II nuovo modello per la tutela penale

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II nuovo modello per la tutela penale
AMBIENTE E RISORSE
COMMENTO
AMBIENTE&SICUREZZA
La legge 22 maggio 2015, n. 68, è entrata in vigore dal 29 maggio
AMBIENTE
II nuovo modello
per la tutela penale
di Angelo Merlin, M&T avvocati penalisti per l’impresa, Vice-Presidente di ASSORECA
e Roberto Losengo, Losengo Soliani Studio Legale Associato
La legge 22 maggio 2015, n. 68, in vigore dal 29 maggio 2015, rafforza la tutela penale
dell’ambiente nell’ordinamento giuridico italiano. Alle fattispecie penali che sino a oggi sono state indirizzate principalmente alla tutela della funzione amministrativa in campo ambientale (si vedano le numerose ipotesi contravvenzionali incentrate sulla inosservanza o
mancanza delle necessarie autorizzazioni) sono stati aggiunti illeciti penali di natura delittuosa che, oltre ad aggravare sensibilmente il quadro sanzionatorio esistente, prevedono
la punizione di condotte che realmente danneggiano le risorse ambientali e anche la salute, l’incolumità e la vita. La riforma, attesa da diversi anni, presenta, tuttavia, luci e molte
ombre soprattutto per la scarsa qualità tecnica della redazione delle norme e per la grave
mancanza di coordinamento tra la già esistente legislazione ambientale contravvenzionale
prevista dal D.Lgs. n. 152/2006 e le nuove fattispecie delittuose.
A questo primo commento farà seguito, a breve, un numero monografico di
Ambiente&Sicurezza.
REATI CONTRO L’AMBIENTE - LEGGE N. 68/2015 - RIFORMA CODICE PENALE
II nuovo Titolo VI-bis
del codice penale
In attesa del numero monografico
di Ambiente&Sicurezza dedicato interamente – e quindi con una più
ampia e completa trattazione - alla legge n. 68/2015, di seguito sono
passati in rassegna solamente gli
eventi previsti per le 5 ipotesi base
dei nuovi delitti.
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In estrema sintesi il comma 1
dell’art. 1 della legge n. 68/2015:
• introduce nel codice penale il
nuovo Titolo VI-bis denominato
«Dei delitti contro l’ambiente»,
composto da 12 nuovi articoli
dall’art. 452-bis all’art. 452-terdecies;
• introduce all’interno di questo titolo i delitti di:
– inquinamento
ambientale
(art. 452-bis);
–m
orte o lesioni come conseguenze del delitto di inquinamento ambientale (art. 452-ter);
– disastro ambientale (art.
452-quater);
– traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (art.
452-sexies);
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– impedimento del controllo
(art. 452-septies);
– omessa bonifica (art. 452-terdecies);
• prevede che i delitti di inquinamento ambientale e disastro ambientale possano essere commessi con colpa (art. 452-quinquies);
• prevede una nuova circostanza
aggravante speciale per la commissione dei nuovi delitti contro l’ambiente in forma associativa (art. 452-octies) e una
nuova aggravante ambientale
(art. 452-novies);
• disciplina il cosiddetto ravvedimento operoso (art. 452-decies);
• introduce una speciale ipotesi di confisca obbligatoria (art.
452-undecies);
• introduce l’obbligo del ripristino dello stato dei luoghi a seguito di condanna per uno dei delitti previsti dal Titolo VI-bis (art.
452-duodecies).
Come detto, le nuove fattispecie
criminose hanno trovato collocazione nel Libro secondo del codice
penale[1], dopo il Titolo VI riguardante i delitti contro l’incolumità pubblica, in uno specifico Titolo VI-bis, denominato «Dei delitti
contro l’ambiente». La collocazione sistematica, che in sé è un dato
certamente tecnico, si traduce, comunque, in un forte messaggio ai
destinatari circa la riqualificazione
dei beni giuridici in questi settori e
la ferma stigmatizzazione delle relative condotte illecite.
Inoltre, la collocazione degli illeciti ambientali nello stesso Libro, il
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Terzo, dedicato ai reati contro l’incolumità, assume particolare significatività in quanto il legislatore
assume il pregiudizio all’ambiente
anche come presupposto fattuale e giuridico di condotte offensive del bene salute. L’offesa al bene “salute” viene ad aggiungersi
all’offesa-base all’equilibrio ecologico rappresentando un elemento
aggiuntivo, così come dimostra la
previsione dell’art. 452-ter (morte
o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale).
Questa fattispecie rafforza il sistema di tutela dei beni vita e incolumità fisica, prevedendo una severa punizione nell’ipotesi che, da
uno dei fatti di inquinamento ambientale (art. 452-bis), derivi, quale
conseguenza non voluta, la morte
o lesioni personali di un soggetto o
di più persone (morte o lesioni che
non devono essere sorrette da nessun coefficiente di volontà, nemmeno nel grado minimo del dolo
eventuale).
Inquinamento ambientale
(art. 452-bis, c.p)
La prima novità rilevante, anche
per le possibili prime concrete applicazioni giudiziali nei confronti
delle imprese cosiddette “costituzionalmente lecite[2]”, è l’introduzione del delitto di inquinamento
ambientale previsto dall’art. 452bis, c.p. nella forma dolosa e punito
anche, dall’art. 452-quinquies nel
caso in cui sia commesso per colpa.
La previsione risulta costruita come
reato con evento, dove quest’ulti-
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mo è costituito dalla compromissione o da un deterioramento significativi e misurabili dei beni
ambientali indicati ai punti 1) e 2)
del comma 1.
Nel D.Lgs. n. 152/2006 il termine
«compromissione» non è quasi mai
utilizzato e, laddove lo sia [si veda l’art. 77 comma 10, lettera a),
con riferimento alle problematiche
concernenti la tutela dei corpi idrici] non viene impiegato per indicare una situazione di danno attuale,
per il quale si utilizza, invece, il termine “deterioramento” (art. 300,
comma 2[3]).
L’altro unico punto in cui il termine compromissione viene utilizzato è nella Parte BII degli Allegati
alla Parte terza come sinonimo di
deterioramento.
Si potrebbe allora pensare che la
formulazione richiamata abbia carattere “endiadico” e che cioè, nonostante l’uso della congiunzione
“o” il legislatore abbia voluto esprimere un unico concetto.
Questo consentirebbe di ritenere
che, in ogni caso, l’evento da cui
la legge fa dipendere l’esistenza
del reato debba avere carattere
“significativo” e “misurabile” perché risulti integrata la nuova fattispecie.
La «significatività del deterioramento» è una formula ambigua che
potrebbe anche non consentire al
destinatario della norma di avere
una «percezione sufficientemente
chiara ed immediata»[4] della linea
di confine, oltrepassata la quale si
determina l’applicazione delle san-
[1] Anche altri importanti Paesi europei hanno scelto di introdurre fattispecie a tutela dell’ambiente all’interno del loro codice penale; tra questi: Germania, Spagna e Portogallo.
[2] Si veda, in relazione a questa tipologia di imprese e al loro rapporto con l’illecito ambientale G. De Santis, Diritto penale dell’ambiente, Giuffrè,
2012, p. 448.
[3] Per l’art. 300, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006, costituisce danno ambientale il deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, alla biodiversità
(specie ed habitat naturali protetti) nonché allo stato ecologico, chimico e quantitativo delle acque interne e costiere comprese nel mare territoriale
e al terreno.
[4] La Corte Costituzionale ha precisato che i due obiettivi fondamentali sottesi al principio di determinatezza consistono per un verso nell’evitare che, in
contrasto con il principio della divisione dei poteri e con la riserva assoluta di legge in materia penale, il giudice assuma un ruolo creativo, individuando, in
luogo del legislatore, i confini tra il lecito e l’illecito e, per un altro verso, nel garantire la libera autodeterminazione individuale, permettendo al destinatario della norma penale di apprezzare a priori le conseguenze giuridiche della propria condotta (si veda la sentenza della Corte Costituzionale n. 327/2008).
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zioni penali comminate dal nuovo
articolo 452-bis c.p.
Inoltre, non si comprende rispetto
a quale parametro di riferimento si
debba misurare la significatività del
deterioramento.
Mentre le norme sul danno ambientale prevedono che debba
considerarsi tale il deterioramento
significativo misurato rispetto alle
condizioni originarie (art. 300, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006) nel reato
in commento non è specificato se
le qualità delle risorse ambientali
da considerare nell’apprezzamento
dell’eventuale evento siano quelle
originarie o quelle preesistenti.
Quello che dovrebbe rilevare in termini di valutazione dell’evento è il
differenziale tra le condizioni preesistenti (che spesso sono il frutto di
comportamenti distruttivi ripetuti e
consolidati negli anni come accade
nelle falde acquifere contaminate
da vari eventi e con diverse sostanze nocive) e le condizioni successive
alla singola condotta illecita.
Problema che emergerà quando,
in sede processuale, si dovranno
“pesare” scientificamente, ancor
prima che giuridicamente, il contributo causale di singoli inquinamenti provocati da diversi soggetti su
matrici ambientali già largamente
vulnerate da risalenti inquinamenti
causati da molti altri soggetti.
Per definire il carattere illecito della condotta il Legislatore ha adottato l’avverbio «abusivamente» che
ha provocato tante discussioni, soprattutto a livello mediatico.
La questione è certamente delicata
atteso che “abusivamente” introduce una particolare qualificazione
di antigiuridicità e, quindi, potrebbe essere preferibile circoscrivere l’espressione solo a quelle con-
dotte che siano poste in essere in
modo del tutto clandestine, ovvero sganciate da un controllo di tipo
amministrativo e confluenti unicamente nell’orbita dell’illiceità penale.
È però noto che l’avverbio «abusivamente» è già presente nella
normativa sanzionatoria ambientale per descrivere la natura contra ius delle singole operazioni di
gestione di un’ingente quantità di
rifiuti, al fine di integrare il delitto previsto dall’art. 260, D.Lgs. n.
152/2006, all’attività organizzata
per il traffico illecito di rifiuti.
La giurisprudenza ha affermato
che la nozione giuridica di “condotta abusiva” comprende, oltre
a quella cosiddetta “clandestina”
(ossia quella effettuata senza alcuna autorizzazione), anche quella
effettuata con autorizzazioni illegittime o scadute o violando prescrizioni e/o limiti delle autorizzazioni stesse[5].
L’utilizzo di una formula così ampia
non porrà certamente fine al conflitto che spesso si genera tra l’autorità amministrativa che consente
determinate operazioni e la magistratura (soprattutto inquirente e
in fase cautelare) che, in virtù di un
dato magari legato ai principi generali dell’ordinamento (esempio
l’art. 32, Costituzione) scavalca la
decisione presa e considera l’autorizzazione ambientale illegittima equiparandola a una mancanza
della stessa.
Questo fenomeno crea grave incertezza a molte imprese e conflitti istituzionali tra magistratura
e pubblica amministrazione in un
clima che, certamente, non consente di raggiungere uno sviluppo
sostenibile.
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Disastro ambientale
(art. 452-quater, c.p.)
Proseguendo nell’esame delle fattispecie delittuose, nella loro progressione offensiva, il più grave reato di
disastro ambientale (art. 452-quater) prevede «l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema
o la sua alterazione la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali, ovvero l’offesa
alla pubblica incolumità in ragione
della rilevanza oggettiva del fatto
per l’estensione della compromissione ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo».
Anche in questo caso il delitto viene punito sia nella forma dolosa
che in quella meno grave colposa
(art. 452-quinquies).
La fattispecie è volta a disciplinare gli episodi di inquinamento più
gravi e allarmanti sul piano sociale, colmando quel vuoto normativo
che la giurisprudenza aveva riempito utilizzando le previsioni del disastro innominato previsto dall’art.
434, commi 1 e 2, c.p..
In assenza di una norma specifica,
la giurisprudenza ha, infatti, “creato” la figura del cosiddetto «disastro ecologico», attraverso l’affermazione della riconducibilità all’art.
434 c.p. di macroeventi di danneggiamento all’ambiente a carattere
violento e dirompente[6], ma anche
tramite l’affermazione della riconducibilità a esso di fenomeni di progressiva, imponente contaminazione dei suoli, delle acque o dell’aria
con sostanze pericolose per la salute, attuata mediante condotte reiterate e diluite nel tempo[7].
Chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con il principio di determinatezza della formulazione dell’art.
[5] Si veda per tutte, con richiami alla precedente giurisprudenza, la sentenza della Cassazione penale, sez. III, 15 ottobre 2013 – dep. 4 novembre
2013 – n. 44449.
[6] Si veda la sentenza della Cassazione penale, sez. IV, 18 maggio 2007 – ud. 20 febbaio 2007 – n. 19342.
[7] Si veda la sentenza della Cassazione penale, sez. III, 1° marzo 2008 – ud. 16 gennaio 2008 – n. 9418.
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434 del c.p. nella parte in cui punisce il cosiddetto disastro innominato, la Corte Costituzionale (con
sentenza n. 327/2008), nel ritenere
infondata la prospettata questione
di legittimità, ebbe a svolgere alcune importanti considerazioni che
sono utili anche ai fini di una prima
lettura della nuova fattispecie.
Tra tutte, la Corte Costituzionale ha
ritenuto necessaria la compresenza
di due elementi distinti, il primo dei
quali attinente alla natura straordinaria dell’evento disastro, mentre il
secondo è il pericolo per la pubblica incolumità che da esso deve derivare.
Nella
formulazione
dell’art.
452-quater l’elemento “dimensionale” e quello “offensivo” dell’evento sono richiesti non congiuntamente ma disgiuntamente e quindi
«alternativamente».
