Teatro

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Teatro
edito da
Associazione Culturale
www.quintaparete.it
Anno III - n. 8 - Agosto/settembre 2012
Con la notte di San Lorenzo, un’occasione in più
per concedersi più spesso uno sguardo in su
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Anno III - n. 8
Agosto/settembre 2012
in questo numero
www.quintaparete.it
Numero chiuso il 2 ottobre 2012
Musica/Eventi
pag. 2
Teatro/Agenda
pag. 4
Edito da
Associazione Culturale
Quinta Parete - Verona
Via Vasco de Gama 13
37024 Arbizzano di Negrar, Verona
Direttore responsabile
Federico Martinelli
Assistente di redazione
Stefano Campostrini
Hanno collaborato
Daniele Adami
Arte
pag. 10
Cinema
pag. 14
Libri/Giochi di ruolo
pag. 15
Società
pag. 18
Viaggi/Animali
pag. 20
Sport
pag. 27
Paola Bellinato
Stefano Campostrini
Paolo Corsi
Lorenzo Magnabosco
Jessica Mariani
Federico Martinelli
Ernesto Pavan
Alice Perini
Michela Saggioro
Silvano Tommasoli
Realizzazione grafica
Stefano Campostrini
Autorizzazione del Tribunale di Verona
del 26 novembre 2008
Registro stampa n° 1821
I titoli delle rubriche sono desunti, con
ironia, da battute di celebri film
contatti
[email protected]
Federico Martinelli
Cell.: 349 61 71 250
www.quintaparete.it
2
Musica
Agosto/settembre 2012
Verso l’infinito e oltre
di Jessica Mariani
Paolo Nutini al Castello Scaligero di Villafranca
Back to the Sixties
L’atmosfera del castello scaligero è
suggestiva e avvolgente, e se contornata da un cielo stellato e da qualche
aeroplano che di tanto in tanto lo
sorvola eleva di sicuro le aspettative di coloro che sono lì per godersi
a pieno la musica live. Tre modi differenti per godersi lo spettacolo: posto numerato, posto non numerato
con sedie disponibili e prato libero
per i più romantici o che dir si voglia, i “più rilassati”. Sarà la giusta
formula per un concerto di questo
tipo? Si scoprirà lungo il corso della recensione. Il Villafranca Festival
ospita a gran voce il nuovo guru della scena pop-soul britannica Paolo
Nutini, accompagnato in apertura
dal rock’n’roll degli Home con cui
condivide, ed è difficile non notarlo,
la passione per uno stile tutto anni
sessanta.
Buon sangue non mente. Di certo il
mix italo-scozzese ha portato fortuna a Paolo Giovanni Nutini, amante
del bel paese e orgoglioso delle sue
antiche origini toscane. Nonostante
la giovane età, due album alle spalle
e sei anni sulla scena musicale, il giovane Nutini sa come giocarsi le sue
carte.
Ci sarà sicuramente lo zampino
dell’Atlantic Records (?), ma la naturalezza incantatrice dell’artista
sembra comunque apprezzabile e
genuina. Paolo Nutini aleggia fra la
Antica Pasticceria
San Marco
DAL
MERCOLEDÌ
ALLA
DOMENICA
24:00
FINO ALLE ORE
consapevolezza di essere un ammiccante sex symbol e il riconoscere che
agli italiani piace essere omaggiati. Scoccate le 21.30 parte il primo
omaggio al bel paese con il brano
cult di Fred Buscaglione “Eri Piccola così”. Il ritmo inizia a scorrere,
le luci colorate accendono lo sfavillio del castello ed ecco Paolo Nutini
esordire intonando il brano “10/10”
in stile decisamente hipster, capello
“fintamente” trasandato e camicia
stropicciata. “Alloway groove” e la
romantica “High Hopes” scaldano il
pubblico che ha il tempo di apprezzare la band tutta maschile di Nutini e una invidiabile sezione fiati
che regala alla scena un’atmosfera
un po’ retrò. La distanza fisica tra
il pubblico e Nutini però è troppo
percepibile e notabile. Al pubblico la
disposizione non aggrada, e neppure
alla sottoscritta. Le note introduttive di “Jenny don’t be hasty” non lasciano scelta. La folla si alza, sfida
le transenne, si sbarazza del posto
numerato e non c’è bodyguard che
tenga. C’è chi, come la sottoscritta, preferisce godersi lo spettacolo
“dall’alto” senza trasgredire troppo,
sale sulla sedia e inizia a ballare su
ritmi sixties un po’ retrò. Paolo coinvolge senza l’aiuto di parole e crea
allo stesso tempo un’atmosfera mol-
Musica
Agosto/settembre 2012
Verso l’infinito e oltre
to intima che possiede le fattezze dei
caldi pub inglesi, dove la gente ride,
canta e ingurgita fiumi di birra. Difatti, la coda per comprare il drink
è lunga, interminabile e decisamente
“english” in quanto al prezzo. Colpisce molto l’eterogeneità del pubblico; padri con figli sulle spalle che
coprono la visuale, coppie giovani e
meno giovani abbracciate, ragazzine
impazzite che lanciano biancheria
intima sul palcoscenico; e non è per
rendere l’idea: è successo veramente.
Le parole non sono il cavallo di battaglia di Nutini, ma
gli ammiccamenti a intermittenza lo sono e giustificano la netta maggioranza
femminile allo spettacolo. La
vocalità dell’artista è particolare e decisamente degna di
merito. Intonato, espressivo
e moderatamente graffiato.
Non esagera, è discreto e a
suo agio sul palcoscenico.
Certamente, dopo essere stato spalla di Rolling Stones,
Amy Winehouse e Led Zeppelin la cosa non sorprende
affatto. Alterna brani di entrambi gli album tra cui, in
sequenza, “Bear in mind”,
“Growing up” e “Coming up
easy”, fino al celebre e malinconico
“These Streets”, titolo del suo album
d’esordio, nonché momento più adatto per darsi a effusioni romantiche.
Si prosegue con “Over and Over”,
“One day” e “Sleepwalkin”e poi si
raggiunge il culmine con i ritmi variopinti delle trombe in “Pencil full
of lead”. Il pubblico si muove, balla,
è divertito, e anche Paolo sembra esserlo, qualcuno cade dalla sedia ma
si rialza senza troppe lamentele. “No
other way” il prossimo brano per poi
gustarsi il successo “Candy” tanto
atteso, a giudicare dall’urlo di stupore lanciato dopo le prime note della
canzone. Un pop folk senza tempo:
se si chiudessero gli occhi si stenterebbe a credere che colui che sta
rato la metà e il pubblico attende la
fantomatica sorpresa. Un omaggio a
Lucio Dalla con il celebre “Caruso” é
ciò che Nutini ha scelto per stupire il
suo pubblico. Emozionante, anche se
le origini italiane sembrano scomparire dietro alla pronuncia imperfetta
dell’artista. “Cherry blossom” “One
day” e “Birdy” sono i brani inediti dell’album in uscita a ottobre che
Nutini seleziona per il suo pubblico,
ma “Last Request” e “New shoes”
sono indubbiamente le preferite e le
più osannate.
cantando ha solo 24 anni. I testi sono
semplici, di base abbastanza profondi, forse in alcuni casi più adattati al
suono che degni di significato, ma
comunque apprezzabili e orecchiabili. Il concerto ha ampiamente supe-
Il saluto al pubblico di Paolo
Nutini si intreccia con le note
elettro-pop del successo degli
MGMT “Time to pretend”
regalando un’atmosfera calda
e molti sguardi soddisfatti e
compiaciuti. I 3500 spettatori si dirigono verso le uscite,
le ragazzine aspettano Paolo,
che dopo un’attesa moderata
si dedica a foto, autografi e
brevi chiacchierate come se
fosse al pub con gli amici,
senza elevare troppo il successo del suo personaggio.
Umile e talentuoso, cordiale
e amichevole Nutini promette una carriera brillante, domina il palcoscenico con la
sua voce graffiante e sa omaggiare la
bellezza della musica live, nonostante sia esponente di una variante del
pop che spesso dal vivo tende a non
rendere.
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Agenda
Agosto/settembre 2012
Appuntamenti
di Stefano Campostrini
L’ultimo mese per chiudere in bellezza il successo stagionale
Provincia in festival, gran finale
Agosto è il mese delle ferie per antonomasia e, per via di una pausa per
tanti meritata, calano leggermente
anche le proposte di intrattenimento, non lasciando però senza scelta il
pubblico che può comunque approfittare dei festival ancora attivi sul
territorio. Proseguono infatti diversi appuntamenti già presentati sui
numeri scorsi. Ecco le rassegne che
segnaliamo questo mese che termineranno con settembre:
- Festival del Garda: concorso dedicato al canto per scoprire nuovi
talenti, promosso da radio locale e
tv nazionale. Tocca diverse cittadine tra la sponda bresciana e quella
veronese. www.ilfestivaldelgarda.it
- I Concerti del Lunedì: decima stagione concertistica tra agosto e
settembre presso la chiesa di San Bernardino a
Verona. www.interpretiitaliani.it
- I Concerti del Venerdì:
ottava edizione, anch’essa
dedicata alla musica classica, presso Borgo Garibaldi a Bardolino. www.
interpreti-italiani.it
- Teatro Farm: tra fine agosto e
metà settembre Teatro Impiria dedica quattro spettacoli a scopo “didattico” con particolare attenzione
ai bambini. Teatro sull’aia al Giarol
Grande del Parco dell’Adige Sud a
Verona.
Agosto/settembre 2012
Appuntamenti
di _________?!?
Occhiello
Titolo titolo
Teatro
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Teatro
Agosto/settembre 2012
Ne hanno viste di cose questi occhi
di Paolo Corsi
A Malga Valbella lo spettacolo tratto dal romanzo di Michele Marziani
Il ragazzino e la bicicletta
A volte basta un attimo, una combinazione di eventi in sé anche banali,
come forare una bicicletta lungo il
naviglio della Martesana a Milano,
per avere l’illuminazione che cambierà radicalmente la propria vita.
