Misurare la performance del sistema sanitario
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Misurare la performance del sistema sanitario
127 APPENDICE 2 Argomenti di approfondimento LA MISURA DELL’EFFICIENZA Una delle componenti essenziali della qualità organizzativomanageriale è senza dubbio l’efficienza. Storicamente, l’analisi dell’efficienza è legata alla creazione di indici ad hoc di stampo tipicamente economico/aziendale che misurano la produttività del sistema confrontando l’output con l’input. Il limite principale di questo approccio, tuttora ampiamente diffuso data la sua relativa semplicità di applicazione e la sua adattabilità a sistemi di valutazione di tipo normativo (che generalmente si avvalgono di misure puntuali relative a singoli aspetti del fenomeno), consiste nel fatto che le caratteristiche del processo produttivo vengono considerate separatamene producendo una rappresentazione parziale della realtà; si tenta talvolta di ovviare utilizzando a posteriori metodologie di aggregazione degli indicatori che spesso contengono un certo grado di arbitrarietà o si basano su ipotesi restrittive o non si prestano a facili interpretazioni. Un approccio alternativo oggi fortemente consolidato è rappresentato dalla cosiddetta analisi di frontiera. L’uso delle frontiere come metodo per stabilire standard di riferimento nell’analisi dell’efficienza si sviluppa a partire dal lavoro di Farrell (1957) il quale ha inoltre introdotto la nota distinzione tra i tre aspetti dell’efficienza già ricordati nei precedenti paragrafi e che qui si ribadiscono: • l’efficienza tecnica ovvero la capacità di minimizzare la quantità di input impiegata per un dato livello produttivo o di massimizzare la produzione ottenibile a parità di risorse impiegate; 128 MISURARE LA PERFORMANCE DEL SISTEMA SANITARIO • l’efficienza allocativa o gestionale ovvero la capacità di allocare al meglio le risorse, impiegando la combinazione di input ottimale dati i prezzi di mercato o di acquisizione; • l’efficienza complessiva o di costo ovvero la capacità di minimizzare i costi totali di produzione, raggiungendo sia l’efficienza tecnica sia quella allocativa. L’analisi di frontiera consiste sostanzialmente nell’individuazione della frontiera che consente di associare a ogni quantità di input il massimo livello di produzione tecnicamente ottenibile o, analogamente, a ogni livello di produzione il minimo impiego di risorse. In altri termini la frontiera consente di delimitare lo spazio produttivo nel quale trovano collocazione specifiche combinazioni di input e output. Un’analoga definizione è quella di «luogo geometrico dei punti tecnicamente efficienti»; l’efficienza relativa di una specifica unità produttiva può dunque essere misurata in termini di distanza rispetto ai punti appartenenti alla frontiera. In questo senso la frontiera rappresenta uno standard di riferimento della produzione, poiché quantifica il «valore limite» ossia il massimo prodotto realizzabile da determinati fattori quando essi vengono utilizzati nella maniera più efficiente possibile, dato lo stato della tecnologia e delle procedure. Le unità produttive che si posizionano sulla frontiera sono quelle che realizzano trasformazioni tecnicamente efficienti, tali che un maggior livello di produzione risulti ottenibile solo aumentando la quantità dei fattori in input. Tradizionalmente i metodi di stima delle funzioni di frontiera vengono classificati in due grandi categorie: i modelli parametrici e i modelli non parametrici. Semplificando al massimo, si può dire che l’approccio parametrico si basa su procedure di stima di tipo econometrico applicate a una specifica forma funzionale mentre quello non parametrico viene svincolato dalla necessità di specificare a priori una forma funzionale che risulta invece definita solo sulla base dei dati osservati. Quest’ultimo elemento rappresenta un grosso vantaggio in quanto dall’imposizione di ipotesi teoriche sul sistema di produzione spesso non perfettamente