Questa soluzione può essere forse
coerente con la diversa offensività
dell’ipotesi delittuosa considerata
(e cioè la lesione al bene protetto dell’ambiente piuttosto che alla
pubblica incolumità), ma potrebbe,
tuttavia, ritenersi tale da rendere
opportuno un ulteriore approfondimento circa la compatibilità della
formulazione proposta con il principio di determinatezza di cui all’art.
25, comma 2, Costituzione, alla luce
della diversa impostazione normativa adottata rispetto a quella su cui
si è già pronunciata la Corte Costituzionale[8].
Sempre per esigenze di determinatezza è necessario specificare che
cosa di intende per “ecosistema”
atteso che viene punita l’alterazione irreversibile dello stesso nonché l’alterazione la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa
e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali.
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Non esiste una definizione normativa di ecosistema, ma la Corte Costituzionale, cercando di colmare
il vuoto legislativo che caratterizza
il termine «ambiente» ha provveduto a interpretarlo nella sua più
diffusa accezione, ossia facendo
riferimento alle componenti della biosfera (aria, acqua, suolo) che
riguardano l’habitat umano e che
possono essere pregiudicate dalle
varie forme di inquinamento (atmosferico, idrico, del suolo)[9].
Non è, invece, facilmente comprensibile il testo normativo laddove introduce, nell’incipit dell’art.
452-quater, una clausola di riserva
a favore dell’art. 434 del c.p. («fuori
dai casi previsti dall’art. 434»).
Certo è che non possono sopravvivere, per fatti commessi dopo l’entrata in vigore della nuova legge,
le due diverse tipologie di disastro
ambientale.
Il disastro ecologico che la giurisprudenza ha ricondotto, con soluzioni interpretative non sempre
prive di profili problematici, al paradigma punitivo del disastro innominato oggi forma oggetto di autonoma e specifica considerazione da
parte del legislatore penale che ha
introdotto nuovi spazi di incriminazione con un trattamento sanzionatorio sensibilmente più grave.
Traffico e abbandono di materiale
ad alta radioattività
(art. 452-sexies, c.p.)
È stato, poi, introdotto all’art.
452-sexies il delitto di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività che punisce «chiunque
abusivamente cede, acquista, riceve
trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente
di materiale ad alta radioattività».
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Per il momento è possibile solo
segnalare come non vi sia (nonostante l’utilizzo – nell’incipit del
reato – della clausola «salvo che il
fatto non costituisca più grave reato») un adeguato coordinamento né con la previsione del comma
2 dell’art. 260, D.Lgs. n. 152/2006
(che prevede la pena da tre a otto
anni nei confronti di chiunque, al
fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività
continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa,
o comunque gestisce abusivamente ingenti quantità di rifiuti ad alta
radioattività) né con le disposizioni
di cui alla normativa “speciale” sui
rifiuti radioattivi.
Inoltre, non esiste, in relazione
ai problemi di tipicità e precisione, alcuna definizione normativa
di «materiale ad alta radioattività» che, certamente, non coincide
con la “materia” radioattiva , definita dall’art.4, comma 2, lettera s),
D.Lgs. n. 230/1995, come «sostanza o insieme di sostanze radioattive
contemporaneamente presenti».
Impedimento del controllo
(art. 452-septies, c.p.)
Tra i nuovi reati merita qualche cenno anche una figura delittuosa che
tutela i cosiddetti “beni strumentali”, ovvero il reato di impedimento del controllo previsto dall’art.
452-septies.
Viene punito «salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque,
negando l’accesso, predisponendo
ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza
e controllo ambientali e di sicurezza
e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti».
[8] Si veda, in tal senso, anche P. Molino, Relazione sulla legge n. 68 del 22 maggio 2015, Corte di Cassazione, Ufficio del Massimario, Settore penale,
29 maggio 2015, all’indirizzo web http://www.penalecontemporaneo.it/materia/-/-/-/3969-la_riforma_dei_delitti_contro_l_ambiente/
[9] Si veda la sentenza della Corte Costituzionale n. 12/2009.
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Occorre preliminarmente osservare che non convince del tutto la
collocazione topografica di questo
reato nel nuovo Titolo VI-bis del codice penale in quanto la fattispecie
in esame mira a salvaguardare il regolare esercizio del controllo e non
l’ambiente come bene giuridico da
proteggere.
La struttura dell’illecito si impernia
«sull’impedimento o sull’intralcio o
sull’elusione allo svolgimento delle
attività di vigilanza e controllo», vincolato dalle modalità di condotta,
così descritte in forma alternativa:
«negando l’accesso, predisponendo
ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi».
L’ultima modalità (mutazione artificiosa dello stato dei luoghi) rappresenta, nei controlli in materia
ambientale e in materia di sicurezza sul lavoro, la condotta “tipo” di
realizzazione caratterizzata da una
nota di frode (si pensi, ad esempio,
in materia ambientale alla cancellazione della memoria elettronica di
uno strumento di misura utilizzato
per verificare alcuni parametri delle emissioni inquinanti dell’azienda,
oppure, in materia di sicurezza sul
lavoro, la modifica di una macchina per adeguarla, successivamente all’avvenuto infortunio e prima
dell’accertamento della procura generale, alla normativa di sicurezza).
La combinazione tra l’elemento oggettivo della condotta e il dolo specifico di ostacolo consente di costruire una trama teoricamente in
grado di limitare le condotte penalmente rilevanti, anche laddove si
tratti di una “trama leggera” esposta al soggettivismo interpretativo
del “caso per caso”.
L’unico elemento che si può trarre al fine di ridimensionare la fattispecie è quello di esigere che l’accertamento della condotta, attiva o
omissiva, abbia provocato effettivamente un inciampo all’attività di
vigilanza.
Omessa bonifica (art. 452-terdecies, c.p.)
L’ultimo delitto (“omessa bonifica”
previsto all’art. 452-terdecies) punisce, salvo che il fatto costituisca
più grave reato, chiunque, essendovi obbligato, non provveda alla
bonifica, al ripristino e al recupero
dello stato dei luoghi.
L’obbligo dell’intervento può derivare:
• direttamente dalla legge, oppure
• da un ordine del giudice o ancora
• da una pubblica autorità.
Quindi, la punizione si perfeziona
solamente a seguito dell’inadempimento dell’obbligo di bonifica
stimolando così il soggetto che ha
provocato la contaminazione ambientale ad attivarsi per non incorrere in una severa condanna penale
(il reato è, infatti, punito con la reclusione da 1 a 4 anni e con la multa da euro 20.000 a euro 80.000).
Ma in che casi l’obbligo deriva direttamente dalla legge?
La normativa ambientale, all’art.
240, comma 1, lettera p), D.Lgs. n.
152/2006, prevede l’obbligo di bonifica, a carico del soggetto che ha
provocato la contaminazione[10],
quando avviene il superamento
dei valori di concentrazione soglia
di rischio[11] (ricordando che, sola-
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mente per le acque sotterranee, la
concentrazione soglia di rischio per
ciascun contaminante deve essere
fissata equivalente alle concentrazione soglia di contaminazione di
cui all’Allegato 5 alla parte quarta,
D.Lgs. n. 152/2006[12]).
L’obbligo di ripristino è, invece, imposto a carico del soggetto effettivamente responsabile dell’inquinamento[13], quando si è già verificato
un danno ambientale (artt. 305 e
306, D.Lgs. n. 152/2006).
Al fine di coordinare la nuova fattispecie di cui all’art. 452-terdecies
con la contravvenzione prevista
dall’art. 257, D.Lgs. n. 152/2006
(che, si ricorda, punisce il responsabile dell’inquinamento quando,
al superamento delle concentrazioni soglia di rischio non provvede
alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente[14]):
• al comma 1 dell’art. 257, sono
state aggiunte le parole «salvo
che il fatto costituisca più grave
reato»;
• il comma 4 dell’art. 257, è stato
sostituito dal seguente: «l’osservanza dei progetti approvati ai
sensi degli articoli 242 e seguenti costituisce condizione di non
punibilità per le contravvenzioni
ambientali contemplate da altre leggi per il medesimo evento
e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1°». In
altre parole, l’adempimento del
progetto di bonifica approvato
dalla PA competente non potrà
agire come causa di non punibilità per i delitti, direttamente
connessi all’inquinamento del
[10] Si veda la sentenza della Corte di Giustizia Ue, 4 marzo 2015, causa C-534/13.
[11] L’art. 240 comma 1, lett. p), D.Lgs. n. 152/2006, definisce “bonifica” «l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le
sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore
ai valori di concentrazione soglia di rischio (Csr)».
[12] Si veda l’Allegato 1 al Titolo V della Parte Quarta del D.Lgs. n. 152/2006, capitolo «le vie e le modalità di esposizione».
[13] Si vedano la sentenze della Corte di Giustizia Ue, 9 marzo 2010, causa C-378-379-380/2008.
[14] Si vedano la sentenze della Cassazione penale, sez. III, 26 febbraio 2013 – ud. 19 dicembre 2012 – r. 9214; 9 maggio 2013 – ud. 22 gennaio 2013
– n. 19962; 16 giugno 2014 – ud. 16 maggio 2014 – n. 25718.
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sito, previsti negli artt. 452-bis e
452-quater c.p. oppure per il delitto di avvelenamento colposo
delle acque (art. 439 del c.p.).
Valorizzazione di condotte
riparatorie: bonifica
e ripristino stato
I nuovi artt. 452-decies e 452-duodecies del codice penale introducono
previsioni volte a incentivare le condotte riparatorie o di cooperazione
con l’autorità giudiziaria (dunque a
carattere premiale) o, in carenza di
atteggiamento resipiscente, a imporle quale sanzione accessoria.
In particolare, la prima disposizione
(rubricata «Ravvedimento operoso») introduce una circostanza attenuante a effetto speciale, in quanto consente la riduzione della pena
dalla metà a due terzi, «nei confronti di colui che si adopera per evitare
che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero,
prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla
bonifica e, ove possibile, al ripristino
dello stato dei luoghi».
È, invece, prevista la riduzione della pena da un terzo alla metà «nei
confronti di colui che aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’Autorità Giudiziaria nella ricostruzione del
fatto, nell’individuazione degli autori
o nella sottrazione di risorse rilevanti
per la commissione dei delitti».
Con evidenza, la ratio delle due attenuanti è differente:
• la prima comporta un intervento
finalizzato a incidere, in termini
di contenimento o eliminazione
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dell’inquinamento, sull’assetto
del territorio;
• la seconda è forgiata sul modello
di quelle applicabili ai collaboratori di giustizia nell’ambito di procedimenti per reati associativi (art.
8, D.L. n. 152/1991; art. 74, comma 7, D.P.R. n. 309/1990) o per
gravi fattispecie delittuose (quali il sequestro di persona a scopo di estorsione – art. 630, comma 5, c.p.) sovente riconducibili
a contesti di criminalità organizzata; segno, questo, tangibile, di
come il Legislatore tenda sempre
di più a impostare la produzione
normativa in materia di ambiente
tenendo conto dei fenomeni noti come cosiddette “ecomafie”[15].
Venendo a un’analisi più specifica
delle circostanze attenuanti introdotte dall’art. 452-decies, occorre
rilevare che esse sono applicabili
ai delitti ambientali ora introdotti
al Titolo VI-bis del codice penale, al
delitto di associazione a delinquere
aggravato ai sensi dell’art. 452-octies, e a quello di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di
cui all’art. 260 D.Lgs. n. 152/2006.
Chiaro, dunque, l’intento del Legislatore di limitare l’applicabilità delle
circostanze esclusivamente ai delitti,
non estendendola alle contravvenzioni previste dal D.Lgs. n. 152/2006,
o da altre fonti normative.
È pur vero che (come si illustrerà nel prosieguo) la stessa legge n.
68/2015, ha introdotto una procedura di estinzione delle contravvenzioni del D.Lgs. n. 152/2006, tramite oblazione in via amministrativa,
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a fronte dell’adempimento delle
prescrizioni dettate dall’organo di
vigilanza; tuttavia, questo meccanismo incontra alcune limitazioni
d’ambito, sicchè forse sarebbe stato preferibile estendere la portata
dell’attenuante della riparazione
anche alle fattispecie contravvenzionali (qualora, appunto, non definite o non definibili secondo la procedura della nuova Parte Sesta-bis).
Del resto, lo stesso testo unico ambientale prevede già ipotesi di attenuanti a effetto speciale conseguenti a condotte riparatorie, quali
l’art. 140 in materia di scarichi, in
modo che la riforma avrebbe potuto costituire, a livello sistematico,
l’occasione per un generale riordino di tali disposizioni premiali[16].
A una prima analisi, inoltre, l’attenuante con carattere di riparazione (prima) sconta alcune incertezze
redazionali, applicandosi, infatti, al
soggetto che si adoperi per evitare
che le attività delittuose pervengano
a conseguenze ulteriori, “ovvero” a
chi provveda, prima dell’apertura
del dibattimento, alla bonifica o alla
messa in sicurezza e, ove possibile,
al ripristino.
Si deve ritenere che l’avverbio «ovvero» sia impiegato nell’accezione
disgiuntiva e, dunque, che l’attenuante, nelle sue gradazioni di diminuzione, si riferisca sia alla condotta di chi manifesti una posizione
di impegno riparatore (anche se, in
ipotesi, senza esito) sia ai soggetti il
cui ravvedimento sia effettivamente “operoso”, cioè si traduca nella
realizzazione della bonifica e del ripristino ambientale[17].
[15] Segno tangibile di questo orientamento era, del resto, l’inserimento dell’art. 260, D.Lgs. n. 152/2006, nel novero delle fattispecie di cui all’art. 51,
comma 3-bis, codice di procedura penale, originariamente volto a disporre misure procedurali e sostanziali restrittive per i reati di natura associativa
(legge n. 136/2010).
