Nuove tecnologie, metodo etnografico e strategie narrative
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Nuove tecnologie, metodo etnografico e strategie narrative
Nuove tecnologie, metodo etnografico e strategie narrative FILIPPO BRUNI* Keywords: digital technologies, ethnographic approach, storytelling, digital storytelling Abstract: An ethnographic approach in relation to the uses of digital technology allows educational research to overcome the gap between practice and theoretical reflection. In particular, digital storytelling, as compared to traditional forms, offers new ways of thinking and sharing experiences. Narrative exercises could be introduced in the specific scenario of teacher education, avoiding the dichotomy between theoretical courses and practices. Finally, three narrative exercises used in teacher training are briefly described. Le nuove tecnologie come problema per la ricerca pedagogica? La ricerca sulle nuove tecnologie nei contesti di insegnamento/apprendimento ha, talvolta, incontrato forme di resistenza legate ad una serie di timori: l’introduzione di logiche estranee a forme tradizionali di ricerca, contaminazioni tra aree disciplinari diverse, rischio di logiche omologanti distanti da finalità educative... Tali timori, se da un lato possono offrire spunti critici di indubbia importanza, hanno, dall’altro lato, in parte contribuito alla creazione di mitologie della rete e l’individuarle può permettere di procedere con una adeguata consapevolezza in una logica interdisciplinare che meglio può rispondere alla complessità dei problemi. Nell’analizzare le mitologie elaborate, proprio in relazione alla dimensione pedagogica, emergono concezioni secondo cui «Internet costituirebbe un’esperienza di indebolimento della realtà, una droga elettronica in grado di generare fantasmi di onnipotenza e/o impotenza; ci troveremmo di fronte a qualcosa in grado di generare un uomo elettronico che si nutre di immagini virtuali, che vive una progressiva rarefazione dei rapporti umani: Internet genererebbe solitudine sociale, produrrebbe * Università del Molise - [email protected] 203 The future of the pedagogical research and its evaluation un depotenziamento della capacità del linguaggio, metterebbe a repentaglio la stessa identità esistenziale delle giovani generazioni» (Rivoltella 2003, 48). Uno dei rischi che la ricerca pedagogica corre è costituito dal non riuscire a sfuggire a costruzioni mitologiche, rimanendo incagliata in una contrapposizione tra utopia e distopia, e rinunciando a quel compito interpretativo che può permettere l’individuazione di modalità efficaci di insegnamento. In tal modo «il discorso pedagogico […] si offre come discorso di accompagnamento alla diffusione sociale di internet; non è internet a dettare alla riflessione pedagogica nuovi parametri di comprensione, ma è la riflessione pedagogica a riportare internet all’interno di consolidati schemi di lettura educativa dei fenomeni: più che dire ciò che Internet è, la pedagogia dice ciò che vuole (vorrebbe) che Internet fosse» (Rivoltella, 54). Se la prospettiva è quindi quella di ridurre lo scarto tra le pratiche e le relative rappresentazioni/interpretazioni (pur nella consapevolezza che rappresentazioni/interpretazioni in qualche modo costituiscono le pratiche...), una maggiore attenzione va prestata agli usi effettivi delle nuove tecnologie, consolidando, del resto, approcci presenti in altre aree disciplinari: «la ricerca ha fatto dei passi avanti, soprattutto a livello delle integrazioni fra teoria e pratica, sottoponendo modelli e ipotesi didattiche a verifiche sistematiche secondo quell’orientamento basato su evidenze che si va affermando anche nella ricerca educativa (evidence based education)» (Calvani 2011, 11). Ricerca pedagogica e nuove tecnologie: quali approcci? L’interazione ricorsiva tra pratiche e riflessione teorica implica il superamento di approcci applicativi, limitati alla semplice individuazione di usi didattici dello strumento digitale che di volta in volta si presenta come il più aggiornato o il più diffuso. Le pratiche didattiche implicano una dimensione progettuale e gestionale