2 2 M A R Z O 2 0 1 6 - Lega italiana dei diritti dell`uomo
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2 2 M A R Z O 2 0 1 6 “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel trovare nuovi territori, ma nel possedere altri occhi, vedere l’universo attraverso gli occhi di un altro, di centinaia d’altri: di osservare il centinaio di universi che ciascuno di loro osserva, che ciascuno di loro è” Marcel Proust Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo Piazza D’Aracoeli 12, 00186, Roma Tel e fax 06 6784168 Email [email protected] Sito web: www.liduonlus.org www.facebook.com/liduonlus I nostri contenuti SCHENGEN NON SI TOCCA! I nostri contenuti LIBERATE BIRAM DAH ABEID! La Rubrica sui Diritti Umani La Rubrica sui Diritti Umani LIDU e CSLI Italia in alcuni istituti superiori a Napoli per il progetto Girl Up Convegno “Migrazioni e sicurezza: un equilibrio difficile” Impunità e giustizia: il caso Khojaly La LIDU e l’universalità dei Diritti umani Presentazione dell’undicesimo rapporto dell'Osservatorio romano sulle migrazioni Dibattito e presentazione della pubblicazione “Ponti non muri. Garantire l’accesso alla protezione in Europa” Conferenza “L’Europa di fronte alle sfide del futuro. Il ruolo dei Parlamenti Nazionali” L’Europa è estranea ad una Turchia fondamentalista Olof Palme fa ancora paura? Elogio della diversità Ricordo dell’antropologa Ida Magli Ricordare Umberto Eco Papa Francesco, La chiarezza delle parole Spazio Internazionale Risoluzioni del Comitato Direttivo AEDH del 13 marzo 2016 COMMUNIQUE DE PRESSE COJOINT ● ● ● Appuntamento con la Newsletter della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo ● ● ● Sommet européen Accord Union européenne - Turquie: Externaliser pour mettre fin au droit d’asile COMMUNIQUE DE PRESSE Faisons du 8 mars une action quotidienne Monsieur le président, la France doit être exemplaire dans la lutte contre le terrorisme Tesseramento 2016 Saluti La LIDU Onlus, da sempre in prima linea nella difesa dei diritti fondamentali della persona, vuole ricordare a tutti che finché non emergerà tutta la verità sul caso di Giulio Regeni e non saranno puniti i colpevoli, non potrà esservi pace nella coscienza civile di ognuno di noi! Pasqua: Pesach, che vuol dire: Passaggio Il Sole passa attraverso la Porta Equinoziale, e continua la sua fase ascendente che culminerà al Solstizio d'Estate. La Natura si risveglia e fiorisce dopo il freddo ed il buio dell'Inverno; il nostro augurio è che in ognuno di noi si risvegli e cresca l'amore per la Libertà e la Solidarietà, in un sentimento di Fratellanza che ci unisca tutti e che comprenda uomini e donne, animali e piante e tutto l'ambiente in cui viviamo, e che stiamo colpevolmente distruggendo. Possa questa Pasqua segnare davvero il Passaggio ad una stagione migliore, in cui i Diritti dell'Umanità e quelli del Pianeta si affermino con sempre maggior forza e vigore. Questo si può ottenere solo con lo sforzo e l'impegno concorde di tutte le Donne e gli Uomini di Buona Volontà: e perciò che a voi tutti, Amici e sostenitori della L.I.D.U. , va il nostro più sincero e fraterno augurio di BU O NA P ASQ U A! Roma, 19 Febbraio 2016 SCHENGEN NON SI TOCCA! In vista del Consiglio europeo che si è tenuto il 18 e il 19 febbraio, la LIDU Onlus è scesa in Piazza Montecitorio insieme, all’ALDE Party, al Movimento Federalista Europeo (MFE) e ai Giovani Federalisti Europei (GFE) per ribadire la necessità di salvaguardare il trattato di Schengen. Schengen ha rappresentato il culmine di un processo che ha permesso all’Europa di godere di un benessere e di una pace mai conosciuti in passato. Schengen significa libertà di sentirci a casa al di fuori dei confini nazionali, all’interno di frontiere comunitarie. Sospendere anche temporaneamente il trattato equivarrebbe a mettere in discussione uno dei principi cardine dell’Unione Europea, ovvero la libera circolazione delle persone, e di conseguenza significherebbe far morire l’Europa. Per questo abbiamo detto e continueremo a dire il nostro NO alla chiusura dei confini, battendoci affinché si giunga ad una politica estera e di sicurezza comune ed ad una gestione veramente collettiva dei flussi migratori. LIBERATE BIRAM DAH ABEID! Si è concluso il 15 febbraio, il tour europeo di Mme Leila Dah Abeid, che ha fatto visita alle principali organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani, per chiedere la liberazione del marito Biram Dah Abeid. Lo scorso 4 febbraio, la LIDU è stata fra le prime organizzazioni a ricevere la signora Leila accompagnata da Yacoub Diarra, Presidente della sezione italiana di Ira Mauritania e dalla figlia, la piccola El Alia, il cui secondo nome è Lutte. Lotta, un nome che richiama la battaglia portata avanti da Ira Mauritania (Iniziativa della Rinascita del movimento abolizionista della Mauritania), l’organizzazione fondata dallo stesso Biram Dah Abeid nel 2008 al fine di combattere la piaga della schiavitù nel Paese. Essa coinvolge la maggioranza della popolazione, gli heratin, i quali vivono in una condizione di totale subordinazione e discriminazione razziale, nonostante simili pratiche siano state formalmente abolite. Le attività svolte per rendere le persone consapevoli della possibilità di una vita libera dalla servitù sono valse al Presidente l’assegnazione del Premio per i Diritti Umani dalle Nazioni Unite nel dicembre 2013. L'11 novembre 2014 Biram Dah Abeid è stato arrestato dalla polizia, con l’accusa di assembramento non autorizzato e di appartenenza ad un’associazione non riconosciuta. Condannato a due anni di detenzione dalla Corte di Aleg nel gennaio 2015, da allora le notizie sul suo stato di salute sempre più precario sono divenute ancora più scarse. La stessa moglie ha sottolineato di non vedere il marito dallo scorso 31 dicembre, a causa del blocco delle visite in carcere indetto in seguito all’evasione di un terrorista. E’ intollerabile che un governo, che formalmente incoraggia l’inasprimento della legge contro la schiavitù, approvata dal Parlamento mauritano il 13 agosto 2015, non dica una sola parola contro l’arresto di militanti pacifisti che si battono nel loro paese per porre fine al perpetrarsi di questo crimine contro l’umanità. Come associazione impegnata nella protezione dei diritti umani ovunque essi siano messi in discussione, la LIDU condanna questa sentenza di carattere politico e dimostra l’assenza di volontà del sistema giudiziario di rendere realmente efficace la nuova legge. Inoltre, chiediamo che a Biram venga assicurato un giusto processo e una detenzione rispettosa della dignità umana. Ci batteremo con forza per portare la vicenda di Biram all’attenzione delle istituzioni europee ed internazionali affinché una moglie e una figlia possano riabbracciare al più presto possibile una persona che prima di tutto è un padre e un marito, la cui unica colpa è stata quella di lottare per restituire libertà per troppo tempo negata alla propria gente. La Rubrica sui Diritti Umani ARTICOLO 7 TUTTI SONO EGUALI DINANZI ALLA LEGGE E HANNO DIRITTO, SENZA ALCUNA DISCRIMINAZIONE, AD UNA EGUALE TUTELA DA PARTE DELLA LEGGE. TUTTI HANNO DIRITTO AD UNA EGUALE TUTELA CONTRO OGNI DISCRIMINAZIONE CHE VIOLI LA PRESENTE DICHIARAZIONE COME CONTRO QUALSIASI INCITAMENTO ALLA DISCRIMINAZIONE. L’articolo 7 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo si pone in stretta connessione con il primo articolo della stessa, in quanto afferma il principio di uguaglianza declinato dal punto di vista sostanziale. Infatti, all’uguaglianza intesa in senso formale, ovvero quale enunciazione di diritto a non avere trattamenti irragionevolmente differenziati, deve corrispondere appunto una reale tutela da parte della legge al fine di rendere effettivo tale principio. La nostra Costituzione riflette una simile distinzione, concentrandola nell’articolo 3, il cui primo comma fa riferimento all’uguaglianza formale (“Tutti hanno pari dignità sociale e sono eguali dinanzi alla legge”), mentre il secondo comma declina tale principio sul piano sostanziale andando addirittura oltre quanto sancito dall’articolo 7 della Dichiarazione Universale, nel senso di dire qualcosa di più preciso su come garantire l’eguaglianza. Il costituente italiano stabilisce: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Con tale affermazione dunque la nostra Carta fondamentale non si affida alla sola legge ma prevede che lo Stato ponga in essere interventi programmatici dal punto di vista socio-economici, volti a garantire non solo un ampliamento dell’area dei diritti costituzionali ma anche una loro effettività. Sia nella Costituzione italiana, sia nella Dichiarazione Universale del 1948 i due principi si completano a vicenda: quello “sostanziale” stempera l’eccesso di rigore dell’uguaglianza formale che non ammetterebbe eccezioni, mentre l’uguaglianza formale impedisce che le azioni “positive” diventino a loro volta fonte di ingiustizia, dando luogo a casi di “discriminazione al contrario”. Infine, l’articolo 7 della Dichiarazione, quindi, si riferisce coerentemente anche alla discriminazione, quale nemica di “tutti i diritti umani per tutti” e dispone che le pubbliche autorità hanno l’obbligo di dar l’esempio nel prevenire e nel combattere sia la discriminazione (in tutte le sue forme, evidentemente) sia l’incitamento alla discriminazione. Poiché il nostro obiettivo non è soltanto quello di favorire una conoscenza fine a se stessa di questi pilastri del diritto internazionale, ma sviluppare un dialogo costruttivo e di reciproco arricchimento, se avete episodi inerenti da raccontare, commenti a riguardo o proposte, scriveteci al nostro indirizzo mail [email protected]. Vi rendiamo ancora partecipi dell’attività svolta dalla Lidu LIDU e CSLI Italia in alcuni istituti superiori a Napoli per il progetto Girl Up La LIDU e il Corpo Italiano di San Lazzaro - CSLI Italia stanno realizzando in alcuni licei di Napoli degli incontri nell’ambito del progetto internazionale della Fondazione delle Nazioni Unite GIRL UP, volto ad incrementare la partecipazione civile e la consapevolezza dei propri diritti delle adolescenti. Gli incontri, affrontano alcuni temi di grande attualità internazionale: migrazioni e rischi per le giovani donne migranti, persistenza delle MGF, rischi sanitari tipici dell’adolescenza, i matrimoni precoci, il ruolo della donna alla luce della DUDU e delle indicazioni delle Nazioni Unite a tutela dei diritti delle donne. Le allieve partecipanti possono così confrontarsi con i problemi quotidiani di molte loro coetanee nel mondo e, possono anche prendere parte a scambi diretti di informazioni attraverso la piattaforma internet della Fondazione. Il CSLI Italia e la Commissione Cultura della LIDU sottolineano che tali attività sono svolte in modo totalmente gratuito dai volontari delle associazioni e non ricevono alcun finanziamento. Maria Vittoria Arpaia Coordinatrice giovani LIDU Convegno “Migrazioni e sicurezza: un equilibrio difficile” “Ho accolto con piacere la proposta del collega Paolo Romani, Presidente della Delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, di ospitare a Palazzo Giustiniani questo importante incontro nell'ambito dei Security Days dell'OSCE”. Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha inaugurato i lavori del convegno “Migrazioni e sicurezza: un equilibrio difficile”, cui la LIDU Onlus ha preso parte lo scorso 3 marzo. In particolare, Grasso ha evidenziato come il tema dei nessi fra flussi di rifugiati, migrazioni e sicurezza, ormai da mesi al centro del dibattito politico in Italia e in Europa, sia stato oggetto di recentissime discussioni della Sessione invernale dell'Assemblea parlamentare dell'OSCE, la quale pur non occupandosi nello specifico di politiche migratorie, ritiene che quest’ultime siano condizione per la stabilità e lo sviluppo economico nell'area. Inoltre, il Presidente del Senato muovendo dalla complessità del fenomeno migratorio, ha voluto sviluppare tre considerazioni sul tema estremamente importanti. La prima verte sul fatto che le migrazioni sono un fenomeno epocale, connaturato all'umanità che è sbagliato e controproducente affrontare con interventi di breve termine. Tale fenomeno deve essere, al contrario, affrontato con umanità e con pragmatismo, anche nella consapevolezza che il nostro continente sta invecchiando rapidamente e può trarre grande vantaggio da un'emigrazione virtuosa e ben regolata. Quindi, Grasso ha evidenziato come la grande debolezza dell’Ue sia stata proprio l’assenza di strategia unitaria che mettesse in conto le trasformazioni in atto alla frontiera meridionale dell'Unione, al fine di influire positivamente sul corso degli eventi. Sulla mancanza di una strategia comune europea ha posto l’accento anche Lamberto Zannier, Segretario Generale OSCE, il quale ha esortato l’Europa ad affrontare le sfide poste dal fenomeno migratorio con un maggiore spirito di solidarietà, dimostrando nei fatti che la tutela dei diritti fondamentali della persona rappresenta il valore fondante dell’UE. Il secondo aspetto toccato da Grasso attiene all’adozione di politiche lungimiranti di attribuzione di diritti e cittadinanza a chi partecipa con lealtà e con il proprio impegno alla nostra democrazia. Ad esse Grasso ha attribuito un ruolo fondamentale al fine di evitare i fenomeni di emarginazione e marginalizzazione delle comunità immigrate nelle quali si annidano le radici dei fatti drammatici di Parigi, ma prima ancora di Londra e di Madrid. L’ultimo punto