dibattito identitario e politica estera dell`akp.
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DIBATTITO IDENTITARIO E POLITICA ESTERA DELL’AKP. Valeria Giannottai Introduzione. Dalla fine della Guerra Fredda la politica globale è stata dominata da due tendenze opposte: da una parte il collasso del comunismo ha dimostrato che per ora il governo democratico è l’unico gioco possibile, dall’altra la crescita dell’Islam politico rappresenta la sfida principale ai valori liberali. In questo squadro Ankara occupa una posizione cruciale. Sebbene la maggioranza della sua popolazione sia composta da devoti musulmani, in maggioranza sunniti, sin dalla fondazione della Repubblica (1923) la Turchia è costituzionalmente uno Stato laico, divenuto membro della NATO (1952) e attualmente candidato alla membership dell’Unione Europea. La contrapposizione tra l’élite -strenuamente ancorata al kemalismo e ai valori occidentali- e parte della società- che rifiuta tale definizione- si è acutizzata nel tempo con la crescita dei movimenti islamici e l’ascesa al potere dell’AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi,) con il suo progetto di Conservative Democracy. Se per il partito di Erdoğan questa è un chiaro segno che il governo democratico sia perfettamente possibile in una società musulmana, per l’opposizione non è altro che una facciata dietro la quale l’AKP spera di imporre un regime islamico utilizzando il processo di europeizzazione come strumento politico volto ad erodere la legittimità dell’apparato stataleburocratico. Tale retorica su Islam e democrazia coincide con quella estera tra East e West. Il nuovo attivismo strategico nei confronti dei vicini mediorientali ha generato molto rumore fomentando la convinzione che Ankara stia conducendo una foreign policy di stampo neottomano, volta a riconquistare il ruolo di leader egemone nella regione e diventare un attore indipendente in un mondo multipolare. Lo scopo del presente contributo è quello di esaminare le recenti tensioni domestiche e comprendere se la Depth Strategy adottata dal nuovo ministro degli esteri Davutoğlu rappresenti una deviazione dai fondamentali principi di Atatürk- con esplicito riferimento all’orientamento a Occidente- o sia semplicemente una reazione agli sviluppi internazionali al fine di preservare l’interesse nazionale della Turchia. Certamente rispetto al primo mandato l’AKP, pur mantenendo una certa continuità in termini di foreign policy e multilateral approach, mostra un significativo spostamento da un profonda tendenza europoeista a un soft eurasianismo ma, se tale pragmatismo 1 non è affare recente - poiché già negli anni ’90 sotto la leadership di Turgut Özal la Turchia ha dimostrato di voler cogliere il vantaggio dalle opportunità offerte dallo scenario post Guerra Fredda- sarà l’interazione tra le difficili priorità dei fattori domestici e internazionali a determinare la direzione futura della politica turca. La posizione politica dell’AKP. Conservative Democracy, rivisitata agenda islamica o inizio di una nuova crisi? L’AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi) oggi è l’unico partito al governo nella regione mediorientale a promuovere un’agenda democratica pur avendo un background dichiaratamente islamico. Il suo programma politico e le performance elettorali sottolineano l’importanza accordata ai valori liberali quali tutela dei diritti umani, rule of law, controllo civile sui militari, pluralismo, tolleranza e rispetto per le diversità che, “in quanto espressione della volontà nazionale, sono l’unica e più importante determinante del governo”1. Sin dalla sua salita al potere nel 2002 Erdoğan ha enfatizzato i temi di democrazia, volontà nazionale e potere delle persone dando priorità alla stabilizzazione economica, alle riforme del sistema legale e alla completa annessione all’Unione Europea come esito naturale del processo di modernizzazione e occidentalizzazione della Turchia. Le riforme avviate hanno incluso l’abolizione della pena di morte, il miglioramento delle relazioni civili-militari e la messa in onda di canali televisivi e radiofonici in lingua curda oltre alla ratificazione della Convenzione sui Diritti Umani2. In riferimento alla storica tensione tra Stato e religione, inoltre, l’AKP sostiene, molto