spinoza libertà di pensiero e di parola
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spinoza libertà di pensiero e di parola
1 Liceo Ginnasio Statale “Dettori” Cagliari Materiali di approfondimento di Filosofia SPINOZA LIBERTÀ DI PENSIERO E DI PAROLA Tractatus theologico-politicus - Capitolo XX: Si dimostra che in una libera Repubblica è lecito a chiunque di pensare quello che vuole e di dire quello che pensa. Se fosse altrettanto facile comandare alla coscienza quanto alla lingua, ognuno regnerebbe in piena sicurezza e nessun governo degenererebbe nella violenza, perché ognuno vivrebbe secondo le intenzioni dei governanti e soltanto in conformità alle loro prescrizioni giudicherebbe del vero e del falso, del bene e del male, dell'equo e dell'iniquo. Ma questo, come già abbiamo notato al principio del capitolo XVII, non può avvenire, essendo impossibile che la coscienza soggiaccia assolutamente all'altrui diritto. Nessuno, infatti, può, né può essere costretto a trasferire ad altri il proprio naturale diritto, e cioè la propria facoltà di ragionare liberamente e di esprimere il proprio giudizio intorno a qualunque cosa. Ne viene di conseguenza che si giudica violento quel potere che si esercita sulle coscienze, e che la suprema maestà fa violenza ai sudditi e sembra usurparne il loro diritto quando pretenda di prescrivere a ciascuno che cosa debba accettare come vero e che cosa respingere come falso, e da quali opinioni l'animo di ciascuno debba essere mosso nell'esercizio dei suoi doveri verso Dio. Tutto questo infatti, rientra nell'ambito del diritto individuale, al quale nessuno anche se lo voglia, può rinunciare. (…) Se, dunque, nessuno può rinunciare alla propria libertà di giudicare e di pensare quello che vuole, ma ciascuno è, per diritto imprescrittibile della natura, padrone dei suoi pensieri, ne segue che in un ordinamento politico non è mai possibile, se non con tentativi destinati a fallire miseramente, voler imporre a uomini di diverse, anzi contrarie opinioni l'obbligo di parlare esclusivamente in conformità alle prescrizioni emanate dal sommo potere. Nemmeno i più prudenti, infatti, per non parlare del volgo, sanno tacere. È difetto comune degli uomini, quello di mettere altri a parte dei propri disegni, anche quando sia necessario tenerli segreti. Sarà dunque un governo estremamente dispotico quello che nega a ciascuno la libertà di dire e insegnare quello che pensa; mentre invece sarà moderato quello che riconosce ad ognuno codesta libertà. E d'altra parte non possiamo nemmeno negare che la maestà si possa ledere tanto con le parole quanto con i fatti: e perciò, se è impossibile togliere completamente ai sudditi questa libertà, d'altra parte sarà assai pericoloso concederla loro senza riserve. Onde noi dobbiamo qui cercare fino a qual punto si possa e si debba concedere a ciascuno questa libertà, senza pregiudizio della pubblica pace e del diritto della suprema potestà. Questo, come ho avvertito all'inizio del capitolo XVI, è stato mio intento principale. Dai fondamenti dello Stato, quali sopra li abbiamo esposti, segue in modo assai evidente che il suo ultimo fine non è di dominare gli uomini né di costringerli col timore e sottometterli al diritto altrui; ma, al contrario, di liberare ciascuno dal timore, affinché possa vivere, per quanto è possibile, in sicurezza, e ciò affinché possa godere nel miglior modo del proprio naturale diritto di vivere e di agire senza danno né suo né degli altri. Lo scopo dello Stato, dico, non è di convertire in bestie gli uomini dotati di ragione o di farne degli automi, ma al contrario di far sì che la loro mente e il loro corpo possano con sicurezza esercitare le loro funzioni, ed essi possano servirsi della libera ragione e non lottino l'uno contro l'altro con odio, ira o inganno, né si facciano trascinare da sentimenti iniqui. Il vero fine dello Stato è, dunque, la libertà. E in effetti abbiamo visto che per la costituzione di uno Stato soltanto questo fu necessario, che l'intera potestà d’imperio risiedesse o in tutti o in qualcuno o 2 in uno solo. Siccome, infatti, il libero giudizio degli uomini è straordinariamente vario, e ciascuno crede di sapere da solo ogni cosa; e siccome non può avvenire che pensino tutti allo stesso modo e che tutti siano unanimi nei loro discorsi, non avevano potuto vivere in pace, senza che ciascuno rinunciasse al diritto di comportarsi esclusivamente