[16] Occorre, inoltre, ricordare che l’art. 257, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006, come modificato dalla legge n. 68/2015, prevede una speciale causa di
non punibilità per le contravvenzioni previste dalle altre leggi per il medesimo evento e per la medesima condotta di cui al comma 1 (l’inquinamento
costituito dal superamento delle CSR), a fronte dell’osservanza della procedura di bonifica ex art. 242, segg, D.Lgs. n. 152/2006.
[17] Non tutti i delitti del Titolo VI-bis, peraltro, comportano un evento rimediabile attraverso la bonifica (ad es. il reato di impedimento del controllo),
sicchè, rispetto a queste fattispecie, o si riterrà non applicabile, di fatto, l’attenuante, o saranno valorizzati i soli comportamenti volti ad impedire la
prosecuzione della condotta illegittima.
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AMBIENTE E RISORSE
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Poiché, inoltre, il termine di decadenza «prima dell’apertura del
dibattimento» è apposto dopo
l’avverbio «ovvero», se ne arguirebbe che la condotta di chi si adoperi per impedire le ulteriori conseguenze sia valutabile dal Giudice
anche nel corso del dibattimento, purchè antecedentemente alla
sentenza di condanna.
Qualora, peraltro, prima del dibattimento, l’imputato necessiti di un
maggior termine per consentire le
attività riparatorie (purché esse siano già «in corso di esecuzione»),
egli può richiedere al Giudice la
sospensione del processo «per un
tempo congruo, comunque non superiore a due anni, prorogabile per
un periodo massimo di un ulteriore
anno», durante il quale il decorso
della prescrizione è sospeso.
La concessione di questo maggior
termine per la realizzazione degli
interventi, oltre a obbedire a un generale principio di “favore” per gli
interventi riparatori, contempera
necessariamente anche le differenti tempistiche del procedimento
penale e di quello amministrativo.
È ben evidente, infatti, che il
perfezionamento di una procedura
di bonifica o messa in sicurezza non
attiene esclusivamente all’iniziativa
del privato, ma necessita della partecipazione degli enti ai sensi degli
artt. 242, segg., D.Lgs. n. 152/2006,
secondo l’articolazione propria
dell’iter amministrativo di riferimento.
In questo senso, peraltro, è anche
palese che – per quanto l’attenuante si riferisca alla posizione dell’imputato, individualmente considerato – nella maggior parte dei casi le
condotte ripristinatorie saranno a
carico di persone giuridiche, di cui –
in ipotesi – gli stessi imputati siano,
o siano stati, rappresentanti (anche
in considerazione degli ingenti oneri economici che, di prassi, comporta un simile intervento)[18].
Come evidenziato, l’ulteriore figura
di attenuante dell’art. 452-decies,
valorizza il comportamento di dissociazione che si traduca in un supporto all’attività investigativa e di
prevenzione di ulteriori reati.
La previsione di questa circostanza appare, dunque, particolarmente opportuna al fine di contrastare
manifestazioni criminose di carattere associativo.
Va sottolineato che il contributo
fornito all’autorità giudiziaria deve
essere “concreto” e, dunque, c’è da
attendersi che esso apporti conoscenze non previamente note agli
organi inquirenti o consenta di consolidare (fornendo gli opportuni riscontri, apprezzabili anche a livello probatorio ai sensi dell’art. 192,
comma 3, c.p.p.) spunti investigativi antecedentemente emersi.
In base alla previsione dell’art.
452-duodecies, il Giudice, quando
pronuncia sentenza di condanna o
di patteggiamento per un delitto
previsto dal Titolo VI-bis del codice
penale, «ordina il recupero e, ove
tecnicamente possibile, il ripristino
dello stato dei luoghi, ponendone
l’esecuzione a carico del condannato e dei soggetti di cui all’art. 197
del codice penale».
Una disposizione simile era già
presente all’art. 260, D.Lgs. n.
152/2006, che consente al Giudice
di ordinare «il ripristino dello stato
dell’ambiente» (potendo, inoltre,
subordinare la concessione della
sospensione condizionale all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente; previsione, questa, non espressamente ripresa
dall’art. 452-duodecies).
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Per quanto, dunque, le finalità del
Legislatore siano palesi e condivisibili, non è altrettanto chiaro in cosa
debba consistere l’obbligo di “recupero” (termine che, come noto,
nel “glossario” della normativa ambientale trova la propria accezione
nell’ambito del trattamento dei rifiuti).
Invero, il comma 2 dell’articolo
dell’art. 452-duodecies, prevede
che «al ripristino dello stato dei luoghi di cui al comma precedente si
applicano le disposizioni del Titolo II
della Parte Sesta del D.Lgs. 152/06,
in materia di ripristino ambientale», dunque seguendo l’iter amministrativo dettato dagli artt. 305,
segg., D.Lgs. n. 152/2006, mentre
non viene specificato nulla in punto di “recupero”.
Si deve, dunque, forse, ritenere che
il Legislatore abbia inteso impiegare un’espressione volutamente
atecnica, in modo da consentire al
Giudice di adattare la sanzione accessoria al caso di specie.
Questa flessibilità potrebbe, tuttavia, confliggere con l’ambito dei
poteri riservati al Giudice penale,
il quale non potrebbe, in ogni caso, esercitare una potestà riservata dalla legge a organi amministravi, incorrendo altrimenti in un vizio
decisionale ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1,
lett. a), c.p.p.
Quanto ai soggetti destinatari della
sanzione accessoria, il Legislatore
individua, oltre al condannato, anche i soggetti di cui all’art. 197, c.p.,
ovvero le persone giuridiche (eccettuati gli enti pubblici territoriali)
civilmente obbligate al pagamento
delle multe o delle ammende irrogate nei confronti dei soggetti che
ne abbiano (rectius, ne avessero al
momento del fatto) la rappresen-
[18] In questo senso nel prosieguo si evidenzierà come del tutto peculiarmente la legge n. 68/2015, non estenda l’applicabilità di questa attenuante anche agli illeciti amministrativi della persona giuridica derivanti dai medesimi delitti contro l’ambiente, ex art. 25-undecies, D.Lgs. n. 231/2001.
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AMBIENTE E RISORSE
Box 1
Tutela penale dell’ambiente: iter legislativo
Il 2 aprile 1998, su iniziativa di alcuni deputati, fu presentata la prima proposta di legge (n. 4742 Camera dei
deputati[1]) che aveva l’obiettivo di offrire una soluzione articolata al problema della tutela dell’ambiente,
tramite l’introduzione di specifici delitti ambientali all’interno del codice penale, abbandonando così il ricorso alla legislazione speciale che caratterizzava (e ha sostanzialmente caratterizzato sino ad oggi) il cosiddetto
“diritto penale dell’ambiente”.
Infatti, la caratteristica che ha sempre contraddistinto il modello di criminalizzazione ambientale (fin dalla
legge 13 luglio 1966, n. 615, cosiddetta legge “anti-smog”) è stata quella di utilizzare figure contravvenzionali[2] (contenute nelle specifiche normative di settore) dirette a reprimere violazioni derivanti dallo svolgimento di attività di per sé lecite soggette, però, ad autorizzazioni amministrative o a norme che disciplinano queste ultime. Quindi, la disobbedienza ad atti o precetti di natura amministrativa elevata a elemento
costitutivo della condotta tipica punita.
In altri termini, nel diritto penale dell’ambiente, le singole fattispecie incriminatrici esistenti sino all’intervento normativo in commento, assai di rado tipizzano direttamente condotte di alterazione dell’equilibrio ambientale, prediligendo, viceversa, forme di incriminazione ricostruite, appunto, intorno al requisito dell’inosservanza di precetti amministrativi al cui rispetto è subordinato lo svolgimento di attività ritenute pericolose.
Ne sono un classico esempio tutte le fattispecie che puniscono, ad esempio, il mancato ottenimento dell’autorizzazione preventiva (in materia di gestione di rifiuti, o di scarico di acque reflue industriali o, ancora, in materia di emissioni in atmosfera) oppure la violazione alle prescrizioni contenute nelle suddette autorizzazioni.
In questi casi, i reati creati dal legislatore sono di “pura disobbedienza” perché non è punito il danno che effettivamente si arreca all’ambiente, ma solo la trasgressione agli anzidetti obblighi da cui raramente discende una offesa sostanziale al bene ambiente.
Questo modello, definito “sanzionatorio puro”[3] (in quanto prescinde completamente da un qualunque
collegamento espresso con un evento di danno o di pericolo per il bene ambiente) presenta evidenti limiti
sul terreno dell’efficacia della risposta sia ai fenomeni di criminalità organizzata ambientale (che, avendo
come obiettivo la creazione di un sistema illegale di sfruttamento e di trasformazione del territorio, non si
fanno certo intimorire da questo modello punitivo) sia alle condotte che realmente provocano una compromissione alle varie matrici ambientali (alle quali, purtroppo, si è assistito nel corso degli ultimi anni, con
proliferate di situazioni di pregiudizio grave per i delicati equilibri dell’ambiente e della salute umana in vaste aree del territorio nazionale).
La natura contravvenzionale dell’illecito incide anche sull’efficacia della tutela quantomeno per i seguenti profili:
• pene modeste che, frequentemente, consentono il ricorso all’oblazione alla quale si riconnette l’effetto
estintivo del reato;
• termine prescrizionale ridotto, che, attesa l’inefficienza del sistema giudiziario penale[4], rischia spesso di
vedere estinguersi il reato prima dell’inizio del dibattimento o nel corso del giudizio di primo grado;
• non punibilità di fatti, che, seppur idonei a costituire reati, sono “irrilevanti” per particolare tenuità. Infatti, il recente decreto legislativo 16 marzo 2015 n. 28[5], ha introdotto nel codice penale italiano (art.
131-bis) una clausola di non punibilità delimitata ai reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena. L’esclusione della punibilità richiede una particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento. La
condizione che riguarda il limite di pena è soddisfatta in tutte le fattispecie contravvenzionali ambientali
contenute nel D.Lgs. n. 152/2006. La tenuità del fatto potrebbe, invece, essere ipotizzabile per tutte quelle
violazioni alle autorizzazioni in seguito alle quali non conseguano pericoli (astratti) per il bene tutelato ma
si limitino a mere irregolarità formali salvo che per la loro frequenza o ampiezza non incidano in maniera rilevante sul potere di controllo dell’amministrazione competente sull’attività potenzialmente inquinante[6].
A fronte degli evidenziati profili di inefficacia (tanto da far qualificare l’intervento statale in questa materia
come “meramente simbolico”[7]) nel corso di questi anni tanti sono stati i progetti di riforma che hanno cercato (senza riuscirci) di superare il paradigma contravvenzionale per i reati ambientali.
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In questo quadro si è inserita la direttiva 2008/99/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008[8] varata dal legislatore comunitario per rafforzare la disciplina di contrasto ai fenomeni di aggressione all’ambiente[9].
L’intervento penale “minimo” che la direttiva – al considerando 12 – richiedeva agli Stati membri si presentava modulato sia sulla tutela della persona, nella misura in cui il comportamento illecito fosse stato
idoneo a provocare il decesso o le lesioni gravi dei singoli, sia sulla tutela del “bene ambiente”, laddove si
richiedeva che la condotta illecita provocasse un danno rilevante alle componenti naturali dell’ambiente.
Il recepimento italiano dell’importante direttiva è avvenuto con l’emanazione del decreto legislativo 7 luglio
2011, n. 121[10], che però, se ha introdotto importanti novità per le persone giuridiche, ha fortemente deluso
le aspettative di chi, lecitamente, si attendeva un riordino complessivo dell’intera materia dei reati ambientali conformemente alla richiesta europea di sanzionare le condotte considerate all’art. 3, direttiva 2008/99/
CE, con sanzioni penali «efficaci, adeguate e dissuasive».
Il legislatore delegato, stante la limitazione derivante dall’entità delle pene previste dall’art. 2, legge n.
96/2010, ha preferito rinviare a un successivo intervento normativo al fine di un più completo ripensamento
dei reati ambientali che recepisca più compiutamente la direttiva, prevedendo come delitti (anziché contravvenzioni) le fattispecie di illecito di maggior gravità.
Di conseguenza, dopo qualche anno, il disegno di legge n. 1345-B («Disposizioni in materia di delitti contro
l’ambiente») è stato definitivamente approvato diventando legge 22 maggio 2015, n. 68, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale del 28 maggio 2015, n. 122, e in vigore dal 29 maggio 2015.
Il nucleo fondamentale del provvedimento, che è composto da tre articoli, è l’art. 1, contenente un complesso di disposizioni che inseriscono nel codice penale un inedito titolo VI-bis («Dei delitti contro l’ambiente»).
Tra le altre previsioni si segnalano:
• la revisione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche in caso di delitti
ambientali;
• l’introduzione nel D.Lgs. n. 152/2006, di un procedimento per l’estinzione delle contravvenzioni ivi previste, collegato all’adempimento da parte del responsabile della violazione di una serie di prescrizioni nonché al pagamento di una somma di denaro;
• le norme di coordinamento delle indagini in materia ambientale.
[1] Si può leggere ed esaminare l’atto di proposta parlamentare al seguente indirizzo web: leg13.camera.it/_dati/leg13/lavori/stampati/pdf/4742.
pdf. Sempre nella XIII Legislatura (1996-2001), ma l’anno successivo, il Ministro dell’ambiente Ronchi presentava (in data 14 aprile 1999) un analogo disegno di legge (n. 3960 Senato della Repubblica) precisando che la ragione della proposta di inserire nuove fattispecie criminose nell’ambito
del codice penale risiedeva «in una maggiore attitudine alla sintesi della normazione codicistica” per una finalità di “orientamento culturale dei
cittadini, volta a definire a livello normativo-codicistico i beni giuridici fondanti la convivenza civile nella società».
