Poker di statuette per Scorsese
Transcript
Poker di statuette per Scorsese
4 Spettacoli A Hollywood Pernacchie d’oro a Sharon di Mauro Cappiello Quattro immagini della serata. In alto a sinistra Penelope Cruz, a destra Nicole Kidman. In basso, la cantante Beyoncè. Nella foto grande, Martin Scorsese Poker di statuette per Scorsese Sospirato trionfo nella notte degli Academy Awards di Luciana Satta LOS ANGELES. Un trionfo annunciato ma in bilico comunque fino all’ultimo. Alla 79ma edizione degli Academy Awards trionfa Martin Scorsese. Il regista italo-americano si è aggiudicato ben quattro statuette per “The departed”. Tra queste, anche quella per il miglior film e la miglior regia. Dopo sei tentativi andati a vuoto, per il regista italo-americano è il grande riscatto. Incredulo, ha chiesto che la busta con il nome del vincitore fosse controllata una seconda volta, strappando una risata alla platea del Kodak Theater , che lo ha salutato sul palco con una standing ovation. «Tutti mi chiedevano quando avrei vinto un Oscar. Me lo chiedevano in ascensore, me lo chiedeva il medico quando mi facevo le radiografie, me lo chiedevano per strada», ha aggiunto al momento della premiazione. Già da tempo Hollywood riconosce a Scorsese il merito di essere uno dei "grandi" del cinema, non solo per i film che ha diretto, ma anche per le sue battaglie per il restauro delle pellicole e per i suoi straordinari documentari. Lui non ha mai fatto mistero di tenere a vincere un Oscar per la regia e di essere rimasto frustrato e deluso in passato per le sconfitte a ripetizione. «La cosa più importante nella mia vita è stata quella di riuscire a girare film come Toro scatenato e Taxi driver - ha detto di recente - Per quanto riguarda gli Oscar: non ho il minimo controllo su come vengono assegnati. Non ci posso fare nulla». Nonostante lo straordinario cast, nessuno degli attori di “The departed” è riuscito invece a strappare l’ambita statuetta. Leonardo Di Caprio e Mark Wahlberg, in gara rispettivamente come Miglior attore CON MARIE ANTOINETTE protagonista e non protagonista, sono stati superati da Idi Amin per “L’ultimo re di Scozia”, e Alan Arkin per “Little Miss Sunshine”. Tra le donne la battaglia Helen Mirren-Meryl Streep si è risolta a favore della prima, interprete di “The Queen” di Stephen Frears, mentre tra le attrici non protagoniste ha vinto Jennifer Hudson per “Dreamgirls”. «Guardate che cosa può fare Dio», ha esclamato la Hudson che, nonostante le numerose vittorie già collezionate, non si aspettava di vincere. Italiana la miglior costumista LOS ANGELES. E’ Milena Canonero la trionfatrice nella categoria costumi. Un’affermazione che sorprende solo a metà, visto che nel discusso primo lavoro di Sofia Coppola, “Marie Antoinette”, ciò che aveva messo tutti d’accordo era stata proprio la splendida ricostruzione di abiti e atmosfere della Francia pre-rivoluzionaria. «Non volevamo un lavoro accademico, ma neppure costumi che fossero inverosimili», ha commentato l’artista, già premiata in passato per “Momenti di Gloria” di Hugh Hudson e “Barry Lindon” di Stanley Kubrik. E proprio al regista di “Arancia meccanica” la Canonero ha dedicato la statuetta:«Quella di Kubrik era una lezione continua. Insegnava che ognuno di noi può dare al cinema qualcosa che va oltre l’accademico e il ripetitivo». (m.c.) LOS ANGELES. Se Scorsese ha sbancato alla notte degli Oscar, Sharon Stone è stata la regina indiscussa delle “pernacchie”. Ai “Golden Raspberry Awards”, il festival alternativo che celebra il peggio del cinema, la quarantanovenne protagonista di “Basic Istinct” ha ricevuto quattro “Razzie” (letteralmente “pernacchie”) proprio per il sequel del film che l’aveva resa famosa: “Basic Istinct 2”. Titoli di peggior film, peggiore attrice, peggior sceneggiatura e peggior sequel per una pellicola già snobbata da pubblico e critica in cui la Stone aveva peraltro scelto di farsi sostituire da una controfigura nelle scene più piccanti. Tra gli altri lavori in concorso, “Lady in the Water” di Night Shyamalan ha ottenuto il lampone d’oro per il peggior regista e il peggiore attore non protagonista. Il film “RV” con Robin Williams ha invece vinto nella categoria “peggior scusa per l’intrattenimento familiare”. L’estasi dell’oro Vince la scomoda per il maestro verità di Al Gore Premio alla carriera per Ennio Morricone Documentario sul disastro ambientale di Fabio Canessa di Gianfranco Locci Tutti in piedi al Kodak Theatre per Ennio Morricone. Il compositore italiano, ribatezzato il Mozart delle colonne sonore, ha ritirato tra gli applausi l'Oscar alla carriera. Dopo tante nomination andate male, finalmente è toccata a lui l'estasi dell'oro, per dirla con le parole di uno dei motivi composti per “Il buono, il brutto e il cattivo”. Sul set di quel film, Morricone aveva incontrato per l’ultima volta Clint Eastwood che l’altra notte gli ha consegnato la statuetta. I due che hanno iniziato insieme le loro straordinarie carriere, nei leggendari spaghetti western di Sergio Leone, non si vedevano da quarant’anni. E proprio il “duro” dagli occhi di ghiaccio, il “biondo” pistolero solitario, ha tradotto in inglese le parole pronunciate sul palco da Morricone che, dopo la standing ovation riservatogli dal pubblico di stelle presente in sala, ha ceduto alla commozione. In particolare quando ha dedicato, ringraziandola, la statuetta alla moglie Maria. «Non si tratta di un traguardo, ma di un punto di partenza», ha poi detto informando tutti che, a 78 anni, continuerà a dedicarsi «con passione al mondo del cinema». Magari in collaborazione con il vecchio amico Clint Eastwood, che lasciato da parte poncho e sigaro è diventato col tempo il migliore regista americano. Ha perso per un pugno di voti la poltrona alla Casa Bianca ma ha vinto l’Oscar. Al Gore, l’ex vice di Clinton, ha trionfato con il documentario “Una verità scomoda”. Le star della serata si chiamavano Martin Scorsese, Clint Eastwood e Alejandro Gonzalez Inarritu ma gli occhi del mondo, non solo quello a stelle e strisce, erano tutti per Al Gore. Come da pronostico la sua pellicola ha sbaragliato la concorrenza, aggiudicandosi l’ambita statuetta. I meriti vanno divisi con il regista Davis Guggenheim, che ha raccontato la crociata di Gore contro la minaccia catastrofica del riscaldamento del pianeta provocato dalla emissione di gas serra. Gore, tuttavia, è stato la stella indiscussa. Il documentario “Una verità scomoda” fa ricorso a dati scientifici e punta il dito contro l’inquinamento causato dall’uomo, che considera il vero responsabile dell’aumento delle temperature. Alla consegna del premio Gore ha lanciato un caloroso appello: "Amici americani, popoli di tutto il mondo - ha detto ai 3.400 del Kodak Theatre e alle centinaia di milioni di telespettatori collegati da tutto il mondo - dobbiamo risolvere la crisi climatica. Non è una questione politica, ma morale. Abbiamo tutto quello che ci serve per cominciare, con l'unica eccezione possibile della volontà di agire; che però è una risorsa rinnovabile".