A tavola con...Gualtiero Marchesi:Layout 1
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29-04-2010 9:30 Pagina 1 A tavola con... Gualtiero Marchesi A tavola con...Gualtiero Marchesi:Layout 1 Tanti di questi Marchesi A cura di: Maria Zanolli Foto di: Francis Ottant’anni e non averli. Il maestro li ha compiuti il 19 marzo, un pesci cuspide ariete. Per festeggiare l’evento, fino al 20 giugno, al Castello Sforzesco di Milano si racconta la sua vita in una mostra. Lui è felice, ci incontra con un libro di poesie in mano e tante, tantissime, un’infinità di cose da dire. A tavola con...Gualtiero Marchesi:Layout 1 29-04-2010 9:30 Pagina 2 A tavola con...Gualtiero Marchesi:Layout 1 29-04-2010 9:30 Pagina 3 Quando arriviamo nel tempio del maestro, dopo aver costeggiato le morbide curve delle bollicine, nell’attesa di incontrare Marchesi sfoglio il libro delle dediche del ristorante. Sull’ultima pagina c’è una frase: “Se il paradiso avesse una cucina, Gualtiero potrebbe aprirci un ristorante”. Santo Marchesi, penso. Beh, ci manca poco. Sicuramente, se mai decidessero di beatificare uno chef, lui sarebbe il prescelto. Mentre m’immagino la cerimonia, il maestro arriva. Ci accoglie con eleganza, sorride con quel suo sorriso semiserio che non sai mai se è così o se ti prende un po’ in giro. Ottant’anni e non averli. Da vicino fa ancora più impressione. Se siamo quello che mangiamo, vuol dire che Marchesi ha sempre mangiato bene. E su questo non ci piove. Ha iniziato al “Mercato”, quando era piccolo, l’albergo ristorante dei genitori nel quartiere di Porta Vittoria a Milano. Poi in Francia, al “Ledoyen” di Parigi, allo “Chapeau Rouge” di Digione e dai fratelli Troisgros. “Quando sono andato via dai fratelli Trogrois mi racconta Marchesi - a un certo punto ho detto: ‘Me ne vado, ho capito’. Trogrois mi ha chiesto che cosa avevo capito. E io ho detto: ‘Vedrai’.” In quel ‘vedrai’ c’è tutta la grinta e il coraggio di Gualtiero che per primo in Italia, nel 1985, si aggiudica con il suo ristorante di via Bonvesin de la Riva la terza stella Michelin. La strada è appena iniziata. Sulle tavole italiane e internazionali non si parla altro che dei suoi piatti rivoluzionari, a metà tra la cucina, l’arte, la poesia e l’happening. Una cucina che si fonda su un lavoro di esperienza sul campo, di studio e di ricerca, di grande fantasia e intuizione, ma soprattutto una cucina di pensiero, che “cerca di cogliere l’essenza dell’arte culinaria nel suo profondo estrinsecarsi in sapori, gusti e aromi”. Così scrive sul suo libro “Marchesi si nasce” realizzato insieme alla mostra in corso al Castello Sforzesco di Milano. La felicità non gli manca in questo grande momento. E nemmeno la poesia. Che ci legge dal suo menù, dove annota, come una partitura musicale, i pensieri più importanti della sua vita. Didascalie immagini. Sopra, Riso Oro e Zafferano. A tavola con...Gualtiero Marchesi:Layout 1 29-04-2010 L’INTERVISTA A GUALTIERO MARCHESI Ristorante Il Marchesino Ha visto cosa c’è scritto sul libro delle dediche del ristorante? “Se il paradiso avesse una cucina, Gualtiero potrebbe aprirci un ristorante”. L’ha letto anche lei?! È bellissimo, l’avrà scritto un bambino… Ma la scrittura era da adulto Io preferisco i bambini, perché sono più onesti, sinceri, puliti. Pensi che un giorno un ragazzino mi ha detto che quando mangia il riso oro gli sembra di volare su Marte. Quindi lei è uno chef spaziale… Eh sì, tutti vorrebbero andare su Marte, ma anche sulla Luna, forse sulla Luna è più facile, è più a portata di mano. E cosa potremmo cucinare sulla Luna? Sa che io sono per la cucina del microclima, bisogna andare sulla Luna e respirare l’aria che c’è per capire cosa bisogna fare o se è meglio tornare indietro. 