le fonti del diritto del lavoro

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LEZIONE:
“LE FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO”
PROF. FRANCESCO MANICA
Le fonti del diritto del Lavoro
Indice
Premessa --------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3 1 La giurisprudenza. --------------------------------------------------------------------------------------- 4 2 La legge ed il contratto collettivo ---------------------------------------------------------------------- 5 3 Gli usi. ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 7 4 Gli usi aziendali ----------------------------------------------------------------------------------------- 10 5 Le fonti internazionali --------------------------------------------------------------------------------- 11 6 Le convenzioni O.I.L. ---------------------------------------------------------------------------------- 12 7 Gli strumenti giuridici comunitari ------------------------------------------------------------------ 13 8 I principi di sussidiarietà e di mutuo soccorso ---------------------------------------------------- 15 9 La ricostruzione dell’ordine delle fonti del diritto del lavoro --------------------------------- 16 10 Il principio di favore verso il lavoratore ----------------------------------------------------------- 17 11 L’identificazione della fonte più favorevole ------------------------------------------------------- 18 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Le fonti del diritto del Lavoro
Premessa
Affrontare la questione relativa alle fonti del diritto del lavoro è problematica di assoluto
rilievo, sia in relazione alla sua importanza (tipica dello studio di qualsiasi diritto) e sia per quanto
concerne l’oggettiva difficoltà di ricostruire il sistema delle fonti giuslavoristiche. In particolare
deve rilevarsi che l’assenza di un codice del lavoro, vale a dire la mancanza di un testo che in modo
sistematico disciplini gli aspetti fondamentali e quelli particolari della materia, rende complessa la
soluzione di una qualsiasi questione giuridica afferente al diritto del lavoro, imponendo, pertanto, di
fare chiarezza in ordine al c.d. sistema delle fonti.
Le fonti del diritto del lavoro sono le stesse del diritto in generale previste dall’art. 1 delle
disposizione preliminari al codice civile : leggi, regolamenti, contratti collettivi, usi.
La predetta elencazione non è, certamente, esaustiva.
Ciò appariva evidente già prima dell’entrata in vigore della Costituzione, con la
conseguenza che nel periodo successivo il fenomeno si è ulteriormente rafforzato.
La promulgazione della Carta Fondamentale ha introdotto una varietà di situazioni
normative assolutamente ignota ai formulatori della prima norma delle disposizioni sulla legge in
generale. Ad oggi, quindi, vi è una gerarchia di fonti che comprende: norme internazionali, la
Costituzione, le leggi di revisione e le altre leggi costituzionali, le leggi regionali, i regolamenti, i
contratti corporativi rimasti in vigore per virtù dell’art. 43 del d.lgs 23 novembre 1944 n. 369, i
contratti collettivi la cui efficacia è stata estesa dalla legge 741 del 1959, i contratti collettivi
stipulati dalle rappresentanze unitarie dei sindacati nell’eventuale ipotesi di attuazione dell’art. 39
Cost.
Assistiamo, pertanto, ad un accentuazione di prospettive in senso pluralistico che ha
determinato un arricchimento delle fonti con l’inserzione, nel loro ordine, di quelle extratestuali o di
quelle provenienti da nuovi centri di produzione legislativa (regioni, referendum popolare
abrogativo).
Esplicitata questa premessa teorica, passiamo ad analizzare le singole fonti del diritto del
lavoro, il tutto tenendo conto che il diritto non proviene solo da fonti formali ma che può trovare da
sé ed in sé le vie di manifestazione esteriore.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 La giurisprudenza.
La giurisprudenza occupa un posto specifico nell’ambito delle fonti, svolgendo una
funzione creativa di diritto. Il compito dell’attività giurisprudenziale è quello di interpretare la
legge per raggiungere un duplice scopo: quello teorico di accertamento del contenuto
legislativo e quello pratico normativo di adattare la fattispecie astratta prevista dalla norma
legale al sempre sfuggente e mutevole caso concreto. L’ordinamento legale, inoltre, è immesso
nella dimensione del divenire, ragion per cui spetta all’interprete portare avanti il processo di
adeguamento storico dell’ordine legale alla mutata realtà sociale.