Succede ad Arnaldo Scura, broker
finanziario con tanto di laurea alla
Bocconi, ma con una grande passione per la bicicletta, coltivata fin
da ragazzino nella natale Ferrara.
E quella che sembrava una pazzia,
si rivela invece l’affare migliore della sua vita, ricca non tanto di beni
materiali quanto di relazioni umane,
di vite che si intrecciano con la sua,
talvolta in maniera sorprendente. Il
dott. Scura diventa così un meccani-
co di biciclette. Ma non un meccanico qualsiasi e nemmeno di biciclette
qualsiasi, come la Umberto Dei Imperiale, un gioiello degli anni Trenta.
Ed è proprio questa bicicletta a propiziare l’inizio di un sincero rapporto di amicizia con Nasim, uno studente mezzo afgano e mezzo uzbeko,
assunto come aiutante. Arnaldo non
si cura dei pregiudizi della cosiddetta gente per bene ed aiuta inconsapevolmente Nasim a realizzare il suo
sogno, che sarà una vera sorpresa
per tutti. Tratto dal romanzo “Umberto Dei, biografia non autorizzata
di una bicicletta” di Michele Marziani, lo spettacolo “Il ragazzino e
la bicicletta” è prodotto da Teatro
Impiria e diretto da Andrea Castelletti, che ne ha curato la trasposizione teatrale. In verità, il romanzo possiede già in sé un ritmo
drammaturgico efficace, grazie ad
uno stile scorrevole, ricco di immagini che scorrono nella mente
come in un film. Un libro che si
legge d’un fiato, ma che lascia suggestioni profonde. La versione teatrale è per lo più un monologo del
protagonista, Armando Scura (interpretato da Guido Ruzzenenti),
al quale fa da spalla un ragazzino
(Nicola Benetti, allievo dei corsi di
teatro di Impiria e qui al debutto),
entrato quasi per caso nella sua
bottega e presto affascinato dalla storia del meccanico
e del suo aiutante straniero.
Il racconto è appassionante, anche se un po’ avaro di
azioni e in alcuni momenti
centrali fin troppo minuzioso. Mano a mano che ci
si avvicina all’epilogo però
il ritmo aumenta, assecondando quello intrinseco alla
vicenda, per giungere nel migliore dei modi al finale a sorpresa. Lo
spettacolo è andato in scena nel Teatrostalla di Malga Valbella in Lessinia, un posto ideale per raccontare
storie, ma anche uno dei tanti luoghi
inconsueti, nei quali Teatro Impiria
si prodiga da tempo a tenere viva la
passione per il teatro con proposte
originali ed innovative.
Agosto/settembre 2012
Non vado mai al cinema, la vita è troppo breve
a cura di Stefano Campostrini
Il programma di luglio della popolare rassegna
Titolo
Teatro
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Teatro
Agosto/settembre 2012
Ne hanno viste di cose questi occhi
di Paola Bellinato
La riproposizione della celebre opera di Dino Buzzati
Il deserto dei tartari
i corvi nidificano,
le rondini volano via...
i corvi nidificano,
le rondini volano via...
Espressione ricorrente che rimanda
immagini di isolamento nell’intenso monologo tratto dal Deserto dei
Tartari di Dino Buzzati, in scena
il 12 Agosto alle 17,30 al forte austroungarico Belvedere di Lavarone, in provincia di Trento,situato a
picco sul vecchio confine fra l’impero austroungarico e l’Italia.
Le suggestioni del luogo: si arriva al
forte dopo aver percorso un sentiero a picco sul precipizio e sulla valle
sottostante che permette allo sguardo di andare lontano, e si entra nel
forte: cunicoli, strettoie, scale che
scendono per poi risalire e arrivare
finalmente ad una postazione di artiglieria inondata dal sole attraverso
la quale si giunge in uno stanzone
buio, stillante umidità.
Qui il tenente Drogo ci sta aspettando confrontandosi con sé stesso, con
i suoi pensieri, i suoi desideri e le sue
paure. Pochi oggetti in scena e la parola che risponde e corrisponde alla
vita “nell’attesa”, nell’attesa che accada qualcosa. E la presenza invisi-
bile del tempo che si fa ingombrante
nei gesti, nel susseguirsi dei passaggi
mentali ed emotivi tra un accendersi e spegnersi di nude lampadine in
scena, luce cruda che scandisce i minuti, le ore , gli anni, il togliersi e rimettersi gli abiti, un levarsi e tenere i
piedi in un secchio d’acqua.
Grande prova d’attore per Woody
Neri (il Cassio della rappresentazione “Otello”dello scorso anno al
Teatro Romano) che
cattura il pubblico nel
farlo divenire parte
della fortezza: è la realtà dell’irrealtà che
ci plasma in un unico
organismo che respira
con i respiri e le sospensioni dell’attore.
senziale il suo punto di forza, nel
vedere la sottrazione come elemento
virtuoso di grande impatto emotivo.
Tre giovani artisti si confrontano
con una messinscena di grande intensità.
...i corvi nidificano,
le rondini volano via..
La possente costruzione del forte
L’adattamento del testo è a cura di Marta
Pettorrusso, un lavoro
accurato di cesellatura e di scoperta delle parole di Buzzati
che anche contratte
contengono l’efficacia
dell’evocazione.
La regia di Carmen
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Teatro
Agosto/settembre 2012
Ne hanno viste di cose questi occhi
di Paola Bellinato
Lo spettacolo nella annuale rassegna artistica della cittadina siciliana
IN_CUBO, alle Orestiadi di Gibellina
Il festival di teatro e di danza contemporanea ORESTIADI di Gibellina, nato per ridare dignità ad
una popolazione annientata dal terremoto, è nella sua XXXI edizione
ricco di riferimenti mitologici sui
quali poggia le sue radici, come in
DEMETRA di Giovanna Velardi e
il progetto su ANTIGONE dei Motus. Poi EDUCAZIONE FISICA di
sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco,
o come nel caso di DU O di Malou
Airaudo coreografa che ha lavorato tantissimi anni con Pina Bausch
e che riporta idealmente l’artista di
Wuppertal in Sicilia con una prima
assoluta. Indagine e scoperta tra
suono e letteratura, anche sul corpo
sonoro di MASQUE a partire da
Kafka e Deleuze. Ed è quindi una
edizione particolarmente dedicata
alla grande letteratura del ‘900 con le
ricerche coreografiche di Korekanè
da Ingheborg Bachman e li sonorità
del gruppo Iaia di Clara Gebbia ed
Enrico Roccaforte su De Roberto
e il suo Rosario e la scrittura personale d’autore di Franco Scaldati qui
con il gruppo storico; Antonio Rezza
con una drammaturgia irriverente
mai scritta e ironica sulle visionarie
installazioni di Flavia Mastrella. E
infine a chiusura delle Orestiadi, la
grande compisizione musicale SPASIMO di Giovanni Sollima. Si ribadisce inoltre, la gioia dell’incontro
tra gli artisti ed il pubblico, in un
luogo affascinante e meraviglioso,
motivo in più per venire ai piedi della immaginifica Montagna di Sale di
Mimmo Paladino.
IN_CUBO
Corpi che scrivono e descrivono
luci che dialogano con i corpi delle
attrici
ed è proprio la luce assieme al suono
che rompe il meccanismo ripetitivo
di alternanza della stessa azione.
C’è ricerca coreografica nello svolgersi della narrazione che inizia
come meccanismo perfetto di gesti
ripetuti all’interno di un cerchio-spirale entro il quale ci si muove alla ricerca di punti di riferimento (acqua
da bere e gesso con il quale scrivere)
e prosegue con l’incepparsi del meccanismo e quindi il vedersi delle due
protagoniste,un accenno alla comunicazione.
Questo lavoro, tre frammenti tratti
da “Malina” di Ingeborg Bachman,
in cui interessa la struttura
che introduce, entro uno schema
convenzionale, materiali o contrastanti o inconsistenti, incrociandoli
gli uni dentro agli altri, è un viaggio a ritroso dalla superficie al fondo della terra, dentro le radici, come
all’interno di una camera oscura: per
ottenere nitidezza dobbiamo affrontare l’oscurità (infatti l’impianto luci
si inserisce nello spettacolo come coattore).
Dopo l’incepparsi del meccanismo
si tenta di ricreare nuovi percorsi
esterni o interni in maniera diversa.
Lo scenario è apocalittico, sono le
nostre terre franate che debbono
essere ricostruite e il linguaggio del
corpo che crea segni e significati,
riesce nell’intento di consegnare al
pubblico suggestioni dense e misteriose che si muovono dentro il visibile che si fa invisibile e viceversa.
Molto efficace è il baule che si fa
“scatola di Pandora” dal quale non
escono i mali del mondo ma i pensieri delle-a protagonista e che funge
da elemento di trasformazione attraverso il quale c’è un “mettersi in relazione” dopo l’evento sismico (tanti
gessetti che cadono sul baule, dentro
al quale ci sono le protagoniste, coprendolo completamente).
Ma il cerchio dell’inizio del meccanismo va ricostruito: dopo le macerie inizia la ricostruzione.
Coreografia del non incontro e della ricostruzione, questo lo spettacolo IN-CUBO, in scena a Gibellina
presso il Baglio Di Stefano giovedì
26 luglio alle 21.15, nell’ambito della rassegna di teatro danza-musica
“Orestiadi”.
Due attrici in scena,forme situate
in due punti precisi di un cerchio
concentrico, che fissano il pubblico
che entra in platea, questo è l’inizio
dello spettacolo IN-CUBO della
Compagnia KOREKANE’ di Chiara Cicognini ed Elisabetta Gambi,
anche attrici dello spettacolo, con
elaborazione luci di Flavio Urbinati, elaborazione del suono di Massimiliano Mazzi, con il sostegno della
Provincia di Rimini, L’Arboreto,
Teatro Dimora e Teatro Petrella di
Longiano.
