1 Teoria: richiami su calcolo integrale e serie di fun

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1 Teoria: richiami su calcolo integrale e serie di fun
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Teoria: richiami su calcolo integrale e serie di funzioni
Teoremi importanti su integrazione di Lebesque
Teorema: Sia u una funzione misurabile. Se |u| < φ dove φ è una funzione integrabile,
allora anche u è integrabile.
Nota: questo significa che basta controllare che la funzione non vada ad infinito troppo
velocemente in punti singolari, e che vada a zero abbastanza in fretta all’infinito. La
misubilità è per quanto ci riguarda sempre soddisfatta (per un controesempio, cercare su
internet ”insieme di Vitali”).
Teorema di Lebesque: sia un una successione di funzioni integrabili convergente a un
funzione u definita quasi ovunque in R. Se esiste una funzione integrabile φ tale che
|un | < φ quasi ovunque, allora:
Z
Z
Z
lim
un = u e lim
|un − u| = 0
n→∞
n→∞
Nota: questo ci garantisce che ha senso definire integrali di funzioni infinitamente oscillanti, ad esempio la funzione caratteristica di un frattale (a patto che siano limitate in valore
assoluto da funzioni integrabili), e varranno tutte le proprietà standard. Per esempio, se g
è una funzione limitata e integrabile in un intervallo finito, anche gun . Possono essere poi
applicati teoremi come i seguenti due
Teorema di Fubini Sia F (x, y) una funzione integrabile definita su R2 . Valgono allora
le seguenti proprietà:
1. Per quasi ogni y, la funzione fy (x) = F (x, y) è integrabile in x.
R
2. La funzione g(y) = F (x, y)dx è integrabile in y.
R
R
3. Vale la formula F (x, y)dxdy = g(y)dy.
Teorema di Tonelli Se F (x, y) è misurabile in R2 e valgono le proprietà 1 e 2 del teorema
di Fubini, allora F è integrabile (e quindi vale anche la proprietà 3 del teorema di Fubini).
Definizione Chiamiamo un insieme a misura nulla, un insieme contenuto in una unione
di rettangoli (e relativa generalizzazione in D 6= 2) la cui area puó essere mandata a zero.
Teorema L’unione numerabile di insiemi di misura nulla è ancora di misura nulla.
Nota: Cerchiamo di capire il significato della condizione nel teorema di Lebesque che le
funzioni un (e non solo il limite u) devono essere limitate in valore assoluto da una funzione
integrabile φ. Ricordiamo alcune proprietà elementari di successioni e serie di funzioni.
Proprietà varie di serie e successioni
Definizione Si dice che una successione di funzioni un (x) converge puntualmente a una
funzione u(x) in un dominio A, se per qualsiasi x ∈ A, ed ǫ > 0 piccolo a piacere esiste
una funzione N (x, ǫ) tale che per n > N (x, ǫ): |un (x) − u(x)| < ǫ.
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Teorema Vale il criterio di Cauchy: se |un − um | → 0 per n, m → ∞ allora un è convergente.
Nota La definizione si estende
Pn in maniera naturale alle serie, sostituendo alla
P∞un (x) la
somma parziale un (x) = k=1 fk (x). Una serie è convergente a patto che | k=0 fk (x)|
tenda a zero per n → ∞.
P
Definizione
P Si dice che una serie di funzioni k fk (x) converge assolutamente, se converge
la serie k |fk (x)|.
Teorema
Una serie assolutamente
convergente è anche convergente in maniera puntuale.
P∞
P∞
Infatti | k=0 fk (x)| ≤ k=0 |fk (x)| → 0 per n → ∞.
Pn
k
Teorema Perché una serie a segni alterni, cioè nella forma un =
k=1 (−1) fk con
fk > 0, sia convergente, è sufficiente che fk sia monotona e infinitesima, cioè fk > fk+1 e
limn→∞ fn = 0.
Infatti, u2n+2 = u2n + fn+2 − fn+1 < u2n ; in altre parole le ridotte pari decrescono e in
maniera identica vediamo che le ridotte dispari crescono. Ma le ridotte dispari sono <
di quelle pari. Siccome un+2 − un+1 = fn+2 → 0 per n → ∞, le ridotte pari e dispari
convergono a un limite comune intermedio.
P
Teorema Criteri di convergenza per una serie n fn :
P
• Criterio del confronto: |fn /cn | < 1 dove n cn è assolutamente convergente.
• Criterio del rapporto: |fn+1 /fn | < 1.
• Criterio della radice: |fn |1/n < 1.
Nota Torniamo al problema dello scambio tra limite di successione e integrale e vediamo
che la convergenza puntuale non è sufficiente. Ecco un controesempio: sia un (x) definita
in [0, 1], con un (x) = n se 1 − 1/n < x < 1 e un (x) = 0 altrimenti.
Vediamo che un (x)
R1
tende puntualmente a u(x) = 0 ∀x ∈ [1, 1]. Ciò nononstante, 0 un (x)dx = 1. Per questo
si introduce il concetto di convergenza uniforme:
Definizione Si dice che una successione un (x) converge uniformemente in A ad una funzione u(x) se ∀x ∈ A e ∀ǫ > 0 esiste un N (ǫ) (indipendente quindi da x) per cui, se n > N (ǫ),
vale |un (x) − u(x)| < ǫ.
Nota Ecco un altro controesempio: un (x) = (nx)−1 ; un (x) converge a zero per x > 0, ma
non vi converge in maniera uniforme.
Teorema Se una successione un (x) converge uniformemente a u(x) in un insieme A e le
un (x) sono limitate, allora anche u(x) è limitata in A.
Per verificarlo, è sufficiente notare che |u(x) − un (x)| < ǫ ∀x una volta abbiamo fissato
n > N (ǫ). Chiaramente |u(x)| − |un (x)| < |u(x) − un (x)| e quindi |u(x)| < |un (x)| + |u(x) −
un (x)| < sup|un | + ǫ.
Teorema Criterio di Weierstrass: se |un (x)| < cn e cn converge, allora un (x) converge
uniformemente a una qualche funzione u(x).
Nota Vediamo quindi che i problemi con lo scambio di limite e integrale in presenza di
successioni di funzioni non uniformemente convergenti hanno a che fare con la non limitatezza delle funzioni.
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Teorema Se un (x) converge uniformemente
R
Ra u(x) in un intervallo chiuso A, e le un (x)
sono integrabili, allora limn→∞ A un (x)dx = A u(x)dx.
Infatti se |u(x) − un (x)| ≤ ǫ/2 per n sufficientemente grande, è possibile scegliere
R funzioni
a scalini u− (x)
R < u(x) < u+
R (x) con |u± (x) − u(x)| ≤
R ǫ/2 in modo
R tale che A |un (x) −
u± (x)|dx < ǫ A dx. Quindi A u(x)dx esiste finito e | A u(x)dx − A un (x)dx| < ǫ.
Nota È necessario che A sia chiuso. Ecco dei controesempi: prendiamo A = [0, ∞[,
un (x) = 1/x nell’intervallo [n, 2n] e zero atrove. La Rsuccessione convergeRa zero uniforme∞
∞
mente, tutte le un (x) sono integrabili con integrale 0 fn (x)dx = ln 2 6= 0 u(x)dx = 0.
Teorema Sia fn (x) una successione di funzioni integrabile in [a, ∞[, convergente a una
funzione f (x) anch’essa integrabile in [a, ∞[. Se fn → f uniformemente in ogni intervallo
finito ed esiste una
funzione integrabile
g tale che |fn (x)|
R ∞< g(x) per qualsiasi x, è possibile
R∞
R∞
scrivere: limn→∞ a fn (x)dx = a limn→∞ fn (x)dx = a f (x)dx.
Infatti, l’ipotesi
R m uniforme garantisce che per qualsiasi m esiste il limite finiR m di convergenza
to limn→∞ a fn (x)dx = a f (x)dx. La convergenza dominata da g(x), garantisce inoltre
Rm
che 0 fn (x)dx, per qualsiasi n, converge a un limite finito per m → ∞. È quindi possibile
scambiare i limiti su m ed n e questo porta alla tesi del teorema.
Nota La stessa procedura può essere effettuata per integrali impropri di altro tipo in cui
al posto dell’infinito c’è un punto singolare di fn o f .
Rn
f (x, y)dy converTeorema Se f (x, y) è continua
rispetto
ai
due
argomenti
e
g
(x)
=
n
0
R∞
f
(x,
y)dy,
è
possibile
scambiare
l’ordine
d’integrazione:
ge
uniformemente
a
g(x)
=
R∞ R 0
R∞
R
dx 0 dyf (x, y) = 0 dy A dxf (x, y).
A
A grandi linee: la continuità garantisce la possibilità di approssimare uniformemente l’integrale in x attraverso funzioni a gradino. A questo punto, lo scambio dell’ordine di
integrazione è ricondotto allo scambio dell’ordine di limite ed integrale in presenza di una
successione di funzioni uniformemente convergente.
Esempio (osceno) Prendiamo f (x, y) = 1 se y < 1/x, f (x, y) = −1 se 1/x < y < 2/x;
f (x, y) = 0 altrimenti.
Consideriamo il dominio 0 < x < 1, 0 < y < ∞. DefiRn
niamo gn (x) = 0 f (x, y)dy. Abbiamo gn (x) = 0 se x > 2/n, gn (x) = n se x <
1/n, e gnR(x) =R (2 − x)n a metà
R 1 strada. Quindi gn (x) → g(x) = 0 puntualmente.
∞
1
Da qui: 0 dx 0 dyf (x, y) = 0 dxg(x) = 0. Se però invertiamo l’ordine d’integraR1 Rn
Rn R1
R∞ R1
zione: 0 dy 0 dxf (x, y) = limn→∞ 0 dy 0 dxf (x, y) = limn→∞ 0 dx 0 dyf (x, y) =
R1
limn→∞ 0 dxgn (x) = 3/2.
Nota Vediamo a questo punto che la condizione di convergenza uniforme serve di fatto a
garantire limitatezza dell’integrando in domini chiusi. Di fatto ci si riconduce sempre al
teorema di Lebesque. Notiamo infine che quelle di convergenza uniforme e dominata sono
solo condizioni sufficienti e non necessarie.
Teorema Se fn è una successione di funzioni continue che converge uniformemente a f ,
allora f sarà essa stessa continua. Al contrario, se f ha un punto di discontinuità, la
convergenza non potrà essere uniforme.
Infatti, fissato ǫ minore del salto, nel punto di discontinuità si dovrebbe avere con conver-
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genza uniforme, per n sufficientemente grande:
|u(x+ ) − u(x− )| < |u(x+ ) − un (x+ )| + |un (x+ ) − un (x− )| + |un (x− ) − u(x− )| < 2ǫ
che contraddice l’ipotesi.
P
Definizione Una serie nella forma S(z) = n an z n , con z variabile complessa, è detta
serie di potenze.
Teorema Una serie di potenze è caratterizzata da un raggio di convergenza r tale che per
ogni z con |z| < r la serie converge assolutamente, mentre se |z| > r la serie diverge.
Il risultato discende essenzialmente dal criterio del confronto. Se la serie converge assolutamente per un certo z0 , convergerà assolutamente (e quindi puntualmente) per tutti i z
con |z| < |z0 |. Il raggio di convergenza r è il massimo di |z0 |. Dobbiamo verificare che
per |z| > r la serie non solo diverge assolutamente, ma anche puntualmente. Ora, per
convergere, è necessario che
somme parziali siano limitate, cioè, sia possibile fissare un
Ple
n
K per cui, detto Sn (z) = k=1 ak z k , per n sufficientemente grande valga |Sn | < K. Ma
allora, varrebbe
|an z nP
| < M . A questo punto però, prendendo un v con r < |v| < |z|,
P pure
n
n
si avrebbe n |an v | < M n |v/z|
converge assolutamente contro le ipotesi.
P che
n
Teorema La serie di potenze n an z converge uniformemente in domini strettamente
contenuti nella regione |z| < r.
Per vederlo, è sufficiente considerare il massimo valore di |z| nel dominio. Siccome |an z n | <
|an ||z|nM AX nel dominio, la convergenza uniforme discende dal criterio di Weierstrass e dalla
convergenza assoluta della serie per |z| < r.
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Esercizi: richiami su calcolo integrale e serie di
funzioni
Esercizio 1 Si consideri la successione di funzioni


se x < 0
0
1
Fn (x) = 2 (1 − cos nx) se 0 ≤ x < π/n


1
se x ≥ π/n
e la successione delle sue derivate fn (x) = Fn′ (x).
• Trovare le funzioni F ed f a cui convergono puntualmente le due successioni. Verificare se si ha convergenza uniforme nei due casi.
• Dire se si ha convergenza L2 nei due casi.
• Fissato un n, calcolare la trasformata di Fourier di fn (x) e studiarne il comportamento
nel piano complesso.
• A cosa tende puntualmente la successione delle trasformate di Fourier?
P
Esercizio 2 La serie di potenze
an z n ha raggio di convergenza R. Determinare il raggio
di convergenza delle seguenti serie:
X
X
X
X
2
akn z n ,
an z kn ,
an z n ,
(ak1 + ak2 + ... + akn )z n
dove k è un intero positivo, e gli an nella ultima serie sono positivi.
Esercizio 3 Dimostrare che se un (x) converge uniformemente a u(x) e g(x) è limitata, allora un (x)g(x) converge uniformemente a u(x)g(x). Dare un controesempio di non
convergenza uniforme nel caso in cui g(x) non sia limitata.
Esercizio 4 Vedere gli esercizi alle pagine 63-64 del libro Analisi 3 di Gilardi.
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Teoria: Teoria delle distribuzioni
Ragioni per una teoria delle distribuzioni
• Problemi con divisioni con zero, derivate di funzioni in punti di discontinuità (delta
di Dirac e affini).
• Osservazione generale che comportamenti singolari diventano ”meno singolari” facendo integrali.
• Teoria classica limitata a oggetti continui. Necessità in generale di una teoria per oggetti singolari (esempio: la teoria classica non distingue tra θ′ (x) e (2θ(x))′ : entrambe
sono nulle a parte il punto singolare x = 0 dove la derivata non esiste).
• Necessità di una definizione in forma ”debole” di oggetti singolari (applicazioni alle
onde d’urto, metodi numerici agli elementi finiti). In altre parole una definizione
tramite distribuzioni (cenno a PDF).
Definizione Si dice funzionale una applicazione con dominio in uno spazio di funzioni. Ci
interessiamo a funzionali lineari a valori reali (o complessi).
Lo spazio delle funzioni test D R
L’idea di fondo è che se si ha un integrale nella forma U [f ] = f (x)u(x)dx quanto più u
è un oggetto singolare, tanto più la funzione f dovrà avere un comportamento dolce.
Esempi:
Se u(x) è L1 f (x) deve essere L2 .
Se u(x) può crescere all’infinito in modo arbitrariamente rapido, f (x) dovrè essere a supporto compatto.
In generale, se vogliamo prendere derivate sotto integrale e u(x) è discontinua, attraverso
integrazione per parti, è necessario che f (x) sia derivabile un numero sufficiente di volte.
Nota Nel peggiore dei casi, D sarà lo spazio delle funzioni C ∞ a supporto compatto e
limitate.
Definizione Si dice che una successione di funzioni fn (x) converge in D se si ha convergenza uniforme di fn (x) e di tutte le derivate.
Definizione Si chiama distribuzione un funzionale lineare sullo spazio di funzioni test D,
tale che, se una successione fn (x) è convergente in D, è convergente anche la successione
U [fn ]. Chiamiamo D′ lo spazio delle distribuzioni definite su D.
Esempio Vediamo un esempio di cosa succedeR se non stiamo attenti: la delta di Dirac è
il funzionale definito tramite la regola U [f ] = δ(x − x0 )f (x)dx = f (x0 ). È evidente che
se fn (x) una successione che tende alla funzione a gradino θ(x − x0 ), il limite U [fn ] non
coincide con U [θ] che non è definito. Evidentemente, la delta di Dirac va definita come
minimo su uno spazio di funzioni test continue.
Esempio Altro esempio: possiamo prendere come successione
R per la delta di Dirac le
Lorentziane. Dobbiamo stare però attenti che a questo punto un (x)f (x)dx non ha molto senso se f (x) cresce all’infinito linearmente o in modo più veloce. Ciò nonostante
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R
f (x)δ(x)dx può avere benissimo senso.
R
Esempio Terzo esempio di ”pasticci”: consideriamo la distribuzione U [f ] = x2 f (x)dx.
Vediamo che U [fn ] può non essere convergente, sebbene fn converge in D, ma ci stiamo
dimenticando la condizione di supporto compatto. Prendiamo fn (x) = (1 + x2 )−1−1/n ; si
ha convergenza uniforme su fn e tutte le derivate, ma U [fn ] → ∞.
Nota Ribadisco che questo non vuol dire che non ha senso considerare spazi D più estesi di
C ∞ . Di riflesso bisogna considerare distribuzioni con un comportamento meno singolare.
Il seguente è un esempio importante.
Definizione Si chiama una misura una distribuzione definita a partire da uno spazio D di
funzioni continue a supporto compatto.
Nota Tutte le funzioni localmente integrabili sono misure, cosı̀ come è una misura la delta
di Dirac. Non lo è la derivata della delta.
Nota Le distribuzioni si definiscono in genere come limiti di funzionali in cui il Kernel sono
funzioni ben definite (esempio la delta di Dirac a partire da rettangoli sempre più stretti e
alti). Alcuni teoremi importanti ci ”tranquillizzano”.
Definizione Si dice che una successione di distribuzioni Un definita in D′ converge ad un
funzionale U se per qualsiasi funzione test f ∈ D si ha Un [f ] → U [f ].
Teorema Se Un converge a U nel senso di cui sopra, allora U è una distribuzione. Come
da definizione, questo significa che, se fn → f in D allora U [fn ] → U [f ].
Nota Nel controesempio precedente, non eravamo neanche riusciti ad ottenere Un [θ] →
U [θ].
Nota Possibile via di fuga:
R a definire la delta di Dirac a partire da distribuzioni un simmetriche, cosı̀ che alla fine 0 δ(x)f (x)dx = f (0)/2. È una specializzazione della delta che di
fatto è una nuova distribuzione.
R
Nota Scriviamo in generale per una distribuzione U [f ] ≡ u(x)f (x)dx anche se l’integrale
non ha senso nella teoria classica; chiamiamo distribuzione equivalentemente il funzionale
U e la ”funzione generalizzata u(x).
Operazioni con le distribuzioni
Definizione
La
derivata
di
si ottiene attraverso derivazione per parti:
R ′
R una distribuzione
′
′
U [f ] = u (x)f (x)dx = − u(x)f (x).
Nota Vediamo la necessità della condizione di C ∞ cosı̀ come di quella di supporto compatto se u(x) cresce troppo rapidamente ad infinito.
Nota Oggetti come (1/y)′ non hanno senso nella teoria classica perchè −1/y 2 non è integrabile. Nota come la distribuzione (1/y)′ può essere ottenuta come limite di una successione
un (x) caratterizzata da un picco positivoRche diventa sempre più strettoR e alto (non è una
delta!) e serve a cancellare il contributo (−1/y 2 )f (0)dy nell’integrale (1/y)′ f (y)dy.
Nota Notiamo come la derivata si trasferisce all’interno del limite di successione un → u.
Nota Possiamo ottenere la delta di Dirac come derivata della funzione θ di nuovo con
l’integrazione per parti.
′
Definizione
R ′Definiamo la Rprimitiva v di una distribuzione u ∈ D come soluzione della
equazione v (x)f (x)dx = u(x)f (x)dx, con f generica funzione test in D.
Nota Evidentemente la primitiva di una distribuzione è definita a meno di una costante.
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Si vede come la condizione di annullamento ad infinito delle funzioni test sia necessario
perché la primitiva di una distribuzione continue ad essere nello stesso spazio D′ .
Nota Una distribuzione triviale è proprio la costante u(x) = 1; può essere usata per esprimere la normalizzazione di una PDF.
Nota Possiamo definire operazioni standard tra distribuzioni u, v e funzioni f, g, quali
somme e prodotti: f (x)u(x), u(x) + v(x). Vedremo come definire la composizione u(f (x)).
Non ha invece senso in generale definire il prodotto di distribuzioni u(x)v(x) e quindi la
composizione f (u(x)) o peggio u(v(x)). Notare che nel caso della delta di Dirac, il prodotto
δ(x)δ(x) può essere ottenuto come limite del prodotto di successioni un (x)vn (x) dove entrambe le successioni tendono alla delta. A seconda della scelta si può ottenere benissimo
zero, una costante per δ(x) o qualcosa che non è una distribuzione.
Definizione Data una distribuzione u(x) e una funzione test f (x), definiamo la composizione u(f (x))
R tramite la regola
R di cambiamento di variabile; nel caso di una funzione
invertibile: u(f (x))g(x)dx = u(f )g(x(f ))|dx(f )/df |df . Nel caso di una funzione non
invertibile, bisogna sommare sui diversi rami x(f ).
Nota Nel caso della delta di Dirac, abbiamo la formula generale:
X δ(x − xi )
δ(f (x)) =
|f ′ (xi )|
i
dove xi sono le radici della equazione f (x) = 0.
Definizione Chiamiamo il valore principale di una funzione f nei pressi di una singolarità
x0 , e lo indichiamo tramite pvf (x), il limite limǫ→0 fǫ (x), dove fǫ (x) = 0 per x ∈ [−ǫ, ǫ] e
fǫ (x) = f (x) altrimenti. La definizione rimane valida nel senso delle distribuzioni anche
nel caso di una singolarità non integrabile,
per esempio
1/x. Il valore principale di un
R
R
integrale è definito di conseguenza: pv f (x)dx ≡ pvf (x)dx.
Nota Possiamo definire una distribuzione a partire dell’inversa di una funzione con zeri.
Per esempio, la soluzione della equazione xu(x) =R 0 è u(x) = aδ(x); la soluzione di
x3 u(x) = 0 è aδ(x)+bδ ′ (x)+cδ ′′ (x). Verifichiamolo: xu(x)f (x)dx = a×0×f (0) = 0 cioè
xu(x) = 0. Simile nel secondo caso. Altro esempio: u(x)x = 1 ha soluzione pv1/x + cδ(x).