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La legge ed il contratto collettivo
Una delle prerogative tipiche del diritto del lavoro è quella di garantire al lavoratore,
quale parte debole del rapporto contrattuale, condizioni minime inderogabili.
Si tratta, quindi, di un atteggiamento di garanzia che trova la sua giustificazione
nell’art. 1339 c.c., norma secondo cui debbono intendersi inserite nel contratto clausole
previste dalla legge. Il senso di questa norma si coglie nella sua pienezza collegandolo con la
disposizione contenuta nell’art. 1419 2° comma c.c., secondo cui la nullità delle singole
clausole non comporta la nullità delle residue clausole del contratto, allorché le clausole nulle
siano sostituite per imperio di legge. La lettura combinata delle due norme citate sancisce il
principio della conservazione del contratto, indipendente da una indagine diretta ad accertare
l’essenzialità delle clausole sostituite rispetto agli interessi perseguiti dal regolamento
negoziale nella sua formulazione originaria. Il mantenimento coattivo del contratto non può
spiegarsi se non in ragione della tutela di esigenze diverse da quelle dell’interesse comune dei
contraenti. In particolare, risulta chiaro l’intento di protezione di un soggetto (il lavoratore
quale contraente debole) dal rischio che l’altro possa invocare la nullità dell’intero contratto e
quindi la mancata costituzione del rapporto. Ciò presuppone che in contraenti non vengano
considerati in posizione di parità sostanziale. Infatti, l’invalidità dell’accordo posto in essere si
risolverebbe in uno svantaggio per il contraente debole, non consentendogli di conseguire
altrimenti il risultato al quale egli tende per il tramite della stipulazione del contratto.
La funzione esplicata dal diritto del lavoro di assicurare al lavoratore condizioni
minime inderogabili non investe solo gli aspetti economici del rapporto, ma riguarda anche il
profilo della garanzia della libertà e dignità del lavoratore.
Anzi è soprattutto in quest’ultimo senso che si è mosso il legislatore più recente,
nell’ambito della direttiva costituzionale, che impone la rimozione degli “ostacoli di ordine
economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese” (art. 3
comma 2 della Costituzione). Fra gli episodi salienti di quest’ultima linea di tendenza va
menzionato lo Statuto dei lavoratori – legge 20 maggio 1970 n. 300.
Occorre, infine, rilevare che la tutela delle condizioni di lavoro è affidata anche alla
contrattazione collettiva, la quale può considerarsi espressione del principio di libertà sindacale
ex art. 39 Cost.
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La funzione del contratto collettivo è proprio quella di stabilire minimi di trattamento
economico e normativo migliorativi rispetto a quelli fissati dalla legge e non derogabili da
parte del contratto individuale di lavoro. Infatti, le clausole del contratto collettivo si
sostituiscono automaticamente a quelle del contratto individuale di lavoro, a meno che queste
ultime non contengano condizioni più favorevoli, come espressamente prevede l’art. 2077 c.c.,
considerato applicabile dalla concorde giurisprudenza non solo al contratto collettivo
corporativo, ma anche al contratto collettivo attuale cosiddetto di diritto comune.
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3 Gli usi.
Gli usi richiamati dall’art. 1 disp. prel. c.c. sono gli usi normativi, che secondo
l’opinione prevalente della dottrina e della giurisprudenza, sono caratterizzati dalla reiterazione
costante ed uniforme di un comportamento da parte di una generalità di soggetti,
accompagnata dal convincimento dell’obbligatorietà della condotta stessa.
Oltre a quelli normativi, esiste una ulteriore categoria di usi: i cosiddetti usi negoziali.
Sia la giurisprudenza che la dottrina propendono per una netta differenziazione tra le
due tipologie di usi. Al contrario, un vivace contrasto sussiste in ordine alla elaborazione dei
criteri distintivi.
