Dal lato dei consumi, si è progressivamente modificata la composizione strutturale degli acquisti, con un processo di sostituzione tra prodotti caratterizzato da un arretramento delle preferenze per oli e grassi (16,1%), prodotti ittici (-7,3%), lattiero caseari (-4,9%), carni rosse, a vantaggio di quelle bianche, mentre le scelte dei consumatori continuano a privilegiare vegetali, cereali e pane, sebbene con una crescita della componente rappresentata dai prodotti sostitutivi. All’interno di questi processi, le scelte di consumo tendono a caratterizzarsi sempre più per un processo di segmentazione della domanda e di personalizzazione dei bisogni che hanno determinato il progressivo rafforzamento di prodotti con elevato grado di specificità, perché ad alto contenuto di servizio o perché tipizzati da processi di certificazioni (biologico, Dop, Igp), fino alla più recente affermazione dei prodotti cosiddetti funzionali, ossia arricchiti di specifiche sostanze utili per la salute, e di quelli destinati alla popolazione affetta da specifiche malattie. 4) L’occupazione in agricoltura I processi di trasformazione del settore determinano un radicale cambiamento anche nel mercato del lavoro agricolo. Il cambiamento ha riguardato non solo il numero assoluto degli occupati ma anche i settori d’impiego ed i profili professionali richiesti. L’analisi del lavoro umano non può prescindere dalla natura e dai caratteri delle prestazioni fornite dai lavoratori al processo produttivo; è da questi elementi, congiuntamente ai rapporti che i lavoratori realizzano con le imprese e alle modalità con le quali le stesse prestazioni possono essere fornite, che si differenziano i lavoratori in distinte categorie Le operazioni agricole si possono classificare relativamente alle loro finalità tecniche in: operazioni di manutenzione e/o miglioramento del fondo terra, fabbricati, piantagioni, macchine, ecc.; operazioni colturali (lavorazioni del terreno, cura delle piante ecc.); allevamento del bestiame (alimentazione, mungitura, ecc.); operazioni inerenti le imprese di trasformazione agraria (vinificazione ecc.). Alcune di queste operazioni possono essere eseguite in locali chiusi e con continuità (mungitura, alimentazione del bestiame ecc.), altre con discontinuità (vinificazione, ecc.); la maggior parte eseguite all'aperto (trattamenti antiparassitari semine ecc.). Quasi tutte sono stagionali, hanno un periodo utile di esecuzione e si distribuiscono irregolarmente nell'anno con la possibilità di variare anche di anno in anno in seguito all'andamento climatico stagionale. Nel complesso le operazioni agricole non richiedono elevati livelli di potenza meccanica, necessitano invece di un’esecuzione attiva da parte dell'uomo, che si accentua particolarmente per alcune di esse, ad esempio per la potatura delle piante. Un ultimo rilevante carattere si riferisce alla circostanza che molte operazioni devono essere eseguite in luoghi di volta in volta diversi. Le precedenti caratteristiche hanno fondamentale importanza perché contribuiscono a determinare ruoli e mansioni che contraddistinguono altrettante figure professionali in agricoltura. In Italia, secondo le stime di contabilità nazionale dell’Istat relative al 2011, il settore dell’agricoltura conta 955,1 mila occupati, che costituiscono il 3,9% dell’occupazione totale. 8 Gli occupati in agricoltura sono composti per il 54,3% da dipendenti, mentre nel resto dell’economia questa quota sale al 76,8% e da 45,7% indipendenti. La quantità di lavoro utilizzata in agricoltura, espressa in unità di lavoro standard (Uls)3, è di un milione e 228,3 mila unità. Il rapporto fra unità di lavoro standard e occupati è pari a 1,28 mentre nel resto dell’economia è pari all’unità. Dal punto di vista contrattuale i lavoratori dipendenti possono avere un contratto a tempo determinato (lavoratori stagionali) o indeterminato (lavoratori stabili). Questi dati evidenziano due importanti peculiarità del mercato del lavoro agricolo che in particolare riguardano: – la forte componente di lavoro indipendente, dovuta alla prevalenza della mano d’opera familiare e delle piccole aziende a conduzione diretta; – la frammentarietà dei rapporti di lavoro, perché un rapporto Uls/occupati superiore a 1 indica una consistente presenza di posizioni lavorative instabili. La quota dell’occupazione agricola sul totale dell’economia è diminuita, nell’ultimo decennio, a ritmi molto più blandi di quanto è accaduto nei precedenti anni. Ciò a testimonianza dell’avanzato processo di riorganizzazione che caratterizza questo settore dal secondo dopoguerra (D’Alessio, 2012). In conformità a queste prime considerazioni analizzeremo l’occupazione in agricoltura nelle due categorie di lavoratori indipendenti e lavoratori dipendenti, ognuna delle quali si caratterizza per alcune specifiche peculiarità. 4.1) I lavoratori indipendenti Nel settore primario delle economie più mature la progressiva redistribuzione della forza lavoro verso altri settori (industriale e terziario) ha interessato principalmente le classi di età più giovani e ha avuto come conseguenze sia la riduzione in termini assoluti degli occupati agricoli che l’invecchiamento del settore. I lavoratori indipendenti conduttori di azienda in Italia sono 436 mila, il 5% dei quali ha un’età inferiore a 35 anni. Secondo i dati Eurostat, nel 2010 circa il 53% conduttori di aziende agricole nell’Unione Europea hanno almeno un’età uguale o superiore a 55. Da sottolineare che tale peso medio dei conduttori più anziani è il risultato di situazioni nazionali molto diversificate. L’Italia si colloca, all’interno dell’Unione Europea, tra i Paesi con minore incidenza di conduttori giovani (10% di Polonia e Repubblica Ceca e dell’8,7% della Francia). La questione dell’età dei conduttori può essere ulteriormente approfondita facendo ricorso a un “indice di sostituzione” che misura il rapporto tra il numero di conduttori con meno di 35 anni e quello maggiore di 55 anni. Quanto più questo rapporto è basso, tanto più il grado di sostituzione tra nuove e vecchie generazioni è compromesso. Questo indicatore è molto utile perché fornisce indirettamente un’idea di quanto succederà in un futuro piuttosto prossimo. Nel 2010, l’indice di sostituzione dell’Italia è pari all’8%, contro il 20% di Francia e Germania