Più volte in questa rubrica si è affrontato il tema dell

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Più volte in questa rubrica si è affrontato il tema dell
di Filippo Primo
Più volte in questa rubrica si è affrontato il tema dell’ambivalenza,
del “doppio” e delle varie sfaccettature dell’essere umano che non è del tutto buono o del tutto
cattivo e che da vittima può diventare a sua volta carnefice. Come diceva Eraclito ogni cosa è
ciò che è proprio perché altre cose ne delimitano l'essenza: se non ci fosse la notte, non
potremmo sapere cosa è il giorno. Il film “Tristana” (1970) che rivedremo questa settimana ci
dà ancora occasione di addentrarci in questo tema a me caro. Anche il regista di questa opera,
Luis Buñuel, più volte ha descritto la sua vita come contrassegnata da due poli opposti:
l’educazione presso i gesuiti (la sua più grande limitazione intellettuale) e l’ingresso nel gruppo
surrealista (la sua più grande liberazione). Giocando ancora con il dualismo, Tristana
rappresenta la seconda pellicola che Buñuel trae direttamente dai romanzi di Benito Perez
Galdos (la prima volta è stato nel ’58 con “Nazarìn”)
La storia si svolge a Toledo tra gli anni ‘20 e ‘30 e racconta di Tristana (C.Deneuve) una
giovane orfana, che viene affidata alle cure di un vecchio tutore, don Lope (F.Rey), un borghese
che cerca di sopravvivere, in una falsa dignità, alla sua decadenza.
Con lui c’è la serva Saturna e suo figlio
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sordomuto. L’anziano tutore dapprima accoglie Tristana in casa con paterne carezze, ma i suoi
modi mutano presto: vuol farle da padre e da marito, forzandola a trasformarsi nella sua amante
e approfittando della sua fragilità. La pupilla, pur odiandolo, accetta l’equivoca situazione,
almeno finché non s’innamora di Horacio (F.Nero) un giovane pittore bohemien con cui fugge
dalle grinfie di don Lope in un’altra città. Quest’ultimo, anche se amareggiato, è convinto che
prima o poi la sua Tristana tornerà e infatti dopo due anni la giovane, gravemente ammalata a
una gamba, farà rientro a casa di don Lope e dopo l’amputazione dell’arto inferiore ne diventa
sposa.
Visti così bruciati i suoi sogni di giovinezza, costretta a trascinarsi con le stampelle in una casa
che le sembra una prigione, la donna ha acquistato in veleno quanto ha perduto in pudore (si
mostra nuda al giovane ragazzo sordomuto); e quando il marito, una notte, verrà colto da una
crisi cardiaca, finge di chiamare il medico, espone il vecchio alle correnti d’aria e assiste
indifferente alla sua morte.
Come tutte le opere del grande regista
spagnolo sarebbe necessario dilungarsi nell’analisi e nei tantissimi spunti che vi si ritrovano,
ma per oggettivi limiti di spazio a mia disposizione cercherò di privilegiare solo qualche aspetto
a mio parere interessante. La scelta di filmare quest’opera minore di Galdos è dovuta
all’interesse che il regista ebbe per la figura di don Lope che rappresenta in effetti la sintesi di
tanti personaggi buñueliani che hanno in sé i caratteri del vecchio “hidalgo” e del moderno
libertino e aristocratico che rifiuta di vivere del proprio lavoro; ma allo stesso tempo ci si ritrova
un po’ il “caballero” donchisciottesco con un personalissimo senso dell’onore e una spiccata
antipatia per l’autorità, in primis quella ecclesiastica. Anche in Tristana, come in quasi tutta la
filmografia di Don Luis, gli obbiettivi sono abbastanza chiari: la “fascinosa e discreta” borghesia
e il suo prodotto storico (la proprietà nelle cose o le persone: possesso o costrizione).
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E
alla
proprietà-borghesia
decadenza. Nel film, infatti, si mette in evidenza la metamorfosi di don Lope e la sua parabola
(discendente) esistenziale è speculare e contraria a quella di Tristana e nel reciproco scambio
dei ruoli (da vittima a carnefice) si consuma il dramma del film che Buñuel concepisce come
pura parabola dell’esistenza umana. Se la Tristana iniziale è la vittima innocente del tutore che
non può scegliere perché altri hanno scelto per lei, il don Lope dell’inizio è colui che si professa
ateo e libertino, che svia i poliziotti alla caccia di un ladro e che domina anche la vita altrui. Ma,
l’amore –per don Lope- e l’assenza di amore -per Tristana- opera dei cambiamenti soprattutto
perché questo è l’amore cieco e folle di natura surrealista (amour fou) e che per di più e figlio
del Caso. Elemento operante in tanti altri film di Buñuel, il Caso, insensato e motore dell’agire
umano, dà e toglie senza logica.
A don Lope toglie dapprima Tristana e a
quest’ultima toglie una gamba. Il motivo della mutilazione, molto “sentito” da Buñuel, è forse
tra quelle cose che lo stimolarono leggendo il romanzo e come sappiamo anche Hitchcock ne
era entusiasta.
Impossibile dimenticare la protesi della gamba mutilata che sul letto forma una sorta di
composizione erotico-surrealista con il reggiseno, le calze e le mutandine che Tristana si è
appena tolte prima di mostrarsi al giovane sordomuto. Se è vero che Tristana è la pupilla di don
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Lope è anche vero che il termine stesso ha il doppio significato di minore soggetta a tutela e di
centro dell’occhio: insomma un pupilla per Buñuel resta sempre qualcosa da tagliare!
Frase del film: “Anche se sono degli incubi fanno bene, i sogni. Solo i morti non sognano”
Qua il trailer del film.
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