Per quanto riguarda i criteri strutturali, si afferma che gli usi negoziali sarebbero privi
del carattere della generalità, per il fatto di essere limitati ad alcune categorie di persone.
Secondo altri, essi sarebbero dettati da ragioni di opportunità e convenienza, invece che dalla
convenzione di osservare un precetto giuridico. C’è invece chi afferma che l’uso normativo
deriva la sua autorità ed efficacia direttamente dalla legge, mentre l’uso negoziale disciplina il
contratto solo se esplicitamente o implicitamente richiamato dai contratti e quindi opera in
base alla presunta volontà di questi ultimi.
La maggio parte della dottrina nega invece la possibilità di una differenza di tipo
strutturale fra usi negoziali ed usi normativi e afferma che la distinzione fra le due fattispecie
risiede unicamente nella diversità della funzione svolta dall’uno e dall’altro tipo di usi. L’uso
normativo agisce sul piano delle fonti dell’ordinamento giuridico, l’uso negoziale sul
contenuto del contratto.
Passando all’analisi di alcuni esempi concreti, è opportuno prendere in esame gli usi
cui agli artt. 1340, 1368 e 1374 c.c.
Si tratta, senza ombra di dubbio, di fattispecie ascrivibili alla categoria degli usi.
L’aspetto problematico è quello della loro classificazione tra i normativi ed i negoziali.
Le clausole d’uso ex art. 1340 c.c. hanno effetto nel contratto a condizione che le parti
non abbiano manifestato la volontà di escluderne l‘applicazione. Svolgono, pertanto, una
funzione integrativa della volontà contrattuale, operano sul piano della formazione della
fattispecie negoziale e sono, pertanto, annoverabili tra gli usi contrattuali.
Nell’art. 1374 c.c. (integrazione del contratto) gli usi sono richiamati in funzione
integratrice degli effetti del contratto, nel presupposto della mancanza di disposizioni
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legislative al riguardo; è chiaro, quindi, che essi assumono valore normativo, cioè di fonti
suppletive di leggi. La loro operatività si manifesta sul piano dell’esecuzione del contratto già
formato, dettandone la disciplina per il caso che la legge non disponga. Si tratta, quindi, di usi
normativi.
Le pratiche generali indicate nell’art. 1368 c.c. acquistano rilievo in funzione
interpretativa, al fine di attribuire un significato alle clausole contrattuali rimaste ambigue pur
dopo l’applicazione delle norme tendenti a ricostruire la volontà storica delle parti (artt. 1362 –
1365 c.c.). presuppongono, cioè, non la mancanza, come nei casi precedenti, di una
dichiarazione contrattuale, ma l’esistenza di una dichiarazione di volontà espressa in maniera
non adeguata rispetto all’intento perseguito. Di conseguenza, lungi dallo svolgere una funzione
normativa, gli usi interpretativi operano come indizio, come elemento di valutazione. Si tratta
di modi di vedere e di esprimersi propri di singoli ambienti dai quali viene tratta non una
regola di condotta, ma un criterio per attribuire il significato più corretto ed adeguato ad un
atto negoziale.
Conclusa l’analisi degli aspetti teorici degli usi, passiamo allo studio delle modalità di
applicazione degli stessi. A tal fine è opportuno partire dall’art. 8 delle disp. prel. c.c. il quale
così recita “nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia in
quanto sono da essi richiamati. Le norme corporative prevalgono sugli usi”. A sua volta l’art.
2078 c.c. prevede poi che “in mancanza di disposizioni di legge e di contratto collettivo
prevalgono gli usi. Tuttavia gli usi più favorevoli ai prestatori di lavoro prevalgono sulle
norme dispositive di legge. Gli usi non prevalgono sul contratto individuale di lavoro”.