ben distante da forme di sudditanza nei confronti degli strumenti utilizzati. Se alla pedagogia e alla didattica viene giustamente richiesto uno “sguardo interpretativo” nei confronti delle tecnologie digitali (Rivoltella 2003, 54) superando sia una dimensione applicativa quanto visioni mitologiche, si tratta di cogliere almeno alcuni aspetti di tale sguardo. Schematicamente potrebbero essere indicate: • La dimensione olistica: come osserva Morin c’è una «l’intelligenza parcellare, compartimentata, meccanicista, disgiuntiva, riduzionista, [che] spezza il complesso del mondo in frammenti disgiunti, fraziona i problemi, separa ciò che è legato, unidimensionalizza il multidimensionale. È un’intelligenza miope che il più delle volte finisce per essere 204 The future of the pedagogical research and its evaluation cieca» (Morin 2001, 43). La ricerca pedagogica e didattica in relazione alle tecnologie digitali nel riconoscere la complessità del suo ambito implica non solo un raccordo con altri approcci disciplinari, ma la presa d’atto della opportunità di un agire ricorsivo. • La dimensione dinamica: far riferimento al post costruttivismo implica il riconoscimento che la conoscenza più che prodotto è un processo. È stato osservato che «se la conoscenza è costruzione di mondi, essa non è la produzione di un artefatto, anche concettuale, di una legge, di una conoscenza chiusa e definita, ma è un processo aperto, un processo di costruzione che sia essenzialmente la realizzazione di ponti i quali mettano in rete poli apparentemente opposti trasformandoli in realtà comunicanti, interagenti e connesse» (Rossi 2009, 61). • Attenzione alla descrizione/narrazione degli usi e delle pratiche negli specifici contesti: in tal senso si sono rivelati campi fecondi di indagine le diversità legate allo scarto generazionale (Prensky 2001, Rivoltella 2006, Fini e Cicognini 2009, 22-23), i contesti sociali in cui si creano le pratiche (Wenger 1998), il rapporto tra formale, non formale ed informale (Cross 2007). Significativo è l’approccio proposto da Ito e dai suoi collaboratori in una delle più recenti ricerche sull’uso, da parte delle nuove generazioni, delle tecnologie digitali. La metodologia adottata da Ito è quella etnografica e «using an ethnografic approach means that we work to understand how media and technology are meaningful to people in the contex of their everyday lives» (Ito et al. 2010, 4), e per quanto sia possibile un collegamento con la dimensione quantitativa, prevale un approccio qualitativo e narrativo. Narrazione e digital storytelling come risorse per la ricerca e per la didattica La narrazione da sempre costituisce una modalità con cui il pensiero umano si è espresso. La nota distinzione formulata da Bruner tra pensiero paradigmatico o logico-scientifico da un lato e pensiero narrativo dall’altro, sottolinea come centrale la funzione del racconto di rendere comprensibile l’esperienza (Bruner 1986). Il valore della narrazione e della narrazione in termini cognitivi e didattici è stato ampiamente studiato (si ricorda, a solo titolo di esempio, Demetrio 1996). Meno approfondito ed in corso di evoluzione è il rapporto tra narrazione ed utilizzo di strumenti digitali. Ohler, autore di uno dei più noti manuali sull’utilizzo didattico del digital storytelling, afferma che «technology is an amplifier» (Oholer 2008, 5): pur comprendendo l’intento di mostrare in termini amichevoli l’uso di strumenti digitali il rischio è di non cogliere alcune peculiarità del digital storytelling. 205 The future of the pedagogical research and its evaluation Una prima considerazione consiste nel segnalare come esista tra cultura digitale e narrazione un conflitto potenziale: il mondo digitale corre il rischio di essere appiattito sulla dimensione del presente (Longo 1998), l’accumulo di una smisurata mole di dati rende più arduo l’equilibrio tra l’oblio e la memoria. Se raccontare implica una selezione, una attribuzione di significato discernendo tra ciò che è ritenuto più importante o meno, tra memoria digitale e racconto si instaura una forma di antagonismo. Si tratta però di una forma di antagonismo con interessanti