Brahms e la Sehnsucht
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Brahms e la Sehnsucht
Conservatorio di Musica «L. Perosi». Campobasso Triennio Sperimentale «Repertori Vocali da Camera nell’Ottocento» Anno Accademico 2001 – 2002 Sessione autunnale Elaborato delle discipline: Storia della musica da camera dell’800, Storia della poesia per musica, Analisi musicale, Estetica musicale, Critica del testo musicale, Armonia, Elementi di Discografia Johannes Brahms e la Sehnsucht Docenti: Allieva: 1 Barbara Lazotti Piero Niro Luigi Pecchia Barbara Vignanelli Mariastella Barreca Capitolo III: Brahms e la Sehnsucht Nell’ambito del Romanticismo risulta fondamentale il concetto della Sehnsucht, termine intraducibile che può, in qualche modo, corrispondere al “desiderio del desiderio” o “male del desiderio”. Si sa, infatti, che il romanticismo, innanzitutto tedesco, presenta un filone cosiddetto “nero” che ama creare atmosfere cupe e gotiche; si pensi anche, in ambito inglese, alla poesia “cimiteriale” di Edward Young e di Thomas Gray o ai Canti di Ossian di James Macpherson. Tali atmosfere sono legate al senso di inquietudine profonda che pervade gli intellettuali del periodo: se si analizza la situazione storico-sociale si nota che tale “male di vivere” deriva dal forte declassamento subito. Precedentemente gli intellettuali avevano avuto un ruolo ben definito all’interno della società, erano stati i portavoce e i cantori delle gesta prima dei signori e successivamente dei monarchi; ora, con l’avvento della borghesia, 2 non è più la cultura il valore guida della società, ma il guadagno; l’intellettuale si sente posto ai margini, ne derivano atteggiamenti a volte vittimistici a volte titanici, al centro comunque si pone l’individuo nella sua solitudine, avulso dalla società, immerso in una natura aspra che oggettiva la tempesta dell’anima. Si sa che il romanticismo italiano ebbe ben altri sviluppi, Alessandro Manzoni poteva ancora considerarsi il vate di un popolo che combatteva per la libertà dallo straniero oppressore e per diventare una nazione. D’altra parte la Sehnsucht è uno dei concetti fondamentali di uno dei nostri più grandi poeti, Giacomo Leopardi, il quale, pur essendo dichiaratamente contro la corrente romantica, (si fa riferimento al suo esplicito appoggio ai classicisti nell’ambito della polemica classico-romantica scatenata nel 1816 dall’articolo di Madame de Staël Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni), dimostra di essere più “romantico dei romantici” per forza di espressione e per il destino di infelicità attribuito all’umanità intera. Più specificamente egli, come anche Arthur Schopenhauer, ritiene che l’uomo sia 3 caratterizzato dalla “voluntas”, dal desiderio di un piacere infinito irraggiungibile, data l’impossibilità, per le cose terrene, di garantire tale soddisfacimento. Ecco che l’uomo si trova costretto a passare da un piacere finito ad un altro, a desiderare innumerevoli cose e quindi ad essere prigioniero del “desiderio del desiderio” per non cadere nel male peggiore, la noia. Non è il caso di specificare qui quali siano le differenze tra la filosofia di Schopenhauer e la poesia filosofica di Leopardi anche se mi preme ricordare che quest’ultimo non si ritirerà mai dalla lotta contro il destino inflitto all’umanità e non parlerà mai di “noluntas” e di astensione dall’azione, ma anzi con il suo ultimo messaggio, espresso ne La Ginestra, esorterà la società ad unirsi in “social catena” contro la natura matrigna. Affrontando il discorso dal punto di vista musicale bisogna innanzitutto ricordare che i romantici prediligevano la musica tra tutte le arti, seguendo anche la linea tracciata da Schopenauer, in quanto è la più indefinita, perché svincolata da ogni significato 4 logico referenziale, dotata di misteriose facoltà suggestive, capace di agire sulle zone più oscure della psiche. Tutto ciò è ancor più vero per i decadenti: il teorico dell’estetismo inglese, Walter Pater, afferma che «tutte le arti tendono costantemente alla condizione della musica». Richard Wagner, con la sua “melodia infinita”, è il musicista che esercita