e addirittura il 52% della Polonia. In sostanza, l’indice ci dice che in Italia c’è un giovane (< 35) per ogni dodici anziani (sopra i 55 anni), mentre in Francia e Germania ve ne è uno per ogni cinque over 55 e in Polonia il rapporto è di uno a due. Il problema fondamentale, quindi, legato ad un indice di sostituzione così basso, è quello del ricambio generazionale da doversi compiere nell’arco di circa 10-15 anni. Unico segnale positivo per l’Italia è la riduzione tendenziale dell’indice di sostituzione, che passa all’attuale 8% dal 4% del 2007. Passando all’aspetto concernente l’istruzione, l’Italia è tra gli Stati membri con i più bassi livelli di formazione agraria dei capi azienda. I dati forniti da Eurostat per l’anno 2005 mostrano che l’88,8% dei capi di azienda possiede una formazione esclusivamente pratica ed il restante 11,2% una formazione agraria elementare (8,2%) o completa (3,1%). Questi dati evidenziano una disparità rispetto a quanto registrato per UE (27), dove il 20% dei capi azienda possiede una formazione agraria elementare o completa . 3 Convenzionalmente una Uls equivale a 150 giorni di lavoro anno. 9 In particolare la percentuale di conduttori senza titolo di studio cresce progressivamente, passando dalle categorie più giovani a quelle più anziane. In modo simmetrico si può leggere la frequenza dei diversi titoli di studio per singole classi di età. Il titolo di laurea è prevalente nelle classi più giovani, ma resta molto basso (raggiunge il 14% nella classe tra 25 e 29 anni, mettendo assieme laurea specialistica con altre lauree). Il livello di licenza superiore è il più frequente nelle classi fino a 29 anni, per poi cedere la prima posizione alla licenza media (51% nella classe tra 40-49 anni; 42,8% nella classe successiva) (Albani e altri, 2012). A partire dalla classe dai 60 anni in su, è la licenza elementare a prevalere, fino a raggiungere il 74,7%nella classe di età superiore ai 75 anni. Va comunque evidenziato che nelle classi di età che comprendono i giovani (fino a 40) i titoli di studio di licenza superiore e di laurea specialistici mostrano la frequenza più elevata; al contrario, nelle classi da 60 anni in su prevalgono le licenze elementari o la mancanza di titolo. È interessante notare che tra le lauree e i diplomi pesano in modo significativo i titoli non specialistici rispetto a quelli conseguiti in campo agrario. Ciò rivela, da un lato, la scarsa importanza che si dà ad una preparazione di tipo tecnico per la conduzione di un’azienda agraria, dall’altro, la probabile significativa presenza di aziende part time, di tipo residenziale e hobbistico. Tuttavia, la presenza di un significativo numero di diplomati e laureati anche in discipline non agrarie, va comunque visto come un fattore di crescita della formazione dei conduttori aziendali che può avere importanti ripercussioni sul loro livello imprenditoriale e manageriale. Le competenze professionali dei lavoratori indipendenti devono essere necessariamente trasversali e riguardare più settori di produzione (viticolo, olivicolo), più fasi (produzione, trasformazione, commercializzazione), più operazioni colturali (potatura, lavorazione del terreno), la trasversalità è necessaria perché spesso lavorano singolarmente in aziende con più processi e prodotti. I lavoratori indipendenti, oltre ai lavori manuali, sono anche imprenditori; la funzione imprenditoriale rappresenta la loro attività principale, implica una specifica formazione professionale e si esercitata attraverso scelte di gestione e di organizzazione aziendale. 4.2) I lavoratori dipendenti I lavoratori dipendenti in Italia sono 519 mila. L’elaborazione dei dati forniti dalle indagini Excelsior 20144 permette di indagare i caratteri e le evoluzione che nello specifico interessano la domanda di lavoro nel settore agricolo italiano. L’indagine in particolare fornisce informazioni utili ad analizzare sia sul piano quantitativo sia su quello qualitativo i caratteri delle previsioni di assunzioni di dipendenti stabili e di dipendenti stagionali dichiarate dalle imprese agricole italiane. Il primo elemento da segnalare riguarda la ridotta incidenza delle imprese agricole che nel 2014 manifestavano l’intenzione di fare assunzioni di dipendenti stabili (4,3% del totale delle imprese con nuove assunzioni). Viceversa appare netta la prevalenza delle aziende agricole che intendevano assumere personale saltuario e/o stagionale (88,5% del totale delle imprese con nuove assunzioni)5. Secondo l’indagine Excelsior 2014 la maggioranza delle imprese 4 A differenza dell’indagine Istat sulle Forze di lavoro (che peraltro considera il fenomeno dal lato dell’offerta), la rilevazione Excelsior non si riferisce all’intero settore, ma alle imprese con almeno un dipendente medio stabile o stagionale per almeno due trimestri dell’anno. 5 La percentuale d’imprese che nel 2014 intendevano assumere lavoratori stabili manifesta valori diversi secondo le specializzazioni produttive. Ad esempio, le imprese della silvicoltura si attestano su valori superiori al 7%, a fronte del 3% di chi svolge attività miste agricole e zootecniche. L’incidenza delle imprese che nel 2014 intendevano assumere lavoratori stabili è disomogenea anche livello territoriale. Nell’Italia centrale, infatti, la percentuale sale al 7,5%, mentre si riduce al 2% nel Mezzogiorno, più orientato al lavoro stagionale anche in considerazione del diverso mix produttivo. Un terzo delle imprese (33,8%) manifestano invece l’intenzione di fare ricorso a contoterzisti (fenomeno più diffuso nel Centro-Nord che nel Mezzogiorno), mentre quattro quinti delle stesse (80,9%) intendono usufruire di consulenti esterni. 