riguarda direttamente il tema del convegno, ovvero quella saldatura mentale fra migrazione e insicurezza, che Grasso ha definito “pericolosa e da rigettare con la massima fermezza”, sottolineando come invece la genesi degli attentati a Parigi sia stata largamente interna all'Europa. L’equazione sicurezza e migrazioni viene negata con forza anche dalla Presidente della Rai, Monica Maggioni, la quale ha evidenziato come identificare i migranti quale minaccia sia una mera “scorciatoia politica” che serve solo ad aumentare di qualche punto il consenso nei sondaggi. Quindi, la Maggioni ha invitato le forze politiche ad avere maggior coraggio, preferendo a reazioni politiche di breve termine, interventi di lungo periodo capaci di offrire soluzioni concrete. Sotto questo profilo è estremamente interessante che sia stata proprio l’Osce ad organizzare un simile convegno. Come sottolineato da Ferdinando Nelli Feroci, anche l’Osce può fornire un contributo importante alla gestione dei flussi migratori, essendo l’ambito di competenza dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa estremamente esteso; comprendendo anche aree strettamente legate all’immigrazione, quali: la lotta ai trafficanti di esseri umani che sfruttano i movimenti migratori, la battaglia al cambiamento climatico che sappiamo essere una delle cause determinanti dei flussi migratori, l’implementazioni di programmi volti a favorire lo sviluppo sostenibile e l’integrazione. In questo contesto, l’Osce può aiutare nella gestione delle politiche migratorie, attraverso una serie di interventi: - fornire aiuti nell’assicurare che le pratiche di controllo delle frontiere e di asilo siano conformi agli standard internazionali; - stimolare un dialogo cross border fra le autorità di polizia e la magistratura nei paesi impegnati nella lotta alla criminalità organizzata; - mettere a disposizione aiuti e assistenza per favorire la stabilizzazione e la ricostruzione dei Paesi d’origine dei flussi migratori. Inoltre, con ben 57 Stati partecipanti del Nord America, dell’Europa e dell’Asia, l’Osce può aiutare nella ricostruzione del multilateralismo. Come messo in evidenza da Enzo Amendola, Sottosegretario agli affari esseri, il multilateralismo è una questione che interroga soprattutto l’Unione Europea, la quale deve iniziare a sviluppare un progetto serio di condivisione delle responsabilità che metta al primo posto la solidarietà, altrimenti il rischio per l'Unione è di infrangere la propria storia e ipotecare il proprio futuro. Impunità e giustizia: il caso Khojaly Si è svolto il 3 marzo scorso nella Biblioteca del Senato Giovanni Spadolini/Sala degli Atti parlamentari il convegno “Il massacro di Khojaly alla luce del Diritto internazionale umanitario. Impunità e giustizia transizionale”. L’evento è stato organizzato dal Comitato Italiano Helsinki per i diritti umani e dalla Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (Lidu), in collaborazione con Sapienza Università di Roma, in particolare con il Dottorato di Storia d’Europa e con il Centro di ricerca “Cooperazione con l’Eurasia, il Mediterraneo e l’Africa subsahariana” (Cemas). Coordinatore dei lavori è stato Antonio Stango, esperto di diritti umani e segretario generale del Comitato Italiano Helsinki per i diritti umani, che ha introdotto l’incontro con l’inserimento del massacro di Khojaly nel non ancora risolto conflitto del Nagorno Karabakh tra Armenia e Azerbaigian. Tra i relatori numerosi i diplomatici, ambasciatori e rappresentanti di istituzioni politiche e organizzazioni non governative. Il senatore Nicola Latorre, presidente della Commissione difesa del Senato, ha analizzato la strage di Khojaly in chiave di diritto internazionale. Ha poi evidenziato il ruolo dell’Italia, che nel giugno 1992 ospitò i primi colloqui di pace e che ancora oggi ha un compito importante e proprio per questo non può tacere su una tragedia che ha colpito al cuore tale paese. Il senatore ha riflettuto su come l’Azerbaigian sia riuscito a sottrarsi dalla dicotomia est ovest essendo un paese che collabora con le organizzazioni euroatlantiche e che conversa con paesi spesso in contrasto tra loro. In uno scenario internazionale caratterizzato da una crisi molto profonda, la via d’uscita non può prescindere dal dialogo. Ai lavori è intervenuto anche il senatore Sergio Divina, membro della Delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, che ha richiamato l’attenzione sulle colpe della comunità internazionale. Nonostante le risoluzioni delle Nazioni Unite, ha ricordato il senatore Divina, la situazione con il passare del tempo rischia di divenire irrecuperabile. La Comunità Internazionale utilizza un doppio standard. Nel caso del Nagorno Karabakh la comunità internazionale non agisce. Nell’intervento successivo il Prorettore Antonello Folco Biagini, ordinario di Storia dell'Europa orientale di Sapienza Università di Roma, ha parlato del lavoro dell’Università “La Sapienza” e degli storici nella ricostruzione del passato e del ruolo dell’Italia. Il presidente della Lidu, Alfredo Arpaia, ha inviato un messaggio, in cui ha sottolineato l’importanza di dare un volto e punire i responsabili del genocidio di Khojaly, denunciando l’assenza della comunità internazionale e delle Nazioni Unite all’indomani delle 4 risoluzioni che imponevano il ritiro delle forze armate armene dai territori occupati. Non si sono adoperati per mettere in pratica quanto stabilito. La Lidu ha invitato alla creazione di un tavolo di confronto per arrivare ad una soluzione del conflitto. Ai lavori è intervenuto l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, già Ministro degli Affari Esteri, che è intervenuto con una relazione intitolata: “Verso un auspicabile Diritto all’Umanità”. Nel suo intervento ha inoltre evidenziato l’amicizia tra Azerbaigian e l’Italia e si è interrogato su dove vada il diritto internazionale. La relazione dell’Ambasciatore Terzi è stata di particolare interesse giuridico e politico. Terzi ha ribadito che: “È nelle fasi critiche delle transizioni del potere e della ricostruzione statuale che maggiormente si constata la debolezza delle Istituzioni. Perciò la Giustizia Transizionale - Transitional Justice - diviene così importante. Si tratta di una funzione che ha impegnato e continuerà a impegnare la dottrina giuridica, la diplomazia, le organizzazioni multilaterali; se ne devono cogliere la rilevanza politica, le ulteriori potenzialità e gli interrogativi irrisolti”. L’ambasciatore Terzi nell’asserire il mancato accertamento delle responsabilità per il massacro di Khojaly si è soffermato sulla battaglia transnazionale per affermare un vero e concreto Diritto alla Conoscenza radicandolo in modo preciso e diffuso nel sistema delle Nazioni Unite e nel Diritto Internazionale, secondo la visione che propone già da alcuni anni Marco Pannella e che ha fatto oggetto di importanti conferenze e dibattiti. Successivamente, il professore Daniel Pommier Vincelli, ricercatore del Dipartimento di Comunicazione e ricerca sociale della Sapienza Università di Roma, ha presentato un quadro storico del massacro di Khojaly, ripercorrendo la storia dell’Azerbaigian e delle altre repubbliche caucasiche a partire dalla realtà sovietica e dalle indipendenze all’indomani della dissoluzione dell’Urss. La responsabilità armena nel massacro di Khojaly è stata sottolineata grazie all’utilizzo di fonti e testimonianze, tra cui le parole del presidente dell’Armenia nel libro di Thomas De Waal in cui ha di fatto riconosciuto tali responsabilità. Invece, la professoressa Alessandra Mignolli, docente di Diritto dell’Unione europea della Sapienza Università di Roma, ha presentato una relazione intitolata: “Diritti umani e giustizia transizionale: il ruolo della Corte europea dei diritti dell’uomo nel conflitto del Nagorno-Karabakh”. La professoressa, partendo dal ricordo delle vittime del massacro di Khojaly, ha evidenziato il ruolo del giurista e del diritto internazionale per fermare il conflitto. Non si può prescindere dal diritto transizionale nella soluzione della disputa, ha ribadito la professoressa, sottolineando il ruolo della Corte europea anche nella questione del Nagorno-Karabakh attraverso le ultime sentenze della Corte stessa. Il convegno ha lasciato spazio agli interventi finali del pubblico, tra cui quello di una ragazza azerbaigiana, Maryam Mehdiyeva, membra di una famiglia fuggita dalla regione del Nagorno-Karabakh dell’Azerbaigian, che ha riportato l’attenzione alle persone, ai diritti, in primo luogo al diritto dei profughi e dei rifugiati azerbaigiani di tornare alle proprie case. A prendere la parola durante la chiusura dei lavori è stato anche l’Ambasciatore designato della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia Mammad Ahmadzada che ha ringraziato gli organizzatori e i relatori del seminario e ha sottolineato la grave questione dell’impunità dei colpevoli e di come l’Azerbaigian cerchi una soluzione rapida del conflitto. Nelle conclusioni Antonio Stango ha ringraziato i partecipanti e sottolineato l’importanza del dibattito per non dimenticare eventi così importanti. La LIDU e l’universalità dei Diritti umani Lo scontro in atto tra impianti giuridici e diverse scuole di pensiero sulla concezione e la formulazione da attribuire ai diritti umani produce dibattiti e speculazioni da parte delle storiche organizzazioni per la tutela e la promozione dei diritti fondamentali. Si è svolto sabato 20 febbraio a Napoli un convegno dal tema: “I Diritti dell’Uomo secondo la filosofia dell’Illuminismo”. Il convegno organizzato dalla storica Lega Italiana per i Diritti dell’Uomo (LIDU) e dalla sua sezione napoletana ha visto tra relatori il presidente nazionale On. Alfredo Arpaia, il presidente della Lidu Napoli Valerio Maione, i professori Angelo Materazzo, Ruggero Ferrara di Castigione e un dibattito pubblico moderato da Domenico Abate e dal giornalista Nicola Golia. Scopo del convegno è stato quello di riannodare in chiave storica i principi dei diritti umani riportandoli alla cultura illuministica che nel XVIII secolo ha dato inizio ad una rivoluzione straordinaria della concezione dei valori e del ruolo che l’Uomo deve svolgere nella società prendendo, innanzitutto, coscienza di se stesso e delle proprie libertà fondamentali. Questa presa di coscienza, alimentata da un fecondo dibattito di idee tra gli storici e gli intellettuali dell’epoca, creò un substrato favorevole alla rivoluzione del 1789 con la “Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen”. Posteriormente, la Rivoluzione Napoletana fu la prima manifestazione che a Napoli trovò terreno fertile in uomini come Pagano, Filangieri e Cirillo che, con le loro opere, incisero profondamente nella riforma del sistema giustizia e costituzionale pervaso da legislazioni legate a privilegi e sistemi feudali. La successiva nascita delle Leghe democratiche di Garibaldi, negli anni dell’unificazione italiana, furono la risposta ottocentesca, attraverso l’organizzazione e la partecipazione, alla consapevolezza storica e sociale che l’universalismo politico e la tutela dei diritti di tutti rappresentano il supremo obiettivo delle dottrine politiche e delle istituzioni politiche. Napoli rappresentava e rappresenta un centro vitale per l’affermazione della concezione storica e universale da attribuire ai diritti umani. Qualche mese fa, il Centro di studi storici, politici e sociali “Gaetano Salvemini”, con il patrocinio di alcune organizzazioni non governative come Nessuno tocchi Caino, il Comitato italiano Helsinki per i diritti umani e la stessa Lega italiana per i Diritti dell’Uomo, ha richiamato l’attenzione sulle concrete minacce che il processo in corso di “democrazia reale” tenta di innescare nelle varie giurisprudenze statuali. La formulazione di politiche che non guardando più all’universalità dei diritti fondamentali riescono a far trionfare le logiche delle ragioni di stato e dei particolarismi giuridici dello stato emergenziale e securitario. In termini transnazionali di politiche concepite per la diffusione dei diritti umani, il dibattito universale sul carattere dei diritti fondamentali ha la sua concretizzazione politica e antropologica nella vertenza da fomentare in seno alle Nazioni Unite per la “transizione dalla ragion di stato allo stato di Diritto” attraverso la conoscenza e la formulazione e codificazione del diritto umano e civile alla conoscenza. Tale battaglia è l’attualità concepita dal Partito Radicale e da Marco Pannella. Si tratta di difendere i diritti fondamentali contro il rischio securitario, emergenziale e coercitivo che attanaglia l’attualità politica di numerosi stati mediorientali e occidentali; un nuovo universalismo della violenza e del dispotismo a cui contrapporre, nuovamente, quello dei diritti umani e delle libertà universali fondamentali. Presentazione dell’undicesimo rapporto dell'Osservatorio romano sulle migrazioni Lo scorso 18 febbraio, la Lidu Onlus ha partecipato alla presentazione dell’undicesimo rapporto dell'Osservatorio romano sulle migrazioni, curato dal Centro Studi e Ricerche IDOS in collaborazione con l’Istituto di Studi Politici S. Pio V. Come evidenziato da Ginevra Demaio, curatrice del rapporto, si tratta dell’unico annuario socio-statistico volto a contribuire alla conoscenza scientifica del fenomeno migratorio all’interno dell’area romano-laziale. In particolare, il rapporto si sofferma su tre macrodimensioni: l’immigrazione stabile, i flussi e le pratiche di accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati, le ricadute sociali, economiche e lavorative del fenomeno sul territorio di riferimento. Fra tutte le venti Regioni italiane, il Lazio è al secondo posto per popolazione residente e per numero di residenti stranieri, pari a 636.524 al 10 gennaio 2015. Nonostante ciò la Regione Lazio è al quarto posto per incidenza degli stranieri sul totale dei residenti, in un rapporto di 11 immigrati ogni 100 residenti, a dimostrazione di un impatto non così sbilanciato sul territorio. A inizio 2015, la Città Metropolitana di Roma è la prima provincia italiana per numero di immigrati residenti, pari a 523.957 unità, che rappresentano ben l’82,3% degli stranieri registrati in regione. Per quanto riguarda l’incidenza, Roma si colloca al 10 posto fra le province italiane con il 12,1% di stranieri sul totale della popolazione residente. Più della metà di residenti stranieri (288.090) provengono dal continente europeo (circa 8 su 10 sono comunitari, provenienti soprattutto dalla Romania e dalla Polonia), un quarto dall’Asia (indiani e cinesi, quest’ultimi in diminuzione). La popolazione straniera nel Comune di Roma si concentra soprattutto nei Municipi I, VI, V, nella zona Est della Capitale, che accoglie un terzo degli stranieri della città. In ordine all’occupazione, anche il mercato del lavoro del Lazio fra il 2008-14 ha subito una sensibile battuta d’arresto, con una diminuzione del tasso di occupazione, che pur essendo salito nel 2014 al 58,8%, resta ben al di sotto dei valori pre-crisi. Gli occupati stranieri in regione sono 320.000 unità, pari al 14,1% del totale, in crescita del 13,3% rispetto all’anno precedente. In aumento anche il loro tasso di occupazione pari al 64,2% a fronte del 43,9% degli italiani. Tuttavia, il rapporto evidenzia come si tratti di un inserimento subalterno, con ben il 45,5% dei lavoratori stranieri impiegato in professioni non qualificate e nei settori dei servizi alla persona e nelle costruzioni, meno appetibili per gli italiani. Tuttavia, l’area romano-laziale si è contraddistinta per una forte crescita di imprese condotte da immigrati, pari a 67 mila, due terzi delle quali collocate nel Comune di Roma. Interessante analizzare poi la dimensione scolastica dell’immigrazione romana. Il Lazio è la quinta regione per alunni con cittadinanza non italiana, ospitandone 77.605 pari al 9,3% sul totale degli iscritti. Di questi, ben il 78,8% studia in provincia di Roma: un dato significativo è rappresentato dal fatto che su 61.172 iscritti oltre il 51% è nato in Italia, una percentuale che sale all’83,6% nella scuola dell’infanzia e al 64,4% nella primaria. Tali cifre rendono quanto mai urgente l’approvazione della legge sullo ius soli ancora ferma al Senato. Per quanto concerne la questione dei richiedenti asilo, fra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2014, ben 8.361 persone si sono rivolte all’Ufficio migrazione del Comune di Roma. Di questi 3.878 hanno presentato domanda di accoglienza, di cui ben 3627 persone sono state accolte, provenienti principalmente dall’Afghanistan, dal Bangladesh e dal Mali. Un discorso a parte meritano i minori non accompagnati, in maggioranza egiziani ed afghani, per un totale di 2.142 unità nel 2014; un gruppo estremamente esposto a rischi di sfruttamento., essendo difficile inserirli in un percorso educativo. Il comune di Roma ha ampliato i posti di accoglienza, passati dai soli 69 nel 2003 ai 4.790 del 2014, anche grazie all’ingresso formale nel Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPAR), il circuito di accoglienza nazionale. Se il 2015 è stato l’anno degli scandali di Roma Capitale che hanno contribuito ha creare allarmismi, preoccupazioni e rabbia in merito al fenomeno migratorio, l’auspicio è che il 2016 sia l’anno di rilancio del sistema. Le politiche sociali di Roma Capitale, paralizzate da un’estrema caducità dei vertici amministrativi, potrebbero infatti mutuare dalle numerose esperienze di integrazione dal basso presenti sul territorio, caratterizzate da progetti portati avanti da associazioni e da iniziative informali, per lo più autofinanziate e autogestite, quali: mense popolari, start-up di imprese e spazi auto-organizzati o gestiti in modo cooperativo (es. orti urbani, cooperative agricole etc.). Infine, l’obiettivo del rapporto è rendere Roma un esempio di politica migratoria, superando l’esperienza negativa degli ultimi anni e valorizzando il carattere di città interculturale e interreligiosa, che tende ad anticipare dinamiche che vedremo in Italia nei prossimi vent’anni. Dibattito e presentazione della pubblicazione “Ponti non muri. Garantire l’accesso alla protezione in Europa” Lo scorso martedì 9 febbraio, la Lidu Onlus ha partecipato ad un interessante convegno ospitato presso il Salone delle Conferenze della Sioi, cui hanno preso parte il Direttore del TG3, Bianca Berlinguer; Franco Frattini, Presidente della SIOI; Roberto Zaccaria, Presidente del CIR; Maria Luisa Parmigiani dell’Unipol Gruppo Finanziario, Gianni Pittella, Presidente del Gruppo Socialisti e Democratici al Parlamento europeo; Christopher Hein, Consigliere Strategico del CIR, il prefetto Mario Morcone, Capo Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione e Sandro Gozi, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il dibattito è ruotato intorno alla pubblicazione del Consiglio Italiano dei Rifugiati “Ponti non muri. Garantire l’accesso alla protezione in Europa”, finanziata dalla Unipol Gruppo Finanziario. Muovendo da uno studio estremamente dettagliato del fenomeno migratorio nel continente europeo, il volume esamina gli attuali strumenti complementari rispetto al concetto territoriale di asilo per accedere alla protezione negli Stati membri dell’Unione Europea, i quali possono essere attuati come primo passo per ripensare il sistema al fine di realizzare un ingresso dei migranti che sia legale e programmato. Infatti, come evidenziato da tutti gli interventi ed in particolare, Bianca Berlinguer, nell’estate del 2015, tutta l’Europa è stata interessata da un aumento esponenziale del numero dei richiedenti asilo. Anche il numero delle vittime è drammaticamente aumentato, al punto tale che, dopo l’ondata di commozione sollevata nell’opinione pubblica e (nei governanti di tutta Europa) dall’immagine del piccolo Aylan riverso sulla costa turca, oggi il susseguirsi di morti ha creato una tale assuefazione alla tragedia da non fare quasi più notizia. Come evidenziato nel corso del dibattito da Christopher Hein, le proposte avanzate partono da due presupposti fondamentali: in primo luogo, non tutti i migranti vogliono venire in Europa, molti di essi, se le condizioni dei campi di accoglienza lo consentissero, preferirebbero per rimanere nei Paesi di primissimo approdo, come il Libano, più vicini a loro dal punto di vista linguistico – culturale. In secondo luogo, l’adozione di meccanismi d’ingresso protetto potrebbero ridurre considerevolmente il numero di persone costrette ad intraprendere viaggi della speranza, affidandosi a trafficanti senza scrupoli. Entrando nel dettaglio del volume, Hein ha evidenziato come la pubblicazione proponga una vera e propria rivoluzione copernicana in materia di visti, prevedendo una procedura specifica per la presentazione e la valutazione dei visti Schengen concessi per motivi umanitari e l’applicazione di criteri comuni di esame delle domande. Tali visti consentono al richiedente di rivolgersi autonomamente e direttamente alla Rappresentanza diplomatica di un Stato membro, la quale dovrà procedere alla valutazione dei bisogni di protezione dello straniero prima che questo giunga alle sue frontiere, in modo tale da permettere a quest’ultimo, in caso di accoglimento della sua domanda, di giungere nel paese di destinazione in modo legale, sicuro e protetto. La concessione di visti umanitari potrebbe essere politicamente ed economicamente promossa dalla stessa UE, anche se comunque è prerogativa degli Stati fissare le regole che governano l’ingresso di un cittadino non comunitario nel territorio nazionale, essendo l’UE una comunità di Stati priva delle caratteristiche di uno Stato federale. Altre proposte illustrate nel testo prevedono la creazione di hotspot volti all’identificazione, al foto-segnalamento e alla registrazione alle frontiere esterne dell’Europa, attraverso operazioni svolte da una polizia di frontiera europea. Infine un’altra iniziativa molto interessante promossa dal CIR riguarda i programmi di reinsediamento, ovvero quello strumento di condivisione delle responsabilità a livello internazionale che consente a persone che hanno trovato rifugio in un paese terzo il trasferimento in un altro Stato che ha accettato di ammetterli come rifugiati e che permette loro di stabilirsi permanentemente nel proprio territorio. Quindi, il CIR propone che il reinsediamento venga inserito nel processo legislativo di armonizzazione del diritto di asilo, al fine di giungere ad uno strumento normativo e ad un modello comunitario condiviso che riguardi, in primo luogo, i criteri di selezione e faccia leva su una più dettagliata informazione sulle possibilità di accoglienza e di integrazione nello Stato di reinsediamento. Il vantaggio per i governi dei paesi di destinazione di adottare questa tipologia di interventi consiste nel fatto di sapere ex ante quante persone entreranno nel proprio territorio in un determinato periodo, facilitando anche l’organizzazione dell’accoglienza e dei programmi d’integrazione lavorativa e sociale. Apprezzamento verso le proposte volte a realizzare un’immigrazione di tipo legale è giunto da Gianni Pittella, il quale ha fermamente sottolineato come il suo gruppo si opporrà fermamente a qualsiasi proposta di mettere in discussione il Trattato di Schengen, il cui unico risultato sarebbe quello di eliminare una conquista su cui si basa l’idea stessa di Europa, ovvero la libera circolazione delle persone. Da parte sua, Franco Frattini ha espresso pessimismo su quanto l’Unione Europea sta facendo finora per affrontare la questione migratoria anche se comunque ci sono le prospettive per una revisione della politica europea in materia di visti rilasciati per motivi umanitari proposta dalla stessa Commissione Junker. Inoltre, Frattini ha espresso forti perplessità sulla proposta della Turchia di schierare la NATO ai propri confini a controllo dei flussi migratori, perché un simile schieramento secondo l’ex Ministro degli Esteri non solo sottintende un legame fra terrorismo e i flussi migratori ma equivarrebbe ad una dichiarazione di fallimento della stessa Europa nella gestione di problemi umanitari nel suo territorio. E’ evidente quindi come la necessità di ripensare il sistema attuale non possa e non debba passare dalla chiusura delle frontiere interne, ma richieda un’apertura mentale collettiva e un’assunzione di responsabilità da parte di tutti i Paesi membri che permetta di superare la sindrome dell’”invasione” per giungere ad una riforma delle politiche e delle strategie in materia di immigrazione basata, innanzitutto, sulla creazione di un sistema comune europeo di asilo che sia governabile, pienamente conforme ai valori fondamentali dell’Europa, e che abbia come principale obiettivo quello di ridurre drasticamente la perdita di vite umane. Conferenza “L’Europa di fronte alle sfide del futuro. Il ruolo dei Parlamenti Nazionali” “L’incontro di oggi è molto importante per la fase critica che stiamo vivendo, in cui è fondamentale che le famiglie progressiste europee si riuniscano per parlare di una politica realmente comune dell’Unione europea di cui si sente la mancanza”. Con queste parole, la Presidente della Camera, Laura Boldrini, ha inaugurato i lavori della Conferenza “L’Europa di fronte alle sfide del futuro. Il ruolo dei Parlamenti Nazionali”, cui hanno preso parte, fra gli altri: il Presidente del PSE, Sergei Stanisev, il Capogruppo PSE al Parlamento europeo, Gianni Pittella, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan e il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi. Interessante la scelta degli organizzatori di dividere l’evento in due parti distinte: da un lato la prospettiva di una crescita sostenibile che faccia leva sugli investimenti e sul lavoro, dall’altro i cambiamenti dei fenomeni migratori, uniti ai temi della solidarietà della sicurezza e dell’integrazione. Infatti, tali sfide, pur diverse fra loro, presentano un filo conduttore legato dalla necessità che gli Stati affrontino tutte le questioni contenute in esse con politiche condivise e vi colgano una grande opportunità per crescere insieme, come affermato da Sergei Staniŝev, Presidente del Partito Socialista Europeo. La prima parte, in particolare, è stata caratterizzata da una critica feroce rivolta alle politiche di austerity, che non solo si sono rivelate incapaci di superare la grave crisi economica ma hanno reso la situazione ancora peggiore a causa della notevole perdita di posti di lavoro che essa ha determinato. In particolare, un no secco all’austerità “cieca e sorda”è arrivato da Gianni Pittella, Capogruppo del Partito socialista europeo. Al contrario, egli ha affermato la necessità di disporre di un utilizzo pieno della flessibilità economica che faccia leva su un piano adeguato d’investimenti. Quindi, Pittella ha evidenziato come il sostegno alla Commissione Junker dipenda anche dal completamento dell’unione bancaria con una garanzia comune sui depositi, poiché “è finita la