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Arte
Agosto/settembre 2012
La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione
di Federico Martinelli
Tinte tenui e cieli dai colori cupi nelle tele di un’artista di rara sensibilità
Mario Dalla Fini: la mia arte nasce dalla
libertà espressiva e dall’ottimismo
Incontriamo Mario Dalla Fini in occasione della mostra in Sala Birolli,
terminata a fine aprile e promossa
dall’allora Assessore alle Relazioni con i cittadini Daniele Polato.
Nell’ampia sala che il comune ha
messo a disposizione, le opere d’arte,
pitture e sculture, armonicamente
inserite, conducono il visitatore in
un mondo sospeso in un’epoca senza tempo, dove a emergere, in tutta
la sua bellezza, è il paesaggio. Dalla
Fini, nel corso della sua carriera, ha
fatto della libertà espressiva il segno
distinguibile della sua arte. Una produzione che l’ha portato, nella maggior parte dei casi, a raffigurare paesaggi innevati e cieli plumbei, pur
sempre –e qui sta la magia- in grado
di rifuggire quel senso di malinconia
e tristezza che potrebbero rimandare certe tonalità monocrome. In Dalla Fini c’è luminosità e c’è ottimismo
anche nei soggetti che all’apparenza
potrebbero sembrare tutt’altro che
asseribili a un pittore tutt’altro che
spensierato. Il suo ottimismo emerge dai paesaggi, che sembrano proseguire oltre il supporto
(parlo di supporto, non di
tela o tavola, vi spiegherò
poi il motivo), che sembrano andare oltre l’orizzonte
o proseguire al di là del limite del cielo.
anni, finiti i quali mi sono licenziato
per dedicarmi esclusivamente alla
pittura.
Verona in quegli anni aveva grandi maestri, culturalmente era tra le
città più vive in Italia. I suoi maestri all’Accademia chi sono stati?
In un Italia segnata
dai conflitti bellici hai
scelto una strada non
facile: rifiutare il lavoro per dedicarti a una
passione che certamente, all’epoca
–ma purtroppo anche adesso- difficilmente poteva consentire di pagarsi da vivere.
Il più valido per me è stato Antonio
Nardi, una persona dal carattere
“crudo”, diretto e sincero. Nonostante le grandi capacità e la sua personalità, cercava di lasciare l’allievo libero di esprimersi intervenendo solo
quando vedeva sbagli. A me piaceva
molto il paesaggio all’aria aperta,
Sicuramente il carattere è stato determinante in questa scelta. Ho sempre rifiutato posti fissi e anche lavori
più vicini all’ambito artistico che non
mi appagavano. Ho persino rifiutato
un posto alla Mondadori come ritoccatore. Volevo fare dell’arte la mia
vita e ci sono riuscito.
In tutto questo sei stato aiutato da
qualcuno? Hai fatto parte di gruppi artistici?
Mario, ci diamo del tu,
vero? Quando hai iniziato
a dipingere?
Ho iniziato nel 1957. Appena trasferitomi dal Polesine a Verona ho
iniziato a lavorare in un caseificio
e contemporaneamente frequentavo
l’Accademia di Belle Arti Cignaroli. Il mio percorso lì è durato cinque
nature morte» e lui prontamente:
«Ma Dalla Fini, se tutti vanno fuori
come te cosa succederebbe? E io che
già facevo sentire il mio
carattere di giovane determinato lo incalzavo
spesso facendogli notare
che ero l’unico che chiedeva questo “privilegio”
lui prediligeva altri soggetti, amava
la figura e la natura morta. Ricordo
ancora oggi certi dialoghi tra il sottoscritto che gli diceva: «Professore,
posso uscire e dipingere all’esterno?
Oggi non mi sento di fare figure e
No. Solo inizialmente ho fatto parte
di qualche gruppo artistico ma non
si andava mai d’accordo per vari
motivi allora ho preferito cedere al
proverbio “meglio soli che male accompagnati”. Tutti hanno bisogno
del prossimo, per qualsiasi cosa; per
questo motivo il confronto con diversi colleghi c’è sempre stato, ma
fuori dai gruppi, singolarmente o in
una ristretta cerchia di persone. Chi
mi ha dato di più sono stati Franco
Patuzzi e Giorgio Grumini, persone
Arte
Agosto/settembre 2012
La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione
Vedo una passione ricorrente: il
quadro nel quadro. Ce ne parli?
Inserire il paesaggio con il quadro
nel quadro dà un ulteriore un senso di continuità, di prosecuzione. È
ottimismo.
E poi non è mica vero che l’arte fa
parte, o dovrebbe far parte, della
vita di tutti i giorni? Se non è ottimismo e buona speranza questa?
Vedo che mi hai capito. Mario Dalla
Fini, è un pittore che dipinge con ottimismo e fiducia anche se di primo
impatto potrebbe sembrare il contrario.
che certamente hanno influenzato il
mio percorso artistico.
Dalla Fini, insomma, la libertà
espressiva è tutto per lei. Lo vedo
dai soggetti, dalla sua passione per
la pittura e per la scultura per l’olio, la tempera, l’acquarello ma, soprattutto per i supporti che utilizza: tavole, tele, carta, assi di legno,
recupero di mobili: ante di armati,
fondi di comodino, sedute di sedie
e sgabelli, ma anche sottobicchieri
e piccoli ritagli incollati su supporti più grandi. Un’esuberanza che
vuol far emergere un carattere dinamico dalla forte volontà espressiva, non solo di soggetto e contenuto ma anche di mezzo…
Si, sono sempre stato libero. La libertà nei miei soggetti lo dimostra.
Mi sbizzarisco nella tecnica e nei
supporti come ha fatto notare, ma,
si sa, più passano gli anni più si impara.
Questo puoi ben dirlo, in un incontro che ho avuto con il celebre
fotografo Mario De Biasi, vivace
artista classe 1923, ho notato una
volontà di sperimentare tecniche
moderne che forse nemmeno il
più creativo dei giovani potrebbe
immaginare. Ma parliamo d’altro.
Dalla Fini, ho sentito qualche impressione da persone che uscivano dalla mostra –tutti contenti, ti
chiarisco subito- che sostenevano
di vedere una nota di tristezza e di
malinconia nelle tue opere.
Ma no, non vedo nulla di triste. Dipingo ciò che vedo. La solitudine che
potrebbe emergere è perché disegno
un paesaggio non contaminato dalla frenesia della società di oggi e
dall’industrializzazione del dopoguerra. Nel quadro metto quello che
sento: il mio amore per Verona, che
considero la mia città e la bellezza
del paesaggio, dove l’uomo, seppur
velatamente compare sempre. Nel
quadro metto tutto quello che sento,
è un bagaglio costruito in tanti anni.
Cerco di entrare nel contenuto, anche solo il cielo per me è magia.
Ti distingui dalla moltitudine,
staccandoti anche dal paesaggio
classico, colorato, contanti fiori,
piante, alberi. Non dipingi soggetti
facili, mediti, rifletti?
In realtà dipingo ciò che ho da dire.
Di artisti che dipingono bene ce ne
sono parecchi ma non basta questo
ci vuole qualcosa in più.
Nelle immagini il pittore mentre mostra alcune
delle opere esposte in Sala Birolli
e al lavoro nel suo studio
www.
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.it
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Arte
Agosto/settembre 2012
La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione
di Silvano Tommasoli
Non può che essere sempre un piacere visitare la celeberrima galleria d’arte
La porti un bacione a Firenze. Anzi, agli Uffizi
Non c’è bisogno di scomodare
Enrico di Navarra (poi Enrico
IV di Francia), che ha dovuto sostenere una mezza dozzina e più di guerre di religione
e abiurare un paio di volte la
propria fede prima di affermare
che «Parigi val bene una messa», per dirvi che una visita alla
Galleria degli Uffizi val bene
una botta di calore che non si
riesce quasi a immaginare. In
questo torrido giugno – ma il
caldo, mica lo vorreste avere in
gennaio, no? – programmare
una corsa a Firenze per visitare
la Galleria degli Uffizi, provoca, in tutte le persone alle quali confidate questa vostra idea,
una reazione di commiserazione
mista ad ammirazione. Per la serie, è simpatico e ama l’arte, ma
è un po’ fuori di melone. Perché
spostare il breve viaggio a ottobre sembrerebbe più sensato: ci
saranno tutti i quadri ancora lì,
al loro posto, e una ventina di
gradi Celsius in meno per evitare di arrostirvi il cranio. Ecco il
primo problema: siamo davvero
sicuri che tutti i quadri siano e
saranno ancora lì? Per quel che
mi riguarda, oltre che di Antonello da Messina, sono perso
di Raffaello – l’urbinate, si capisce – e la principale ragione
dell’arrostitura è rivedere, dopo
molti anni, troppi, la Madonna
del cardellino. Senza perdermi il
Ritratto di Leone X e il celeberrimo Autoritratto del Maestro
naturalmente; ma la Madonna,
mi inebria. Eh sì, sono legato a
questo dipinto da qualcosa che
non so; mi ricorda ogni stagione della mia vita, perché quasi
con regolarità, diciamo ogni
decennio, mi succede qualcosa
che mi riporta a questa tavola.
Non ancora rivista dopo il mirabile restauro del 2008, che
ha restituito l’antico splendore
ai colori della tavolozza di Raffaello dopo cinque secoli esatti
e i diversi interventi, primo fra
tutti quello che racconta Vasari,
necessario dopo solo una quarantina d’anni dalla creazione,
a seguito del crollo del palazzo
fiorentino di Lorenzo Nasi, primo committente dell’Urbinate e
dove l’opera era, si fa per dire,
conservata.
E poi, a proposito di Raffaello –
se state buoni e in silenzio – in
un’altra puntata vi racconto di
quella volta che cho avuto un attacco di Sindrome di Stendhal.