più chiaramente di quanto abbiano fatto in precedenza altri partiti islamico-conservatori, che il secolarismo è una condizione indispensabile per la democrazia perché “permette alle persone di tutte le religioni e credi di organizzare le loro vite in ogni direzione” e che i principi di Atatürk sono il più importante veicolo di modernizzazione del Paese3. Pur rifiutando ogni riferimento all’Islam e definendosi un movimento politico “democratico conservatore” che sostiene la visibilità pubblica della religione e la neutralità dello Stato, è stato più volte accusato di minare i fondamentali principi kemalisti su cui si erge la Turchia moderna4. E’ proprio attorno alla diversa interpretazione del secolarismo che crescono i sospetti riguardo la bontà del governo. Per l’establishment il secolarismo è una dottrina che esaspera la separazione tra 1 Ak Parti Tüzüğü (The AKP Constitution), art.4, Ankara, 2002. D. Jung and C. Raudvere, Religion, Politics and Turkey’s EU Accession, Palgrave Studies in Governance, Security and Development, New York, 2008. 3 The AKP Development and Democratization Program, Ankara, 2002, pp.4-16. Disponibile all’indirizzo internet http://eng.akparti.org.tr/english/partyprogramme.html. 4 . Nel Luglio 2008 la Corte Costituzionale, pur non bandendo l’AKP dall’attività politica, ha sentenziato che il partito rappresenta una minaccia per la laicità dello Stato. Cfr. Constitutional Court Decision, E. 2008/1, K. 2008/2, 30 July 2008, Resmi Gazete, 24 October, 2008, n. 27034. 2 2 religione e Stato, intesa come esclusione della prima dalla sfera pubblica di ogni individuo5. Il secolarismo alla turca, in breve, è un’ideologia che tenta di organizzare e controllare ogni aspetto della vita politica e sociale. Tale interpretazione ha origine dalla rivoluzione kemalista e trova gran sostegno nei militari, in gran parte del giudiziario e negli attuali partiti all’opposizione - il repubblicano CHP (Cumurrihet Halk Partisi) e l’apertamente nazionalista MHP (Milliyetci Hareket Partisi)6. Con l’obiettivo di difendere un moderno e omogeneo stato nazione i guardiani del kemalismo sostengono l’autonomia dello Stato dalle forze domestiche –islamiche- e internazionali e ne fanno una priorità elettorale. Storicamente, però, ogni volta che il CHP ha realizzato che non poteva guadagnare abbastanza consensi attraverso il gioco elettorale, ha evocato la crisi del regime e tentato di delegittimare i partiti riformatori di centro destra. Oggi questi circoli, supportando le posizioni dei militari, sempre più spesso accusano l’AKP di essere un partito islamico con un’agenda segreta che tenta di modificare il regime secolare. Sotto quest’ottica le riforme adottate sarebbero guidate dalla volontà di stabilire la Shari’a nel Paese tramite un gioco di dissimulazione volto a guadagnare consenso e legittimare così il nuovo potere. La maggiore implicazione di queste dinamiche è la cristallizzazione di una sovranità duale tra un non eletto establishment burocratico contrario e opposto al governo legittimamente al potere, che si riflette in una forte polarizzazione sociale7. Senza dubbio se da una parte la continua tensione tra i musulmani democratici dell’AKP e i secolaristi kemalisti si inserisce all’interno della lotta di potere tra gli emergenti settori anatoliciprima emarginati dal sistema- e la storica élite politica, dall’altra mette in luce che la Turchia è ancora lontana dal raggiungere un consenso sul significato del termine “secolarismo” e che, sebbene tali sospetti siano spesso esagerati, permane molta confusione e incertezza riguardo l’ideologia, le intenzioni e gli obiettivi dell’AKP. Guardando ai fatti il partito di Erdoğan è l’esito della trasformazione liberale dell’Islam riconducibile soprattutto all’attivismo della nuova borghesia anatolica, all’inclusione nella sfera pubblica dei nuovi intellettuali musulmani, all’allineamento ai criteri di Copenaghen e al fallimento dei precedenti progetti islamici8. Il tentativo di reintepretare l’islam politico, in altre parole, ha 5 W. Hale and E. Özbudun, Islamism, Democracy and Liberalism in Turkey. The case of the AKP, Routledge Studies in Middle Eastern Politics, New York, 2010, p. 22. 