[2] La distinzione tra delitti e contravvenzioni poggia, essenzialmente, sulla fondamentale diversità delle pene principali rispettivamente previste
(l’art.17 del c.p. stabilisce per i delitti l’ergastolo, reclusione e multa, mentre per le contravvenzioni, arresto ed ammenda), dei diversi limiti edittali
(artt. 23-26) e delle pene accessorie (art.19). Di fondamentale importanza risultano anche le differenze che attengono all’elemento psicologico del
reato. I delitti devono – di regola – essere commessi con dolo: possono essere preterintenzionali o colposi nei soli casi espressamente previsti dalla
legge (artt. 42-43). Per converso il criterio di ascrizione psicologica del fatto al suo autore nelle contravvenzioni è indifferentemente il dolo o la colpa.
[3] Vedi l’approfondita l’analisi condotta da C. Bernasconi, Il reato ambientale, Edizioni ETS, 2008, p. 29.
[4] Della necessità di accrescere il tasso di efficienza del sistema giudiziario penale parla espressamente la relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2014, che si può leggere al seguente indirizzo web del Ministero della Giustizia: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_15_7.wp.
[5] «Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lett. m), della legge 28 aprile 2014,
n. 67» (in Gazzetta Ufficiale del 18 marzo 2015, n. 64; in vigore dal 2 aprile 2015). Si veda l’approfondimento a firma di M. Zalin, pubblicato a pag.
80 di Ambiente&Sicurezza n. 11/2015.
[6] Che i reati ambientali formali siano volti a garantire un controllo preventivo da parte della PA e che il bene tutelato della norma penale sia l’interesse dell’amministrazione competente a monitorare e controllare preventivamente la funzionalità e le potenzialità inquinanti degli impianti nuovi
e di quelli esistenti, la Corte Suprema lo ha ribadito anche recentemente (sez. III, 10 febbraio 2015 – dep. 18 marzo 2015 – n. 11349, Bonifacio) con
riferimento al mantenimento di uno scarico con autorizzazione scaduta.
[7] Di «carattere simbolico dell’intervento statale per la tutela di fatti di inquinamento» parla diffusamente E. Lo Monte, Diritto penale e tutela
dell’ambiente tra esigenze di effettività e simbolismo involuto, Giuffrè, 2004, p. 152 e ss.
[8] In G.U.C.E. L del 6 dicembre 2008, n. 328.
[9] Per commenti alla direttiva si veda A. Merlin, Tutela penale dell’ambiente: per la direttiva 2008/99/CE è tempo di recepimento, in
Ambiente&Sicurezza, n. 15/2010, pag. 63.
[10] «Attuazione della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, nonché della direttiva 2009/123/CE che modifica la direttiva 2005/35/
CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni» (in Gazzetta Ufficiale del 1° agosto 2011, n. 177).
Per commenti al D.Lgs. n. 121/2001 si veda A. Merlin, Illeciti ambientali nella disciplina “231”: riflessioni per le imprese, in Ambiente&Sicurezza,
n. 17/2011, pag. IV e segg.
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tanza o l’amministrazione o ne fossero dipendenti.
L’intento del Legislatore è di per sé
apprezzabile, poiché – per quanto
si è già evidenziato – un intervento di ripristino ambientale comporta un impegno organizzativo ed
economico che ben difficilmente è
fronteggiabile a livello individuale; inoltre, fenomeni significativi di
inquinamento o addirittura di disastro ambientale come quelli sanzionati dalla legge n. 68/2015, sono facilmente riconducibili all’esercizio
di un’attività di impresa.
L’applicazione dell’art. 197 c.p., a
un obbligo diverso da quello pecuniario previsto dalla disposizione
codicistica (appunto quello del recupero e/o ripristino) crea, tuttavia, in assenza di ulteriori specificazioni, una serie di questioni a livello
procedurale.
Innanzitutto, il “civilmente obbligato” per la pena pecuniaria è una
parte eventuale del procedimento penale e, dunque, si tratta di un
soggetto che partecipa in quanto
citato per l’udienza preliminare o
per il giudizio a richiesta del pubblico ministero o dell’imputato, nelle
forme previste per la citazione e la
costituzione del responsabile civile
(art. 89 c.p.p).
In assenza di una rituale integrazione del contraddittorio, dunque, deve escludersi che il Giudice penale
possa pronunciare condanna nei
confronti della persona giuridica.
Nel caso in cui, dunque, il pubblico ministero intenda coinvolgere la
persona giuridica ai sensi del combinato disposto degli artt. 452-duodecies e 197, c.p., dovrà premurarsi
di effettuare la citazione nei termini
rituali (e altrettanto dovrà fare l’imputato che voglia “premunirsi” rispetto ad una eventuale condanna
alla sanzione accessoria).
Si noti che non è, invece, prevista
la citazione di questa nuova figura
di «civilmente obbligato al ripristiwww.ambientesicurezzaweb.it
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no» a opera della parte civile, nemmeno nel caso in cui il danneggiato
sia lo Stato o altro ente territoriale
su cui ricada la condotta dannosa;
queste parti civili potranno svolgere la propria domanda risarcitoria
nei confronti dell’imputato e della
persona giuridica con cui lo stesso fosse in un rapporto qualificato
a norma delle leggi civili, da citare
nella veste di responsabile civile.
Si crea, dunque, l’eventualità che
una medesima persona giuridica possa essere citata nel processo penale come responsabile civile, come civilmente obbligato alla
pena pecuniaria e/o al ripristino e
come “imputata”, in relazione allo
stesso reato ex D.Lgs. n. 231/2001;
laddove, paradossalmente, l’obbligo del ripristino non è stato previsto quale sanzione accessoria per
la fattispecie dell’art. 25-undecies,
D.Lgs n. 231/2001, strumento che,
invece, poteva apparire più adeguato, rispetto a quello “primordiale” dell’art. 197 c.p., a sanzionare proprio quegli illeciti ambientali
commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
La procedura di estinzione
in via amministrativa delle
contravvenzioni
La legge n. 68/2015, introduce una
procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia ambientale
che intende ricalcare quella prevista dal D.Lgs. n. 758/1994, in materia di violazioni della normativa sulla sicurezza sul lavoro.
In sintesi, seguendo la sperimentata formula delle previsioni in materia di sicurezza, la nuova legge
prevede che l’autorità di controllo
detti al contravventore prescrizioni
volte a regolarizzare la situazione
non conforme; una volta accertato l’adempimento della prescrizione, il contravventore è ammesso
alla definizione del procedimento
penale (che nelle more rimane so-
AMBIENTE E RISORSE
speso) con il pagamento in via amministrativa di un importo pari a un
quarto del massimo edittale, estinguendo così il reato.
Per quanto il legislatore abbia condivisibilmente perseguito un obiettivo deflattivo, la tecnica redazionale della norma e la stessa tipologia
delle fattispecie a cui la stessa andrebbe applicata determinano una
serie di problematiche di non agevole risoluzione.
L’art. 1, comma 9, legge n. 68/2015,
introduce nel corpo del D.Lgs. n.
152/2006, la «Parte sesta-bis», rubricata «Disciplina sanzionatoria
degli illeciti amministrativi e penali
in materia di tutela ambientale» e
sviluppata in sei articoli (da 318-bis
a 318-octies).
Va detto, innanzitutto, che la rubrica della nuova Parte sesta-bis è
fuorviante, in quanto, a una prima
lettura, esso sembrerebbe dover
disciplinare l’intero assetto sanzionatorio degli illeciti ambientali, penali e amministrativi, di qualsiasi tipo (ricomprendendovi dunque sia
i delitti, sia le contravvenzioni, che
gli illeciti amministrativi).
In realtà, sin dalla lettura dell’art.
318-bis, si evidenzia una delimitazione dell’ambito di applicazione
ad una sola categoria di illecito, definendone inoltre i caratteri rilevanti: «Le disposizioni della presente
parte si applicano alle ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dal presente decreto»
(il D.Lgs. n. 152/2006) «che non
hanno cagionato un danno o pericolo concreto ed attuale di danno
alle risorse ambientali, urbanistiche
o paesaggistiche protette».
Innanzitutto, risulta evidente che
l’applicazione della procedura è limitata alle sole contravvenzioni,
con esclusione, dunque, sia delle
fattispecie delittuose sia (a dispetto
della rubrica) degli illeciti amministrativi, per i quali rimarranno normalmente applicabili le regole del
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relativo procedimento sanzionatorio, come disciplinato dalla legge n.
689/1981, e, in particolare, laddove consentita, l’estinzione dell’illecito attraverso il pagamento in
misura ridotta, ai sensi dell’art. 16,
legge n. 689/1981.
Si noti, peraltro, che proprio in relazione ad alcuni illeciti amministrativi previsti dal D.Lgs. n. 152/2006,
non è consentito il pagamento in
misura ridotta (ad esempio per le
violazioni in materia di scarichi, in
base all’art. 135, comma 4, D.Lgs.
n. 152/2006); di conseguenza, in
via astratta, il meccanismo prescrizionale in questione avrebbe potuto conservare uno spazio di applicazione.
Ancora, l’ambito della procedura estintiva è espressamente limitato alle ipotesi contravvenzionali
del D.Lgs. n. 152/2006 («previste
dal presente decreto»), dovendosi,
dunque, escludere tutte le contravvenzioni previste dal codice penale (tra cui, ad esempio, quella di cui
all’ art. 733-bis, a tutela dell’habitat dei siti protetti) o da altre fonti normative diverse dal D.Lgs. n.
152/2006, che pure prevedono anche ipotesi di violazioni ambientali
di natura formale, potenzialmente
definibili in base alla nuova procedura.
Si tratta di una limitazione applicativa che, oggettivamente, non
appare giustificata e che, tuttavia,
non sembra essere agevolmente
risolvibile in via analogica, in quanto questa estensione alle contravvenzioni ambientali previste da altre fonti sarebbe sostanzialmente
rimessa all’organo accertatore, il
quale non avrebbe alcun potere di
vincolare l’autorità giudiziaria alla
sospensione del procedimento penale di estinzione di un reato in ipo-
tesi non previste dalla legge.
Inoltre – ed è ciò che più rileva –
la procedura estintiva della Parte
Sesta-bis, si applica solamente alle violazioni contravvenzionali che
non abbiano cagionato un danno
alle risorse protette indicate[19].
Questa categorizzazione, che non
trova espresso riscontro in diritto
positivo, crea non poche problematiche sia interpretative sia applicative.
In primo luogo, occorre rilevare
che le contravvenzioni del D.Lgs. n.
152/2006, sono per lo più strutturate come reati di pericolo e non di
danno, ma – ad eccezione delle violazioni meramente formali – riguardano condotte potenzialmente idonee a generare un danno.
Di conseguenza, all’organo accertatore che abbia riscontrato una
violazione integrante una contravvenzione (consistente, come detto, nella mera messa in pericolo del
bene protetto) si richiede, sostanzialmente, di esercitare quantomeno un giudizio tecnico di ben complessa portata per comprendere se
la condotta abbia generato un danno (danno che, peraltro, potrebbe
manifestarsi in concreto anche a
distanza di tempo dall’evento).
Va detto, inoltre, che il Legislatore
non specifica quale tipo di danno
osti alla definizione agevolata delle contravvenzioni, dunque – in assenza di parametri – la procedura
potrebbe essere ritenuta inapplicabile anche nel caso di un pregiudizio minimo.
Per evitare queste limitazioni interpretative sembra, tuttavia, preferibile rifarsi quantomeno all’art.
300, D.Lgs. n. 152/2006, che definisce danno ambientale il «deterioramento significativo e misurabile,
diretto o indiretto, di una risorsa
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naturale o dell’utilità assicurata da
quest’ultima».
Per quanto anch’essa presenti un
significativo margine di discrezionalità, questa definizione (che peraltro, come si è visto, è ripresa
anche dalla nuova fattispecie di
inquinamento) ha il merito di legare, quantomeno, la valutazione
dell’organo accertatore a un criterio di significatività, finalizzato a
escludere le situazioni di pregiudizio di ridotta portata.
È, dunque, presumibile che, nella
prassi applicativa, il criterio che sarà seguito possa risolversi in quello della “apparente rimediabilità”,
applicando la nuova procedura
estintiva nei casi di violazioni formali e carenti di offensività concreta (come spesso si verifica nei casi
di inosservanza delle prescrizioni
dell’autorizzazione) oppure, appunto, ai casi in cui, pur in presenza
di una potenziale “offesa” al bene
tutelato, questa possa ritenersi rimediabile attraverso un intervento
efficace e fattibile (nel senso di realizzabile ed economicamente sostenibile dal contravventore).
Peraltro, proprio il fatto che la procedura estintiva sia prevista per le
contravvenzioni che non comportino, ad avviso dell’organo accertatore, un danno o pericolo di danno alle risorse ambientali, porta a
riflettere su quale ambito di applicazione residui per le condotte, in
astratto punibili a titolo contravvenzionale (ad esempio, deposito
incontrollato di rifiuti o scarico con
superamento dei limiti tabellari)
per cui non sia possibile escludere
tale pericolo o sia addirittura configurabile un evento di danno.
Si pone, cioè, nell’ipotesi di condotte contravvenzionali che possano
aver generato un danno, l’esigenza
[19] Non risulta peraltro del tutto chiaro se l’aggettivo protette si riferisca soltanto alle risorse paesaggistiche o a tutte quelle indicate (e, in questa
seconda ipotesi, se l’aggettivo sia da ritenersi pleonastico, considerando la tutela costituzionale del bene ambiente) o debba avere portata selettiva
rispetto a risorse che godano di uno speciale regime di protezione.