secondo la decisione della propria mente. È dunque soltanto al diritto di agire di proprio arbitrio, che ciascuno rinunciò, e non a quello di ragionare e giudicare, e quindi anche di parlare, contro il loro decreto, purché parli e insegni semplicemente, e sostenga ciò che dice con la sola ragione, e non con inganno, con ira e con odio, né con l’intenzione di introdurre qualcosa nell'amministrazione dello Stato basandosi sull'autorità della propria decisione. (…) Se infine consideriamo anche che la fede osservata da ciascuno verso lo Stato, come anche verso Dio, si può riconoscere soltanto dalle opere, e cioè dalla carità verso il prossimo, non v'è dubbio che uno Stato ottimamente costituito conceda a ciascuno altrettanta libertà nell'esercizio della filosofia quanta abbiamo visto che gliene concede in quello della religione. Ammetto bensì che da tale libertà nascano alle volte taluni inconvenienti; ma, quali istituzioni sono così perfette, che non possano dar luogo a inconvenienti di sorta? Colui che tutto pretende di stabilire per legge, finirà coll'esasperare le passioni, più che reprimerle. Ciò che non può essere vietato deve essere necessariamente permesso, per quanto danno ne derivi. Quanti inconvenienti non derivano dall'incontinenza, dall'invidia, dall'avarizia, dall'ubriachezza, e simili? e tuttavia queste sono tollerate, perché per legge non si possono vietare, ancorché siano veri e propri vizi; e perciò a maggior ragione va concessa la libertà di giudizio , la quale è certamente una virtù, e non può essere repressa. Si aggiunga che da questa non nascono inconvenienti che l’autorità dei magistrati non possa (come ora dimostrerò) eliminare: per non dire che questa libertà è sommamente necessaria all'incremento delle scienze e delle arti; queste, infatti, possono essere coltivate con successo soltanto da coloro che hanno il giudizio libero e per nulla prevenuto. Ma, supponiamo che questa libertà si possa reprimere e che gli uomini si possano dominare al punto che non osino di proferire parola che non sia conforme alle prescrizioni della suprema potestà. Con ciò, però, questa non potrà mai far sì che essi non pensino se non ciò che essa vuole: onde seguirebbe necessariamente che gli uomini continuerebbero a pensare una cosa e a dirne un'altra, e per conseguenza si corromperebbe la fede, che in uno Stato è sommamente necessaria, e si favorirebbero l'abominevole adulazione e la perfidia, donde l'inganno e la corruzione di ogni buon costume. In verità, invece, è tutt'altro che facile obbligare gli uomini a parlare soltanto in un determinato modo; al contrario, quanto più si cerca di togliere agli uomini la libertà di parola, tanto più decisamente essi reagiscono a tali tentativi, e non soltanto gli avari, gli adulatori e simile gente da poco, per la quale la suprema salute sta nel contemplare il denaro che ha nello scrigno e nell'avere la pancia piena, ma proprio coloro che la buona educazione, l'integrità dei costumi e l'esercizio della virtù hanno reso più liberi. Gli uomini sono per lo più così fatti, che nulla tollerano con maggiore impazienza quanto il veder tacciate di criminose le opinioni che credono vere, e che sia imputato loro a delitto ciò che accende in essi la pietà verso Dio e verso gli uomini. Ciò li induce a detestare le leggi e a ribellarsi alla magistratura; e non ritengono che sia disonesto, ma onestissimo, il provocare disordini e il commettere qualunque misfatto per questo motivo. Tali essendo dunque le condizioni della natura umana, ne segue che le leggi che si fanno intorno alle opinioni, non riguardano i malvagi, ma gli uomini liberi; e sono fatte, non per frenare i malviventi, ma piuttosto per irritare gli onesti, e non possono essere mantenute se non con grave pericolo per lo Stato. Si aggiunga che tali leggi sono perfettamente inutili; infatti, coloro che riterranno sane le opinioni condannate dalle leggi, non potranno obbedire alle leggi stesse; e quelli, invece, che le respingono come false, considerano le leggi che le condannano come privilegi e ne approfittano a tal punto che in seguito i magistrati non potranno più abrogarle, anche volendo. Si aggiunga a ciò quanto abbiamo dedotto sopra, nel capitolo XVIII, dalla storia degli Ebrei. E infine quanti scismi nella Chiesa derivarono per lo più da questo, che i magistrati vollero dirimere con le leggi le controversie dei dottori? Se gli uomini, infatti, non 3 