24-25-26 intervista:18-19

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24-25-26 intervista:18-19
P R I M O P I A N O
I N T E R V I S T A
Sulla rotta
Palermo-Roma
Filippo La Mantia nasce nel 1960
a Palermo, città dove risiede per diversi
anni. Fin da piccolo segue con curiosità
il laboratorio di pasticceria della mamma
e impara da lei “l’arte del racconto” con cui
la madre svelava ai clienti gli ingredienti
e i piccoli segreti usati nell’elaborazione
dei suoi dolci: un’arte che sarà preziosa
nel suo futuro da cuoco. Per molti anni
collabora allo sviluppo dell’azienda
di famiglia attiva nelle forniture alberghiere
e ristorative ma nel 2002 arriva la svolta:
il desiderio di cambiare città lo spinge
a Roma, dove una serie di coincidenze
e occasioni lo conduce verso
il mestiere di cuoco. Si distingue
per la creatività con cui mescola ed elabora
gli ingredienti per dare origine alla sua
cucina piena di colori e profumi siciliani.
Il primo ristorante che apre, a Roma,
“Zagara”, è subito un successo. Nel corso
degli anni, si occupa dell’apertura di diversi
ristoranti in Indonesia e in Italia e cucina
per grandi eventi in tutto il mondo.
Nel 2009 apre finalmente il suo ristorante
presso lo storico Hotel Majestic
di Via Veneto, frequentato dal bel mondo
romano - politico, imprenditoriale, artistico ma anche da gente comune curiosa
di gustare la sua cucina siciliana rivisitata.
Sposato con Stefania Scarampi, è padre
di Carolina, una bambina di due anni.
Meglio cuoco
che chef
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P R I M O P I A N O
V
a bene che la via Veneto de
“La dolce vita” era stata ricostruita da Fellini nei teatri di
posa di Cinecittà, ma affacciarsi dalla
terrazza dell’Hotel Majestic fa sempre
un certo effetto. Ti viene in mente Mastroianni in abito e occhiali scuri, i paparazzi sempre in agguato… Ma è ancora lì l’epicentro della mondanità romana? Di certo quello che una volta si
chiamava jet set si dà spesso appuntamento da Filippo La Mantia, titolare e
chef dell’omonimo ristorante al primo
piano del Majestic. Star hollywoodiane e
italiche, politici più o meno sulla cresta
dell’onda fanno a gara per assaggiare la
sua caponatina, il suo pesto agli agrumi, i suoi cous cous. Quando si parla di
lui si fa regolarmente cenno agli otto
mesi di carcere preventivo - un’indecenza che perdura tuttora - scontati ingiustamente all’Ucciardone, venti e
passa anni fa, e del suo precedente mestiere di giovane fotografo di “nera” a
Palermo. Acqua passata, la sua filosofia
è quella di inventarsi la vita giorno per
giorno, disposto a cambiare ancora, un
domani, se ce ne fosse la necessità.
Oggi è uno degli chef più noti e si gode
il successo che gli arride, dopo aver fatto la gavetta a Roma, da autodidatta
della cucina. Lo incontriamo verso l’ora
di pranzo, è indaffaratissimo ma cordiale. Da buon meridionale parla a voce alta e guarda negli occhi l’interlocutore.
Un difetto? Non direbbe male di un collega neanche sotto tortura. Non abbocca neanche quando accenniamo a uno
strano e discutibile risotto alla milanese
by Davide Oldani, cucinato in tv. Oldani?
«Un amico». Per il resto non si dà certo
arie da fenomeno dei fornelli e i suoi
piatti sono replicabili (o almeno ci si
prova). Cosa rara, con i grandi chef.
I N T E R V I S T A
Si può mangiare bene senza eccedere e senza privazioni,
limitando i grassi e gustando i sapori mediterranei.
Soprattutto se siciliani. Parola di Filippo La Mantia,
titolare del ristorante dell’hotel Majestic a Roma
DI GIUSEPPE TANDOI
Cosa ne pensa del nostro mondo?
La farmacia è molto cambiata, prima ci
si andava soltanto per i medicinali, oggi
ci si trovano i cosmetici, le scarpe, insomma l’impostazione è molto più commerciale. Ma va bene anche così, c’è
stata un’evoluzione professionale che
bisogna rispettare.
Lei si definisce oste e cuoco. Chef è
troppo snob?
La definizione di chef non mi riguarda,
prima di tutto perché non ho mai fatto
studi, non ho frequentato accademie,
non ho maestri. Da un giorno all’altro mi
sono inventato il mio lavoro.
Con esiti più che soddisfacenti.
Evidentemente il mio lavoro piace alla
gente, il ristorante è sempre pieno e i
clienti apprezzano il mio ruolo di oste e
cuoco, che cucina, va in sala, ci ritorna,
racconta come è stato preparato il piat-
La Mantia tra Gabriele Muccino e Jovanotti
to. Una sorta di tutor del cliente, come
succedeva nelle osterie di una volta.
Lungi da lei quindi l’immagine dello chef
protagonista di tanti programmi televisivi.
Ho tanti amici che fanno questi tipo di
trasmissioni, ma non è il mio campo, non
mi si di addice.
Non le hanno mai chiesto di fare tv?
Tantissime volte ma il mio palcoscenico
è il ristorante, che tra l’altro mi impegna
molto.
Buongiorno La Mantia, la nostra è una rivista per titolari di farmacia...
Io in farmacia non ci vado mai.
In una intervista alla nostra rivista Carlo
Cracco ha detto che oggi andare a mangiar fuori in sé e per sé non ha senso, serve soltanto se si provano emozioni uniche. Condivide?
Condivido in pieno.
Cominciamo bene. Beh, vuol dire che non
ne ha bisogno.