Nota che 1/x non ha senso come distribuzione: non è una funzione integrabile, non è il
limite di distribuzioni ottenute da funzioni integrabili e non è definita a partire da funzioni
test.
Nota Sarebbe interessante definire
l’operazione di convoluzione tra distribuzioni: se u, v ∈
R
′
D e f R∈ D: U ∗ V [f ] = f (x)u(x − y)v(y)dydx. Il problema è che non è detto che
g(y) = f (x)u(x − y)dx sia ancora in D. Notiamo che se f ∈ C ∞ , integrando per parti,
anche g sarà in C ∞ . Perchè g sia anche a supporto compatto, vediamo invece che è
sufficiente che u(x) sia essa stessa a supporto compatto.
Teorema Se f, g ∈ L1 , allora anche f ∗ g ∈ L1 . Se inoltre f, g ∈ L∞ (cioè, ci sono punti
di discontinuità ma le funzioni
R sonoR limitate), allora f ∗Rg è continua.
R
Il primo punto è immediato: dx| dyf (x − y)g(y)| = dz| dxf (z)g(z)| ≤ |f |1 |g|1 . Per
il secondo punto supponiamo che f (x) sia discontinuità in x = 0, cosı̀ che si possa scrivere
f (x)R= fc (x) + cδ(x), conR fc continua. Vediamo subito che fc ∗ g è continua e lo stesso vale
x
per θ(x − y)g(y)dy = −∞ g(y)dy.
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Esercizi: Teoria delle distribuzioni
Esercizio 1 Risolvere l’equazione differenziale
ÿ(t) + y(t) = δ(t),
(1)
direttamente e poi attraverso calcolo della trasformata di Fourier della equazione ed antitrasformata della soluzione in spazio di Fourier yω .
Scrivere la distribuzione u determinata dalla equazione (1 − x2 )u = 1 in termini di pv e
delte di Dirac e mostrare come le costanti arbitrarie nella soluzione diretta della (1) corrispondono alle costanti arbitrarie nella u.
Quando è possibile scrivere la componente associata alle delta della distribuzione u, nella
forma aδ(x2 − 1)? Determinare la normalizzazione a in funzione delle costanti in u.
Esercizio 2 Sia U la distribuzione associata alla funzione u(x). Indicato con P̂ : P̂ f (x) =
f (−x) l’operatore di parità, diremo che la distribuzione u è pari o dispari a seconda se
U [P f ] = ±U [f ].
Se la funzione u(x) è pari, è pari anche la U ? Mostrare che se U è pari, la distribuzione
associata a u′ è dispari.
Mostrare che u(x) = δ(x) è pari e δ ′ (x) è dispari. Ripetere l’esercizio con u(x) = pv x1 .
Indichiamo con u(−n) la primitiva di ordine n della u. Se u(x) = δ(x), qual’è il valore nmin
di n per cui u(−n) è continua? Determinare esplicitamente u(−n) scegliendo le costanti in
modo tale che la distribuzione sia dispari.
REsercizio 3 Sia un (x) una successione convergente alla delta di Dirac; scrivendo Un,x [f ] =
un (x − y)f (y)dy abbiamo quindi Un,x [f ] → Ux [f ] = f (x).
Quali condizioni deve obbedire la un (o la f ) perché Un,x [f ] sia una funzione continua di
x? Se un ∈ C ∞ e tutte le derivate sono L1 , se ne può concludere che Un,x [f ] ∈ C ∞ ?
Esercizio 4 La successione un (x) = θ(x)ne−nx tende alla delta di Dirac? C’è qualche
valore di α per cui la successione vn (x) = θ(x)nα xe−nx tende alla delta di Dirac? In genere
a cosa tenderà?
Cosa succede se sostituisco |x|α in un (x)? Che relazione c’è con la δ(|x|α )?
Esercizio 5 Mostrare che, a partire da limiti di diverse successioni di funzioni integrabili
che approssimano puntualmente 1/x, si possono ottenere distribuzioni pv1/x + cδ(x) con
c arbitrario.
Esercizio 6 Vedere esercizi 3 e 5 Pag 107, 1 e 3 pag 118, 1 pag. 128, 1 e 5 pag. 132, 10.11
pag 143, tutti nel libro Analisi 3 di Gilardi.
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Teoria: La trasformata di Fourier
R
Definizione La trasformata di Fourier di una funzione f L1 è definita dalla seguente
R
formula: fˆk ≡ Fk [f ] = f (x)e−ikx dx.
Nota Non è detto che fˆk ∈ L1 . L’esempio importante è quello della funzione ”cappello a
cilindro” f (x) = θ(1 − |x|) la cui trasformata è sin k/k.
Teorema Vale la seguente proprietà: ||fˆ||∞ ≤ ||f ||1 . Inoltre, se f ∈ L1 , fˆk è continua e
limk→∞ fˆk = 0. R
Infatti, ||f ||1 = |f (x)e−ikx |dx ≥ |fˆk |. Per verificare la continuità si può invocare il
teorema di Lebesque: siccome |f (x)e−ikx | = |f (x)| e |f (x)| è integrabile allora limh→k fˆk
per qualsiasi k. Per vedere che la trasformata si annulla all’infinito, notiamo che f può
essere approssimata da una funzione a scalini. Ciascuno scalino è una funzione cappello a
cilindro la cui trasformata si annulla all’infinito. Per linearità, anche la funzione a scalini
andrà a zero all’infinito.
Teorema Valgono le seguenti proprietà:
Fk [f ′ ] = ik fˆk ;
Fk [xf ] = ifˆk′ ;
Fk [f (x + a)] = eika fˆk ;
Fk [f (ax)] = afˆk/a ;
∗
Inoltre, se f ha valori in R, allora fˆk = fˆ−k
; se f è reale e pari (dispari), fˆk sarà reale e
pari (immaginaria e dispari).
Teorema Se f ′ ∈ L1 , kfk sarà essa stessa in L1 . Se f ∈ C ∞ , fˆk sarà una funzione a
decrescenza rapida all’infinito. Viceversa, se f non è ha derivata n-esima, significa che fˆk
va a zero al più come k −n−1 e quindi non ı̀n L1 .
R
R
Teorema ”Lemma fondamentale”: se f, g ∈ L1 , vale la formula: f (x)ĝx dx = fˆx g(x).
Definizione
Definiamo l’antitrasformata di Fourier di una funzione ĝk = L1 , l’espressione
R
dk
Fx−1 [ĝ] = ĝk eikx (2π)
.
Nota Al momento non possiamo asserire che FF −1 = F −1 F = 1. Il problema è che non
è detto che F e F −1 operino da L1 a L1 .
Teorema Se f, fˆ ∈ L1 e f è continua, allora Fx−1 [fˆ] = f (x), cioè la trasformata di Fourier
è invertibile.
Prendiamo infatti una successione di funzioni un (x) → δ(x), con un (x) limitate ed L1 ;
abbiamo allora, utilizzando nel primo passaggio il teorema di Lebesque:
Z
Z
dk
−1 ˆ
ikx dk
ˆ
= lim
ŵn,k fˆk eikx
Fx [f ] = fk e
(2π) k→∞
(2π)
Z Z
Z
dk
= lim
wn,k f (y)eik(x−y)
dy = lim
wn (x − y)fˆ(y)dy = f (x).
k→∞
k→∞
(2π)
Notare che nell’ultimo passaggio si è sfruttata la continuità della f in x.
Nota Per potere avere buone proprietà di inversione della trasformata di Fourier, dobbiamo passare dalle funzioni alle distribuzioni. Di fatto vogliamo estendere la trasformata di
Fourier a oggetti come derivate di funzioni continue (non necessariamente derivabili!) o
prodotti di funzioni L1 con potenze di x. La ragione è l’uso continuo della integrazione
10
2
per parti in eikx . Questo esclude funzioni a crescenza rapida come ex o ex . Questo porta
a restringere la classe di distribuzioni ed espandere la classe di funzioni test.
Nota Un’altra ragione per espandere la classe di funzioni
se u è una distribuzione,
R test:−ikx
vogliamo
che anche la sua trasformata di Fourier ûk = u(x)e
dx lo sia; l’espressione
R
ûk f (k)dk dovrebbe essere quindi continua rispetto a f . Considerando una successione
R
R
un ∈ L1 convergente a u in distribuzione, avremmo ûn,k f (k)dk = un (k)fˆk dk. Dobbiamo verificare che fk è ancora una funzione test, ma vediamo subito che in generale non
sarà a supporto compatto.
Definizione Definiamo lo spazio di funzioni test delle distribuzioni temperate, e lo indichiamo con S, come lo spazio delle funzioni C ∞ a decrescenza rapida, cioè che vanno a
zero più rapidamente di qualsiasi potenza.
Definizione Definiamo che fn → f in S, se fn tende a f uniformemente insieme a tutte
le derivate e a tutti i suoi prodotti con potenze di x.
Definizione Indichiamo con S ′ l’insieme delle distribuzioni temperate, cioè delle distribuzioni U tali che U [fn ] → U [f ] per fn → f in S.
Teorema Lo spazio S ′ delle distribuzioni temperate contiene tutte le funzioni a crescita
lenta (limitate da qualche polinomio) e le distribuzioni a supporto compatto.
Teorema Continua a valere la proprietà che se il limite di una successione in S ′ è ancora
un elemento di S ′ .
Teorema Se fn → f in S, si ha pure fˆn → fˆ in S.
Teorema Il teorema precedente ha la Rseguente importante conseguenza: se f ∈ S e u ∈ S ′ ,
la distribuzione Û definita da Û [f ] = u(x)fˆx dx sarà temperata.
Definizione Definiamo
la trasformata
di Fourier û di una distribuzione temperata u traR
R
mite la formula ûx f (x)dx = u(x)fˆx dx.
Teorema Se un → u in S ′ , anche ûn → û in S ′ .
Teorema La trasformata di Fourier è invertibile in S ′ e valgono le formule standard.
Infatti, la trasformata è invertibile sulle funzioni test!
Teorema Se la convoluzione di due distribuzioni temperate f e g esiste finita (ed è quindi
ancora una distribuzione temperata) la trasformata di Fourier di f ∗ g è il prodotto delle
trasformate fˆk ĝk .
Nota Lavorando con le distribuzioni è naturale lavorare per approssimazioni tramite funzioni test, per cui le trasformate di Fourier sono intese in senso classico. Con trasformate
e antitrasformate di Fourier ha poi senso lavorare con cut-off e ottenere il limite di distribuzione mandando il cut-off all’infinito. È particolarmente importante il seguente
Nota Nel caso in cui u o û possono essere riportati in L1 tramite derivate o moltiplicazioni
per x (o per k nel caso di û), il calcolo di trasformate e antitrasformate si esegue a partire
dalla opportuna derivata (o primitiva) o prodotto con potenza opportuna di x (o k) della
funzione. Per esempio ûk = 2ik/(1 + k 2 ) non è in L1 , al contrario di 2/(1 + k 2 ), la cui
antitrasformata è e−|x| . Quindi u(x) = d/dx e−|x| = (1 − 2θ(x))e−|x|.
Nota Al contrario, servendosi di una primitiva, attenzione va posta alle costanti d’integrazione. Per esempio vogliamo calcolare u(x) a partire da u′′ (x) ∈ L1 . Allora −k 2 ûk = Fk [u′′ ]
che ha soluzione uk = −k −2 Fk [u′′ ] + cδ(k) + c′ δ(k ′ ). Notare le costanti di integrazione che
11
entrerebbero in u(x) nella combinazione (2π)−1 (c − ic′ x) e che portano fattori delta e sue
derivate in spazio di Fourier.
Nota Invece che da distribuzioni a funzioni, può essere conveniente passare da funzioni a
distribuzioni (in particolare alla delta). Per esempio, se u(x) = (1 − |x|)θ(1 − |x|), û può essere ottenuta a partire da u′′ (x) = δ(x−1)+δ(x+1)−2δ(x), cosı̀ che −k 2 ûk = 2(cos k −1).
L’inversione ha risultato ûk = −(2/k)(cos k − 1) + cδ(x) + c′ δ ′ (x) e si vede facilmente che
c = c′ = 0.
R
Teorema di Plancherel Se f ∈ L2 , allora fˆ è in L2 e vale la normalizzazione |f (x)|2 dx =
R
dk
|fˆk |2 2π
.
Il risultato si ottiene approssimando f con successioni fn ∈ S, che produce successioni
trasformate fˆn ∈ S. Da cui, la completezza di L2 garantisce che fˆ ∈ L2 .
Teorema Se u, v ∈ D′ e una delle seguenti condizioni è verificata:
• le due funzioni sono in L1 o L2 in tutte le possibili combinazioni
• w ∈ S oppure w ha supporto compatto
R
allora vale la formula Fk [u ∗ v] = ûk v̂k , dove u ∗ v(x) = u(x − y)v(y)dy è la convoluzione
di u e v.
Nota Di nuovo, approssimando con funzioni un ∈ S oppure con cut-off, ci poniamo in L1 ∪
L2 e il risultato è calcolato con integrali classici. Vogliamo capire che tipo di convergenza
si ha quando u è una funzione che non è una distribuzione. Evidentemente, si dovrebbe
avere convergenza puntuale. Questa sarà uniforme nel caso u è continua, giacchè anche le
un sono continue.
Nota: il fenomeno di Gibbs Nel caso in cui u non è continua, l’approssimazione con
antitrasformate con cut-off è non uniforme. L’esempio cardine è quello della funzione
cappello a cilindro u(x) = θ(1 − |x|). Questa può essere ottenuta a partire da
Z
Z
sin Λ(x − y)
1
ikx dk
θ(Λ − |k|)ûk e
lim
=
lim
θ(1 − |y|)dy
(1)
Λ→∞
2π
2π Λ→∞
π(x − y)
dove si è usato
Fx−1 [θ(Λ − |k|)] =
sin Λ(x − y)
.
π(x − y)
Mandando Λ → ∞ con Λ(x − 1) finito otteniamo
Z
1 ∞
sin y
−1
Fx [û] =
dy.
π Λ(x−1) y
Vediamo che ci sono oscillazioni di ordine 1 in un intervallo di larghezza Λ−1 intorno ai
punti di discontinuità.
12
6
Esercizi: La trasformata di Fourier
Esercizio 1 Stimare l’intensità del fenomeno di Gibbs nel ricostruire tramite antitrasformata la funzione sign(x) exp(−|x|).
Esercizio 2 Si calcoli l’antitrasformata della funzione ûk = (1 − ik)−1 (e−2ik + eik ). Cosa
succede nel punto x = −1? È possibile il calcolo in questo caso utilizzando le tecniche dell’analisi complessa? Cosa ci si aspetta (senza fare il conto) nel punto x = 2? Commentare
il risultato a partire dal fatto che û non era in L1 .
Esercizio 3 Calcolare la trasformata di Fourier della funzione f (t) = 1/(1 + x2 ). Sia fΛ (t)
l’approssimazione a f (t) ottenuta trascurando i modi di Fourier con |k| > Λ. Determinare
Λ in modo che ||f − fΛ ||2 < 10−2 , dove ||.||2 indica la norma L2 . Fissato Λ esprimere
la relazione fra f e fΛ tramite una operazione di convoluzione. Quali proprietà ci si può
aspettare per la funzione fΛ in rapporto alla f ?
Esercizio 4 Se fˆ è la trasformata di Fourier della funzione reale f , di cosa saranno
trasformate, separatamente, le parti reale e immaginaria di fˆ?
Esercizio 5 Sia f ∈ L1 ∪ L2 e si ponga fǫ = f ∗ uǫ , dove uǫ (x) = (πǫ)−1/2 exp(−x2 /ǫ)
è l’approssimazione tramite Gaussiana della delta di Dirac. Calcolare ûǫ,k e confrontarne
l’andamento con quello di uǫ (x). Verificare se per ǫ → 0 fˆǫ tende puntualmente a fˆ.
Effettuando il conto esplicitamente, verificare se si ha convergenza puntuale anche per fǫ .
Se f (x) = θ(x)e−x , calcolare fǫ′ (x); c’è convergenza puntuale?
Esercizio 6 Si indichi con fn (t) la successione di funzioni uguali a tn nell’intervallo [0, 1]
e zero altrove. Studiare convergenza puntuale e uniforme delle funzioni fn e fˆn . Si può
passare da fn a fn+1 tramite moltiplicazione o tramite calcolo di primitive. Che differenza
c’è tra i risultati?
Esercizio 7 Vedere esercizi a pag 256-257 (in particolare il n. 13) del libro Analisi 3 di
Gilardi.
13
7
Teoria: Richiami di analisi complessa
1
Definizione Un funzione f (z) è derivabile in z se la derivata f ′ (z) = lim∆z ∆z
[f (z +
∆z) − f (z)| esiste finita e indipendente dalla direzione di ∆z. Se vale la relazione F ′ = f ,
la funzione F è detta primitiva di f .
Teorema (condizione di Cauchy-Riemann) Condizione perché f (z) sia derivabile in z
è che, scrivendo z = x+iy, f (z) = u(z)+iv(z), valga: ∂x u(z)+∂y v(z) e ∂x v(z)−∂y u(z) = 0.
Definizione Si dice che f (z) è olomorfa in un dominio K se è derivabile in ogni suo punto.
Teorema Le parti reale e immaginaria del differenziale f dz di una funzione derivabile f :
udx − vdy e vdx + udy sono esatti. Sono cioè differenziali di funzioni U e V . La funzione
F = U + iV è inoltre primitiva di f , cioè: F ′ = f .
Infatti, se u = ∂x U e v = −∂y U (e v = ∂x V e u = ∂y U ), vediamo che le condizioni di
Cauchy-Schwartz corrispondono a ∂x ∂y U = ∂y ∂x U (e ∂x ∂y V = ∂y ∂x V ). Inoltre, da calcolo
diretto: dF = [dx∂x + dy∂y ][U + iV ] = [dx + idy][u + iv] = dzf e quindi F ′ = f .
Teorema Rdi Cauchy Se f è olomorfa in K e K è semplicemente connesso, gli integrali
curvilinei Γ f (z)dz estesi a curve Γ chiuse in K sono nulli.
Teorema (formula di Cauchy) Sia f olomorfa in K e sia Γ una curva chiusa che circonda
una porzione di piano complesso interamente in K. Allora vale la formula
Z
1
f (z ′ )
dz = f (z)
2πi Γ z ′ − z
dove l’integrale è preso in senso antiorario.
Nota La formula si estende alle derivate. Derivando la formula precedente otteniamo
infatti
Z
n!
f (z ′ )
(n)
f (z) =
dz
2πi Γ (z ′ − z)n+1
R
Vale la pena notare come questo implichi il fatto che l’integrale Γ (z ′ −z)−n dz ′ sia differente
da zero solo per n = 1. Questo è l’effetto del carattere oscillante dell’integrale angolare per
n > 1.
Teorema (formula di Taylor) Se f (z) è olomorfa per |z − z0 | < r in questo disco vale
la formula di Taylor
∞
X
(z − z0 )k f (k) (z0 )
f (z) =
k!
k=0
dove r gioca il ruolo di raggio di convergenza della serie.
Per vederlo, utilizziamo la formula di Cauchy prendendo per Γ una circonferenza con centro
in z0 e raggio > |z − z0 |.
Z
Z
1
dz ′
1
f (z ′ )dz ′
f (z ′ )
f (z) =
.
=
0
2πi Γ z ′ − z0 − (z − z0 )
2πi Γ z ′ − z0 1 − zz−z
′ −z
0
P
L’ultima frazione è nella forma 1/(1 − x) con |x| < 1 e vale quindi 1/(1 − x) = k xk
che è uniformemente convergente (in maniera triviale) su Γ. Portando la somma fuori
14
dall’integrale:
f (z) =
∞
X
k=1
k
ck (z − z0 ) ,
1
ck =
2πi
Z
Γ
f (z ′ )
dz
(z ′ − z)n+1
Ma dalla formula di Cauchy per le derivate, ck = f (k) (z0 )/k! e si ottiene la formula di
Taylor.
P
Nota La scrittura f (z) = k ck (z − z0 )k implica automaticamente ck = f (k) (z0 )/k!; basta
infatti prendere le derivate e mandare z → z0 .
Nota Il raggio di convergenza della serie di Taylor corrisponde alla distanza dalla più
vicina singolarità.
Definizione Una funzione f (z) che in un intorno di z0 ammette una espansione nella
forma di una serie di potenze (a esponenti interi) nella separazione z − z0 è detta analitica
(o regolare) in z0 . Vediamo che olomorfia implica analiticità (e viceversa).
Teorema Convergenza uniforme di una successione di funzioni olomorfe
R ∞fn (z) implica che
il limite f (z) è esso stesso una funzione olomorfa. L’integrale g(z) = 0 f (z, t)dt di una
funzione f (z, t) olomorfa in z per tutti i valori di t, è una funzione olomorfa se l’integrale
improprio è uniformemente convergente.
Il trucco sta nella possibilità di scambiare l’integrale della formula di Cauchy con il limite
di successione (o il limite dell’integrale in dt) nel caso in cui la convergenza sia uniforme.
Definizione Si dice che f ha una singolarità isolata in z0 se il dominio in cui f è olomorfa
è nella forma K r {z0 } dove z0 ∈ K con K aperto.
Teorema (sviluppo
il punto z0 sia una singolarità isolata vale
P∞di Laurent)k NelPcaso
∞
lo sviluppo f (z) = k=0 ck (z − z0 ) + k=1 c−k (z − z0 )−k . I termini a potenza negativa
costituiscono la parte singolare (parte di Laurent) dello sviluppo e sono dati da
Z
1
f (z ′ )(z ′ − z0 )k dz ′
c−k =
2πi Γ
dove il cammino Γ contiene solo la singolarità z0 .
La dimostrazione è fatta a partire dalla formula di Cauchy applicata a un anello centrato
in z0 , che contiene il punto z. Quindi, Γ = −Γin + Γout dove −Γin indica senso orario (per
avere un dominio connesso, connetti Γin e Γout da un percorso di andata e uno di ritorno
infinitamente vicini cosı̀ che il contributo sia nullo).
Il contributo da Γout è quello di Taylor. Quello da Γin dà il risultato.
Z
Z
Z
1
dz ′
f (z ′ )dz ′
f (z ′ )dz ′
f (z ′ )
1
1
−
=
=
′ −z .