il maggior fascino sulla sensibilità decadente; egli d’altra parte verrà preso come modello della fusione dei vari linguaggi artistici, al fine di ottenere con un’arte effetti propri di arti diverse, suggestioni musicali con la parola, plastiche e visive con la musica. Wagner attuerà tutto questo nelle sue opere liriche unendo Wort (parola), Ton (musica), Drama (azione scenica), creando così l’“opera d’arte totale” (Gesamtkunstwerk). Per quanto riguarda Johannes Brahms mi sembra importante partire dalla biografia. Nato ad Amburgo da una famiglia che discendeva da pescatori e contadini, egli, seguendo l’esempio del padre (che per lungo tempo aveva suonato prima nelle taverne del porto e poi, 5 in quanto cornista della guardia civica, nei matrimoni, balli, banchetti delle famiglie borghesi, per diventare contrabbassista presso l’Orchestra Filarmonica solo nel 1863), si adattò, a dodici anni, a riempire gli intervalli degli spettacoli di marionette e, a diciassette, a sottolineare con melodie adeguate le scene madri delle commedie di teatro, stando al pianoforte dietro le quinte del Teatro comunale ed inoltre accettò di accompagnare cantanti da cabaret e suonare musica da ballo. Insomma, benchè egli disdegnasse anche la carriera virtuosistica, fu costretto ad una lunga e dura gavetta che, d’altra parte, gli formò il carattere, determinando in lui un profondo amore per la sobrietà, l’onestà e per la propria indipendenza intellettuale. Famosa poi è una certa rudezza del suo carattere, che, cresciuta in lui probabilmente come scudo per una personalità estremamente sensibile, sarà causa da una parte di aneddoti piuttosto divertenti legati al suo amore per la battuta pungente, dall’altra di dissapori anche con persone a lui molto care come Clara Schumann o il violinista Joachim. 6 Diceva Brahms «La solitudine, perfino la povertà non nuocciono certamente ai caratteri veramente forti, anzi li costringono ad approfondirsi, provocando in essi una sana collera, il sacro zelo di vincere ad ogni costo l’opposizione del mondo»1. Bisogna inoltre tener presente che Brahms amava profondamente il contatto con la natura, lo vediamo per tutta la sua vita fare lunghissime passeggiate a qualsiasi ora del giorno e della notte, a volte coinvolgendo i malcapitati del momento. A riguardo si può ricordare quando, diventato capo del coro alla Corte del principe di Lippe, dopo aver tenuto il primo concerto ed aver intrattenuto tutti fino a notte tarda, quando la società voleva ormai ritirarsi, propose una passeggiata attraverso la Selva di Teutoburgo per assistere al levar del sole a Grotenburg. Nessuno ebbe il coraggio di opporsi, ma, col favore delle tenebre, molti se la svignarono; rimasero il compositore e un giovane, i quali addormentatisi, vennero svegliati dal padrone di un ristorante piuttosto meravigliato di trovare a 1 Riportato in R. Goldron, Johannes Brahms il vagabondo, S.A.I.E., Torino 1959 7 quell’ora del mattino dei turisti in abito da sera, panciotto bianco e scarpette di vernice. Importante è considerare che il camminare era legato per il solitario Brahms al momento della creazione, oltre al fatto che buona parte degli spostamenti durante le tournées, ad esempio quelle con Remenyi, venivano fatti a piedi. Insomma il contatto con la natura, il carattere ribelle a qualsiasi etichetta anche quella cui sarebbe stato sottoposto alla “corte” di Liszt o di Wagner (dice Brahms dell’Altenburg: «Capii subito che il mio posto non era lì, sarei stato costretto a mentire, e ciò mi era impossibile») fanno del compositore un autentico rappresentante del titanismo romantico. Desidero specificare ciò perché riscontro in Brahms molto più un carattere forte ed autoritario simile a quello dei personaggi di Schiller, il musicista da giovane dice di averne adorato I masnadieri, piuttosto che il sentimentalismo languido da secondo Romanticismo di cui è stato accusato per lungo tempo. Nel diario 8 di Hedwige von Holstein, una giovane di Lipsia, si trova scritto «La sua musica è essenzialmente beethoveniana: possiede una forza e una profondità straordinarie, una grande serietà ed è priva di quell’aspetto