6 A. Kuru, “Reinterpretation of Secularism in Turkey: the Case of the Justice and Development Party” in M. H. Yavuz, The Emergence of a New Turkey. Democracy and the AK Parti, The University of Utah Press, Salt Lake City, 2006, pp. 136-159. 7 M. Çinar, “The Justice and Development Party and the Kemalist Establishment” in Ü. Cizre, Secular and Islamic Politics in Turkey. The making of the Justice and Development Party, Routledge Studies in Middle Eastern Politics, Oxon, 2008, pp. 109-131. 8 Il soft coup d’etat noto anche come « Processo del 28 Febbraio 1997 », è stato favorito dai militari che tramite una politica di ostracismo hanno indotto il governo Erbakan e il suo Refah Party a dimettersi dal governo. 3 condotto ad un moderno e vibrante conservatorismo che trova spazio nelle nuove opportunità economiche. Tuttavia, il successo dell’AKP più che sulla sua abilità ad articolare un progetto e una propria identità che rispecchi gran parte della popolazione, è basato sulla disillusione dell’elettorato nei confronti della generale politica di Stato9. In questo quadro Erdoğan ha dimostrato una grande leadership, ritagliandosi un apposito spazio politico e forgiando una nuova identità che, in linea con i parametri del patto turco, ha segnato la recente direzione della sua politica. L’idea di Conservative Democracy enfatizza l’importanza del conservatorismo come identità volta a favorire lo sviluppo e il progresso del Paese. L’obiettivo è modificare lo status quo preservando quelle tradizioni e quei valori morali e famigliari appartenenti a ciascun turco e combinarli con una politica democratica ed un’economia liberale 10. Sostenere maggiori aperture democratiche rispettando il rule of law, perseguire politiche liberali in economia, difendere il framework culturale del Paese e promuovere un nuovo dinamismo in politica estera sono tutti elementi cardini dell’attivismo politico dell’AKP. Fondere liberalismo, democrazia e conservatorismo è, quindi, un esperimento utile a colmare il gap esistente tra lo Stato e la società e ad unire il centro con la periferia, non segnando ulteriori differenze.“La democrazia diventa accettabile se è capace di unire un’ampia varietà di differenze e diverse richieste sociali e culturali nell’arena politica (...). Le politiche devono essere stabilite in base alla riconciliazione, integrazione e tolleranza e non in base al conflitto, alla formazione di cliches e a polarizzazioni. Rifiutiamo il radicale cambiamento delle esistenti strutture politiche attraverso la creazione di un nuovo ordine, ma al fine di garantire un graduale cambiamento nella maggior parte delle strutture è necessario mantenere e tutelare determinati valori” 11. Presentarsi come un partito che incarna e difende diversi valori e stili sembra essere il tentativo vincente per dichiarare la fine delle ideologie, islamismo incluso, nell’era della globalizzazzione. Il pragmatismo, inteso come arte di risolvere i problemi, è una della caratteristiche che ha aiutato a promuovere le nuove politiche dell’AKP “come partito che fornisce servizi, è tra le persone, ascolta i loro bisogni e cerca di soddisfarli”12. Sebbene tale concetto difetti di una base scientifica e di una chiara articolazione da parte del governo, è utile a giustificare la nuova posizione di centro destra assunta nello spettro politico turco e a distanziarlo dagli islamic oriented party che l’hanno preceduto. Tale connotazione da una parte sottolinea che in un mondo globalizzato l’Islam si può ben combinare con il libero mercato e la democrazia e, almeno formalmente, dimostra che oggi un 9 M. H.Yavuz, Secularism and Muslim Democracy in Turkey, Cambridge University Press, Utah, 2009, p. 78. Y. Akdoğan, Conservative Democracy Manifesto, Istanbul, 2004. 11 Y. Akdoğan, “The meaning of Conservative Democracy Identity” in M. Hakan Yavuz, The Emergence of a New Turkey. Democracy and Ak Parti..., op. cit., pp. 50-51. 12 E. Önen, membro del Consiglio dell’AKP per gli affari internazionali e Presidente della Commissione Parlamentare per la delegazione turca in Asia, mia intervista, Ankara, 22 febbraio 2010. 