Sulla scorta delle richiamate disposizioni di legge, il conflitto ta gli usi e le altre fonti di
legge è così regolamentato:
•
Usi e Leggi: la legge imperativa prevale sugli usi anche se più
favorevoli al prestatore di lavoro. Questi ultimi prevalgono, invece, sulle
norme dispositive di legge (art. 2078 2° comma c.c.). in mancanza di
disciplina legislativa, gli usi spiegano la loro piena efficacia, cìoè sono
fonte autonoma di diritto;
•
Usi e Contratto Collettivo: gli usi si applicano in mancanza di contratto
collettivo e cedono di fronte a quest’ultimo, anche se sono più
favorevoli;
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•
Usi e Contratto Individuale: gli usi non prevalgono sui contratti
individuali di lavoro anche se sono più favorevoli.
Tale regolamentazione riguarda gli usi normativi. Le clausole d’uso previste dall’art.
1340 c.c. – in quanto inserite a tutti gli effetti nel contratto individuale di lavoro – possono
sempre derogare in senso più favorevole sia alla legge unilateralmente inderogabile , sia la
contratto collettivo. Esse non possono, invece, modificare in contratto individuale, quando
risulta che non siano state volute dalle parti implicitamente od esplicitamente.
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4 Gli usi aziendali
Con il termini uso, consuetudine, pratica o prassi aziendale, dottrina e giurisprudenza
indicano un comportamento più volte attuato dal datore di lavoro nei confronti di tutti i
lavoratori o di una sola parte di essi, che egli prescelga in base a criteri liberamente
determinati. Per lo più tale comportamento si concreta nella concessione di gratifiche, di
premi, di indennità o di attribuzioni a carattere previdenziale non obbligatorio (2123 c.c.).
tuttavia, la prassi aziendale può riguardare anche le condizioni di lavoro in generale dei
dipendenti del datore di lavoro (orario di lavoro – richiesta di particolari prestazioni da parte
dei dipendenti).
Se la definizione di prassi aziendale non presenta particolari difficoltà di costruzione,
assai controversa ne è la qualificazione giuridica. Il problema si complica anche perché
sussiste, come già si è visto, una grande varietà di opinioni degli studiosi relativamente alla
classificazione degli usi in esame fra i normativi o i negoziali e allo stesso criterio distintivo tra
gli uni e gli altri. Secondo la giurisprudenza meno recente, gli usi aziendali, anche se tipici di
un solo datore di lavoro, sono usi negoziali da ritenersi inseriti nel contratto individuale ai
sensi dell’art. 1340 c.c. (vedi Cassazione sez. un. 17 marzo 1995 n. 3101, Cass. 02 febbraio
1996 n. 900, Cass. 25 luglio 1996 n. 6690). Pertanto, tali usi non sono suscettibili di essere
modificati in senso peggiorativo né dal contratto collettivo nazionale e/o aziendale, ai sensi di
quanto dispone l’art. 2’’7 c.c., né unilateralmente dal datore di lavoro. Essi sono, altresì,
efficaci nei confronti dei lavoratori nuovi assunti, salvo volontà contraria delle parti.
Il più recente orientamento della Suprema Corte (Cass, 17 febbraio 2000 n. 1773, Cass.
10 novembre 2000 n. 14606) ritiene invece che all’uso aziendale debba essere attribuita natura
di fonte sociale collettiva, che opera sul piano dei singoli rapporti individuali di lavoro con le
stesse modalità e la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale. Di conseguenza, le
prassi aziendali sono modificabili sia in melius che in peius dai contratti collettivi di qualsiasi
livello.
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5 Le fonti internazionali
La tendenza all’uniformazione, tra i vari Stati Esteri, della regolamentazione di aspetti
generalmente diffusi della vita comune, pone la questione delle fonti internazionali.
Nell’ambito del nostro sistema giuridico, la valenza delle fonti internazionali viene
chiarita nella Carta Costituzionale, la quale ne distingue due diverse tipologie.
L’art. 10 comma 1 della Cost. il quale, secondo la prevalente dottrina e giurisprudenza,
riguarda le norme internazionali di origine consuetudinaria e gli artt. 80 e 87 Cost. relativi alle
norme di diritto internazionale di origine pattizia.
