Nuove tecnologie, metodo etnografico e strategie narrative

Transcript

Nuove tecnologie, metodo etnografico e strategie narrative
Nuove tecnologie, metodo etnografico e strategie narrative
FILIPPO BRUNI*
Keywords: digital technologies, ethnographic approach, storytelling, digital storytelling
Abstract: An ethnographic approach in relation to the uses of digital technology allows educational research to overcome the gap between practice and theoretical reflection. In particular, digital storytelling, as compared to traditional forms, offers new
ways of thinking and sharing experiences. Narrative exercises could be introduced in
the specific scenario of teacher education, avoiding the dichotomy between theoretical
courses and practices. Finally, three narrative exercises used in teacher training are
briefly described.
Le nuove tecnologie come problema per la ricerca pedagogica?
La ricerca sulle nuove tecnologie nei contesti di insegnamento/apprendimento ha, talvolta, incontrato forme di resistenza legate ad una serie di timori:
l’introduzione di logiche estranee a forme tradizionali di ricerca, contaminazioni tra aree disciplinari diverse, rischio di logiche omologanti distanti da
finalità educative... Tali timori, se da un lato possono offrire spunti critici di
indubbia importanza, hanno, dall’altro lato, in parte contribuito alla creazione di mitologie della rete e l’individuarle può permettere di procedere con
una adeguata consapevolezza in una logica interdisciplinare che meglio può
rispondere alla complessità dei problemi. Nell’analizzare le mitologie elaborate, proprio in relazione alla dimensione pedagogica, emergono concezioni
secondo cui «Internet costituirebbe un’esperienza di indebolimento della realtà, una droga elettronica in grado di generare fantasmi di onnipotenza e/o
impotenza; ci troveremmo di fronte a qualcosa in grado di generare un uomo
elettronico che si nutre di immagini virtuali, che vive una progressiva rarefazione dei rapporti umani: Internet genererebbe solitudine sociale, produrrebbe
* Università
del Molise - [email protected]
203
The future of the pedagogical research and its evaluation
un depotenziamento della capacità del linguaggio, metterebbe a repentaglio la
stessa identità esistenziale delle giovani generazioni» (Rivoltella 2003, 48).
Uno dei rischi che la ricerca pedagogica corre è costituito dal non riuscire a
sfuggire a costruzioni mitologiche, rimanendo incagliata in una contrapposizione tra utopia e distopia, e rinunciando a quel compito interpretativo che può
permettere l’individuazione di modalità efficaci di insegnamento. In tal modo
«il discorso pedagogico […] si offre come discorso di accompagnamento alla
diffusione sociale di internet; non è internet a dettare alla riflessione pedagogica nuovi parametri di comprensione, ma è la riflessione pedagogica a riportare
internet all’interno di consolidati schemi di lettura educativa dei fenomeni:
più che dire ciò che Internet è, la pedagogia dice ciò che vuole (vorrebbe) che
Internet fosse» (Rivoltella, 54). Se la prospettiva è quindi quella di ridurre lo
scarto tra le pratiche e le relative rappresentazioni/interpretazioni (pur nella
consapevolezza che rappresentazioni/interpretazioni in qualche modo costituiscono le pratiche...), una maggiore attenzione va prestata agli usi effettivi
delle nuove tecnologie, consolidando, del resto, approcci presenti in altre aree
disciplinari: «la ricerca ha fatto dei passi avanti, soprattutto a livello delle
integrazioni fra teoria e pratica, sottoponendo modelli e ipotesi didattiche a
verifiche sistematiche secondo quell’orientamento basato su evidenze che
si va affermando anche nella ricerca educativa (evidence based education)»
(Calvani 2011, 11).
Ricerca pedagogica e nuove tecnologie: quali approcci?
L’interazione ricorsiva tra pratiche e riflessione teorica implica il superamento di approcci applicativi, limitati alla semplice individuazione di usi
didattici dello strumento digitale che di volta in volta si presenta come il più
aggiornato o il più diffuso. Le pratiche didattiche implicano una dimensione
progettuale e gestionale ben distante da forme di sudditanza nei confronti degli strumenti utilizzati.