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N. 12 - 1 luglio 2015
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AMBIENTE&SICUREZZA
di individuare un preciso “regolamento di confini” rispetto al reato
di inquinamento (anche nella forma
colposa) al fine di scongiurare una
abrogazione di fatto di queste ipotesi, in favore di un’interpretazione
volta a qualificare ogni violazione
in chiave di delitto, che rischierebbe di svuotare di contenuto buona
parte dell’attuale assetto sanzionatorio del D.Lgs. n. 152/2006.
Supponendo che l’organo di vigilanza intenda contestare una contravvenzione passibile della nuova procedura estintiva, ai sensi dell’art.
318-ter, dovrà impartire al contravventore un’apposita prescrizione
«asseverata tecnicamente dall’ente specializzato competente nella
materia trattata».
Anche sotto questo profilo, la redazione della norma lascia non poche
perplessità e marca una significativa distanza dal decreto “precursore” (D.Lgs. n. 758/1994).
Innanzitutto, va precisato che la
prescrizione potrà essere dettata
dall’organo di vigilanza che operi
nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria o dalla stessa polizia
giudiziaria, con esclusione, dunque,
di quegli organi di controllo che sono sprovvisti di questa qualifica[20].
La norma, invece, non fornisce alcuna indicazione finalizzata a individuare quale sia l’ente specializzato nella materia trattata, se cioè si
debba trattare di un organo tecnico quale l’ARPA o se (in particolare
nei casi in cui la violazione concerna
le prescrizioni di un’autorizzazione)
l’ente competente debba essere individuato nell’autorità amministrativa che ha rilasciato il provvedimento abilitativo.
Nessuna specificazione è data, peraltro, sulle modalità e le tempistiche con cui dovrebbe aver luo-
COMMENTO
go questa asseverazione, né viene
lasciato un margine di derogabilità
qualora questa procedura (evidentemente foriera di un significativo
appesantimento procedurale) non
sia, a prima vista, necessaria.
È presumibile, infatti, che si ricada nell’ipotesi – peraltro piuttosto
frequente – in cui la violazione sia
meramente formale o di immediata (o comunque agevole) soluzione;
si pensi, ad esempio, al caso in cui
un modesto quantitativo di rifiuti sia stato accumulato in un’area
non consentita dall’autorizzazione
o in cui sia stato redatto in termini incompleti un modulo di comunicazione delle emissioni di un impianto.
A stretto rigore, tuttavia, anche in
questa ipotesi l’organo di vigilanza dovrebbe sottoporre la prescrizione all’asseverazione di un non
meglio precisato ente specializzato, con buona pace degli obiettivi di
semplificazione sottesi alla riforma.
Nel dettare la prescrizione, l’organo
di vigilanza fissa un termine per la
regolarizzazione di durata «non superiore al periodo di tempo tecnicamente necessario».
Questa disposizione, mutuata dal
D.Lgs. n. 758/1994, non individua un termine fisso, la cui durata dipenderà sostanzialmente dalla tipologia di intervento che sarà
richiesto al trasgressore e alla società o ente nel cui ambito opera
il contravventore (a cui il verbale è
notificato ai sensi dell’art. 318-ter,
comma 2).
Può anche accadere che la contravvenzione riscontrata non sia più in
atto o sia immediatamente rimediabile dal contravventore; in questo caso, a fronte di questa condotta “esaurita”, l’organo di vigilanza
ne darà atto nel verbale e si potrà
AMBIENTE E RISORSE
procedere nella procedura estintiva nei termini appresso indicati.
Il termine fissato dall’organo di vigilanza può essere prorogato per un
periodo non superiore a sei mesi, in
presenza di specifiche circostanze
non imputabili al contravventore e
lo stesso dovrà documentare all’organo accertatore, competente ad
emettere il provvedimento di proroga.
Si noti che, rispetto alla disciplina
in materia di sicurezza, quella ambientale prevede esclusivamente
l’indicata facoltà di proroga connessa a ragioni non imputabili al
contravventore (ad esempio, le
tempistiche connesse a una fornitura impiantistica), mentre non è
prevista la possibilità di richiedere
una prima proroga di sei mesi in caso di particolare complessità o oggettiva difficoltà nell’adempimento
(circostanza di cui, dunque, dovrà
tenere anticipatamente conto l’organo di vigilanza nel fissare il termine di ottemperanza).
Unitamente alla prescrizione, l’organo accertatore può imporre specifiche misure atte a far cessare
situazioni di pericolo o situazioni
oggettivamente pericolose; anche
questa disposizione è mutuata testualmente dalla normativa in materia di sicurezza e avrebbe, forse,
necessitato di un migliore coordinamento con l’ambito di applicazione della Parte sesta-bis, che – si
rammenta – non consente la procedura estintiva nel caso di pericolo concreto alle risorse ambientali.
La previsione dell’art. 318-ter comma 3, sembra, dunque, limitata ai
casi in cui l’organo di vigilanza ravvisi un pericolo non idoneo a determinare un danno (nei termini
anzidetti) o, forse, un pericolo di diversa natura.
[20] Con decreto direttoriale n. 772/2010, è stata revocata la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria al personale ARPA dei dipartimenti della Lombardia, a seguito dell’abrogazione della disposizione che prevedeva la competenza di questa attribuzione al direttore regionale dell’ARPA.
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AMBIENTE E RISORSE
COMMENTO
Contestualmente all’adozione della prescrizione, l’organo di vigilanza formula la comunicazione di
notizia di reato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale
competente territorialmente, ma
il procedimento – in base all’art.
318-sexies – rimane “sospeso” durante il termine dettato per l’ottemperanza e sino alla comunicazione dell’organo di vigilanza sulla
verifica della prescrizione, che avviene entro 60 giorni dalla scadenza del termine fissato per l’adempimento (art. 318-quater).
Nel caso di positiva verifica dell’ottemperanza, l’organo di vigilanza
ammette il contravventore al pagamento di un’oblazione in via amministrativa, in misura pari a un quarto del massimo edittale della pena
pecuniaria prevista per la contravvenzione contestata.
Il pagamento deve avvenire entro
30 giorni e, all’esito dello stesso,
l’organo di vigilanza ne dà comunicazione al Pubblico Ministero, che
richiede l’archiviazione del procedimento, essendo estinto il reato
contravvenzionale.
Di converso, se il contravventore
non ha ottemperato alla prescrizione, l’organo di vigilanza comunica
l’inadempimento alla Procura della
Repubblica e, conseguentemente,
il procedimento penale riprende il
proprio corso.
Tuttavia, in base alla disposizione
dell’art. 318-septies, comma 3, se
il contravventore adempie alla prescrizione in un termine superiore a
quello fissato dall’organo di vigilanza, ma, comunque, ritenuto congruo dal Pubblico Ministero, oppure con modalità diverse da quelle
indicate dall’organo di vigilanza,
questo adempimento potrà essere
comunque valutato ai fini dell’ammissione all’oblazione “penale” discrezionale ai sensi dell’art. 162-bis
c.p. (per un importo pari alla metà
del massimo edittale, al cui versamento consegue in ogni caso l’estinzione del reato).
La previsione ora richiamata assume un particolare rilievo anche
quale strumento di pur indiretta
tutela del trasgressore che, pur essendo intenzionato ad adempiere,
non ritenga di condividere le modalità o le tempistiche di adempimento indicate dall’organo di vigilanza nel verbale di contravvenzione,
che, in virtù della sua natura meramente endoprocedimentale[21],
non costituisce un provvedimento
impugnabile avanti il Tribunale amministrativo[22].
Si deve, peraltro, considerare che,
nell’ambito delle contravvenzioni
previste dal D.Lgs. n. 152/2006, figurano anche ipotesi di reato punite con la sola pena pecuniaria (ad
esempio, l’art. 29-quattuordecies
in materia di violazione alle prescrizioni dell’autorizzazione integrata
ambientale), che sono, comunque,
definibili con la procedura di oblazione non discrezionale ai sensi
dell’art. 162 c.p.
In questa ipotesi, dunque, si prefigura una peculiare situazione in cui
il contravventore potrebbe scegliere se adempiere alla prescrizione
eventualmente dettata dall’organo di vigilanza e accedere all’oblazione in via amministrativa (nella
misura di un quarto del massimo
edittale), oppure formulare istanza di oblazione penale (nella misura di un terzo della pena pecuniaria massima), fermo restando che
in caso di situazioni irregolari non
sanate il trasgressore si esporrebbe
AMBIENTE&SICUREZZA
ad una successiva contestazione.
L’art. 318-quinquies introduce una
novità rispetto all’assetto del D.Lgs.
n. 758/1994, in relazione all’ipotesi, non infrequente, in cui la notizia di reato non sia comunicata alla
Procura da parte dell’organo di vigilanza ambientale, ma appresa direttamente (ad esempio, su segnalazione di privati); in questo caso, il
Pubblico Ministero ne dà comunicazione all’organo di vigilanza o alla polizia giudiziaria, affinchè provvedano ad instaurare la procedura
di prescrizione sopra indicata.
L’art. 318-octies detta, infine, una
disposizione transitoria, stabilendo che le norme della Parte Sestabis non si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in
vigore della legge n. 68/2015.
Se, ovviamente, si condivide l’impossibilità di applicazione retroattiva ai casi di procedimenti già pervenuti alla fase dibattimentale, forse
si sarebbe potuta attuare una diversa soluzione per quelli ancora in
fase di indagini preliminari, nel cui
contesto sarebbe potuta residuare
l’applicazione del summenzionato
art. 318-quinquies (ovvero l’impulso alla procedura estintiva da parte
del pubblico ministero, di concerto
con l’organo di vigilanza).
Responsabilità
delle persone giuridiche
“ex 231”: modifiche
In correlazione all’introduzione delle nuove fattispecie di delitto, è stato integrato il novero dei reati presupposto della responsabilità della
persona giuridica ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
In particolare, in virtù dell’art. 1,
comma 8, legge n. 68/2015, è stato
modificato l’art. 25-undecies, D.Lgs.
[21] Si definiscono “endoprocedimentali” gli atti distinti dall’atto terminale del provvedimento, perché non producono gli effetti propri dell’esercizio del
potere, sebbene siano necessari per la validità o l’efficacia del provvedimento stesso.
[22] Sul punto, tra le tante, si vedano le sentenze della Cassazione civile, sez. unite, n. 3694/2012, TAR Lombardia – Brescia, sez. II, 15 gennaio 2010,
n. 54, TAR Veneto – Venezia, sez. III, 26 novembre 2008, n. 3701, TAR Emilia Romagna – Bologna, 4 aprile 2003, n. 362.
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AMBIENTE&SICUREZZA
n. 231/2001, introdotto dal decreto
legislativo 7 luglio 2011 n. 121, con
cui, per la prima volta, erano state previste ipotesi di responsabilità
“penale” delle società con riguardo
ad illeciti ambientali.
L’intervento legislativo consiste
nella modifica del comma 1 di questa fattispecie, che, nel testo originario, contemplava solo le sanzioni
pecuniarie correlate ai reati presupposto di cui agli artt. 727-bis e
733-bis, inserendo, alle lettere da
a) a e), la previsione delle ulteriori
sanzioni pecuniarie correlate alle
seguenti ipotesi di nuova introduzione:
• art. 452-bis: da 250 a 600 quote;
• art. 452-quater: da 400 a 800 quote;
• art. 452-quinquies: da 200 a 500
quote;
• art. 452-sexies: da 250 a 600 quote;
• art. 452-octies: da 300 a 1000
quote.
Non è, dunque, prevista la responsabilità della persona giuridica per
il reato di cui all’art. 452-ter (morte o lesioni come conseguenza del
delitto di inquinamento ambientale), né per il delitto di impedimento
del controllo (art. 452-septies), né
per quello di omessa bonifica (art.
452-terdecies); scelta, quest’ultima,
opinabile se solo si considera che
continua a costituire reato presupposto la contravvenzione in materia
di bonifica di cui all’art. 257, D.Lgs.
n. 152/2006.
Si rammenta che, in base agli artt.
10 e 11, D.Lgs. n. 231/2001, il numero e l’importo delle quote (da un
minimo di euro 258 a un massimo di
euro 1.549 per ciascuna quota) sono
determinate dal Giudice in base:
• alla gravità del fatto;
• al grado di responsabilità dell’ente;
• alle condotte riparatorie;
• sulla base delle condizioni economiche della persona giuridica,
in modo da garantire l’efficacia della
sanzione.
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COMMENTO
Il comma 1-bis dell’art. 25-undecies (introdotto dall’art. 1, comma
8, nuova legge) prevede che, nei
casi di condanna per i delitti indicati al comma 1, lettere a) e b), si
applichino anche le sanzioni interdittive previste dall’art. 9, D.Lgs. n.
231/2001, stabilendo una durata
massima di un anno in relazione al
delitto di inquinamento.
Testualmente, dunque, la disposizione prevede l’applicazione di sanzioni interdittive per i reati di:
• inquinamento ambientale, art.
452-bis, c.p. [lettera a)] e
• disastro ambientale, art. 452-quater [lettera b)],
mentre non ne sarebbero previste
per le restanti ipotesi.
Si noti, inoltre, in punto di sanzioni
interdittive, che non sono state coordinate ulteriori disposizioni dell’art.
25-undecies, D.Lgs. n. 231/2001, tra
cui, ad esempio, quelle del comma
8 (sanzione dell’interdizione definitiva nei confronti dell’ente stabilmente utilizzato per compiere illeciti
ambientali), in cui non è stata inclusa la menzione dei nuovi delitti, facendosi esclusivamente riferimento all’ipotesi dell’art. 260, D.Lgs. n.
152/2006.
L’introduzione delle nuove ipotesi di
responsabilità della persona giuridica nel corpo del D.Lgs. n. 231/2001,
comporta l’applicazione di tutte le
disposizioni di questo decreto, di
cui occorre valutare la compatibilità sistematica con quelle del codice
penale, del D.Lgs. n. 152/2006 o di
quelle introdotte dalla Legge.
