Il senno da sobrio di Gianni l`eremita

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Il senno da sobrio di Gianni l`eremita
vicenza
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I furti da ragazzino, gli anni di galera, un demone per compagno:
l’alcol. Ma la vita si può riconquistare. Nonostante i rimpianti
Il senno da sobrio
di Gianni l’eremita
La guerra
La guerra si è solo assopita,
dorme con un occhio bendato.
Anche la sentinella
vorrebbe addormentarsi, è stanca.
Sogna campi infiniti di girasoli.
Con gli occhi “smattati”
da borderline
per tutta la notte ha vegliato
un nemico inesistente.
Oltre il filo spinato
hanno ucciso i nostri fratelli
con bombe da venti chilotoni
e i media hanno scritto
dei loro resti
sui muri dei cessi,
come fossero ossari
Le nostre paure
sono il nostro pane
di ogni giorno,
simboli ordinari
del male
guai se ci mancano.
L’organo con il quale
abbiamo creato
le nostre generazioni
si è atrofizzato,
non serve più a niente.
È così
che si arricchiscono
i potenti della terra
sfruttando
le nostre angosce.
Peter Murnau
di Gianni
Tutto inizia a Thiene, un paese in provincia diVicenza, circa 40 anni fa.
Allora avevo 15 anni e il motorino, come quasi tutti quelli che ne avevano la possibilità. Preferivo uscire con ragazzi più grandi di me (19-20 anni) e andavo in giro per i paesini limitrofi per cercare ragazze. Ci si radunava nei bar, dove c’erano i
juke-box, il pomeriggio di sabato e domenica, a volte si tornava per l’ora di cena,
altre volte si rimaneva fuori fino a mezzanotte. Per sentirsi adulti si beveva il vino
frizzantino, si facevano diversi giri, e solo appena tornati a casa ci si accorgeva di
essere euforici, di avere mal di testa, un malessere generale. A volte capitava di vomitare, ma tutto questo durava solo qualche giorno. Si beveva perché così si riuscivano a fare battute simpatiche con le ragazze e a divertirsi.
Dopo un po’ di tempo ho conosciuto ragazzi con strane idee e ho iniNel 1982, dopo la morte di mio paziato a rubare motorini. Era un modo
dre, ho preso in mano la sua attività di
per sembrare dei “duri”. I carabinieri ci
autodemolitore e ho demolito anche il
hanno beccato, ma essendo minorenmio passato, ma la giustizia lenta e ineni non ci hanno messo in carcere.
sorabile ha continuato il suo corso:
Nonostante la ramanzina dei caraquando è arrivato il momento di pagabinieri, abbiamo continuato a fare furre, dovevo scontare quattro anni, ridotti sempre più consistenti. I soldi serviti poi a due per buona condotta. In carvano a vestire bene e comprare oggetti
cere lavoravo come cuoco. Una volta
d’oro (che erano la mia passione). Viuscito ho ricominciato a lavorare di
sto che non lavoravamo, i carabinieri
nuovo nell’azienda ereditata da mio pacontinuavano a tenerci d’occhio.
dre, ma siccome il terreno dell’autodemolizione non era di mia proprietà i costi sono diventati ingestibili. Ho dovuto
In carcere per una “spiata”
chiudere l’attività e sono andato a lavoMi hanno arrestato per una “spiata”. I
rare da mio fratello maggiore a Varese.
carabinieri mi trovarono un bel po’ di
I rapporti con lui, però, erano pessirefurtiva e anche delle armi, che nami, tante volte siamo arrivati anche alscondevo in una casa disabitata. Sono
le mani. Così mi sono rigettato nell’alfinito in carcere per due mesi. Poi sono
col: avevo ormai 40 anni. Bevevo dalla
uscito in libertà provvisoria in attesa
mattina pur di essere sempre stordito:
del processo. Mia madre, che faceva la
non mi interessavo più di niente, avemaestra, mi aveva perdonato, in camvo perso il lume della ragione.
bio della promessa che non avrei fatto
più niente di losco. Quando sono uscito mi sono comportato bene per un po’,
In comunità per rinascere
ma poi ho ricominciato a frequentare
Tornato a Vicenza, si è presa cura di me
la solita compagnia. In poco tempo mi
mia sorella, che mi ha mandato all’osono trovato coinvolto in una rissa
spedale di Sandrigo per disintossicarmi
(sempre a causa dell’alcol) in discotedall’alcol. Lì sono entrato in contatto
ca per difendere un amico, causando
con una psicologa che mi ha proposto
lesioni gravi a quelli della sicurezza,
di entrare in una comunità. Ho deciso
lanciando un bicchiere di whisky.
di accettare, anche perchè non avevo
44. scarp de’ tenis febbraio 2011
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Pregiudizi e alchimie
Un barbone in cravatta chic. Tre
passanti gli regalano un fiammifero
a testa. Accende e spegne il grosso
sigaro per ben tre volte, solo per
compassione, solo per farli contenti.
Hanno occhi così tristi da toglierti
i sorrisi. Guardano e guardano
sotto occhiali spessi di impotenza
emotiva. Lui è ciccione, una carne
di florida insolenza. E così
la sua anima. Si toglie dalle tasche
sbrindellate cinque caramelle allo
zenzero. «Roba da ricchi», pensano
i sei occhiali, ma non dicono niente.
Si va avanti così per un po’,
come sospesi in una bolla vuota
e bamboleggiante, come teste
appese ai cappi. Si va avanti così.