Ma davvero, eh! Stavo visitando il Palazzo ducale di Urbino –
non ancora Pinacoteca regionale delle Marche – e sono entrato
in una stanza, dove, al centro,
su un cavalletto di legno, avevano posizionato la Santa Caterina di Alessandria. Come si fosse
trattato di un potente faro, tutta
la stanza prendeva luce dal dipinto…
Tornando agli Uffizi, e per farvela breve, la sala 26, dedicata
a Raffaello, era chiusa per restauro. Nessun avvertimento
sul sito, consultato la sera prima
di mettermi in viaggio e nessun
avviso nemmeno all’ingresso;
molto simpaticamente, quando
abbiamo fatto le nostre rimostranze a una funzionaria, ci
ha risposto che la sala sarebbe
stata riaperta di lì a qualche
giorno, e che poteva essere l’occasione per tornare e visitare
Arte
Agosto/settembre 2012
La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione
nuovamente gli Uffizi. Carina, no?
Beato Angelico, la Battaglia di
San Romano di Paolo Uccello e
la Sant’Anna di Masaccio. Nemmeno il tempo di riprender fiato, ragazzi, che, uno dietro l’altro, adesso ammiro la Nascita
di Venere e la Primavera di Botticelli, il Battesimo di Cristo del
Verrocchio con l’angelo dipinto dal suo ragazzo di bottega,
un certo Leonardo da Vinci,
e ancora l’Annunciazione (straordinaria! E non posso non
pensare all’Annunciazione nelle
Storie della Vera Croce dipinta da
Piero della Francesca in Arezzo vent’anni prima, e non emozionarmi) e l’Adorazione dei Magi
di Leonardo. La mia meraviglia continua con il Tondo Doni,
capolavoro di Michelangelo e unica
sua opera su supporto trasportabile,
la Venere di Urbino e la Flora di Tiziano, Caravaggio con la Testa di Medusa
dipinta su uno scudo da parata dei
Medici e il Bacco. Chiudo in bellezza
con un’opera della quale si è parlato
molto, negli ultimi mesi, la Giuditta e
Oloferne di Artemisia Gentileschi, ricondotta all’attenzione del pubblico
da una serie di pubblicazioni dedicate alle pittrici da Vittorio Sgarbi.
Una visita senza respiro, durata
quattro ore tiratissime. Malgrado la
delusione per non aver rivisto le opere di Raffaello e l’arrabbiatura per la
stupidità della direzione degli Uffizi
che non si è premurata di avvisare
della chiusura della sala, è stato un
giorno interessantissimo, che valeva
proprio il gran caldo sofferto.
A parte questo “piccolo” inconveniente, ci siamo rifatti la vista con
capolavori ineguagliabili.
Subito dopo l’entrata, mi esplodono
negli occhi e nel cuore le tre Madonne di Cimabue, Duccio e Giotto. E
già qui ce ne sarebbe a sufficienza
per sentirsi ripagati dei sei euro e
cinquanta di costo del biglietto (domandina ai nostri mammasantissima dei Beni culturali: lo sapete che
visitare il Louvre costa giusto giusto
tre volte tanto?). Ma poi, nelle sale
cinque e sei incontro Lorenzo Monaco e Gentile da Fabriano, nella
sette l’Incoronazione della Vergine del
Mostra di Mirò alla Gran Guardia. Scuse ai lettori
No, noi non abbiamo dato la notizia della mostra di Mirò alla Gran Guardia, dal 22 giugno al 9 settembre
di quest’anno. Non l’abbiamo data, perché sappiamo da mesi che la mostra è stata annullata. Quindi, non
dovremmo scusarci di nulla, ma, per il rispetto che portiamo ai nostri lettori e in considerazione che un
mensile locale ha riportato addirittura sul numero di giugno il lancio della mostra, e a quattro settimane dal
“buco” non ha ancora rettificato la notizia, sentiamo noi il bisogno e il dovere di scusarci per loro con i lettori.
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Cinema
Agosto/settembre 2012
Visto abbastanza?
di Ernesto Pavan
Dalla fiaba dei fratelli Grimm, l’adattamento più brutto che la Storia ricordi
Biancaneve e il cacciator van per la foresta…
un’atleta e una guerriera come poche e nuoti con un vestito che dovrebbe trascinarla a fondo (ma forse il regista pensava che i lembi di
pelle mostrati da Kristen Stewart
ci avrebbero distratto). Peccato che
non sia così: un pessimo film è un
pessimo film, non importa il suo
genere.
Ci sono film belli, film mediocri e
film brutti. E poi ci sono quei film
che sono un vero e proprio insulto all’intelligenza dello spettatore.
Biancaneve e il cacciatore è talmente indegno da non meritare neppure di essere incluso in quest’ultima
categoria.
Durante la visione del film, abbiamo preso appunti al fine di scrivere
questa recensione. Poi ci siamo resi
conto che era inutile: per sottolineare tutti i difetti, avremmo avuto
bisogno di uno spazio cinque o sei
volte superiore a quello che avevamo. Riassumiamo dicendo che
Biancaneve e il cacciatore, tranne
che per quanto riguarda la fotografia e alcuni personaggi secondari
(i nani), sembra una parodia di se
stesso: la trama è piena di incoerenze, contraddizioni e momenti privi
di senso e la recitazione è quanto
di più scadente si possa trovare in
giro. Charlize Theron è talmente
sopra le righe da sembrare bisognosa di una cura a base di Valium,
mentre Kristen Stewart (che di notevole ha solo gli incisivi e l’espressione da triglia, altro che “più bella
del reame”), fra il pallore naturale
e i residui di Bella che le sono rimasti attaccati, non ha esattamente
l’aria della principessa coraggiosa.
Gli altri, più o meno, se la cavicchiano, ma chi ha scritto i loro ruoli li ha fatti talmente stupidi che il
film si trasforma ben presto in una
gara di idiozia e la storia si trascina senza che nessuno la abbatta in
nome dell’umana pietà.
Forse, trattandosi di un film fantasy, qualcuno ha pensato che non
ci fosse bisogno di spiegazioni per
il fatto che la regina cattiva, dopo
aver ucciso il re, imprigioni la nuo-
va sovrana legittima invece di farla fuori; o per il fatto che costei si
salvi sempre per pura fortuna o per
motivi inspiegabili (il bacio che,
come nella favola, la risveglia; ma
del resto, nel film nemmeno la mela
avvelenata ha un senso); o per il
fatto che Biancaneve, che ha vissuto la maggior parte della propria
vita in uno sgabuzzino al buio, sia
Ciò detto, Biancaneve e il cacciatore ha un briciolo di dignità: ci sono
alcuni momenti, come il finale (che
naturalmente non sveliamo), e alcuni sottesti che smuovono leggermente l’animo di chi guarda. Paradossalmente, il modo in cui è gestito l’elemento romantico è uno di
questi: il rapporto fra Biancaneve,
il Cacciatore (usiamo la maiuscola
perché questo è l’unico nome con
cui è noto il personaggio) e William è più profondo e interessante
di quanto ci si potrebbe aspettare.
Peccato che tutto il resto faccia
schifo.
Libri
Agosto/settembre 2012
È la stampa, bellezza
di Ernesto Pavan
Finalmente disponibili in formato elettronico i saggi di Eco sulla traduzione
“Traduttore traditore”?
La risposta si trova in ebook
“Che cosa vuol dire tradurre? La
prima e consolante risposta vorrebbe essere: dire la stessa cosa in
un’altra lingua. Se non fosse che, in
primo luogo, noi abbiamo molti problemi a stabilire che cosa significhi
‘dire la stessa cosa’ […]; in secondo
luogo perché, davanti a un testo da
tradurre, non sappiamo quale sia la
cosa. Infine, in certi casi, è persino
dubbio che cosa voglia dire dire.”
Con queste parole, Umberto Eco
introduce una raccolta di saggi (ora
finalmente disponibile anche in ebook) che, come sempre, è perfettamente comprensibile ai non addetti
ai lavori. Saggi che affrontano un
tema di sicuro interesse per tutti i
lettori: la possibilità di trasferire significati, immagini e sensazioni da
una lingua all’altra. Esiste la traduzione perfetta, o al massimo si può
avere una buona approssimazione?
Leggendo un’opera tradotta stiamo
davvero leggendo quell’opera, oppure l’opera di un traduttore in gran
parte ispirato dal testo originale? A
questa e ad altre domande l’autore
risponde all’interno della raccolta,
con la puntualità e l’accessibilità che
caratterizzano tutte le sue opere.
Avendo noi alle spalle diverse “esperienze di traduzione” (come recita il
sottotitolo della raccolta), abbiamo
seguito con grande interesse le argomentazioni di Eco; ma crediamo che,
anche in caso contrario, non avremmo perso nulla leggendo quest’opera;
anzi, ne avremmo tratto forse lo stesso guadagno. Come tutti, abbiamo
letto e sicuramente leggeremo libri in
traduzione; scoprire cosa sta dietro
al passaggio da una lingua all’altra è
come aprire una porta su un mondo
del tutto nuovo, il quale, a sua volta,
ci consente di leggere con una nuova
consapevolezza.
Umberto Eco, Dire quasi la stessa cosa,
Milano, Bompiani, 2003
Stefano Campostrini
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Giochi di ruolo
Agosto/settembre 2012
Nessun uomo è un fallito se ha degli amici
di Ernesto Pavan
Fables of Camelot: un piccolo gioco che non delude
Cavalieri di Re Artù per mezz’ora
Fables of Camelot (in inglese; liberamente disponibile all’indirizzo
http://isabout.wordpress.com/fablesof-camelot/ ) è un gioco di ruolo
breve e rilassante, utile quando si
ha poco tempo o durante una breve
pausa fra una sessione e l’altra nel
corso di una convention. I giocatori
interpretano il ruolo di cavalieri di
re Artù, ciascuno contraddistinto da
un animale araldico e da due virtù
(Might e Fame), e vivono avventure
fantastiche in un mondo che, come
nella leggenda è destinato a scomparire: le regole del gioco, infatti,
fanno sì che Camelot prima o poi
cada e con essa l’epoca della cavalleria e dell’eroismo. Le conseguenze
di questa caduta e gli elementi del
vecchio mondo che sopravviveranno
nel nuovo dipendono solo dalle azioni dei cavalieri, ossia dalle scelte dei
giocatori e dalla fortuna.