Per quanto concerne le prime (norme consuetudinarie), queste penetrano direttamente
nell’ordinamento interno e sono gerarchicamente superiori alle leggi ordinarie. Sul punto non
vi sono particolari questioni, mentre assume profili controversi il loro rapporto con le norme
costituzionali.
In materia si sono sviluppati due diversi orientamenti.
Alcuni collocano le norme internazionali in una posizione intermedia tra le fonti
costituzionali e le leggi ordinarie. Altri, invece, le pongono sullo stesso piano della
Costituzione e delle leggi costituzionali, attribuendogli, altresì, capacità di resistenza nei
confronti di queste ultime col solo limite della conservazione dei cardini essenziali del sistema
interno.
Discorso diverso deve effettuarsi per le norme di origine pattizia.
Si tratta di norme cui non è riconosciuto un potere tale da produrre effetti diretti nel
nostro ordinamento. A tal fine è, infatti, necessario un formale atto di ratifica da parte del
Presidente della Repubblica.
L’effetto della ratifica è, però, limitato al solo Stato contraente il quale deve provvedere
all’emanazione di una norma interna, successivamente alla cui entrata in vigore, sorge, per i
singoli cittadini, l’obbligo di rispettare quanto in essa previsto.1
1
È ormai prassi generalizzata che il Parlamento, nei casi in cui autorizzi con legge la ratifica del trattato internazionale
da parte del Presidente della Repubblica, inserisca nello stesso atto la formula tipica, secondo la quale “piena ed intera
esecuzione è data al trattato”, pubblicando in allegato il testo del trattato stesso.
In tal modo penetrano nel diritto interno le norme necessarie perché il trattato possa avere esecuzione.
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6 Le convenzioni O.I.L.
Il nostro paese fa parte dell’Organizzazione internazionale del lavoro (O.I.L.), costituita
nel 1919 con lo scopo principale di promuovere da parte di tutti i paesi aderenti, un regime di
lavoro omogeneo e compatibile con le esigenze di vita dignitosa da parte dei lavoratori.
Tale istituzione si articola in tre organi fondamentali:
•
CONFERENZA INTERNAZIONALE DEL LAVORO
Si tratta di un organo con prevalente funzione legislativa che si estrinseca
nell’elaborazione di norma internazionali o convenzioni (per le quali è necessaria
una successiva ratifica da parte dei singoli stati) e che, in presenza di problemi
sollevati dai singoli stati membri, può manifestarsi in forma di raccomandazioni, al
fine di orientare l’attività dei governi per l’elaborazione di leggi nazionali o per
l’adozione di provvedimenti amministrativi.
•
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
È l’organo attivo della conferenza, composto da 48 membri così ripartiti: il
50% rappresentano i governi degli stati membri, ¼ i datori di lavoro ed ¼ i
lavoratori. I suoi compiti fondamentali sono: fissare l’ordine del giorno della
Conferenza, nominare il direttore generale dell’Ufficio Internazionale del Lavoro,
sorvegliare l’applicazione delle convenzioni e raccomandazioni da parte dei singoli
stati.
•
UFFICIO INTERNAZIONALE DEL LAVORO
Si tratta dell’organo di segreteria permanente, di studio e di documentazione
della Conferenza Internazionale del Lavoro che è presieduta dal direttore
dell’ufficio stesso.
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7 Gli strumenti giuridici comunitari
Nel nostro ordinamento assumono una grande importanza le cosiddetta fonti
comunitarie. Esse si distinguono in:
•
NORME DI DIRITTO PRIMARIO
Si tratta della norme contenute nello stesso trattato istitutivo della Comunità
Europea (Trattato di Roma del 25 marzo 1957). Le norme di diritto primario hanno
carattere programmatico – nel senso che devono essere attuate per il tramite di atti
di normazione derivata – ovvero sono dotate di precettività immediata.