Innanzitutto, il legislatore ha ritenuto di prevedere, senza ulteriore specificazione, ipotesi di responsabilità
della persona giuridica anche in relazione alle fattispecie di inquinamento ambientale colposo e disastro
ambientale colposo.
Si pone, dunque, cosiccome accadde all’indomani dell’introduzione
dell’art. 25-septies, in materia di infortuni sul luogo di lavoro, la pro-
AMBIENTE E RISORSE
blematica della compatibilità delle
fattispecie colpose con il criterio di
imputazione dell’illecito, che deve
essere commesso nell’interesse o a
vantaggio della società.
Come noto, la giurisprudenza si è
sostanzialmente orientata verso un
modello interpretativo che parametra il criterio dell’interesse non tanto
sull’evento (che per definizione nel
reato colposo è non voluto), quanto
sulla condotta, qualora, in particolare, la stessa sia determinata da esigenze di risparmio degli oneri necessari a garantire la sicurezza (e, nel
caso attuale, la tutela ambientale).
Con le nuove condizioni dettate dalla legge n. 68/2015, è ora prevedibile che la giurisprudenza svilupperà
questa orientamento anche in relazione agli illeciti ambientali, punendo, ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001,
gli enti i cui soggetti apicali abbiano
determinato un evento di inquinamento o disastro a fronte di scelte
di politica ambientale dell’azienda
improntate al contenimento dei costi, ad esempio, di adeguamento impiantistico o di manutenzione.
Proprio in tema di profitto da reato (inteso anche come risparmio di
spesa), si deve rilevare che – a fronte delle nuove previsioni della legge
n. 68/2015, e, in particolare, dell’art.
452-undecies – questo profitto potrà costituire oggetto di confisca,
anche nelle forme per equivalente,
sia nei confronti della persona fisica
imputata del reato, sia nei confronti
della persona giuridica, in base alla
disposizione sanzionatoria generale
di cui all’art. 19, D.Lgs. n. 231/2001.
Ci si chiede, dunque, se questi strumenti debbano effettivamente coesistere ed essere indifferentemente
applicati (anche attraverso il mezzo
anticipatorio del sequestro preventivo finalizzato alla confisca) o se,
in presenza di un reato commesso
nell’interesse o a vantaggio della
persona giuridica, non debba prevalere, quale gerarchia logica, il sequeN. 12 - 1 luglio 2015
33
AMBIENTE E RISORSE
COMMENTO
stro a carico della società (tale che
l’apprensione del bene personale
dovrebbe costituire una tutela solo
di carattere residuale).
A livello sanzionatorio, nei confronti degli enti “imputati” ex D.Lgs. n.
231/2001, non trovano applicazione
le disposizioni in materia di ravvedimento operoso (diminuzione della
pena dalla metà a due terzi) introdotte dall’art. 452-decies, in favore
di chi si adoperi perché l’attività delittuosa non venga portata a conseguenze ulteriori o provveda, prima
dell’apertura del dibattimento, alla
messa in sicurezza o alla bonifica.
Per la posizione della persona giuridica rimarrà, invece, applicabile l’attenuante di cui all’art. 12 (con una
diminuzione in misura da un terzo
alla metà), qualora l’ente abbia eliminato le conseguenze dannose o
pericolose del reato o si sia efficacemente adoperato in tal senso.
Sempre con riguardo all’efficacia
delle misure riparatorie, le modifiche in materia di responsabilità
della persona giuridica non si coordinano con le disposizioni (sopra illustrate) che hanno introdotto un
meccanismo di estinzione delle contravvenzioni previste dal D.Lgs. n.
152/2006; l’art. 25-undecies, infatti, contempla, tuttora, fattispecie
contravvenzionali (anche di carattere assolutamente formale, come
quelle di violazione delle prescrizioni dell’autorizzazione in materia di
rifiuti, ex art. 256, comma 4, D.Lgs.
n. 152/2006).
Si pone, dunque, potenzialmente
una situazione in cui il reato presupposto possa essere estinto ai sensi
dell’art. 318-bis, D.Lgs. n. 152/2006,
sebbene questa estinzione non giovi
alla persona giuridica in base alla disposizione dell’art. 8, comma 1, lett.
b), D.Lgs. n. 231/2001, in base alla
quale la responsabilità dell’ente sussiste anche quando il reato si estingue per causa diversa dall’amnistia.
Si tratta, per il vero, di una “svista”
riconducibile al fatto che nell’assetto originario del D.Lgs. n. 231/2001
(volto in particolare a reprimere reati contro la pubblica amministrazione) tra le fattispecie presupposto,
non vi era alcuna contravvenzione
e, dunque, non era stata contemplata l’eventualità di estinzione per
oblazione (tanto meno per oblazione in via amministrativa).
Al fine di evitare una disparità di
trattamento con evidenti riflessi di
portata costituzionale, potrebbe allora essere ipotizzabile prospettare
l’estinzione dell’illecito dell’ente, a
fronte dell’oblazione della persona
fisica, attraverso il richiamo dell’art.
129, c.p.p., consentito dalla generale clausola di estensione delle norme procedurali di cui all’art. 34,
D.Lgs. n. 231/2001[23].
In generale, il Legislatore ha perso
l’occasione di espungere dal novero
dei reati presupposto i reati di pericolo anche astratto, la cui previsione quali reati presupposto appare
contrastante rispetto alla normativa
comunitaria recepita nel nostro ordinamento.
Si rammenta, infatti, che le disposizioni introdotte nel 2011 conseguono all’obbligo di adeguamento alla
normativa comunitaria e, segnatamente, alla direttiva 2008/99/CE, in
tema di tutela penale dell’ambiente; in particolare, in base all’art. 6,
ogni Stato membro era tenuto a introdurre una specifica forma di responsabilità delle persone giuridiche dipendente dai reati ambientali
delineati agli artt. 3 e 4 della direttiva medesima.
Il Legislatore comunitario specificava che fonte di tale responsabilità
AMBIENTE&SICUREZZA
avrebbero potuto essere le seguenti condotte: «lo scarico, l’emissione
o l’immissione illeciti di un quantitativo di sostanze o radiazioni ionizzanti nell’aria, nel suolo o nelle acque che provochino o possano
provocare il decesso o lesioni gravi
alle persone o danni rilevanti alla
qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero
alla fauna o alla flora».
Se, dunque, la previsione di fattispecie sanzionatorie a carico della persona giuridica in relazione ai delitti di
nuova introduzione appare, in linea
di massima, conforme ai principi della direttiva, il riassetto generale del
regime sanzionatorio delle violazioni
ambientali avrebbe suggerito di porre mano al novero delle fattispecie
presupposto, escludendo appunto
quelle che – per loro caratteristiche
– non corrispondono alle indicazioni della legislazione comunitaria e la
cui inclusione tra i reati presupposto
integra un sostanziale difetto di delega, censurabile per carenza di legittimità costituzionale.
Prime conclusioni
Lungi dal voler assumere conclusioni definitive sulla appena emanata
legge n. 68/2015, è possibile affermare che la stessa presenta certamente alcuni aspetti positivi che rischiano, però, di essere vanificati
dai consueti difetti nella redazione
delle singole fattispecie che, sempre
più, vanno connotando il legislatore
italiano. In particolare, la tecnica di
normazione si caratterizza per ampi
margine di indeterminatezza, non
discostandosi dalla più generale legislazione in materia di ambiente.
Sicuramente va segnalata come positiva, per le ragioni viste nel paragrafo “II nuovo Titolo VI-bis del codice penale”, la collocazione degli
[23] In punto di compatibilità dell’art. 129, c.p.p., in base al richiamo dell’art. 34, D.Lgs. n. 231/2001, si veda la sentenza del Tribunale di Milano, sez.
X penale, 20 dicembre 2011, che ha disposto non doversi procedere per estinzione dell’illecito amministrativo per intervenuta cessazione della società.
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AMBIENTE&SICUREZZA
illeciti ambientali all’interno del codice penale.
Così come apprezzabile è la sistemazione in un unico titolo dei delitti in
materia ambientale.
Allo stesso modo vanno valutate la
previsioni che valorizzano le attività di messa in sicurezza, bonifica
e, ove possibile, del ripristino dello
stato dei luoghi contenute nell’art.
452-decies.
Infatti, da un lato la previsione di
“un premio” (riduzione della pena)
per chi proceda alla reintegrazione
dell’interesse leso assolve a una apprezzabile funzione di rieducazione
del reo (tenuto a riparare a sue spese al danno provocato con la conseguenza che egli sarà più consapevole del valore che il bene protetto
assume per l’intero ordinamento),
mentre, dall’altro lato, la rimessa in
pristino rappresenta il modo più efficace per salvaguardare l’ambiente.
Passando ai dubbi è proprio la formulazione delle singole fattispecie
incriminatrici che presenta gli aspetti maggiormente problematici come,
il concetto di «significatività del deterioramento» (art. 452-bis) oppure
quello di «alterazione dell’equilibrio
di un ecosistema la cui eliminazione
risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali» (evocato all’art. 452-quater, comma 1, punto 2).
Il rispetto del principio di legalità
– sotto il profilo della tassativitàdeterminatezza – richiede una più
precisa formulazione di condotta ed
evento con il rischio, diversamente,
di rimettere alla discrezionalità del
giudice la sussunzione del caso realmente verificatosi nella fattispecie
incriminatrice astratta, con tutte le
conseguenze derivanti da possibili
applicazioni oscillanti.
In un settore così delicato come
quello ambientale non può essere il
giudice penale il vero somministratore della tipicità di queste norme.
Pur nella piena consapevolezza di
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COMMENTO
come prevedere fattispecie incriminatrici chiare e determinate, nel settore dell’ambiente, sia, senza ombra
di dubbio, uno dei compiti più difficili
da assolvere, tuttavia, il rispetto dei
principi fondamentali impone tale
atto, considerato anche il lunghissimo tempo di “gestazione” che hanno avuto le norme in commento.
Deficit di tipicità che, se messo in relazione al regime sanzionatorio alquanto rigoroso, completa un quadro poco incoraggiante.
Per esempio nella cornice edittale
del disastro ambientale la pena è
della reclusione da 5 a 15 anni con
una divaricazione troppo elevata
che fa pensare essere figlia di un deficit di tipicità della fattispecie. Non
si sa esattamente che cosa può ricomprendere e allora si allarga la
forbice punitiva.
Non è, inoltre, assolutamente chiaro in che rapporto debbano porsi
i nuovi delitti rispetto all’apparato
sanzionatorio già esistente nel d.lgs.
152/06 affidato agli illeciti di natura contravvenzionale. Esistono, infatti, molti punti delicatissimi di interferenza tra i due corpi normativi
soprattutto quando trattasi di contravvenzioni che possono aver generato un danno (gli esempi già citati
nell’apposito capitolo riguardano il
deposito incontrollato di rifiuti o la
persistenza di scarichi oltre i limiti o
in violazione alle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni).
Sarebbe coerente ipotizzare che le
nuove fattispecie delittuose affianchino l’apparato contravvenzionale
già esistente.
Mancano però (ad eccezione
dell’art. 257, D.Lgs. n. 152/2006, che
è stato modificato dall’art. 2, legge
in commento) esplicite norme di coordinamento attraverso, ad esempio, la previsione di apposite clausole di sussidiarietà, consunzione
o assorbimento da introdurre nelle
fattispecie contravvenzionali laddove il fatto risulti riconducibile sia alla
AMBIENTE E RISORSE
fattispecie contravvenzionale, in virtù del pericolo astratto, sia alla fattispecie delittuosa, in virtù della progressione verso il danno.
Molte “ombre” avvolgono, poi, il
meccanismo estintivo delle contravvenzioni in materia ambientale previsto nella nuova Parte Sesta-bis,
D.Lgs. n. 152/2006, tanto da farne dubitare una reale applicabilità
pratica in un contesto nel quale gli
apparati di vigilanza, per pochezza
di personale e soprattutto di mezzi tecnici, non riescono nemmeno a
garantire un “normale” e adeguato
livello di controllo istituzionale.
Tutto questo si riflette, poi, nell’esigenza che le imprese avranno di modificare il proprio modello organizzativo al fine di adeguarlo alle nuove
fattispecie introdotte nel novero dei
reati presupposto della cosiddetta
“responsabilità da reato”. Modello
che, quanto meno per i reati in materia ambientale, dovrà ricercare le
migliori soluzioni tecniche e procedurali, al fine di realizzare quei necessari protocolli cautelari preventivi finalizzati alla prevenzione del
rischio-reato.
Proprio su questo aspetto preventivo sembrerebbe “giocarsi” oggi l’importante partita della protezione
dell’ambiente.
Il bene giuridico ambiente può essere adeguatamente salvaguardato solo intervenendo per tempo,
quando il danno non si è ancora manifestato in tutta la sua virulenta incontenibilità.
Prevenzione che, però deve essere
qualitativamente elevata e poggiare su modelli di gestione del rischio
che definiscano anticipatamente - e
in modo scientifico - le modalità di
intervento rispetto alla verificazione
del rischio stesso.
A questo primo commento farà
seguito, a breve, un numero monografico di Ambiente&Sicurezza.
N. 12 - 1 luglio 2015
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AMBIENTE E RISORSE
COMMENTO
AMBIENTE&SICUREZZA
Tabella 1
DELITTI CONTRO L’AMBIENTE (Titolo VI-bis, c.p.)
Articoli
Condotta sanzionata
Pene edittali
Responsabilità
231/01
Inquinamento ambientale
Art. 452-bis, c.p.