Se alla pedagogia e alla didattica viene giustamente richiesto uno “sguardo interpretativo” nei confronti delle tecnologie digitali (Rivoltella 2003, 54)
superando sia una dimensione applicativa quanto visioni mitologiche, si tratta
di cogliere almeno alcuni aspetti di tale sguardo. Schematicamente potrebbero
essere indicate:
• La dimensione olistica: come osserva Morin c’è una «l’intelligenza
parcellare, compartimentata, meccanicista, disgiuntiva, riduzionista,
[che] spezza il complesso del mondo in frammenti disgiunti, fraziona
i problemi, separa ciò che è legato, unidimensionalizza il multidimensionale. È un’intelligenza miope che il più delle volte finisce per essere
204
The future of the pedagogical research and its evaluation
cieca» (Morin 2001, 43). La ricerca pedagogica e didattica in relazione
alle tecnologie digitali nel riconoscere la complessità del suo ambito
implica non solo un raccordo con altri approcci disciplinari, ma la presa
d’atto della opportunità di un agire ricorsivo.
• La dimensione dinamica: far riferimento al post costruttivismo implica
il riconoscimento che la conoscenza più che prodotto è un processo.
È stato osservato che «se la conoscenza è costruzione di mondi, essa
non è la produzione di un artefatto, anche concettuale, di una legge, di
una conoscenza chiusa e definita, ma è un processo aperto, un processo
di costruzione che sia essenzialmente la realizzazione di ponti i quali
mettano in rete poli apparentemente opposti trasformandoli in realtà
comunicanti, interagenti e connesse» (Rossi 2009, 61).
• Attenzione alla descrizione/narrazione degli usi e delle pratiche negli
specifici contesti: in tal senso si sono rivelati campi fecondi di indagine
le diversità legate allo scarto generazionale (Prensky 2001, Rivoltella
2006, Fini e Cicognini 2009, 22-23), i contesti sociali in cui si creano le
pratiche (Wenger 1998), il rapporto tra formale, non formale ed informale (Cross 2007). Significativo è l’approccio proposto da Ito e dai suoi
collaboratori in una delle più recenti ricerche sull’uso, da parte delle
nuove generazioni, delle tecnologie digitali. La metodologia adottata
da Ito è quella etnografica e «using an ethnografic approach means that
we work to understand how media and technology are meaningful to
people in the contex of their everyday lives» (Ito et al. 2010, 4), e per
quanto sia possibile un collegamento con la dimensione quantitativa,
prevale un approccio qualitativo e narrativo.
Narrazione e digital storytelling come risorse per la ricerca e per la didattica
La narrazione da sempre costituisce una modalità con cui il pensiero umano si è espresso. La nota distinzione formulata da Bruner tra pensiero paradigmatico o logico-scientifico da un lato e pensiero narrativo dall’altro, sottolinea
come centrale la funzione del racconto di rendere comprensibile l’esperienza
(Bruner 1986). Il valore della narrazione e della narrazione in termini cognitivi e didattici è stato ampiamente studiato (si ricorda, a solo titolo di esempio,
Demetrio 1996). Meno approfondito ed in corso di evoluzione è il rapporto tra
narrazione ed utilizzo di strumenti digitali.
Ohler, autore di uno dei più noti manuali sull’utilizzo didattico del digital
storytelling, afferma che «technology is an amplifier» (Oholer 2008, 5): pur
comprendendo l’intento di mostrare in termini amichevoli l’uso di strumenti
digitali il rischio è di non cogliere alcune peculiarità del digital storytelling.