10 (60%) non valuta necessario, infatti, un ulteriore ricorso a dipendenti fissi in quanto ritiene che il personale stagionale e/o saltuario sia in grado di sopperire completamente ai fabbisogni occupazionali. Parallelamente sono le imprese con fatturato in aumento, esportatrici e che hanno sviluppato nuovi prodotti/servizi a essere maggiormente interessate ad assumere personale stabile. L’analisi del flusso di assunzioni di lavoratori stabili previsto per il 2014 fornisce nuove informazioni. Innanzitutto si evidenzia che saranno 10.900 le unità lavorative inserite nelle imprese agricole con contratti a tempo indeterminato, l’83% dei quali dovrebbe essere assunto da aziende con meno di 10 dipendenti. Sul piano delle specializzazioni produttive, la maggior parte dei nuovi assunti stabili (6.000 unità, tre quarti del totale) dovrebbe trovare posto nelle aziende specializzate nelle coltivazioni agricole e allevamenti e in quelle con servizi connessi all’agricoltura (2.700 unità). Sul piano territoriale, circa il 44% delle assunzioni di personale stabile programmato è previsto nel Mezzogiorno (4.800 unità), un altro quarto (2.200 unità) nell’Italia centrale, mentre nel Nord Ovest e nel Nord Est sono previste 2.000-1.900 assunzioni. L’indagine identifica le assunzioni in termini di gruppo professionale, qualifiche richieste, livello di formazione, esperienza e tipologie contrattuali permettendo così di svolgere un’analisi dettagliata dell’evoluzione del mercato del lavoro anche sul piano qualitativo (Unioncamere, 2014). Tra le assunzioni stabili, dal punto di vista dei gruppi professionali, si evidenzia una maggiore richiesta di figure tecniche e commerciali (19% del totale), di operai e agricoltori specializzati (43%) e di conduttori di impianti e macchinari agricoli (16%). Il flusso di assunzioni stabili previste per il 2014 si manifesta, quindi, con un profilo molto orientato alla qualità professionale e ben differenziato. Considerando nel dettaglio i dati relativi alle singole figure professionali si evidenzia che la figura maggiormente richiesta risulta essere quella dell’addetto alle coltivazioni agricole miste o non specificate (1.500 assunzioni), seguita dal vivaista e dal cameriere nelle imprese agrituristiche (500 unità), dal conduttore di macchinari agricoli per taglio e raccolta e dal viticoltore (400 assunzioni). Nel gruppo degli operai specializzati addetti alle coltivazioni e agli allevamenti si segnala la richiesta di: potatori, di addetti alle coltivazioni agricole miste o non specificate, di viticoltori, di orticoltori, di vendemmiatori, di conduttori di macchine per la raccolta di prodotti agricoli, di vivaisti, di conducenti di trattore agricolo, di olivicoltori e di mungitori. Il livello di formazione prevalentemente richiesto per l’assunzione è quello del completamento della scuola dell’obbligo (61,7%) ma anche il possesso di una laurea o di un diploma. Al riguardo è interessante evidenziare la crescita nella domanda di laureati e diplomati che è passata, dal 16% circa del 2004 al 28% del 2014. La quota di assunzioni stabili per cui è richiesta una qualifica professionale è invece pari all’11%. Anche il possesso di un’adeguata esperienza è importante in circa metà delle assunzioni. L’esperienza costituisce un requisito fondamentale per l’assunzione del personale dedito a particolari tipologie di professioni (conduttore di macchinari agricoli per taglio e raccolta, cantiniere, cameriere, ecc.), perché garantisce maggiore qualità nei processi di lavorazione o nei servizi offerti. Considerando, infine, le tipologie contrattuali tra le assunzioni stabili si segnala un prevalente ricorso ai contratti a tempo determinato (62% del totale delle assunzioni). Si segnala che una parte delle assunzioni a termine (7%) sono previste nell’ottica di un periodo di prova per nuovo personale da inserire poi stabilmente, assumendo quindi in realtà un certo carattere di ingresso permanente. La quota delle assunzioni stabili che prevedono la sottoscrizione di contratti a tempo indeterminato è pari invece al 37% del totale. Particolarmente significativo appare, inoltre, il divario tra l’andamento occupazione delle imprese con attività secondarie e/o dedite ad attività innovative o emergenti e quello delle imprese tradizionali, che svolgono cioè esclusivamente l’attività agricola. Infatti, il numero di 11 entrate di dipendenti stabili previsto per le imprese multifunzionali è, nel 2012, pari a 5.800 unità (circa due terzi del totale), mentre per quelle senza attività secondarie non si superano le 3.400 unità (Unioncamere, 2014). I lavoratori stagionali e saltuari rappresentano la componente largamente maggioritaria del lavoro agricolo in Italia. L’indagine Excelsior prevede che nel 2014 il ricorso a queste figure avrebbe raggiunto (in termini di contratti e non di persone)6 le 584 mila unità, corrispondenti a circa 361mila unità lavorative standard (Uls). Il ricorso al lavoro stagionale ed avventizio manifesta negli anni un trend crescente evidenziando in particolare un aumento del 10% rispetto al 2013. Questo incremento è accompagnato da un progressivo aumento del numero di giornate per cui le imprese prevedono che questi lavoratori siano mediamente impiegati. Il numero medio di giornate di lavoro previste pro capite è, infatti, passato da una media di 80 tra il 2001 e il 2003 a 94 nel 2014. Il maggior numero di giornate di lavoro pro capite è in particolare previsto nelle produzioni zootecniche, nella silvicoltura e nel florovivaismo e coltivazioni di serra, attività caratterizzate da una maggiore continuità produttiva. Il numero di giornate medie previste di impiego aumenta inoltre al crescere della dimensione di impresa. Sul piano territoriale si evidenzia che nel Nord Est il numero di giornate previste di impiego per ciascun lavoratore stagionale (80 giornate) è inferiore al valore medio nazionale (94 giornate). Dai dati riguardanti le singole figure professionali si evidenzia che tra i lavoratori stagionali ed avventizi emerge una marcata prevalenza della richiesta di operatori agricoli generici addetti alla raccolta che costituiscono il 35% delle previsioni complessive di assunzione di lavoratori stagionali. Nell’ambito di questo gruppo è consistente la richiesta di coglitori di frutti e ortaggi, di raccoglitori a mano di prodotti agricoli (50 mila unità), di addetti alla raccolta delle olive e di addetti alla raccolta dell’uva (28 mila unità e 26,8 mila unità ciascuno). Il livello di formazione prevalentemente richiesto per l’assunzione di lavoratori stagionali è quello del completamento della scuola dell’obbligo (83%) e una qualifica professionale nell’8,6% dei casi. Il possesso di un’adeguata esperienza è importante anche per i lavoratori stagionali e avventizi nel 51,7% delle assunzioni previste. Il flusso di assunzioni stabili previste per il 2014 si manifesta, quindi, con un profilo molto orientato alla qualità professionale e ben differenziato rispetto a quello riguardante il lavoro stagionale che viceversa appare più orientato alle mansioni operative e manuali Particolarmente significativo appare, inoltre, il divario tra l’andamento occupazione delle imprese con attività secondarie e/o dedite ad attività innovative o emergenti e quello delle imprese tradizionali, che svolgono cioè esclusivamente l’attività agricola. Infatti, il numero di entrate di dipendenti stabili previsto per le imprese multifunzionali è, nel 2012, pari a 5.800 unità (circa due terzi del totale), mentre per quelle senza attività secondarie non si superano le 3.400 unità. 