decadente della musica di tanti compositori attuali»2. Inoltre mi sembra troppo netta la distinzione che fa Romain Goldron, il quale definisce Schumann poeta della Sehnsucht e Brahms poeta della Schwermut; il continuo vagare, l’inquietudine sempre presente, l’insoddisfazione per la sua solitudine mi sembra che pongano Brahms perfettamente nel solco del “male del desiderio”, anche se è evidente che tale dolore si esprime, in musica, molte volte con accenti di profonda malinconia. Un episodio; durante il banchetto d’onore per il Festival musicale organizzato dalla Società Filarmonica di Amburgo, Brahms disse all’orecchio del poeta Klaus Groth «Due volte il posto vacante alla Filarmonica è stato offerto a un forestiero, lasciandomi in disparte. 2 op. cit. p.90 9 Se mi fosse stato offerto quand’era il momento, sarei diventato un buono e fedele cittadino, avrei potuto sposarmi ed essere un uomo come gli altri, adesso sono un vagabondo»3. Questo vagabondare fisico e spirituale ha spinto Massimo Mila a definire Brahms “un eroe dello spleen” soprattutto per poter avvalorare l’idea della modernità del compositore contro l’etichetta di conservatore attribuitagli; personalmente non riesco a vedere qualcosa che possa far pensare ad un ambito decadente. Me lo impedisce il disprezzo per il lusso, l’austerità sempre dimostrata di cui è convincente testimonianza l’arredo della sua casa di Vienna, affittata nel 1872: due camere dove di solito abitavano piccoli funzionari, studenti, impiegati. La prima stanza in cui s’entrava era la camera da letto con un ritratto di J. S. Bach. Nella seconda stanza vi erano il piano a coda, uno scrittoio, delle consolles, un tavolo, un divano coperto di pelle, una sedia a dondolo. Alle pareti riproduzioni della Madonna Sistina di Raffaello, un ritratto di Luigi 3 Massimo Mila Brahms e Wagner, Einaudi, Torino 1988 10 Cherubini, sul tavolo la Gioconda di Leonardo, i ritratti di Clara e Roberto Schumann, due busti di Beethoven e di Bismarck. Una severità degna del protestante Brahms che afferma «In fondo, io ero nato per il chiostro…Solo che il tipo di convento di cui avevo bisogno non esiste». Mi pare che anche la sua indipendenza mentale non denunci alcun languore. Affermare «…mi faccio passare per wagneriano, non fosse che per protesta contro la leggerezza con cui i musicisti parlano qui di lui» dimostra l’apertura di Brahms che stimava Wagner, ma non sopportava l’intolleranza dei wagneriani. E il maestro di Bayreuth apprezzò la capacità del suo antagonista di usare le forme antiche. Siamo nel 1862 Brahms viene sì introdotto alla filosofia di Schopenauer dal pianista Karl Tausig, un vero dandy che faceva mostra di un pessimismo stanco, ma Cornelius si stupiva, in quello stesso periodo, «di trovare ancora in lui un potere di ammirazione così intatto, così franco e disinteressato». 11 Sono d’accordo, invece, con Mila quando sostiene che in Brahms sia presente il “male di vivere” che caratterizza l’età moderna, lo si vede dal fatto che, nonostante la casa a Vienna e la fama, egli rimase sempre un vagabondo, incapace, e non solo per motivi economici, di trovare pace in una tranquilla vita in famiglia, con una moglie e dei figli; proprio il suo atteggiamento nei confronti delle donne richiama alla memoria i personaggi sveviani, che al momento decisivo, fuggono. Alfonso Nitti, protagonista di Una vita4, pur avendo la possibilità di trasformare radicalmente la propria esistenza, sposando la ricca Annetta Maller, scappa da Trieste, adducendo come pretesto la malattia della madre. Egli, una volta tornato, si sentirà d’altra parte tradito da Annetta che nel frattempo si è fidanzata con Macario. Brahms farà lo stesso con i suoi amori, da Clara Schumann ad Hermine Spies. 