Fables of Camelot è facilissimo da
imparare e non richiede più che un
foglio, una matita e una manciata di
dadi a sei facce. Si può giocare con
un gruppo fisso, che interpreta gli
stessi cavalieri una missione dopo
l’altra, oppure alternando giocatori
e cavalieri diversi: un ottimo sistema per dare qualcosa da fare a chi,
per esempio a un raduno o durante
una festa, si trova momentaneamente fermo e rischia di annoiarsi. Una
missione dura dai 30 ai 60 minuti.
Nella nostra limitata esperienza, il
gioco non è (né promette di essere)
un capolavoro di profondità o originalità, ma è ben fatto e, giocato con
le persone giuste, può essere molto
divertente.
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Giochi di ruolo
Agosto/settembre 2012
Nessun uomo è un fallito se ha degli amici
di Ernesto Pavan
La guerra secondo John Harper e il Mondo dell’Apocalisse
The regiment: un gioco da tenere d’occhio
Qualcuno potrebbe dire (e non sbaglierebbe poi tanto) che le declinazioni de Il mondo dell’Apocalisse hanno
cominciato a diventare ingombranti,
se non altro per quantità, all’interno
del mercato dei giochi di ruolo. Tuttavia, è indubbio che il sistema abbia
molti pregi e che diversi autori, partendo da esso, siano riusciti a esprimere in modi unici e soddisfacenti la
propria creatività. The Regiment (di
John Harper, già famoso per Agon e
Lady Blackbird) è un caso interessante per due motivi: in primo luogo, la
versione attuale è scaricabile gratuitamente dal sito dell’autore (http://
mightyatom.blogspot.it/ ); in secondo luogo, il gioco è incentrato proprio su quell’aspetto dell’avventura
che Il mondo dell’apocalisse e le sue varianti tendono ad affrontare in modo
meno soddisfacente, e cioè lo scontro
fisico. Si tratta, infatti, di un gioco il
cui tema è la guerra: sporca, assassina e senza giustificazioni.
I giocatori possono scegliere fra
un numero limitato di tipologie di
personaggi: il soldato, l’ufficiale, il
medico, il sergente, il commando, il
cecchino e l’operatore, quest’ultimo
pensato per storie di ambientazione
moderna. Ciascuno di essi è caratterizzato, oltre che da qualità che gli
consentono di esprimere appieno il
suo ruolo, anche dal modo in cui si
rapporta alla guerra: il cameratismo
del soldato, la responsabilità dell’ufficiale nei confronti dei suoi uomini,
la posizione molto particolare del
medico militare. Il gioco è ancora in
una versione acerba; eppure noi l’abbiamo provato e possiamo dire senza
ombra di dubbio che non fallisce. Le
storie create e vissute con The Regiment sono storie molto intense, sia
dal punto di vista dell’azione che da
quello delle emozioni. Vale la pena
provarlo e, naturalmente, inviare
all’autore suggerimenti e critiche.
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Società
Agosto/settembre 2012
Storie di ordinaria follia
di Ernesto Pavan
Un racconto a puntate
Non capita tutti i giorni - parte II
Ho sempre pensato che il lato positivo di tradurre narrativa erotica
omosessuale (oltre al compenso principesco di due euro e qualcosa a pagina, tasse escluse) sia la faccia che
fa la gente quando le dico che lavoro
faccio. Peccato che, in quel momento, non avessi la minima intenzione
di far sbarrare gli occhi a nessuno.
lo i sottili peli rossi del suo avambraccio. “Scusa,” dissi in fretta. Lei
si voltò, mi sorrise, e io provai una
leggera fitta di angoscia. Angoscia
perché avevo modo di sorridere che
avrei potuto descrivere solo come
sincero, senza la minima traccia di af-
“Davvero?” Studiai l’espressione di
Elisa. Sorrideva, ma non sembrava
che mi stesse prendendo in giro. Feci
spallucce.
“È l’unico pseudo-lavoro che ho trovato. Avrei preferito fare altro, ma
almeno questi pagano regolarmente.” Evitai di specificare che, pur
lavorando con la letteratura gay, io
non lo sono; dopotutto, per quanto
riguardava le possibilità che avevo
con Elisa, avrei potuto benissimo
esserlo.
Lei si alzò da tavola e io ricordai che
dovevamo ancora mangiare. Mi alzai anch’io e la seguii, evitando di
incrociare il suo sguardo. Laura mi
fece l’occhiolino mentre ci dirigevamo verso la zona antipasti; evitai di
guardarla male per una questione di
dignità. Presi un piatto da una delle pile sopra le vaschette con il cibo;
per poco non mi scivolò di mano. Mi
accertai che Elisa non stesse guardando e mi asciugai rapidamente le
mani sui pantaloni. Perché diamine
ero così nervoso? Non avevo alcuna
possibilità di fallire: non avevo neppure intenzione di cominciare. Doveva essere il caldo.
A quanto pareva, anche a Elisa piacevano i ravioli al vapore, perché allungammo entrambi le mani verso la
stessa pinza. Ritrasse subito la mia,
sfiorando senza volerlo con il migno-
Elisa reagì in un modo che mi sorprese: ridacchiò. Eppure non avrei
mai pensato che una persona come
lei lasciasse passare certe cose, o le
considerasse divertente; d’altra parte, non la conoscevo per niente. Poi
mi guardò negli occhi e disse, senza
smettere di sorridere: “Non dirlo a
Laura!”
Inarcai un sopracciglio. Giovanni, il
ragazzo di Laura, non faceva mistero
di essere vagamente omofobo; avevo
sempre pensato che lei fosse troppo
buona per odiare chiunque, ma una
sensibilità del genere mi giungeva
del tutto nuova. “Perché no?”
fettazione; perché in quel momento
mi resi conto che non sarei riuscito
a immaginarla senza quelle lentiggini, che per la prima volta in vita
mia non considerava un segno sulla
pelle uno sfregio; perché, in quella
mezz’ora scarsa da che la conoscevo, non ero riuscito a trovare del suo
comportamento una singola traccia
di ipocrisia o voglia di adeguarsi; e
perché era così morbida al tocco. Poi
lei disse qualcosa che mi fece tornare
di colpo alla realtà.
“Non ti devi vergognare per quello
che fai. C’è gente messa molto peggio.”
No, per favore, la lezioncina no! “Mi
dispiace per loro,” dissi. “D’altro
canto, io lavoro praticamente a cottimo, non ho né ferie né malattia, la
pensione dovrò pagarmela da solo e
in più mi tocca leggere roba da froci
dalla mattina alla sera. Sai che allegria.” Ecco, avevo detto una parola
brutta e cattiva. Avrei perso punti?
Probabilmente sì, ma tanto, chi stava
tenendo il conto?
Questa volta fu il turno di Elisa di
mostrarsi sorpresa. “Non ti ha detto
niente?”
Passammo agli spaghetti di riso;
questa volta, le feci cenno di servirsi
per prima e lei mi ringraziò con un
cenno del capo. “Cosa avrebbe dovuto dirmi?”
Elisa assunse per un attimo un’aria
pensierosa, poi scosse la testa e tornò
a sorridere. “Niente. Se non te l’ha
detto, avrà avuto le sue ragioni.”
Non ci scambiammo altre parole.
Quando tornammo al tavolo, i nostri
piatti erano praticamente uguali, incluso il fatto che strabordassero.
“Ma guarda, vi piacciono le stesse
cose!” osservò Laura con l’aria meno
indifferente del mondo.
“A quanto pare.”
Il mio tono di voce non doveva essere stato adeguatamente scortese,
perché Laura continuò a fare osservazioni del genere per tutta la cena.
Società
Agosto/settembre 2012
Storie di ordinaria follia
Andammo all’unico cinema che proiettava The Avengers in lingua originale con sottotitoli (avevo imposto
questa condizione irrinunciabile),
una multisala. Mentre facevamo il
biglietto, rispolverai le credenze religiose che mi erano state inculcate da
piccolo per implorare il Signore che
Laura non trovasse altri sistemi per
lasciare me ed Elisa da soli; ma avevo nominato, seppur mentalmente, il
nome di Dio invano.
“Volete qualcosa? Popcorn? Coca?
No? Va bene, allora io e Giovanni
andiamo a prendere qualcosa per
noi.” Carogna. Lo sapeva benissimo che io non mangio né devo mai
quando vado al cinema.
resi conto di non farcela più. “Mi
dispiace,” dissi. Prima che lei potesse aggiungere qualcosa, proseguii:
“Non so cosa sia venuto in mente a
Laura. Credo che stia cercando di
trovarmi una ragazza, e chiaramente ha toppato alla grande. So che non
è granché, ma da parte mia, ti chiedo scusa.” All’improvviso faceva un
caldo infernale.
Elisa mi guardò senza scomporsi.
Poi spostò lo sguardo su quello che,
capii subito, non era altro che un
punto caso in mezzo al vuoto. “Capisco,” disse. Dopo qualche momento, o forse qualche minuto, aggiunse:
“Posso sapere perché non ti piaccio?”
Non capivo perché, ma in quel momento quella domanda mi parve la
più importante che mi fosse mai stata posta. “No,” risposi con tutta la
solennità che può avere un uomo di
venticinque anni nato negli anni Ottanta del Novecento.
Con un gesto lento e deliberato, Elisa si sfilò l’anello. Lo tenne per un attimo nel palmo della mano, brillante
sotto le luci elettriche, e vidi che non
era argento, ma diosolosaquale lega.
Poi se lo mise in una delle tasche anteriori dei pantaloni. “Ora cos’è che
non ti piace di me?”
“Non hai il ragazzo?” dissi tutto
d’un fiato.