4.3) I lavoratori migranti in agricoltura Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio sulle aziende e gli operai agricoli dell’Inps nel 2011 erano circa 126 mila i lavoratori migranti impegnati nel settore agricolo italiano pari al 12,4% del totale della forza lavoro attiva in agricoltura. Le stesse rilevazioni evidenziano la crescita negli ultimi anni della numerosità dei lavoratori migranti impegnati nel settore agricolo italiano. Si tratta di lavoratori provenienti prevalentemente da Bangladesh, Marocco, India, Albania, Pakistan, Malawi, Tunisia, Sri Lanka, ex-Jugoslavia. A questi bisogna aggiungere un numero altrettanto rilevante di lavoratori provenienti da Paesi neo-comunitari (in particolare Romania e Polonia). Un primo carattere qualitativo sull’utilizzazione dei lavoratori in agricoltura in funzione di professionalità e attitudini nonché di aspettative occupazionali, è spesso collegato alla loro 6 L’indagine indica il numero dei contratti e non di persone, il che significa che se una stessa persona è assunta due volte a distanza di tempo sono attivati due contrati ma la persona è una sola. 12 nazionalità. Ad esempio, indiani e pakistani, anche per motivi religiosi, trovano occupazione nel governo del bestiame, mentre polacchi e albanesi sono impiegati nell’attività selvicolturale, a impiego plurimo, generalmente poco specializzato, i lavoratori provenienti da altri paesi, soprattutto africani, e con poca possibilità di scelta occupazionale. A livello nazionale vi è una sostanziale prevalenza dell’impiego dei migranti in operazioni connesse alle coltivazioni arboree, riconducibili alla raccolta della frutta, seguita dalla potatura degli arboreti e da talune operazioni manuali di cura della vite da tavola. Tale preponderanza appare in linea con i fabbisogni lavorativi espressi da tali tipologie di operazioni, sia in valore assoluto sia per le specifiche caratteristiche di forte concentrazione in archi temporali ristretti e di assenza di pratiche colturali meccanizzate che le possano sostituire. Nelle regioni del Nord prevale l’impiego dei migranti nella frutticoltura, in questo contesto territoriale un peso importante è da attribuirsi anche alla zootecnia, non solo per la diffusione del comparto nell’area, quanto per la maggiore esigenza di manodopera espressa dall’imprenditoria e non soddisfatta dalla forza lavoro locale. Anche nelle regioni centrali l’impiego è essenzialmente nelle colture arboree specializzate e nella zootecnia ma anche a una serie di attività e di servizi non ricollegabili ai diversi settori produttivi, che interessano il settore agricolo in maniera trasversale, quali il taglio e la pulizia dei boschi, la manutenzione di strade poderali e di fossi, le attività collegate all’agriturismo e al turismo rurale. Le regioni del Mezzogiorno evidenziano un notevole utilizzo del lavoro dei migranti nelle colture ortive e nelle colture industriali, anche in questa circostanza - come per il Nord -in coerenza con le dimensioni fisiche delle colture e con il loro elevato fabbisogno di manodopera per operazioni colturali da realizzarsi in tempi ristretti, quali la raccolta del pomodoro e delle principali colture a ciclo primaverile-estivo (Cicerchia, Pallara, 2009). Di particolare interesse è la crescita dell’impiego nel settore florovivaistico, segnatamente a causa dell’incremento delle regioni del Nord a maggiore vocazione (Liguria). Proprio l’entità dell’impiego nel florovivaismo, insieme a quella nella zootecnia, esprime un segnale sia pure ancora modesto rispetto all’universo - di tendenza alla continuità del rapporto di impiego, garantita dalla esigenza di lavoro costante, durante tutto l’anno. Un ulteriore aspetto riguarda l’utilizzo dei lavoratori extracomunitari in attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli. A titolo esemplificativo possiamo verificare l’impiego degli immigrati extracomunitari per comparto e fase/operazione colturale (tabella n.2). Tabella n. 2 Impiego degli immigrati per comparto e fase/operazione Comparto Fasi/operazioni Zootecnia Frutticoltura Viticoltura Florovivaismo Trasformazione agroindustriale Altro Governo della stalla e mungitura, macellazione Raccolta, potatura e altre operazioni colturali Vendemmia, potatura e altre operazioni colturali Operazioni colturali varie, compresa manutenzione giardini e alberate Trasformazione e commercializzazione Lavori generici manuali E’ possibile fare delle considerazioni in merito ad alcune caratteristiche del lavoro migrante in agricoltura in Italia anche attraverso un confronto con le peculiarità che in generale si rilevano nell’ambito del mercato del lavoro agricolo italiano. Le principali osservazioni che è possibile formulare riguardano: 1) la netta prevalenza di soggetti di sesso maschile tra lavoratori migranti impegnati nel settore agricolo italiano (80,0%). Questo dato si mostra con maggiore forza se lo si paragona alla composizione di genere che caratterizza il totale dei lavoratori impegnati in Italia nel settore primario (+18,2%); 2) la predominanza di addetti sotto i 39 anni (62,2%) che caratterizza la popolazione 13 dei lavoratori migranti impegnati nel settore agricolo italiano in controtendenza rispetto ai valori che caratterizzano la forza lavoro complessivamente attiva in agricoltura in cui si registra una prevalenza degli over 40 (53,6%); 3) un elevato grado precarietà nei rapporti di lavoro testimoniato da una netta prevalenza di lavoratori che svolgono un numero di giornate inferiore a 100 nel corso dell’anno. Si può, in particolare, osservare la maggiore incidenza tra i migranti dei lavoratori impegnati per meno di 50 giornate all’anno (+4,1%). D’altro canto si