Tutte le donne della mia arte “Ci sono donne che ispirano la voglia
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Tutte le donne della mia arte “Ci sono donne che ispirano la voglia
Tutte le donne della mia arte “Ci sono donne che ispirano la voglia di vincerle e di godere di loro, ma questa dà la voglia di morire lentamente sotto i suoi occhi” Charles Baudelaire, “Lo spleen di Parigi” Vienna, 1900. Il mio nome è Gustav e sono un artista. Ho due problemi, nella vita: il primo sono le donne, il secondo è la conseguenza del primo sul mio lavoro. Vedete, a me le donne piacciono: in un certo modo, se capite, sono davvero il senso del mio esistere, le mie muse; non so stare, senza le donne: tutta la mia arte è basata su di loro: io creo su di loro, sono il cemento per le mie case, la tela per i miei quadri, il nutrimento della mia anima. Una volta un filosofo scrisse: “Non puoi piacere a tutti con la tua azione e la tua arte. Rendi giustizia a pochi. Piacere a molti è male”. Ecco: a me basta sapere che i quadri in cui raffiguro una certa donna piacciano a quella certa donna. Tutto qui. La gente parla male di me: dice che faccio l’amore con le mie committenti. Beh, io non sono molto socievole, questo sì, e mi piace andare alle feste, è vero, ma solo per svagarmi: preferisco il mio studio, e il mio lavoro, preferisco dipingere e creare. Sono immensamente solo. Le donne, beh, le donne riempiono la mia solitudine: Baudelaire una volta ha detto: “Ubriacatevi di vino, di poesia o di virtù: come vi pare, ma ubriacatevi”. Io aggiungo: ubriacatevi di donne. Perciò, beh, sì, faccio spesso l’amore, anche con le mie committenti, lo ammetto, ma cosa volete farci: ognuno sceglie a modo suo il modo in cui andarsene da questo mondo; del resto c’è chi si spara, chi si avvelena, chi come il caro vecchio Toulouse si ubriaca e si droga finché il suo fisico malato lo reggerà… Io faccio all’amore, che è un modo piacevole, divertente e poetico; melodrammatico, anche: è tutta una questione di solitudine, di mascherare qualcosa… Perché, vedete, se fosse per puro piacere, senza nulla sotto, senza un motivo, sarebbe come prendere la vita e pisciarci sopra: è un bene troppo prezioso per relegarla al solo sesso; sì, è divertente, ma è vuoto: io faccio l’amore con le donne per non sentirmi solo anche se lo sono, le dipingo per averle con me, le dipingo perché è l’unico modo che conosco per amarle davvero. Non con l’orgasmo: con l’arte; che è un orgasmo più raffinato. E poi c’è Emilie. Lei è diversa, non so spiegare neppure io: l’amo, credo di amarla, ma non riesco a dirglielo; anche lei, in un certo senso, sono convinto che mi ami, e anche lei non me l’ha mai detto. Io penso, sinceramente, che la nostra, a questo punto, sia più una specie di amicizia: sì, ci vogliamo bene, forse qualcosa di più, è vero, ma non è amore; in qualche modo è oltre persino all’amore, è un sentimento che non esisteva prima di noi e non esisterà dopo; è complicità. Sesso? Inutile provarci. Con le donne di solito funziona: sfodero il mio fascino burbero e asociale da artista e loro cadono ai miei piedi, io prometto un ritratto e loro fanno l’amore con me; forse è ingannare, forse non si fa, lo so, ma in qualche modo bisogna sopravvivere alla solitudine della vita. Con Emilie è diverso: con lei non funziona, non sono capace; la vedo, bellissima, e non riesco neppure ad immaginarla nuda, nel letto, abbracciata a me. C’era una ragazza coi capelli d’oro che quando faceva l’amore sembrava cantasse, ce n’era un’altra dai capelli di fuoco che era Venere reincarnata: Emilie era oltre, e io non l’ho mai saputo. Ci amavamo, in silenzio, piano e lentamente, ci consumavamo al fuoco della nostra passione segreta a tutti, segreta a noi, e lentamente volavamo via, ceneri nel vento della vita. Giorni. E anni. Per sempre. Non capisco, non so dire. Un giorno Emilie venne da me e mi disse: -Mi sto innamorando. Le risposi: -Non farti male. Lei chiese perché, cosa volesse dire quella frase: io non dissi niente e le feci un ritratto, perché non era di me che si stava innamorando. Se ne andò, si sposò, ebbe dei figli, forse, non so; non seppi più nulla di lei. Chissà dov’è ora e se pensa ancora a me, qualche volta: io, di certo, penso a lei; ho il suo ritratto qui, in casa, e mentre faccio l’amore con altre donne e lo guardo penso a lei, a come sarebbe stato farlo con lei, perché io l’amavo, e quando si ama tanto una persona bisogna farci l’amore, prima o poi, per farglielo capire; per concedersi a lei e diventare suo. Non ho mai capito se davvero amavo Emilie: quello che so è che in un certo modo era tutto ciò che serviva per riempire la mia solitudine. E ora non è più con me, e io sono solo.