Un piatto è vivo se ti mette i brividi
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Un piatto è vivo se ti mette i brividi
20 Martedì 28 Ottobre 2008 IL TIRRENO I giovedì di Peccioli WINE&FASHION Bottiglie d’autore alla Champions Dario Dainelli PECCIOLI. Fischio d’inizio della champions wine con i migliori vini della Toscana - abbinati ai piatti - ai tavoli della Locanda dell’Amicone a Peccioli. Giovedì (ore 20.30) sarà il girone del Brunello - con 4 bottiglie d’autore - a essere giudicato dai commensali, guidati anche da esperti. Tra gli ospiti anche Alberto Gilardino. Questa l’idea dei titolari della Locanda dell’Amicone: oltre al tartufaio dei record Cristiano Savini e a Francesco Dal Canto c’è anche il difensore della Fiorentina Dario Dainelli. Il quale, assaporato quest’anno il gusto della Alla conquista dell’America Champions League con il calcio, vuol fare qualcosa di analogo anche con i vini della Toscana. La manifestazione proseguirà giovedì 6 novembre con il Chianti classico. Quindi il Chianti, poi Merlot, Shyraz, Morellino di Scansano, Blended vari per chiudere il 18 dicembre con il Sangiovese. Come per la Champions del calcio, la sospensione invernale per riprendere a fine febbraio con il testa a testa e giungere alla finale nella seconda metà di maggio. Ogni serata costa 35 euro per un massimo di 40 commensali-giudici. Chianti verso gli Usa FIRENZE. Si aprono prospettive interessanti verso gli Stati Uniti, per le aziende toscane, grazie a Wine&FashionFlorence, la rassegna di moda, artigianato ed enogastronomia in calendario fino a giovedì al museo di Orsanmichele. Lo ha sottolineato Frank Nero, presidente di The Beacon Council l’agenzia ufficiale per lo sviluppo economico della contea di Miami e Dade annunciando che lavorerà per portare negli Usa la manifestazione. Anche William Traverso, proprietario di un retail specializzato, il Traverso’s Gourmet Foods in California ha sostenuto: «Il Levante Fiorentino è un’area interessante dove si produce un eccellente vino che può avere un suo mercato in un’area come la nostra, dove i consumatori sono molto attenti alla qualità e dove i residenti di origine italiana rappresentano una percentuale non indifferente». Un piatto è vivo se ti mette i brividi Lopriore: mi piace affidarmi all’estro del momento «Incantato da Cala Violina ho tradotto i suoi profumi in cucina» M squadra tra chi lavora nella ristorazione rispetto ad un tempo? «Credo proprio di sì. Intanto ci sono più occasioni per incontrarci, scambiare opinioni, interrogarci su alcune questioni legate al nostro lavoro e questo lascia ricordi importanti in ognuno di noi. Ecco potrei dire che oggi esiste una sorta di progetto comune. Prima ognuno guardava solo nel proprio orticello». C’è un piatto a cui sei particolarmente legato? «Quello che sto proponendo ora: la lepre con i fasolari, finocchio marino, cime di rapa con sangue aromatizzato. Un piatto ispirato da un viaggio recente a Cala Violina, quella pineta, quei profumi mi hanno incantato e li ho tradotti in cucina. Per me i piatti sono vivi quando danno brividi, quando abbiamo paura di affrontarli. Così diventano magici». Hai una giornata libera e scegli di mangiare fuori. Dove vai? «Alla Pineta di Bibbona da Zazzeri. È un posto meraviglioso, un locale anarchico dove cogli quella magia che mi ha fatto innamorare di questo mestiere». Federico Ricci olti lo considerano il miglior allievo di Gualtiero Marchesi, altri lo annoverano già tra i grandi della cucina italiana. In ogni caso Paolo Lopriore, comasco classe 1973, è sicuramente uno tra i migliori chef italiani, a buon titolo tra quelli che Enzo Vizzari, nell’introduzione alla guida dell’Espresso, definisce esponente (di primo piano) della “nuova cucina italiana”. Ha ricevuto, proprio dalla guida, il premio per la “Performance dell’anno”, il riconoscimento che va a chi è stato protagonista del più significativo miglioramento nella qualità della proposta. La sua avventura nel mondo della ristorazione inizia nel 1990 quando, dopo la scuola alberghiera, approda nelle cucine di Gualtiero Marchesi dove resta fino al 1992. Segue una breve esperienza all’Enoteca Pinchiorri di Firenze, ma già nel ‘93 torna al Ristorante Gualtiero Marchesi che nel frattempo si è spostato ad Erbusco. Arrivano poi i perfezionamenti presso alcuni dei migliori ristoranti francesi quali il “Ledoyen” a Parigi. Nel 1998 arriva ad Oslo, al Ristorante “Bagattelle”. In Norvegia resta tre anni fin quando, per sfida o per nostalgia, ritorna con maggiori consapevolezze e conoscenze da Gualtiero Marchesi. La realtà si chiama, da sei anni a questa parte, ristorante “Il Canto”, nella suggestiva cornice del relais Certosa di Maggiano in quel di Siena. Uno chef che crea riflettendo su un paesaggio, su un’emozione, sui colori di un tramonto, che non ha paura di sperimentare e di percorrere sentieri tortuosi (ma grazie a lui diventano