205
The future of the pedagogical research and its evaluation
Una prima considerazione consiste nel segnalare come esista tra cultura
digitale e narrazione un conflitto potenziale: il mondo digitale corre il rischio
di essere appiattito sulla dimensione del presente (Longo 1998), l’accumulo di una smisurata mole di dati rende più arduo l’equilibrio tra l’oblio e la
memoria. Se raccontare implica una selezione, una attribuzione di significato
discernendo tra ciò che è ritenuto più importante o meno, tra memoria digitale
e racconto si instaura una forma di antagonismo. Si tratta però di una forma
di antagonismo con interessanti conseguenze dal punto di vista cognitivo. In
un recente studio sul tema del narrare è stato rilevato il contrasto tra le caratteristiche ormai assunte dall’esperienza quotidiana e la funzione in qualche
modo ordinatrice del racconto. Anche a seguito di una tecnologia sempre più
pervasiva, «l’intera vita quotidiana […] tende a configurarsi come una successione ininterrotta di urti, collisioni, eventi la cui sequenza è reversibile e
poco necessaria come i colpi dei dadi sul tavolo da gioco. La vita diventa un
prestissimo, dove poco o nulla ha tempo e modo di sedimentare. Il vissuto si
fa frammentato: differenti momenti giacciono gli uni a fianco degli altri senza
che sia possibile (o quanto meno senza che sia facile) collegarli fra loro» (Jedlowski, 22). La funzione esercitata dal raccontare può allora essere quello di
costruire sintesi: “la narrativa corregge il disordine di ciò che sperimentiamo,
attribuendogli forma” (Jedlowski, 121). Tanto più le tecnologie digitali accelerano i ritmi della vita ed amplificano a dismisura i dati memorizzati, tanto
più rendono urgenti pratiche narrative.
Certamente, ed è questa una seconda osservazione, le tecnologie digitali
promuovono forme particolari di narrazione, lontane dalle grandi narrazioni
dell’età moderna. La dimensione multimediale, legata alla presenza di immagini, audio e video, comporta livelli di più immediato coinvolgimento emotivo rispetto al testo scritto. Le storie raccontate tramite strumenti digitali sono
spesso microstorie: nella ricomposizione dei frammenti che compongono
l’esperienza offrono sì visioni unitarie, ma limitate, parziali, in un delicato
equilibrio tra olismo, espressione di un punto di vista contestualizzato, possibilità di riprendere e reiterare quanto narrato. Un esempio può essere fornito dalle storie presenti nel sito Untold Stories: Learning with Digital Stories
(http://www.untoldstories.eu/) promosso dal European Commission Lifelong
Learning Programme, che, in una prospettiva interculturale, vuole dare voce
agli immigrati presenti in alcuni paesi europei: brevi video di qualche minuto, spesso realizzati montando immagini statiche, e un commento audio. È
una delle modalità più semplici tra quelle promosse dalle tecnologie digitali,
che in relazione alla narrazione offrono ulteriori possibilità come quelle della
narrazione transmediale – «una storia raccontata su diversi media» (Jenkins
2007, 84) e della narrazione cross-mediale intesa come «creare narrazioni e
contenuti specifici per ciascun mezzo di comunicazione coinvolto all’interno
206
The future of the pedagogical research and its evaluation
di un progetto editoriale che utilizzi più media simultaneamente» (Giovagnoli
2009, 2).
Una terza ed ultima considerazione per evidenziare la peculiarità delle narrazioni digitali è legata alle comunità narrative. L’aspetto dialogico presente
nel racconto è un elemento noto: esiste comunque un interlocutore, sia pure
immaginato, che condiziona la narrazione al punto che quest’ultima implica comunque una dimensione sociale, una condivisione del ricordo (Bruner
1990). Anche uno scritto di natura autobiografica non sfugge ad una simile
prospettiva: «il fatto è che la mia esperienza non è soltanto ciò che io ho vissuto: è quello che ho vissuto con altri […] ogni racconto autobiografico serio
si svolge al di là della vita del soggetto che narra» (Jedlowski, 86) al punto che
l’assenza di una comunità narrativa può rendere, in alcuni casi, arduo il narrare. Il fatto che le tecnologie digitali e internet permettano la pubblicazione
on line e la possibilità di far interagire – come, ad esempio, nel blog – lettori
ed altri narratori offre la possibilità di rendere visibili e paradossalmente reali,
trattandosi di comunità virtuali, interlocutori solo immaginati.