10 4 partito con radici islamiche può governare la Turchia senza sfidare il regime secolare. La continua richiesta per l’integrazione nell’Unione Europea, infatti, indica la fine della storica animosità islamica nei confronti dell’Occidente così per l’AKP la completa inclusione nel mondo occidentale e il riconoscimento dell’identità musulmana nello spazio pubblico non sono elementi che si escludono a vicenda. Tutto ciò è un chiaro indicatore di come le politiche condotte abbiano posizionato formalmente il Paese sul sentiero della globalizzazione e non dell’islamizzazione13. Ma questi musulmani democratici sono l’espressione genuina di una nuova sintesi all’interno della politica turca o è solo una tattica per ridurre il potere dell’ėlite secolarista, baluardo della laicità? Pur essendo accusato di voler islamizzare la società e lo storico Stato secolare godendo dell’alleanza di numerosi informal networks, tra cui il più noto è Fetullah Gülen Movement14 nel formare numerose scuole volte a indottrinare giovani e creando una gerarchia di attivisti nelle diverse municipalità del Paese15, l’AKP si difende rimarcando la sua natura pragmatica e liberale. “Non intendiamo discutere sul significato della religione, la consideriamo una scelta personale e per questo vogliamo dare alle persone il diritto di scegliere se indossare o meno il turban. E’ un punto cruciale del mutamento del pensiero islamico e qualcosa di eccezionale per le società musulmane perché testimonia l’appropriazione del linguaggio degli human rights”16. A fronte di tale trasformazione l’opposizione riflette in modo contrario l’operato del governo: oltre a porre l’accento sull’agenda segreta, il suo linguaggio è intriso di una xenofoba retorica antiglobalizzante che accusa l’AKP di servire gli interessi degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. Vista l’evoluzione positiva del pensiero islamico, la Turchia sarebbe un esperimento utile da esportare in tutto il Medio Oriente così la leadership conservatrice dipenderebbe dall’Occidente per affrancarsi dall’eventualità di un nuovo coup d’etat e legittimare le sue riforme volte ad indebolire i militari e le strutture costituzionali17. E’ proprio su questo aspetto che oggi si palesa con forza il paradosso dei kemalisti, western oriented per tradizione: mentre sostengono a gran voce di essere a favore del secolarismo e del liberalismo, trincerandosi dietro a un rigido nazionalismo, si dimostrano spesso intolleranti riguardo la libertà di religione e difendono il diritto dei militari ad intervenire negli affari politici 18. 13 “I. Dağı, “AKP in Power” in Journal of Democracy, vol. 19, n.3, Luglio 2008. The AKP is Pro-Globalization”, Wall Street Journal, Bruxells, 11 Febbraio 2009. 14 Fetullah Gülen Movement è un movimento islamista Nur che cerca di migliorare la società turca occupando spazio all’interno dell’aconomia, dell’istruzione e dell’informazione per rafforzare la coscienza morale e la cultura turcomusulmana. Cfr. M. H. Yavuz, Islamic Political Identity in Turkey, Religion and Global Politics Series, Oxford University Press, New York, 2003, pp. 179-206. 15 M. H. Yavuz and N. Ali Özcan, “Crisis in Tukey: the Conflict of Political Languages” in Middle East Policy, vol. XIV, n. 3, Fall 2007. 16 Ibrahim Kalın, consigliere di Erdoğan, mia intervista, Ankara, 25 febbraio 2010. 17 H. Yavuz and N. A. Özcan, Crisis in Turkey...,op. cit. 18 M. M. Gunter e M. H. Yavuz,“ Turkish Paradox: Progressive Islamists versus Reactionary Secularists” in Critique: Critical Middle Eastern Studies, vol. 16, n. 3, 2007, pp. 289-301. 5 Alla luce dei fatti non c’è dubbio che lo zelo verso la membership europea più che da una logica identitaria sia motivata da calcoli strumentali e politici, volti a ridurre il potere dei kemalisti e velocizzare il processo di democratizzazione e che le iniziative domestiche in questo ambito abbiano iniziato a dare i loro frutti preoccupando l’opposizione. 