0
2πi Γin z ′ − z
2πi Γin z − z0 − (z ′ − z0 )
2πi Γin z − z0 1 − zz−z
0
Di nuovo la frazione si esprime nella forma di una serie geometrica (notare che ora x =
{raggio di Γin }/|z − z0 |) e da qui si ottiene c−k .
Nota Ecco una funzione con solo parte di Laurent in z0 = 3: g(z) = (1 + z 2 )/(z − 3).
Eccone una con parte di Taylor e di Laurent in z0 = 3: f (z) = z 2 + g(z). Entrambe hanno
una espansione puramente di Taylor per z0 6= 3.
15
Definizione Si dice che una singolarità isolata è un polo o una singolarità essenziale a
seconda che lo sviluppo di Laurent ha o meno un numero finito di termini. Un polo di
ordine n ha n termini nello sviluppo di Laurent. Se f può essere resa olomorfa nel dominio
definendo opportunamente f (z0 ), la singolarità è detta eliminabile.
Nota I punti di diramazione in una funzione contenenti potenze non intere di z o logaritmi
sono un esempio di singolarità non isolata. Ricordo l’arbitrarietà nella scelta dei tagli. Una
volta la posizione di un taglio è fissata, i suoi punti sono di nuovo singolarità non isolate.
Definizione Sia z0 una singolarità isolata di f . Il coefficiente c−1 della serie di Laurent in
z0 è detto residuo di f in z0 .
Nota Se f (z) = g(z)/(z − z0 )n+1 con g(z) analitica in z0 , abbiamo dalla formula di Cauchy
per le derivate:
Z
1
g (n) (z0 )
g(z)dz
resz0 [f ] =
=
2πi Γ (z − z0 )n
n!
Teorema dei residui ...beh, lo conosciamo tutti.
Teorema (Lemma di Jordan) Nel caso di un circuito non chiuso, infinitamente vicino
a un polo di ordine 1, il fattore 2π nel teorema dei residui si sostituisce con l’angolo
percorso nel circuito rispetto al polo. Notare che se il polo è di ordine > 1, non c’è più
cancellazione dei termini angolari in contributi del tipo 1/(z−z0 )n e il risultato dell’integrale
è ∝ |z − z0 |1−n → ∞.
Nota Nel caso che f (x) abbia un polo del prim’ordine sull’asse reale, per esempio x = 0
il percorso di aggiramento del polo va specificato. Il risultato dell’integrale dipende da
questa specificazione. Se f (x) ha un buon comportamento all’infinito nel piano complesso,
il calcolo si effettua con il teorema dei residui. In caso contrario, se il valore principale
dell’integrale è facilmente determinabile [per esempio f (x) = −f (−x), cosı̀ che questo
è nullo],
diventa conveniente usare il lemma di Jordan e l’integrale diventa ±πires0 [f ] +
R
pv f (x)dx, dove il segno del residuo dipende dall’aggiramento del polo.
Definizione Si dice che il punto all’infinito di f (z) è regolare, è un polo, etc., se g(z) =
−f (1/z)/z 2 gode di queste proprietà in z = 0.
Definizione Se f (z) ha un polo all’infinito, definiamo il residuo all’infinito di f : res∞ [f ] =
res0 [g], dove g(z) = −f (1/z)/z 2 .
Teorema Se f le uniche singolarità di f sono dei poli, la somma di tutti i residui, incluso
quello all’infinito
è zero.
R
R
Infatti: Γ g(z)dz = − Γ̄ g(1/z̄)dz̄/z̄ 2 dove z = 1/z̄ e Γ̄ sarà percorso in senso orario se Γ
era in senso
antiorario. Mandando il percorso all’infinito, Γ conterrà tutti i poli al finito di
R
f . Ma −Γ̄ g(1/z̄)dz̄/z̄ 2 = res∞ [f ].
Nota Lo sviluppo in serie di Taylor della funzione esponenziale ez non è altro che lo
sviluppo di Laurent di ez attorno alla singolarità essenziale all’infinito (e infatti la serie ha
un numero infinito di termini).
Definizione Una funzione si dice intera se non ha poli al finito, meromorfa se le uniche
singolarità al finito sono poli.
Nota La formula di Cauchy può essere estesa al caso in cui la funzione f (z) abbia poli zn
16
n = 1, 2, ... all’interno del percorso di integrazione. In questo caso, dal teorema dei residui:
Z
X resz [f ]
1
f (z ′ )dz ′
n
=
f
(z)
+
′
2πi Γ z − z
z − zn
n
−1
Notare
P che se f (z) va a zero all’infinito almeno come |z| , è possibile scrivere f (z) =
− n reszn [f ]/(z − zn ). Possiamo generalizzare il risultato al caso in cui la funzione rimanga solo limitata per |z| → ∞.
Teorema (sviluppo di Mittag-Leffler) Se f è una funzione meromorfa,
Plimitata all’infinito e analitica in un punto z0 , vale il seguente sviluppo: f (z) − f (z0 ) = k reszk [f ][(zk −
z)−1 − (zk − z0 )−1 ].
Infatti applicando la formula di Cauchy della nota precedente in z e in z0 e sottraendo i
risultati darebbe
Z
h 1
X
(z − z0 )f (z ′ )
1 i
=
dz ′
−
f (z) − f (z0 ) +
reszk [f ]
′ − z)(z ′ − z )
z
−
z
z
(z
k
0 − zk
0
Γ
k
e perché il lato destro vada a zero per Γ che va all’infinito, è sufficiente che f (z) rimanga
limitata.
Nota La condizione di limitatezza all’infinito di f nello sviluppo di Mittag-Leffler può
essere ulteriormente rilassata limitandosi a richiedere che esista una successione di percorsi
chiusi che tende all’infinito, su cui f è limitata. Questo è utile se f ha una successione di
poli che si estende all’infinito.
Applicazioni del teorema dei residui
Calcolo
di serie Una applicazione interessante del metodo dei residui è la seguente. Sia
P
an una serie di potenze. Supponiamo la funzione an possa essere estesa a campo complesso introducendo una funzione meromorfa f (z) tale che f (z = n) = an e che |f (z)| tenda
a zero all’infinito più velocemente di |z|−2 . Si consideri la funzione F (z) = π cot πzf (z). La
funzione g(z) = π cot πz ha poli del primo ordine in z = n, n = 0, ±1, ±2, . . ., con residuo
resn [g] = 1. Prendiamo come cammino di integrazione Γ = ΓN il bordo del quadrato di
vertici [±(N + 1/2), ±(N + 1/2)]. Date queste condizioni, vediamo che:
1
2πi
Z
ΓN
F (z)dz =
N
X
an +
n=−N
ΓN
X
π cot πzk reszk [f ],
k
P
dove Γk N indica la somma sui poli di f (z) in ΓN . Ora, la funzione g(z) è limitata all’infinito, come si può mostrare sfruttando la diseguaglianza |g(z)| = |(eiπz +e−iπz )/(eiπz −e−iπz )| ≤
||eiπz | + |e−iπz ||/||eiπz | − |e−iπz ||. Dato il comportamento
di f (z) per |z| → ∞, vediamo che
P
l’integrale lungo ΓN si annulla al limite e n an è ottenuto dalla somma dei residui di
π cot πzf (z) nei poli di f .
Nota Come nel caso dello sviluppo di Mittag-Leffler, la condizione sul decadimento di
|f (z)| all’infinito può essere ristretta ai domini ΓN
17
Calcolo di trasformate di Fourier ...di nuovo, lo conosciamo tutti. Facciamo l’esempio di 1/(ω 4 + 1). Ricordo l’esempio fˆω = i[(1 + ω 2 )(ω ± i0)]−1 oppure semplicemente
fˆω = i(ω − ω0 ± i0)−1 con il lemma di Jordan.
R1
R∞
Calcolo di integrali usando i tagli Due esempi: 0 x1/2 (1 + x5 )−1 dx −1 (1 + x2 )−3/2 dx.
Rπ
Altro esempio 0 [a − b cos θ]−1 dθ
18
8
Esercizi: Richiami di analisi complessa
Esercizio 1 Calcolare la trasformata di Fourier della potenza xα per α non necessariamente
intero. Calcolare la trasformata di Fourier della Gaussiana.
R∞
Esercizio 2 Calcolare l’integrale 0 (1 + x3 )−1 ln xdx.
P
P
Esercizio 3 Calcolare le serie n (1 + n2 )−2 e n (−1)n (n2 + a2 )−1 cos na.
Esercizio 4 Calcolare lo sviluppo di Mittag-Leffler di tan z e di csc2 z
R∞ z
ω sin ωdω;
Esercizio
5
In
quali
regioni
di
z
le
seguenti
funzioni
sono
analitiche?
f
(z)
=
0
R∞ z
P∞ −n
g(z) = 0 ω cos ωdω; h(z) = n=1 z sin nz.
R
Esercizio 6 Calcolare l’integrale A f (x)dx dove f (x) = x2 [((x−2)2 −1)((x−5)2 −1))]−1/2
e A = [1, 3] ∪ [4, 6].
Esercizio 7 Dimostrare che una funzione la cui sola singolarità è un polo all’infinito è un
polinomio.
R
Esercizio 8 Dimostrare che l’integrale (2πi)−1 Γ [α(ω) − β]−1 α′ (ω)dω è uguale alla differenza nel numero di zeri e di poli della funzione α(ω) − β, nel dominio circondato dal
percorso chiuso Γ
19
9
Teoria: Equazioni differenziali importanti in fisica
Nota Ci limitiamo a considerare equazioni differenziali lineari. Consideriamo prima equazioni differenziali alle derivate ordinarie (ODE) e poi equazioni differenziali alle derivate
parziali (PDE). Una ODE di ordine n in forma esplicita si scrive L̂x = f , L̂ = dn /dtn +
an (t)dn−1 /dtn−1 +...a1 (t)d/dt+a0 (t). Nel caso di una PDE, L̂ sarà una somma di prodotti di
derivate parziali e invece di x(t) avremo una funzione di n variabili; tipicamente φ(x1 , ...xn )
oppure φ(x1 , ...xn , t). In questo caso, evidentemente ak (t) → ak1 ,...kn ,kt (x1 , ...xn , t) e lo stesso
per f . In queste due sezioni di limiteremo a considerare equazioni differenziali a coefficienti
costanti (per ODE nel tempo, si riferiscono a sistemi dinamici autonomi). Una equazione
nella forma L̂x = 0 è detta omogenea. Il termine f è detto termine non omogeneo.
Nota Le ODE hanno bisogno di condizioni iniziali (o finali); le PDE anche di condizioni
al contorno. Entrambe hanno interpretazione geometrica a partire dalle differenze finite.
Introdurre condizioni di Neumann e Dirichlet
Equazione a rilassamento: L̂x = ẋ + x = f . Soluzione omogenea x(t) = x(0)e−t si
ottiene a partire
da tecnica generale per ẋ + a(t)x = 0: dx/x = −dt/a(t) ⇒ x(t) =
Rt
x(0) exp(− 0 a(τ )dτ ). Notare che x(0) può essere condizione iniziale se t > 0 o fiRt
nale se t < 0. Notare che g(t, t0 ) = exp(− t0 a(τ )dτ ) si comporta da propagatore:
x(t) = g(t, t0 )x(t0 ), che obbedisce l’equazione omogenea: [d/dt +
R ta(t)]g(t, t0 ) = 0, ma
anche [−d/dt0 + a(t0 )]g(t, t0 ) = 0. Notiamo infine che xf (t; t0 ) = t0 g(t, τ )f (τ )dτ risolve
il problema non omogeneo con condizione iniziale x(t0 ) = 0:
Z t
f (τ )[d/dt + a(t)]g(t, τ )dτ = g(t, t)f (t) = f (t),
L̂xf (t; t0 ) = g(t, t)f (t) +
t0
in modo che la soluzione generale sarà x(t) = x(t0 )g(t, t0 ) + xf (t; t0 ).
L’equazione dell’oscillatore armonico: L̂x = ẍ + x = f . Soluzione omogenea:
a+ eit + a− e−it . Notare le due costanti che permettono di fissare condizioni iniziali su x e su
ẋ, oppure condizioni iniziali e finali su x. L’equazione = ẍ+x = f si può ridurre a sistemi di
equazioni del primo ordine oppure scrivere nella forma L̂+ L̂− x = [d/dt+i][d/dt−i]x = f , e
questa scrittura si può generalizzare a ODE a coefficienti costanti di ordine qualsiasi. Utilizzando i propagatori g± (t) = exp(∓it) associati a L̂± , vediamo
che possiamo
scrivere la soluRt
Rt
zione del problema non omogeneo come xf (t, t0 , t1 ) = t1 dτ g− (τ − t1 ) t01 dτ ′ g+ (τ ′ , t0 )f (τ ′ ).
Abbiamo ora due tempi ”iniziali” arbitrari, invece che uno solo. Notare che se scegliamo
t1 = t0 , abbiamo xf (t0 , t0 , t0 ) = ẋf (t0 , t0 , t0 ) = 0 e tutte le condizioni iniziali sono contenute
nella soluzione omogenea.
Equazione di avvezione: φ̇ + φ′ = f ; φ = φ(x, t); f = f (x, t). È il tipo più semplice di PDE. Si riconduce immediatamente a una ODE scrivendo φ(x, t) = Φ(ξ, η) dove
ξ = (x + t)/2, η = x − t. Vediamo subito che una funzione solamente di η è soluzione della
omogenea associata: [∂t + ∂x ]Φ(η) = [∂t + ∂x ]ηΦ′ (η) = 0. Le condizioni iniziali e quelle
al bordo sono quindi propagate in modo costante lungo le linee cosı̀ dette caratteristiche,
definite da η = x − t = costante. Quindi, ciascun punto al bordo, o di condizione iniziale,
individua un linea caratteristica (e quindi un η), lungo la quale, al variare di ξ, in assenza
20
del termine disomogeneo, φ sarà costante. In presenza di termine non omogeneo,
avremo
Rξ
invece [∂t + ∂x ]ξ∂ξ Φ(ξ, η) = ∂ξ Φ(ξ, η) = f (x, t) := F (ξ, η), e quindi φ(x, t) = ξ0 dξ ′ F (ξ ′ , η)
dove η = x − t e ξ0 è il punto in cui la caratteristica η intercetta la linea di bordo o di
istante iniziale.
Equazioni ellittiche, paraboliche e iperboliche Consideriamo la generica PDE in due
variabili, del secondo ordine, lineare e a coefficienti costanti: [ā11 ∂¯12 + 2ā12 ∂¯1 ∂¯2 + ā22 ∂¯22 +
b̄1 ∂¯1 + b̄2 ∂¯2 + c]φ̄ = f¯, φ̄ = φ̄(ȳ1,2 ); f¯ = f¯(ȳ1,2 ). Possiamo sempre diagonalizzare la matrice
dei termini quadratici tramite una trasformazione lineare ȳ1,2 → y1,2 in modo che alla fine
la PDE prenda la forma:
[a11 ∂1 + a22 ∂2 + b1 ∂1 + b2 ∂2 + c]φ = f ;
φ(y1,2 ) = φ̄(ȳ1,2 (y1,2 )). Distinguiamo tre casi: a11 e a22 hanno lo stesso segno; si dice in
questo caso che l’equazione è ellittica. Il prototipo è l’equazione di Poisson: ∇2 φ = f . Notiamo che con una traslazione, i termini b1,2 possono essere eliminati e con un riscalamento
i due coefficienti a1,2 posti uguali a uno. Quindi, la generica equazione ellittica sarà nella
forma [∇2 + c]φ = f .
Se a11 e a22 hanno segno opposto, la equazione è detta iperbolica. Il prototipo è l’equazione
di D’Alambert (o delle onde): [∂t2 − ∂x2 ]φ = f . Notare che una equazione iperbolica può
sempre essere ricondotta alla forma [∂t2 − ∂x2 + c]φ = f .
Se uno degli a.va. della matrice aij è nullo, l’equazione è detta parabolica. Il prototipo è
l’equazione del calore: [∂t − ∂x2 ]φ = f . Notiamo che la generica equazione parabolica può
essere ricondotta alla forma [∂t − ∂x2 + b∂x ]φ = f (equazione di avvezione-diffusione).
Nota Ricordo la tecnica di separazione delle variabili. Supponiamo una PDE sia nella forma [L̂x + L̂y ]φ = f , dove L̂x e L̂y dipendono rispettivamente solo da ∂x e ∂y . Consideriamo
l’omogenea associata [L̂x + L̂y ]φ = 0 cercando soluzioni φ(x, y) = A(x)B(y) che soddisfino
l’equazione agli autovalori [L̂x + λ]A(t) e [L̂y − λ]B(y) = 0. In alcuni casi, l’equazione agli
autovalori individua una base completa nel dominio della PDE; per esempio, nel caso della
equazione di Laplace per x ∈ R+ e y ∈ [0, 1], con φ(x, 0) = φ(x, 1) = 0, l’equazione per y
è ∂y2 Bn (y) = λn Bn (y), che individua la base Bn (y) = (2/π)1/2 sin(nπy), λn = −(nπ)2 . Da
nπx
qui otteniamo An (t) = an e−nπx + a+
.
ne
Nel caso non-omogeneo, la soluzione è ottenuta proiettando sulla base:
hn|(∂x2 + ∂y2 )|φi = [∂x2 − (πn)2 ]φn (x) = fn (x),
dove φn ≡ hn|φi e fn ≡ hn|f i. Le condizioni alRbordo su φn sono imposte proiettando a loro
1
volta quelle su φ: φn (0) = hn|φ(., 0)i = (2/π) 0 sin(nπx)φ(x, 0) [e nel caso φn (∞) = 0].
Nota Avremmo potuto lavorare alla rovescia, selezionando di partenza delle basi che soddisfano le opportune condizioni al bordo e imponendo solo in seguito la dinamica. Nel
problema precedente: hx, y|n, ki = (2/π)1/2 eikx sin(nπy). A questo punto, sostituendo nella equazione, si sarebbe ottenuto [k 2 + (nπ)2 ]φn,k = fn,k . Risolvendo e antitrasformando in
k nel piano complesso, otteniamo per x > 0: φn (x) = an e−nπx sin(nπx), cioè la soluzione
limitata è automaticamente selezionata (Fourier implica che lavoriamo con distribuzioni
temperate!)
21
Nota In linea di principio, si può sempre lavorare con trasformate di Fourier, giacché
funzioni a supporto compatto (quali sono le soluzioni in un dominio finito) sono comunque rappresentabili da integrali di Fourier. A questo punto, la dinamica e le condizioni al
contorno impongono relazioni distinte fra i modi di Fourier che vengono imposte simultaneamente.
Nota Lo stesso approccio, come vedremo, funziona con le equazioni tipo calore oppure
rilassamento, in cui c’è una variabile tipo tempo e una freccia del tempo ben definita. Nel
caso dell’oscillatore o dell’equazione di D’Alambert, invece ci sono problemi. Nel caso dell’oscillatore armonico con t ∈ R, per esempio, l’equazione da antitrasformare sarebbe stata
xω = (−ω 2 + 1)fω , che presenta singolarità non integrabili sul cammino di integrazione.
Nota Ci interesseremo in seguito principalmente di domini infiniti e semi-infiniti, per cui le
condizioni al contorno sono implicite nella scelta della base di Fourier. Esse coincidono con
la scelta di lavorare con distribuzioni temperate (di fatto la parola chiave è distribuzioni),
per cui le condizioni all’infinito sono assenti. Ricordo che trasformate e antitrasformate
sono ottenute dal lemma fondamentale, in cui il comportamento all’infinito è irrilevante
grazie alle funzioni test.
Definizione Chiamiamo soluzione fondamentale di una equazione differenziale (date le
necessarie condizioni al contorno), la soluzione della equazione L̂x(t) = δ(t).
2
Equazione di Laplace Consideriamo il Rcaso 3D in spazio
R infinito: ∇ φ = δ(x)δ(y)δ(z).
Utilizzando il teorema della divergenza: ∂V r̂ · ∇φdS = V δ(x)δ(y)δ(z)dV , dove V è la
sfera di raggio r centrata in zero. L’equazione è isotropa e anche la soluzione deve esserlo,
quindi φ(x, y, z) = Φ(r) e r̂ · ∇φ = ∂r Φ(r). Otteniamo quindi ∂r Φ(r) = 1/(4πr2 ) e quindi
1
Φ(r) = − (4πr)
, che è l’espressione per il potenziale di una carica puntiforme unitaria (presa
con segno meno) in spazio infinito.
Equazione del calore Consideriamo il caso 1D sempre in spazio infinito e per t ∈ R (quindi soluzione limitata per t → ±∞); l’equazione è (∂t − ∂x2 )φ = δ(x)δ(t). Trasformiamo di
Fourier l’equazione rispetto a x e otteniamo l’equazione di rilassamento: (∂t +k 2 )φk = δ(t).
2
La soluzione limitata per t → −∞ è φk (t) = θ(t)e−k t . Antitrasformiamo di Fourier e otteniamo φ(x, t) = 2(t/π)1/2 θ(t) exp(−x2 /(4t)). Questo è il profilo di concentrazione di una
sostanza immessa istantaneamente in x = 0, che si è diffusa per un tempo t.
Equazione di D’Alambert Posticipiamo il calcolo della soluzione fondamentale, ma notiamo che la l’equazione di D’Alambert in forma omogenea può essere scritta nella forma
(∂t2 − ∂x2 )φ = (∂t + ∂x )(∂t − ∂x )φ = 0. La sua soluzione generale è quindi una sovrapposizione di segnali che si propagano (analoghi alla soluzione della equazione di avvezione):
φ(x, t) = f− (x−t)+f+ (x+t). Rappresenta la propagazione di onde in mezzi non dispersivi.
22
10
Esercizi: Equazioni differenziali importanti in fisica
Esercizio 1 Risolvere l’equazione di avvezione (∂t −∂x )φ(x, t) = 0 nell’intervallo 0 < x < 1
e per 0 < t < 1. Considerare condizioni iniziali φ(x, 0) = x e condizioni al bordo φ(0, t) =
−t.
Esercizio 2 Trovare la forma generale della soluzione omogenea alla equazione di D’Alambert nel caso 3D (suggerimento: scrivere la soluzione in forma φ = ψ/r2 e lavorare in
coordinate sferiche.