coerenti con la realtà osservata (e in assenza, come può accadere, di strumenti effettivamente in grado di dimostrare tale coerenza) potrebbero derivare rilevanti effetti di distorsione sui risultati dell’analisi. D’altro canto l’applicazione delle tecniche non parametriche richiede un’elevata numerosità delle unità di osservazione a causa della forte sensibilità dei risultati agli errori di misurazione e alla presenza di eventua- Appendice 2 129 li outlier cioè di valori anomali che si discostano significativamente da quelli relativi a tutte le altre unità osservate. Appartengono alla tipologia dei modelli parametrici i cosiddetti modelli multilevel* che si applicano a dati organizzati secondo una struttura gerarchica (ad esempio, in ambito sanitario, le prestazioni ospedaliere potrebbero essere raggruppate per reparto, per ospedale, per ASL di appartenenza dell’ospedale, ecc.). Ciascun livello al quale vengono rilevate le unità di analisi, e le corrispondenti variabili in studio, costituisce una fonte di variabilità che può essere analizzata mediante questo approccio: in altre parole il modello consente di stimare gli effetti individuali e di contesto (cioè attribuibili all’appartenenza a un dato gruppo) e le loro reciproche relazioni. Presupposto e fondamento del modello è la correlazione tra le osservazioni micro (unità di primo livello), cioè quelle che appartengono allo stesso gruppo (dove i gruppi costituiscono le unità di secondo livello), la quale si realizza mediante un campionamento a più stadi. Tale dipendenza, ossia la relazione esistente tra livello micro e livello macro, può costituire, come già detto, il vero oggetto di interesse dell’analisi multilevel. Prima di adottare l’approccio multilevel occorre dunque capire quando la struttura dei dati consente un’applicazione multilevel (cioè è possibile, ma non necessario, impostare il disegno campionario e la successiva analisi in modo da adattarla a un’esplorazione delle relazioni micro/macro che sono ovviamente considerate di interesse in relazione agli obiettivi dello studio) e quando invece esige un’applicazione multilevel (nel senso che i dati sono naturalmente clusterizzati e quindi ignorare questo tipo di struttura provocherebbe una perdita significativa di informazione con ovvie conseguenze sull’interpretazione del fenomeno). Alcune interessanti applicazioni dei modelli multilevel per la misurazione dell’efficienza sono state effettuate nell’ambito di indagini valutative sui reparti ospedalieri in cui la scelta di questo tipo di approccio è stata dettata da specifiche esigenze, in particolare: * L’applicazione più classica (ma traslabile ad altri ambiti tra cui anche quello dell’analisi delle performance sanitarie) dei modelli multilevel è quella relativa alle scienze sociali, dove l’interazione tra l’individuo e l’ambiente è storicamente l’oggetto prioritario di interesse. In questo particolare ambito tale metodologia si è posta come punto di incontro tra due approcci opposti cioè quello di tipo macro (analisi «ecologica») e quello di tipo micro (ad esempio, indagini di popolazione in cui i fenomeni vengono analizzati solo a livello individuale). Questo ha consentito di evitare gli estremismi derivanti da tali impostazioni (rispettivamente la cosiddetta fallacia ecologica e la cosiddetta fallacia atomistica che consistono appunto nell’estendere all’individuo le relazioni emerse a livello macro e, viceversa, nell’attribuire caratteristiche individuali a gruppi e strutture più complesse) e di studiare in che modo l’aggregato «ambiente» condiziona direttamente o indirettamente le scelte, i comportamente, i processi decisionali dell’individuo. 