nutrissero la speranza di trarre dalla propria parte le leggi e la magistratura, e di trionfare dei propri avversari con il comune consenso del volgo, e di conseguire onori, giammai si accanirebbero gli uni contro gli altri, né un tale furore agiterebbe le loro menti. Oltre che dalla ragione, tutto ciò è insegnato dall'esperienza di tutti i giorni. Tutte le leggi di questo genere, con le quali da un lato si comanda a ciascuno ciò che deve credere e dall’altro gli si vieta di scrivere o di parlare contro questa o quell'opinione, sono state spesso introdotte per favorire, o piuttosto cedendo all'ira di coloro che non possono sopportare gli spiriti liberi e con la propria torva autorità possono facilmente mutare in rabbia la devozione del volgo, e scatenarla contro chi vogliono. Quanto meglio sarebbe, invece, frenare l'ira e il furore del volgo, piuttosto che promulgare leggi inutili, che non possono essere violate se non da coloro che coltivano le arti e la virtù, e ridurre lo Stato in tanta angustia da non poter sostenere gli uomini liberi? Qual peggior male può esservi per uno Stato, che quello di esiliare come malviventi uomini onesti soltanto perché professano opinioni non conformi, e non le sanno dissimulare? Che cosa è più pernicioso, dico, che il considerare come nemici e il mandare a morte questi uomini, non perché siano scellerati o delinquenti, ma soltanto perché sono di spirito liberale, e trasformare così il palco della morte, terrore dei malfattori, in un nobilissimo palcoscenico, sul quale si offre, ad onta e vergogna della sovrana maestà, un saggio sublime di tolleranza e di virtù? Giacché coloro che hanno coscienza della propria onestà non temono la morte come i malfattori, né hanno terrore del supplizio; e poiché il loro animo non è angustiato dal rimorso di alcun misfatto, anziché un supplizio, reputano una fine onorevole e gloriosa quella di morire per la giustizia e per la libertà. E quale esempio si può offrire con l'uccisione di questi uomini, il cui ideale, incompreso dagli spiriti fiacchi e inerti, e combattuto dai malvagi, è invece ammirato dagli onesti? Nessuno invero può prenderne esempio se non per imitarne la sorte, o almeno per esaltarla. Per ottenere, dunque, che non il vile servilismo, ma la fede sia tenuta in onore, e affinché la somma potestà possa tenere nel miglior modo il governo, e non sia costretta a cedere a uomini sediziosi, è necessario permettere la libertà di giudizio e governare gli uomini in modo che, per quanto diverse e contrastanti possano essere le loro opinioni, possano tuttavia pacificamente convivere. E non v'è dubbio che questo criterio di governo sia il migliore e che presenti gli inconvenienti meno rilevanti, essendo esso il più conforme all'umana natura. Abbiamo infatti dimostrato che in un ordinamento democratico (che è il più vicino allo stato naturale) tutti si impegnino bensì di agire in conformità ad un ordine comune, ma non di giudicare e di ragionare allo stesso modo. Poiché è impossibile che tutti professino ugualmente le stesse opinioni, gli uomini convennero che avesse vigore di legge quella che avesse raccolto la maggioranza dei suffragi, conservando tuttavia l’autorità di abrogarla, qualora ne riconoscessero di migliori; e perciò, quanto meno si concede agli uomini la libertà di giudizio, tanto più ci si allontana dallo stato più prossimo al naturale e ci si avvicina, di conseguenza, al governo più dispotico. A dimostrare, d'altra parte, come da questa libertà non derivino inconvenienti tali che non possano essere eliminati dalla sola autorità della somma potestà, e come da questa gli uomini, sebbene professino opinioni palesemente contrarie, siano facilmente trattenuti dal ledersi a vicenda non mancano gli esempi. E non ho bisogno di andare troppo lontano per trovarli. Ne offre uno la città di Amsterdam, la quale sta sperimentando, con suo grande vantaggio e con l'ammirazione di tutte le nazioni, i frutti di questa libertà. In questa floridissima Repubblica e nobilissima città, infatti, convivono in perfetta concordia uomini di tutte le nazionalità e di tutte le religioni; e per affidare i propri beni a qualcuno i cittadini di questo Stato si preoccupano soltanto di sapere se costui sia ricco o povero, e se sia solito agire in buona o in mala fede. La religione o la setta cui egli appartiene non li interessa affatto, perché ciò non contribuisce per nulla a far loro vincere o perdere