Tre esercizi narrativi realizzati con tecnologie digitali
L’utilizzo di strategie narrative, e di strategie narrative basate su tecnologie
digitali, può trovare ulteriori spazi nelle pratiche di insegnamento.
Trasformare testi, argomentazioni o compiti astratti in una storia è una possibilità aperta per chi insegna: «la comprensione aumenta se un testo astratto
viene semplificato in una vicenda specifica. Tradurre una sequenza di concetti
e relazioni astratte in una storia rappresenta un mezzo di forte facilitazione e
immedesimazione» (Calvani 2011, 71). Limitandosi però in modo esclusivo
a tale impostazione, si corre il rischio di far rimanere la narrazione ai margini dell’insegnamento, come modalità in qualche modo sussidiaria rispetto al
pensiero logico-scientifico. Ricerche come quelle di Schön sulla formazione dei professionisti (Schön 1987), o della Nussbaum per andare nel campo
dell’educazione interculturale (Nussbaum 1997) mostrano come lo studio di
caso e la narrazione da esso implicata comportino un intrecciarsi di racconto,
riflessione e argomentazione facendo interagire le due modalità di pensiero
distinte da Bruner.
Un settore in cui le strategie narrative potrebbero trovare ulteriore spazio è
la formazione degli insegnanti. In una logica di analisi delle pratiche di insegnamento «la formazione professionale degli insegnanti non può ridursi alla
giustapposizione, o all’alternanza di corsi teorici in istituzione e di tirocini
pratici sul campo. […] l’osservazione in classe, le prove didattiche vissute
sul campo hanno valore formativo soltanto se sono sottoposte all’analisi, alla
207
The future of the pedagogical research and its evaluation
riflessività, e, in seguito, riprese, modificate, in seno a una struttura che permetta un confronto, degli apporti teorici, una dialettica teoria-pratica, la costruzione progressiva di saper analizzare» (Altet 2003, 132). Se un semplice
affiancamento di teoria e pratica non è sufficiente, la narrazione può essere
una modalità con cui promuovere riflessività e capacità analitiche.
Si segnalano in tal senso tre piccoli esperimenti/esercizi, legati alla narrazione e realizzati con strumenti digitali, proposti agli studenti che hanno
seguito i corsi di Didattica generale e Tecnologie dell’istruzione presso l’Università del Molise nell’anno accademico 2010-2011.
Primo esercizio
Un primo esperimento/esercizio è consistito nella richiesta agli studenti di
individuare nella loro esperienza una figura di insegnante che li abbia positivamente colpiti. In tal senso è stato aperto, dopo averne concordato il nome a
lezione, un apposito blog, Dal banco alla cattedra (http://dalbancoallacattedra.blogspot.com/). Il primo post è stato formulato nel modo seguente:
Si inizia!
Come concordato a lezione, questo blog viene aperto per dare spazio alle
vostre storie e ai vostri interventi! La prima domanda potrebbe essere formulata così: nella vostra vita avete ormai avuto modo di conoscere tanti insegnanti.
Vi va di raccontare di uno di loro? Di quello che ricordate nella maniera più
positiva? Come insegnava? Perché ancora oggi ne conservate un buon ricordo? (http://dalbancoallacattedra.blogspot.com/2010/10/si-inizia.html)
L’idea progettuale che ha guidato l’apertura del blog è stata quella di creare
un legame tra le esperienze di apprendimento avvenute nei contesti formali e
la riflessione, anche in termini progettuali, sulla professionalità docente. Al
confronto in aula sui commenti al primo post hanno fato seguito due altre
domande: la prima sulle competenze dell’insegnante (http://dalbancoallacattedra.blogspot.com/2010/11/una-seconda-domanda.html) e la seconda finalizzata ad individuare un proprio personale stile di insegnamento (http://dalbancoallacattedra.blogspot.com/2010/11/ma-che-insegnanti-vorreste-essere.
html). L’intento è stato quello di articolare un processo riflessivo che mostrasse le potenzialità della narrazione nella sua «funzione di transizione e di
collegamento fra la descrizione […] e la prescrizione» (Ricoeur 1990/1993,
96) valorizzando la dimensione dell’elaborazione di un personale progetto di
crescita professionale.