La cravatta ha tre bottoni,
si direbbero di ottone e marchiati,
pure. Lui la tocca con fierezza,
se ne cinge a far bandiera dei suoi
sogni. «Che vorranno, poi, quei
tre?». Il sigaro consuma una cenere
lenta di vecchiezza, è una spezia
arrogante, di chi davvero sa.
Se ne resta zitto, come in attesa:
gli occhialoni dell’impotenza fissano
ancora. Giurerebbero che fosse
sbronzo, matto, lercio. Non si
capacitano, no. E intanto pensano
alle rispettive mogli, figlie e polizze
assicurative. Lui non ne ha bisogno.
La sua vita è la barba che indossa.
Non ha doveri, nessun debito,
niente per cui sbraitare. Si siede
sul marmo davanti alla chiesa.
I tre abbassano lo sguardo, fanno
per andare. Lui si aggiusta
la cravatta e pensa alla prossima
alchimia. I tre si bloccano,
la loro impotenza emotiva
si muta in denaro, unico mezzo
di comunicazione conosciuto.
Sbriciolano un euro da tasche
composte e anonime, quindi
perfette. Lui dice «Grazie», chiude
la mano rimasta nuda
da quell’insulto, si liscia la barba
e sogna ancora.
Chiara Lambrocco
Il “barbone” che ha ispirato questo
racconto è noto a chi transita per la
stazione di Padova: baffoni alla Lenin
e sigaro perennemente in bocca.
La storia
Ero quasi percussionista,
mi restano dita sempre in moto
Questa storia è un pezzo del mio passato e riguarda
la prima volta che sono stato all’estero, in Spagna. Desideravo
e sognavo di vivere lontano dal mio paese, lontano dai miei genitori
separati, volevo trovare un lavoro tranquillo ed essere libero. Però
non avevo idea di cosa significasse vivere lontano da casa, in un paese
totalmente sconosciuto. Il padre di un mio compagno di scuola mi
ha aiutato a partire, a 18 anni ho cominciato a lavorare come falegname
a Barcellona. Dopo quattro mesi la ditta mi ha mandato a Villareal.
È stato il caso che mi ha fatto imbattere in una scuola per percussionisti
latino-americani (un tipo di musica che mi era sempre piaciuta,
fin da piccolo). Ho iniziato a studiare i bonghi, lo jambè e le congas.
All’inizio era molto difficile imparare perché non riuscivo a ricordare
tutti i passaggi che mi venivano insegnati nelle tre ore consecutive
di lezione. Così ho comprato un registratore che mi permetteva
di continuare a suonare anche a casa. Dopo cinque o sei mesi
di allenamento la mia insegnante ha selezionato un gruppo di
percussionisti che si sarebbero esibiti per varie serate in un ristorante.
Tra questi ragazzi c’era anche un mio amico che mi prestava sempre
lo jambè e dopo altri due mesi sono stato chiamato, proprio da lui, per
far parte del gruppo. Così ho cambiato lavoro e da falegname sono
diventato percussionista, ma anche cameriere in quel locale.
Io non lo so come sono passati i giorni, ma a quel punto mi trovavo
già da due anni in Spagna e stavo per diventare percussionista
professionista con tanto di diploma. Però, invece di affrontare l’esame
per cui ho tanto suonato e studiato, ho deciso di tornare a casa: i miei
genitori avevano promesso di rimettersi insieme e mi mancavano.
Mi mancava mio fratello, mi mancavano gli amici.
Arriva così Natale, sono contento di essere con la mia famiglia, ma
la serenità dura solo pochi mesi e in primavera papà e mamma decidono
di separarsi di nuovo: ho rinunciato ai miei sogni e non mi è rimasto
niente. Adesso possiedo soltanto un paio di bonghi che suono ogni
tanto. Tutto quello studio, quell’impegno per la musica, in Spagna,
mi hanno lasciato il segno: una passione che sono tentato di chiamare
“vizio”, quando nei giorni peggiori, mentre girovago in cerca di lavoro
le mie dita non ne vogliono sapere di stare ferme, continuando a segnare
il ritmo su qualsiasi superficie.
Sergiu Nicola Antonoaea
nessuna alternativa se non finire per
strada. Una volta ultimato il percorso in
comunità sono andato a vivere in un
appartamento protetto e ho ricominciato a lavorare fuori. Per me è stato un
aiuto immenso per risalire la china, per
uscire dall’alcolismo. Ma è stata dura,
un strada lunga e piena di ricadute, perché l’alcol è una brutta bestia.
Vivo onestamente ma da eremita
Dal 2002 abito in un alloggio dignitoso,
che ho fatto arredare con soldi guadagnati onestamente. Ringrazio le persone che mi hanno aiutato dalla comu-
nità in poi. Una in particolare: conoscendo bene la mia storia, mi ha seguito fino a oggi, aiutandomi anche a reinserirmi in modo continuativo nel mondo del lavoro.
Con il senno di poi e da sobrio, mi
rendo conto di come avrebbe potuto
essere diversa la mia vita senza alcol.
Oggi sono come un eremita: unica
compagnia la mia gatta Milù. Parlo con
tutti, ma siccome il luogo di aggregazione è quasi sempre il bar, preferisco
rimanere a casa davanti alla televisione, ripromettendomi di fare delle passeggiate per mantenermi in salute.
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febbraio 2011 scarp de’ tenis
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