130 MISURARE LA PERFORMANCE DEL SISTEMA SANITARIO • raccordo tra fonti informative diverse cioè tra archivi di dati raccolti con finalità indipendenti: ad esempio, misure di output (quali la numerosità dei casi trattati, la durata della degenza e i finanziamenti ottenuti sulla base del sistema dei DRG) possono essere desunte dai dati SDO mentre le variabili da considerare come input sono generalmente ricavabili dalla rilevazione dei flussi delle attività gestionali ed economiche delle strutture ospedaliere; • valorizzazione della struttura gerarchica dei dati: esistono ad esempio nell’organizzazione ospedaliera delle unità superiori (reparti) che presumibilmente esercitano un effetto sulle unità di base (ricoveri, giorni di degenza, ecc.) contribuendo alla determinazione delle singole dimensioni dell’efficienza; l’approccio multilevel consente di stimare tale effetto e di superare i limiti dell’analisi multivariata classica la quale risulterebbe infatti inadeguata se, come in questo caso, si volessero effettuare confronti tra i reparti (a causa dell’esistenza di una correlazione intra-gruppo), tanto più se si volesse tener conto di tutti gli altri fattori di complessità che influiscono sui risultati e che quindi vanno in qualche modo controllati nelle valutazioni; • analisi del trend: la struttura gerarchica dei dati può coinvolgere anche la componente temporale (sempre con riferimento al settore ospedaliero, si potrebbe studiare come è variata nel tempo l’appropriatezza dei ricoveri e in questo caso i tre livelli della gerarchia sarebbero ad esempio rappresentati rispettivamente dai reparti, dall’anno di rilevazione e dalla variabile di output data dai singoli ricoveri o dalle giornate di degenza). In uno studio condotto nella regione Lombardia e finalizzato a un’analisi dell’efficienza delle strutture ospedaliere attive sul territorio, è stato applicato un modello di regressione multilevel considerando come variabili risposta i giorni di degenza, il numero di casi trattati e il fatturato totale (cioè la somma delle remunerazioni ottenute per ogni caso trattato) e come variabili esplicative il numero totale dei posti letto, il personale totale, il totale delle apparecchiature mediche e il totale dei servizi forniti dall’ospedale. I dati sono stati analizzati sia a livello di ospedale sia a livello di singolo reparto: dai risultati è emerso un effetto fortemente significativo (nel senso di una correlazione positiva) della variabile posti letto sulle variabili giorni di degenza e fatturato totale e, in misura più ridotta, della variabile totale apparecchiature (correlazione negativa) sulla variabile giorni di degenza. La dimensione del personale in servizio nell’ospedale si correla positivamente con le variabili di output ma il valore del coefficiente varia significativamente a seconda del tipo di reparto considerato, ad indicare il maggiore/minore fabbisogno di personale in relazione all’output del reparto stesso. Appendice 2 131 Sulla base di questi risultati e delle stime effettuate a livello aggregato (cioè di ospedale, considerando tutti i reparti), è stato poi costruito un indice sintetico che ha permesso di stilare una graduatoria dei vari ospedali a seconda del livello di efficienza raggiunto (Bolzan 2002). LA MISURA DELL’EFFICACIA Prima di accennare agli aspetti più tecnici è opportuno ribadire che il primo fondamentale passo verso l’analisi dell’efficacia è la definizione dell’outcome, la quale di per sé implica non pochi problemi concettuali e metodologici. Si è già più volte ribadita la necessaria distinzione, all’interno di una valutazione multidimensionale della qualità dell’assistenza sanitaria, tra l’output cioè il prodotto aziendale e l’outcome ossia il risultato in termini di ricaduta dell’intervento posto in atto sulla salute individuale e collettiva. Data la molteplicità dei fattori, interni ed esterni al sistema sanitario, che contribuiscono (con una diversità di ruoli, funzioni, intensità di impatto, ecc.) alla determinazione dell’esito di salute, questo viene spesso interpretato come un costrutto multidimensionale alla cui misurazione partecipano una serie di indicatori relativi ai vari aspetti connessi alla salute. Alcuni autori hanno tentato una classificazione degli outcome distinguendo tre categorie principali (Cittadini 2002): 1. Outcome di