registra tra i migranti una maggiore incidenza dei lavoratori con più di 150 giornate all’anno (+2,8%) a testimonianza dei processi di stabilizzazione che gradualmente coinvolgono in Italia anche i lavoratori migranti; 4) questo processo di stabilizzazione dei rapporti di lavoro non è viceversa confermato considerando i dati relativi alla numerosità dei lavoratori migranti titolari di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Si rileva, infatti, una netta prevalenza degli operai a tempo determinato (88,2%) su quelli a tempo indeterminato (13,9%)(Cicerchia, Pallara, 2009). La Regione con la maggiore numerosità di lavoratori migranti in agricoltura è l’Emila Romagna con circa 20,3 mila lavoratori. Seguono la Sicilia che occupa circa 13 mila lavoratori migranti e la Lombardia con circa 11 mila occupati agricoli extracomunitari. In Toscana e in Veneto i lavoratori migranti in agricoltura sono invece circa 10 mila. Le Regioni con la minore numerosità di lavoratori migranti sono infine il Molise, la Sardegna e la Valle d’Aosta che occupano ciascuna meno di 600 lavoratori. Le Regione con la maggiore incidenza di lavoratori migranti in agricoltura sono la Liguria (39,6% del totale), il Piemonte (27,2% del totale), l’Umbria e la Lombardia (26,7% del totale). Quelle con la minore incidenza sono invece la Sardegna (2,2% del totale), la Calabria (3,0% del totale), la Puglia (5,3% del totale). Secondo le stime fornite dall’Istat, in agricoltura si rileva un tasso d’irregolari superiore a quello calcolato per i rimanenti comparti. Nel 2011, infatti, gli occupati non regolari in agricoltura sono 354,2 mila, pari al 37,1% dell’occupazione totale del settore, mentre per le rimanenti attività economiche (Industria, Industria in senso stretto, Costruzioni, Servizi) si stima un tasso d’irregolarità pari al 10,5%. In termini di unità di lavoro, cioè di input di lavoro calcolato secondo gli orari contrattuali standard, la stima è di 305,2 mila unità, pari al 24,8% del totale, contro il 12,2% registrato nei rimanenti settori. Da queste prime evidenze si evince che il fenomeno del sommerso in agricoltura è di proporzioni molto consistenti e ben sopra del tasso di irregolarità complessivo registrato per tutta l’economia (ed è tra i più alti a livello europeo). 5) Multifunzionalità e occupazione nelle aziende agricole In termini generali per multifunzionalità dell’agricoltura ci si riferisce al fatto che questa svolge diverse funzioni che si affiancano a quelle tradizionali di produzione di beni realizzati per il mercato (beni alimentari, fibre, legnami ed altri prodotti) quali quelle ambientali, sociali e culturali oltre che economiche. Alcune funzioni sono intimamente connesse con l’attività agricola, altre dipendono dalle modalità con cui i processi produttivi vengono gestiti dagli agricoltori, altre ancora richiedono attività dedicate. Dal punto di vista economico molte di queste funzioni presentano due caratteristiche specifiche. La prima è quella di essere “congiunte” alla produzione del prodotto agricolo principale (alimenti, fiori, fibre, ecc.). In questa prospettiva, l’agricoltura fornisce contemporaneamente commodity output e non commodity output. In alcuni casi gli output di tipo commodity e non commodity sono legati tra loro da rapporti di complementarietà (es. il mantenimento di sistemi tradizionali di coltivazione può essere favorevole alla biodiversità, al mantenimento del paesaggio e della cultura locale), in altri casi da una competizione (es. elevate rese di produzione possono essere positive per la sicurezza alimentare ma negative per la biodiversità). La seconda caratteristica delle funzioni congiunte dei non commodity output è 14 quella di non poter essere internalizzati nel mercato, attraverso la valorizzazione dei prodotti o la creazione di nuovi mercati; assumono quindi il carattere di beni pubblici e rappresentano delle esternalità rispetto al mercato7. Le maggiori prospettive occupazionali offerte dalle imprese multifunzionali rappresentano ormai un carattere consolidato nel sistema agricolo nazionale. Negli ultimi anni, infatti, pur con le eccezioni del 2008 e del 2011, le imprese con attività multifunzionali sono sempre riuscite a prevedere saldi occupazionali migliori delle imprese strettamente agricole, da queste considerazioni la necessità di approfondire i processi occupazionali in quest’ambito. Le funzioni più correntemente attribuite all’agricoltura, alle quali è possibile associare incrementi occupazionali e profili professionali nelle aziende agricole, sono le seguenti: 1) produzione di beni alimentari quantitativamente sufficienti, salubri e di qualità; 2) produzione di sevizi vendibili quali ad esempio i servizi turistici, ricreativi, terapeutici, didattici; 3) sviluppo socio economico delle aree rurali (con particolare riferimento a quelle svantaggiate e marginali); 4) funzione culturale dell’agricoltura; 5) funzione ambientale. Produzione di beni alimentari quantitativamente sufficienti, salubri e di qualità. Nelle economie sviluppate emergono nuovi bisogni di produzioni tipiche e locali, più rispondenti ad un pubblico evoluto in cerca di genuinità, oltre che di salubrità e di qualità8. Una modalità di valorizzazione del prodotto è la istituzione delle DO (Denominazione d’Origine Protetta; Indicazione Geografica Protetta). Una ulteriore modalità di valorizzazione del prodotto agricolo a vantaggio del produttore consiste nell’accorciare la catena distributiva attraverso l’assunzione di funzioni attribuite normalmente ad un intermediario esterno: selezione del prodotto, trasformazione e confezionamento, vendita diretta o corrispondenza tramite rete telematica; gestione dei panieri diversificati distribuiti direttamente al consumatore finale. In ogni caso si diversificano e si qualificano le professionalità e si incrementa l’occupazione in agricoltura. Produzione di servizi vendibili quali ad esempio i servizi turistici, ricreativi, terapeutici, didattici; la localizzazione ambientale suggerisce all’agricoltore attività e redditi in varie forme: alloggio e ristorazione; i servizi ricreativi, dai maneggi alla pesca sportiva alla caccia (aziende agro-turistico venatorie, faunistico venatorie), all’affitto di biciclette per escursioni; l’organizzazione di soggiorni per anziani e le attività