Esercizio 3 Scrivere tramite separazione delle variabili la soluzione generale della equazione di D’Alambert omogenea nel dominio 1D 0 < x < 1, in assenza di forze esterne e
condizioni al bordo φ(0, t) = φ(1, t) = 0. Cosa potrebbe rappresentare fisicamente questo
sistema?
Esercizio 4 Derivare la soluzione fondamentale della equazione di avvezione-diffusione
[∂t − ∂x − ∂x2 ]φ = 0. Di nuovo, cosa potrebbe rappresentare fisicamente questo sistema?
Esercizio 5 Trovare la soluzione fondamentale della equazione di Laplace nella regione
di spazio 3D ad x positivi, date condizioni al contorno di Dirichlet (potenziale nullo) e
Neumann (campo normale nullo) sul piano x = 0.
Esercizio 6 Trovare la risposta di un oscillatore armonico a una forza iniziale δ(t). Perché
questo non è sufficiente a determinare la soluzione fondamentale in modo univoco? (quali
altre alternative ci sarebbero?)
Esercizio 7 Si consideri l’equazione 2∂x2 u + ∂x ∂t u − ∂t2 u = 0, x, t ∈ R. È una equazione
ellittica, parabolica o iperbolica?
Scrivere la ODE per la trasformata ûk (t). Supponendo sin da ora che dûk /dt|t=0 = 0, che
condizione se ne ricava per ûk (t)?
Trovare per t > 0 la ûk (t) e poi la u(x, t) se u(x, 0) = δ(x − 1) e poi per u(x, 0) = 1.
Esercizio 8 Trovare la soluzione stazionaria della seguente
equazione di avvezione-diffusione:
R∞
2
∂t φ+∂x (xφ)−∂x φ = 0. Dimostrare che l’integrale ∞ φ(x, t)dx è conservato dalla dinamica
(che significato fisico ha questo fatto?)
Considerare un rilascio istantaneo ad x = 0. Cosa succede nella fase iniziale subito dopo il
rilascio? Quanto dura questa fase?
Considerare il sistema forzato in cui ∂t φ + ∂x (xφ) − ∂x2 φ = δ(x) Sfruttare il fatto che questa
soluzione cresce linearmente nel tempo (perché?) e determinare la forma della soluzione a
grandi tempi.
23
11
Teoria: Il metodo delle funzioni di Green
Nota Possiamo trasformare una generica ODE lineare a coefficienti costanti in una equazione algebrica, trasformando di Fourier nelle variabili:
L̂φ = f −→ Lk φ̂k = fˆk
dove Lk è il polinomio ottenuto sostituendo in L̂, ik al posto di ciascuna derivata d/dx.
Antitrasformando la soluzione φ̂k = fk /Lk fornisce la soluzione in spazio reale φ = G ∗ f ,
dove G(x) = Fx−1 [1/Lk ] è detta funzione di Green del problema. (Se x → t, per convenzione, la trasformata è presa con eiωt invece che e−ikx ; pertanto d/dt → −iω). Notare che la
funzione Ĝω è una funzione razionale. A meno di poli sull’asse reale (nel qual caso bisogna
stare attenti con il pv; vedi seguito), si tratta quindi di una distribuzione temperata. Perché fˆω Ĝω ∈ D′ è quindi necessario che fˆω sia al più a crescita lenta e non troppo singolare.
Nota La funzione di Green coincide di fatto con la soluzione fondamentale della equazione
differenziale. Infatti Lk Ĝk = Lk /Lk = 1 che è la trasformata di Fourier di δ(x), e quindi
L̂G(x) = δ(x).
Nota Ricordiamo che la soluzione fondamentale di una equazione differenziale è determinata a meno di condizioni al contorno. Nel caso di una ODE che descrive l’evoluzione
temporale di un sistema fisico, queste condizioni sono associate alla nostra scelta di studiare
l’evoluzione a partire da condizioni iniziali, ricostruire il passato a partire dallo stato presente, o la determinazione di una traiettoria
R +∞ la soluzione di ẏ+y = f
R t dati gli estremi. Esempio:
può essere scritta nella forma y(t) = a −∞ eτ −t f (τ )dτ −(1−a) t eτ −t f (τ )dτ +be−t ; il contributo non omogeneo corrisponde a una funzione di Green G(t) = [aθ(t)−(1−a)θ(−t)]e−t .
Limitatezza della soluzione richiede che il termine omogeneo e il termine ”dal futuro” si
cancellino per t → ∞, o equivalentemente b = 0, a = 1.
Nel caso della determinazione di una soluzione per tutti i t di un sistema con dissipazione, lavorare con le trasformate di Fourier elimina questa ambiguità. L’antitrasformata di
Fourier di Ĝω attraverso il lemma fondamentale fa per noi questa selezione in maniera
automatica (il valore a = 1 nell’esempio precedente). Fisicamente, un sistema con dissipazione descrive un processo fisico irreversibile in cui deve valere il principio di causalità:
il segno della dissipazione individua una freccia del tempo rispetto alla quale è il futuro a
essere determinato dal passato e non viceversa.
Nota Va tenuto conto che il concetto di dissipazione necessario alla introduzione di una
freccia del tempo è introdotto in maniera formale. Un problema in cui questo è particolarmente chiaro é è lo spostamento x di una pallina in fluido viscoso (vedere Es. 4):
ẍ + Γẋ = f ; la dissipazione fisica (l’effetto della viscosità) è tenuta in conto in Γẋ. Per
introdurre una distinzione fra passato e futuro per x è però necessario aggiungere uno
smorzamento per x (non solo per ẋ).
Teorema La funzione di Green di un sistema causale è caratterizzata dalla proprietà
G(t) = 0 per t < 0. Si parlaR in questo caso di funzione di Green non anticipante.
∞
Infatti, la soluzione φ(t) = −∞ G(t − t′ )f (t′ ) deve ricevere contributi solo da tempi precedenti a t, cioè t − t′ > 0, e quindi G(t < 0) = 0.
24
Teorema La trasformata di una funzione di Green causale è olomorfa nel semipiano superiore. (Notiamo che nel caso di una equazione differenziale a coefficienti costanti Gω è
l’inverso di un polinomio, quindi meromorfa con al più un polo all’infinito)
Nota Attraverso il teorema dei residui, l’evoluzione φ(t) è la somma delle componenti di
Fourier dell’input calcolate nei poli di Gω , moltiplicati per e−ωn t ; questi sono degli esponenziali decrescenti più contributi conservativi ottenuti da limite di esponenziali decrescenti.
Abbiamo quindi una sovrapposizione di esponenziali decrescenti e oscillazioni.
Nota L’olomorfia nel semipiano superiore della trasformata di Fourier di una funzione di
Green causale è associata al fatto che Ĝω per Im(ω) > 0 esiste come integrale e non come
continuazione
R ∞ iωt analitica di una funzione definita per ω reale. Questo si vede dal fatto che
Gω = 0 e G(t)dt è ben definito per Im(ω) > 0. Ciò non sarebbe stato vero se l’integrale
in t fosse iniziato da −∞ invece che da zero.
Definizione Chiamiamo trasformata di Hilbert di una funzione f (x) il seguente integrale
R (y)
g(x) = Hx [f ] = π1 pv fy−x
dy.
Teorema di Titchmarsh Le parti reale ed immaginaria di una funzione f (x), il cui
prolungamento in campo complesso è olomorfo nel semipiano superiore e va a zero più
rapidamente di |z|−2 all’infinito, sono le trasformate di Hilbert l’una dell’altra. Scrivendo
f (x) = g(x) + ih(x) con g, f ∈ R:
Z +∞
Z +∞
1
1
g(y)
h(y)
h(x) = pv
dy;
g(x) = − pv
dy.
π
π
−∞ y − x
−∞ y − x
Per verificarlo, consideriamo l’integrale lungo il percorso Γ che circonda il polo da sopra.
Grazie all’ipotesi di olomorfia, esso è nullo. Utilizzando il lemma di Jordan otteniamo:
Z +∞
Z
f (y)
f (z)
dz = pv
dy − iπf (x).
0=
−∞ y − x
Γ z −x
Da qui: Hx [h] = πg(x) e Hx [g] = −πh(x).
Teorema (relazioni di Kramers-Kronig) La trasformata di Fourier di una funzione
di Green causale obbedisce il teorema di Titschmarsh. Le risultanti relazioni fra parte
immaginaria e parte reale di questa trasformata di Fourier sono dette relazioni di KramersKronig.
Esempio: l’equazione di rilassamento: ẋ + x = f . La funzione di Green generica
sarebbe [aθ(t) + (a − 1)θ(−t)]e−t con 0 ≤ a ≤ 1. La funzione di Green non anticipante è
ottenuta per a = 1 ed è finita per tutti i t. Risolvendo in spazio di Fourier, troveremmo
Gω = i(ω + i)−1 , che ha un polo semplice nel semipiano inferiore.
Esempio: l’oscillatore armonico debolmente smorzato ẍ + Γẋ + x = f ; 0 < Γ ≪ 1.
Trasformando di Fourier otteniamo Gω = [−ω 2 − iΓω + 1]−1 . Abbiamo poli nel semipiano
inferiore: ω± = −iΓ/2 ± 1 + O(Γ2 ). La funzione di Green è pertanto
Z +∞
dω
−e−iωt
G(t) =
= θ(t)e−Γt/2 [sin t + O(Γ)]
−∞ 2π (ω − ω− )(ω − ω+ )
dove l’integrale è stato calcolato lungo il percorso orario nel semipiano inferiore. Possiamo
ora prendere il limite e ottenere G(t) = θ(t) sin t. Notare che il calcolo eseguito di partenza
25
con Γ = 0 avrebbe dato risultato indefinito. Notiamo pure che il risultato ottenuto per
Γ → 0− sarebbe stato la funzione di Green anticipante G(t) = −θ(−t) sin t.
Esempio: l’equazione di D’Alambert. Dobbiamo anche in questo caso imporre la
condizione di causalità tramite uno smorzamento infinitesimo: [∂t2 + Γ∂t − ∂x2 ]φ(x, t) =
δ(x)δ(t). Consideriamo sempre spazio infinito, cosı̀ che le condizioni al contorno sono
implicite nell’uso di componenti di Fourier sia nello spazio che nel tempo. La funzione di
Green è quindi: Ĝkω = −[(ω − ω+ )(ω − ω− )]−1 dove ora ω± = −iΓ ± k. Antitrasformando
rispetto a ω, procedento come nel caso precedente, otteniamo:
Z +∞
dω
e−Γt/2
sin kt
−e−iωt
Ĝk (t) =
= θ(t) 2
[k
sin
kt
−
(Γ/2)
cos
kt]
→
θ(t)
.
k + Γ2 /4
k
−∞ 2π (ω − ω− )(ω − ω+ )
Antitrasformando rispetto a k, otteniamo G(x, t)
usare la relazione
Z +∞
dk
∂x G(x, t) = iθ(t)
sin kteikx =
−∞ 2π
= θ(t)
R +∞
dk sin kt ikx
e .
−∞ 2π k
È conveniente
1
θ(t)[δ(x + t) − δ(x − t)]
2
la quale fornisce subito il risultato G(x, t) = (1/2)θ(t − |x|).
Nota Sia nel caso dell’oscillatore armonico, che dell’equazione di D’Alambert, la parte
immaginaria della funzione di Green trasformata descrive la dissipazione.
Nel caso di D’Alambert, notiamo come la presenza di dissipazione causa anche una modificazione della parte reale di Ĝkω . Questo significa Ĝk (t) 6= e−Γt/2 Ĝk (t)|Γ=0 e quindi
G(x, t) 6= (1/2)e2 −Γt/2θ(t − |x|). In altre parole, la dissipazione non si limita a smorzare,
ma deforma il segnale (nel caso di una onda elettromagnetica, si direbbe che causa dispersione). Le relazioni di Kramers-Kronig (dette per questo anche relazioni di dispersione)
permettono di calcolare la dispersione a partire dallo smorzamento.
Definizione (trasformata di Laplace)
Chiamiamo trasformata di Laplace di una funzioR∞
ne f (t), l’integrale f˜s = Ls [f ] = 0 f (t)e−st dt, dove si suppone che f (t) cresce per t → ∞
al più come un esponenziale eλt e si sceglie di conseguenza s > λ. La retta Re(s) = λ nel
piano complesso è detta ascissa di convergenza.
Nota La trasformata di Laplace è connessa a quella di Fourier tramite la relazione f˜s =
Fi(s−λ) [θ(t)f (t)e−λt ]. Essendo θ(t)f (t) = 0 per t < 0, fˆω è olomorfa nel semipiano complesso superiore. Quindi f˜s sarà olomorfa per Re(s) > λ. Inoltre, se f e−λt ∈ L1 , f˜s sarà
infinitesima per |s| → ∞ nel semipiano s > λ.
Teorema (inversione della trasformata di Laplace) Se f (t) cresce per t → ∞ al più
come eλt , e f (t)e−λt ∈ S ′ , varrà la formula per t > 0 (integrale di Bromwich):
1
f (t) =
2πi
Z
s̄+i∞
f˜s est ds
s̄−i∞
con s̄ > λ arbitrario.
Per dimostrarlo, partiamo dalla relazione f˜s̄−iω = Fω [e−s̄t
f (t)θ(t)] che implica, siccome
R +∞
e−s̄t f (t)θ(t) ∈ S ′ la possibilità di invertire: e−s̄t f (t)θ(t) = −∞ dω
e−iωt f˜s−iω e quindi f (t) =
2π
26
R +∞
dω (s̄−iω)t ˜
e
fs̄−iω .
−∞ 2π
Da qui si ottiene, scrivendo s = s̄ − iω e poi cambiando segno e verso
di integrazione all’integrale, la formula di Bromwich.
Nota Se f˜s si comporta bene all’infinito per Re(s) < 0, l’integrale di Bromwich si può
chiudere e calcolare sommando sui residui posti a Re(s) < λ.
Nota (applicazione alla risoluzione di ODE) La formula Fω [f˙] = −iω fˆω diventa,
nel caso della trasformata di Laplace: Ls [f˙] = −f (0) + sf˜s . Infatti, integrando per parti:
R∞
R∞
R +∞
f˜˙s = −∞ e−st θ(t)f˙(t)dt = s −∞ e−st θ(t)f (t)dt − −∞ e−st δ(t)f (t). La formula si itera
naturalmente per le derivate successive.
La applichiamo all’oscillatore armonico ẍ + x = f , che ha comportamento esplosivo per t
grandi. Abbiamo ẍ˜s = −ẋ(0) + sẋ˜s = −x(0) − ẋ(0) + s2 x̃s . L’equazione per le trasformate
di Laplace diventa quindi: [s2 + 1]x̃s = f˜s + x(0) + ẋ(0).
Notare come le condizioni iniziali entrano insieme al termine non omogeneo. Ricordo che
nel caso della trasformata di Fourier, la condizione iniziale era automaticamente a t → −∞
e posta formalmente a zero (sostanzialmente se in L1 , solo dopo proiezione su funzione test
nel caso di distribuzione temperata).
Nota Si sarebbe potuto tenere conto di condizioni iniziale con una trasformata di Fourier
unilaterale. Laplace permette di considerare però problemi come l’antioscillatore ẍ−x = f ,
che esplode per t → ∞.
27
12
Esercizi: Il metodo delle funzioni di Green
Esercizio 1 Calcolare la funzione di Green dell’equazione di D’Alambert smorzata. Come si potrebbe quantificare la dispersione di un pacchetto d’onde rispetto al caso non
dissipativo?
Esercizio 2 Trovare la funzione di Green della equazione di D’Alambert in 3D. (Suggerimento: esprimere il Laplaciano in coordinate sferiche, e scrivere la funzione di Green nella
forma G(r, t) = rn χ(r, t) per un opportuno valore di n).
R +∞
Esercizio 3 Si consideri il seguente integrale: pv −∞ [(ω − αi)(ω − ν)]−1 e−iω dω, dove
ω, α, ν ∈ R. Calcolare l’integrale nel caso α > 0. Si chiede se il simbolo di valore principale
è superfluo. Lo stesso nel caso α < 0.
Si chiede se i risultati ottenuti forniscono delle ”relazioni di dispersione” e perché. In caso
affermativo, indicare le due funzioni ”parte reale” e ”parte immaginaria” che risultano da
tali relazioni.
Esercizio 4 Una particella in moto in un fluido viscoso sotto l’effetto di una forza, obbedisce l’equazione ẍ + Γx = f , dove x indica la coordinata. Si supponga che f (t) = F per
t ∈ [0, T ] e sia nulla altrove.
Studiare le proprietà in campo complesso della soluzione trasformata x̂ω . Esiste l’antitrasformata di Fourier (in qualche senso) della soluzione?
Risolvere l’equazione in spazio fisico per condizioni iniziali x(0) = ẋ(0) = 0. Spiegare i
risultati al punto precedente in base alle proprietà della soluzione.
Ripetere il calcolo utilizzando il metodo delle trasformate di Laplace.
Esercizio 5 La trasformata di Fourier della funzione di Green di un sistema è data da
Ĝω = −iω. Dimostrare che G(t) 6= L1 e G(t) 6= L2 , ma che l’output v(t) è facilmente
esprimibile in termini dell’input x(t) se quest’ultimo è derivabile. Il sistema è causale?
Considerare i seguenti input non derivabili x(t) = e−|t| e x(t) = θ(T − |t|). Lavorando in
spazio di Fourier e poi antitrasformando, calcolare la risposta v(t) e discutere il risultato
in termini di teoria delle distribuzioni.
La funzione Ĝω può essere ottenuta come limite della successione Ĝn,ω = −iω[1+(ω/n)2 ]−1 .
Calcolare Gn (t) e studiarne l’andamento. Esiste il limite puntuale di Gn (t)?
Esercizio 6 Un sistema lineare indipendente dal tempo e con funzione di Green ∈ L2 ha
la proprietà che se l’input è = φ(t) = t−1 sin t, l’output è identicamente nullo. Spiegare
come ciò sia possibile, mostrando in particolare come ciò non implica che l’output sia nullo
indipendentemente dall’input. Trovare un altro input (non proporzionale a φ) che dia di
nuovo output nullo e caratterizzare infine il nucleo della funzione di Green.
Dire se la trasformata di Fourier della funzione di Green di un simile sistema può essere
olomorfa nel semipiano Im(ω) > −ǫ per un qualche ǫ > 0.
Supporre che G(t) = (it + 1)−1 e−iαt , α ∈ R. Dire come bisogna scegliere α in modo che il
sistema abbia la proprietà discussa all’inizio.
28
Esercizio 7 Se a un sistema lineare, causale e indipendente dal tempo si applica l’input
a0 (t) = e−|t| , l’output sarà b0 (t) = θ(t)e−t . Ci si deve attendere che anche per qualsiasi
altro input a(t), l’output sia b(t) = θ(t)a(t)? Un sistema con tali proprietà potrebbe essere
causale?
Trovare la Ĝω del sistema descritto all’inizio. Trovare da qui la risposta del sistema ai due
input: a(t) = θ(−t)tet e a(t) = θ(1 − |t|).
Trovare l’equazione differenziale cui soddisfa il sistema e la sua funzione di Green G(t).
29
13
Teoria: Serie divergenti e serie asintotiche
Nota Una serie come S = 1 − 1 + 1 − 1 + . . . è divergente. Questo significa che la sua
somma non può essere calcolata
limite delle ridotte, ma non che la somma non esiste.
P∞come
n
Infatti, per |z| < 1 abbiamo k=0 z = (1 − z)−1 ed S è ottenuta come limite per z → −1
di (1 − z)−1 , cioè S = 1/2.
Nota (somma alla P
Eulero) Il metodo appena descritto può essere generalizzato alla
generica somma S = k ak con terminiPche crescono più lentamente di una potenza. In
tal caso, possiamo definire S = limz→1− k ak z k .
Vorremmo però delle tecniche che permettano di dare senso a serie divergenti in casi più
generali. La questione è connessa al problema della continuazione analitica di una funzione
fuori dal suo iniziale dominio di definizione.
Teorema Una funzione f nulla in una successione di punti zn → z con z nel dominio K
di olomorfia di f , è nulla in tutto il piano complesso.
Infatti, le derivate in z possono essere calcolate come limiti dei rapporti incrementali sui
punti zn e risultano tutte nulle. Essendo f analitica in z, significa che la serie di Taylor
di f per z 6= 0 è formata di zeri, ha quindi raggio di convergenza infinito, e la funzione è
nulla in tutto il piano complesso.
Nota Evidentemente, lo stesso vale nel caso di una linea o un elemento d’area in cui f = 0.
Definizione Chiamiamo prolungamento analitico di una funzione f all’esterno di un dominio K in cui f è analitica, una funzione g definita in un dominio H contenente K, uguale
a f in K e analitica in tutto H.
Teorema Il prolungamento analitico di una funzione da K a un certo dominio H è unico.
Infatti, se ce ne fossero due, la loro differenza sarebbe nulla in K e quindi in tutto H.
Nota Se la funzione prolungata non è analitica in tutto il dominio, in particolare in presenza di tagli, non è detto che il prolungamento sia unico. Ad esempio, la funzione z 1/2
con z = x + iy, definita per x > 0 in modo che il taglio sia nei quadranti con x < 0,
ha prolungamenti analitici diversi in x < 0 a seconda che il prolungamento sia effettuato
attraversando il taglio o meno.
Nota Non è detto che una funzione analitica sia prolungabile. Ecco un esempio dove è
impossibile. Sia f (z) = 1 + z + z 2 + z 4 + . . .; evidentemente f è singolare in z = 1. Ma
f (z) − z = f (z 2 ) che è singolare in ±1. Iterando la procedura, vediamo che la serie con
n
termini sottratti sino a z 2 incluso è singolare nelle 2n radici dell’unità. Proseguendo per
n → ∞, vediamo che f è singolare in tutta la circonferenza unitaria. Non può quindi essere
prolungata al di fuori di essa.
Nota (prolungamento alla Weierstrass) L’idea è di espandere in serie di Taylor a
salti da un punto nel dominio iniziale al punto desiderato. Spieghiamo con un esempio.