delega in bianco alla Banca Centrale Europea”. Gli altri interventi pronunciati dai maggiori rappresentanti dei partiti socialisti di Ungheria, Lussemburgo, Francia, Lettonia e Lituania, hanno avanzato una serie di proposte miranti a rafforzare la dimensione sociale della governance economica, le quali muovono dalla necessità di creare maggiori posti di lavoro, di stabilire crescenti investimenti nel campo della cultura e dell’istruzione, arrivando fino alla previsione di un salario minimo europeo armonizzato. Sulla necessità di una politica europea della crescita che faccia leva sul lavoro ha posto l’accento anche il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan. Infatti, secondo Padoan, il problema della mancata occupazione è ancora lungi dall’essere risolto ed è questa la principale ragione per cui l’Europa viene vista dai cittadini come il problema e non come la soluzione. Quindi, Padoan si è riallacciato a quanto affermato da Pittella sulla necessità di avviare la costruzione di una unione bancaria basata su sistema di depositi che sia realmente comune, quale passo decisivo per il completamento dell’Unione monetaria, “perché se crediamo in essa è dovere di tutti condividere i rischi, altrimenti manca l’elemento fondamentale della fiducia reciproca” – come ha aggiunto il ministro. A questo punto, auspichiamo che specie in campo economico non sia il mero profitto a guidare le nuove politiche economiche europee ma che i valori che la stessa crisi economica ha contribuito a mettere in discussione, quali la giustizia e l’uguaglianza, vengano ribaditi a voce alta. Questi stessi valori devono essere messi in primo piano anche in relazione al fenomeno migratorio che sta interessando il nostro continente. Come evidenziato da Marina Sereni, Vice Presidente della Camera dei Deputati, l’esodo di popoli verso l’Europa è ormai un dato strutturale che deve essere affrontato con una strategia europea comune ed a lungo termine. Fra le proposte più interessanti avanzate c’è quella di Thomas Oppermann, Presidente del Gruppo SPD della Germania, il quale chiede di ristabilire il controllo delle frontiere esterne creando degli hot spot europei per l’identificazione di queste persone e un sistema che permetta loro di fare domanda di asilo prima che giungano in Europa rischiando la loro stessa vita, nei campi che accolgono i rifugiati in Medioriente ed in Africa. Sul tema del corridoio di sicurezza per i profughi che li sottragga a trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo ha fatto leva anche il rappresentate della Grecia, Vasilis Kegkeroglou, il quale ha chiesto anche una maggiore cooperazione delle città europee per favorire le politiche d’integrazione. Inoltre, altra questione che ha trovato il favore di tutti i relatori è stata il superamento del trattato di Dublino, ormai “obsoleto”, attraverso un sistema di ripartizione dei rifugiati fra gli Stati membri basato su criteri ragionevoli, ivi compresa la situazione economica di ciascun Paese. Altro elemento fondamentale evidenziato anche da chi, come la Germania e la Svezia, ha avuto il più alto afflusso di migranti è quello di considerare gli stessi non come un costo ma come un’opportunità, data le prospettive demografiche che attendono l’Europa, con un progressivo invecchiamento della popolazione. La soluzione non è e non deve essere la chiusura delle frontiere e la fine di Schengen e, di conseguenza, di un’idea di Europa basata sulla libera circolazione delle persone, e non solo di capitali e merci. Questo, il messaggio di cui si sono fatti portavoce tutti coloro che hanno partecipato alla seconda parte della conferenza, indipendentemente dalle soluzioni che hanno proposto tenendo conto della circostanze diverse in cui vive ciascun Paese. Se i partiti progressisti non si assumono la responsabilità di affrontare la questione migratoria in maniera unita, finiranno per delegarla a delle forze antisistema, le quali hanno trovato terreno fertile proprio nel malcontento creato dall’incapacità dei partiti di maggioranza e delle stesse istituzioni europee di dare risposte efficaci alla crisi economica e al fenomeno migratorio. Infatti, come affermato da Maria Elena Boschi, Ministro per i rapporti con il Parlamento, al termine del convegno, criticare Bruxelles non significa essere euroscettici anzi proprio chi vuole bene all’Europa e al suo progetto deve agire e lavorare duramente per dare una svolta alle politiche europee e renderle più vicine ai cittadini, altrimenti il rischio è che il 2016 si trasformi in un 1989 alla rovescia. L’Europa è estranea ad una Turchia fondamentalista L’anomalo tentativo di dialogo tra le istituzioni dell’Unione Europea e quelle della Turchia sono un ulteriore banco di prova delle ambizioni e della capacità dell’Europa di mantener fede alla propria tradizione e cultura. Il dialogo anomalo che negli ultimi 50 anni ha caratterizzato le relazioni tra la Turchia ed i Paesi europei parrebbe essere giunto ad un punto di possibile svolta con i recenti tentativi di accordo tra le due parti al fine di intervenire sui flussi migratori in atto. La confusione che talvolta prevale nell’area europea dovuta ad una visione politica frammentata, alle sempre presenti velleità di primi attori di alcuni Paesi, al vuoto costituzionale e culturale, ha fatto considerare questa una scelta tecnica mirata ad una migliore gestione delle migrazioni. Purtroppo così non è, e lo dimostrano i commenti di almeno una parte dei politici turchi. La almeno apparente minore attenzione con la quale il tema è stato accolto in vari Paesi europei induce a preoccupazioni circa la comprensione delle potenziali instabilità che conseguirebbero ad una attuale accelerazione del processo di integrazione con un Paese che rispetta i diritti umani meno di prima. Lasciando quindi sullo sfondo le questioni più propriamente geopolitiche, che comunque sono di grosso rilievo e coinvolgono non solo l’area mediterranea ma l’intero scacchiere mondiale, consideriamo sinteticamente su alcuni aspetti culturali. Nel 1963, anno nel quale furono instaurate relazioni privilegiate con il trattato “Accordo di Ankara”, la Turchia era un paese nel quale le azioni di mutamento di Ataturk erano ancora ben vive e dimostravano, tra lo stupore di alcuni europei, che anche un Paese a forte maggioranza musulmana e che contro l’Europa aveva combattuto per secoli, sapeva modernizzarsi ed imboccare la via laica non solo di una separazione tra Stato e religione, ma anche di acquisizione di molte innovazioni europee all’insegna di una rivalutazione della propria cultura che in origine non era stata ne araba ne islamica. Mustafa Kemal Ataturk come molte persone di grande levatura non era estraneo alla capacità di sognare al di là delle sfide apparentemente possibili, il suo resta infatti il più importante tentativo di armonizzare la cultura europea e quella islamica. Una sfida che ancora oggi appare azzardata, da alcuni definita occidentalizzazione della Turchia, si potrebbe però anche considerare un bilanciamento storico con le origini antecedenti l’impero selgiudiche che portò alla completa islamizzazione delle genti turche. Nell’ultimo decennio invece, nonostante adeguamenti procedurali in campo economico e lavorativo che hanno sicuramente avvicinato il sistema turco a quello europeo, molti sono stati i segnali di arretramento culturale e di deriva islamica. "La nostra società viene trascinata in un Medioevo sfruttando la fede - ha affermato Kamuran Karacan, dirigente del sindacato degli insegnanti Egitim-Sen - Ora tocca agli studenti essere usati come strumento politico, attraverso la religione. Questa decisione causerà un trauma in questo paese, che si fonda sull'istruzione laica"1. A fronte di tale situazione ci si sarebbe aspettato un forte sostegno degli intellettuali europei verso quella parte non marginale degli intellettuali turchi che sta cercando di difendere la laicità voluta da Ataturk. Purtroppo ciò non è stato. Ricordiamo che la salvaguardia dei diritti umani e civili in Turchia è ancora insufficiente, è tuttora irrisolta la questione del coinvolgimento turco a Cipro (stato membro dell'UE), la cui parte settentrionale, sede della Repubblica Turca di Cipro Nord (internazionalmente riconosciuta solo dalla Turchia), fu oggetto nel 1974 di una secessione dalla parte meridionale a causa dell'invasione del nord dell'isola da parte dell'esercito turco, ancora oggi presente sull'isola (occupazione militare condannata dalla risoluzione ONU n.541 del 1983), e di come la minoranza curda sia tuttora repressa militarmente, culturalmente ed economicamente. Un altro punto nodale per l'avvicinamento della Turchia all'Unione Europea riguarda il genocidio degli armeni e dei cristiano assiri, in Turchia infatti non solo questi genocidi non vengono riconosciuti, ma tramite l'articolo 301 del codice penale turco si è perseguito chi pubblicamente ne parla, come è accaduto anche nei confronti del premio Nobel Orhan Pamuk. Nonostante alcuni miglioramenti come una modifica dell'articolo 301, che ha reso quasi impossibile utilizzarlo per condannare chi affermi l'esistenza del genocidio armeno, tali modifiche, a fronte di un sostanziale muro di silenzio culturale, sembrano solo espedienti per avvicinarsi formalmente all’Europa. Nel 2002 il Presidente Giscard d'Estaing, rilevando le ancora forti differenze culturali, dichiarò la sua decisa contrarietà all'entrata della Turchia nell'UE, sostenendo che un suo eventuale ingresso avrebbe segnato la fine dell'Unione europea, rendendo impraticabile una vera integrazione politica (la Turchia sarebbe stato il Paese più esteso ed il secondo più popoloso dell'Unione). Nella stessa circostanza Giscard d'Estaing fece inoltre notare come la Turchia non possa essere considerata un paese europeo avendo il 95% della propria popolazione e della superficie territoriale in un altro continente. Tale presa di posizione e puntigliosità così nette oggi probabilmente si possono ritenere siano state un errore di strategia politica che minò la posizione dei Turchi moderati e filoeuropei. Ed un errore comunque fu, ed è ancora, lasciare al direttorio di Berlino e Parigi le principali scelte europee. Storia e geografia dovrebbero, in ogni caso, essere ben ricordate anche a chi immagina possa esistere una Europa senza Grecia od Italia. I recentissimi eventi contro la stampa ad Istanbul (marzo 2016) ed i meno recenti reiterati attacchi contro quegli intellettuali e quella parte della popolazione turca giovane e più istruita che vorrebbe un consolidamento della laicità turca e non un arretramento verso un fondamentalismo islamico strisciante, impongono di fermare ogni ipotesi di ingresso della Turchia in Europa. Bisogna avere il coraggio di affermarlo proprio per la fratellanza che dovrebbe accomunare almeno una parte degli europei a tutti quei Turchi che hanno combattuto e lavorato per la difesa dei diritti, per uno Stato più laico, per dare maggior spazio sociale e dignità alle donne, contro la tortura ancora praticata in molti centri detentivi del Paese. Per dare peso e valore alla loro azione, uniti con i cittadini turchi in ideali che travalicano ogni appartenenza etnica o religiosa. Barattare queste scelte in cambio di alcune migliaia di profughi fermati in quel Paese non solo è miope ma porterebbe ad un ulteriore 1 Testo tratto da un articolo giornalistico diffuso in Italia su Repubblica arretramento dell’Europa in quanto tale. L’Europa non può unirsi ad una Turchia che vuol tornare ad essere fondamentalista, che calpesta i diritti di una parte dei propri cittadini e pensa di sfruttare i migranti solo per arraffare vantaggi economici o consolidare il potere interno di alcuni. Olof Palme fa ancora paura? Trenta anni or sono, in questi giorni, un dito premendo un grilletto assassinava il primo ministro svedese, il socialdemocratico Olof Palme e ne feriva la moglie, nel centro di Stoccolma. Inviso a molti dittatori ed alle superpotenze dell’epoca per la sua autonomia di visione geopolitica, si pensa ancora sia importante scoprire chi materialmente azionò il dito per sparare ma è chiaro che chiunque sia stato, prezzolato esecutore per conto terzi, fanatico estremista mentalmente deviato o mediocre collaboratore di servizi segreti, in effetti è stato solo un dito meccanico e non un oppositore umano, poiché gli oppositori sono quelli che hanno il coraggio di parlare in pubblico. Nemici e detrattori che lo osteggiavano Palme ne aveva molti, di destra come di sinistra, ed è probabile che qualcuno abbia ancora timore delle sue idee. Fautore dell’indipendenza rispetto ai due blocchi politico-militari Sovietico e Statunitense, fortemente critico verso il comunismo che aveva reso dittatura gli ideali socialisti ma anche verso il capitalismo che riproponeva sfruttamento e vassallaggio sotto altre etichette, si schierò contro la guerra del Vietnam e contro l’URSS che stroncava la primavera di Praga. Si adoperò contro la proliferazione nucleare, si schierò contro i regimi di Francisco Franco in Spagna, Husak in Cecoslovacchia, Salazar in Portogallo, Pinochet in Cile, Vorster in Sud Africa, contro la politica sudafricana di apartheid, diede supporto a movimenti di liberazione africani e l’OLP, cercò di mediare nel conflitto tra Iran e Iraq. Altrettanto ampie le iniziative di riforma politica interna per il suo Paese, tra le quali: leggi di ampliamento del Welfare State con azioni di sicurezza sociale, di istituzione di centri di cura per bambini ed anziani, politiche