terapeutico-riabilitativo e di recupero 7 In un mercato perfettamente concorrenziale i prezzi rappresentano l’unico segnale di mercato: ciò che è efficiente per le singole imprese e famiglie è efficiente anche per l’intera economia ed i prezzi privati coincidono con i prezzi sociali cioè con il loro costo opportunità sociale. Il mercato concorrenziale porta all’efficienza economica solo se i prezzi privati delle imprese coincidono con i prezzi sociali, i quali comprendono il valore di tutte le risorse presenti e future utilizzate dall’impresa: in altri termini il mercato funziona quando il bilancio privato dell’impresa coincide con il suo bilancio sociale. Quando i due “bilanci” divergono ciò implica un’inefficienza dell’economia di mercato, nonché l’esistenza di prezzi privati diversi da quelli sociali: l’esistenza di un divario tra prezzi privati (ad esempio dell’automobile) e prezzi sociali segnala l’inefficienza di mercato e rappresenta il valore dell’esternalità (inquinamento causato dall’uso dell’automobile) associata a tale inefficienza. Se il prezzo privato dell’automobile includesse anche il costo dell’esternalità negativa costituito dal costo dell’inquinamento, il nuovo prezzo privato (a questo punto uguale a quello sociale) sarebbe più elevato del precedente; ma al nuovo prezzo privato più elevato le automobili domandate e acquistate sarebbero un numero inferiore. La conclusione è che se esiste un’esternalità negativa (non pagata) il prezzo privato di mercato è inferiore a quello sociale e quindi la quantità consumata (di automobili) è maggiore di quella socialmente efficiente. Se, viceversa, esiste un’esternalità positiva il prezzo pagato privato è superiore di quello sociale e la “quantità” domandata del bene è minore di quella socialmente efficiente. Un’esternalità negativa può essere parzialmente corretta con una tassa su chi inquina, mentre un’esternalità positiva può essere parzialmente corretta con un sussidio. Le esternalità possono essere di due tipi: esternalità tecniche ed esternalità pecuniarie. 8 “Un prodotto agro-alimentare tipico è l’esito di un processo storico collettivo e localizzato di accumulazione di conoscenza contestuale che si fonda su una combinazione di risorse territoriali specifiche sia di natura fisica che antropica che dà luogo ad un legame forte, unico e irriproducibile col territorio di origine” (Belletti e al. , pag. 178, 2006). Gli strumenti legislativi, come le DO, costituiscono segnali di qualità ed una “chiusura istituzionale” interpretabile come un ponte tra produttore locale e consumatore globale (Polidori, Romano, 1997) oltre a rappresentare per il produttore una posizione di monopolio legata al possesso del fattore terra (Rocchi, Stefani, 2001). 15 sociale (ricavandone un compenso erogato dal settore pubblico che si configura come un integrazione al reddito aziendale -esperienze in Olanda e Francia -); apertura aziendale alle scolaresche e alla didattica (le fattorie didattiche). In questi casi l’offerta di tali servizi assolve anche a funzioni sociali e culturali; fornisce lavoro ed occupazione al personale familiare e/o esterno La produzione di tutti i servizi vendibili comporta l’acquisizione di nuove competenze professionali ed l’incremento di occupazione qualificata. Sviluppo socio economico delle aree rurali (con particolare riferimento a quelle svantaggiate e marginali). Questa funzione consiste nel contributo al mantenimento della comunità rurale, alla sua coesione sociale – misurabile dalla numerosità e frequenza delle reti di scambio economico, sociale e culturale – e dal contributo alla qualità delle zone rurali, fruibili sia dalla popolazione che vi risiede o vi lavora sia da quanti vi si recano per scopi turistici e ricreativi. Le attività agricole più vocate alla produzione di occupazione sono gli ordinamenti intensivi di ortaggi, frutta, fiori; l’agricoltura di qualità; Nelle realtà svantaggiate e marginali assumono particolare importanza le tipologie familiari pluriattive in cui una famiglia estesa individua ruoli ben diversificati per i suoi componenti, allocandoli tenendo conto delle loro caratteristiche di età, genere, e abilità, in modo da massimizzare il reddito complessivo familiare. A proposito delle caratteristiche di genere, particolarmente importante è la differenza di struttura e di comportamento tra aziende a conduzione maschile e femminile specialmente negli ultimi dieci anni. In questo periodo si delinea un cambiamento nel ruolo femminile, tradizionalmente subalterno e marginale: il numero delle donne imprenditrici diminuisce molto meno di quello degli uomini e la superficie media delle aziende condotte da donne aumenta ed è in atto una ristrutturazione che rafforza la loro competitività; l’azienda appare come un’opportunità di realizzazione per donne giovani e dinamiche. Anche la politica si è accorta delle potenzialità delle donne a farsi tramite di processi che possono contribuire allo sviluppo rurale e nei programmi dell’UE vi sono misure per l’incentivazione dell’imprenditoria femminile per la riqualificazione professionale femminile e per meglio conciliare il lavoro produttivo con la procreazione. Funzione culturale dell’agricoltura; questa funzione può assumere diversi aspetti dalla conoscenza legata alle caratteristiche dei processi produttivi e del loro interagire con l’equilibrio biologico, alla conservazione del patrimonio culturale immateriale (tradizioni e saperi locali) e materiale (fabbricati, chiese, ecc.), possiamo far rientrare in questa funzione “la conoscenza contestuali”. Per conoscenza contestuale si intende la presenza di un determinato fattore produttivo, materiale o immateriale, che ha la caratteristica di bene collettivo poco trasferibile la cui utilizzazione consente un vantaggio competitivo durevole e accessibile solo a chi fa parte del territorio di cui quel fattore (conoscenza) è patrimonio; Funzione ambientale; in positivo il compito dell’agricoltura consiste nel diversificare i sistemi di produzione, rigenerare le risorse naturali, conservare e sviluppare la biodiversità, tutelare e valorizzare il paesaggio. La funzione ambientale dell’agricoltura si manifesta sia quando l’attività agricola viene a cessare sia attraverso la scelta delle tecniche produttive sostenibili. Dobbiamo ricordare che, tra i settori produttivi, l’agricoltura è quello con le più pesanti implicazioni rispetto al valore del prodotto e che può produrre maggiori benefici all’ambiente. Rispetto all’occupazione la funzione ambientale si esplicita attraverso incrementi di professionalità necessari all’applicazione in azienda dei differenti regolamenti comunitari (tabella n. 3). 