la causa dinanzi al giudice. E non vi è alcuna setta così odiata, i cui seguaci (quando non rechino danno ad alcuno, rendano a ciascuno il suo e vivano onestamente) non siano protetti e tutelati dall'autorità dei pubblici magistrati. Per contro, quando, in passato, la controversia religiosa sorta tra i Rimostranti e i Controrimostranti incominciò ad essere discussa dai politici e dagli Ordini provinciali, finì per degenerare in uno scisma; molti esempi dimostrarono allora come le leggi promulgate allo 4 scopo di dirimere le controversie religiose servano più ad esasperare che a correggere i cittadini, alcuni dei quali ne traggono argomento ad infiniti soprusi, e come gli scismi non derivino da un grande amore della verità (che è invece sorgente di cortesia e di mansuetudine), ma da uno smoderato desiderio di dominio. Onde risulta più chiaro della luce del sole come siano scismatici coloro che condannano gli scritti altrui e che con argomenti sediziosi aizzano il volgo petulante contro i loro autori; piuttosto che gli stessi scrittori, i quali scrivono per lo più soltanto per i dotti e si appellano alla sola ragione; e come, inoltre, i veri perturbatori dell’ordine pubblico siano coloro che in una libera Repubblica pretendono di sopprimere quella libertà di pensiero che non può essere repressa. Con ciò abbiamo dimostrato che: I) è impossibile togliere agli uomini la libertà di dire quello che pensano. II) Questa libertà, salvi il diritto e l'autorità del sommo potere, può essere concessa a tutti, e ciascuno può esercitarla, salvo sempre quel diritto, finché non ne assuma licenza per introdurre qualcosa come diritto nella Repubblica o per agire contro le leggi costituite. III) Questa stessa libertà può essere da tutti esercitata senza pregiudizio della pace dello Stato e senza che ne sorgano inconvenienti che non si possono facilmente eliminare. IV) Ognuno può esercitarla salva restando anche la religione. V) le leggi promulgate intorno alle questioni speculative sono completamente inutili. VI) Questa libertà, infine, non soltanto può essere consentita senza pericoli per lo Stato, per la religione e per il diritto delle supreme potestà, ma deve, anzi, essere concessa affinché tutto ciò sia conservato; giacché, quando invece si fa di tutto per sopprimerla e si discutono nei tribunali le opinioni dei dissidenti, anziché le loro intenzioni, che sole possono essere delittuose, allora si prendono contro onesti cittadini tali provvedimenti, che lungi dal servire d'esempio, appaiono piuttosto come martiri ed esasperano gli altri, accendendo in essi sentimenti di commiserazione, se non di vendetta, piuttosto che intimorirli. Le buone arti e la religione, inoltre, si corrompono; si favorisce l'adulazione e la perfidia, e i nemici dello Stato trionfano, perché i governanti hanno ceduto alla loro passione e ne hanno seguito la dottrina, della quale, anzi, sono considerati gli interpreti, fomentando così nei nemici dello Stato l'ardire di calpestarne l'autorità e il diritto, e di proclamare sfacciatamente che essi sono stati eletti direttamente da Dio e che i loro decreti sono divini, mentre quelli delle somme potestà sono semplicemente umani e subordinati, perciò, ai divini, e cioè ai loro stessi decreti. E quanto tutto ciò sia contrario al benessere dello Stato, nessuno può ignorare. Concludiamo pertanto qui, come già abbiamo concluso nel capitolo XVIII, che non vi è nulla di più sicuro per lo Stato quanto il fatto che la pietà e la religione consistano esclusivamente nell'esercizio della giustizia e della carità e che il diritto delle supreme potestà, sia in materia religiosa sia in materia civile, venga limitato alle azioni e che per altro sia consentito ad ogni cittadino, non solo di pensare quello che vuole, ma anche di dire quello che pensa. E’ così ho assolto al compito che in questo Trattato mi ero proposto. Non mi resta che dichiarare espressamente di non avere in esso scritto nulla ch'io non sia disposto a sottoporre senza riserve all'esame e al giudizio dell'autorità del mio paese: ché, se qualcosa di ciò che ho detto, sarà da essa giudicato contrario alle patrie leggi o nocivo al bene comune, voglio che si abbia per non detto. So di essere uomo e di aver potuto sbagliare; ma ho fatto tutto il possibile per non cadere in errore e perché, soprattutto, quanto scrivevo fosse in tutto conforme alle leggi del mio paese, alla religione e alla morale.