di redistribuzione della ricchezza per ridurre, accesso libero alle università, norme di tutela degli ambienti di lavoro, azioni di politica di tutela ambientale. A trenta anni di distanza il bilancio di sintesi è tutto a suo vantaggio: gli Stati Uniti hanno perso la guerra in Vietnam; il comunismo Russia è fallito; Francisco Franco, Gustav Husak, Salazar, Vorster e Pinochet non solo sono morti ma i loro regimi sono oramai considerati negativamente quasi da tutti; la primavera di Praga è additata come evento positivo nella storia di quel Paese; la quasi totalità delle popolazioni africane è almeno formalmente libera da retaggi coloniali; l’OLP non solo esiste ancora ma resta il principale problema per la politica israeliana; la logica dei due blocchi è venuta meno. All’interno della Svezia migliaia di bambini e giovani hanno goduto di un sistema di sicurezza ed assistenza ad alto livello, con università accessibili anche ai poveri, il sistema sociale svedese è ancora oggi uno dei migliori del pianeta, le politiche di tutela dell’ambiente sono diventate comuni a quasi tutti i Paesi. E’ evidente che confrontando la stupidità di un dito che preme un grilletto alla brillante lungimiranza politica di Palme, anche in tema di diritti umani, il confronto è tra delle inconsistenti ossa oramai deformate (se non già ridotte in polvere) e la persistente azione di idee ed iniziative delle quali hanno beneficiato milioni di persone. E se Olof Palme e le sue idee fanno ancora paura a qualcuno, questo qualcuno valuti se per caso non stia sbagliandosi ancora una volta. Elogio della diversità Ricordo dell’antropologa Ida Magli Se si dovesse indicare uno dei tratti più caratteristici del pensiero sociale e politico dell’antropologa Ida Magli, quello che forse più contraddistingue la sua passione polemica civile, lo si potrebbe sintetizzare nell’elogio della diversità. Gradita ospite della LIDU nel 2012, per un dibattito sul suo volume “Dopo l’Occidente”, ne ricordiamo, in occasione della sua morte, alcuni dei tanti spunti di riflessione che ha lasciato. L’ antropologia nasce dallo studio delle diversità culturali, sociali ed etniche, si alimenta di esse in profondità per poi produrre sbocchi di analisi dissimili: lo studio comparativo, la ricerca di fattori comuni universali, o la pur importante funzione di raccolta ed in qualche modo di tutela delle diversità stesse. Tra le caratteristiche che accomunano gli antropologi ad altri studiosi di scienze sociali c’è il distacco, spesso inevitabile e talora essenziale, tra l’oggetto studiato ed il proprio sentire sociale o morale. Studiare ed analizzare una società non significa necessariamente condividerne valori, modi e comportamenti, anzi, come affermava Gino Germani, il sentirsene in parte esclusi spesso acuisce la sensibilità di indagine e discernimento. La Magli ha avuto lo spirito dell’antropologa nel desiderio di tutelare il grande patrimonio culturale italiano, ma anche una forte e libera passione nel porre in risalto le incongruenze, le meschinità, le debolezze, le tendenze negative, nel difendere il diritto alla diversità culturale ma anche alcuni dei valori forti della nostra cultura. Non è dunque necessario condividere tutte le Sue opinioni o conclusioni per poterle dar merito di queste sue positive caratteristiche, certamente “stonate” in un consesso culturale nel quale oramai l’allineamento, la “doverosa” appartenenza a scuole e correnti di pensiero, l’accondiscendenza ossequiosa ai poteri grandi ma forse ancor peggio a quelli piccoli e meschini, sembra purtroppo prevalere nel panorama del nostro Paese. In ciò fu una italiana rispondente al Suo modello di italianità, quello che ad esempio illustrò nel volume “Omaggio agli Italiani”, cioè una diversità per forma mentis, per l’eredità culturale, per l’ambiente colmo di arte nel quale viviamo, per la refrattarietà a molte grandi teorie e per la capacità di continuare a pensare “nonostante tutto”, che la Magli vedeva come caratteristiche che hanno fatto grandi molti italiani ma che allo stesso tempo li hanno resi invisi agli Europei medi, ed ancor più a quelli mediocri. L’essersi posta problemi sociali come la convivenza tra culture diverse, le une descritte come permeabili e sostanzialmente modellabili, come quella europea, le altre come impermeabili e votate alla pura continuità della tradizione, come quella islamica, va bel al di là dello studio antropologico ed investe prospettive molto più ampie e profonde. Così come, ragionando della musica di Verdi e di Wagner, affermava “sono le differenze che creano la bellezza”, perché quindi impoverire le proprie radici “imitando” gli altri? Le implicazioni, anche da noi più volte personalmente sollevate, includono uno dei nodi centrali della cultura europea contemporanea: se stiamo perdendo il senso della nostra identità culturale, come Italiani ma probabilmente anche come Europei, quindi anche della nostra storia e della tradizione dei diritti fondamentali e dello Stato sociale, non solo abbiamo, ed avremo ancora di più in futuro, difficoltà a rapportarci con altri popoli e culture, ma non saremo in grado di rispondere ai loro inevitabili e giusti quesiti: Ma voi Europei cosa proponete? Quali sono i vostri valori fondamentali? Quale è la vostra Cultura? Se noi Europei non riusciamo ad avere idee chiare su noi stessi e sull’Europa, come possiamo progettare il futuro e rapportare tutti noi alle altre grandi realtà del mondo? Decisamente pessimista, però, la visione della Magli sull’Europa che aveva avviato il processo di integrazione, accusato, forse giustamente, di essere guidato solo da gruppi finanziari e di interesse più che da una visione politica di ampio respiro. Ma accusato anche di essere solo germano centrico e giungendo in proposito a dire, duramente: “dobbiamo trarre una conclusione evidente: i Tedeschi hanno portato a termine lo scopo che si era prefisso Hitler: eliminare i diversi. Soltanto il modo non è lo stesso, e tende a far dimenticare quello che i Tedeschi stessi hanno fatto: se si è tutti uguali, senza Nazioni, senza monete, senza bandiere, senza caratteri, non esisteranno più neanche i Tedeschi e il ricordo della loro politica di sterminio.”1 Il pessimismo di lungo periodo della Magli si incrocia con alcuni altri interrogativi di prospettiva più breve che si potrebbero porre: se qualcosa di irreparabilmente tragico dovesse accadere in Europa, dove potrebbero fuggire gli Europei? Dove sarebbero accolti con pari diritti e con il riconoscimento delle libertà tipiche delle loro cultura? Quali Paesi sarebbero disposti a (o potrebbero permettersi) stanziamenti di molti milioni di dollari per aiutare gli esuli europei? Il Nord America potrà, o saprà essere, una soluzione praticabile? Una risposta alla crisi strisciante che attraversa le società europee ed anche agli egoismi sostanziali, pur camuffati da generosa disponibilità (come il direttorio di fatto tedesco, con stampella francese), sta solo nell’Europa stessa, nella sua grande riserva di cultura, nella vitalità artistica, nella storia, nella tradizione giuridica. E diciamo Europa, non 1 da Omaggio agli Italiani, pag. 21 Germania e Francia soltanto, quindi con ruoli paritari degli altri Paesi, Italia anzitutto. Ciò non per auto-adulazione, ma perché l’Umanesimo ed il Rinascimento, Beccaria, Filangieri, Pagano, Mazzini, Cattaneo, Einaudi, Ernesto Rossi, ed una miriade di altri giuristi, uomini di cultura, artisti, scienziati, letterati, hanno contribuito grandemente a costruire l’Europa e la sua Cultura. Ovvero, l’Europa senza gli Italiani non sarebbe stata l’Europa, così come non potrebbe esserlo in futuro. Sarebbe qualcos’altro, forse una sorta di sacro romano impero germano centrico, o di propaggine del Commonwealth, o di area di confine della Umma, o di area funzionale del colosso cinese. Anche per questo motivo, la Magli non poteva non essere fortemente critica sulla gestione dell’istruzione pubblica in Italia, sempre più a rimorchio di idee e modelli stranieri, intenta a risparmiare danneggiando la qualificazione delle generazioni future. Formazione svuotata di contenuti critici e dei due assi portanti del tempo e dello spazio, vista la compressione delle ore dedicate alla storia ed il taglio selvaggio di quelle dedicate alla geografia, queste ultime sempre meno affidate a chi ha specifica qualificazione geografica ed eliminate, nella loro autonomia, da molti indirizzi di studio. Quali cittadini del mondo si dovrebbero formare se privi di tali due strumenti fondamentali? Tutto è stato improntato a logiche contabili di risparmio, ignorando la crescente dequalificazione che produrrà effetti generazionali a cascata; usando etichette banali come “la buona scuola” e orientando il timone verso una deriva culturalmente suicida. Non solo, con attento occhio da antropologa, la Magli rincarava la dose sostenendo che una trasmissione della cultura e della tradizione affidata quasi solo a donne (considerato che l’insegnamento è divenuto area sempre più dequalificata e poco ambita sotto vari punti di vista, quindi prevalentemente femminile) non è culturalmente ottimale; le nuove generazioni avranno dei riferimenti in meno ed un orientamento che oggi danneggia una parte degli studenti, in futuro danneggerà anche i figli di quegli studenti e l’intera società. Allo stesso modo, imitare la povertà linguistica e la rudezza altrui, perdere l’uso delle raffinate possibilità della lingua italiana a favore di anglicismi spesso rozzi, contribuisce a determinare quell’atteggiamento di rifiuto della propria cultura (italiana) delle nuove generazioni che giustamente allarma l’antropologa “nulla è più significativo che questa collaborazione dei giovani al disprezzo della propria terra, dell’Italia, persino nelle cose in cui è storicamente la più ricca, la più ammirata nel mondo“.Quanto può sopravvivere una qualsiasi società che rifiuta la propria cultura e storia e le disprezza? La difesa dei diritti delle donne è stata poi una delle battaglie costanti della professoressa Magli, ma ancora una volta condotta fuori dagli schemi abituali e spesso banalizzanti. Giustamente contraria alle cosiddette quote rosa, che non fanno che ribadire una subalternità e diversità di fatto delle donne, ha più volte criticato l’incapacità della cultura islamica di prevedere un ruolo paritario per le donne, permanentemente confinate ad un ambito inferiore. Commentando gli assalti alle donne avvenuti a Capodanno a Colonia, scriveva amaramente, tra l’altro: “. . . Il cristianesimo resiste, malgrado i colpi di piccone dati dagli scandali dei preti e la presenza di un Papa che non smette mai di esortare all’accoglienza? Di fronte a tutti questi fallimenti possiamo supporre, anche se non ci sono le prove, che siano state le autorità di Bruxelles a voler dare un’ accelerazione definitiva alla distruzione della civiltà europea. Con una trovata geniale è stato dato il via all’arma primordiale, quella che tutti i maschi hanno sempre adoperato sul nemico vinto: il possesso delle donne”. In un precedente articolo del 2014, dal titolo presago “Il conto degli sbarchi lo pagheranno le donne”, aveva affermato: “Per quanto le donne siano oggi in grande maggioranza ben consapevoli di se stesse, dei propri diritti, della propria libertà, sono però in qualche modo fragili, poeticamente alla ricerca di un amore “diverso”, vagheggiando un maschio sessualmente e psicologicamente forte, capace di dominare, tipo ormai rarissimo da trovare fra gli italiani. Le promesse di parità non contano: una volta sposate con un musulmano le donne sperimentano la forza della cultura islamica non soltanto nel marito ma in tutta la sua famiglia e sono costrette ad una obbedienza che diventa anche più grave con la nascita di figli. Ma possiamo intravedere pericoli ancora più gravi per la tenuta della società nei messaggi che si sprigionano nell’aria, dal punto di vista culturale, con una forte presenza di donne velate, tabuizzate, spesso infibulate, che coltivano doveri, ideali, mode, sentimenti, passioni, linguaggi in totale contrasto con i nostri. L’aria culturale non la si può chiudere nelle moschee o nei tribunali appositi: la respiriamo tutti. La “tolleranza” ne facilita la circolazione ovunque…”. E per combattere le mutilazioni genitali femminili ed altre forme analoghe di manipolazione del corpo femminile, la Magli non ha esitato ad invitare i credenti della comunità ebraica a sostenere, con un gesto di grande valenza simbolica, l’abolizione della circoncisione maschile, per dar prova di coerenza nella difesa dei diritti umani e per invitare i tradizionalisti musulmani a proibire altre pratiche (spesso contro le donne) adottate prendendo alla lettera il dettato coranico. A ciò si collega anche il problema del delicato rapporto tra religioni, con relativi testi sacri, e società laica. Così come il Cristianesimo aveva in gran parte cancellato la cultura religiosa dell’antica Roma, altrettanto è avvenuto per altre culture del mondo ed il meccanismo è destinato a manifestarsi ancora. La Magli esplorava simbologie e fattori in gioco nell’attuale incontro-scontro tra il modello culturale europeo e l’islamico, ad esso più geograficamente limitrofo, affermando: “Nell’islamismo sono in atto, quindi, le strutture universali del Sacro e la loro organizzazione sociale a livello elementare, strutture che vibrano spontaneamente nell’animo umano perché rispondono, acquetandolo, al bisogno di sicurezza che assilla ogni uomo.” In “Maometto e la