Tel Aviv, il mare batte la guerra

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Tel Aviv, il mare batte la guerra
Shalom.it
Tel Aviv, il mare batte la guerra
Contributed by Dror Mishani
Sunday, 14 July 2013
Avere la propria spiaggia, come la propria sinagoga, è una tradizione
Nell'immaginario collettivo israeliano Gerusalemme e Tel Aviv sono due città opposte, le estremità della nostra tormentata
esistenza. Gerusalemme è l'antico, il luogo del nostro passato, Tel Aviv è la città del nostro presente e del futuro; mentre
Gerusalemme è il luogo sacro gravato dal peso della storia dei conflitti religiosi e delle guerre, Tel Aviv è la sede della
laicità dove le divinità non hanno mai governato; se Gerusalemme è una città di sinagoghe, di mura, di moschee e di chiese,
Tel Aviv è una città di bar e caffè. Questa distinzione è in larga misura vera, ma per me anche Tel Aviv ha la sua
sinagoga: la spiaggia.
Negli ultimi anni siamo stati inondati da voluminosi saggi secondo cui Tel Aviv sarebbe stata fondata da popoli
provenienti dall'Europa orientale con le spalle rivolte al mare quasi a negare la sua collocazione sulle sponde del
Mediterraneo. Chi ha scritto questi saggi non ha mai posato un piede sulla sabbia né intende farlo. La verità è che Tel
Aviv, non appena arriva la primavera, è una città che vive in totale sintonia col mare e molte sue strade portano alla
spiaggia. Non devi far altro che prendere una di queste strade e lasciarti portare a destinazione. Tanto per fare un
esempio sia via Frishman che via Bograshov conducono dal trafficato centro cittadino alla spiaggia. E sebbene,
guardando una cartina, Tel Aviv ci appare adagiata su una pianura, come per un miracolo via Frishman e via Bograshov
si trovano su un pendio tanto che a mano a mano che ti avvicini al mare, a piedi o in bicicletta, ti sembra di accelerare
impercettibilmente come se fosse l'acqua stessa a spingerti verso la spiaggia.
La mia spiaggia è quella in fondo a via Frishman e, sebbene io sappia che ce ne sono di più belle e frequentate, non la
cambierò mai. Avere la propria spiaggia, così come avere la propria sinagoga, è una questione di tradizione e mio padre,
che era nato nella zona sud di Tel Aviv prima che vedesse la luce lo stato di Israele, mi ci ha portato sin da quando ero
bambino. In spiaggia le prime ore del mattino sono le più belle e le più religiose. Ogni giorno, sempre alla stessa ora quando c'è ancora nell'aria il fresco della notte - arrivano i frequentatori ortodossi come se si riunissero per la preghiera
del mattino. Aprono le sedie a sdraio e le collocano nel punto esatto in cui si trovavano il giorno precedente. Poi inizia la
cerimonia. Spunta la tovaglia, ripiegata come lo scialle che si usa per pregare, seguita dai thermos e dal libro delle
preghiere, cioè a dire dal giornale. Uno sguardo basta a capire che gli abituali frequentatori sono tutti presenti. Mosè, il
leggendario rabbino dalla lingua tagliente (vale a dire, il bagnino), con la sua barba bionda da profeta, fa il primo bagno
per saggiare la temperatura dell'acqua e valutare le eventuali insidie che nasconde.
Perché veniamo qui ogni mattino? Credo per la stessa ragione per cui una persona va a pregare: scrutando l'infinito mar
Mediterraneo avvertiamo la presenza delle nostre vite passate in Paesi lontani; non viviamo più solamente nel presente.
Da qualche anno la nostra sinagoga ha nuovi credenti: i turisti francesi che arrivano da Parigi o Marsiglia. I francesi si
fanno vivi molto più tardi, intorno alle 11 o a mezzogiorno, dopo aver fatto una bella dormita. Come d'incanto i bagnini e i
camerieri dei caffè della spiaggia hanno cominciato a parlare francese e ho come l'impressione che d'estate in nessun
altro posto al mondo si parli questa bellissima lingua quanto a Tel Aviv. Sulle prime, malgrado la nostra naturale
diffidenza nei confronti dei nuovi venuti, abbiamo accolto con favore i credenti francesi nella nostra sinagoga.
Aggiungevano un tocco cosmopolita alle nostre spiagge con la loro lingua musicale, le stupefacenti abbronzature dorate,
i lussuosi costumi da bagno e il loro amore per la libertà e il dolce far niente. Ma di recente mi sembra che abbia
cominciato a serpeggiare una certa, sotterranea ostilità. Può darsi si debba al fatto che i conquistatori francesi hanno
determinato un notevole incremento del prezzo degli immobili a Tel Aviv o perché ciò che è costoso per chi percepisce lo
stipendio in sheqel, è economico per chi viene pagato in euro. Sta di fatto che mentre loro se ne stanno distesi su
comodi lettini ben forniti di patatine fritte e bottiglie di vino bianco frizzante, noi ci dobbiamo accontentare di distenderci
su qualche asciugamano liso (rubato in qualche albergo di Parigi) adagiato sulla sabbia bollente e di sbocconcellare un
grappolo d'uva portato da casa. Ma per lo più l'ostilità dipende dal fatto che ai francesi piace stare in prima fila, nel posto
più vicino a dio e al mare, e il personale dei loro alberghi si fa in quattro per sistemare i lettini nei posti migliori della
nostra sinagoga mentre i loro clienti dormono ancora nei loro hotel di lusso.
Quanto agli israeliani, quando vanno in spiaggia si verifica un miracolo. D'improvviso vanno d'accordo e la piantano con
le interminabili polemiche. Sono rilassati e amichevoli e regna la più grande armonia, forse perché l'eterna presenza del
mare dà alle cose le giuste proporzioni. Il vecchio e il giovane, il grasso e il magro, il glabro e il peloso, il pallido e
l'abbronzato, tutti coloro che in Israele non vedresti mai insieme, si siedono gli uni accanto agli altri. Si scambiano sorrisi,
valutano le imperfezioni del proprio corpo con insolita generosità. Come accade in sinagoga, tutti sono uguali sotto lo
sguardo imparziale del mare.
Dror Mishani*
* Pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 20 maggio 2013
Dror Mishani, 1975, vive a Tel Aviv e si è distinto come uno dei pochi autori di noir del suo Paese. In Italia il 23 maggio è
uscito "Un caso di scomparsa" (Guanda), l'inchiesta dell'ispettore Avraham Avraham ambientata proprio a Tel Aviv.
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