19 Tuttavia, sebbene sia noto che all’interno della burocrazia ci siano delle infiltrazioni islamiche, che alcuni fondi municipali siano stati impiegati nell’acquisto di testi religiosi e si siano mossi i primi passi per bandire il consumo di alcool20, i continui attacchi frontali sono serviti ad Erdoğan ad accrescere il consenso attorno al suo programma e a presentarsi sulla scena politica come l’unico attore che ha qualcosa di nuovo e positivo da offrire in linea con le dinamiche mondiali e la contingenza della situazione economica 21. Oggi Ankara sta vivendo una fase di grande confronto tra le varie istituzioni dello Stato e l’amministrazione si dimostra sempre più risoluta a cambiare lo status quo. Quella intrapresa è una trasformazione storica, evidentemente non indolore, aproblematica e senza pericolo che, se condotta rettamente, produrrà grandi vantaggi e un grande sviluppo per la nuova Turchia. In questo clima di fermento però non è ancora chiaro quale sia il grado di commitment dell’AKP verso la democrazia, su quanto e come questi nuovi musulmani riformatori abbiano interiorizzato i valori liberali. Dietro le manovre del caso Ergenekon e Sledghammer, piani sovversivi organizzati da alcuni exmilitari al fine di creare tensione e porre le condizioni per un colpo di Stato, l’AKP sta certamente sfruttando le opportunità offerte dallo scenario mettendo in luce quale sia lo stato della democrazia e l’asimmetria delle relazioni tra militari e potere civile. Tuttavia, se la direzione è corretta, i continui braccio di ferro con l’establishment, le irregolarità procedurali, i giudizi basati anche solo su sospetti e la violazione della privacy dei cittadini accrescono la percezione che le operazioni in corso non siano sempre trasparenti e legali. Il recente rifiuto della Corte Costituzionale all’emendato Art. 250 del Codice Penale - che prevedeva il giudizio del personale militare presso le corti civili in tempo di pace per ogni attività che minacciasse il governo e la sicurezza nazionale e violasse la costituzione come crimine organizzato- enfatizza lo strenue conflitto tra governo e Stato persuadendo parte dell'opinione pubblica che le modifiche giurisdizionali siano l’esito dell’inclinazione alla dittatura di un premier destinato ad assumere un carattere sempre più autoritario22. Ö. Taşpınar, “Turkey’s difficult democratization” in Today’s Zaman, 15 Febbraio 2010. 19 I. Dağı,”The Justice and Development Party: Identity, Politics and Discourse of Human Rights in the Search for Security and Legitimacy” in M. H. Yavuz, The Emergence of a New Turkey..., op.cit. 20 A. Rabasa and F. S. Larrabee, The Rise of Political Islam in Turkey, RAND Corporation, Santa Monica, 2008. 21 Nelle elezioni del Luglio 2007 l’AKP ottiene il 46.5% dei voti e 341 seggi in Parlamento su 550. 22 Şule Kulu, “Civilian Tutelage Arguments Found Groundless” in Today’s Zaman, 17 Geannaio 2010. “Constitutional Court rules out civilian trials for military”, Reuters news in Today’s Zaman, 22 Gennaio 2010. Y. Baydar, “Concentration of Power”: the newest refrain” in Today’s Zaman, 20 Gennaio 2010. 6 E’ senz’altro vero che la reale forza dell’AKP è il forte carisma di Erdoğan, leader supremo delle masse, che la sua influenza sul partito è pressoché totale così come imponente è il dominio che tende ad esercitare nello spazio pubblico nazionale. Le pesanti misure fiscali imposte al gruppo editoriale Doğan Media, colosso dell’informazione turca, sono prova dell’atto intimidatorio nei confronti della stampa d’opposizione e anche Strasburgo si è trovata concorde a sentenziare che la misura “va oltre ogni necessaria restrizione e censura”23. Tali dinamiche dimostrano tutta la fragilità della trasformazione in atto e se da una parte testimoniano gli sforzi a democratizzare il Paese, dall’altra sottolineano che affinché si attesti un controllo e un governo realmente democratico è necessario un sistema di check and balance davvero neutrale che tuteli il kemalismo come istituzione statale e lo bilanci tramite altri organi o persone all’interno delle medesime istituzioni 24. Sfortunatamente la Turchia è abbastanza lontana dal raggiungere questa condizione e ogni tentativo di cambiamento costituzionale è vanificato dalla rigidità del sistema e dall’insormontabile muro della Corte Costituzionale, organo sempre più spesso nella mani dell’opposizione. Ne discende che l’unica manovra possibile è lavorare apportando graduali modifiche che mantengano comunque lo spirito autoritario e burocratico del testo. Il pacchetto atteso entro primavera prevedrà presubilmente due principali emendamenti: uno punterà a rendere ancora più difficoltosa la chiusura dei partiti politici e l’altro ad allineare le riforme giudiziarie ai parametri europei 25. Ma anche su questo i partiti all’opposizione hanno dichiarato la propria contrarietà, difendendo ciò che oggi