violenza”, la Magli sottolineava poi la specificità del Corano, che in un suo diverso scritto aveva già invitato tutti a leggere per “non morire di Islam”. La Magli precisava che: “C’è un fattore in più, però, nella religione di Maometto che domina su tutti gli altri imprimendogli un’inesauribile vitalità: bisogna combattere per la vittoria di Allah. È l’ordine che Maometto ha dato fin dall’inizio e che ha garantito e garantisce tutt’oggi l’espansione dell’Islamismo: combatti e vincerai. Il termine “combattere” è uno dei più frequenti nel testo del Corano: Islam e battaglia vittoriosa sono la stessa cosa perché è Dio che combatte quando i suoi fedeli combattono.” . . . . “Una volta padroni dell’Europa, quindi, i musulmani “giustamente” ne distruggeranno “l’europeità”, come è sempre successo quando una cultura è subentrata ad un’altra“, . . . “Il modo di vivere musulmano, regolato dai precetti dettati nell’antichità da Mosè al suo popolo e che Maometto ha confermato nel Corano, essendo “sacro” deve essere osservato alla lettera e impregnerà di sé l’ambiente europeo, cancellando qualsiasi traccia del nostro“. Difficile dire se la professoressa Magli abbia lasciato predominare solo la visione negativa degli eventi. I tanti spunti di riflessione antropologica lasciati, tutti di una disarmante chiarezza, estranea al dilagante “politicamente corretto”, segno di una assunzione in prima persona della responsabilità delle proprie analisi e dei propri valori, sono accomunati da una grande passione per la propria ricerca sociale, dalla difesa della dignità umana, dall’amore per l’arte e la cultura italiane che, da antropologa, riteneva fossero assolutamente da salvare nella loro peculiare diversità antropologica. Ricordare Umberto Eco Forse il modo migliore per rendere omaggio ad un grande uomo di cultura, sempre portatore di un pensiero libero ma anche ironico e lieve nelle espressioni, sia usare le Sue stesse parole. I testi del Professor Umberto Eco -in corsivo-, sono tratti da varie interviste e liberamente organizzati. Gli ebrei sono i depositari della civiltà del libro e della cultura e anche se non sono più i tempi dei Rothschild, se molte differenze nella società contemporanea sono meno marcate, resta la loro impronta. Per questo sarebbe difficile per gli imbecilli trovare un nemico migliore. Il nemico serve a chi soffre di un’identità debole e un malinteso spirito di gruppo o un malinteso patriottismo sono spesso, purtroppo, l’ultimo rifugio delle canaglie. I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli. Perché prendersela con gli Ebrei? Cosa vuole, non ce la si può mica prendere con gli Ottentotti. Un nemico serve sempre ed è meglio che sia in mezzo a noi, che esprima una forma di onnipresenza e di inquietante creatività. Qui siamo al dossieraggio dei giorni nostri che riempie le pagine dei giornali. Alla tendenza a stimolare sospetti disseminando segnali contorti o fabbricati a tavolino. Ma anche alla grossolanità ormai sempre più diffusa nella società italiana che porta in ogni ambiente accademico o scientifico, in aziende ed enti che si vorrebbero rispettabili, i dirigenti e i dipendenti a scambiarsi messaggi insultanti di posta elettronica, accuse deliranti, sgarbi gratuiti estesi a un numero sempre maggiore di lettori. Dicerie, malevolenze, falsità pretese notizie. Fino ad arrivare a una grande rissa universale, un polverone in cui tutte le questioni si confondono in un avvilimento generalizzato. Mi riferisco naturalmente a un certo modo di fare giornalismo, di condurre operazioni a tavolino per poi ossessionare il lettore con baggianate colossali che finiscono per distogliere l’attenzione dalle questioni reali. Ma anche all’imbarbarimento delle relazioni interpersonali e di lavoro cui stiamo tutti assistendo in prima persona. Alla cultura del copia incolla e della citazione arbitraria, di un passaparola pressappochista e sempre malevolo che sta trascinandoci sempre più in fondo. Che i gesuiti della Civiltà Cattolica siano stati dei forcaioli spaventosi lo sanno tutti. Che i primi socialisti svilupparono un vero e proprio filone di pensiero violentemente antisemita è un fatto del tutto reale e documentato. E anche tutto il resto è ben documentato. Se le cose sono andate come sono andate non ci posso fare niente. Quello che conta è cosa vogliamo imparare dalle lezioni del passato. Il problema del Tu generalizzato non ha a che fare con la grammatica ma con la perdita generazionale di ogni memoria storica e i due problemi sono strettamente legati. In città il commesso ti da evidentemente del Lei se hai i capelli bianchi, e possibilmente la cravatta, ma in campagna è peggio: più inclini ad assumere costumi televisivi senza saperli mediare con una tradizione precedente, in un emporio mi sono visto (io allora quasi ottantenne e con barba bianca) trattato col Tu da una sedicenne col piercing al naso (che non aveva probabilmente mai conosciuto altro pronome personale), la quale è entrata gradatamente in crisi solo quando io ho interagito con espressioni quali “gentile signorina, come Ella mi dice...” De- ve aver creduto che provenissi da Elisa di Rivombrosa, tanto mondo reale e mondo virtuale si erano fusi ai suoi occhi, e ha terminato il rapporto con un “buona giornata” invece di “ciao”, come dicono gli albanesi. Tra parentesi, per ragioni forse di politically correct femminista, tra i giovani sono scomparse le signorine. Vi chiederete perché lego il problema dell’invadenza del Tu alla memoria e cioè alla conoscenza culturale in generale. Mi spiego. Ho sperimentato con studenti stranieri, anche bravissimi, in visita all’Italia con l’Erasmus, che dopo avere avuto una conversazione nel mio ufficio, nel corso della quale mi chiamavano Professore, poi si accomiatavano dicendo Ciao. Mi è parso giusto spiegargli che da noi si dice Ciao agli amici a cui si da del Tu, ma a coloro a cui si da del Lei si dice Buongiorno, Arrivederci e cose del genere. Ne erano rimasti stupiti perché ormai all’estero si dice Ciao così come si dice Cincin ai brindisi. Se è difficile spiegare certe cose a uno studente Erasmus immaginate cosa accade con un extracomunitario. Essi usano il Tu con tutti, anche quando se la cavano abbastanza con l’italiano senza usare i verbi all’infinito. Nessuno si prende cura degli extracomunitari appena arrivati per insegnare loro a usare correttamente il Tu e il Lei, anche se usando indistintamente il Tu essi si qualificano subito come linguisticamente e culturalmente limitati, impongono a noi di trattarli egualmente con il Tu (difficile dire Ella a un nero che tenta di venderti un parapioggia) evocando il ricordo del terribile “zi badrone”. Ecco come pertanto i pronomi d’allocuzione hanno a che fare con l’apprendimento e la memoria culturale. Piccoli esempi di un modo arguto ed elegante, ma molto chiaro, di trattare di diritti ed antisemitismo, di arroganza del potere dei media, della narcotizzazione culturale (informatica e non solo) e del degrado, spesso anche linguistico, nelle relazioni interpersonali. Ricorderemo Umberto Eco! Papa Francesco, La chiarezza delle parole Ancora una volta l’attuale Papa Francesco sembra mostrarsi più coerente e forse più profondamente cristiano di almeno una parte delle gerarchie della Chiesa Cattolica. La sua espressione “Non mi immischio nella politica italiana”1 non da adito ad interpretazioni diverse od alternative, è chiara e semplice. Così come dovrebbe essere chiaro che l’ingerenza reciproca tra un apparato statale ed una qualsiasi religione non giova a nessuno tranne a coloro che vogliono abusare della seconda per gestire meglio il proprio potere. L’approccio laico che propone una separazione netta tra le due sfere è stato spesso criticato ed attaccato con l’abusata espressione di “anticlericale”, talora dando ad intendere che un anticlericale sia un feroce ateo contrario ad ogni principio religioso e morale. Ore sarebbe coerente utilizzare la stessa espressione anche per l’affermazione papale, in particolare per la parte dei destinatari appartenenti al clero che ritiene non solo di poter ma addirittura di dover intervenire e dettare regole nella vita civile. E’ quindi evidente che anche un Papa potrebbe essere accusato di essere “anticlericale” quando dissente da un certo modo di gestire il potere e la comunicazione da parte del clero. Esprimere e sostenere i propri valori è un diritto che va riconosciuto a tutti i credenti, così come ai non credenti. Lanciare messaggi “politici” o “direttive” a partiti, politici od amministratori è cosa ben diversa. Altre le parole che andrebbero usate invece per quei destinatari del messaggio papale che non appartenendo alla Chiesa ma dichiarandosi cristiani, cercano di usare la religione (una qualsiasi religione) per farsene sponda, per attirare voti, appoggi, favori, notorietà, per manipolare i credenti. Pensiamo che le parole sarebbero decisamente più dure. Anche questi 1 Espressione usata nell’intervista del 18 febbraio e diffusa anche dai canali radiotelevisivi aspetti linguistici riguardano la cultura dei diritti e dei doveri, ed un loro coerente uso contribuirebbe ad evitare inutili polemiche e forzature manipolatorie, garantendo maggiore rispetto reciproco. Spazio Internazionale Lo “Spazio Internazionale” della nostra Newsletter ospita le attività svolte nel campo della promozione e della tutela dei Diritti Umani dalle Associazioni di cui la LIDU è membro: l’AEDH (Association Européenne pour la défense des Droits de l’Homme) e la FIDH (International Federation of Human Rights), composte da organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti civili, politici, economici e sociali, così come affermati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, l’una a livello europeo, l’altra rappresentata alle Nazioni Unite. Risoluzioni del Comitato Direttivo AEDH del 13 marzo 2016 Il bureau esecutivo dell’ AEDH, insieme al suo presidente Dominique Guibert, decide di rilanciare il gruppo di lavoro sulle carceri, che si chiamerà “Enfermement”( Detenzione ). Commentando a novembre 2011 il Libro Verde sulle prigioni redatto dalla Commissione Europea del 14 giugno 2011 (1), l’AEDH rileva che in questa ricerca non sono definiti i requisiti minimi di detenzione che devono essere applicati in tutti gli Stati membri. (2) Pur facendo riferimento al Regolamento di Stoccolma che ritiene necessario rafforzare la “fiducia reciproca”, la ricerca tuttavia non esaurisce la questione dei diritti destinati a tutti gli esseri umani nonostante che la detenzione si traduca spesso in una doppia pena. Nel 2014, a ridosso delle elezioni europee, l’AEDH pubblicò il Manifesto per un’Europa dei Diritti Umani(3). Il punto 5 del Manifesto riguardava le carceri e i diritti delle persone private della libertà, che restano sempre dei cittadini. L’AEDH e il suo presidente affidano a Maria Vittoria Arpaia, Rappresentante della LIDU e membro del bureau dell’AEDH, il coordinamento di questo gruppo. A breve quindi, Maria Vittoria presenterà un programma che costituirà il punto di partenza per la trattazione dell’argomento Enfermement, a completamento di quanto non è stato chiarito dal Libro Verde della UE nel 2011. Il tema penitenziario é di fondamentale importanza. Attualmente, le carceri sono sovraffollate e i detenuti subiscono molte volte trattamenti che non rispettano i diritti dell’uomo e in aperta violazione delle libertà fondamentali. Come più volte ribadito ed evidenziato nel corso di molteplici riunioni, il reo deve avere la possibilità di scontare la propria pena anche e soprattutto attraverso un programma di riabilitazione e di rieducazione sociale, considerandone anche la salute e il benessere. Il Presidente Guibert afferma che devono essere poste sotto esame critico e revisionate tutte le forme di privazione della libertà attualmente in essere. Catherine Teule rappresentante della Lega francese, sostiene che al problema della salute si affianca per importanza la questione della lingua per la accresciuta presenza di un gran numero di detenuti stranieri. Come punto fondamentale di partenza, si è scelto il problema della salute del detenuto nelle carceri, senza il quale non ci può essere nessun avvio al lavoro o alla reintegrazione sociale. Lo scambio di informazioni e di ricerche sul tema della Detenzione nei suoi aspetti sociosanitari con gli altri membri europei sarà la base ed il fondamento di una proposta diversificata che questo Gruppo sarà in grado di offrire all’opinione pubblica europea. Per conto dell’AEDH, Maria Vittoria dovrà redigere una breve presentazione del gruppo di lavoro che si intende riattivare e il programma di lavoro che svolgerà insieme a chiunque voglia dare il proprio contributo. NOTE (1)-http://www.aedh.eu/Un-livre-vert-bien-timide-sur-les.html (2)-http://www.aedh.eu/Reponse-de-l-AEDH-au-livre-vertde.html?var_recherche=d%C3%A9tention%20provisoire%20livre%20vert (3)- http://emdera.net/foraeurope/manifesto-italian.pdf L’AEDH presenterà un progetto sulla non discriminazione e integrazione delle persone Rom. Tale progetto vede come partners le associazioni membro dell’AEDH: l’Asociatia Pro Democratia della Romania, l’APDHA Andalusia e la Bulgaria. Si tratteranno i temi dell’accesso all’educazione per i bambini Rom e dell’accesso alla salute. Da parte dell’AEDH sarà fatto un lavoro di sensibilizzazione contro i pregiudizi sui Rom . Per questo sarà divulgato del materiale. Il progetto avrà la durata di due anni a partire dal 2016. Il bureau propone di prendere una stagista