conseguenze dal punto di vista cognitivo. In un recente studio sul tema del narrare è stato rilevato il contrasto tra le caratteristiche ormai assunte dall’esperienza quotidiana e la funzione in qualche modo ordinatrice del racconto. Anche a seguito di una tecnologia sempre più pervasiva, «l’intera vita quotidiana […] tende a configurarsi come una successione ininterrotta di urti, collisioni, eventi la cui sequenza è reversibile e poco necessaria come i colpi dei dadi sul tavolo da gioco. La vita diventa un prestissimo, dove poco o nulla ha tempo e modo di sedimentare. Il vissuto si fa frammentato: differenti momenti giacciono gli uni a fianco degli altri senza che sia possibile (o quanto meno senza che sia facile) collegarli fra loro» (Jedlowski, 22). La funzione esercitata dal raccontare può allora essere quello di costruire sintesi: “la narrativa corregge il disordine di ciò che sperimentiamo, attribuendogli forma” (Jedlowski, 121). Tanto più le tecnologie digitali accelerano i ritmi della vita ed amplificano a dismisura i dati memorizzati, tanto più rendono urgenti pratiche narrative. Certamente, ed è questa una seconda osservazione, le tecnologie digitali promuovono forme particolari di narrazione, lontane dalle grandi narrazioni dell’età moderna. La dimensione multimediale, legata alla presenza di immagini, audio e video, comporta livelli di più immediato coinvolgimento emotivo rispetto al testo scritto. Le storie raccontate tramite strumenti digitali sono spesso microstorie: nella ricomposizione dei frammenti che compongono l’esperienza offrono sì visioni unitarie, ma limitate, parziali, in un delicato equilibrio tra olismo, espressione di un punto di vista contestualizzato, possibilità di riprendere e reiterare quanto narrato. Un esempio può essere fornito dalle storie presenti nel sito Untold Stories: Learning with Digital Stories (http://www.untoldstories.eu/) promosso dal European Commission Lifelong Learning Programme, che, in una prospettiva interculturale, vuole dare voce agli immigrati presenti in alcuni paesi europei: brevi video di qualche minuto, spesso realizzati montando immagini statiche, e un commento audio. È una delle modalità più semplici tra quelle promosse dalle tecnologie digitali, che in relazione alla narrazione offrono ulteriori possibilità come quelle della narrazione transmediale – «una storia raccontata su diversi media» (Jenkins 2007, 84) e della narrazione cross-mediale intesa come «creare narrazioni e contenuti specifici per ciascun mezzo di comunicazione coinvolto all’interno 206 The future of the pedagogical research and its evaluation di un progetto editoriale che utilizzi più media simultaneamente» (Giovagnoli 2009, 2). Una terza ed ultima considerazione per evidenziare la peculiarità delle narrazioni digitali è legata alle comunità narrative. L’aspetto dialogico presente nel racconto è un elemento noto: esiste comunque un interlocutore, sia pure immaginato, che condiziona la narrazione al punto che quest’ultima implica comunque una dimensione sociale, una condivisione del ricordo (Bruner 1990). Anche uno scritto di natura autobiografica non sfugge ad una simile prospettiva: «il fatto è che la mia esperienza non è soltanto ciò che io ho vissuto: è quello che ho vissuto con altri […] ogni racconto autobiografico serio si svolge al di là della vita del soggetto che narra» (Jedlowski, 86) al punto che l’assenza di una comunità narrativa può rendere, in alcuni casi, arduo il narrare. Il fatto che le tecnologie digitali e internet permettano la pubblicazione on line e la possibilità di far interagire – come, ad esempio, nel blog – lettori ed altri narratori offre la possibilità di rendere visibili e paradossalmente reali, trattandosi di comunità virtuali, interlocutori solo immaginati. Tre esercizi narrativi realizzati con tecnologie digitali L’utilizzo di strategie narrative, e di strategie narrative basate su tecnologie digitali, può trovare ulteriori spazi nelle pratiche di insegnamento. Trasformare testi, argomentazioni o compiti astratti in una storia è una possibilità aperta per chi insegna: «la comprensione aumenta se un testo astratto viene semplificato