16 Tabella n. 3 Funzioni e profili occupazionali nell’agricoltura multifunzionale Funzioni della agricoltura Caratteri della funzione Competenze e qualifiche professionali richieste in azienda Produzione di beni alimentari salubri e di qualità Produzioni tipiche, filiere corte, ecc., Agronomo, Enologo, tecnologo alimentare, esperto in relazioni commerciali e di marketing, ecc. Produzione di servizi vendibili Agriturismo; servizi: ricreativi; terapeutico-riabilitativi; di recupero sociale; didattici. Accoglienza ai turisti; servizi alla persona, ecc.. Sviluppo socioeconomico delle aree rurali Determina l’incremento del benessere della comunità rurale e della sua coesione sociale Famiglie pluriattive; imprenditori donne (aziende relativamente più grandi e competitive) Funzione culturale Conoscenza dei processi produttivi e del loro interagire con l’equilibrio biologico; conservazione del patrimonio culturale materiale e immateriale Diversificare la produzione; rigenerare le risorse naturali; conservare la biodiversità; tutelare il paesaggio. Competenze contestuali come patrimonio non trasferibile del territorio endogenizzazione delle tecniche agricole (destrutturazione/ristrutturazione) Funzione ambientale Competenze per l’applicazione: 1) reg. (CE) 1782/03 (condizionalità : CGO, BPAA); 2) misure agro-ambientali nei PSR (agricoltura biologica, ecc.) Figure professionali a carattere individuale e/o sotto forma di impresa operanti sul territorio Enologo, tecnologo alimentare, esperto in relazioni commerciali e di marketing, ecc.; lavori stagionali (divisione del lavoro a contenuto specifico); imprese di contotersismo; ecc.. Accompagnatore turistico; animatore del tempo libero; guida ambientale; guida turistica. Aziende di: 1) noleggio mezzi di trasporto; 2) servizi turistici. Occupazione dei familiari negli altri settori del territorio rurale (piccole e medie aziende dell’industria, artigianato, servizi). Accompagnatore turistico; animatore del tempo libero; guida turistica. Aziende di: 1) noleggio mezzi di trasporto; 2) servizi turistici. Tecnico faunistico; tecnico agro-ambientale (es. per il monitoraggio degli indicatori agro-ambientali in azienda e sul territorio; tecnico forestale; ecc.. 17 6) Conclusioni L’analisi è stata condotta con l’obiettivo di identificare le peculiarità dell’occupazione in agricoltura con particolare attenzione ai giovani e alle differenti figure professionali. Un primo aspetto generale si riverisce al rallentamento della quota dell’occupazione agricola sull’occupazione totale; la possibilità di portare a termine positivamente i processi di riorganizzazione dell’agricoltura dipende anche da poter avere un adeguato flusso di manodopera. Una criticità nasce invece dall’invecchiamento degli occupati e dalle difficoltà di un ricambio generazionale, questo è un aspetto assolutamente fondamentale perché rallenta la modernizzazione del settore. Un’altra criticità riguarda i bassi tassi di formazione professionale degli operatori agricoli, questo spiega la difficoltà delle aziende a trovare manodopera qualificata e in grado di affrontare e gestire le trasformazioni del settore primario. Un ulteriore elemento critico è legato ai cicli produttivi biologici e alla stagionalità delle operazioni colturali; questo aspetto induce gli imprenditori ad impiegare un alto numero di lavoratori occasionali e precari favorendo così una consistente presenza di lavoro sommerso. Le misure assunte in materia di regolarizzazione del lavoro atipico e degli stranieri non sono state in grado di contrastare efficacemente l’impiego di manodopera irregolare (D’Alessio, 2012). L’indagine Excelsior mostra una differenziazione del mercato del lavoro in agricoltura. In particolare le imprese tendono a richiedere, in termini di mansioni e di competenze, tre grandi tipologie di figure professionali. Tra i lavoratori stabili si cercano da un lato figure specializzate in grado di seguire lo sviluppo di specifiche coltivazioni, la conduzione di macchinari e la gestione di attività zootecniche sotto tutti gli aspetti; dall’altro ci cercano figure con competenze trasversali e capaci di occuparsi di attività che vanno d’allevamento zootecnico alla trasformazione dei prodotti agricoli. Un terzo profilo, essenzialmente presente tra i lavoratori precari e/o migranti, riguarda una figura con compiti prevalentemente manuali che si occupa di raccogliere i prodotti e di accudire agli allevamenti. A questa differenziazione partecipa attivamente anche l’agricoltura multifunzionale che, oltre a produrre beni e servizi, crea anche occupazione e nuove figure professionali sia in azienda sia sul territorio. L’occupazione in azienda si differenzia rispetto al passato per i differenti livelli di professionalità “dei lavori” legati direttamente alla produzione agricola tradizionale quali ad esempio l’enologo, il curatore di marketing sia per l’emergere di “lavori” non legati alla produzione agricola tradizionale ma congiunti a questa (accoglienza turisti nell’agriturismo, servizi alla persona, ecc.). Ma l’agricoltura multifunzionale crea occupazione anche sul territorio basta pensare alla presenza di molte nuove figure professionali a carattere individuale e di impresa. 