(comma 1)
SÌ
Chiunque abusivamente cagiona una compro- Reclusione da 2 a 6 anni
missione o un deterioramento significativi e e multa da euro 10.000
ad euro 100.000
Sanzione pecuniaria:
misurabili:
da 250 a 600 quote
1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese
Sanzioni interdittive:
o significative del suolo o del sottosuolo;
non > a 1 anno
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche
agraria, della flora o della fauna
Ipotesi aggravata
(comma 2)
Quando l’inquinamento è prodotto in un’area Aumento della pena
SÌ
naturale protetta o sottoposta a vincolo pae- edittale
saggistico, ambientale, storico, artistico, archiSanzione pecuniaria:
tettonico o archeologico, ovvero in danno di
da 250 a 600 quote
specie animali o vegetali protette
Sanzioni interdittive:
non > a 1 anno
Morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale
Art. 452-ter, c.p.
Se da uno dei fatti di cui all’art. 452-bis (inqui- Reclusione da 2 anni e
namento ambientale) deriva, quale conseguen- 6 mesi a 7 anni
za non voluta dal reo, una lesione personale,
ad eccezione delle ipotesi in cui la malattia ha
una durata non superiore a 20 giorni
NO
Art. 452-ter, c.p.
Se da uno dei fatti di cui all’art. 452-bis (in- Reclusione da 3 a 8 anni
quinamento ambientale) deriva, quale conseguenza non voluta dal reo, una lesione grave
NO
Art. 452-ter, c.p.
Se da uno dei fatti di cui all’art. 452-bis (inqui- Reclusione da 4 a 9 anni
namento ambientale) deriva, quale conseguenza non voluta dal reo, una lesione gravissima
NO
Art. 452-ter, c.p.
Se da uno dei fatti di cui all’art. 452-bis (in- Reclusione da 5 a 10
quinamento ambientale) deriva, quale conse- anni
guenza non voluta dal reo, la morte
NO
Ipotesi aggravata
(comma 2)
In caso di morte di più persone, di lesioni di Pena prevista per l’ipopiù persone, ovvero di morte di una o più per- tesi più grave, aumentata fino al triplo e, cosone e lesioni di una o più persone
munque, non superiore
a 20 anni
NO
Disastro ambientale
Art. 452-quater, c.p.
(1^ comma)
Fuori dei casi di cui all’art. 434, c.p., chiunque Reclusione da 5 a 15
abusivamente cagiona un disastro ambientale. anni
Costituiscono disastro ambientale alternativamente:
1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di
un ecosistema;
2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente
onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;
36
N. 12 - 1 luglio 2015
SÌ
Sanzione pecuniaria:
da 400 a 800 quote
Sanzioni interdittive nei termini di cui
all’art. 13, comma 2,
D.Lgs. n. 231/2001
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COMMENTO
AMBIENTE&SICUREZZA
Articoli
Condotta sanzionata
AMBIENTE E RISORSE
Responsabilità
231/01
Pene edittali
3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione
della compromissione o dei suoi effetti lesivi
ovvero per il numero delle persone offese o
esposte a pericolo
Ipotesi aggravata
(comma 2)
Quando il disastro ambientale è prodotto in Aumento della pena
SÌ
un’area naturale protetta o sottoposta a vin- edittale
colo paesaggistico, ambientale, storico, artiSanzione pecuniaria:
stico, architettonico o archeologico, ovvero in
da 400 a 800 quote
danno di specie animali o vegetali protette
Sanzioni interdittive nei termini di cui
all’art. 13, comma 2,
D.Lgs. n. 231/2001
Delitti colposi contro l’ambiente
Art. 452-quinquies c.p.
(comma 1)
Se taluno dei fatti di cui agli artt. 452-bis (in- Riduzione delle pene
SÌ
quinamento ambientale) e 452-quater (disa- da 1/3 a 2/3
stro ambientale) è commesso per colpa
Sanzione pecuniaria:
da 200 a 500 quote
Art. 452-quinquies c.p.
(comma 2)
Se dalla commissione dei fatti di cui agli Ulteriore riduzione delSÌ
artt. 452-bis (inquinamento ambientale) e le pene di 1/3
452-quater (disastro ambientale) deriva il peSanzione pecuniaria:
ricolo di inquinamento ambientale o di disada 200 a 500 quote
stro ambientale
Traffico ed abbandono di materiale ad alta radioattività
Art. 452-sexies, c.p.
(comma 1)
SÌ
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, Reclusione da 2 a 6
chiunque abusivamente cede, acquista, rice- anni e multa da euro
ve, trasporta, importa, esporta, procura ad 10.000 ad euro 50.000 Sanzione pecuniaria:
da 250 a 600 quote
altri, detiene, trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente di materiale ad alta radioattività
Ipotesi aggravata
(comma 2)
Se dal fatto deriva il pericolo di compromissio- Aumento della pena
edittale
ne o deterioramento:
1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese
o significative del suolo o del sottosuolo;
SÌ
Sanzione pecuniaria:
da 250 a 600 quote
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche
agraria, della flora o della fauna
Ipotesi aggravata
(comma 3)
Se dal fatto deriva pericolo per la vita o per Aumento della pena
l’incolumità delle persone
edittale sino alla metà
SÌ
Sanzione pecuniaria:
da 250 a 600 quote
Impedimento del controllo
Art. 452-septies, c.p.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, Reclusione da 6 mesi a
chiunque, negando l’accesso, predisponendo 3 anni
ostacoli o mutando artificiosamente lo stato
dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti
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NO
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AMBIENTE E RISORSE
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AMBIENTE&SICUREZZA
Condotta sanzionata
Pene edittali
Responsabilità
231/01
Reati associativi finalizzati a commettere un delitto contro l’ambiente
Art. 452-octies, c.p.
Ipotesi aggravata
(comma 1)
Quando l’associazione per delinquere di cui Aumento delle pene
SÌ
all’art. 416, c.p. è diretta, in via esclusiva o già previste dall’art.
concorrente, allo scopo di commettere taluno 416, c.p.
Sanzione pecuniaria:
dei delitti contro l’ambiente previsti dal Titolo
da 300 a 1000 quote
VI-bis c.p.
Art. 452-octies, c.p.
Ipotesi aggravata
(comma 2)
SÌ
Quando l’associazione di tipo mafioso di cui Aumento delle pene
all’art. 416-bis, c.p. è finalizzata a commettere già previste dall’art.
Sanzione pecuniaria:
taluno dei delitti contro l’ambiente previsti dal 416-bis, c.p.
da 300 a 1000 quote
Titolo VI bis c.p. ovvero all’acquisizione della
gestione o comunque del controllo di attività
economiche, di concessioni, di autorizzazioni,
di appalti o di servizi pubblici in materia ambientale
Art. 452-octies, c.p.
Ipotesi aggravata
(comma 3)
Se dell’associazione fanno parte pubblici uf- Ulteriore aumento delSÌ
ficiali o incaricati di un pubblico servizio che le pene da 1/3 alla metà
esercitano funzioni o svolgono servizi in maSanzione pecuniaria:
teria ambientale
da 300 a 1000 quote
Omessa bonifica
Art. 452-terdecies, c.p.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, Reclusione da 1 a 4
chiunque, essendovi obbligato per legge, per anni e multa da euro
ordine del giudice ovvero di un’autorità pub- 20.000 ad euro 80.000
blica, non provvede alla bonifica, al ripristino
o al recupero dello stato dei luoghi
NO
Aggravante ambientale
Art. 452-novies, c.p.
Quando un fatto già previsto come reato è Aumento della pena da
commesso allo scopo di eseguire uno o più 1/3 alla metà
tra i delitti previsti dal Titolo VI-bis, c.p., dal
Codice dell’Ambiente (D.Lgs. n. 152/2006), o
da altra disposizione di legge posta a tutela
dell’ambiente
_
Art. 452-novies, c.p.
Se dalla commissione di un fatto già previ- Aumento della pena di
sto come reato deriva la violazione di una o 1/3
più norme previste dal Codice dell’Ambiente
(D.Lgs. n. 152/2006) o da altra legge che tutela l’ambiente
_
Ravvedimento operoso
Art. 452-decies, c.p.
Per colui che si adopera per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione
di apertura del dibattimento di primo grado,
provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi
Riduzione dalla metà a
2/3 delle pene previste
per i delitti di cui al Titolo VI-bis, c.p., all’art.
416, c.p. aggravato ai
sensi dell’art. 452-octies e all’art. 260, D.Lgs.
n. 152/2006
_
Art. 452-decies, c.p.
Per colui che aiuta concretamente l’autorità
di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la
commissione dei delitti
Riduzione da 1/3 alla
metà delle pene previste per i delitti di cui
al Titolo VI-bis, c.p.,
all’art. 416, c.p. aggravato ai sensi dell’art.
452-octies e all’art.
260, D.Lgs. n. 152/2006
_
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LEGISLAZIONE
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AMBIENTE E RISORSE
LEGISLAZIONE
Legge 22 maggio 2015, n. 68
Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente. (15G00082)
Gazzetta Ufficiale del 28 maggio 2015, n. 122 - Vigente al: 29 maggio 2015
La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica
hanno approvato;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Promulga
la seguente legge:
Art. 1
1. Dopo il titolo VI del libro secondo del codice penale è
inserito il seguente:
«Titolo VI-bis - Dei delitti contro l’ambiente.
Art. 452-bis. (Inquinamento ambientale). - È punito con
la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro
10.000 a euro
100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:
1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria,
della flora o della fauna.
Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale
protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico,
ovvero in danno di specie animali o vegetali protette,
la pena è aumentata.
Art. 452-ter. (Morte o lesioni come conseguenza del
delitto di inquinamento ambientale). - Se da uno dei
fatti di cui all’articolo 452-bis deriva, quale conseguenza non voluta dal reo, una lesione personale, ad eccezione delle ipotesi in cui la malattia ha una durata non
superiore ai venti giorni, si applica la pena della reclusione da due anni e sei mesi a sette anni; se ne deriva
una lesione grave, la pena della reclusione da tre a otto
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anni; se ne deriva una lesione gravissima, la pena della
reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva la morte, la pena della reclusione da cinquea dieci anni.
Nel caso di morte di più persone, di lesioni di più persone, ovvero di morte di una o più persone e lesioni
di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe
infliggersi per l’ipotesi più grave, aumentata fino al triplo, ma la pena della reclusione non può superare gli
anni venti.
Art. 452-quater. (Disastro ambientale). - Fuori dai casi
previsti dall’articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.
Costituiscono disastro ambientale alternativamente:
1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema;
2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui
eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;
3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione
o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.
Quando il disastro è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale,
storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero
in danno di specie animali o vegetali protette, la pena
è aumentata.
Art. 452-quinquies. (Delitti colposi contro l’ambiente).
- Se taluno dei fatti di cui agli articoli 452-bis e 452-quater è commesso per colpa, le pene previste dai medesimi articoli sono diminuite da un terzo a due terzi.
Se dalla commissione dei fatti di cui al comma precedente deriva il pericolo di inquinamento ambientale o
di disastro ambientale le pene sono ulteriormente diN. 12 - 1 luglio 2015
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AMBIENTE E RISORSE
LEGISLAZIONE
minuite di un terzo.
Art. 452-sexies. (Traffico e abbandono di materiale ad
alta radioattività). - Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da due a sei anni e
con la multa da euro 10.000 a euro 50.000 chiunque
abusivamente cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente di materiale ad alta
radioattività.
La pena di cui al primo comma è aumentata se dal fatto
deriva il pericolo di compromissione o deterioramento:
1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria,
della flora o della fauna.
Se dal fatto deriva pericolo per la vita o per l’incolumità delle persone, la pena è aumentata fino alla metà.
Art. 452-septies. (Impedimento del controllo). - Salvo
che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando
artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo ambientali
e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti, è punito con la reclusione da sei mesi a
tre anni.
Art. 452-octies. (Circostanze aggravanti). - Quando l’associazione di cui all’art. 416 è diretta, in via esclusiva o
concorrente, allo scopo di commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo, le pene previste dal medesimo articolo 416 sono aumentate.
Quando l’associazione di cui all’articolo 416-bis è finalizzata a commettere taluno dei delitti previsti dal
presente titolo ovvero all’acquisizione della gestione o
comunque del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti o di servizi pubblici
in materia ambientale, le pene previste dal medesimo
articolo 416-bis sono aumentate.
Le pene di cui ai commi primo e secondo sono aumentate da un terzo alla metà se dell’associazione fanno
parte pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambientale.
Art. 452-novies. (Aggravante ambientale). - Quando un
fatto già previsto come reato è commesso allo scopo
di eseguire uno o più tra i delitti previsti dal presente
titolo, dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o da
altra disposizione di legge posta a tutela dell’ambiente,
ovvero se dalla commissione del fatto deriva la violazione di una o più norme previste dal citato decreto
legislativo n. 152 del 2006 o da altra legge che tutela
l’ambiente, la pena nel primo caso è aumentata da un
terzo alla metà e nel secondo caso è aumentata di un
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N. 12 - 1 luglio 2015
AMBIENTE&SICUREZZA
terzo. In ogni caso il reato è procedibile d’ufficio.
Art. 452-decies. (Ravvedimento operoso). - Le pene
previste per i delitti di cui al presente titolo, per il delitto di associazione per delinquere di cui all’articolo 416
aggravato ai sensi dell’articolo 452-octies, nonchè per
il delitto di cui all’articolo 260 del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti di colui che
si adopera per evitare che l’attività delittuosa venga
portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza,
alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei
luoghi, e diminuite da un terzo alla metà nei confronti
di colui che aiuta concretamente l’autorità di polizia o
l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto,
nell’individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.
Ove il giudice, su richiesta dell’imputato, prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo
grado disponga la sospensione del procedimento per
un tempo congruo, comunque non superiore a due anni e prorogabile per un periodo massimo di un ulteriore anno, al fine di consentire le attività di cui al comma
precedente in corso di esecuzione, il corso della prescrizione è sospeso.