in una vicenda specifica. Tradurre una sequenza di concetti e relazioni astratte in una storia rappresenta un mezzo di forte facilitazione e immedesimazione» (Calvani 2011, 71). Limitandosi però in modo esclusivo a tale impostazione, si corre il rischio di far rimanere la narrazione ai margini dell’insegnamento, come modalità in qualche modo sussidiaria rispetto al pensiero logico-scientifico. Ricerche come quelle di Schön sulla formazione dei professionisti (Schön 1987), o della Nussbaum per andare nel campo dell’educazione interculturale (Nussbaum 1997) mostrano come lo studio di caso e la narrazione da esso implicata comportino un intrecciarsi di racconto, riflessione e argomentazione facendo interagire le due modalità di pensiero distinte da Bruner. Un settore in cui le strategie narrative potrebbero trovare ulteriore spazio è la formazione degli insegnanti. In una logica di analisi delle pratiche di insegnamento «la formazione professionale degli insegnanti non può ridursi alla giustapposizione, o all’alternanza di corsi teorici in istituzione e di tirocini pratici sul campo. […] l’osservazione in classe, le prove didattiche vissute sul campo hanno valore formativo soltanto se sono sottoposte all’analisi, alla 207 The future of the pedagogical research and its evaluation riflessività, e, in seguito, riprese, modificate, in seno a una struttura che permetta un confronto, degli apporti teorici, una dialettica teoria-pratica, la costruzione progressiva di saper analizzare» (Altet 2003, 132). Se un semplice affiancamento di teoria e pratica non è sufficiente, la narrazione può essere una modalità con cui promuovere riflessività e capacità analitiche. Si segnalano in tal senso tre piccoli esperimenti/esercizi, legati alla narrazione e realizzati con strumenti digitali, proposti agli studenti che hanno seguito i corsi di Didattica generale e Tecnologie dell’istruzione presso l’Università del Molise nell’anno accademico 2010-2011. Primo esercizio Un primo esperimento/esercizio è consistito nella richiesta agli studenti di individuare nella loro esperienza una figura di insegnante che li abbia positivamente colpiti. In tal senso è stato aperto, dopo averne concordato il nome a lezione, un apposito blog, Dal banco alla cattedra (http://dalbancoallacattedra.blogspot.com/). Il primo post è stato formulato nel modo seguente: Si inizia! Come concordato a lezione, questo blog viene aperto per dare spazio alle vostre storie e ai vostri interventi! La prima domanda potrebbe essere formulata così: nella vostra vita avete ormai avuto modo di conoscere tanti insegnanti. Vi va di raccontare di uno di loro? Di quello che ricordate nella maniera più positiva? Come insegnava? Perché ancora oggi ne conservate un buon ricordo? (http://dalbancoallacattedra.blogspot.com/2010/10/si-inizia.html) L’idea progettuale che ha guidato l’apertura del blog è stata quella di creare un legame tra le esperienze di apprendimento avvenute nei contesti formali e la riflessione, anche in termini progettuali, sulla professionalità docente. Al confronto in aula sui commenti al primo post hanno fato seguito due altre domande: la prima sulle competenze dell’insegnante (http://dalbancoallacattedra.blogspot.com/2010/11/una-seconda-domanda.html) e la seconda finalizzata ad individuare un proprio personale stile di insegnamento (http://dalbancoallacattedra.blogspot.com/2010/11/ma-che-insegnanti-vorreste-essere. html). L’intento è stato quello di articolare un processo riflessivo che mostrasse le potenzialità della narrazione nella sua «funzione di transizione e di collegamento fra la descrizione […] e la prescrizione» (Ricoeur 1990/1993, 96) valorizzando la dimensione dell’elaborazione di un personale progetto di crescita professionale. Secondo esercizio Un secondo esperimento/esercizio è stato di tipo valutativo. Riprendendo la proposta di integrare strumenti quantitativi e qualitativi (Antonietti, Rota 208 The future of the pedagogical research and its evaluation 2004) utilizzando però uno strumento digitale, con una serie di post nel blog del corso di Tecnologie dell’istruzione (http://tecnodidatticaunimol.blogspot. com/2011/01/valutazione-premessa.html) è