Di fronte al suo sorriso, per un attimo pensai di dover ricordare al mio
cuore di battere. “Rispondi alla domanda.”
Ci abbandonarono nel salone del
cinema, subito dopo le biglietterie.
Naturalmente, c’era una sola panchina libera. Ci sedemmo, a una
distanza tale che non avrei potuto
sfiorare Elisa neppure volendo… o
così avrei voluto. Per qualche motivo, mi sedetti abbastanza vicino a lei
da sentire il suo profumo: un misto
di sale, vento e ragazza. Non aveva
usato alcun profumo.
Mi voltai a guardarla. Stava osservando i poster appesi alle pareti,
perfettamente a suo agio nel silenzio,
senza mostrare la minima intenzione di trovare un motivo banale per
interromperlo. In quel momento, mi
Quelle parole mi fecero l’effetto di
uno schiaffo. “Perché non mi piaci?
Ma ti sembro deficiente?” Cercai di
pronunciare le ultime parole in tono
scherzoso, ma mi resi subito conto di
aver fallito miseramente e, ciò nonostante, proseguii: “L’unica cosa che
non mi piace di te è quell’anello che
hai al dito.”
Elisa sollevò entrambe le mani.
“Quale di questi?”
“Quello,” disse indicando la fascetta d’argento che portava all’anulare
della mano sinistra.
“Sei sicuro che Laura non ti abbia
detto proprio niente?”
“Niente. Assolutamente niente.” In
quel momento, pensai che forse mi
stava solo prendendo in giro; che si
sarebbe messa a ridere e che io sarei
stato al gioco, mi sarei comportato
in modo amichevole per il resto della
serata e sarei tornato a casa col cuore colmo almeno in parte di qualcosa che non era rimpianto. Poi vidi la
luce negli occhi di Elisa e capii che,
in ogni caso, non sarebbe andata
così.
“Fra poco torneranno quei due,”
dissi. Ormai parlavo a ruota libera.
“Non ho mai avuto meno voglia di
vederli come in questo momento.”
Elisa ridacchiò. “Non dire così!
Sono il mio orgoglio. Sono stata io a
presentarli, dopo che la nostra storia
era finita.”
La guardai a bocca aperta. “Tu stavi
con Giovanni?”
“Ma no! Io stavo con Laura.”
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Viaggi
Agosto/settembre 2012
Giro giro tondo, io giro intorno al mondo
di Alice Perini
Perché la Germania può ancora farci sognare (almeno per 600 Km)
Grimm & Co. sulla strada del “C’era una volta”
«Le fiabe non raccontano ai bambini che
i draghi esistono. I bambini sanno già che
i draghi esistono. Le fiabe raccontano ai
bambini che i draghi possono essere uccisi»
Gilbert Keith Chesterton
Se è vero che il fonema della lingua
tedesca [���������������������������
�������������������������
] si pronuncia come la nostra [e], allora la differenza tra “Merkel” e “Märchen” è�����������������
������������������
una cosa da nulla. La diversità (lo spread?) aumenta
nel caso in cui quel Merkel faccia
coppia con una certa Angela e quel
“Märchen” sia la traduzione della
parola “fiaba”.
664: non i “punti base” di
cui parla ogni telegiornale,
ma i chilometri che separano
Brema, città della Germania
nordoccidentale affacciata
sulle rive del Weser e secondo porto commerciale del
Paese, da Hanau, luogo di
nascita dei fratelli Grimm.
Perché se oggi possiamo
programmare un viaggio
lungo la Strada delle Fiabe
(Märchenstraße) è grazie a
Jacob e Wilhelm Grimm, i
quali, spinti dal desiderio di
sostenere la nascita di un’identità comune, decisero di
trascrivere le fiabe, l’eredità
culturale dei principati in
cui era frammentata la Germania del XIX secolo. Dun-
que, non solo genitori di Cenerentola, Biancaneve & C., ma anche attenti linguisti alle prese con la compilazione del Deutsches Wörterbuch,
il dizionario tedesco considerato la
fonte più autorevole per l’etimologia
dei vocaboli.
Hanau: questa la prima tappa del
viaggio. Cittadina dell’Assia a venti chilometri da Francoforte, Hanau
merita di essere visitata per il Museo
delle Bambole, l’Hessisches Puppenmuseum, l’unico al mondo a possedere
una collezione di bambole antiche
costruite dal 3000 a.C. al 500 d.C.
Proseguendo verso Nord si incontra
prima Steinau an der Straße, dove
c’è la casa dei fratelli Grimm, e poco
dopo Alsfel, borgo medievale dai
vicoli stretti e dalle casette colorate. Siamo nelle terre di Cappuccetto Rosso: fitti boschi al centro della
Germania dove non è raro avvistare
qualche lupo.
Anche Marburgo è parte della rete
del “C’era una volta”. Con i suoi ottantamila abitanti e ventiduemila
studenti la città-università si presenta in splendida forma, con un antico
patrimonio urbanistico di tutto
rispetto: scampata ai bombardamenti della Seconda Guerra
Mondiale, Marburg ha mantenuto intatta la struttura medievale. È qui che i fratelli Grimm
iniziarono le loro ricerche sulla
letteratura popolare, in questo
centro a misura d’uomo e di futuro: ne è una testimonianza la
normativa ambientale che obbliga chi costruisce una nuova
abitazione a installare impianti
fotovoltaici.
Lasciata Marburgo, troverete
molta tranquillità: una capa-
Viaggi
Agosto/settembre 2012
Giro giro tondo, io giro intorno al mondo
tina a Lahntal, per dare un’occhiata allo studiolo di Otto Ubbelohde,
l’illustratore delle fiabe dei Grimm,
a Neustadt, per ammirare la Junker
Hansen Tower, il più alto edificio
medievale dalla forma circolare, e a
Knüllwald, per una passeggiata nel
parco che ospita orsi e lupi.
Biancaneve abita poco più a Nord in
un paesino di nome Bad Wildungen,
animato ad agosto dal Festival delle
luci e a settembre dal Blumenkorso,
la Festa dei fiori. E se una fiaba tira
l’altra, dopo aver incontrato Kassel,
considerata la “capitale” di questo
lungo tragitto forse per il Museo
dedicato ai Grimm, forse per il settecentesco palazzo Wilhelmshöhe, si
approda al castello di Sababurg, tra
le cui mura si snoda la storia della
Bella Addormentata nel bosco (non
fosse altro perché ai piedi del maniero del 1300 si trovano sia la foresta
del Reinhardswald che il Parco degli
animali, fondato nel 1571).
Bodenwerder con il Barone di Münchhausen merita un accenno, anche
se, in tal caso, non è farina di casa
Grimm ma di Rudolf Erich Raspe,
altro autore tedesco. Conosciuto per
i suoi racconti inverosimili, il barone, quello in carne e ossa, nacque
proprio qui nel 1720 e la sua salma
riposa nella chiesa di Kemnade.
E mentre il barone racconta di viaggi a cavallo di una palla di cannone, leggenda medievale vuole che
Hameln, penultima tappa di questa
strada, sia stata salvata dall’invasione di topi grazie al Pifferaio magico,
che con il suo strumento li allontana
dalla città portandoli verso il fiume e
facendoli annegare.
Dopo l’acchiappatopi non vi resta che
Brema con i suoi musicanti: asino,
cane, gatto e gallo ai quali è dedica-
ta una statua in bronzo nella piazza
del Mercato, dichiarata, assieme al
Palazzo Comunale, bene Patrimonio
dell’Umanità. Casette di pescatori,
vicoli stretti, negozi e locali tipici caratterizzano lo Schnoor, il quartiere
più antico di una città che conserva
ancora le testimonianze di fiorente
snodo portuale.
E vissero tutti felici e contenti? Che
partiate da Hanau per finire a Brema o viceversa, la Strada delle Fiabe
è questa. Del resto, la Merkel è nata
ad Amburgo, città che con le fiabe
non ha nulla a che vedere. Almeno
per il momento. Dovesse abbassarsi
lo spread…
Nella pagina precedente la mappa della Strada
delle Fiabe e un particolare di Boettcherstrasse
In questa pagina, dall’alto, la casa dei Fratelli
Grimm, il castello di Sababurg, una piazza e
l’Università di Marburg
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Viaggi
Agosto/settembre 2012
Giro giro tondo, io giro intorno al mondo
di Alice Perini
Sconosciute alchimie naturali in un angolo d’Africa. Mozzafiato
S.U.V., So Unknown Village: Gibuti
«Qui in Africa la fame è il problema più
assillante. È fortunato chi lavora alle
Poste, perché può leccare i francobolli»
Giobbe Covatta
Un aiuto se n’è già andato: Africa;
ma a ben guardare, l’Africa è grande, con quei 30 milioni di Kmq di
estensione e più di 50 Stati, alcuni
piccolissimi, come il Gambia, il più
piccino del continente, altri enormi,
come l’Algeria che, dopo l’indipendenza del Sudan del Sud dal Sudan,
è al primo posto per estensione geografica.
Il Gibuti: e chi lo conosce? Una nuova marca di SUV?
Nelle concessionarie non c’è traccia
di Gibuti. Ma certo! Era presente
alle Olimpiadi di Londra, ed è stato proprio guardando sfilare i paesi partecipanti ai Giochi durante la
serata di apertura del mega show
televisivo che mi sono chiesta quale spicchio di mondo portasse questo nome. E mentre i 6 atleti (3 uomini e 3 donne) avanzavano con la
loro bandiera colorata, scoprivo che
il Gibuti è un puntino dell’Africa
orientale, abbracciato dall’Eritrea e
affacciato sul Golfo di Aden.
Poco più piccolo della Lombardia,
con una popolazione di circa 700
mila abitanti, Djibouti, che prima
costituiva la Somalia francese, è
indipendente dal 1977 ed è una Repubblica Presidenziale con poche
risorse, uno sterminato deserto e 3
basi militari presenti stabilmente sul
territorio.