Supponiamo di conoscere f (z) tramite la sua serie di Taylor in z = 0 e di sapere che una
sola singolarità sia presente in z = 1. Per prolungare ad esempio in z = −(3/2), che è
fuori dal raggio di convergenza della serie di Taylor in z = 0, calcoliamo prima (per esempio) f (−3/4), che è dentro il raggio di convergenza. Possiamo quindi farlo con precisione
arbitraria. Lo stesso possiamo fare con quante derivate desideriamo nello stesso punto.
Il raggio di convergenza attorno a z = −3/4 è = 1 + 3/4 = 7/4 e possiamo espandere a
30
z = 3/2 senza problemi.
P
Nota (somma alla Borel) Supponiamo S = n an sia divergente, con an che cresce
più velocemente di una potenza di n. In questo
caso la somma alla Eulero non si può
P
effettuare direttamente. La somma S(z) = n an z n avrà raggio di convergenza R finito a
patto che an cresca al più come an (in questo caso, R =Pa−1 ). Cerchiamo il prolungamento
n
analitico a z = 1 > R. Introduciamo la serie Φ(z) = ∞
n=0 (1/n!)an z , che avrà raggio di
convergenza infinito. Per |z| < R, otteniamo immediatamente:
Z ∞ n
Z ∞
Z ∞X
∞
∞
∞
X
X
t −t
(zt)n −t
n
−t
e dt =
e dt =
z
an z n = S(z). (1)
Φ(zt)e dt =
n!
n!
0
0
0
n=0
n=0
n=0
P
(zt)n −t
converge a Φ(zt)e−t uniformemente in doNotiamo che per ogni z, la serie ∞
n=0 n! e
P
|an ||zt|n −t
mini finiti di t. Inoltre, le somme parziali possono essere dominate da ∞
e =
n=0
n!
P∞ |zt/R|n −t
C + n=0 n! e = exp[(|z|/R−1)t], dove C è una quantità finita. La funzione a secondo
membro è integrabile per |z| < R, ed era quindi lecito estrarre laRsomma dall’integrale nel
∞
secondo passaggio della Eq. (1).
> R, la scrittura S(z) = 0 Φ(zt)e−t dt costituisce
P Per |z|
n
il prolungamento analitico di n aP
nz .
Nota Una serie di potenze S(z) = n an z n , con an che cresce più rapidamente di un esponenziale di n avrà raggio di convergenza zero. Ciò nonostante, sino
Pa quando an cresce più
lentamente di n!, sarà possibile introdurre una funzione Φ(z) = n (an /n!)z n (la serie ha
di nuovo raggio di convergenza finito).
se una definizione del valore della
R ∞ Ci domandiamo
−t
somma S(z) attraverso l’integrale 0 Φ(zt)e dt può avere senso anche in questo caso.
Definizione (notazioni di ordine di grandezza) diciamo che xn = O(yn ) per n → ∞
se esiste M < ∞ tale che limn→∞ |xn /yn | < M . Si dice invece che xn = o(yn ) se
limn→∞ |xn /yn | = 0.
Pn
Definizione (serie asintotica) Si dice che la serie di funzioni Sn (x) =
k=0 fn (x),
dove fn (x) = O(fn−1 (x)) per x → x0 , è asintotica a S(x) per x → x0 , se vale la relazione limx→x0 [S(x) − Sn (x)]/fn (x) = 0. Indichiamo questa relazione con la scrittura
Sn (x) ∼ S(x), x → x0 .
Definizione In maniera analoga, diciamo che una funzione f (x) è asintotica a g(x) per
x → x0 , e lo indichiamo con la scrittura f (x)
x → x0 , se limx→x1 f (x)/g(x) = 1.
P ∼ g(x),
n
Nota (approssimazione ottimale) Sia n an x una serie di potenze con raggio di convergenza nullo. (Chiameremo di seguito una serie di potenze di questo tipo una serie
asintotica divergente). Definiamo n(|x|) il valore di n (per |z| piccoli), per cui |an xn | ≈ 1.
Evidentemente limAx→0 n(z) = ∞. Siccome |an xn | decresce con n sino a n ≈ n(|x|), ci
aspettiamo che la migliore approssimazione di P
S(x) sia ottenuta da Sn (x) per n < n(|x|).
Teorema Data una serie di potenze S(x) = n an xn , è sempre possibile costruire una
funzione f (x) continua in x = 0 tale che la serie sia asintotica a f (0).
Nel caso di una serie con raggio di convergenza finito, evidentemente, si tratta della funzione
di cui S(x) è la serie di Taylor. Nel caso di raggio di convergenza zero, costruiamo la nostra
funzione f (x) a partire da una serie di funzioni gn (x) tali che limx→0 gn (x)/xn = an (questo
garantisce che la serie è asintotica a f ), ma che limn→∞ gn (x) = 0 per x 6= 0. La seconda
condizione (come si vedrà necessaria a garantire continuità di f ) la possiamo soddisfare im31
ponendo gn (x) = 0 quando n è cosı̀ grande che i termini nella somma originaria an xn diventano essi stessi troppo grandi. Possiamo ad esempio imporre che gn (x) vada a zero quando
|an+1 x/an | supera una soglia c < 1. Questo individua una soglia n(x, c) per n e nel contempo, per n fissato una regione di transizione, presso x = x(n, c), da gn (x) = an xn a zero. La
transizione ha da essere continua, evidentemente, se fP
deve essere essa stessa
continua. Per
Pn(c,x)
x piccolo n(x, c) sarà grande e quindi |f (x)−f (0)| = | k>1 gk (x)| ≤ |a1 x| k=0 ck ≈ |a1 x|
e la condizione di continuità è verificata.
Teorema Se f (x) è espandibile in serie di potenze (positive e intere) attorno a x = 0, vi
è una sola serie asintotica a f in x = 0.
Nota (Serie asintotiche in campo complesso) Se f (z) ammette una sviluppo in serie
di potenze in un intorno di z = 0, significherebbe che f è olomorfa in questo intorno e quindi la serie di potenze sarebbe la serie di Taylor di f . Questa avrà raggio di convergenza pari
alla distanza alla più più vicina singolarità. Perché la serie abbia raggio di convergenza
nullo è necessario che la serie di potenze sia asintotica a f solo in degli spicchi dell’intorno
di z = 0.
Nota (contributi sottodominanti) Supponiamo una funzione f (z) abbia una rappresentazione per mezzo di una serie di potenze Sn (z) in un certo settore attorno a z = 0,
per esempio, nell’intervallo di fasi di z [−π/4, +π/4]. Notiamo che in questo intervallo, la
funzione g(z) = exp(−1/x4 ) va a zero più rapidamente di qualsiasi potenza per |z| → 0.
Pertanto, Sn (z) sarà asintotica non solo a f (z) ma anche a f (z) + g(z). La funzione g(z)
è detto un contributo sottodominante. Contributi sottodominanti sono associati alla presenza di singolarità essenziali in z → 0 che fanno sı̀ che f non sia ivi espandibile in serie
di Taylor. Nota bene che non è la funzione f che si comporta male variando arg z, bensı̀
la sua serie asintotica.
Definizione La linea di demarcazione di una regione in cui un contributo sottodominante
rimane tale è detta linea di Stokes. Quando attraversando una linea di Stokes vi è lo scambio di un contributo dominante con uno sottodominante, si dice che si ha un fenomeno di
Stokes.
Teorema Una funzione espandibile in serie di potenze (positive intere) ammette un unico
sviluppo asintotico; al contrario una serie di potenze individua una funzione a meno di
contributi sottodominanti. Se la serie di potenze ha raggio di convergenza nullo, il settore
di validità in cui è asintotica alla funzione è minore di 2π.
Teorema Se le serie di potenze Sn e Rn sono asintotiche a funzioni f e g, Sn + Rn sarà
asintotica a f + g e SnRRn lo sarà a f g. In manieraRanaloga f Rn sarà asintotica a f g. Se f
x
x
è integrabile in [0, x], 0 Sn (y)dy sarà asintotica a 0 f (y)dy. Non è invece detto che Sn′ (x)
sia asintotica a f ′ (x).
R
In tutti i casi, f + g, f g, f e f ′ si possono ricostruire da serie di potenze che poi si
esprimono, a ciascun ordine, in funzione di quelle per f e g. L’operazione di derivata,
però, ha l’effetto di trasformare contributi sottodominanti in dominanti. Ecco un esempio:
g(x) = e−1/x sin(e1/x ); g ′ (x) = x−2 [−cos(e1/x ) + e−1/x sin(e1/x )].
32
14
Esercizi: Serie divergenti e asintotiche
Esercizio
R ∞ −zt2 1 Trovare la continuazione analitica per Re(z) < 0 della funzione F (z) =
e
dt.
0
Esercizio 2 Sommare con il metodo di Eulero le seguenti serie: 1 + 0 + (−1) + 0 + . . .;
1P+ 0 + 0 + (−1) + 1 + 0 + 0 + (−1) + 1 + 0 + 0 . . .; 1 + (−1) + 0 + 0 + 1 + (−1) + 0 + 0 . . .;
∞
n 2
n=0 (−1) n .
Esercizio 3 Mostrare che 0! − 2! + 4! − 6! + . . . non è Borel-sommabile, ma che 0! + 0 −
2! − 0 + 4! + 0 − 6! + 0 + . . . lo è e calcolarne la somma secondo Borel.
R∞
P
2 −1 −t
n
n
Esercizio 4 Dimostrare che ∞
n=0 (−1) (2n)!x è asintotica a I(x) = 0 [1 + xt ] e dt.
Esercizio 5 Una soluzione sottodominante alla ODE x2 y ′′ + (3x − 1)y ′ + y = 0 è y(x) =
x−1 exp(−1/x). Cosa succede alla linea di Stokes? C’è un fenomeno di Stokes?
P
Esercizio 6 MostrarePche se f (z) è analitica per α < arg(z) < β e n an z n è asintotica in
questo settore, allora n nan z n−1 è asintotica a f ′ (z) in questo settore. Suggerimento: usare la formula di Cauchy su un percorso circolare contenuto nel settore e usare l’espansione
asintotica di f per approssimare uniformemente f ′ (z).
Esercizio 7 Considerare una funzione f (z) che soddisfa il criterio del problema precedente
e supporre che il settore di validità dello sviluppo asintotico contenga l’asse reale. ConsiderareP
ora la funzione g(z) = f (z) + exp(−1/z) sin(exp(1/z)). Evidentemente non è più vero
che n nan z n−1 è asintotica a g ′ (z). È questo un controesempio all’esercizio precedente?
33
15
Teoria: Metodi di approssimazione locali
Teoria delle perturbazioni
Perturbazioni singolari e regolari Vogliamo risolvere rispetto a x l’equazione L(x, ǫ) =
0 per piccoli valori del parametro ǫ. Ci aspettiamo una soluzione in forma di serie perturbativa x(ǫ) = x0 δ0 (ǫ) + x1 δ1 (ǫ) + . . ., dove limǫ→0 δn+1 (ǫ)/δn (ǫ) = 0. (non è detto in genere
che δn (ǫ) = ǫn ) Se il limite δn (ǫ → 0) esiste finito, la serie perturbativa è detta regolare,
altrimenti è detta singolare. Tipicamente, questo significa che il problema descritto da
L(x, 0) = 0 differisce in maniera sostanziale dal limite ǫ → 0.
2
Esempio La soluzione
√ della equazione x + 2x2 + ǫ = 0 ammette lo sviluppo perturbativo
regolare x = −1 ± 1 − ǫ = −1 ± (1 − ǫ/2 −√ǫ /8 + . . .).
La soluzione di ǫx2 + 2x − 1 = 0, x = [−1 ± 1 + ǫ]/ǫ, ha uno sviluppo singolare nel caso
della radice negativa: x = −2/ǫ − 1/2 + ǫ/8 + . . .. Per ǫ = 0, l’equazione 2x − 1 = 0 ha
solo la soluzione positiva.
La soluzione di L(x, ǫ) = ǫẍ + ẋ + x = 0 con condizione iniziale ẋ(0) = 0, x(0) = 1, ha
soluzione; l’equazione L(x, 0) = 0 con le stesse condizioni iniziali non ha soluzione.
Nota La presenza del fattore ǫ di fronte alla potenza più alta in una equazione algebrica,
della derivata di ordine più alto in una ODE o una PDE, segnala di solito comportamenti
singolari per ǫ → 0.
Nota La teoria delle perturbazioni in meccanica quantistica, in cui la correzione è al potenziale, è una teoria perturbativa regolare. Il limite quasi classico ~ → 0 produce invece
una teoria perturbativa singolare.
Il bilancio dominante Tipicamente, l’equazione L(x, ǫ) = 0 si può scrivere in una somma
di termini, ciascuno moltiplicato da qualche potenza di ǫ. Per ottenere l’ordine zero, una
strategia è quella di bilanciare gruppi di termini per cui l’equazione è risolvibile e vedere se
sostituendo il risultato nei termini rimanenti, questi ultimi risultano trascurabili rispetto
agli altri. Per esempio, per ǫx2 + 2x − 1 = 0, vediamo che la soluzione di 2x − 1 = 0
garantisce ǫx2 = ǫ/4 ≪ 2x, 1; allo stesso tempo ǫx2 + 2x = 0 produce x = −2/ǫ e quindi
1 ≪ ǫx2 , 2x. Una procedura alternativa di tipo sistematico è di ipotizzare via via tutti
i possibili ordini di grandezza di x rispetto a ǫ e vedere se è possibile bilanciamento dei
termini nell’equazione.
Il metodo iterativo Una volta individuato un raggruppamento di termini L(x, ǫ) =
L̄(x, ǫ) + L̃(x, ǫ), dove L̄ = 0 fornisce l’ordine zero, una strategia per il calcolo delle correzioni successive è il metodo iterativo; L0 (x(n+1) , ǫ) = −L̃(x(n) , ǫ), dove x(0) è l’ordine zero
x0 δ0 (ǫ). La soluzione x(n) permetterà di determinare l’ordine in ǫ della correzione n−esima,
cioè il fattore δn (ǫ). Per esempio se è una serie a potenze intere o meno.
Il metodo perturbativo Una volta nota la forma dei termini di espansione, l’equazione
perturbativa si ottiene sostituendo x = x0 δ0 (ǫ) + x1 δ1 (ǫ) + . . . in L(x, ǫ) = 0, raggruppando
termini con lo stesso ordine e ponendoli individualmente uguali a zero. Per esempio, per
x2 + 2x + ǫ = 0, abbiamo x20 + 2x0 = 0; 2x0 x1 + 2x1 + ǫ = 0; x21 + 2x0 x2 + 2x2 = 0 e cosı̀
via.
34
Comportamento locale di ODE
Definizione Consideriamo una ODE lineare omogenea an (x)y (n) +an−1 (x)y (n−1) +. . . a1 (x)y ′ +
a0 (x)y = 0. Diciamo che il punto x0 è un punto regolare della equazione se tutti i coefficienti sono analitici in x0 . Diciamo che è un punto singolare regolare se ci sono ak (x)
singolari in x0 , ma (x − x0 )n−k ak (x) è analitico in x = x0 . In tutti gli altri casi diciamo
che x0 e un punto singolare irregolare.
Definizione Nel caso del punto all’infinito, bisogna cambiare variabili: x → z = 1/x e
studiare la regolarità o singolarità del punto z = 0.
Teorema di Fuchs Sia y = y(x) una soluzione di una ODE lineare omogenea. Se x0 è
un punto regolare, y(x) potrà essere sviluppata in serie di Taylor attorno a x0 . Se x0 è un
punto singolare regolare, sarà possibile sviluppare y(x) in una serie cosı̀ detta di Frobenius, cioè una serie di potenze intere moltiplicata da un termine (x − x0 )α con esponente
non intero. Nel caso di un punto singolare irregolare, non ci sono regole generali, ma la
soluzione potrebbe avere una singolarità essenziale in x0 .
Equazioni del prim’ordine
Nel caso di una equazione y ′ + a(x)y = 0, la soluzione è
Rx
y(x) = y(0) exp(− 0 a(x′ )dx′ ). Nel caso x = 0 sia un punto regolare, a(x) ammetterà una
espansione in serie di Taylor e lo stesso sarà vero per y(x).
Nel caso di una singolarità regolare, l’equazione sarà nella forma xy ′ + b(x)y = 0, con b(x)
analitica in zero. Nel caso più semplice di una costante, xy ′ + by = 0 ha soluzione una
legge di potenza y(x) = cx−b . In generale, scrivendo b(x) = b̄ + b̃(x), b̃(0) = 0, possiamo
definire y(x) = x−b̄ Y (x) e sostituendo in xy ′ + b(x)y = 0 otteniamo Y ′ + b̃′ (x)Y = 0 in cui
x = 0 è un punto regolare.
Nel caso di una singolarità essenziale irregolare, per esempio a(x) = x−α b(x) con b(x) anaRx
b(0) 1−α
litico e b(0) 6= 0 abbiamo per x → 0: y(x) ≃ c exp(−b(0) 0 z −α dz) = c exp(− 1−α
x ).
Per α < 1, abbiamo un punto di diramazione (ed una espansione in potenze frazionarie di
y) in zero. Per α > 1 abbiamo una singolarità essenziale.
Definizione (il metodo di Frobenius) Una volta che è noto il tipo di espansione (per
esempio, una serie di Taylor, o una serie di Frobenius), i coefficienti della serie
P possono
essere calcolati con il metodo di Frobenius: si sostituisce l’espansione y(x) =
an xαn in
L(y, x) = 0 e si procede in teoria perturbativa con |x − x0 | come termine di espansione.
Leading order e fattore di controllo
Nota Ci interessiamo dello sviluppo di Frobenius nei pressi di punti singolari irregolari.
Ci aspettiamo l’insorgere di serie asintotiche divergenti unite a combinazioni di singolarità
essenziali. Il problema perturbativo sarà tipicamente di tipo singolare ed il primo passo è
la determinazione di un opportuno ordine zero.
Nota (uso dell’iconale) Siccome ci aspettiamo una singolarità essenziale, è conveniente
scrivere y(x) = eS(x) e risolvere per S. Tipicamente S(x) avrà una singolarità del tipo di
una potenza negativa di |x − x0 | vicino a x0 . Per questo, ci aspettiamo che |S ′ |n ≫ |S (n) |
per x → x0 . Questa è l’ipotesi di lavoro per la determinazione del gruppo dominante, da
verificarsi ovviamente a posteriori.
Esempio x3 y ′′ = y; il punto x = 0 è una singolarità irregolare. Ponendo y = eS , troviamo
35
S ′′ + (S ′ )2 = 1/x3 . All’ordine più basso otteniamo S ′ = ±x−3/2 e quindi S(x) = ∓2x−1/2 .
Limitiamoci a considerare la branca positiva. Procedendo iterativamente, scriviamo S(x) =
2x−1/2 + S̃, da cui otteniamo, sostituendo nella (1): S̃ ′′ + (S̃ ′ )2 − 2x−3/2 S̃ ′ + (3/2)x−5/2 = 0
(1). Ci aspettiamo S̃ = o(x−1/2 ) per x → 0. Quindi S̃ ′′ = o(x−5/2 ), (S̃ ′ )2 = o(x−3 ) e
−2x−3/2 S̃ ′ = o(x−3 ); evidentemente S̃ ′′ può essere trascurato. Scrivendo (S̃ ′ )2 −2x−3/2 S̃ ′ =
S̃ ′ [S̃ ′ − 2x−3/2 ] vediamo che il primo termine in [...] è trascurabile rispetto al secondo.
Rimaniamo quindi con il gruppo dominante −2x−3/2 S̃ ′ + (3/2)x−5/2 = 0 da cui otteniamo
S̃(x) = (3/4) ln x. Ripetiamo l’operazione ancora una volta definendo S(x) = 2x−1/2 +
(3/4) ln x + Ŝ. Sostituendo nella (1), otteniamo Ŝ ′′ + (Ŝ ′ )2 + [(3/2)x−1 − 2x−3/2 ]Ŝ ′ −
(3/16)x−2 = 0. Vediamo subito che (3/2)x−1 Ŝ ′ è trascurabile per x → 0. Poi supponiamo
che Ŝ ′ = o(S̃ ′ ) = o(x−1 ) per x → 0. Questo elimina subito Ŝ ′′ di fronte a −2x−3/2 Ŝ ′
rimaniamo quindi con Ŝ ′ = −(3/32)x−1/2 che ha soluzione Ŝ(x) = Ŝ(0) + (3/16)x1/2 .
Definizione Definiamo il leading order della soluzione y(x) nei pressi di un punto singolare
x0 , il fattore eS0 contenente i termini in S(x) singolari in x → x0 . Il fattore di controllo è
il termine dominante nella espansione in S. Nell’esempio precedente, l’ordine dominante è
dato da x3/4 exp(2x−1/2 ) e il fattore di controllo è 2x−1/2 .
Esempio (oltre l’ordine dominante) Consideriamo sempre la stessa equazione x3 y ′′ =
y; abbiamo ottenuto come leading order y(x) ∼ x3/4 exp(2x−1/2 ). Potremmo continuare in
maniera iterativa con l’equazione per S, ma il termine (S ′ )2 complica la vita al momento di
usare il metodo di Frobenius. Scriviamo quindi y(x) = w(x)x3/4 exp(2x−1/2 ) e sostituiamo
in x3 y ′′ = y. Il risultato è la seguente equazione w′′ +[(3/2)x−1 −2x−3/2 ]w′ −(3/16)x−2 w = 0.
Di nuovo abbiamo una singolarità irregolare in x = 0. In effetti è possibile vedere che c’è
−1/2
una singolarità essenziale ∝ e−4x , che moltiplicata x3/4 exp(2x−1/2 ) produce la seconda
−1/2
radice del bilancio dominante y ∝ e−2x . L’altra soluzione sappiamo che deve andare a
una costante per x → 0. Sostituendo nella equazione per w e procedendo iterativamente,
vediamo che la prima correzione
è ∝ x1/2 , la seconda ∝ x e cosı̀ via. Sostituiamo quindi la
P
serie di potenze w(x) = n wn xn/2 e otteniamo
X
n
wn
hnn
i
3n
3
− 1 xn/2−2 + xn/2−2 − nxn/2−5/2 − xn/2−2 = 0.
2 2
4
16
Il risultato è wn+1 = (2n−1)(2n+3)
wn . Iterando vediamo che wn cresce come n!. Ecco il
16(n+1)
primo esempio di serie asintotica divergente.