Secondo esercizio
Un secondo esperimento/esercizio è stato di tipo valutativo. Riprendendo
la proposta di integrare strumenti quantitativi e qualitativi (Antonietti, Rota
208
The future of the pedagogical research and its evaluation
2004) utilizzando però uno strumento digitale, con una serie di post nel blog
del corso di Tecnologie dell’istruzione (http://tecnodidatticaunimol.blogspot.
com/2011/01/valutazione-premessa.html) è stato chiesto di valutare il percorso realizzato. Sono stati inseriti nel blog cinque post: ciascun post descrive uno
scenario valutativo. Gli studenti sono stati chiamati anonimamente in primo
luogo, secondo un criterio quantitativo, a scegliere uno scenario. All’interno
di esso, in secondo luogo, grazie ad una breve serie di domande, e quindi con
la logica dell’intervista, è stato dato loro modo di esprimere in modo libero
le loro valutazioni e di descrivere quanto hanno appreso. In una precedente
sperimentazione (Bruni 2009, 183-192) era già emersa in modo significativo
la componente narrativa delle risposte: gli studenti hanno raccontato il loro
apprendimento partendo dalle condizioni iniziali per riflettere su quanto successivamente acquisito. L’esperimento non è ancora completamente concluso,
ma, a titolo di esempio, si riportano alcuni passi tratti dai 35 commenti fino
ad ora inseriti, per mostrare come la valutazione si sia attuata tramite forme di
narrazione autobiografica fortemente connesse alla dimensione digitale:
A inizio corso ero davvero scettica sull’utilizzo di questo strumento [il
blog] a livello didattico. Ad oggi le mie opinioni a proposito sono cambiate
[…]. Il blog permette di raccontare e raccontarci. Il raccontare ha lo scopo
di dare senso alla vita […] uno dei motivi di apertura di un blog è proprio
questo!! (intervento anonimo, 19 febbraio 2011, http://tecnodidatticaunimol.
blogspot.com/2011/01/valutare-il-laboratorio-secondo.html).
Non avevo mai provato ad essere una creatrice nel web e anzi mi ritenevo
abbastanza al di fuori dal mondo virtuale, però mi sono ricreduta soprattutto
grazie a questo corso che ha aperto i miei orizzonti soprattutto mentali. Inizialmente ero abbastanza spaventata perché non mi ritenevo all’altezza, poi però
non ho abbandonato il progetto prima di iniziarlo e piano piano sono riuscita
nell’intento facendo domande su quello che non sapevo e anche sbagliando […].
Questo corso mi ha ridato [la] fiducia che avevo perso nel web e mi ha permesso
di trovare il coraggio di buttarmi in questa nuova esperienza. (intervento anonimo, 19 gennaio 2011, http://tecnodidatticaunimol.blogspot.com/2011/01/
valutare-il-laboratorio-primo-scenario.html)
Abbiamo iniziato questo percorso inserendo un commento anonimo. Questa strategia mi ha dato una “spinta in più” a partecipare perché, con il mio carattere timido, non amo esprimere, commentare, raccontare […] di fronte a chi
ha gli occhi puntati su di me. È questo uno dei motivi per cui mi è piaciuta molto l’idea di aprire e portare avanti un blog; cosa che non avevo mai fatto prima.
Un aspetto centrale che vorrei sottolineare è che, attraverso il blog, ognuno ha
potuto scegliere di mostrarsi per quello che è, o per quello che vorrebbe esse209
The future of the pedagogical research and its evaluation
re o magari per quello che non è affatto. […] Molto bella e, aggiungerei ben
riuscita, è stata anche l’idea della Digital Storytelling perché ho rivissuto, in
qualche modo, i momenti più significativi della mia esperienza universitaria,
ma anche perché ho osservato gli stessi luoghi in cui ho vissuto io da prospettive diverse, a seconda di come gli altri hanno trascorso e “sentito” questi anni.