4 I. Svevo, Una vita, Garzanti, Milano 1994 12 Per cui, ampliando il termine decadentismo a tutto il Novecento, comprendendo l’inettitudine dei personaggi di Svevo e di Pirandello e gli atti mancati di Freud, si possono trovare nel compositore degli atteggiamenti decadenti: egli in effetti si ripiega su stesso, lamentandosi di ciò che non è stato, ma, nonostante tutto, l’autore che continua a tornarmi davanti, come alter ego di Brahms, rimane Leopardi. Ritorna ancora una volta la Sehnsucht; direi che il “male di vivere”, che nasce da desideri non soddisfatti, sia considerato da ambedue come una condizione universale, “arcano è tutto fuorché il nostro dolor” dice il poeta di Recanati ed il compositore, alla fine della sua vita al colmo della gloria, scrive le pagine più malinconiche e desolate: i Vier ernste Gesänge. D’altra parte i due sono accomunati dall’atteggiamento eroico, Walter Binni scrive il saggio La protesta di Leopardi, Mila dice di Brahms «Egli sofferse e misurò nel profondo l’angoscia esistenziale, ma non passivamente: 13 non si abbandonò al gorgo, cercò di opporre una virile resistenza al dissolvimento della ragione»5. Mi sembra poi che ci sia un ulteriore elemento che accomuna queste due grandi personalità, ambedue utilizzano in maniera moderna i classici. In effetti credo che il confronto con Leopardi possa aiutare a dirimere la lunga querelle tra coloro che considerano Brahms un progressista e quelli che lo accusano di conservatorismo. Leopardi nel Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica, considerando la poesia frutto dell’immaginazione, la quale è propria dei fanciulli e dei primitivi, critica il classicismo pedantesco, avvicinandosi alle teorie dei romantici, ma di questi ultimi non accetta la tendenza all’orrido, al tenebroso, ne rifiuta il prevalere del vero che rende la vita inaccettabile. Invita i poeti a rifarsi strettamente all’esempio dei classici, gli unici che, essendo a contatto diretto con la natura, sono 5 op. cit. p.9 14 in grado di ritrarla mediante un’immaginazione pura, non contaminata dall’aspro vero. Dice Guido Baldi «Si può parlare perciò, per il suo gusto letterario e per la sua poetica, di un classicismo romantico. L’espressione non è un bisticcio: sappiamo già dall’esperienza foscoliana come il vagheggiamento del mondo classico possa essere impregnato di spiriti romantici. Bisogna cioè liberarsi dal pregiudizio che classicismo e romanticismo siano tendenze culturali antitetiche, che si escludono a vicenda». Insomma per molti poeti, Petrarca, Goethe, Foscolo, Leopardi per citarne solo alcuni, il richiamo alla classicità ha voluto dire la ricerca di una forma o di un’espressione che potesse placare la tempesta dell’anima. Per quanto riguarda Brahms è evidente che non si presuppone una conoscenza degli autori italiani, ma si sa che egli conobbe le opere di Goethe e, se I dolori del giovane Werther possono aver influenzato gli anni giovanili, quelli della passione per Clara, i suoi continui viaggi in Italia non possono non richiamare il Viaggio in 15 Italia dello scrittore di Weimar, viva testimonianza, insieme all’Ifigenia in Tauride, del passaggio in Goethe dal titanismo ad un ideale di misura olimpica e classica. Sono dunque d’accordo con Mila «La forma come argine. Fu autodisciplina severamente imposta per accettare dignitosamente le frustrazioni della condizione umana»6. Ciò, però, non impedì al compositore di essere un moderno, come ha ampiamente dimostrato Arnold Schönberg nel suo Brahms il Progressivo: le sue modulazioni lontane dalla regione della tonica che, data la loro ampiezza, fanno perdere il senso delle relazioni; le irregolarità delle melodie di alcuni Lieder che non rispecchiano il numero dei piedi metrici dei testi (corrispondenza cercata, in realtà, dal compositore); la destrutturazione delle simmetrie di una forma schematica a breve respiro hanno portato Schönberg a definire quella di Brahms «musica da adulti»7. Una musica che, pur risultando statica, non rifacendosi alla fluida dinamicità wagneriana 6 op. cit. p.18 16 (data la tendenza ad approfondire tramite continue variazioni, regolate da un contrappunto che si basava sul ricorrere continuo alle medesime concatenazioni intervallari, soprattutto di terze), era capace di rispecchiare la continua ricerca introspettiva dell’uomo moderno. Brahms, d’altra parte, suffragato dalla fede protestante e non essendo ancora arrivato al culmine della crisi novecentesca, riesce ancora, in tutta la sua malinconia, a trovare la forza di