Nota Se facciamo il cambio nella fase di x: arg x → arg x + 2π, vediamo che il termine
1/2
−1/2
di ordine dominante diventa sottodominante |x|3/4 e2|x| → −i|x|3/4 e−2|x| . Allo stesso
tempo, il termine sottodominante diventerà dominante. Le linee di Stokes sono poste a
arg x = ±π/2 e limitano il settore di validità della espansione asintotica. Va comunque
ricordato che il piano complesso conteneva in ogni caso dei tagli (quindi anche se il settore
era > 2π, non c’erano contraddizioni con la richiesta che la funzione non fosse olomorfa
attorno a x = 0.
−1/2
Nota Sulle linee di Stokes, la soluzione di x3 y ′ = y diventa oscillante: y(x) ∼ x3/4 e2i|x| ,
che corrisponde a risolvere l’equazione x3 y ′′ = −y. Una soluzione reale sarà ∝ cos(2|x|−1/2 +
φ). Il concetto di asintoticità viene messo in crisi negli zeri della funzione, giacché se gli
36
zeri del termine dominante ȳ(x) ∝ cos(2|x|−1/2 + φ) e quelli della soluzione esatta y(x) non
coincidono, la scrittura ȳ(x) ∼ y(x), x → 0 sarà falsa negli zeri delle due funzioni. Può
essere sistemato, ma è una questione formale rognosa e ce ne disinteressiamo.
Nota Il metodo di Frobenius continua ad essere applicabile nel caso di ODE non omogenee.
In presenza di singolarità nella parte omogenea o quella non-omogenea della equazione, il
metodo del bilancio dominante continua ad essere utilizzabile.
Esempio L’equazione di Airy non omogenea: y ′′ = xy − 1 ha una singolarità irregolare
all’infinito nella parte omogenea. L’unica soluzione inomogenea è però quella data da
xy = 1. L’equazione y ′ + xy = x−4 ha singolarità in x = 0 nel termine non-omogeneo. Il
2
bilanciamento |y ′ |, |xy| ≫ |x−4 | non vale: la soluzione di y ′ + xy = 0 è y(x) = ce−x /2 che
viola il bilanciamento. Il bilanciamento |xy|, |x−4 | ≫ |y ′ | non vale ugualmente: la soluzione
y = x−3 produce y ′ = −3x−4 che viola il bilanciamento. La possibilità rimanente y ′ = x−4
ha soluzione y = c + x−3 /4, che va bene poiché |xy| ≪ |y ′ |, |x−4 |.
37
16
Esercizi: Metodi di approssimazione locali
Esercizio 1 Trovare le radici a ordine zero della equazione ǫ2 x3 +x2 +2x+ǫ = 0, e calcolare
due ordini successivi in ciascuna radice.
Esercizio 2 Determinare con il metodo iterativo che tipo di espansione perturbativa,
inclusi i δn (ǫ), è quella per l’equazione (1 − ǫ)x2 − 2x + 1 = 0.
2
Esercizio 3 Trovare i primi termini nella espansione della soluzione a e−x = ǫx.
Esercizio 4 Trovare un esempio di una relazione asintotica f (x) ∼ g(x), x → ∞ che non
vale con gli esponenziali (nel senso che l’affermazione ef (x) ∼ eg(x) x → ∞ è falsa).
Esercizio 5 Trovare il comportamento leading
order per x → 0+ delle seguenti equazioni:
√
x4 y ′′′ = y; x4 y ′′′ − 3x2 y ′ + 2y = 0; y ′′ = xy; x6 y ′′ = ex y; x5 y ′′′ − 2xy ′ + y = 0; x4 y ′′ −
x2 y ′ + y/4 = 0; y ′′ = (cot x)4 y.
Esercizio 6 Trovare il comportamento leading order per x → ∞ delle seguenti equazioni:
y ′′ = xy (equazione di Airy); y ′′ + y ′ /x − ((1 + ν/x)2 ) = 0 (equazione di Bessel modificata);
y ′′ + (ν + 1/2 − x2 /4)y = 0 (equazione parabolica cilindrica). Analizzare eventuali fenomeni
di Stokes.
Esercizio 7 Ottenere lo sviluppo asintotico per piccoli x della soluzione della equazione
x2 y ′′ + (2x + 1)y ′ − x2 [e2/x + 1]y = 0.
Esercizio 8 Trovare le linee di Stokes a z → ∞ per le seguenti ODE y ′′ + (1 + 2x−1/2 )y ′ +
y/4 = 0; y ′′ = z 1/3 y; y ′′′ = −zy; y ′′ = z 8 e1/z y; d2 y/dz 4 = z 2 y. (Attenzione a non confondere
linee di Stokes con i tagli; le linee di Stokes vanno trovate sui fogli di Riemann appropriati).
Esercizio 9 Mostrare che
2 4 2 4 6 2
arcsin x
x + x3 +
x5 +
x7 + . . . = √
3
3 5
3 5 7
1 − x2
Esercizio 10 Determinare i termini successivi nello sviluppo della soluzione inomogenea
alla equazione y ′′ = xy − 1. Notare che si tratta di una serie asintotica divergente, senza
però coinvolgere fattori divergenti all’infinito tipo ex .
38
17
Teoria: Sviluppo asintotico di integrali
Nota Spesso la risoluzione di ODE porta a formule integrali. La maggior parte delle funzioni speciali si possono esprimere tramite integrali in cui l’argomento della funzione svolge
il ruolo di parametro. Il comportamento nei pressi di singolarità irregolari è associato a
singolarità essenziali nella rappresentazione integrale e sviluppo asintotico
divergente.
√ Per
R∞
′′′
esempio xy + 2y = 0, y(0) = 1, y(∞) = 0 ha soluzione y(x) = 0 exp(−t − x/ t)dt.
L’equazione ha una singolarità irregolare all’infinito che corrisponde a una singolarità essenziale nell’integrale.
Nota Prima di espandere l’integrale,
suddividere il dominio di integrazione e
R ∞ bisogna
4
evitare infiniti spuri. Esempio: x e−t dt per x → 0. Evidentemente, non possiamo
−t4
espandere
il segno di integrale. Questo diventa possibile se consideriamo invece
R ∞ −t4 e R x sotto
−t4
e dt − 0 e dx e sviluppiamo in serie nel secondo integrale.
0
Nota Potremmo utilizzare la stessa formula anche per x grande, giacchè la serie di Taylor in t = 0 (che è la serie di Laurent in t → ∞) ha raggio di convergenza infinito.
Più interessante cercare in questo caso una espansione in potenze inverse. Giusto per
citarlo, un metodo che può essere usato è quello della integrazione per parti:
R ∞ scrivia4
d −t4
−3
−t4
⇒ f (t) = −t /4. Sostituendo nell’integrale iniziale x et dt =
mo e
= f (t) dt e
R∞
R∞
R∞
4
4
4
4
d −t4
f (t)) dt
e dt = −f (x)e−x − x f ′ (t)e−t dt = e−x /(4x3 ) − x t−4 e−t dt. Iterando otx
R∞ 4
4
terremmo x e−t dt = x−3 e−x [1/4 + A1 x−4 + A2 x−8 + . . .] che è necessariamente una serie
R∞ 4
4
divergente: x e−t dt per x < 0 tende a una costante ord(1), mentre e−x x−3 [. . .] continua
ad andare a zero.
Nota (integrali di Laplace) Abbiamo visto che singolarità irregolari portano a integrali
con singolarità essenziali nell’integrando tipo exp(φ(t,
R ∞diverge4 con qualche
R ∞x)), 4con φ che
potenza di x alla singolarità. Nel caso precedente: x e−t dt = x 1 e−(xt) dt. Integrali
che contengono termini divergenti in questa forma sono detti integrali di Laplace.
Nota Il metodo di integrazione per parti è semplice e va bene per espansioni in potenze
intere. Cerchiamo qualcosa di più generale.
Rb
Lemma di Watson Consideriamo il seguente integrale di Laplace I(x; b) = 0 f (t)e−xt dt
dove
P b >nβ0. Se f (t) ammette uno sviluppo asintotico per t → 0 nella forma f (t) =
tα ∞
t , con α > −1 e β > 0, l’integrale ammetterà lo sviluppo asintotico I(x) ∼
PN n=0
−α−βk−1
, x → ∞, ottenuto integrando termine a termine per b → ∞
k=0 fk Γ(α + βk + 1)x
il prodotto della serie per f (t) con e−xt .
Il lemma si dimostra fissando un ǫ ≪ b e scegliendo poi x in modo che e−ǫx sia piccolo a
piacere. Per ǫ piccolo, per l’asintoticità della serie per f , si può scegliere un
N (ǫ)
PNN = α+βk
tale che l’errore nell’approssimazione di f (t) dalla ridotta N -esima FN (t) = k=0 fk t
,
per x < ǫ, sia < Kǫα+(N +1)β , con
K
fissato.
Allo
stesso
tempo,
la
differenza
tra
l’errore
Rb
|I(x; b) − SN (x; b)|, SN (x; b) = 0 FN (t)e−tx dt, e l’errore ottenuto calcolando gli integrali
nell’intervallo [0, ǫ], può essere resa arbitrariamente piccola variando x. A questo punto,
l’errore |I(x) − SN (x)| è valutato a partire da quello su quello nell’intervallo ristretto, dove
39
vale
|I(x, ǫ) − Sn (x, ǫ)| < K
Z
∞
tα+(N +1)β e−tx dt = KΓ(α + (1 + N )β + 1)x−(α+(1+N )β+1) ,
0
e nel primo passaggio si è sostituito ǫ → ∞, che è lecito visto che cerchiamo una maggiorazione. Utilizzando il fatto che è ugualmente trascurabile la differenza tra |I(x, b) −
SN (x, ∞)| e |I(x, b) − SN (x, b)|, è possibile scrivere SN (x, ∞) ∼ I(x, b) per x → ∞.
Nota Il lemma contiene un punto delicato, cioè il fatto che in genere l’integrando non
converge uniformemente in [0, b]. O potrebbe convergere vicino allo zero ma non in tutto
il dominio (per esempio se f (t) = 1/(1 + t) e b > 1). Non è detto che si riesca a dominare
le serie parziali con una funzione opportuna. Siamo quindi fuori dall’ambito dei teoremi
standard su integrazione di serie e questo è testimoniato dal fatto che ci aspettiamo in
genere serie divergenti
R 5 per2 I(x).
Esempio I(x) = 0 (1 + t )−1 e−tx dt. Scrivendo (1 + t2 )−1 = 1 − t2 + t4 − t6 + . . . e usando
il lemma di Watson troviamo I(x) ∼ 1/x − 2!/x3 + 4!/x5 − 6!/x7 + . . ., x → ∞.
Nota (connessione con la somma di Borel) La somma di Borel utilizza in forma inversa il lemma di Watson; determinando
R ∞ associando una funzione f (t) alla serie Fn (t), sotto la
condizione che l’integrale I(x) = 0 Fn (t)e−xt esista al limite. In altre parole, determinando la I(x) a cui Sn (x) P
è asintotica, viene determinata la f (t) a cui F
EsemPn n(t) è asintotica.
n
k
k
pio classico: Fn (x)R= k=0 k!(−x) . La somma di Borel è φ(x) = k=0 (−x) → (1+x)− 1.
∞
Pertanto Fn (x) ∼ 0 e−t (1 + xt)−1 dt.
Il metodo di Laplace Nel caso di integrali di Laplace generici,Ril lemma di Watson può
b
non essere applicabile. Nella forma più semplice abbiamo I(x) = a exφ(t) f (t). L’idea è che
per x → +∞, l’integrale si concentra nei pressi del minimo di φ(t) in [a, b] o nell’estremo
in cui φ è max.
Consideriamo prima il caso di un singolo max quadratico in [a, b] e φ(t) che decresce siRb
no agli estremi dell’intervallo. Scriviamo quindi I(x) = exφ(t̄) a f (t) exp{x[φ(t) − φ(t̄)]}dt
dove t̄ individua il massimo di φ(t). È possibile scegliere x sufficientemente grande da
rendere exp{x[φ(t) − φ(t̄)]} trascurabile prima che termini di ordine (t − t̄)3 contribuiscano
a φ(t) − φ(t̄). Allo stesso tempo, come nella derivazione del lemma di Watson, possiamo
spingere gli estremi
del dominio di integrazione all’infinito e scrivere, utilizzando φ′ (t̄) = 0:
R
+∞
I(x) ∼ exφ(a) −∞ f (t) exp{(x/2)φ′′ (t̄)(t − t̄)2 }dt, x → ∞. Se f (t) ammette uno sviluppo asintotico intorno a f (t̄), la stessa procedura di espansione del lemma di Watson può
Rb
essere adottata, e il primo ordine sarà: I(x) ∼ etφ(t̄) f (t̄) a exp{(x/2)φ′′ (t̄)(t − t̄)2 }dt =
(−2π/(xφ′′ (t̄)))1/2 exφ(t̄) f (t̄), x → ∞.
Consideriamo ora il caso che il max di φ sia all’estremo del dominio, per esempio in
x = Ra. In questo caso, lo sviluppo all’esponente si ferma al primo ordine: I(x) ∼
+∞
exφ(a) a f (t) exp{xφ′ (a)(t − a)}dt, x → ∞. Di nuovo, se f (t) ammette una espansione asintotica attorno ad a, ci riconduciamo al lemma di Watson; all’ordine più basso:
I(x) ∼ exφ(a) f (a)/(−xφ′ (a)), x → ∞.
Nota (”massimi mobili”) Nel caso in cui f (t) presenti singolarità nel punto di massimo per φ(t), la procedura va modificata. In questo caso quello che va calcolato è il max
40
di ln f (t) + xφ(t); il fatto che f (t) sia singolare nel punto di max di φ(t) ne rende non
trascurabile l’effetto nel calcolo del max di f (t)exφ(t) . Perché il metodo sia utilizzabile, è
necessario verificare che nel nuovo massimo, il metodo di Laplace sia ancora applicabile, in
particolare, che sia possibile l’espansione attorno al massimo quadratico di f (t)exφ(t) senza problemi di eccessiva vicinanza con un estremo di integrazione. Questo può succedere
quando il massimo iniziale era in uno degli estremi di integrazione.
R ∞ −t x−1
Esempio
(approssimazione
di
Stirling)
Calcoliamo
la
funzione
Γ(x)
=
e t dt =
0
R∞
exp(−t + (x − 1) ln(t))dt per x → ∞. Vediamo che φ(t) = ln t è massimo a t → ∞
0
che rende impraticabile il metodo di Laplace in forma standard. Abbiamo quindi ora
Φ(x, t) = −t + (x − 1) ln t che è max a t̄ = x − 1, con
Φ′′ (t̄) = −(x − 1)/t̄2 = −1/(x − 1).
p
Troviamo pertanto Γ(x) ∼ eΦ(x,t̄) [−2π/Φ′′ (x, t̄)]1/2 = 2π(x − 1) exp{(x−1)[ln(x−1)−1]},
x → ∞. Ricordo: n! = Γ(n + 1).
Nota (la fase stazionaria) Un altro tipo di integrali interessanti sono nella forma
Rb
f (t)eixφ(t) dt con φ(t) reale e x → ∞. In questo caso l’integrale diventa infinitamena
te oscillante per x → ∞ e ci si può aspettare che sia dominato dal punto di minimo di φ(t)
in cui la frequenza delle oscillazioni raggiunge essa stessa il minimo. Questo è il principio
della fase stazionaria. Nel caso le funzioni f e φ possano però essere prolungate analiticamente nel piano complesso, è conveniente deformare il percorso di integrazione su un
cammino a parte immaginaria costante per φ che passi attraverso un punto di massimo
per la parte reale di φ. In questo modo, il calcolo dell’integrale è ricondotto al metodo di
Laplace.
Nota (geometria del piano complesso) Sia φ(z) = u(z) + iv(z), z = x + iy olomorfa
in una regione di piano complesso. Questo significa che valgono le equazioni di CauchyRiemann: ∂x u = −∂y v; ∂x v = ∂y u. Questo significa che se consideriamo i campi vettoriali
∇u = [∂x u, ∂y u] e ∇v = [∂x v, ∂y v], questi sono ortogonali fra loro: (∇u) · ∇v = 0 nei
punti in cui φ′ (z) 6= 0. Pertanto le linee di livello di u corrispondono alle linee di massima
pendenza di v e viceversa. Vale inoltre la proprietà che u e v sono funzioni armoniche:
∇2 u = ∇2 v = 0. In altre parole, i campi ∇u e ∇v hanno divergenza nulla. Pertanto, i
punti in cui φ′ (z) = 0, corrispondono a punti sella per u e v. (Vale la pena disegnare le
curve di livello per φ(z) = z 2 ).
Rb
Il metodo di punto sella (steepest descent) Consideriamo l’integrale a f (t)exφ(t) dt,
x → ∞ in cui φ(t) assume valori complessi per t reale (quindi, la parte reale di exφ è un
prodotto di seni ed esponenziali). Prendiamo quindi percorsi di integrazione che partono
da a e b nelle direzioni con v = Im(φ) costante. Verifichiamo se le curve si intersecano in
un punto sella. Se sı̀, ci sono due possibilità: o erano due linee di discesa dalla sella oppure
no. Nel primo caso, il punto sella corrisponde al max di u nel metodo di Laplace. Nel
secondo, significa che il max di u è in a oppure b. Se le curve non si intersecano, significa
che vanno all’infinito in ambo le direzioni. Possiamo scegliere la direzione decrescente per
entrambi i percorsi, che significa che il contributo ad infinito degli integrali è trascurabile.
A questo punto dobbiamo cercare un punto sella nel piano complesso e seguire le linee
nella direzione decrescente sino all’infinito (possibilmente attraversando altri punti sella,
verificando sempre di raggiungere l’infinito nella direzione decrescente, perchè il contributo
41
corrispondente sia trascurabile). A questo punto si congiungono all’infinito le linee dal
punto (dai punti) sella con quelle da a e b, contando eventualmente il contributo da residui
che si sono eventualmente circondati al finito. L’integrale è di nuovo dato dalla somma dei
contributi tramite metodo di RLaplace dai punti sella attraversati.
2
1
Esempio Calcoliamo I(x) = 0 e−4xt cos(5xt − xt3 )dx, x → ∞. Conviene riscriverlo come
R1
I(x) = 12 −1 exφ(t) dt, φ(t) = −4t2 + i(5t − t3 ). Gli zeri di φ′ (z) = −3iz 2 − 8z + 5i sono a
z = i e z = 5/3. Vediamo che per raggiungere uno dei due punti sella tramite linee di massima pendenza, dobbiamo passare dall’infinito, giacché y = 0 negli estremi di integrazione
e y 6= 0 in entrambi i punti sella. L’andamento all’infinito di φ(z) è φ(z) ∼ −iz 3 = |z|3 ;
quindi u(z) = |z|3 sin[3arg z] e u(z) → +∞ nei settori 2nπ/3 < arg z < (2n + 1)π/3 e
u(z) → −∞ nei settori (2n − 1)π/3 < arg z < 2nπ/3. Cerchiamo poi le direzioni crescenti e decrescenti lungo le linee di massima pendenza (per u) uscenti dai punti sella
e gli estremi di integrazione. Abbiamo u = −y 3 + 4y 2 − 5y + 3x2 y − 4x2 + 2, quindi
∇u = (6xy − 8x, −3y 2 + 8y − 5 + 3x2 ). Partendo da z = 1, vediamo che la direzione
crescente porta a x → 0 e y → −∞, quindi l’altro ramo deve andare all’infinito nel settore
−π/2 < arg z < 0. Vediamo inoltre che per x = 0 ∇u è lungo l’asse immaginario. Ma
lungo l’asse immaginario u = −y 3 + 4y 2 − 5y + 2 e vediamo che y = 1 è un minimo e
y = 5/3 un massimo (condizionato a x = 0); per simmetria le altre linee di massima pendenza escono dalle selle in direzione orizontale. Questo completa il quadro: il punto sella
rilevante è z = i. Per x → ∞ possiamo approssimare
il orizontale nei pressi di z = i con
R +∞ xφ(t+i)
una retta orizontale e abbiamo I(x) ∼ (1/2) −∞ e
dt. Usando il metodo di Laplace
p
R
1 −2x +∞ −xt2
1
−2x
troviamo quindi I(x) ∼ 2 e
e
dt = 2 π/xe .
−∞
Nota Considerando integrali I(z) definiti di partenza nel piano complesso, bisogna stare
attenti alla possibilità di fenomeni di Stokes. Guardando all’esempio precedente, vediamo
come questo è associato al cambio della geometria del piano complesso.
R1
Esempi (steepest descent senza punto sella) Consideriamo l’integrale I(x) = 0 ln t
×eixt dt. Evidentemente φ(z) = u(z) + iv(z) = z; evidentemente le linee a u costante nel
piano complesso, che escono dagli estremi sono verticali e non Rsi incontrano mai. Ergo,
+i∞
ln teixz dz e I2 (x) =
dobbiamo calcolare la differenza I1 (x) − I2 (x), dove I1 (x) = 0
R
R
R 1+i∞
∞
∞
ln zeixz dz. Ponendo z = it: I1 (x) = i 0 ln(it)e−xt dt = 0 [i ln t − π/2]e−xt dt.
1
R∞
P∞ (−i)k R ∞ k −xt
−xt+ix
ix
ln(1
+
it)e
dt
∼
−ie
Ponendo
z
=
1
+
it:
I
(x)
=
i
t e
∼
2
k=1 k
0
0
P
k
−k−1
ieix ∞
(−i)
(k
−
1)!x
,
dove
abbiamo
usato
il
lemma
di
Watson.
k=1
42
18
Esercizi: Sviluppo asintotico di integrali
Esercizio 1 Mostrare
che il termine successivo nella espansione in potenze di 1/x dell’inteR
grale di Laplace f (t)exf (t) dt, richiede considerare l’espansione di φ oltre il secondo grado,
accanto a quella di f (t) (supporre il massimo di φ all’interno del dominio di integrazione).