contesto: non descrivono direttamente i risultati, in termini di salute, dell’assistenza fornita bensì i fattori e le condizioni che influiscono, in senso positivo o negativo, sull’effetto prodotto dall’assistenza stessa. Gli outcome di contesto sono quindi identificabili con quegli aspetti della performance che insieme concorrono a generare un certo esito, quali l’accessibilità, l’appropriatezza, lo stato di salute preesistente o indipendente dall’intervento assistenziale: • Ad esempio i tempi di attesa, che sono correntemente considerati un indicatore di accessibilità e rispondenza, rappresentano un fattore interno al sistema che può condizionare la realizzazione dell’outcome; analoghi esempi sono la percentuale di ricoveri inappropriati, che è un indicatore di inappropriatezza o, relativamente alle variabili esogene al sistema, i cosiddetti eventi sentinella ossia quei fenomeni epidemiologici e/o clinici che preannunciano il manifestarsi di un evento patologico sulla persona o sulla popolazione e che possono essere assunti come indicatori dello stato di salute. 132 MISURARE LA PERFORMANCE DEL SISTEMA SANITARIO 2. Outcome clinici: descrivono i risultati conseguenti a uno specifico trattamento medico, chirurgico o riabilitativo effettuato sulla base di standard scientificamente validi e riconosciuti (linee-guida). • Vari esempi di indicatori di esito clinico possono essere desunti dalla letteratura nazionale e internazionale: ad esempio nell’ambito dei trial clinici e degli studi di disease progression così come nell’ambito delle varie scale di misurazione adottate per la valutazione dei sintomi, o dello stato funzionale, ecc. 3. Outcome inerenti lo stato di salute inteso in senso lato: descrivono la qualità della vita salute-correlata tenendo conto di una molteplicità di aspetti quali la comorbosità, la disabilità fisica e/o mentale conseguente alla malattia, lo stato psicologico, gli effetti collaterali di interventi o farmaci, ecc. • Un tipico esempio di misura di questo tipo di outcome è la scala SF-36 (e la sua versione ridotta SF-12), che viene spesso definita come indicatore di «stato di salute generico» in quanto basata su valori universalmente accettati ossia su una definizione ampiamente condivisibile e generale (cioè non specifica per età, patologia o terapia) di benessere individuale. Riguardo agli aspetti più tecnici, agli indicatori di efficacia si estendono considerazioni simili a quelle espresse a proposito degli indicatori di efficienza; in particolare si può anche in questo caso affermare che agli indicatori univariati, i quali cioè valutano separatamente singoli aspetti (spesso soggetti a «discutibili» sintesi a posteriori) dei processi, delle attività e dei risultati andrebbero «preferiti» metodi di analisi multivariata che privilegiano una visione di insieme dei fenomeni e che valorizzano la struttura di relazione delle variabili esaminate. In tal senso i modelli multilevel rappresentano anche in questo caso un valido supporto in quanto consentono di effettuare confronti coeteris paribus cioè a parità di condizioni (caratteristiche di contesto, caratteristiche dei soggetti coinvolti nella valutazione,* ecc.) e quindi di produrre stime di «efficacia relativa», indagando al tempo stesso le relazioni tra i vari attori che, a diversi livelli, giocano un ruolo nella determinazione dei risultati. * In particolare il controllo di quest’ultima variabile consente di prevenire i cosiddetti meccanismi di «selezione avversa» che possono essere messi in atto dai valutatori al fine di modificare a loro vantaggio gli indicatori di efficacia (ad esempio, nelle valutazioni di efficacia clinica possono essere scelti solo i pazienti con esiti più favorevoli, inficiando ovviamente i risultati dell’analisi). Appendice 2 133 L’approccio multilevel permette di «modellizzare» le tre tipologie in cui, secondo alcuni autori, deve essere distinta l’efficacia: • efficacia di tipo A che comprende gli effetti dell’istituzione o agente (in particolare