•
NORME DI DIRITTO DERIVATO
Si tratta delle norme emanate dal Consiglio. Al riguardo occorre fare
riferimento all’art. 249 del Trattato della Comunità Europea, il quale attribuisce alle
istituzioni comunitarie il potere di emanare atti con diversa efficacia vincolante, che
qui di seguito si enumerano:
a. Regolamenti: hanno portata generale, sono obbligatori in tutti i
loro elementi e sono direttamente applicabili negli stati
membri. (norme self-executing);
b. Direttive: vincolano lo stato membro cui sono rivolte per
quanto riguarda il risultato da raggiungere, senza intaccare la
competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai
mezzi da utilizzare in relazione allo scopo prefissato. L’unico
limite è costituito dal divieto di ricorrere, al fine di dare
attuazione alle direttive, alla prassi amministrativa. Tutto ciò
per soddisfare le esigenze di chiarezza e di certezza delle
situazioni giuridiche volute dalla direttiva;
c. Decisioni: sono obbligatorie in tutti i loro elementi per i
destinatari in esse designati, siano essi individui o imprese. A
differenza dei regolamenti, che hanno carattere generale, le
decisioni hanno valenza individuale;
d. Raccomandazioni e pareri: nessuna delle due tipologie è
vincolante. Le prime sono emanate dal Consiglio e dalla
Commissione di propria iniziativa ed invitano il destinatario a
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tenere
un
determinato
comportamento
giudicato
più
rispondente agli interessi comuni, i secondi presuppongono una
richiesta agli organi comunitari da parte dei soggetti interessati
a conoscere la posizione delle istituzioni in merito ad una
determinata questione.
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8 I principi di sussidiarietà e di mutuo soccorso
L’Unione Europea (vedi art. 1 del Trattato Istitutivo) adotta il cosiddetto principio
di sussidiarietà, in base al quale il suo intervento è previsto solo se gli stati membri non
siano in grado di agire con pari efficacia (art. 5 Trattato Istitutivo). Più precisamente, nei
settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità agisce solo ove il suo
intervento possa contribuire al raggiungimento dell’obbiettivo in modo più soddisfacente
degli stati membri e dunque in presenza di due presupposti fondamentali:
•
se la dimensione dell’azione proposta supera la possibilità di intervento dei singoli
stati membri, i quali non hanno i mezzi necessari, anche sul piano finanziario, per
realizzare gli obbiettivi (prova di efficacia comparata);
•
se l’intervento comunitario risulti più efficace di quello nazionale raggiungendo un
risultato che lo stato da solo non potrebbe conseguire, qualora determinati settori
richiedano un regolamentazione a livello comunitario che assicuri effettività di
tutela ed armonizzazione normativa (prova del valore aggiunto).
Il disegno complessivo del principio di sussidiarietà è pi quello di valorizzare non
solo il livello nazionale rispetto a quello comunitario, ma anche e soprattutto il livello
locale di rappresentanza e di governo, cioè le regioni.
Il principio di sussidiarietà deve ritenersi, altresì, operante sul terreno delle
competenze esclusive della Comunità e si specifica secondo due fondamentali indirizzi. Il
primo è il perseguimento di un’armonizzazione delle diverse legislazioni per il tramite di
direttive flessibili, che consentano la salvaguardia delle specifiche esigenze nazionali. Il
secondo indirizzo, di origine giurisprudenziale poiché introdotto dalla sentenza della Cote
di Giustizia Europea del 20 febbraio 1979, è quello del mutuo riconoscimento delle
norme. Secondo tale principio uno stato membro non ha il potere di limitare all’interno del
proprio territorio la circolazione di un prodotto proveniente da altro stato qualora esso sia
stato fabbricato o confezionato in conformità alle norme legittimamente in vigore
all’interno del paese di origine e non già alle proprie norme.
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9 La ricostruzione dell’ordine delle fonti del diritto
del lavoro
Le indicazioni fornite e le considerazioni svolte fino ad ora, ci consentono di
ricostruire l’esatto ordine delle fonti del diritto del lavoro.