Esercizio
2 Mostrare che il metodo di Laplace consiste nell’approssimare il termine exφ(t)
Rb
xφ(t)
con una delta di Dirac nel punto t̄ di massimo di φ. Supporre inizialmente
in a f (t)e
a < t̄ < b. Cosa succederebbe se il massimo non fosse quadratico? Derivare una rappresentazione in termini di delta di Dirac nel caso in cui φ(t) < φ(a) per a < t < b e
φ′ (a) < 0. Esprimere l’ordine successivo del metodo di Laplace nel caso a < t̄ < b con
massimo quadratico in termini di funzioni delta (usare risultato del problema precedente).
Esercizio 3 Trovare i primi termini nello sviluppo asintotico per x → ∞ degli integrali
R π/2
exp(−x tan2 t)dt (suggerimento: cercare di porre l’integrale in forma adatta al lemma
0
R 2π
di Watson). Trovare l’ordine dominante per x → ∞ dell’integrale 0 (1 + t2 )ex cos t dt.
R π/2 √
Esercizio 4 Trovare l’ordine dominante per x → ∞ di: 0
sin t exp(−x sin4 t)dt;
√
R1p
R
R
R
2
2
√
2
π /2
π/4
π /2
dt exp(x cos s + t).
ds 0
t(1 − t)(t + a)−x dt, a > 0; 0
tan te−xt dt; 0
0
Rb
Esercizio 5 Trovare l’ordine dominante per x → ∞ dell’integrale a (t − a)α g(t)exφ(t) dt,
α > −1, dove φ(t) è massimo in t = a e g(a) = 1: α > −1 e φ′ (a) < 0. Ripetere l’analisi
nel caso in cui φ(k) (a) = 0 per k < n. Cosa succede se si prova ad utilizzare il metodo dei
massimi mobili?
Esercizio 6 Cosa succede se si usa il metodo di Laplace con massimo mobile in un integrale
di Laplace con un massimo interno al dominio di integrazione, ma senza singolarità nel
punto di massimo che richiedano l’uso del metodo?
Esercizio 7 Mostrare
che applicazione naive del metodo di Laplace con massimi mobili per
R∞
l’integrale I(x, α) = 0 tα ext dt, x → ∞ non funziona; notare che I(x, α) = x−α−1 Γ(α + 1).
R1 2
Esercizio 8 Calcolare con il metodo steepest descent l’integrale 0 eixt dt per x → ∞.
Esercizio 9 Usare steepest descent per calcolare l’ordine dominante per x → ∞ degli
R1
R π/4
integrali 0 cos(xt2 ) tan2 t dt e 0 ln(1 + t) exp(ix sin2 t)dt.
R π/4
Esercizio 10 Calcolare lo sviluppo asintotico dei seguenti integrali: I(x) = 0 cos(xt2 )
R +∞
× tan2 tdt, x → ∞; Kν (x) = 12 −∞ exp(νt − x cosh t)dt, ν → ∞.
R1 3
Esercizio 11 Investigare il fenomeno di Stokes per l’integrale I(z) = 0 ezt dt. In altre
parole, investigare il comportamento per |z| → ∞ e arg z fissato e verificare la presenza di
linee di Stokes a |arg z| = π/2.
43
19
Teoria: Il matching asintotico
Applicazione al calcolo di integrali
Integrali di funzioni con strato limite Vogliamo calcolare integrali in presenza di
strati limite, cioè regioni
sottili di rapida variazione. Per fissare le idee consideriamo
Rb
l’integrale I(ǫ) = 0 f (t, ǫ)dt, dove la funzione f (t, ǫ) possiede uno strato limite in 0.
Il parametro ǫ determina la larghezza dello strato limite ∆ = ∆(ǫ) con limǫ→0 ∆ = 0.
Vogliamo determinare il contributo contributo dello strato limite all’integrale. Notare che
questo contributo potrebbe benissimo scomparire per ǫ → 0, come potrebbe rimanere
dominante al limite (come nel caso di una delta di Dirac).
Rescaling Ci limitiamo a considerare situazioni in cui la struttura geometrica dello strato
limite, per ǫ → 0, è self-similare. In altre parole, il parametro ǫ cambia lo spessore dello
strato limite ma non la sua forma. In questo caso è possibile scrivere f (T ∆(ǫ), ǫ) ∼
a(ǫ)F (T ), ǫ → 0.
Esempio Ecco una funzione self-similare: f (t, ǫ) = (ǫ2 + t2 )−1 ; possiamo infatti scrivere
f (t, ǫ) = ǫ−1 [1 + (t/ǫ)2 ]−1 e quindi 1/a2 (ǫ) = ∆(ǫ) = ǫ e F (T ) = (1 + T 2 )−1 .
Ecco una funzione con un comportamento self-similare per t = ord(ǫ) e ǫ → 0, ma non
per t = ord(1): f (t, ǫ) = (ǫ2 + sin2 t)−1 . Anche in questo caso F (T ) = (1 + T 2 )−1 e
1/a2 (ǫ) = ∆(ǫ) = ǫ.
La regione esterna Un punto a t finito sarà per ǫ sufficientemente piccolo fuori dallo
strato limite. Consideriamo una situazione in cui la forma della funzione fuori dallo strato
limite è indipendente da ǫ: f (t, ǫ) ∼ fout (t), ǫ → 0, t > 0. Nell’esempio f (t, ǫ) = (ǫ2 +t2 )−1 :
fout = t−2 ; nell’esempio f (t, ǫ) = (ǫ2 + sin2 t)−1 , fout (t) = 1/ sin2 t.
La regione di transizione Consideriamo una situazione in cui la transizione tra la regione
esterna e quella interna di strato limite avviene in una regione in cui la differenze f (t, ǫ) −
a(ǫ)F (t∆) e f (t, ǫ)−fout (t) siano entrambe piccole. Notare che questo non è assolutamente
garantito e potrebbe esserci invece una regione di transizione. Tipicamente la regione
di transizione ha una scala δ con ∆ ≪ δ ≪ b e questo controllerà la scala dell’errore.
Nell’esempio f (t, ǫ) = (ǫ2 +sin2 t)−1 , perché f (t, ǫ) ≃ fout (t), è necessario che t ≪ 1. Perché
f (t, ǫ) ≃ a(ǫ)F (t/∆(ǫ)), é necessario che il termine ∝ t4 nella serie di Taylor per sin2 t sia
piccolo in confronto con ǫ2 che impone t ≪ ǫ1/2 . La regione di transizione corrisponde
pertanto in questo esempio al range ǫ ≪ t ≪ δ.
Matching asintotico Supponiamo che sia possibile calcolare analiticamente l’integrale
delle funzioni fout ed F e che sia possibile espandere f (t, ǫ) attorno a fout e aF nella
regione di transizione. In questo caso, la strategia per il calcolo dell’integrale è di scrivere
Rb
R δ/∆
I(ǫ) = ∆ 0 [aF (T )+. . .]dT + δ [fout (t)+. . .]dt, dove termini dello stesso ordine in ǫ vanno
tenuti nei due addendi. In generale, l’integrale nella regione interna sarà un espansione in
potenze di ∆/δ, mentre nella regione esterna sarà una espansione in potenze di δ. Notare
che questo può richiedere considerare un numero di termini diversi nelle due espansioni per
avere un identico ordine in ǫ. Notare pure che l’ordine in δ dell’errore in ciascun integrale
è minore di quello nella somma dei due; questo è chiaro tenendo tutti i termini nei due
integrali, giacché la somma deve essere indipendente dal punto δ, mentre ciascun integrale
44
vi dipende naturalmente. È però vero anche nel caso di un numero finito di termini; in
questo caso, integrali di correzioni in f a ordine a un certo ordine δ n , producono integrali che
producono un fattore δ in più; questo fattore si deve però cancellare sommando l’integrale
interno e quello esterno.
R π/4
Esempio Calcoliamo l’integrale I(ǫ) = 0 f (t, ǫ)dt con f (t, ǫ) = [ǫ2 + sin2 t]−1 . Abbiamo
visto che a(ǫ) = ǫ−2 , ∆ = ǫ e δ = ǫ1/2 . Espandendo nella regione di transizione attorno
alla soluzione interna e a quella esterna troviamo:
ǫ2 f (ǫT, ǫ) =
1
ǫ2 T 4
+
+ O(ǫ4 , ǫ4 T 4 );
1 + T 2 3(1 + T 2 )2
f (t, ǫ) =
ǫ2
1
−
+ O(ǫ4 /t6 ).
sin2 t sin4 t
Calcoliamo gli integrali verificando a che ordine in ǫ ci possiamo fermare con il numero di termini della espansione di f (t, ǫ) a disposizione. Otteniamo nel primo integrale
R δ/ǫ
ǫ−1 0 {1/(1 + T 2 ) + ǫ2 T 4 /[3(1 + T 2 )2 ] + O(ǫ4 , ǫ4 T 4 )}dT = ǫ−1 {tan−1 δ/ǫ + (ǫ2 /3)[δ/ǫ −
(3/2) tan−1 δ/ǫ + (δ/(2ǫ))/(1 + (δ/ǫ)2 ) + O(ǫδ 3 )}. Espandendo in ǫ/δ = ǫ1/2 :
Z δ
π
1 ǫ2
δ πǫ
f (t, ǫ)dt =
− +
+
−
+ O(ǫ3/2 ).
3
2ǫ δ
3δ
3
4
0
R π/4
Passando al secondo integrale: δ {1/ sin2 t − ǫ2 / sin4 t + O(ǫ4 /t6 )]dt = cot δ − 1 +
ǫ2 [cos δ/(3 sin3 δ) + (2/3) cot δ − 4/3] + O(ǫ4 /δ 5 ). Espandendo in δ:
Z π/4
ǫ2
δ
1
+
+ O(ǫ3/2 ).
f (t, ǫ)dt = − 1 −
3
δ
3δ
3
δ
A posteriori verifichiamo che abbiamo tenuto il giusto in entrambi i casi. Sommando gli
R π/4
π
integrali troviamo 0 [ǫ2 + sin2 t]−1 dt = 2ǫ
− 1 − π4 ǫ + O(ǫ3/2 ).
Applicazione alla soluzione di ODE
Meccanismo di formazione dello strato limite È tipicamente il risultato di un limite
singolare in una ODE (parametro di espansione di fronte a derivata di ordine più alto).
Per esempio ǫy ′′ + a(x)y ′ + b(x)y = 0.
Nota Una equazione singolare non da luogo necessariamente alla formazione di strati limite. Per esempio, l’equazione dell’oscillatore armonico ǫy ′′ + ay = 0 da una soluzione
singolare nella forma di una oscillazione con frequenza che tende a infinito per ǫ → 0. Di
fatto, la formazione di uno strato limite è dovuta a fenomeni di tipo dissipativo come il
bilancio tra ǫy ′′ e il termine ”dissipativo” ∝ y ′ nella equazione ǫy ′′ + a(x)y ′ + b(x) = 0.
Bilancio dominante La regione esterna in un problema di strato limite corrisponde a
considerare il limite ǫ → 0 come una perturbazione regolare. Nell’esempio precedente:
a(x)y ′ + b(x)y = 0. Per trovare la (eventuale) regione di strato limite corrisponde a
tutti agli altri tipi di bilancio fra termini della ODE. Nel caso dell’esempio in questione
ǫy ′′ + a(x)y ′ = 0 oppure ǫy ′′ + b(x)y = 0; la presenza di uno strato limite implica che y ′ è
singolare, per cui il bilancio dominante in questo regime è ǫy ′′ + a(x)y ′ = 0. Notare che
la ODE è del secondo ordine, ma l’equazione nella regione esterna permette di soddisfare
45
solo una condizione al contorno. Lo strato limite si forma esattamente per permettere di
soddisfarle entrambe. Notare infatti che lo strato limite è governato da una equazione del
secondo ordine. Sono quindi possibili due condizioni al contorno che possono essere due
raccordi (se lo strato limite è interno) o un raccordo e una condione ai bordi del dominio
(se lo strato limite è a bordo dominio).
Matching asintotico Ci interessiamo a una situazione in cui c’è una regione di transizione in cui la soluzione esterna e quella interna, nel limite ǫ → 0, si sovrappongono. Perché
questo si verifichi, è necessario che la soluzione interna tenda a una costante nel passare
alla zona di transizione. Quando questo si verifica, è possibile eguagliare termini dello
stesso ordine in ǫ della soluzione esterna e quella interna e in questo modo soddisfare le
condizioni al contorno.
Nota La domanda ovvia è dove si trova lo strato limite? La condizione di tendere a una
costante nella regione di transizione è sufficiente a determinare in maniera univoca questa
posizione. Consideriamo ad esempio l’equazione ǫy ′′ + a(x)y ′ + b(x)y = 0 nel dominio
[0, 1], con condizioni su y(0) e y1 . Sappiamo che nella regione di strato limite il bilancio è
ǫy ′′ + a(x)y ′ = 0. Supponiamo che lo strato limite sia centrato in x̄. Abbiamo quindi in prima approssimazione, per ǫ → 0: ǫy ′′ +a(x̄)y ′ = 0 e quindi y(x) = A+B exp(−a(x̄)(x−x̄)/ǫ).
Evidentemente, per a(x̄) > 0 la soluzione può tendere a una solo per x > x̄ e viceversa per
a(x̄) < 0. Pertanto, lo strato limite sarà all’estremo sinistro per a(x) > 0 nel dominio e a
quello destro per a(x) < 0. Per l’equazione ǫy ′′ + a(x)y ′ + b(x)y = 0, uno strato limite in
un punto x̄ interno si può formare se a(x) cambia segno da qualche parte nel dominio.
Nota Dal punto di vista asintotico, uno strato limite in x → x̄ è definito dal comportamento y(x, ǫ) ∼ a(ǫ)Y ((x − x̄)/∆(ǫ)), x → x̄. In altre parole, si ha un comportamento
self-similare della soluzione.
Esempio Consideriamo l’equazione ǫy ′′ + (1 + x)y ′ + y = 0, y(0) = y(1) = 1. Sappiamo
che c’è uno strato limite in x = 0. Risolvendo per x → 0+ troviamo infatti, imponendo
la condizione al contorno y(0) = 1: y(x, ǫ) ∼ A exp(−x/ǫ) + (1 − A), x → 0+ . Il comportamento è y(x, ǫ) ∼ a(ǫ)Y (x/∆(ǫ) per a(ǫ) = 1, ∆(ǫ) = ǫ. Per x > 0 abbiamo invece
′
nel limite ǫ → 0: yout
+ yout /(1 + x) = 0 e quindi yout (x) = 2/(1 + x). In maniera triviale
troviamo la connessione imponendo limX→∞ a(ǫ)Y (X) = limx→0 yout (x), che dà A = −1.
La regione di matching è ǫ ≪ x ≪ 1 ma non ci sono particolari condizioni su δ.
Cerchiamo ora l’errore nella approssimazione ed eventuali correzioni. Per la soluzione esterna abbiamo una sviluppo perturbativo regolare; y(x, ǫ) = y0 (x) + ǫy1 (x) + ǫ2 y2 (x) + . . .,
′
dove y0 ≡ yout e valgono le equazioni (1 + x)yn+1
+ y = −yn′′ , con condizioni al contorno yn (1) = 0, n > 0. Anche nella regione interna vediamo che vale lo sviluppo
′′
′
y(Xǫ, ǫ) = Y0 (X) + ǫY1 (X) + ǫ2 Y2 (X) + . . . con Y0 ≡ Y , Ỹn+1
+ Ỹn+1
= −ǫ(Yn′ + Yn )
e Yn (0) = 0 per n > 0. Il raccordo a ordine n sarà pertanto Yn (∞) = yn (0).
L’approssimazione uniforme Nella regione di transizione, la soluzione è per costruzione
costante. Possiamo quindi ottenere una approssimazione uniforme, valida cioè su tutto il
dominio. Per semplicità consideriamo lo strato limite in x = 0. Abbiamo allora, all’ordine più basso: yunif (x, ǫ) = a(ǫ)Y (x/∆(ǫ)) + yout (x) − yout (0) e vale y(x, ǫ) ∼ yunif (x, ǫ),
uniformemente in x per ǫ → 0.
46
20
Esercizi: Matching asintotico
Esercizio 1 Calcolare i seguenti due integrali:
Z
0
∞
rxdx
,
2
(r + x)3/2 (1 + x)
Z
r → 0;
0
π/2
dθ
,
(1 − m2 sin2 θ)
m → 1− .
Esercizio 2 Trovare i rescaling appropriati per x → 0 per l’equazione ǫxm y ′ + y = 1,
0 < x < 1, y(0) = 0.
Esercizio 3 Risolvere l’equazione ǫy ′′ + x1/2 y ′ + y = 0 in 0 < x < 1, con condizioni al
contorno y(0) = 0 e y(1) = 1. :w
Esercizio 4 Calcolare le correzioni di ordine ǫ e ǫ2 per l’equazione ǫy ′′ + (1 + x)y ′ + y = 0,
y(0) = y(1) = 1. Determinare l’ampiezza della regione di transizione a ciascun ordine.:w
Esercizio 5 Determinare la posizione dello strato limite e trovare la relativa soluzione
interna per l’equazione ǫy ′′ + y ′ /x + y = 0, y(ǫ) = 0, y(1) = e−1/2 .
Esercizio 6 Risolvere la seguente equazione includendo i due ordini successivi in ǫ: ǫ2 y ′′′′ −
y ′′ = −1, −1 < x < 1 con y(±1) = y ′ (±) = 0.
Esercizio 7 Risolvere l’equazione nonlineare ǫy ′′ + yy ′ − y = 0, 0 < x < 1, con y(0) = 0 e
y(1) = 3. Supporre che vi sia uno strato limite in x = 0.
Considerare ora le condizioni al contorno y(0) = −3/4, y(1) = 5/4. Verificare che lo strato
limite si è mosso all’interno del dominio, e che ai suoi estremi la soluzione salta da y = −M
a y = M . Trovare la soluzione a leading order.
Esercizio 8 Verificare se le seguenti equazioni sono risolvibili e nel caso trovare la soluzione
leading order: ǫy ′′ +y ′ /x+y = 0, y(−1) = 2e−1/2 y(1) = e−1/2 ; ǫy ′′ +y ′ /x2 +y = 0, y(0) = 0,
y(1) = e−1/3 .
47
21
Teoria: Il metodo WKB
Espansione attorno all’approssimazione iconale La presenza di una perturbazione
singolare (coefficiente di espansione ǫ di fronte a derivata di ordine più alto) porta a comportamenti leading order singolari in cui forti gradienti bilanciano la piccolezza di ǫ. Sia
nel caso di strati limite che di oscillazioni singolari si ha a che fare con esponenziali, per
ix/ǫ
esempio ex/ǫ oppure
P∞e .l L’ansatz WKB parte da una rappresentazione esponenziale:
−1
y(x, ǫ) = exp[∆
k=0 ∆ Sk (x)], ∆ = ∆(ǫ), dove Sk (x) è complessa per tenere conto sia
di comportamenti strato limite che oscillazioni singolari. Il parametro ∆ determina la scala
di variazione delle soluzioni e limǫ→0 ∆ = 0 per i comportamenti singolari. Come nell’analisi di soluzioni di ODE nei pressi di una singolarità irregolare, ci aspettiamo che termini
non-lineari tipo (S0′ )n diano i comportamenti leading order.
L’equazione d’onda La parte spaziale sia di una equazione di D’Alambert che di una
equazione di Schrödinger, una volta fissata la frequenza (o l’autostato dell’energia) ammettono il limite singolare ǫy ′′ = Q(x)y. Sostituendo la rappresentazione iconale, abbiamo
all’ordine più basso in ǫ: (ǫ/∆)2 (S0′ )2 + (2ǫ2 /∆)S0′ S1′ + (ǫ2 /∆)S0′′ = Q(x). Il bilancio dominante è S0′ = (∆/ǫ)Q(x) che fissa in maniera naturale ∆ = ǫ. L’ordine successivo è
pertanto 2S0′ S1′ + S0′′ = 0. La prima equazione è detta iconale. La seconda equazione è
detta di trasporto. Risolvendo le due equazioni troviamo
Z Z xp
1
±
S0 (x) = S0 (0)
Q(t)dt ;
S1 (x) = − ln Q(x) + const.
4
0
Rxp
che fornisce il risultato y(x) = CQ−1/4 (x) exp(± 0 Q(t)dt).
Rxp
Nota L’approssimazione y(x) ≃ exp(± 0 Q(t)dt) è detta approssimazione di ottica
Rxp
geometrica. L’approssimazione y(x) ≃ CQ−1/4 (x) exp(± 0 Q(t)dt) è detta approssimazione di ottica fisica.
Nota Nel caso di un oscillatore
armonico, ÿ + ω 2 = 0, conR dω/dt ≪ 1, l’approssimazione
p
R
t
t
y(t) = CQ−1/4 (t) exp(± 0 Q(t′ )dt′ ) = Cω −1/2 (t) exp(± 0 ω(t′ )dt′ ) ci dice che la quantità Eω, dove E = A2 ω 2 , con A l’ampiezza di oscillazione, è l’energia, è all’ordine più basso
un invariante (invariante adiabatico).
Nota Nel caso della meccanica quantistica di una particella di massa m in un potenziale unidimensionale U (x), l’equazione di Schrödinger per l’autostato di energia E sarebbe
−~2 ψ ′′ = 2m[E − U (x)]ψ. In questo caso Q(x) = 2m[U (x) − E] ed ǫ = ~2 ; il limite singolare è quindi quello semiclassico. Notare il comportamento tipo strato limite nella regione
classicamente proibita E < U (x) e oscillatorio in quella classicamente ammessa E > U (x).