Finalmente […] abbiamo potuto sperimentare qualcosa di pratico, ma soprattutto utile alla nostra futura professione di insegnanti. Ritengo, infatti, che dal
punto di vista didattico sia una modalità utile tra insegnanti e alunni, tra alunni
e alunni, tra insegnanti e insegnanti; un modo per mantenere le relazioni anche al di fuori delle aule scolastiche. Non capisco perché molti ritengono che
sia un modo di comunicare privo di emozioni e di tutto quello che, invece,
offre una relazione faccia a faccia. A mio avviso non si tratta di sostituire la
comunicazione faccia a faccia con quella di un blog, un social network o altro,
ma semplicemente di sperimentare altre forme di comunicazione (intervento
anonimo, 1 febbraio 2011, http://tecnodidatticaunimol.blogspot.com/2011/01/
valutare-il-laboratorio-primo-scenario.html).
Terzo esercizio
Un terzo ed ultimo esperimento/esercizio è consistito nel richiedere agli
studenti di raccontare la loro esperienza universitaria utilizzando delle immagini. Con un apposito post nel blog del corso (http://tecnodidatticaunimol.
blogspot.com/2010/12/storie-digitali.html) è stato chiesto di aprire un account
su Flickr, caricare almeno una foto ritenuta significativa per ciascun anno di
corso e commentarla brevemente. A rigore non si tratta di una esercitazione
che rientra nelle forme più diffuse di digital storytelling: non si tratta di video, il commento è solo scritto e non sonoro. Tuttavia se il digital storytelling
consiste in «una forma narrativa, personale, dalle forti connotazioni emotive e
soprattutto [con] il preciso intento di condividerlo con altri attraverso la rete»
Petrucco, De Rossi 2009, 55), nelle produzioni realizzate gli elementi appena
indicati sono presenti. Proprio per rendere maggiormente condivisibili le storie è stato creato un gruppo all’interno di Flickr, Storie digitali (http://www.
flickr.com/groups/storiedigitali/) a cui gli studenti, dopo aver realizzato la loro
storia, sono stati invitati ad iscriversi. Le iscrizioni al gruppo sono ancora in
corso ma è già disponibile una significativa mole di produzioni.
Come possibili criteri per una, al momento parziale, analisi delle storie presenti nel gruppo, possono essere presi in considerazione i seguenti elementi:
• La strutturazione della storia: rispetto a chi ha rigorosamente rispettato l’indicazione delle quattro immagini (ad esempio http://www.flickr.
com/photos/57769312@N02/), sono presenti casi di immagini ridondanti o strutturati per set con più foto per ciascun anno (ad esempio
http://www.flickr.com/photos/56650791@N04/).
210
The future of the pedagogical research and its evaluation
• Strategie narrative differenti, centrate ad un estremo esclusivamente sui
luoghi (ad esempio http://www.flickr.com/photos/56650791@N04/)
e all’altro estremo, esclusivamente sulle relazioni (ad esempio http://
www.flickr.com/photos/flet88/sets/72157625527918530/).
• Valutazione del percorso effettuato, individuando tanto le difficoltà incontrate (ad esempio http://www.flickr.com/photos/
adriana88/5269043490/) quanto le esperienze più significative (ad
esempio http://www.flickr.com/photos/antonella2011/5377736239/).
In tal senso il racconto digitale può rappresentare una premessa verso
modalità formali come l’e-portfolio (Rossi, Giannandrea, 2006).
• Il rapporto con i docenti, legato spesso al lavoro per la tesi (ad
esempio
http://www.flickr.com/photos/flet88/5231557657/in/set72157625527918530/).
• La dimensione progettuale del racconto spesso legata all’ultima
immagine utilizzata (ad esempio http://www.flickr.com/photos/
dodoruga/5245764049/).