non è più attuale: la costituzione del regime militare imposto con la forza nel 1980. Sebbene questa in passato abbia subito numerosi emendamenti, ogni modifica proposta dall’AKP è vista come “la continuazione della battaglia condotta dal governo all’interno delle istituzioni dello Stato” così il CHP si sente in dovere di “fare di tutto ciò che è in proprio potere per bloccarli” 26. Ancora una volta tali dichiarazioni sottolineano l’intensità della divisione politica e quanto le teorie cospirative blocchino ogni tendenza riformatrice. Come è ovvio, una nuova costituzione richiede un certo grado di consenso politico e sociale e in queste condizioni anche se l’AKP si appellasse al voto popolare sarebbe difficile far approvare la mozione in Parlamento. Allo stato dei fatti sfidare il blocco prostatus quo e trovare un compromesso è chiaramente un’impresa ardua e il rischio è quello di non riuscire a contenere, ma di esasperare l’esistente polarizzazione sociale27. 23 , “European Rights Court Condemns Turkey over Media Sanctions”, Agence France Press, 27 Gennaio 2010. W. Hale and E. Özbudun, Islamism, Deamocracy and Liberalism in Turkey..., op. cit., pp. 55-67. Y. Baydar, “All roads lead to a new Constitution” in Today’s Zaman, 9 Dicembre 2009. 25 E. Özbudun, mia intervista, Ankara,2 Marzo 2010, 26 D. Baykal, leader dell’opposizione cit. in G. Bozkurt, “AKP, CHP prep for constitutional battle” in ”, Hürriyet Daily News, 22 Gennaio 2010. Cfr. E. Özbudun, “Democratization Reforms in Turkey, 1993-2004” in Turkish Studies, vol. 8, n.2, June 2007, pp.179197. 27 I. Dağı,“A Constitution without Kemalist and Nationalist” in Today’s Zaman, 8 Marzo 2010. 24 7 Ideologia e pragmatismo in Politica Estera. L’era Davutoğlu. La divisione interna tra secolaristi e musulmani è stata storicamente connessa alla coincidenza geografica tra Europa e Asia ed entrambe le identità hanno dominato il dibattito riguardo la natura e la politica estera della Turchia. Con l’ascesa al potere di Erdoğan, però, i tentativi di categorizzazione sono stati confusi dal pragmatismo dimostrato dall’amministrazione ed internamente è cresciuta la tensione nel tentativo di bilanciare le differenti componenti identitarie, culturali, geografiche e storiche con i fattori strategici. Secondo i critici la nuova direzione dell’AKP in politica estera rispecchierebbe la volontà di islamizzare la società e minacciare non solo il regime secolare, ma anche lo storico processo di cooperazione con l’Occidente. Il ruolo della Turchia come mediatore culturale è stato sicuramente influenzato dalla crescente tendenza islamofoba occidentale a seguito degli avvenimenti dell'11 settembre 2001 e dal mutamento delle condizioni di sicurezza in Medio Oriente – dopo la Guerra del Golfo e l’occupazione dell’Iraq-, nei Balcani e nel Caucaso- che ha indotto Ankara a supportare una “diplomazia ritmica” di dialogo con l’Europa e di apertura verso le aree mediorientali 28. Essere una finestra e un interlocutore credibile per le zone critiche confinanti in alcuni circoli è visto come un chiaro tentativo neottomano di stabilire una leadership egemonica nella regione e fungere da tribuna politica per il mondo musulmano29. Tuttavia, se è vero che in politica estera i vecchi islamisti hanno sempre difeso un’ideologia contraria all’Occidente, Erdoğan ha fatto dell’orientamento europeo un imperativo strategico intessendo contemporaneamente relazioni amichevoli con tutti gli Stati confinanti. In linea con questa politica la Turchia persegue con decisione l’approccio multidimensionale teorizzato da Ahmet Davutoğlu - nuovo ministro degli esteri da Maggio 2009- che ha contribuito a cambiare la retorica e la pratica della foreign policy definendo con convinzione un ruolo attivo come peace maker e partner affidabile nelle regioni circostanti. Il nuovo attivismo multilaterale è oggi visibile nei numerosi sforzi volti a risolvere i cronici problemi con gli Stati vicini, nel dinamico riavvicinamento con Russia, Armenia, Iran e Iraq – incluso il governo regionale curdo- e nelle politiche di liberalizzazione avviate con Siria, Albania, Libia, Giordania, Tajikistan, Azerbaijan, Libano e Arabia Saudita30. Senza dubbio l’abolizione dei visti d’ingresso agevola la Turchia ad accrescere la cooperazione economica e rafforza la posizione di Ankara come modello di ispirazione politica, 28 G. E. Fuller, “Turkey’s Strategic Model: Myths and Realities” in The Washington Quarterly, vol. 27, n. 3, summer 2004, pp. 51-64. 