le risorse e la capacità di management) e gli effetti dei fattori socioeconomici di contesto; • efficacia di tipo B che include solo l’effetto delle risorse dell’agente (che sono osservabili); • efficacia di tipo C che considera soltanto la capacità di management (che non è direttamente osservabile). In tutti e tre i casi l’analisi multilevel consente di stimare tali effetti e le loro reciproche interazioni. C. LA MISURA DEL «PUNTO DI VISTA DEL PAZIENTE» Le opinioni dei pazienti riguardo all’assistenza effettivamente ricevuta o della quale sono potenziali fruitori è parte integrante della qualità relazionale. Si riporta, a scopo esemplificativo, una breve sintesi di un recente studio (Wensing e Elwyn 2002) che è sembrato estremamente interessante in quanto enuclea e sviscera gli aspetti salienti della questione. In questo studio sono stati effettuati una revisione, riferita all’ultimo decennio, e un tentativo di classificazione delle tecniche di valutazione delle opinioni dei pazienti a partire dall’individuazione di quelle che possono essere identificate come le dimensioni più significative del punto di vista degli utenti del sistema sanitario. Più precisamente, lo studio tenta, in prima analisi, di rispondere al quesito circa la maniera in cui possono essere scomposte (in una tassonomia che riguardi anche le definizioni e la relativa terminologia tecnica) le opinioni dei pazienti, il loro modo di esprimerle e la maniera di valutarle. Viene quindi proposta una modalità di aggregazione in base alla quale è possibile individuare: 1. Le preferenze, ossia le idee che i pazienti hanno su come dovrebbe essere l’assistenza sanitaria. Generalmente il termine si riferisce specificatamente all’opinione individuale dei pazienti riguardo a un trattamento clinico; strettamente correlati al concetto di preferenza vi sono altri costrutti teorici quali le aspettative, i bisogni percepiti, i desideri, le priorità (termine quest’ultimo utilizzato per intendere le opinioni e gli orientamenti nei confronti dei servizi sanitari, e non 134 MISURARE LA PERFORMANCE DEL SISTEMA SANITARIO verso trattamenti come nel caso delle preferenze, in una popolazione di cittadini o pazienti). 2. Le valutazioni, ossia le «reazioni» dei pazienti agli aspetti più salienti del contesto, del processo e dei risultati dell’assistenza, sulla base del proprio vissuto; concetti affini alle valutazioni sono: soddisfazione, giudizi, lamentele, commenti, ecc. 3. I report, ossia le osservazioni oggettive che i pazienti fanno dell’organizzazione e dei processi, indipendentemente dalle loro preferenze e valutazioni (ne è un esempio la registrazione dell’attesa per ottenere una data prestazione priva del giudizio soggettivo sulla durata di tale attesa e quindi della percezione/valutazione della qualità dell’assistenza ricevuta). Concetti analoghi sono esperienza e percezione delle performance professionali. Per ciascuna delle suddette categorie vengono prima descritti e criticati i metodi di valutazione (quantitativi e qualitativi) oggi più frequentemente usati e quindi enucleati i limiti e i vantaggi di ciascuno, con la raccomandazione finale che, indipendentemente dalla metodologia applicata, vengano adottati gold standard (ossia criteri condivisi di validità, accuratezza, affidabilità) per validare e rendere comparabili i risultati. Un secondo obiettivo dello studio è quello di classificare i risultati delle valutazioni delle opinioni dei pazienti in base al loro possibile utilizzo al fine di migliorare la qualità dell’offerta assistenziale. Lo spunto suggerito dallo studio permette di immaginare, anche per il nostro Paese, almeno cinque approcci differenti: • il primo concerne le ricadute delle opinioni dei pazienti sui comportamenti e sulle opinioni dei pazienti stessi (in generale, report e resoconti pubblici relativi ai differenti fornitori di prestazioni potrebbero includere dati e indicatori sulle valutazioni effettuate dagli utenti di quelle prestazioni). • il secondo focalizza