Lo scopo? Mantenere l’equilibrio
in una regione precaria dell’Africa,
una polveriera che rischia di saltar
per aria da un momento all’altro:
ecco la ragione per cui navi da combattimento ed elicotteri Apache hanno stabilito qui la loro dimora. E se
l’Etiopia si lecca i baffi vogliosa di
fagocitare il Gibuti convinta che una
parte degli abitanti (gli Afar) condivida la stessa etnia, l’Eritrea, senza
fantasia, spera di poterlo inglobare
perché una parte della popolazione
è della sua stessa tribù, quella degli
Issa.
Un viaggio da queste parti? Ne varrebbe la pena: il Gibuti è “selvaggio
al punto giusto” con quel suo mix di
rocce, mare e terra arida. Non sarà
tra le mete più sicure nelle quali trascorrere giorni di relax con pargoli
Se la paura di intraprendere una
simile esperienza c’è, cerchiamo almeno di raccogliere qualche informazione su una meta nella quale si
spera, un giorno, di poter metter
piede, magari da novembre a metà
al seguito. Lo Yemen, altro focolaio
perennemente acceso, è a 20 Km di
braccio di mare e, come se non bastasse, le navi, provenienti dal Canale di Suez, passano proprio da qui,
nel covo dei pirati.
aprile, prima che il caldo soffocante
impedisca di gustare le bellezze paesaggistiche che il Paese può offrirvi,
Lago Assal in primis.
Punto più basso dell’Africa (meno
150 metri), il lago ha un’altissima
Ambiente
Agosto/settembre 2012
Giro giro tondo, io giro intorno al mondo
concentrazione salina, circa
350 gr di NaCl per litro: un’enormità se confrontata con la
salinità della vicina Baia di
Ghoubbet (30 gr/lt). Impossibile fare un tuffo nella tavolozza
di colori di cui si tinge lo specchio d’acqua: verde smeraldo e
blu intenso si fanno beffe di voi
che, tutt’al più, potete galleggiare sulla superficie acquosa.
Lo circonda un ambiente mozzafiato: vulcani tinti di nero, incrostazioni di sale e sabbia che risplendono di un bianco accecante sotto
il sole di una delle regioni più calde
al mondo. Alchimia di colori e magia della natura: il lago, separato
dal mare da una zona vulcanica, è
a questo collegato da una serie di
fratture sotterranee che permettono
di compensare il livello di acqua, che
tenderebbe ad abbassarsi per l’intensa evaporazione. Paesaggio così fantascientifico che il regista Schaffner
decise di usarlo come location per il
film Il pianeta delle scimmie.
Scimmie (finte) e gazzelle (vere) che
corrono leggiadre nella pietraia assolata; fenicotteri rosa lungo le rive
del Lago Abbe, pronti a cibarsi del
krill che abbonda nelle sue acque salate, acque che, almeno fino a venti
anni fa, erano dolci e abitate da ippopotami, coccodrilli, pellicani & co.
per il rispetto verso la religione musulmana, che impedisce
di fotografare persone senza il
loro consenso.
Un esperimento: provate a
chiedere a qualcuno dei vostri
amici cosa associa a Gibuti. Se
la risposta è “SUV”, siete, in
ogni caso, sulla buona strada.
A sinistra: tramonto sul lago Abbe
Qui sotto: pianta di qat
Poi, gli Etiopi hanno deviato il flusso
del fiume Awash, che lo alimentava,
per mettere in funzione una diga per
la produzione di energia elettrica. E
ciao biodiversità.
Gli squali balena, per ora, potete
avvistarli da ottobre a gennaio nella
Baia di Ghoubbet, uno dei migliori
posti al mondo per praticare snor-
kelling accanto a questi
inoffensivi giganti del
mare.
Djibouti, nome dal sapore francese, con una
capitale giovane, dove
gli uomini masticano qat
per ore e dove è meglio
perdere la mania nipponica di scattare foto
a random, vuoi per l’alta
concentrazione di basi
militari off-limits, vuoi
A sinistra lo squalo balena
Sopra (e nella pagina a fianco) uno scorcio del lago Abbas
Qui sotto le “torrette” di travertino
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Animali
Agosto/settembre 2012
Amici miei
di Alice Perini
Dal continente nero a quello giallo: la solita schifosa storia
Zanne in viaggio: affari d’avorio
Altro da dichiarare? Forse la strage di elefanti, più di 300, avvenuta
per mano di bracconieri armati che
hanno invaso il Paese e ucciso centinaia di esemplari nel Boubandjida
National Park, riserva creata dopo
l’indipendenza del Camerun nel
1960? Tutto ciò accadeva all’inizio
del 2012.
«L’elefante morto non si decompone in una
giornata»
Proverbio africano
Questo proverbio africano è l’unico
punto fermo dal quale partire. Ovvio che la carcassa di una bestia di
dimensioni così mastodontiche non
possa sparire in un giorno.
A essere sincera, non mi era mai capitato, prima d’ora, di pensare a un
pachiderma in decomposizione e,
poiché dal vivo non ne ho mai visto
nemmeno uno, nella mia mente girovagano solo elefanti grigi che, con
grandi orecchie, si nutrono dell’erba
della savana e gironzolano quà e là
placidi, senza grattacapi (e pensare
che se c’è qualcuno che potrebbe
grattarsi la testa senza difficoltà,
quello è proprio l’elefante… con la
proboscide che si ritrova).
Ma la realtà è che io mi chiamo Alice
(fin qui, niente di strano) e che spesso (questo sì che è strano) vivo nel
Paese delle Meraviglie. E mentre a 5
anni mi infastidivo se i “grandi” se ne
uscivano con la solita frase “Ah, come
Alice nel Paese delle Meraviglie” non appena pronunciavo il mio nome, ora
mi arrabbio perché so che di meraviglie, a questo mondo, ce ne sono
troppo poche; perché, ecco il punto,
La scatola magica tv ne ha parlato
almeno una volta? Io non mi ricordo.
esistono individui di fronte ai quali anche l’idealista
Lisa Simpson, nonostante
lo slancio social-ambientale
di cui è dotata, dovrebbe
gettare il ferro a fondo.
Camerun, Africa Equatoriale: stato conosciuto per i
successi della nazionale di
calcio, almeno per chi è del
settore.
Per chi volesse ulteriori dettagli sulla
questione, il sito ufficiale del WWF
saprà “deliziarvi” con notizie e video, raccapriccianti, sull’accaduto.
È avvilente osservare come animali
così imponenti da sembrare invincibili si consumino goccia a goccia.
Giorno dopo giorno, la loro pelle
raggrinzita si accartoccia sulle ossa
e del grosso elefante non rimane che
una maschera flaccida, come se un
enorme palloncino si fosse sgonfiato
improvvisamente e fosse caduto tra
il verde di un Parco che avrebbe dovuto essere la sua casa.
Animali
Agosto/settembre 2012
Amici miei
Immagini inimmaginabili tratte
da un video denuncia lanciato dal
World Wildlife Fund sono disponibili
per voi dal 12 agosto scorso, Giornata mondiale degli elefanti, perché
gli amici di Dumbo non se la passano bene nemmeno oltre i confini del
Camerun: 30 massacrati in Ciad in
una sola notte, per non parlare della
Tanzania che, nel marzo 2010, fece
richiesta di riaprire
il commercio dell’avorio. Parzialmente,
s’intendeva.
2010: storia vecchia,
di cui però si può dir
qualcosa. Il governo
della Tanzania chiese
al Cities, la Convenzione sul commercio
internazionale delle
specie minacciate, di
rendere nuovamente
legale il commercio
di avorio dopo circa
15 anni di tregua:
tonnellate vendute per incrementare
le entrate dello Stato, soldi poi spendibili per la conservazione dei parchi.
Insomma, legalizziamo l’illegale a
spese degli elefanti per far cassa,
così avremo dei bei soldini da investire per la tutela dei parchi, dove
gli elefanti, sempreché qualcuno sopravviva, hanno casa. Quali menti sopraffine avranno elaborato un
programma così acuto, giustificandosi di avere nei loro territori pachidermi in soprannumero?
Dopo giorni di discussione, arrivò
il nein del Cities e i mammiferi proboscidati si tennero i loro 7 Kg di
zanne (tanto può produrne, in media, un pachiderma). Almeno sulla
carta, perché da altri incartamenti
il mercato nero, un business pronto a
sfamare, in particolare, le voglie di
Giappone e Cina. Da Botswana, Namibia, Sudafrica, Zimbabwe, Tanzania e tanti altri, con scalo tecnico
in Malesia, Vietnam o Filippine, per
approdare infine nel continente giallo,
dove spopola la medicina tradizionale che affibia a questo materiale
virtù terapeutiche eccezionali contro febbre, impotenza ed
epilessia.
Continente nero – continente giallo: questione di
colore? L’inizio e la fine
di una brutta storia?
Se la mettiamo su questo piano, tutti possiamo avere una tonalità
“bianco-sporco”, un color
avorio. Questo non ci
basta?
- Cities in particolare - emerge che
il 2011 è stato un anno drammatico
per il traffico di avorio. Un anno da
record, con oltre 2500 esemplari abbattuti, 13 maxi-sequestri di zanne
per una quantità di fosfato di calcio,
perché è di questo che è fatto principalmente la materia preziosa, che si
aggira sulle 23 tonnellate.
Numeri affidabili solo in parte, perché anche nel continente nero esiste
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Animali
Agosto/settembre 2012
Amici miei
di Alice Perini
Finita la magia, tutti persi sulla via: i postumi dell’era “Harry Potter”
Se mi stufo del gufo...
«Elefante. Un animale con un
aspirapolvere davanti e un battipanni di
dietro»
John Garland Pollard
Sbarazzarsi di un pachiderma senza dare nell’occhio è problematico:
sarà questa la ragione per cui Dumbo
non ha lasciato pesanti strascichi in
termini di abbandono di suoi simili
dopo il successo cinematografico?