29 S. Çağaptay, “Turkey Moves Away from Europe: Econo-Islamism Takes Charge in Ankara” in Hürriyet Daily News, 16 Dicembre 2009. “Turkey’s Shifting Diplomacy” in The New Nation, Bangladesh, 3 Dicembre 2009. 30 U. Ulutaş, “Turkish Foreign Policy in 2009: A Year of Pro-activity” in Insight Turkey, vol. 12, n. 1, 2010, pp. 1-9. 8 dimostrando la chiara intenzione a risolvere le dispute regionali mantenendo un certo grado di indipendenza dalle potenze occidentali. I protocolli firmati a Zurigo lo scorso ottobre volti a stabilire relazioni diplomatiche e normalizzare i rapporti con l’Armenia sono un ulteriore esempio delle nuova tendenza a minimizzare i problemi e trovare un compromesso allo storico conflitto tra Armenia e Azerbaijan. L’attenzione della nuova politica estera, tuttavia, non è limitata alle zone circostanti e al Medio Oriente, ma mira ad estendere le iniziative regionali al fine di costruire dei ponti con diversi continenti e Paesi. La connessione tra Turchia ed Africa, sostenuta da numerose agenzie governative, e i numerosi accordi commerciali con gli Stati dell’America Latina testimoniano il dinamismo dell’AKP a svolgere un ruolo attivo anche a livello globale 31. Nei fatti ciò che è considerato un allontanamento dall’Occidente non è altro che l’estensione della politica estera in linea con la logiche e le dinamiche del nuovo contesto internazionale, che riflette lo storico principio di Ataturk: “in pace a casa così come all’estero” 32. In alcuni settori, però, rimane il timore che il recente coinvolgimento dell’AKP in Medio Oriente sia dettato da un rifiuto ideologico della tradizione kemalista e da una forte solidarietà con la causa musulmana.33 Nel suo libro Strategic Depth (Statejik Derinlik) Davutoğlu - all’epoca consigliere di Erdoğan in politica estera34- articola dettagliatamente il desiderio di armonizzare le identità europee e islamiche e migliorare le relazioni con i vicini, sottolineando che la Turchia è collocata al centro di quel “bacino geoculturale” che comprende Occidente, Medio Oriente, Balcani e Asia Centrale e per questo deve attuare una politica attiva e cogliere tutti i vantaggi che tale posizione offre. Data la profondità strategica del Paese, “essendo stato epicentro di avvenimenti storici importanti durante l’Impero Ottomano”, è opportuno “un approccio bilanciato verso ogni attore regionale e globale e un forte legame economico con tutti gli Stati della regione” 35. Le multiple identità della Turchia non possono essere ridotte ad un solo carattere o ad una singola regione perciò è necessario che la sua influenza sia estesa simultaneamente a Europa, Medio Oriente, Balcani, Caucaso, Asia Centrale, Caspio e Mediterraneo e che la strategia vada oltre il ristretto interesse della sicurezza nazionale preoccupandosi di fornire stabilità ai vicini. Le attività in Asia Centrale e Africa, il legame con l’Unione Europea e l’Organizzazione della Conferenza Islamica, così come il recente seggio non permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU e i continui sforzi a diventare un attore chiave nelle politiche energetiche regionali sono 31 K. Buğra Kanat, “AK Party’s Foreign Policy: Is Turkey Turning Away from the West?” in Insight Turkey, vol.12, n.1, 2010, pp. 205-225 32 A. Finkel, “EU tutelage” in Today’s Zaman, 16 Febbraio 2010. 33 S. Çağaptay, “Secularism and Foreign Policy in Turkey: New Elections, Troubling Trends” in Washington Institute Policy Focus, n. 67, April 2007. 34 A. Davutoğlu, Statejik Derinlik, Bağlam Yayınları, Istanbul, 2001. 35 A. Murinson,“The Strategic Depth Doctrine of Turkish Foreign Policy” in Middle Eastern Studies, vol. 42, n. 6, November 2006. 