18 ALLEGATO La domanda di migranti in tre regioni italiane Piemonte La domanda di manodopera immigrata è elevata soprattutto in quei comparti produttivi e per quelle operazioni colturali per cui la disponibilità di manodopera rappresenta un elemento estremamente critico, essendo il lavoro umano difficilmente sostituibile con quello meccanico; si pensa, in particolare, alle operazioni ad elevata stagionalità (la vendemmia e la raccolta della frutta) e anche ai processi produttivi richiedenti elevata specializzazione ovvero una certa “predisposizione” da parte degli operatori, in primis, la cura e l’alimentazione degli animali. La viti-frutticoltura assorbe la gran parte della manodopera extracomunitaria: infatti, si stima che moltissimi immigrati (circa l’80% del totale) che annualmente trovano occupazione in agricoltura nella regione subalpina svolgano attività a carattere stagionale riguardanti specialmente la raccolta, la cernita e l’immagazzinamento della frutta e dell’uva. Una quota notevole d’immigrati è inoltre assorbita dalle imprese orientate alla zootecnia. Estremamente ricercati dagli allevatori del cuneese e del torinese - e spesso contesi dagli imprenditori dei limitrofi comprensori zootecnici della Pianura Padana - sono gli immigrati cechi, rumeni, pakistani e indiani dei quali è apprezzata la bravura nell’occuparsi del governo della stalla, della mungitura, della vigilanza e della cura del bestiame in genere. Il contributo della manodopera immigrata si rivela indispensabile al fine di consentire lo sfruttamento, durante la stagione estiva, delle malghe e delle superfici foraggere in quota. Un altro settore nel quale trovano impiego i lavoratori stranieri è quello ortoflorovivaistico; nel caso dell’orticoltura essi si occupano, in particolare, della raccolta e della preparazione del prodotto per la commercializzazione, mentre nel caso della floricoltura in ambiente protetto e del vivaismo essi collaborano a tutte le operazioni connesse alla produzione e alla commercializzazione dei prodotti. Altre attività – residuali sotto il profilo quantitativo – riguardano l’impiego presso le aziende cerealicole e nel settore delle utilizzazioni forestali. Un certo peso ha, infine, la manodopera immigrata coinvolta nell’attività di trasformazione e commercializzazione dei prodotti di origine animale, in particolare carni avicole, suine e bovine. Toscana Il lavoro svolto dagli immigrati è di natura soprattutto stagionale con un’ampia mobilità sul territorio e nell’arco dell’anno in sostituzione dell’offerta di lavoro locale, sempre più carente in agricoltura. I comparti produttivi nei quali la manodopera extracomunitaria trova occupazione in Toscana, sono costituiti prevalentemente dalle colture arboree (1/4 dei lavoratori complessivamente stimati), dalla zootecnia e dalle colture ortive, mentre l’attività svolta è costituita prevalentemente dalla raccolta delle diverse colture. Alcuni lavoratori sono, inoltre, utilizzati anche in attività di trasformazione per le produzioni lattiero-casearie e di confezionamento nel settore florovivaistico. Con riferimento al numero di occupati si può osservare che, rispetto alla media nazionale, una quota consistente di lavoratori extracomunitari svolge in Toscana una serie di attività e di servizi non ricollegabili ai diversi settori produttivi, ma che interessano il settore agricolo in maniera trasversale, quali il taglio e la pulizia dei boschi, la manutenzione di strade poderali e di fossi, le attività collegate all’agriturismo e al turismo rurale. Si segnala, inoltre, la presenza di manodopera extracomunitaria femminile, legata ad attività di carattere stagionale nelle aziende con agriturismo, nelle quali gli immigrati svolgono prevalentemente attività domestiche. Calabria Attività svolte, fasi ed operazioni colturali e comparti produttivi - Le attività svolte dagli 19 immigrati irregolari nelle aziende agricole calabresi sono prevalentemente attività stagionali concentrate nel periodo della raccolte delle varie colture. In estate quindi la raccolta dei pomodori, delle pesche e delle patate; in autunno le olive ed in inverno fino alla primavera gli agrumi. Un numero consistente d’immigrati è poi impiegato nel comparto zootecnico; gli immigrati impiegati in questo settore lavorano quasi tutti per l’intero anno e sono impegnati nelle attività della tenuta delle stalle e della pastorizia. Le aziende presso le quali questi immigrati lavorano sono prevalentemente aziende condotte da anziani e con una consistenza di 150-200 capi di bestiame per quanto riguarda l’allevamento di ovicaprini e di almeno 20 capi per quanto riguarda i bovini. I proprietari delle aziende assumono questi lavoratori extracomunitari perché c’è scarsa disponibilità di manodopera locale nelle attività legate alla pastorizia a causa dei bassi livelli salariali e delle pessime condizioni di vita e di lavoro, mentre gli immigrati si adattano a qualsiasi tipo di lavoro e accettano salari anche molto bassi. Non abbiamo dati circa la presenza di manodopera extracomunitaria impiegata nelle imprese di trasformazione e commercializzazione. Si può supporre, a questo proposito, che i maggiori controlli da parte degli organi preposti limitino il ricorso alla manodopera irregolare. Inoltre, la maggior parte delle imprese di trasformazione e commercializzazione, di piccole dimensioni e fortemente radicate sul territorio, preferisce impiegare personale locale sia per contribuire allo sviluppo economico-sociale dell’area in cui sorgono (incremento del tasso di occupazione locale), sia perché in questi contesti il rapporto tra datore di lavoro e impiegato è fortemente caratterizzato dalla conoscenza e dalla fiducia reciproca. I comparti chiave, nei quali sono impiegati gli immigrati, risultano confermati (zootecnia, orticoltura, agrumicoltura e olivicoltura), come pure le fasi e le operazioni che li vedono maggiormente coinvolti (raccolta per il comparto ortofrutticolo e pastorizia e tenuta stalle per la zootecnia). Si rilevano recentemente casi di impiego di immigrati nella attività di diversificazione dove svolgono funzioni di supporto alla ristorazione (preparazione e servizio ai tavoli), nonché di pulizia locali e camere. 20 Bibliografia Albani C., e altri, (2013), I giovani e il ricambio generazionale nell’agricoltura italiana, INEA, Roma. Cicerchia M., Pallara P., (2009), (a cura di), Gli immigrati nell’agricoltura italiana, INEA, Roma. D’Alessio M., (2012), Evoluzione del collocamento e mercato del lavoro in agricoltura, Rivista AE, n.12, Eboli M. T., (2004). L’agricoltura multifunzionale: un contributo metodologico per la misurazione,in “Verso il riconoscimento di una agricoltura multifunzionale” (a cura di Henke R.), INEA, Roma. Henke R., Povellato, (2012), La diversificazione nelle aziende agricole italiane, INEA, Roma. Henke R., Salvioni C., (2013), I redditi in agricoltura: processi di diversificazione e politiche di sostegno, INEA, Roma. Unioncamere, (2014), Progetto Excelsior – Sistema informativo per l’occupazione in agricoltura – Roma. 21