dolci e sicuri). Inseguendo sempre quella simbiosi tra cuoco e piatto che rende unica ed irripetibile l’esperienza tra i fornelli. Ti aspettavi questo exploit nell’ultimo anno? «Una sorpresa enorme che mi carica anche di tante aspettative e responsabilità. Ma sono ben felice di misurarmi con questa situazione». Quale è la forza della cucina italiana? «Intanto la materia prima. Abbiamo una miriade di ottimi prodotti che ci danno modo di esercitare quella che considero l’arma in più della nostra cucina: la creatività. E la nostra forza è anche quella di non codificarla, sono tocchi magici e irripetibili che è impossibile mettere su carta perché mutevoli, assolutamente legati all’estro del momento. Credo che questa creatività sia innata nel nostro dna, in tutti i campi. E non la codifichiamo perché siamo un paese che vive sui contrasti. L’esempio è lo stesso piatto che subisce varianti incredibili nel giro di pochissimi chilometri, da paese e paese. Questa libertà di espressione credo sia la nostra forza. È per questo che non tutto deve essere svelato, è giusto che i segreti del cuoco restino custoditi in cucina». Ma non credi che siamo anche attratti dalle mode? «La cucina subisce le mode, ma è anche vero che chi ha fantasia sa interpretare le mode con il suo tocco. E questo rientra nel senso della creatività come protagonista assoluta». Ieri sushi e sashimi, domani? «Tutto è bello e buono se è commestibile. Non credo ad un prodotto che possa andare di più o di meno. Io ad esempio sto lavorando a costruire la carta come fosse una sorta di piccolo menù come insegnava Marchesi. In ogni caso in cucina non bisogna avere dei limiti anche territoriali». Oggi c’è più gioco di Paolo Lopriore chef del ristorante Il Canto alla Certosa di Maggiano +$ '#()&',%)" Ravioli di polenta sposati con la birra In Garfagnana la vecchia trattoria dei funghi si è trasformata CASTELNUOVO GARFAGNANA. Pier Bonini è un fenomeno. Perchè sa sdoppiarsi. Al bar ti prepara un ricco panino (con pane di patate) e prosciutto bazzone (allevato in Lunigiana e rifinito da Rolando Bellandi). Nella sala del ristorante (primo piano) ti consiglia e mette in tavola una cena con tutti i piatti abbinati alle birre. Dalla Petrognola, regina delle bionde di Garfagnana, alla Duchesse de Bourgogne, che al di là del nome è belga e con la quale prepara una grande brasato. Se la trattoriona poco fuori Castelnuovo famosa per i funghi (che ci sono ancora oggi, meglio c’erano) è di- ventata una signor locale lo si deve a questo over 40 che sa (quasi tutto): di vino e carni, di distillati e cioccolato. Fra i piatti migliori un ottimo raviolo di polenta e formaggio con ragù di cinghiale, una zuppa di farro «arricchita» che vale da sè il viaggio, delle ottime carni. È tutto ottimo e diverso da quello che si vede in giro, compresi dei presunti banali crostini di fegatini. Sui 35 euro, ben spesi. C. B. BONINI, via Monteperpoli 147, Castelnuovo Garfagnana (Lu). Tel. 0583/62210. Chiuso martedì. Carte di credito: tutte. Le aziende biologiche provano a cambiare il marketing del vino Carte dei vini sempre più ampie, ma anche costose. Per i ristoranti una cantina ben fornita è un autentico investimento. E la conseguenza sono ricarichi spesso pesanti sui vini in lista con i clienti che faticano a ordinare vino a tavola. Così, le aziende stanno cercando nuove strade. Il marchese Incisa della Rocchetta, produttore del Sassicaia, simbolo dell’enologia italiana, un anno fa spiegò quello che era il senso della nuova cantina in costruzione a Bolgheri: un grande magazzino dove far invecchiare il vino, in modo da poter rifornire i clienti nel tempo con le annate storiche. Un progetto assolutamente innovativo è oggi quello di cinque aziende biologiche e biodinamiche, capeggiate dalla toscana Loacker, che hanno lanciato il Consorzio Vintesa italian wines con l’obbiettivo di venire incontro a un mercato che cambia. Hanno così messo insieme una “carta vini”, con etichette prodotte da aziende medio piccole di alta qualità, dove ristoratori, enotecari e wine bar possono fare acquisti senza minimi d’ordine e con una fatturazione unica. I vini sono stoccati in un magazzino centrale che si occupa delle consegne anche per quantitativi ridotti, attraverso una rete capillare di agenti e senza grossisti o intermediari. Il risultato sono appunto prezzi contenuti e per i ristoratori nessun obbligo di far cantina oltre alla possibilità di provare vini nuovi. Vini che spaziano dai toscani Brunello e Morellino (e bianchi trentini) di Loacker a Falanghina & C. prodotti in Campania da Antica Enotria. Il Piemonte è rappresentato da “La Luna del rospo” con un’ottima Barbera e da Punset di Marina Marcarino, indomita pasionaria del vino, con i suoi Barbaresco. Infine, Recioto e dintorni di “Fasoli Gino” in quel di Verona. In tutto oltre 150 etichette a pronta consegna, secondo un nuovo modello di marketing.