A tale riguardo, superando l’incompleto schema offerto dall’art. 1 delle disposizioni
preliminari del codice civile, è possibile proporre la seguente gerarchia:
a. I principi generali del diritto: fra questi devono comprendersi sia i
principi posti dalle leggi considerate nel quadro dell’ordinamento, sia i
principi dottrinali e giurisprudenziali. Entrambe queste due categorie di
principi fra i quali non puo parlarsi di gerarchia, ma semmai di
interazione, non servono solo a colmare le lacune, secondo quanto
previsto dall’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, ma
individuano il senso delle disposizioni di legge, che gli artt. 1 e 12, 3°
comma sempre delle disposizioni preliminari, pongono come prima
fonte;
b. La Costituzione e le norme di diritto internazionale generalmente
riconosciute;
c. I regolamenti, le direttive dotate di completezza di contenuto
dispositivo e le decisioni generali degli organismi comunitari;
d. Le leggi interne e i trattati internazionali ratificati;
e. Le direttive comunitarie;
f. I contratti collettivi corporativi e i contratti collettivi post-corporativi
validi “erga omnes”;
g. L’autonomia privata: si tratta dei contratti collettivi di diritto comune e
dei contratti individuali di lavoro;
h. Gli usi o consuetudini;
i. L’equità: non è fonte in senso proprio, ma si configura semmai come
un altro modo di far penetrare nel diritto la funzione creativa della
giurisprudenza.
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10 Il principio di favore verso il lavoratore
Sull’ordine delle fonti così delineato incide il principio generale di favore verso il
lavoratore, il quale è tale da sovvertirne la normale gerarchia, nel senso che la norma di
grado superiore cede a quella di grado inferiore più favorevole al lavoratore, col solo
limite delle leggi assolutamente inderogabili.
Queste ultime, che sono tali in quanto perseguono interessi pubblici (ad esempio la
legislazione previdenziale), non possono essere derogate né in senso peggiorativo, né in
senso migliorativo.
Al di fuori di tali limitate ipotesi, mentre nel diritto civile da luogo al processo della
sostituzione della clausola contrattuale con il precetto imperativo, nel diritto del lavoro tale
meccanismo si verifica unicamente nell’ipotesi in cui l’atto di autonomia privata modifichi
in peius il precetto di legge. Invece, qualora, concorra con quest’ultimo una qualsiasi altra
fonte più favorevole, l’imperativo al quale bisogna sottostare è quello della valorizzazione
massima del soggetto tutelato, la quale si ottiene sostituendo il precetto inderogabile di
legge con precetto più favorevole tradibile dalle varie fonti concorrenti.
Il principio esaminato opera sul piano degli effetti del contratto di lavoro. Non si
può invece ritenere che esso abbia rilevanza sul piano interpretativo, introducendo un
criterio ermeneutica nuovo, in forza del quale si debba scegliere , fra più soluzioni
possibili, quella più favorevole al prestatore di lavoro. Infatti, non solo non sussiste una
espressa previsione legislativa in quest’ultimo senso, ma non è nemmeno possibile
affermare che nel nostro ordinamento l’esigenza di favorire uno dei soggetti del rapporto
sia necessariamente correlata all’esigenza di fondare uno speciale trattamento in sede
ermeneutica. Tale conclusione non comporta conseguenze pregiudizievoli per il lavoratore,
poiché le norme generali dettate dal codice civile in tema di interpretazione dei contratti
conducono a risultati sostanzialmente analoghi a quelli che si perseguirebbero con la
supposta regola in “dubio pro operaio”.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Le fonti del diritto del Lavoro
11 L’identificazione della fonte più favorevole
Chiarita la portata del principio di favor del lavoratore, è necessario individuare il
criterio attraverso il quale valutare, rispetto all’interesse del lavoratore, quale sia la fonte
più favorevole.
Dottrina e giurisprudenza hanno fornito, al riguardo, molteplici soluzioni di
raffronto:
•
Fra intere discipline in contrasto;
•
Fra istituti omogenei, intendendosi per istituto un complesso di
disposizioni unificate “ratione materiae” (retribuzione, ferie, malattia ed
infortunio, trattamento di fino rapporto);
•
Fra le singole disposizioni o addirittura fra le varie parti di esse.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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