stato chiesto di valutare il percorso realizzato. Sono stati inseriti nel blog cinque post: ciascun post descrive uno scenario valutativo. Gli studenti sono stati chiamati anonimamente in primo luogo, secondo un criterio quantitativo, a scegliere uno scenario. All’interno di esso, in secondo luogo, grazie ad una breve serie di domande, e quindi con la logica dell’intervista, è stato dato loro modo di esprimere in modo libero le loro valutazioni e di descrivere quanto hanno appreso. In una precedente sperimentazione (Bruni 2009, 183-192) era già emersa in modo significativo la componente narrativa delle risposte: gli studenti hanno raccontato il loro apprendimento partendo dalle condizioni iniziali per riflettere su quanto successivamente acquisito. L’esperimento non è ancora completamente concluso, ma, a titolo di esempio, si riportano alcuni passi tratti dai 35 commenti fino ad ora inseriti, per mostrare come la valutazione si sia attuata tramite forme di narrazione autobiografica fortemente connesse alla dimensione digitale: A inizio corso ero davvero scettica sull’utilizzo di questo strumento [il blog] a livello didattico. Ad oggi le mie opinioni a proposito sono cambiate […]. Il blog permette di raccontare e raccontarci. Il raccontare ha lo scopo di dare senso alla vita […] uno dei motivi di apertura di un blog è proprio questo!! (intervento anonimo, 19 febbraio 2011, http://tecnodidatticaunimol. blogspot.com/2011/01/valutare-il-laboratorio-secondo.html). Non avevo mai provato ad essere una creatrice nel web e anzi mi ritenevo abbastanza al di fuori dal mondo virtuale, però mi sono ricreduta soprattutto grazie a questo corso che ha aperto i miei orizzonti soprattutto mentali. Inizialmente ero abbastanza spaventata perché non mi ritenevo all’altezza, poi però non ho abbandonato il progetto prima di iniziarlo e piano piano sono riuscita nell’intento facendo domande su quello che non sapevo e anche sbagliando […]. Questo corso mi ha ridato [la] fiducia che avevo perso nel web e mi ha permesso di trovare il coraggio di buttarmi in questa nuova esperienza. (intervento anonimo, 19 gennaio 2011, http://tecnodidatticaunimol.blogspot.com/2011/01/ valutare-il-laboratorio-primo-scenario.html) Abbiamo iniziato questo percorso inserendo un commento anonimo. Questa strategia mi ha dato una “spinta in più” a partecipare perché, con il mio carattere timido, non amo esprimere, commentare, raccontare […] di fronte a chi ha gli occhi puntati su di me. È questo uno dei motivi per cui mi è piaciuta molto l’idea di aprire e portare avanti un blog; cosa che non avevo mai fatto prima. Un aspetto centrale che vorrei sottolineare è che, attraverso il blog, ognuno ha potuto scegliere di mostrarsi per quello che è, o per quello che vorrebbe esse209 The future of the pedagogical research and its evaluation re o magari per quello che non è affatto. […] Molto bella e, aggiungerei ben riuscita, è stata anche l’idea della Digital Storytelling perché ho rivissuto, in qualche modo, i momenti più significativi della mia esperienza universitaria, ma anche perché ho osservato gli stessi luoghi in cui ho vissuto io da prospettive diverse, a seconda di come gli altri hanno trascorso e “sentito” questi anni. Finalmente […] abbiamo potuto sperimentare qualcosa di pratico, ma soprattutto utile alla nostra futura professione di insegnanti. Ritengo, infatti, che dal punto di vista didattico sia una modalità utile tra insegnanti e alunni, tra alunni e alunni, tra insegnanti e insegnanti; un modo per mantenere le relazioni anche al di fuori delle aule scolastiche. Non capisco perché molti ritengono che sia un modo di comunicare privo di emozioni e di tutto quello che, invece, offre una relazione faccia a faccia. A mio avviso non si tratta di sostituire la comunicazione faccia a faccia con quella di un blog, un social network o altro, ma semplicemente di sperimentare altre forme di comunicazione (intervento anonimo, 1 febbraio 2011, http://tecnodidatticaunimol.blogspot.com/2011/01/ valutare-il-laboratorio-primo-scenario.html). Terzo esercizio Un terzo ed ultimo esperimento/esercizio è consistito nel richiedere