Oppure, sono ancora molte le casalinghe che nascondono elefanti in
casa di questi tempi, quando, con la
crisi che c’è, conviene avere aspirapolvere e battiscopa 2 in 1?
Cosa potrei farmene di un gufo?
Lo porto a casa, gli trovo un nome
che sia diverso dal solito “Anacleto”
bene agli animali. Mica l’abbiamo
lasciato per strada, come si fa di solito con i cani. Se si vuol abbandonare un animale, le cose vanno fatte
per bene: il gufo abita nel bosco ed è
proprio lì che Gufo-che-mi-stufo sarà
a suo agio. Si troverà bene da morire.
E soprattutto sarà in buona compagnia, perché da quando la Harry Potter mania è ormai roba vecchia, chi li
vuole più i gufi?
Siamo in Gran Bretagna, dove, una
volta svanita la magia della saga ideata da J.K. Rowling, restano centinaia di rapaci abbandonati dai loro
padroni. Se Harry il mago ha come
sua messaggera la civetta Edvige, per
quale motivo i bambini non dovrebbero averne una?
soccorrere tutti i rapaci che vengono
liberati nelle campagne. Animali incapaci di sopravvivere in natura, disorientati e, spesso, malati. Se nell’era “ante Harry” il centro di recupero
ospitava solo sei gufi, ora il numero
è aumentato vertiginosamente fino a
toccare il centinaio.
Si sa, noi uomini siamo facili prede
della moda. Il problema è che, come
disse Coco Chanel, “la moda è fatta per diventare fuori moda”. Dalle
Tartarughe ninja a Nemo, dalla Carica
dei 101 a Hachiko non ci siamo fatti
mancare nulla.
Avanti il prossimo.
Non lo voglio più. Fa solo u-u-u.
Mamma pensaci tu.
Prima di tormentarci con questo interrogativo, vorrei capire una cosa:
Potter si affidava a una civetta o a un
gufo? Non è una questione di vitale
importanza, ma poiché si trova scritto di tutto su certi giornali... vorrei
almeno dirvi le cose come stanno e,
più di tutto, non vorrei far spaventare inutilmente le civette, se è di abbandono di gufi che si sta parlando.
Et voilà, Gufo-che-mi-stufo è sparito.
Mamma e papà sono stati previdenti perché loro sì che vogliono
In ogni caso, altro che magia: l’Owlcentre di Corwen, nel nord del Galles,
avrebbe bisogno di un miracolo per
(non vorrei che Mago Merlino si
confondesse e me lo fregasse con un
suo trucchetto), gli accarezzo le piume fino a provocargli uno stress da
troppi complimenti (come sei morbido, come sei bello), lo esibisco a parenti e amici e…? Mi son stufata.
Sport
Agosto/settembre 2012
Quando il gioco si fa duro
di Daniele Adami
Lo sport e i suoi “strumenti”, un legame non competitivo
Prima di arrivare a 7…
muscoli e talento, deve adoperarsi in
un notevole sforzo per adattarsi alle
precise caratteristiche del mezzo che
si vuole governare. Parliamo di strumenti che, a volte, possono sia fare
del male che reagire in maniera del
tutto inaspettata. È la giocatrice, o il
giocatore, che riesce a far diventare
l’iniziale ostacolo un aiuto. Per farlo,
ci vuole impegno.�����������������
E una volta realizzato questo passo, sarà l’oggetto
ad adeguarsi alle esigenze di chi lo
muove.
Pedali e palline. Tennis e ciclismo.
Due sport che si possono mettere a confronto. Se il tennista ha la
racchetta, il ciclista ha la bicicletta.
Non si badi alla rima: per vincere, o
anche solo per divertirsi, è necessario muovere uno strumento tecnologico, un mezzo frutto dell’intelligenza umana e costruito con specifici
materiali. Nasce spontanea una domanda: è più semplice la pratica di
un’attività di questo tipo, in cui alla
componente muscolare se ne aggiunge una inanimata, oppure quando
fra piedi (o mani) e la terra c’è un
diretto contatto? Difficile dare una
risposta.
Siamo in un terreno accidentato,
arduo da percorrere. Infatti, per
abbozzare una qualche spiegazione
bisognerebbe portare sul piatto della discussione una notevole mole di
studi sul rapporto fra corpo e macchina. Pubblicazioni fitte di numeri,
calcoli e percentuali. Ora non ne abbiamo il tempo e, quasi sicuramente, manca la competenza. Il nostro
discorso, invece, vuole abbracciare
e, in un certo verso, toccare, lo stato
d’animo di uno sportivo. Di conse-
guenza, la precedente domanda si
trasforma: quali possono (o potrebbero) essere le sensazioni provate
nell’avere tra le mani, mentre si fa
sport, un oggetto che non fa parte
del proprio corpo?
Chi vi scrive ha una precisa idea.
Un’idea che si discosta, probabilmente, dal pensiero collettivo. Un’idea discutibile e criticabile. Una
racchetta da tennis, o una bicicletta,
sarebbe più un ostacolo che un aiuto.
Cerchiamo di motivare tali parole: la
componente umana, fatta di abilità,
Così si può aspirare a diventare un
campione, un esempio. Se volgiamo
lo sguardo ai pedali si scorgerà il vigore mentale di Lance Armstrong,
vincitore di sette Tour de France
consecutivi. Se voliamo a Londra
si ammirerà l’esperienza di Roger
Federer, lo svizzero di Basilea che
ha trionfato per sette volte sull’erba di Wimbledon. Due persone che
conferiscono onore allo sport, e che
ben riassumono impegno, dedizione e passione. Due persone che non
hanno avuto il timore di lottare per
conquistare qualcosa di importante,
perché una vittoria si può ripetere.
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Sport
Agosto/settembre 2012
Quando il gioco si fa duro
di Daniele Adami
Qual è la differenza fra un campionato nazionale e una manifestazione internazionale?
Da un colore a un altro
Qualche volta lo sport divide, qualche volta lo sport unisce. Purtroppo
da un lato, meno male dall’altro. Ora
che i campionati di calcio sono iniziati (anche di altri sport, tuttavia),
la parte iniziale della prima frase, rimasta sopita per i veloci mesi estivi,
riprenderà forza. È la perenne linfa
che scorre nelle vene del tifoso, spesso incapace di avere un punto di vista oggettivo. Conta solo la propria
squadra o l’atleta preferito. Un torto
per noi è ingiusto, per gli altri no.
Fortunatamente ci sono alcuni momenti in cui si avvera la seconda parte della prima frase. Momenti, eventi di impronta internazionale che si
svolgono con periodiche scadenze.
Parliamo, senza fare lunghi giri di
parole, delle Olimpiadi (invernali o
estive) e, se non possiamo proprio
allontanarci dal calcio, di Mondiali
ed Europei.
Certo, alcune divisioni rimangono, anche in simili manifestazioni. Rivalità fra nazioni diverse formano la storia sportiva di ciascuno stato.
Quello che conta, in fondo, è
sapere che ognuno di noi, a
volte, può levarsi di dosso un
colore e indossarne un altro,
senza il timore di essere preso
in giro. E senza perdere nemmeno un briciolo di identità.
Al massimo si può modificare il personale punto di vista,
dato che lo sport lo consente.
Qui sotto un momento di gara di canoa alle ultime Olimpiadi di Londra,
sopra la Spagna Campione d’Europa lo scorso luglio
Le diverse maglie indossate nel corso dei campionati nazionali si fondono fra loro per dare origine a un
unico simbolo. Si esulta anche se a
realizzare un punto è un giocatore che non si sopporta. Inoltre, nel
corso di tali ricorrenze si finisce con
l’apprezzare piccole squadre e atleti
che magari non si conoscono.
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Sport
Agosto/settembre 2012
Quando il gioco si fa duro
di Daniele Adami
Il difficile rapporto fra sport e tensioni di natura psicologica
Una legge non scritta
Sport e pressione psicologica, due
universi che non viaggiano paralleli. Chi pratica un’attività agonistica
deve fare i conti, necessariamente,
con quello che avviene nella propria
testa, soprattutto se si agisce nel
settore professionistico. Dobbiamo
considerarla come una sorta di legge
valida non scritta.
Per cercare di ottenere un buon risultato, quindi, occorre mettere
d’accordo la forma fisica con la forza
mentale. Non si può pensare l’una
senza l’altra. Anche un corpo perfettamente allenato produce ben poco
se sulle spalle non c’è una testa ben
piantata, responsabile e concentrata.
Qualcuno è in grado di reagire a simili situazioni, accumulando stress
ma riuscendolo a gestire. Qualcuno,
invece, non è in grado di farlo. Per
tentare di sopperire a ciò, si può andare alla ricerca di un rimedio che
vive in un territorio estraneo allo
sport legale.
La giustizia deve fare il suo corso e
noi non ci immischiamo. La nostra
riflessione è rivolta altrove, a quello
che può avvenire nella mente degli
atleti e a come essa può comportarsi.
Senza giudizi.
Le fonti da cui scaturiscono ansie e
tensioni psicologiche sono varie: se
stessi, prima di tutto, poi parenti, allenatori, dirigenti, sponsor. Persone
che, attraverso parole, gesti, azioni
o pensieri influenzano la prestazione
sportiva. E, se la pressione è troppo alta, diventa ingestibile da parte
dell’atleta, con la possibile conseguenza di un esito negativo.
Un’altra cosa dobbiamo considerare:
la delusione che potrebbe sorgere nel
caso in cui l’obiettivo prefissato non
venisse colto. Una delusione a priori.
Ancora più agitazione.
Pane e Dolci da forno di produzione propria
Salumi e Formaggi tipici
Vino e Olio del nostro territorio
Kamut integrali e all’olio extravergine
Pane di riso
Gallette senza lievito
Grissini tirati a mano
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Noi tra di voi
Quinta Parete: Associazione Culturale
per la diffusione della cultura teatrale e artistica
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Associazione Culturale Quinta Parete - Via Vasco de Gama, 13 - 37024 Arbizzano di Negrar, Verona
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