Mia moglie invece ci va spesso. In compenso io ho parecchi amici farmacisti,
sia a Roma sia a Palermo.
Ma questo non va un po’ a discapito della
socialità? Si esce a cena anche per stare
in compagnia.
Senta, la gente ormai ha mangiato e bevuto di tutto. Tutti sono grandi intenditori,
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I N T E R V I S TA
tutti capiscono di cibo, tutti sono bravi a
criticare o a esaltare. A mio avviso, chi va
al ristorante non va più per fame ma perché è curioso di quello che fa un cuoco.
Deve essere un’esperienza unica.
Prezzo permettendo.
In realtà siamo tutti più o meno abbordabili. Poi ci sono quelli che investono molto, per esempio, nella cantina, e ne fanno pagare il prezzo al cliente.
Ho letto che lei ha fatto il liceo artistico. Si
può definire un autodidatta della cucina?
Assolutamente. Lo sono e voglio rimanerlo. Ho fatto la mia gavetta a Roma,
ho lavorato in due ristoranti e alla fine
ne ho aperto uno mio, questo in via Veneto. Per gestire un ristorante occorre
un bagaglio di esperienza adeguato. I ristoranti devono essere gestiti da cuochi
esperti, non da commercianti, altrimenti chiudono.
Senza aglio e cipolla si può cucinare, e
pure senza soffritti. Questo il suo credo.
Aglio e cipolla a me non piacciono e
quindi non li uso. Sono ingredienti che
fanno parte della tradizione italiana,
della cucina di tutte le Regioni, ma
preferisco altri ingredienti: basilico,
menta, finocchietto, origano, cannella, mandorle, pinoli… Non mi importa
se qualcuno poi parla di sacrilegio, riferendosi a una cucina senza aglio e
cipolla. Comandano i clienti: se il ristorante è pieno vuol dire che la cucina
funziona.
La giornata tipo di Filippo La Mantia.
Mi sveglio alle otto di mattina, alle nove e
mezza sono al ristorante, da dove esco
alle due del mattino.
Difficile coltivare hobby, allora.
La mia grande passione è la motocicletta, con la quale ho viaggiato parecchio.
Ho fatto per molti anni karate e praticato lo yoga.
Colpisce nella sua storia la netta divisione
tra una gioventù di fotografo in prima linea
e una maturità di cuoco affermato e amato
dai vip della politica e dello spettacolo.
Non c’è nella vita un ruolo definito una
volta per tutte per ognuno di noi, si cambia. Quanto al discorso dei vip, non mi riguarda proprio. Per me non c’è alcuna
differenza tra il cliente famoso e quello
non famoso, semmai tra cliente piacevole e cliente sgradevole. Se è sgradevole lo
mando a quel paese, chiunque egli sia.
Rapporti con gli ambienti vip?
Nessuno, io faccio cibo, il mio mestiere
è nutrire la gente. E basta.
E gli anni della gioventù a Palermo?
Anni di grande formazione, che sono
orgoglioso di avere vissuto. Sono stato
testimone di un periodo importante della mia città.
Ci torna spesso?
Sempre. Passo tutte le estati in Sicilia,
anche per cercare nuovi spunti per la
mia cucina. Me ne vado in giro tra con-
Cucina solidale
Incontriamo Filippo La Mantia in occasione della presentazione romana del volume
“Guarda che cosa mangi”, manuale sulla corretta alimentazione rivolto in particolare,
ma non solo, ai pazienti diabetici (vedi Punto Effe n. 14/2012). I proventi
della pubblicazione andranno a sostenere la ricerca sul diabete mellito. «I principi
a cui si ispira la mia cucina», spiega La Mantia, «in fondo sono simili a quelli
che stanno alla base dell’alimentazione consigliata a chi ha determinati problemi
di salute. Una cucina leggera non è sinonimo di cibo “da ospedale”, anzi può risultare
assai saporita. Senza per questo fare male». La Mantia non è nuovo a iniziative di
solidarietà e di raccolta fondi per associazioni no profit come Operation Smile, Airc
e Comunità di Sant’Egidio. Senza dimenticare il grande evento di fund raising “We are
the future”, organizzato al Circo Massimo nel 2005: «Da dieci anni a questa parte
sono impegnato in progetti di solidarietà che riguardino la salute, i bambini,
il disagio sociale. Per questo tipo di iniziative sono sempre a disposizione».
tadini, pescatori, anziane signore, parenti, e attingo dalla loro esperienza per
ideare nuovi piatti.
Obiettivi a breve scadenza.
Nessuno, vivo alla giornata. Il giorno che
questo mestiere dovesse stancarmi, cambierei.
Dice sul serio?
Certo, non ho impegni con nessuno.
Oggi sento dire che i giovani sono disoccupati, non sanno cosa fare. Ma bisogna inventarsi la vita, io me la sono
sempre inventata. Non si deve stare ad
aspettare che qualcuno ti chiami.
A proposito di giovani, ci parli del suo staff.
I ragazzi che lavorano in cucina con me
sono di altissimo livello, mi seguono da
otto anni in questa mia folle impresa,
senza orari e con il massimo impegno. E
senza farmi fare brutte figure. Ormai ci
capiamo senza parlare.
Le dispiace non comparire sulle maggiori guide dei ristoranti?
Non me ne frega nulla. Per me contano
solo i clienti.
È vero che al suo matrimonio cucineranno
Gianfranco Vissani e Davide Oldani?
Minchiate. Cucineranno i miei ragazzi,
sarebbe una mancanza di rispetto nei loro confronti. Vissani e Oldani sono invitati al matrimonio come altri cuochi.
Per la cronaca, Filippo La Mantia si è sposato il 30 settembre scorso con Stefania
Scarampi. Auguri da tutta la redazione.