agli studenti di raccontare la loro esperienza universitaria utilizzando delle immagini. Con un apposito post nel blog del corso (http://tecnodidatticaunimol. blogspot.com/2010/12/storie-digitali.html) è stato chiesto di aprire un account su Flickr, caricare almeno una foto ritenuta significativa per ciascun anno di corso e commentarla brevemente. A rigore non si tratta di una esercitazione che rientra nelle forme più diffuse di digital storytelling: non si tratta di video, il commento è solo scritto e non sonoro. Tuttavia se il digital storytelling consiste in «una forma narrativa, personale, dalle forti connotazioni emotive e soprattutto [con] il preciso intento di condividerlo con altri attraverso la rete» Petrucco, De Rossi 2009, 55), nelle produzioni realizzate gli elementi appena indicati sono presenti. Proprio per rendere maggiormente condivisibili le storie è stato creato un gruppo all’interno di Flickr, Storie digitali (http://www. flickr.com/groups/storiedigitali/) a cui gli studenti, dopo aver realizzato la loro storia, sono stati invitati ad iscriversi. Le iscrizioni al gruppo sono ancora in corso ma è già disponibile una significativa mole di produzioni. Come possibili criteri per una, al momento parziale, analisi delle storie presenti nel gruppo, possono essere presi in considerazione i seguenti elementi: • La strutturazione della storia: rispetto a chi ha rigorosamente rispettato l’indicazione delle quattro immagini (ad esempio http://www.flickr. com/photos/57769312@N02/), sono presenti casi di immagini ridondanti o strutturati per set con più foto per ciascun anno (ad esempio http://www.flickr.com/photos/56650791@N04/). 210 The future of the pedagogical research and its evaluation • Strategie narrative differenti, centrate ad un estremo esclusivamente sui luoghi (ad esempio http://www.flickr.com/photos/56650791@N04/) e all’altro estremo, esclusivamente sulle relazioni (ad esempio http:// www.flickr.com/photos/flet88/sets/72157625527918530/). • Valutazione del percorso effettuato, individuando tanto le difficoltà incontrate (ad esempio http://www.flickr.com/photos/ adriana88/5269043490/) quanto le esperienze più significative (ad esempio http://www.flickr.com/photos/antonella2011/5377736239/). In tal senso il racconto digitale può rappresentare una premessa verso modalità formali come l’e-portfolio (Rossi, Giannandrea, 2006). • Il rapporto con i docenti, legato spesso al lavoro per la tesi (ad esempio http://www.flickr.com/photos/flet88/5231557657/in/set72157625527918530/). • La dimensione progettuale del racconto spesso legata all’ultima immagine utilizzata (ad esempio http://www.flickr.com/photos/ dodoruga/5245764049/). Conclusioni Un approccio etnografico che presti attenzione agli specifici contesti può evitare, nell’ambito della ricerca pedagogico-didattica, il rischio di rimanere impigliati in mitologie della rete che impediscono una feconda interazione tra le pratiche relative all’uso di tecnologie digitali e le elaborazioni teoriche. In particolar modo la narrazione, anche tramite strumenti digitali, offre modalità di riflessione e di ricomposizione delle esperienze. Uno specifico scenario in cui potrebbero essere introdotti esperimenti/esercizi narrativi è quello della formazione degli insegnanti, evitando le dicotomie tra corsi teorici e tirocini. Bibliografia Altet, M. (2003), La ricerca sulle pratiche di insegnamento in Francia, Brescia, la Scuola. Antonietti, A., Rota, S. (2004), Raccontare l’apprendimento. Il diario narrativo: come costruire e monitorare percorsi formativi, Milano, Cortina. Bruner, J. (1986), Actual Minds, Possible Worlds, Cambridge-London, Harvard University Press. Bruner, J. (1990), Acts of Meaning, Cambridge-London, Harvard University Press. Calvani, A. (2011), Principi dell’istruzione e strategia per insegnare. Criteri per una didattica efficace, Roma, Carocci. 211 The future of the pedagogical research and its evaluation Cross, J. (2007), Informal learning. Rediscovering the natural pathways that inspire innovation and performance, San Francisco, Pfeiffer. Demetrio, D. (1996), Raccontarsi. 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