Art. 452-undecies. (Confisca). - Nel caso di condanna
o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a
norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per i delitti previsti dagli articoli 452-bis, 452-quater,
452-sexies, 452-septies e 452-octies del presente codice, è sempre ordinata la confisca delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono
a commettere il reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato.
Quando, a seguito di condanna per uno dei delitti previsti dal presente titolo, sia stata disposta la confisca di
beni ed essa non sia possibile, il giudice individua beni
di valore equivalente di cui il condannato abbia anche
indirettamente o per interposta persona la disponibilità e ne ordina la confisca.
I beni confiscati ai sensi dei commi precedenti o i loro
eventuali proventi sono messi nella disponibilità della
pubblica amministrazione competente e vincolati all’uso per la bonifica dei luoghi.
L’istituto della confisca non trova applicazione nell’ipotesi in cui l’imputato abbia efficacemente provveduto
alla messa in sicurezza e, ove necessario, alle attività di
bonifica e di ripristino dello stato dei luoghi.
Art. 452-duodecies. (Ripristino dello stato dei luoghi).
- Quando pronuncia sentenza di condanna ovvero di
applicazione della pena su richiesta delle parti a norwww.ambientesicurezzaweb.it
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ma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per
taluno dei delitti previsti dal presente titolo, il giudice
ordina il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi, ponendone l’esecuzione
a carico del condannato e dei soggetti di cui all’articolo
197 del presente codice.
Al ripristino dello stato dei luoghi di cui al comma precedente si applicano le disposizioni di cui al titolo II della parte sesta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152, in materia di ripristino ambientale.
Art. 452-terdecies. (Omessa bonifica). - Salvo che il
fatto costituisca più grave reato, chiunque, essendovi
obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di
un’autorità pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi è punito
con la pena della reclusione da uno a quattro anni e
con la multa da euro 20.000 a euro 80.000».
2. All’articolo 257 del decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1 sono premesse le seguenti parole: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato,»;
b) il comma 4 è sostituito dal seguente: «4. L’osservanza dei progetti approvati ai sensi degli articoli 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilità per le
contravvenzioni ambientali contemplate da altre leggi
per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1».
3. All’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152, è aggiunto, in fine, il seguente comma: «4-bis.
È sempre ordinata la confisca delle cose che servirono
a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o
il profitto del reato, salvo che appartengano a persone
estranee al reato. Quando essa non sia possibile, il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta
persona la disponibilità e ne ordina la confisca».
4. All’articolo 12-sexies, comma 1, del decreto-legge
8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni,
dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni, dopo la parola: «416-bis» sono inserite le seguenti: «452-quater, 452-octies, primo comma,» e dopo le parole: «dalla legge 7 agosto 1992, n. 356,» sono
inserite le seguenti: «o dall’articolo 260 del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni».
5. All’articolo 32-quater del codice penale, dopo la
parola: «437» sono inserite le seguenti: «452-bis,
452-quater, 452-sexies, 452-septies» e dopo la parola:
«644» sono inserite le seguenti: «, nonchè dall’articolo
260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni».
6. All’articolo 157, sesto comma, secondo periodo, del
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LEGISLAZIONE
AMBIENTE E RISORSE
codice penale, dopo le parole: «sono altresì raddoppiati» sono inserite le seguenti: «per i delitti di cui al titolo
VI-bis del libro secondo,».
7. All’articolo 118-bis, comma 1, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio
1989, n. 271, dopo le parole: «del codice» sono inserite le seguenti: «, nonchè per i delitti di cui agli articoli
452-bis, 452-quater, 452-sexies e 452-octies del codice
penale,», dopo le parole: «presso la Corte di appello»
sono inserite le seguenti: «nonchè all’Agenzia delle entrate ai fini dei necessari accertamenti» ed è aggiunto,
in fine, il seguente periodo: «Il procuratore della Repubblica, quando procede a indagini per i delitti di cui
agli articoli 452-bis, 452-quater, 452-sexies e 452-octies del codice penale e all’articolo 260 del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, ne dà altresì notizia al Procuratore nazionale
antimafia».
8. All’articolo 25-undecies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le lett. a) e b) sono sostituite dalle seguenti: «a) per la violazione dell’articolo 452-bis, la
sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a seicento
quote;
b) per la violazione dell’articolo 452-quater, la sanzione
pecuniaria da quattrocento a ottocento quote;
c) per la violazione dell’articolo 452-quinquies, la sanzione pecuniaria da duecento a cinquecento quote;
d) per i delitti associativi aggravati ai sensi dell’articolo
452-octies, la sanzione pecuniaria da trecento a mille
quote;
e) per il delitto di traffico e abbandono di materiale
ad alta radioattività ai sensi dell’articolo 452-sexies, la
sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a seicento
quote;
f) per la violazione dell’articolo 727-bis, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
g) per la violazione dell’articolo 733-bis, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote»;
b) dopo il comma 1 è inserito il seguente: «1-bis. Nei
casi di condanna per i delitti indicati al comma 1, lett.
a) e b), del presente articolo, si applicano, oltre alle
sanzioni pecuniarie ivi previste, le sanzioni interdittive
previste dall’articolo 9, per un periodo non superiore a
un anno per il delitto di cui alla citata lett. a)».
9. Dopo la parte sesta del decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152, e successive modificazioni, è aggiunta la
seguente: «Parte sesta-bis. - Disciplina sanzionatoria
degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela
ambientale.
N. 12 - 1 luglio 2015
41
AMBIENTE E RISORSE
LEGISLAZIONE
Art. 318-bis. (Ambito di applicazione). - 1. Le disposizioni della presente parte si applicano alle ipotesi
contravvenzionali in materia ambientale previste dal
presente decreto che non hanno cagionato danno o
pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette.
Art. 318-ter. (Prescrizioni). - 1. Allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l’organo di vigilanza, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di
cui all’articolo 55 del codice di procedura penale, ovvero la polizia giudiziaria impartisce al contravventore un’apposita prescrizione asseverata tecnicamente
dall’ente specializzato competente nella materia trattata, fissando per la regolarizzazione un termine non
superiore al periodo di tempo tecnicamente necessario. In presenza di specifiche e documentate circostanze non imputabili al contravventore che determinino un ritardo nella regolarizzazione, il termine può
essere prorogato per una sola volta, a richiesta del
contravventore, per un periodo non superiore a sei
mesi, con provvedimento motivato che è comunicato
immediatamente al pubblico ministero.
2. Copia della prescrizione è notificata o comunicata
anche al rappresentante legale dell’ente nell’ambito o
al servizio del quale opera il contravventore.
3. Con la prescrizione l’organo accertatore può imporre specifiche misure atte a far cessare situazioni di pericolo ovvero la prosecuzione di attività potenzialmente pericolose.
4. Resta fermo l’obbligo dell’organo accertatore di riferire al pubblico ministero la notizia di reato relativa alla
contravvenzione, ai sensi dell’articolo 347 del codice di
procedura penale.
Art. 318-quater. (Verifica dell’adempimento). - 1. Entro sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato
nella prescrizione ai sensi dell’articolo 318-ter, l’organo accertatore verifica se la violazione è stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati dalla
prescrizione.
2. Quando risulta l’adempimento della prescrizione, l’organo accertatore ammette il contravventore
a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari a un quarto del massimo
dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Entro centoventi giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’organo accertatore
comunica al pubblico ministero l’adempimento della
prescrizione nonchè l’eventuale pagamento della predetta somma.
3. Quando risulta l’inadempimento della prescrizione,
l’organo accertatore ne dà comunicazione al pubblico ministero e al contravventore entro novanta giorni
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N. 12 - 1 luglio 2015
AMBIENTE&SICUREZZA
dalla scadenza del termine fissato nella stessa prescrizione.
Art. 318-quinquies. (Notizie di reato non pervenute
dall’organo accertatore). - 1. Se il pubblico ministero
prende notizia di una contravvenzione di propria iniziativa ovvero la riceve da privati o da pubblici ufficiali
o incaricati di un pubblico servizio diversi dall’organo
di vigilanza e dalla polizia giudiziaria, ne dà comunicazione all’organo di vigilanza o alla polizia giudiziaria
affinchè provveda agli adempimenti di cui agli articoli
318-ter e 318-quater.
2. Nel caso previsto dal comma 1, l’organo di vigilanza
o la polizia giudiziaria informano il pubblico ministero
della propria attività senza ritardo.
Art. 318-sexies. (Sospensione del procedimento penale). - 1. Il procedimento per la contravvenzione è
sospeso dal momento dell’iscrizione della notizia di
reato nel registro di cui all’articolo 335 del codice di
procedura penale fino al momento in cui il pubblico
ministero riceve una delle comunicazioni di cui all’articolo 318-quater, commi 2 e 3, del presente decreto.
2. Nel caso previsto dall’articolo 318-quinquies, comma 1, il procedimento rimane sospeso fino al termine
indicato al comma 1 del presente articolo.
3. La sospensione del procedimento non preclude la
richiesta di archiviazione. Non impedisce, inoltre, l’assunzione delle prove con incidente probatorio, nè gli
atti urgenti di indagine preliminare, nè il sequestro
preventivo ai sensi degli articoli 321 e seguenti del codice di procedura penale.
Art. 318-septies. (Estinzione del reato). - 1. La contravvenzione si estingue se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall’organo di vigilanza nel
termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto
dall’articolo 318-quater, comma 2.
2. Il pubblico ministero richiede l’archiviazione se la
contravvenzione è estinta ai sensi del comma 1.
3. L’adempimento in un tempo superiore a quello indicato dalla prescrizione, ma che comunque risulta
congruo a norma dell’articolo 318-quater, comma 1,
ovvero l’eliminazione delle conseguenze dannose o
pericolose della contravvenzione con modalità diverse
da quelle indicate dall’organo di vigilanza sono valutati
ai fini dell’applicazione dell’articolo 162-bis del codice
penale. In tal caso, la somma da versare è ridotta alla
metà del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.
Art. 318-octies. (Norme di coordinamento e transitorie). - 1. Le norme della presente parte non si applicano
ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore
della medesima parte».
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AMBIENTE&SICUREZZA
Art. 2
1. All’articolo 1 della legge 7 febbraio 1992, n. 150, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, alinea, le parole: «con l’arresto da tre
mesi ad un anno e con l’ammenda da lire quindici milioni a lire centocinquanta milioni» sono sostituite dalle seguenti: «con l’arresto da sei mesi a due anni e con
l’ammenda da euro quindicimila a euro centocinquantamila»;
b) il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. In caso di
recidiva, si applica la pena dell’arresto da uno a tre anni
e dell’ammenda da euro trentamila a euro trecentomila. Qualora il reato suddetto sia commesso nell’esercizio di attività di impresa, alla condanna consegue la
sospensione della licenza da un minimo di sei mesi ad
un massimo di due anni»;
c) al comma 3, le parole: «è punita con la sanzione amministrativa da lire tre milioni a lire diciotto milioni» sono sostituite dalle seguenti: «è punita con la sanzione
amministrativa da euro seimila a euro trentamila».
2. All’articolo 2 della legge 7 febbraio 1992, n. 150, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, alinea, le parole: «con l’ammenda da
lire venti milioni a lire duecento milioni o con l’arresto
da tre mesi ad un anno» sono sostituite dalle seguenti:
«con l’ammenda da euro ventimila a euro duecentomila o con l’arresto da sei mesi ad un anno»;
b) il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. In caso di
recidiva, si applica la pena dell’arresto da sei mesi a diciotto mesi e dell’ammenda da euro ventimila a euro
duecentomila. Qualora il reato suddetto sia commesso
nell’esercizio di attività di impresa, alla condanna consegue la sospensione della licenza da un minimo di sei
mesi ad un massimo di diciotto mesi»;
c) al comma 3, le parole: «è punita con la sanzione amministrativa da lire due milioni a lire dodici milioni» sono sostituite dalle seguenti: «è punita con la sanzione
amministrativa da euro tremila a euro quindicimila»;
d) al comma 4, le parole: «è punito con la sanzione
amministrativa da lire due milioni a lire dodici milioni»
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LEGISLAZIONE
AMBIENTE E RISORSE
sono sostituite dalle seguenti: «è punito con la sanzione amministrativa da euro tremila a euro quindicimila».
3. All’articolo 5 della legge 7 febbraio 1992, n. 150,
il comma 6 è sostituito dal seguente: «6. Chiunque
contravviene alle disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3
e 5-bis è punito, salvo che il fatto costituisca reato,
con la sanzione amministrativa da euro seimila a euro
trentamila».
4. All’articolo 6 della legge 7 febbraio 1992, n. 150, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 4 è sostituito dal seguente: «4. Chiunque
contravviene alle disposizioni di cui al comma 1 è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da
euro quindicimila a euro trecentomila»;
b) il comma 5 è sostituito dal seguente: «5. Chiunque
contravviene alle disposizioni di cui al comma 3 è punito con la sanzione amministrativa da euro diecimila a
euro sessantamila».
5. All’articolo 8-bis della legge 7 febbraio 1992, n. 150,
il comma 1-bis è sostituito dal seguente: «1-bis. Chiunque contravviene alle disposizioni di cui al comma 1 è
punito, salvo che il fatto costituisca reato, con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da
euro cinquecento a euro duemila».
6. All’articolo 8-ter della legge 7 febbraio 1992, n. 150,
il comma 5 è sostituito dal seguente: «5. Chiunque
contravviene alle disposizioni previste al comma 2 è
punito, se il fatto non costituisce reato, con la sanzione amministrativa da euro cinquemila a euro trentamila».
Art. 3
1. Le disposizioni di cui alla presente legge entrano in
vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione
della medesima legge nella Gazzetta Ufficiale.
La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà
inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della
Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di
osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
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