9:30 Pagina 4 Nell’immagine sotto, Dripping di Pesce (photo by M.Borchi) A tavola con...Gualtiero Marchesi:Layout 1 29-04-2010 9:31 Pagina 5 Facciamo un passo indietro. La mia prima domanda, in realtà, era per lei. Mi spiego meglio: visto che Marchesi è il maestro dei maestri ha tutto il diritto, dopo oltre sessant’anni di grande cucina, di rivolgere una domanda al mondo della gastronomia… Dove andiamo? Fatemi sapere dove andate… Ma è un po’ preoccupato? No, perché alla fine l’uomo risolve sempre i suoi problemi, è che se guardo i libri storici a partire da Escoffier, è inconcepibile come fosse grande quella cucina, così ridondante, barocca, piena di cose. Oggi siamo arrivati all’estremo. Diciamo che i giapponesi ci sono arrivati prima di noi, la loro cucina è semplice, pulita, straordinaria. Ognuno è specialista del suo campo e solo i grandi cuochi fanno i menu kaiseki. Non tutti ci arrivano, solo quelli bravi. Quindi io sono molto riconoscente alla cucina giapponese. È anche una cucina salutare? La cucina deve essere salute, se no sono pasticci e basta. Sul mio menù degustazione, dopo le polemiche sulla cucina molecolare, ho scritto: “la cucina è una scienza, sta al cuoco farla divenire arte”. Se vogliamo fare buona salute dobbiamo avere un ottimo prodotto e non rovinarlo. Rispettarlo, valorizzarlo… Esatto. Parecchi pezzi che espongo alla mostra al Castello Sforzesco sono semplici come il pollo cotto arrosto o un broccolo romano intero cotto e messo sul piatto. Leggendo il suo libro c’è una frase che mi è piaciuta molto. “Quel che soddisfa il gusto deve essere minore di quel che soddisfa gli altri sensi”, l’ha scritta Olindo Guerrini. Quali emozioni dovremmo provare degustando una pietanza? È una questione di cultura. La gente ama i sapori ridondanti, ma più si caricano i sapori più si va lontani dalla materia. Un amico giornalista mi ha regalato ultimamene un libro interessante sull’argomento di un autore francese, s’intitola “L’elogio dell’insapore”. Più rincariamo i sapori, più ne abbiamo bisogno. Il silenzio, tutto sommato, è una delle cose più belle. Mettersi in riva al mare e sentire il rumore dell’acqua. C’è un piatto della mostra che ho chiamato “L’ultimo arrivato” è una calamarata, calamaretti sparpagliati su un piatto col fondo nero. Nell’immagine sotto, Seppia al nero. I GRANDI PIATTI FIRMATI MARCHESI Riso oro e zafferano 1981 Raviolo aperto 1982 Penne con asparagi e tartufi 1982 Seppia al nero 1983 Costoletta alla milanese del 2000-1991 Le quattro paste 2000 Piramide di riso 2001 Dripping di pesce 2004 Pera cotta al vino rosso e cialde di cioccolato 2004 Il Rosso e il Nero 2006 A tavola con...Gualtiero Marchesi:Layout 1 29-04-2010 Quindi si sente il mare? Si mangiano i sapori veri del calamaro. Non sappiamo niente del calamaro perché è sempre storpiato da centomila cose. Poi, di fianco, gli metto un riso con i piselli, sedano, carote. Mi piace l’idea del gioco, che uno prenda il riso e lo mescoli con il resto oppure mangiarlo separato. Io sono per il “separatismo”. 9:31 Pagina 6 LA MOSTRA STORIAE D’ITALIA. GUALTIERO MARCHESI E LA GRANDE CUCINA ITALIANA E se dovessimo esprimere l’amore in un piatto, quale sarebbe? Qualsiasi piatto. Qualsiasi piatto, fatto con amore, viene meglio. Dico sempre che apprezzo molto la cucina delle donne, perché loro ci mettono il cuore più dell’uomo. C’è una frase di Shelling che dice più o meno così: “La pressione spinge l’uomo al di fuori dal suo centro”. Ma chi è che c’è di bravo, oltre a lei? Non lo so, io non vado tanto in giro ad assaggiare. C’è però una tendenza un po’ strana, fanno tutti troppo gli artisti o i compositori e invece devono fare i cuochi. Cucinare le cose bene. Sono tutti diventati sofisticati, ma la cultura per arrivare lì non c’è. Ho letto com’è nato uno dei suoi piatti mitici, il “Raviolo Aperto”. Una cliente le racconta che durante un matrimonio le hanno servito dei ravioli mal riusciti che si erano aperti una volta depositati sul piatto. L’ispirazione per un nuovo piatto può nascere anche prendendo spunto da un errore? Si parte da uno spunto per correggere una cosa. Anche il risotto alla milanese è nato così, ho messo mano a qualcosa che c’era già. L’ho sistemato. Come ha messo a posto del risotto? L’altro giorno parlando con una persona dicevamo che in generale i risotti sanno sempre di formaggio, sa perché? Perché se