Equazione per uno strato limite Consideriamo di nuovo l’esempio ǫy ′′ +a(x)y ′ +b(x)y =
0, a(x) > 0. L’ansatz WKB porta a una soluzione nella forma: (ǫ/∆2 )(S0′ )2 +2(ǫ/∆)S0′ S1′ +
(ǫ/∆)S0′′ +aS0′ /∆+aS1′ +b+. . . = 0. Il bilancio di tipo singolare richiede un ∆ che tende a zero con ǫ; quello regolare ∆ = ord(1). Il bilancio regolare porta all’ordine più basso a trascurare i termini che contengono ǫ e avremmo quindi aS0′ /∆+aS1′ +b+. . . = 0. Lo consideriamo
dopo. Il bilancio singolare, porterebbe alla relazione (ǫ/∆2 )(S0′ )2 +aS0′ /∆+aS1′ +b+. . . = 0,
dove l’unico bilancio possibile è per ∆ = ǫ quello dato da (S0′ )2 + aS0′ = 0. All’ordi48
ne successivo: 2S0′ S1′ + S0′′ + aS1′ + b = 0. Abbiamo
R x due soluzioni all’ordine più basso: S0 = 0 e S0′ = −a, cioè S0 (x) = S0 (0) exp(− 0 a(t)dt). L’ordine successivo per
S0 = 0 obbedisce aS1′ + b = 0, che è la soluzione regolare (non sorprendente, visto che
la singolarità nell’espansione WKB è concentrata in S0 ). Troviamo quindi la soluzione
R x b(t)
regolare yr (x) = exp(− 0 a(t)
dt), ǫ → 0. Per potere fare il raccordo delle due soluzioni, dobbiamo tenere termini dello stesso ordine in ǫ nella soluzione singolare,
R x che ci
richiede di considerarne l’ordine successivo. Sostituendo RS0 (x) = S0 (0) exp(− 0 a(t)dt)
x
in 2S0′ S1′ + S0′′ + aS1′ + bR = 0 otteniamo S1 = R− ln a + 0 [b(t)/a(t)]dt + const. e quinx
x
di ys (x) = (1/a(x)) exp[ 0 [b(t)/a(t)]dt − (1/ǫ) 0 a(t)dt]. La soluzione generale è una
combinazione lineare di yr e ys . Imponendo y(0) = A y(1) = B, troveremmo ad esempio
Z 1
Z
i
h Z x b(t)
h Z 1 b(t) i a(0) h
1 x
b(t) i
a(t)dt ,
dt +
A − B exp
dt exp
dt −
y(x) ∼ B exp
a(x)
ǫ 0
0 a(t)
0 a(t)
x a(t)
ǫ → 0. Notare come, al contrario che nel metodo del matching asintotico, entrambe le
soluzioni sono definite in forma globale. La loro sovrapposizione corrisponde alla soluzione
uniforme definita nel metodo di matching asintotico.
Limitazioni del metodo di matching asintotico Consideriamo ancora una volta l’equazione ǫy ′′ + a(x)y ′ + b(x)y = 0, y(−1) = A, y(1) = B, ma in questo caso supponiamo
che a(0) = 0 con b(x) = O(a(x)), x → 0. Supponiamo a(x) > 0 per x < 0 e a(x) < 0 per
x > 0. La derivazione effettuata prima
solo uno
R1
R 1 continua a valere; notiamo che c’è sempre
strato limite che sarà a sinistra se −1 a(x)dx > 0 e a destra altrimenti. Se −1 a(x)dx = 0,
c’è la possibilità di due strati limite a x = ±1.
Proviamo a derivare questo
con il matching asintotico. La soluzione esterna è
R xrisultato
b(t)
sempre yout (x) = C exp(− 0 a(t)
dt). L’equazione interna è Y±′′ (X± ) + a(±1)Y±′ (X± ) = 0,
dove X± = (1 ∓ x)/ǫ, e y(x, ǫ) ∼ Y± (X± ), x → ±1. La soluzione è Y± (X± ) = D± +
E± exp(−a(±1)X± ). Abbiamo due condizioni di raccordo e due condizioni al bordo per
cinque costanti. Il problema del matching asintotico è il difetto di globalità della soluzione
interna.
Limitazioni del metodo WKB Una prima limitazione è che il metodo è costruito su
misura per problemi lineari. Il secondo problema è l’eccesso di globalità delle soluzioni, per
cui è più facile che queste cessino di essere valide da qualche parte del dominio. Esempio
importante, i punti di inversione nella equazione y ′′ = Q(x)y. Se x = 0 è il punto di inversione, vediamo subito che ǫS1 (x)/S0 (x) → ∞ per x → 0 e lo stesso per ǫSn+1 (x)/Sn (x).
In questo caso è il matching asintotico a funzionare meglio, attuando il raccordo con la
soluzione esatta del problema per x → 0 (se Q ha uno zero lineare, la soluzione di una
equazione di Airy).
Cenni ai metodi di integrale di fase La soluzione della equazione ǫy ′′ = Q(x)y nei
pressi di un punto di inversione, si può effettuare tramite matching asintotico con funzioni
di Airy. L’equazione di Airy è infatti nella forma, se lo zero è in x = 0, ǫ2 y ′′ = Q′ (0)xy,
che continuerà a essere valida in una regione ǫ ≪ |x| ≪ 1 in cui la forma asintotica delle
funzioni di Airy può essere utilizzata. Ci sarà quindi una regione WKB oscillatoria, raccordata a delle funzioni di Airy che dall’altro lato dello zero si raccorderanno a una regione
49
WKB smorzata (comportamento tipo strato limite).
Se non ci interessa la il comportamento della soluzione per |x| = ord(ǫ), in cui la forma
esatta delle funzioni di Airy è necessaria, possiamo determinare la soluzione del problema
lavorando nel piano complesso, aggirando lo zero a distanza |z| ≫ ǫ e congiungendo le regioni WKB oscillatorie e smorzate. Di fatto nella regione di sovrapposizione, la forma delle
funzioni di Airy la possiamo ottenere con il metodo WKB; supponiamo Q′ (0) > 0 cosı̀
p che
per x > 0 abbiamo y(x, ǫ) ∼ A+ x−1/4 exp(ax3/2 ) + A− x−1/4 exp(−ax3/2 ) con a = 3ǫ2 Q′ (0)
e ± individuano soluzioni dominanti e sottodominanti. Ci interessiamo a un’onda incidente
da sinistra; ci sarà eventualmente riflessione, ma in ogni caso a destra ci sarà solo un’onda
smorzata, cioè solo la soluzione sottodominante. Per passare dalle soluzioni oscillanti a
sinistra a quella smorzata a destra nel piano complesso, dobbiamo analizzare come cambia
la relazione y(z, ǫ) ∼ A+ z −1/4 exp(az 3/2 ) + A− z −1/4 exp(−az 3/2 ) al variare di arg z. Ricordo
che l’equazione di Airy ha un punto regolare in x = 0, quindi la soluzione è analitica in
un suo intorno (di fatto l’unica singolarità, essenziale, è all’infinito). Invece, l’espansione
WKB ha un taglio e linee di Stokes ad arg z = π, ±π/3, dove soluzioni dominanti e sottodominanti si scambiano. Vi sono inoltre cosı̀ dette linee di anti-Stokes arg z = 0, ±2π/3 dove
z 3/2 = ±|z|3/2 e la differenza fra soluzioni dominanti e sotto-dominanti è massima. Per
rappresentare lungo tutto il percorso a |z| costante la funzione y(z, ǫ), dobbiamo pertanto
cambiare i coefficienti della serie asintotica.
Poniamo il taglio per fissare le idee a arg z = 0− e procediamo a partire dalla condizione
di interesse Ad = 0, As = A− in senso antiorario attorno a z = 0. Alla prima linea di antiStokes arg z = 2π/3, Ad = A− e As = 0; attraversandola poniamo As → As + T Ad = T A− ,
dove T è detta costante di Stokes. Ricordo che siamo liberi di fare questo perché la relazione asintotica tra approssimazione WKB e soluzione esatta è definita a meno di contributi
sottodominanti. Alla seconda linea di anti-Stokes arg z = −2π/3, abbiamo Ad = T A− e
As = A− ; di nuovo poniamo As → As + T Ad = (1 + T 2 )A− . Attraversata la linea di Stokes
arg z = −π/3, abbiamo Ad = (1 + T 2 )A− e As = T A− . Arrivati al taglio, la soluzione
3/2
3/2
è −ix−1/4 [Ad eax + As e−ax ] dove −i = e2πi/4 proviene da z −1/4 . Imponendo continuità
della soluzione attraverso il taglio, otteniamo T = i.
La regione x < 0 corrisponde alla linea di anti-Stokes arg z = π, su cui Ad = A− ,
As = −iA− ; su questa linea abbiamo z −1/4 = |z|−1/4 e−iπ/4 ; pertanto la soluzione è y(x, t) =
3/2
3/2
A− |x|−1/4 e−iπ/4 [eia|x| + ie−ia|x| ] = 2A− |x|−1/4 cos(ax3/2 + π/4). C’è uno sfasamento di
π/2 tra onda incidente e riflessa e non vi è assorbimento.
50
22
Esercizi: Il metodo WKB
Esercizio 1 Derivare i termini S1 − S4 nell’espansione WKB della equazione ǫy ′′ = Q(x)y.
Esercizio 2 Considerare le equazioni ǫ2 y ′′ = (sin x)y, ǫ2 y ′′ = (sin x2 )y, ǫ2 y ′′ = [1 + sin2 x]y.
Per quali valori fissati di x, l’approssimazione di ottica fisica è appropriata? È l’approccio
WKB accurato per x → ∞?
Esercizio 3 Derivare l’approssimazione di ottica fisica per l’equazione ǫn y (n) = Q(x)y.
Mostrare che se Q(x) si comporta sufficientemente bene e limx→∞ xn Q(x) = ∞, l’approssimazione di ottica fisica è appropriata per ǫ fissato e x → ∞.
Esercizio 4 Determinare fase e ampiezza di onde riflessa e trasmessa ad uno zero quadratico di Q(x) per l’equazione ǫy ′′ = Q(x)y.
Esercizio 5 Usare il metodo WKB per calcolare ad ordine ǫ la soluzione di ǫy ′′ + a(x)y ′ +
b(x)y = 0, a(x) > 0, y(0) = A, y(1) − B.
Esercizio 6 Determinare le condizioni sull’energia
di una particella semiclassica di massa
p
m, che incide su un potenziale U (x) = ~ U0 /mδ(x) (verificare le dimensioni di questa
espressione), per essere riflessa o trasmessa dallo stesso.
51
23
Teoria: Il metodo multiscala
Singolarità e secolarità In comportamenti singolari, la piccolezza di ǫ viene bilanciata
dalla intensità dei gradienti. In comportamenti secolari, la piccolezza di ǫ è bilanciata dal
tempo a disposizione perchè l’effetto della perturbazione diventi grande. (Chiaramente non
è necessario che variabile in questione sia proprio il tempo). Esempio classico: la crescita
dell’ampiezza di un oscillatore forzato alla risonanza da un termine di ampiezza ǫ. Il tempo
di crescita tende all’infinito per ǫ → 0. C’è quindi una separazione di scala fra dinamica
rapida e dinamica secolare.
Omogeneizzazione Un problema connesso è quando siamo interessati alla dinamica di
grande scala di un sistema e vogliamo trovare equazioni efficaci che medino sulle scale
veloci (per esempio il passaggio dalla descrizione molecolare a quella del continuo in un
materiale).
Separazione di scala In molte ODE hanno soluzioni y(t) che variano su scale di tempo
disparate. Ci interessiamo a una situazione in cui y(t, ǫ) ∼ Y (t/T0 , t/T1 , . . .), ǫ → 0, dove
Tk /Tk+1 → 0 per ǫ → 0, mentre Y è una funzione non singolare degli argomenti. Le scale
di tempo del problema sono quindi fissate dai Tk = Tk (ǫ), dove per semplicità poniamo
T0 = 1. Definendo tn = t/Tn , possiamo scrivere
ẏ(t, ǫ) = [∂t0 + T1−1 ∂t1 + T2−1 ∂t2 + . . .]Y (t0 , t1 , . . .)
(1)
dove le derivate parziali che richiamano tempi scala più lunghi danno evidentemente contributo più piccolo. Questo suggerisce un approccio perturbativo in cui gli ordini successivi
sono associati alle scale più lente. Notare che il risultato della variazione della soluzione
su ciascuna scala di tempi non è in generale piccola; è il tasso di variazione che è lento.
Nota In linea di principio, le scale di tempo potrebbero dipendere dal tempo a scale ancora
più lente, cioè Tn = Tn (ǫ, tn+1 , tn+2 , . . .). Ci aspettiamo che se Tn dipende da tn ci possa
essere una separazione di tempi scala non molto buona.
Il caso delle ODE Una dinamica a tempi lunghi implica il sommarsi di un gran numero di
piccoli contributi al passare del tempo. Questo suggerisce che una ODE con un simile comportamento conterrà il parametro ǫ nella forma di una perturbazione regolare; un esempio
è l’oscillatore armonico smorzato in maniera nonlineare: ÿ + y + ǫẏ 3 = 0. A questo punto
possiamo tentare un approccio perturbativo y(t, ǫ) = Y0 (t0 , t1 , . . .) + ǫY1 (t0 , t1 , . . .) + . . . e
dalla forma delle derivate data dalla (1), ci aspettiamo Tn = ǫ−n ; quindi t1 = ǫt, t2 = ǫ2 t e
cosı̀ via. Sostituendo nella equazione dell’oscillatore smorzato, troviamo pertanto:
[∂t20 + 1]Y0 = 0;
[∂t20 + 1]Y1 = ∂t0 ∂t1 Y0 − (∂t0 Y0 )3 ;
...
(2)
Vediamo che all’ordine più basso abbiamo una equazione che fissa la dipendenza di Y0 da
t0 ; all’ordine successivo abbiamo una equazione per fissare la dipendenza di Y1 da t0 e di
Y0 da t1 . Procedendo agli ordini successivi, vediamo che c’è una crescita nel numero di
incognite che rimangono indeterminate.
Nota L’arbitrarietà nella organizzazione della serie perturbativa è ulteriormente aumentata
dalla libertà nella definizione dei tempi tk in funzione di t. Quello che dobbiamo capire
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a questo punto è come questi gradi di libertà possono essere sfruttati per ottimizzare la
teoria perturbativa. Notare che in
caso la definizione tk = t/Tk non è appropriata
R t questo
−1
e dovrebbe essere piuttosto tk = 0 Tk (t)dt.
Il ruolo delle secolarità Una ODE può portare a una soluzione con scale di tempi
separate in modo triviale tramite coefficienti che variano essi stessi su diverse scale di tempo.
Perché sia la dinamica a produrre questo fenomeno, è necessario che l’equazione all’ordine
più basso in ǫ sia priva di termini dissipativi. In caso contrario, questi termini causerebbero
perdita di memoria su scala T0 e contributi di ordine ǫ a tempi diversi non potrebbero
sommarsi e produrre un effetto macroscopico. (Un’altra possibilità è che l’equazione sia
non-lineare all’ordine più basso, ma non ci interessiamo a questo caso).
Ora, una equazione che all’ordine più basso è non dissipativa, permette in linea di principio
fenomeni di risonanza. Questo è evidente nell’esempio di Eq. (2). La prima equazione ha
soluzione Y0 (t0 , t1 , . . .) = A(t1 , . . .)eit0 + A∗ (t1 , . . .)e−it0 . Sostituendo infatti nella seconda,
produce al lato destro termini ∝ e±iωt0 che forzano Y1 in maniera risonante alla frequenza ω.
Questo produce un comportamento secolare per Y1 . La libertà sulla stuttura perturbativa
permette di eliminare questa secolarità ottimizzando la soluzione ad ordine zero. Questo
si può fare ponendo = 0 il lato destro della seconda nella Eq. (2). In forma esplicita:
−[2i∂t1 A + 3iA2 A∗ ]eit − [2i∂t1 A∗ − 3i(A∗ )2 A]e−it = 0
(notare che i due addendi sono uno il complesso coniugato dell’altro). L’eliminazione della secolarità al primo ordine fissa pertanto la dipendenza di Y0 da t1 . Scrivendo
A(t1 ) = R(t1 )eiθ(t1 ) (tralasciamo le altre scale di tempo per semplicità di scrittura), troviamo Ṙ = −(3/2)R e θ̇ = 0. La prima equazione ha risultato R(t1 ) = [1 + 3R2 (0)t1 ]−1/2 ;
la seconda dà θ(t) = θ(0); i parametri R(0) e θ(0) sono quindi fissati dalle condizioni iniziali. Se poniamo y(0) = 1, y ′ (0) = 0, troviamo, sostituendo A(t1 )eit0 = A(ǫt)eit :
y(t) = [1 + 3ǫt/4]−1/2 cos t.
Nota L’operazione effettuata ha fissato solamente la dipendenza da t0,1 di Y0 e quella da t0
di Y1 . Non è detto in particolare che Y1 = 0; quello che sappiamo è che Y0 = Y0 (t1 , t2 , . . .).
In maniera analoga, potrebbe benissimo essere che ad un ordine successivo, l’equazione per
esempio per Y2 abbia un forzaggio non risonante a lato destro e quindi Y2 = Y2 (t0 , t1 , . . .).
L’eliminazione della secolarità nel primo ordine corrisponde a una ottimizzazione della
teoria perturbativa, in cui si minimizza l’allontanamento dell’ordine zero dalla soluzione
esatta. Nota bene che la soluzione esatta potrebbe avere essa stessa comportamento secolare. Il metodo multiscala appena descritto fa sı̀ che tutto il comportamento secolare sia
contenuto in Y0 .
Rescaling non omogeneo Nel caso i coefficienti della ODE dipendano dal tempo, una
scelta ottimale delle scale di tempo del problema potrebbe essere che i vari Tk siano essi
stessi funzione del tempo. Nota bene che questo potrebbe succedere a qualche ordine della
teoria perturbativa anche se di partenza l’equazione fosse a coefficienti costanti. Un esempio evidente è quello della equazione già studiata con il metodo WKB: ǫȳ ′′ + ω 2 (x)ȳ = 0.
Ridefinendo ȳ(x, ǫ) = ȳ(ǫt, ǫ) = y(t, ǫ), l’equazione diventa ÿ + ω 2 (ǫt)y = 0. Se proviamo
l’ansatz t0 = t, t1 = ǫt, . . ., vediamo che la scelta è decisamente non ottimale. Avremmo in
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questo caso y(t, ǫ) = Y (t0 , t1 , . . .) = Y0 (t0 , t1 , . . .) + ǫY1 (t0 , t1 , . . .) + . . .; l’equazione all’ordine più basso sarebbe ∂t21 Y0 + ω 2 (t1 )Y0 = 0. Ora, nel caso a coefficienti costanti, l’equazione
(∂t20 + 1)Y = 0 aveva senso come equazione per t0 , perché la dipendenza da tk , k > 0
rimaneva incognita e veniva fissata all’ordine successivo, anche se tk = tk (t0 ) all’ordine
corrente. Nel caso presente, non è cosı̀ a causa del termine ω(t1 ). Nella filosofia multiscala,
potremmo però considerare lo stesso t0 e t1 indipendenti a quest’ordine sperando che l’ordine successivo corregga l’errore. Avremmo quindi Y0 (t0 , t1 ) = A(t1 )eiω(t1 )t0 + A∗ (t1 )e−iω(t1 )t0 .
all’ordine successivo:
[∂t20 + ω 2 (t1 )]Y1 = −2∂t0 ∂t1 Y0 = −2ieiωt0 [∂t1 (Aω) + it0 ∂t1 ω] + c.c.
e vediamo che il termine ωt0 produce una dipendenza da t0 nei termini a parentesi quadra
che non può essere cancellata. In altre parole, l’errore Y − Y0 prodotto dal termine all’esponente ωt0 si accumula in maniera secolare e va naturalmente nei termini Yk , k > 0.
Questo è un esempio in cui è necessaria una scelta di scale di tempi dipendente da t; di fatto
la scala disomogenea è proprio quella veloce T0 ≈ ω −1 (t). È quindi la relazione t0 = t0 (t)
che diventa ora non lineare. Sostituendo in [∂t2 + ω]y = 0, troviamo
∂t20 Y +
ẗ0
ω2
∂
Y
+
Y = 0.
t
ṫ20 0
ṫ20
(3)
La scelta ottimale corrisponde ad avere una equazione che all’ordine più basso è a coefficienti costanti. Vediamo che la correzione è prodotta da ẗ0 (se t0 = t, ẗ0 sarebbe
R t nullo).
Dobbiamo pertanto porre ṫ0 = Cω; per semplicità poniamo C = 1 e quindi t0 = 0 dτ ω(ǫt).
Sostituendo nella (3), troviamo
∂t20 Y + Y + ǫ
ω ′ (ǫt)
∂t Y = 0.
ω(ǫt) 0
(4)
Notiamo che in ogni caso t0 = ωt[1 + O(ǫ)]; in maniera analoga, ci aspettiamo t1 =
ǫt[1 + O(ǫ)]. Se ci fermiamo al primo ordine, possiamo scrivere t1 = ǫt e risolvere per
Y = Y0 (t0 , t1 ) + ǫY1 (t0 , t1 ). Dalla Eq. (4) otteniamo subito Y0 = A(ǫt)eit0 + c.c. mentre per
l’ordine successivo abbiamo [∂t20 + 1]Y1 = −(ω ′ /ω)∂t0 Y0 − 2∂t0 ∂t1 Y0 + c.c.; senza risolvere,
vediamo che l’unica dipendenza da t0 a lato destro è in e±t0 e non ci sono più i problemi
prodotti da termini come ω(t1 )t0 . L’eliminazione della secolarità si fa a questo punto come
nel caso a coefficienti costanti.
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Esercizi: Il metodo multiscala
Esercizio 1 Studiare l’equazione di Van der Pol ÿ + y − ǫ(1 − y 2 )ẏ = 0, y(0) = 1, ẏ(0) = 0.
Esercizio 2 Lo stesso per l’equazione ÿ + y + ǫy 2 ẏ = 0, y(0) = 1, ẏ(0) = 0.
Esercizio 3 Considerare l’oscillatore nonlineare ÿ + ω 2 (ǫt)y + ǫy 3 = 0, y(0) = 1, ẏ(0) = 0.
Trovare l’andamento di t(t) a tempi O(ǫ−1 ).
Esercizio 4 Considerare l’equazione ÿ + y = ǫu2 , y(0) = 2, ẏ(0) = 0. A che ordine
in ǫ si produce la prima secolarità nella soluzione tramite teoria perturbativa regolare.
Identificare il tempo scala necessario nell’approccio multiscala a eliminare questa secolarità
e determinare la soluzione Y0 del problema.
Esercizio 5 Trovare la soluzione generale a ordine Rdominante del sistema ẍ + 2ǫy ẋ + x = 0,
2π
ẏ = (ǫ/2) ln x2 . Può essere utile il risultato (2π)−1 0 ln cos2 θdθ = − ln 4.
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