l’attenzione sulla potenzialità informativa delle opinioni dei pazienti rispetto all’agire dei singoli operatori sanitari. Ad esempio, tutto ciò che riguarda la formazione professionale potrebbe avvalersi delle analisi e delle evidenze emerse relativamente al punto di vista dei pazienti; analogamente, le informazioni sulle opinioni dei pazienti potrebbero innescare un meccanismo di feedback con i professionisti del settore. Appendice 2 135 • il terzo approccio propone di sfruttare il feedback del paziente (così come risulta da indagini ad hoc, da rilevazione delle lamentele, da gruppi di consenso, ecc.) per migliorare determinati aspetti della qualità dell’assistenza, ad esempio per rivedere ed eventualmente modificare linee-guida di buona pratica derivate esclusivamente da indicazioni cliniche o «etiche»; • il quarto riguarda la valutazione di impatto: le opinioni dei pazienti dovrebbero essere raccolte e valutate anche in relazione a possibili effetti sui processi e sugli esiti dell’assistenza sanitaria. A tal fine occorre selezionare opportuni indicatori di outcome derivandoli dagli obiettivi: in altre parole, come più volte ribadito a proposito di ogni componente della performance, anche in questo ambito la definizione degli obiettivi è preliminare alla misurazione dei risultati ottenuti e al loro confronto con quelli attesi. • il quinto e ultimo enfatizza l’opportunità e il valore insiti nella rilevazione delle esperienze dei pazienti e delle loro preferenze al fine di concordare scelte e strategie di politica sanitaria. Affinché ciò avvenga è necessario esplorare e valutare le priorità e i bisogni assistenziali nel territorio, interagire con le organizzazioni dei cittadini e accogliere le loro specifiche richieste (che possono riguardare sottogruppi con opinioni/aspettative/esigenze significativamente differenti da quelle di gruppi più ampi o della popolazione generale) e in sostanza procedere ad analisi più complesse e dettagliate affinché le opinioni individuali e collettive degli utenti diventino uno degli input della programmazione e realizzazione degli interventi. Naturalmente, le potenzialità delle opinioni dei pazienti dipendono dalla bontà dei metodi utilizzati per la loro raccolta e valutazione nonché dalla congruità dei metodi stessi con gli obiettivi che lo studio delle opinioni si propone. Nell’articolo in esame viene dunque nuovamente prospettata una classificazione che identifica diverse tipologie di obiettivi e di corrispondenti indicatori. Ovviamente, nell’analisi di impatto non ci si può sottrarre alla possibile scoperta e interpretazione di risultati negativi o meglio all’evidenza che il coinvolgimento del paziente può essere un obiettivo di performance potenzialmente in grado di provocare effetti sfavorevoli sul sistema (ad esempio, un’eccessiva o non realistica aspettativa degli utenti nei confronti delle prestazioni o dei servizi richiesti può dar luogo a un aumento dei costi, così come un comportamento «difensivo» dei forni- 136 MISURARE LA PERFORMANCE DEL SISTEMA SANITARIO tori di assistenza verso la propria organizzazione può sfociare in un aumento, ovviamente non auspicabile, delle procedure cliniche non necessarie o delle prestazioni inappropriate, ecc.). Infine, in questa analisi allargata dei metodi di valutazione delle opinioni dei pazienti occorre anche tener conto della loro reale applicabilità in termini di comprensione e acquisizione da parte di tutti gli attori coinvolti. In altre parole esiste e quindi va gestita l’eventualità che medici, pazienti, decisori, ecc. non dispongano delle capacità e delle competenze per utilizzare concretamente tali strumenti o che esistano, all’interno della struttura organizzativa, barriere che in qualche modo limitano la loro applicazione e le loro potenzialità; tali ostacoli vanno individuati e possibilmente superati attraverso strategie e azioni che devono a loro volta essere valutate quantificando il successo del metodo (in termini appunto di recepimento e consenso).