lottare, riconducendo la musica ad un senso supremo di ordine che si esplica in quelle forze centripete che, dopo tanto vagare, riconducono l’armonia a ritrovare la propria tonica. Dice Christian M. Schmidt «Per Brahms i procedimenti contrappuntistici mettono a disposizione un mezzo per variare le combinazioni intervallari conservate, diventando così una tecnica dell’elaborazione motivico-tematica. Il loro scopo non sarebbe dunque la strutturazione della scrittura musicale in voci ritmicamente autonome, bensì l’unificazione della medesima 7 A. Schönberg, Stile e idea, Feltrinelli, Milano 1975 17 tramite voci che sono sì variate da quei procedimenti, ma anche intercollegate nella configurazione intervallare»8. A questo proposito vorrei portare come esempio il lied Wie rafft ich mich auf in der Nacht op.32 n.1, in cui l’intervallo di terza iniziale si riverbera per tutto il brano anche se, mediante la variazione, vi è un mutamento del clima espressivo che persegue i campi semantici del testo. L’opera, composta nel 1864, presenta le caratteristiche di questo primo periodo del compositore, forte è la componente tenebrosa e gotica relativa alla sua ancora totale adesione allo Sturm und Drang: il protagonista si sente trascinato e travolto, tale inquietudine si riscontra fin dalle prime battute che presentano ritmicamente lo schema dattilico, richiamante echi di morte; la presenza delle semicrome e dei punti dà altresì al ritmo un’impronta di angoscia incalzante, resa ancora più cupa dalla prevalenza del timbro scuro (batt.1-8); le terzine finali di questa 8 C. M. Schmidt, Brahms, EDT, Torino 1990 18 prima parte servono ancora di più a dare il senso del vagare che culmina davanti alla porta dall’arco gotico, icasticamente rafforzata dalla cadenza (batt.9-15). Successivamente, mentre il basso continua a richiamare il tema iniziale, le terzine riproducono il fluttuare delle acque in fondo al pozzo di pietra (batt.16-31). Si tratta comunque di una rappresentazione non tempestosa, piuttosto meditativa e malinconica: la parola chiave che ricorre in tutte e tre le parti del testo è sacht termine che vuol dire piano, ma che può essere anche usato nell’accezione di dolce. Parlerei di un ripiegamento introspettivo più che di una ribellione energica. Il paesaggio non riesce ad avere una funzione catartica, viene inteso come ente lontano, irraggiungibile, dotato di un armonico e dolce splendore, che viene riprodotto dalla musica attraverso una variazione motivica che vede l’introduzione della doppia chiave di violino; la cadenza finale ci riporta al timbro scuro come preparazione all’ultima parte (batt. 32-45). 19 Ora lo sguardo si sposta di nuovo sull’inquietudine dell’uomo, ricompare infatti l’andamento spezzato, mediante punti e semicrome; le terzine finali sottolineano la disperazione che culmina nel rimorso (46-67). La forma, quindi, si adatta ai concetti cardine del testo come avveniva anche il Leopardi, che, a sua volta (a volte il caso!) è stato oggetto di un saggio di Cesare Luporini intitolato Leopardi progressivo. Il critico fa presente che Leopardi, pur scagliandosi contro l’ottimismo ottocentesco che esaltava il progresso sociale e politico, porta avanti una sua idea di progresso legato alla presa di coscienza del destino di dolore dato all’uomo dalla natura matrigna (vista materialisticamente come un ciclo di produzione e distruzione). Tale progressismo “scientifico” annulla, in quanto secondarie, le differenze sociali, portando il poeta verso un progressismo politico- 20 sociale che affratella tutti gli uomini contro l’unico nemico: la natura9. Tutto ciò si riverbera nella forma metrica che, fin dalle prime composizioni si libera degli schemi convenzionali grazie all’uso dell’endecasillabo sciolto o della libera alternanza di endecasillabi e settenari. Direi, quindi, che è ancora una volta possibile accostare Leopardi e Brahms: due intellettuali che hanno usato il passato per trovare nuove strade per esprimere l’angoscia esistenziale, la Sehnsucht vissuta dall’uomo moderno. 9 C. Luporini, Leopardi progressivo, in Filosofi vecchi e nuovi, Sansoni, Firenze 1947 21 22