per 3 mesi che lavori su questo tema. L’ AEDH tra marzo e giugno è invitata a partecipare a diversi Convegni e Forum Invito della Commissione a un incontro sul piano d’azione Europea sull’integrazione dei paesi terzi nazionali. Partecipazione al Forum Europeo sulle Migrazioni. Fundamental Rights Forum, FRA, sulla Protezione dei rifugiati e l’era digitale. Civil Society Day. Per assicurare la presenza a tutte le date, ci si divide tra il presidente e i membri disponibili. Vengono presentate al Direttivo le due nuove stagiste in Asilo e Immigrazione e DESC (Diritti economici, sociali e culturali). È stata elaborata una Lista dell’Unione europea di Paesi di origine considerati sicuri (7 + la Turchia).La lista avrebbe lo scopo di accelerare sia l'iter delle domande di asilo dei richiedenti, sia il rimpatrio dei richiedenti che non soddisfano le condizioni per la protezione internazionale. Tutte le domande di asilo dovranno beneficiare di un adeguato esame. Si parla della presenza dell’ AEDH alla campagna Frontexit, rappresentata da Emilie Pesselier rappresentante dei membri individuali nel Direttivo. Finora l’AEDH è presente in 6 collettivi nazionali. L’AEDH è l’Organizzazione maggiore per quanto riguarda immigrazione e asilo. Si parla di una presa di posizione politica dell’AEDH su Brexit (uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea). Manuel Malheiros del Portogallo sostiene che bisogna essere oggettivi. Catherine Teule (LDH) vicepresidente AEDH, sostiene che se la Gran Bretagna non vuole accettare le misure dettate dall’Unione Europea per l’accoglienza dei migranti allora deve uscirne. Il Presidente insieme agli altri membri decide di scrivere una lettera che descrive la posizione dell’AEDH su questa questione e di inviarla a Parlamento europeo (Junker) e Commissione europea. La lettera sarà prima inviata al direttivo via email per una consultazione veloce. Altro punto all’ordine del giorno è la posizione dell’AEDH sull’accordo UE-Turchia. L’AEDH firmerà un comunicato congiunto con Migreurop. Migranti e rifugiati devono essere accolti e avere gli stessi diritti. Infine si parla del problema della comunicazione. Prende la parola Catherine Teule suggerendo dei miglioramenti per una maggiore visibilità da parte di chi consulta il sito. Bisogna rendere i contenuti accessibili facilmente e velocemente. Non dobbiamo considerare che chi ci legge sia nella nostra testa. Anche la Newsletter deve essere facilmente stampabile. L’AEDH è una collettività e non esiste senza i suoi associati. 14 marzo 2016 Viene presentato il nuovo stagista che lavorerà sui Dati personali Si discute dell’ Assemblea Generale AEDH che avrà luogo a Vienna il 7 e l’8 maggio e sarà preceduta il 6 da un seminario sulla libertà di circolazione. Essendo Vienna la sede dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) si decide di fissare un incontro per venerdì mattina. Il seminario potrebbe portare alla redazione di un testo di risoluzione politica sulla libertà di circolazione in Europa. Il 7 e l’8 si svolgerà l’Assemblea Generale dell’AEDH. Il prio giorno ci sarà una riunione tematica sui temi trattati nei gruppi di lavoro. Asilo e immigrazione DESC Dati personali Cittadinanza e democrazia Riattivazione del gruppo carceri Parità di genere Il giorno successivo si terranno le elezioni del nuovo Comitato Direttivo Il Presidente preparerà le strategie per il 2016 (le strutture, le finanze, i membri del Direttivo ed individuali,, la comunicazione, i gruppi di lavoro: asilo e immigrazione, protezione dei dati personali, DESC, prigioni, cittadinanza e democrazia, parità di genere, le priorità politiche). La riunione si conclude alle 12:45. COMMUNIQUE DE PRESSE COJOINT Sommet européen Accord Union européenne - Turquie: Externaliser pour mettre fin au droit d’asile Paris, le 16 mars 2016 Ces 17 et 18 mars, lors d’un nouveau sommet à Bruxelles, l’Union européenne et la Turquie adopteront un accord supposé résoudre ce qui est à tort nommée la « crise migratoire ». Un plan qui permet surtout à l’Union de repousser les réfugiés hors de ses frontières et de soustraiter ses obligations à la Turquie. Les États membres fuient ainsi leurs responsabilités au mépris du droit d’asile. Le réseau Migreurop, réseau européen et africain qui réunit une cinquantaine organisations défendant les droits des migrants, et l'Association européenne pour la défense des droits de l'Homme (AEDH) s’opposent fermement à cet accord et demandent à l’Union de respecter l’ensemble de ses obligations internationales. Les demandeurs et demandeuses d’asile qui arrivent dans l’Union européenne sont les rescapé-e- s d’odyssées qui transforment la Méditerranée en fosse commune et qui ont dû échapper au contrôle exercé par les États tiers jouant le rôle de gardes-frontières de l’UE. Jusqu’au récent exode de centaines de milliers de Syriens, les États membres avaient ainsi réussi à canaliser la demande d’asile, maintenue à des niveaux historiquement faibles, et à faire reposer la quasitotalité de l’accueil des réfugiés sur les pays proches des zones de conflits1 . Les textes européens régissant l'asile, notamment les règlements « Dublin » successifs, ne fonctionnent qu’à condition que peu de réfugiés arrivent dans l’UE. Certes, il existe des dispositions spécifiques en cas « d’afflux massif ». Mais la directive « protection temporaire » a été conçue de façon à ce que sa mise en œuvre soit particulièrement complexe, et elle n’a d’ailleurs jamais été activée depuis son adoption en 2001. La courte période, à l’automne 2015, pendant laquelle des demandeurs d’asile ont pu accéder en nombre et relativement librement à un État membre, a été une parenthèse ouverte parce que la chancelière allemande a délibérément choisi de ne pas appliquer les règles européennes en vigueur. Avec le projet d’accord avec la Turquie, l’UE entend refermer cette parenthèse pour revenir à ses fondamentaux en matière de mise à distance des demandeurs d’asile. Elle fait feu de tout bois avec l’arsenal juridique à sa disposition (« pays tiers sûr », « pays d’origine sûr », accords de réadmission…) au mépris des droits fondamentaux et d’une convention de Genève bien peu défendue par le Haut commissariat aux réfugiés (HCR). 1 Au cours des années 2000, l’UE dont le nombre des États membres est passé de 15 à 27, enregistrait annuellement entre 200 000 et 400 000 demandes d’asile, pour un espace comprenant près de 500 millions d’habitants en 2010. Alors que la Turquie accueille à elle seule près de trois millions de réfugiés syriens, les dirigeants européens la désignent à la fois comme coupable (puisque les réfugiés ne devraient pas arriver jusque dans l’espace Schengen) et comme partenaire privilégié. Pour cela, ils sont prêts à fermer les yeux sur les dérives autoritaires d’un Recep Tayyip Erdogan ayant relancé une guerre civile contre une partie de sa population, notamment kurde, et usant de tous les moyens afin de faire taire ses opposants (journalistes, universitaires, magistrats…). Aujourd’hui, la Turquie n’est un « pays sûr » ni pour ses ressortissants, ni pour les réfugiés. Mais l’UE est prête à toutes les contorsions juridiques pour qu’Erdogan accepte de limiter les départs vers la Grèce, qu’il laisse patrouiller l’Otan – transformée en agence de surveillance des frontières européennes – dans ses eaux territoriales et qu’il accepte de reprendre sur son sol les exilés passés par la Turquie et expulsés de Grèce. Le niveau d’aveuglement politique, de mépris des droits fondamentaux et d’abaissement moral des négociateurs de l’UE est tel qu’ils envisagent de troquer la réinstallation dans l’Union européenne de demandeurs d’asile vivant dans la plus grande précarité en Turquie contre l’acceptation, par cette dernière, d’un contingent équivalent de personnes « éloignées » des États membres. L’UE doit renoncer à cet accord avec la Turquie et cesser de se barricader contre les réfugiés. Les États membres doivent arrêter la fortification de leurs frontières et enfin assumer leurs obligations en matière d’accueil des réfugiés et des demandeurs d’asile. Le prochain conseil européen des 17 et 18 mars doit suivre les recommandations du Parlement européen (résolution du 9 octobre 2013) et organiser la mise en œuvre de la directive « protection temporaire ». Ce serait un premier geste de rupture avec l’irresponsabilité d’une politique d’externalisation ayant entraîné le naufrage du droit d’asile et la mort de dizaines de milliers de personnes en recherche de protection et d’un avenir meilleur. COMMUNIQUE DE PRESSE Faisons du 8 mars une action quotidienne Bruxelles, le 8 mars 2016 Les luttes des femmes ont permis de conquérir des droits et de progresser vers l’égalité entre les femmes et les hommes. Le 8 mars, l'AEDH honore ces luttes lors de la journée internationale de luttes pour les droits des femmes du monde entier. Contrairement à ce qui est médiatiquement proclamé, ce n’est pas la journée de « la » femme qui voit se produire jusqu'à la nausée la récupération de cette journée à des fins commerciales, sans doute pour mieux faire oublier, le reste de l’année, l’ampleur des inégalités qui restent à combattre. Dans la société les femmes sont partout mais l'égalité reste à conquérir ! Les femmes sont touchées par les inégalités de salaire et de retraite, par le temps partiel subi, la précarité, elles ont majoritairement la charge des tâches domestiques et familiales, et restent scandaleusement minoritaires dans les postes de responsabilité politique ou économique. Elles sont trop souvent victimes de multiples formes de violences : viols, violences conjugales, violences sexistes et sexuelles au travail, lesbophobie, prostitution, agressions racistes, violences contre des femmes réfugiées. Les femmes sont les premières victimes des guerres. L'AEDH participe aux combats des femmes et l'actualité est forte en ce qui concerne la défense de tous leurs droits, comme en Espagne, en Pologne et ailleurs. Depuis mai 2015, son groupe de travail sur le genre réalise un diagnostic initial des actions de nos structures membres, et une analyse de la situation des femmes dans les différents environnements et des politiques publiques en la matière. Au sein des structures membres qui la constituent l’AEDH ne conçoit pas de combattre pour les droits sans la lutte pour les droits des femmes. C'est pourquoi l'AEDH incorpore la perspective de genre dans ses activités et ses projets, tant de façon transversale que spécifique. L'objectif consiste à unir les efforts et les ressources pour l’établissement d’un monde juste, égalitaire, inclusif et divers. En ce 8 mars, journée internationale des droits des femmes, l'AEDH se reconnaît dans les mouvements qui prennent en charge les droits des femmes, car ces droits sont actuellement en régression et sont menacés. Parce que les droits des femmes sont des droits de l’Homme. Contacts presse: Dominique Guibert, Presidente AEDH, European Association for the Defence of Human Rights 33, rue de la Caserne. B-1000 Bruxelles Tel : +32(0)25112100 Fax : +32(0)25113200 Email : [email protected] Sito Web http://www.aedh.eu/?lang=en Monsieur le président, la France doit être exemplaire dans la lutte contre le terrorisme Le 25 février 2016, Monsieur le président de la République, Plus de 60 organisations membres de la FIDH, dont, bien sûr, la Ligue française des droits de l’Homme, sont particulièrement préoccupées par la situation des libertés publiques et individuelles en France. Tous nos membres ont été horrifiés par les attentats commis durant l’année 2015 à Paris et Saint Denis. Ces actes de terrorisme sont commis partout dans le monde et il est de la responsabilité des Etats d’y répondre de manière à préserver la sécurité de tous ainsi que les libertés. La FIDH et ses organisations membres, s’appuyant sur leur expérience bientôt centenaire, affirment que cette lutte doit impérativement se mener dans le respect des droits de l’Homme sous peine de porter atteinte aux principes mêmes de la démocratie, satisfaisant ainsi aux objectifs des criminels. A quoi s’ajoute le fait que, à ne pas respecter les libertés fondamentales, on nourrit stigmatisations et discriminations, au risque de mettre en péril la cohésion d’un pays. Nos organisations, mais aussi les gouvernements du monde entier et les instances internationales, sont attentifs à la réaction des autorités françaises. Toute mesure attentatoire aux droits des individus et aux libertés publiques serait un reniement des engagements internationaux de la France et indigne du pays de la Déclaration des droits de l’Homme. Elle ne manquerait pas d’être prise comme exemple par les régimes les plus autoritaires pour légitimer leur politique de répression des opposants politiques, journalistes ou ONG comme les nôtres, menée au prétexte fallacieux de la lutte contre le terrorisme. C’est pourquoi nos organisations s’inquiètent particulièrement de la prorogation de l’état d’urgence , et plus encore de son renouvellement annoncé à partir du 26 février. Si de nombreux gardes fous républicains permettent d’examiner les conditions de sa mise en œuvre, plusieurs informations et témoignages font état d’un recours à la force inutile et d’erreurs dans le cadre des plus de 3000 perquisitions exécutées sans l’autorisation du juge judiciaire. Près de 400 assignations à résidence ont par ailleurs été décidées par les préfets sur la base de simples notes blanches, certaines dépassant le strict cadre de la lutte contre le terrorisme pour