Pescatori
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Pescatori
Pescatori (…) Con oltre 600 chilometri di coste, il Senegal vantava fino a pochi anni fa uno dei mari più pescosi del mondo. Fino a quando non sono arrivati gli europei, i cinesi, i giapponesi, i coreani, che si portano via le qualità di pesce più pregiate, quelle che noi vogliamo trovare al supermercato. Già, perché buona parte delle orate, delle cernie, dei gamberoni e delle sogliole che ci troviamo nel piatto arrivano proprio dall’aeroporto di Dakar. I senegalesi non ne mangiano più e nemmeno riescono a guadagnare qualcosa dai nostri prelibati pasti, perché anche chi cattura e rivende queste nobili varietà di pesce è straniero. A fare man bassa sono i pescherecci industriali di proprietà europea o asiatica. Oggi, per poter pescare queste specie tanto redditizie, i pescatori dovrebbero spingersi troppo lontano dalla costa e le loro piroghe di legno, quelle colorate con le scritte che chiedono protezione ad Allah, non sono in grado di affrontare il mare aperto. Chi ci ha provato, ha pagato con la vita. Da tempo i pescatori artigianali chiedono al governo di sospendere il rilascio delle licenze di pesca ai Paesi stranieri, in primis all’Unione Europea, per arginare uno sfruttamento forsennato delle risorse ittiche, che rischia di lasciare il mare senza pesci nel giro di pochi anni, i pescatori in disoccupazione e gli abitanti del Paese senza proteine nella dieta. Il governo ribatte che i soldi che l’UE sgancia in cambio delle licenze di pesca, prima voce di entrata di valuta straniera, sono essenziali per evitare il dissesto del bilancio. Il decimo accordo di pesca fra il Senegal e l’Unione Europea è stato siglato nel 2002 e scadrà nel novembre 2006: permette ai nostri. barconi di pescare fino a 8.000 tonnellate di pesce all’anno in cambio del pagamento di 64 milioni di euro. La situazione è addirittura peggiore per quanto riguarda i rapporti con Cina, Giappone e Corea: non esistono accordi formali con questi Paesi e il governo del Senegal rilascia una licenza per ogni peschereccio, senza stabilire la quota massima che è possibile pescare. I governi asiatici si sdebitano attraverso la “cooperazione”: quando ne hanno voglia costruiscono uno stadio o una scuola. La pesca è dunque un settore strategico dell’economia nazionale, ma lo sfruttamento irrazionale ha già creato una situazione allarmante: le risorse costiere attuali sono pari circa a un quinto di quelle disponibili nel 1950 e alcune specie, come le orate e le cernie, sono a rischio di estinzione. Il governo del Senegal ha da sempre optato per una gestione delle risorse ittiche decisamente orientata verso l’esportazione, anteponendo l’esigenza di far cassa con la vendita delle licenze alla sicurezza alimentare dei senegalesi (il cui fabbisogno di proteine animali è coperto per il 75% dal pesce) e alla tenuta occupazionale del settore della pesca artigianale, che impiega circa 600mila persone. Il bisogno di liquidità del governo senegalese e la crescente richiesta di pesce pregiato del mercato europeo determinano un sempre maggiore sfruttamento delle risorse ittiche che si regge su tecniche di pesca irresponsabili, come il ricorso alla dinamite, alle reti a strascico e a reti con maglie troppo fitte che intrappolano i pesci prima che raggiungano la maturità sessuale, impedendone la riproduzione. Ad esempio, per pescare un chilo dei gamberi che a noi piacciono tanto, restano nella rete anche 3 chili di piccoli pesci che vengono buttati via. Da anni gli organismi di rappresentanza dei pescatori artigianali invocano la totale revisione delle politiche adottate dal governo senegalese in materia di gestione delle risorse ittiche e degli accordi con l’Unione Europea. Ma fino ad oggi hanno ottenuto ben poco. “Gli ultimi accordi con l’Unione Europea sono stati firmati senza di noi, a tradimento” denuncia Amadou Wade, segretario del coordinamento nazionale (…) che riunisce oltre 17mila pescatori artigianali. “Dopo otto turni di negoziati, ai quali eravamo stati ammessi per la prima volta a partecipare, il nono è stato convocato senza avvisarci e in quella sede è stato siglato l’accordo. È folle continuare a firmare accordi proprio con i Paesi che mandano a pescare qui le barche responsabili della costante e drammatica riduzione delle risorse ittiche. Significa uccidere il mare e la pesca artigianale del Senegal. Significa far sparire il pesce dal piatto dei senegalesi. In cambio di niente. Perché i soldi che il governo incassa grazie alla vendita delle licenze, contrariamente a quanto viene sbandierato nei discorsi ufficiali, non vengono usati per sostenere il settore della pesca artigianale”. “Quando i pescatori portano a casa buone quantità di pesce - continua Amadou Wade - la maggior parte marcisce sulla spiaggia perché mancano i moli, le celle frigorifere, i camion refrigerati per portare il pesce all’aeroporto e ci sono pochi voli in partenza per l’Europa. Al governo chiediamo almeno di investire parte dei soldi ricavati dalle vendita delle licenze agli imprenditori stranieri in strutture e infrastrutture a sostegno della pesca artigianale. E invece di quei soldi non abbiamo mai visto nemmeno l’ombra (…)”. Silvia Ognibene altreconomia – agosto 2005