Conclusioni
Un approccio etnografico che presti attenzione agli specifici contesti può
evitare, nell’ambito della ricerca pedagogico-didattica, il rischio di rimanere
impigliati in mitologie della rete che impediscono una feconda interazione tra
le pratiche relative all’uso di tecnologie digitali e le elaborazioni teoriche. In
particolar modo la narrazione, anche tramite strumenti digitali, offre modalità
di riflessione e di ricomposizione delle esperienze. Uno specifico scenario in
cui potrebbero essere introdotti esperimenti/esercizi narrativi è quello della
formazione degli insegnanti, evitando le dicotomie tra corsi teorici e tirocini.
Bibliografia
Altet, M. (2003), La ricerca sulle pratiche di insegnamento in Francia, Brescia, la Scuola.
Antonietti, A., Rota, S. (2004), Raccontare l’apprendimento. Il diario narrativo: come costruire e monitorare percorsi formativi, Milano, Cortina.
Bruner, J. (1986), Actual Minds, Possible Worlds, Cambridge-London, Harvard University Press.
Bruner, J. (1990), Acts of Meaning, Cambridge-London, Harvard University
Press.
Calvani, A. (2011), Principi dell’istruzione e strategia per insegnare. Criteri
per una didattica efficace, Roma, Carocci.
211
The future of the pedagogical research and its evaluation
Cross, J. (2007), Informal learning. Rediscovering the natural pathways that
inspire innovation and performance, San Francisco, Pfeiffer.
Demetrio, D. (1996), Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Milano,
Cortina.
Fini, A., Cicognini, M.E. (a cura) (2009), Web 2.0 e social networking. Nuovi
paradigmi per la formazione, Trento, Erickson.
Giovagnoli, M. (2009), Cross-media e le nuove narrazioni, Milano, Apogeo.
Ito M. et al. (2010), Hanging out, messing around, and geeking out. Kids Living and Learning with New Media, Cambridge (Massachussets) London
(England), MIT Press.
Jedlowsky, P., (2009), Il Racconto come dimora. Heimat e le memorie d’Europa, Torino, Bollati Boringhieri.
Jenkins, H. (2007), Cultura convergente, Milano, Apogeo.
Longo, G. O. (1998), Il nuovo golem. Come il computer cambia la nostra
cultura, Roma-Bari, Laterza.
Morin, E. (2001), I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Milano,
Cortina.
Nussbaum, M.C. (1997), Cultivating humanity. A classical defense of reform
in liberal education, Cambridge (Massachussets) London (England), Harvard University Press.
Ohler, J. (2008), Digital storytelling in the classroom, Thousand Oaks, Corwin.
Petrucco, C., De Rossi, M. (2009), Narrare con il digital storytelling a scuola
e nelle organizzazioni, Roma, Carocci.
Prensky, M. (2001), Digital natives, Digital Immigrants, in On the Horizon,
IX, n. 5, pp. , in: http://www.marcprensky.com/writing/default.asp [ultimo
accesso: febbraio 2011].
Ricoeur, P. (1993), Sé come un altro, Milano, Jaca Book.
Rivoltella, P.C. (2003), Costruttivismo e pragmatica della comunicazione on
line. Socialità e didattica in Internet, Trento, Erickson.
Rivoltella, P.C. (2006), Screen Generation. Gli adolescenti e le prospettive
dell’educazione nell’età dei media digitali, Milano, Vita e Pensiero.
Rossi, P.G., Giannandrea, L. (2006), Che cos’è l’e-portfolio, Roma, Carocci.
Rossi, P.G. (2009), Tecnologia e costruzione di mondi. Post-costruttivismo,
linguaggi e ambienti di apprendimento, Roma, Armando.
Schön, D.A. (1987), Educating the reflective practitioner. Toward a new design for teaching and learning in the professions, San Francisco, Jossey
Bass.
Wenger, E. (1998), Communities of practice. Learning, Meaning, and Identity, Cambridge Cambridge University Press.
212