concerner par exemple des militants écologistes. Ces actes ont été validés dans leur quasi-totalité par la justice administrative dont le contrôle, exercé a posteriori, s’est révélé largement insuffisant voire inopérant lorsqu’il s’agit de perquisitions. Nous relevons au surplus que, de l’avis même du mécanisme parlementaire de surveillance de l’état d’urgence, les modalités d’action instaurées par celui-ci ne sont presque plus utilisés par les services concernés. Nous en concluons que les moyens du droit commun permettent de faire face à la situation actuelle. Le projet de réforme de la Constitution sur l’état d’urgence et la déchéance de nationalité, ainsi que le projet de réforme de la procédure pénale qui viennent s’ajouter à la loi sur la surveillance électronique et à trente années de législation abondante sur la lutte contre le terrorisme, inquiètent également quant aux risques accrus de violations des libertés et droits fondamentaux des citoyens qu’elles comportent. La France sera un des seuls pays dont la Constitution inclut trois dispositifs d’exception. Nonobstant le soutien dont les sondages d’opinion semblent créditer ces réformes, nous craignons vivement, pour notre part, qu’elles ne renforcent au sein de la population, et singulièrement parmi les plus vulnérables, un sentiment d’arbitraire, qu’elles ne favorisent des actes de stigmatisation et de discrimination et ne fissurent davantage la cohésion sociale. Il serait pour le moins paradoxal que, sous couvert de favoriser l’union nationale, les réformes engagées encouragent au contraire la désunion et, in fine, ne bénéficient principalement qu’aux forces politiques les plus extrêmes de la société française. C’est pourtant la profonde préoccupation que ces réformes nous inspirent, à l’aune de l’expérience douloureuse que nous avons suivie dans nombre de pays depuis le 11 septembre 2001. Aussi, nos organisations appellent au non renouvellement de l’état d’urgence, au retrait des réformes constitutionnelles proposées, et à l’encadrement par un strict respect des droits humains, de toute réforme entreprise et de la politique étrangère de la France relatives à la lutte contre le terrorisme. Nous appelons aussi les autorités françaises à renouer le dialogue avec l’ensemble de la société civile et à s’appuyer sur son expertise. Enfin, nous vous recommandons d’inviter officiellement en France aux fins d’enquête, les principaux organes du Conseil de l’Europe et des Nations unies compétents, pour évaluer les mesures en vigueur ou proposées et les pratiques en cours, à l’aune des obligations internationales conventionnelles souscrites par la République française. Parmi eux, le Commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe et le Rapporteur spécial de l’ONU sur la lutte contre le terrorisme et le respect des droits de l’Homme nous semblent devoir être invités prioritairement. La France entend agir dans le cadre des systèmes onusiens et européens de protection des droits, qu’elle soutient par ailleurs et qu’elle s’est engagée à respecter et promouvoir. Une telle invitation nous semblerait cohérente, nécessaire et opportune. Pour notre part nous organiserons à bref délai une mission d’enquête internationale, espérant de la part des autorités française une collaboration active. Restant à votre disposition, nous vous prions de croire, Monsieur le président de la République, à l’assurance de notre haute considération. Signataires : En Afrique Ligue ivoirienne des droits de l'Homme (LIDHO) - Côte d'Ivoire Organisation Nationale des Droits de l'Homme (ONDH) - Sénégal Mouvement ivoirien des droits humains (MIDH) - Côte d'Ivoire Rencontre Africaine pour la Défense des Droits de l'Homme (RADDHO) - Sénégal NSANZURWIMO - Rwanda Maison des Droits de l'Homme du Cameroun (MDHC) - Cameroun DITSHWANELO - Bostwana ZimRights - Zimbabwe Groupe LOTUS - RDC Kenya Human Rights Commission - Kenya Ligue tchadienne des droits de l'Homme - Tchad Association Tchadienne pour la promotion et la Défense des Droits de l'Homme (ATPDH) Tchad Ligue djiboutienne des droits de l'Homme – Djibouti En Amériques Réseau National de Défense des Droits Humains (RNDDH) Ligue des droits et libertés du Québec -Canada Liga Argentina por los Derechos Humano (LADH) - Argentine CCR - USA CNDH - République Dominicaine Limedddh - Mexique Centro de Capacitación Social de Panamá - Panama Comisión de Derechos Humanos de El Salvador (CDHES) - El Salvador CELS - Argentine Coordinadora Nacional de Derechos Humanos (CNDDHH) - Perou En Asie Mouvement Lao pour les Droits de l'Homme (MLDH) - Laos Comité Viet Nam Pour La Défense des Droits de l'Homme - Vietnam Save Tibet - Tibet Human RIghts Commission of Pakistan - Pakistan Commonwealth Human Rights Initiative - Inde Odhikar - Bangladesh ALTSEAN - Birmanie ADHOC - Cambodge Armanshahr/OPEN ASIA - Afghanistan En Europe Ligue des droits de l'Homme - France Ligue des droits de l’Homme - Belgique Malta Association of Human Rights - Malte Hellenic League for Human Rights - Grèce LIDU- Lega Italiana dei Diritti dell'Uomo - Italy Ihmisoikeusliitto - Finnish League for Human Rights - Finland Latvian Human Rights Committee - Littonie Human Rights Association (IHD) - Turkey Committee on the Administration of Justice (CAJ) - UK League for Human Rights Netherlands - Netherlands Liga für Menschenrechte - Allemagne En Europe de l'Est et Asie Centrale Kazakhstan International Bureau for Human Rights and Rule of Law - Kazakhstan Human Rights Movement "Bir Duino-Kyrgyzstan" - Kirghizistan Human Rights Center (HRIDC) - Géorgie Civil Society Institute - Arménie Promo-LEX Association - Moldavie Anti-Discrimination Centre "Memorial" - Russie Bureau for Human Rights and Rule of Law - Tadjikistan Human Rights Organisation "Citizen's Watch" - Russie Public foundation "Legal clinic "Adilet" - Kirghizistan International human rights organisation "Fiery hearts club" - Ouzbékistan Human Rights Centre "Viasna" - Bélarus Au Maghreb et au Moyen-Orient Ligue tunisienne des Droits de l'Homme (LTDH) - Tunisie Association Tunisienne des Femmes Démocrates (ATFD) - Tunisie DOUSTOURNA - Tunisie Forum tunisien pour les droits économiques et sociaux (FTDES) - Tunisie Cairo Institute for Human Rights Studies (CIHRS) - Égypte Association marocaine des droits humains (AMDH) - Maroc Organisation marocaine des droits humains (OMDH) - Maroc Contatti : Élections législatives en Iran : entretien avec Karim Lahidji, président de la FIDH Le 26 février 2016, des élections législatives se tiendront en Iran. Comment sont-elles organisées ? Quel impact en Iran ? Quelle place pour les femmes ? Karim Lahidji, président de la FIDH et de la Ligue de la Défense des Droits de l’Homme en Iran, répond à nos questions. Les élections législatives prévues le 26 février ont-elles été organisées de manière libre et démocratique ? Non. Depuis l’arrivée au pouvoir du régime islamique, toutes les élections en Iran sont des élections sous la forme de bulletin restreint. Cela signifie que les candidats sont contrôlés en amont par le Conseil des gardiens. Ce conseil est composé de 12 membres dont 6 religieux, qui ont le droit de veto sur les candidats. Ces six religieux sont nommés par le guide suprême. Ce sont eux qui gouvernent au sein du conseil. Pour les élections législatives du 26 février 2016, il y a eu initialement plus de 12 000 candidats, et il en reste environ 6000. Une grande partie des candidatures a été rejetée par le Conseil des gardiens, sans une vraie voix de recours possible. Par conséquent, ce ne sont pas des élections libres, ni directes. Cela est valable pour les élections législatives mais également pour les présidentielles. Toutes les tendances politiques sont-elles représentées dans ces élections ? En parlant de ces élections législatives, le guide suprême, qui est au-dessus des pouvoirs exécutif, législatif et judiciaire, a déclaré « ceux qui ne sont pas pour la république islamique peuvent voter, mais ils ne peuvent pas être candidat ». Tous les candidats qui se présentent aux élections législatives sont donc tous favorables au régime islamique. Il n’y a pas d’opposition. Lors de chaque élection législative, il y a d’ailleurs un certain nombre de députés sortants dont la nouvelle candidature n’est pas validée par le Conseil des gardiens car leur bilan n’a, selon ce même conseil, pas été « bon ». Concrètement, si le Conseil estime que leur position n’a pas été totalement en faveur du régime durant leur mandat, leur candidature suivante n’est pas approuvée. Donc les Iraniennes et Iraniens qui voteront lors de ces élections en février auront un choix de candidats assez restreint, car la plupart des candidats appartiennent à la tendance fondamentaliste. C’est d’ailleurs la raison pour laquelle plus de 400 universitaires iraniens, vivant en Iran, ont publié une lettre ouverte il y a deux semaines, en s’interrogeant sur l’utilité de ces élections. Les femmes peuvent-elles se présenter aux élections et voter ? Oui, il y a des candidates dans les deux listes majoritaires, les fondamentalistes et les réformistes. Le pourcentage reste par contre très faible par rapport aux hommes, bien en dessous de 10 %. Pour voter, aucune discrimination n’est faite. L’âge du vote est de 18 ans, et tout le monde peut voter. Quel rôle le parlement joue-t-il dans la politique iranienne ? Chaque loi votée par le Parlement doit être contrôlée par le Conseil des gardiens. Si quatre des six religieux nommés par Khamenei s’y opposent, la loi est nulle. Le Parlement n’a donc aucun vrai pouvoir. Ce n’est qu’une assemblée de débats et de discussions. Les vrais législateurs sont les six mollahs au sein du Conseil des gardiens, adeptes du Guide Suprême. Au fond, c’est une oligarchie avec un emballage de République. La différence entre l’Iran et l’Arabie Saoudite n’est que le nom qu’il se donne. L’Arabie est un état religieux, l’Iran est une République islamique. Mais c’est un état clérical, une oligarchie cléricale, même si contrairement à l’Arabie Saoudite, il y a un président et un parlement. Le pouvoir du président iranien est aussi limité. Rohani dit vouloir essayer de mettre en place des réformes pour le respect des libertés fondamentales, la libération des prisonniers politiques, l’arrêt de l’assignation à résidence de Moussavi, de sa femme Zahra Rahnavrd et de Mehdi Karoubi, mais depuis l’élection de Rohani aucun changement positif concernant ces enjeux n’a été observé. Sa capacité de mettre en œuvre des réformes, admettant qu’il en ait la volonté, se trouve fortement limitée par le pouvoir judiciaire, les forces de l’ordre, la police, et les services secrets, tous sous le contrôle de Khamenei. Le résultat de ces élections aura-t-il un impact sur la vie des Iraniennes et Iraniens ? Si les réformistes arrivent à obtenir un quart ou un tiers des sièges, ils pourront continuer à soutenir la politique d’ouverture qui a mené aux négociations nucléaires et au commencement de la levée des sanctions. Cette dernière permettra avec notamment l’arrivée des médicaments d’améliorer la vie quotidienne des habitants et il y aura quelques facilités nouvelles. Mais ces élections législatives et leur résultat, ne pourront à eux-seuls, conduire à des réformes améliorant les libertés fondamentales et politiques. Contatti: Karim Lahidji FIDH President - International Federation for Human Rights - Fédération internationale des ligues des droits de l'Homme 17, passage de la Main d'Or - 75011 Paris - France Tel : + 33 1 43 55 25 18 :: http://www.fidh.org Tesseramento 2016 Socio Giovane Socio Ordinario Socio Sostenitore Socio Benemerito quota minima quota minima versamento minimo versamento minimo € 10,00 (fino a 30 anni) € 50,00 € 200,00 € 500,00 NOTA Poiché la L.I.D.U. è un'Associazione Onlus e la quota associativa è stata fissata ad euro 50,00ogni versamento maggiore della quota suddetta, verrà considerata come versamento liberale e potrà essere dedotta, nei termini di legge, dalla dichiarazione dei redditi. La condizione necessaria è che il versamento debba essere effettuato direttamente alla L.I.D.U. nazionale, in qualsiasi forma, salvo che in contanti e che l'attestazione del versamento dovrà essere richiesta alla Tesoreria nazionale. si può effettuare il pagamento della quota dovuta a mezzo: contanti; assegno; bollettino di c/c/postale n° 64387004 bonifico bancario IBAN IT 90 W 05216 03222 000000014436 bonifico postale IBAN IT 34 N 07601 03200 000064387004 Intestati a: F.I.D.H. Fédération International des Droits de l’Homme - Lega Italiana onlus 5 x 1000 Come previsto dalla legge è possibile destinare il 5 x 1000 del reddito delle persone fisiche a fini sociali. La nostra Associazione è ONLUS e può beneficiare di tale norma. Per effettuare la scelta per la destinazione, occorre apporre la propria firma e indicare il Codice Fiscale 97019060587 nell'apposito riquadro previsto nei modelli dell'annuale denuncia dei redditi. Saluti Grazie per l’attenzione. Vi diamo appuntamento al prossimo numero e ci auguriamo di poter avere riscontro di vostre idee, proposte, critiche e suggerimenti in modo da poter migliorare la nostra offerta informativa. Hanno collaborato a questo numero della Newsletter Responsabile: Alfredo Arpaia Segretario Generale: Roberto Vismara Commissione cultura: Antonio Virgili Caterina Navarro Ilaria Nespoli Spazio Internazionale: Maria Vittoria Arpaia Si ringrazia il socio Domenico Letizia per i contributi “Impunità e giustizia: il caso Khojaly” e “ La LIDU e l’universalità dei Diritti umani”.