ne mette troppo. Si, ma il motivo è un altro. L’acidità del formaggio è molto alta e quindi influisce moltissimo sul sapore del risotto. Quindi, partendo dall’esperienza francese dove ho imparato a fare il burro acido, ho introdotto questo burro nel risotto. Poi il risultato finale è sempre una questione di equilibrio di tutti gli elementi. Lei sa un sacco di cose, ma per diventare maestro avrà pur fatto qualche errore… Se non avessi fatto errori non sarei qua. Ma già il fatto di fare errori è perché ci si rende conto di aver sbagliato e quindi si rimedia. Se si può. La cosa più difficile da imparare in cucina? Il mestiere, come dicono tutti, si ruba. Quando sono andato via dai fratelli Trogrois a un certo punto ho detto: “Me ne vado, ho capito”. Trogrois mi ha chiesto che cosa avevo capito. E io ho detto: “Vedrai”. E cosa aveva capito? Lo spirito con cui era condotto il lavoro. Non era solo imparare a fare un piatto. Sono le tecniche che ti permettono di arrivare lì. Come quando un barman fa un cocktail perfetto, ha raggiunto lo scopo di mettere assieme diverse cose e di creare l’armonia di un cocktail, la stessa cosa vale per il piatto: gli ingredienti che vanno su questo piatto devono, magari in contrasto, creare armonia. Lo diceva anche Eraclito: “Dal contrasto nasce una bellissima armonia”. Le hanno dedicato addirittura un Castello per i suoi 80 anni, è felice? Quando gli amici mi dicevano: “Torneresti a Milano?”. Io gli dicevo: “Dovrebbero darmi almeno la Scala o il Castello”. Pensa che caso, manca solo il Duomo per le esequie… L’ironia non le manca mai. Ma tra 30 anni cosa mangeremo? Non posso saperlo. L’altro giorno Aldo Spoldi in una presentazione del mio libro ha detto una cosa fortissima. “Noi mangiamo il nostro tempo”. È vero, noi siamo il nostro tempo. Mi è quasi difficile sapere cosa ci sarà, posso intuire che cosa sta avvenendo e che cosa verrà perché sono moderno per quel tanto che mi concede la mia storia. La prima volta che andai negli Stati Uniti mi ricordo che rimasi colpito dalla cucina che era buonissima e completamene diversa dalla nostra. Ma allora è un vantaggio avere una storia? Oppure si è più liberi a non averla? Questo è l’eterno dilemma. Fino al 20 giugno il Castello Sforzesco di Milano ospiterà la mostra dedicata al maestro Marchesi (visitabile tutti i giorni dalle 9 alle 17.30). Il percorso espositivo si sviluppa in sette punti che ripercorrono la storia dello chef, dalle origini a oggi. Un viaggio tra le fotografie, gli oggetti, i dipinti e le creazioni che hanno contrassegnato la vita del grande maestro. www.milanocastello.it E un panino firmato Marchesi da mettere nella schiscetta del 2010? Adesso su due piedi non saprei. Bisogna che mi guardi in giro con gli occhi del panino… C’è una bellissima frase di Hermann Hesse che dice: “L’idea nasce dell’anima dell’artista, non è materia, è pensiero”. Visto che il nostro piatto nazionale è la pasta, come si fa una pasta “Marchesi”? Ci vogliono le sfogline, le donne emiliane che lavorano la pasta. Perché loro hanno la manualità, la tradizione, l’arte. E per la cottura della pasta? Per cuocere la pasta secca, c’è un segreto di Agnesi: il miglior modo è cuocerla in acqua bollente salata per qualche minuto e il resto della cottura spegnere il fuoco e mettere il coperchio. Quando apri il coperchio l’acqua rimane limpida: questo vuol dire che non c’è una cessione di amidi e la pasta rimane corposa. Mezza mela a fine pasto pulisce la bocca. Lo diceva sua madre, vale ancora? Eccome. E pensare che io propongo un piatto di sottobosco che nasce proprio con questo intento. La frutta acida toglie tutto. Ma mi sono ricordato dopo che mia madre mangiava sempre mezza mela, ecco da dove arriva. Certe cose le hai dentro e arrivano al momento giusto. Parlando di vini, qual è il suo preferito? Direi un bollicine. Lei, oltre alla cucina, ama la musica e l’opera. C’è un pezzo che ha nel cuore e vuole lasciarci come conclusione dell’intervista? Facciamo un brindisi a Baccus con la Traviata: “Libiamo, libiano ne'lieti calici”.