9 tutte parti del medesimo quadro di politica estera volto a mantenere il tradizionale orientamento a Occidente e a difendere sia la componente eurasiatica che quella mediorientale36. Ciò che sta emergendo è un processo di riscoperta dei vicini tramite il ricordo del passato, le affinità culturali e civili e la ricerca di opportunità per nuove relazioni. In questa luce Ankara si è appropriata del linguaggio strategico della zero-problem policy with neighbours volta a minimizzare i problemi e ad evitare conflitti per consolidare anche a livello domestico la stabilità politica ed economica. La componente essenziale di tale pensiero mira ad emancipare la politica estera liberandola dalle catene dei pregiudizi domestici e far in modo che l’immagine negativa del Medio Oriente sia solo materia del passato37. Contrariamente alla tradizionale tendenza dei kemalisti, che ha fatto della sicurezza nazionale e della prontezza militare una priorità strategica mantenendo la convinzione che “i turchi non hanno altri amici oltre se stessi”, oggi l’AKP tenta di rompere il muro difensivo basato sull’hard power e promuovere la prosperità dell’area tramite il dialogo ed accordi economici. La nuova prospettiva è il risultato di un pragmatico interesse ad ordinare gli affari domestici, avendo la consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo all’interno delle relazioni internazionali, sviluppata grazie ad una visione universale di politica estera che sostiene la posizione di leadership negli affari mondiali38. Dalle considerazioni fin qui esposte si evince che se la collocazione strategica della Turchia in quanto potenza regionale si è rafforzata a seguito della caduta dei due blocchi e Ankara oggi è una finestra che si apre sul mondo arabo, la presenza dei sospetti che il governo conservatore voglia rivendicare l’appartenenza alla civiltà islamica accresce la tensione all’interno delle tribune domestiche e inasprisce le critiche riguardo le attuali decisioni in politica estera soprattutto in riferimento alle spinose issue relative l’Unione Europea, Israele e i rapporti di vicinato con l’Iran 39. Sin dal suo primo mandato l’AKP ha gettato le basi per essere un ponte tra Europa, Medio Oriente e mondo islamico riflettendo il desiderio di mediare direttamente nel conflitto tra Israele e Palestina. Tale issue rappresenta la parte più controversa della sua politica estera poiché è grandemente influenzata dalle divisioni interne all’opinione pubblica. Il 2009 è stato sicuramente il periodo peggiore per le relazioni bilaterali tra Turchia e Israele e se da una parte l’establishment favorisce la continuazione di strette relazioni basate sugli accordi di cooperazione militare e industriale, dall’altra, dopo la cruenta azione punitiva delle forze israeliane a Gaza e nella West 36 A. Davutoğlu, “Turkey’s Foreign Policy Vision: An Assessment of 2007” in Insight Turkey, vol. 10, n.1, 2008, pp.7796. 37 A. Bülent, “The Davutoğlu Era in Turkish Foreign Policy” in Insight Turkey, vol. 11, n. 3, 2009, pp. 127-159. 38 L. Elvan. Co-Chairman della Commissione per l’Europa all’interno del Parlamento turco, mia intervista, Ankara, 25 febbraio 2010. 39 B. Tibi, Con il velo in Europa?La grande sfida della Turchia, Salerno Editrice, Roma, 2007, p. 184. 10 Bank, parte della popolazione e dei media simpatizza apertamente per la causa palestinese. All’interno delle incalzanti proteste lo smoderato criticismo di Erdoğan durante il World Economic Forum di Davos dello scorso anno e le tensioni diplomatiche con Tel Aviv hanno contribuito ad accrescere il timore che la solidarietà espressa si basi prevalentemente sulla componente religiosa40. Un altro campanello d’allarme ha rimbombato alle orecchie dell’Occidente e dei kemalisti quando il premier ha aspramente criticato le continue pressioni rivolte all’Iran e al suo programma nucleare, difendendo il diritto di Teheran a sviluppare una pacifica tecnologia atomica alla stregua di tutti gli altri Paesi41. E’ qui opportuno sottolineare che Ankara ha sempre supportato la completa denuclearizzazione dell’intero territorio mediorientale e probabilmente Erdoğan mirava a sottolineare l’impari atteggiamento delle potenze occidentali che, se da una parte condannano aspramente Ahmedinejad, dall’altra si mostrano indulgenti verso il programma israeliano 42. Non c’è dubbio che schierandosi al fianco di Teheran e definendo gli avvenimenti di Gaza “un massacro umanitario” l’amministrazione abbia accresciuto la propria popolarità nel mondo musulmano, tuttavia è soltanto l’utilizzo di un linguaggio più efficace che evita il rischio che le parole vengano interpretate come un proclama contro l’Occidente sminuendo l’effettivo sforzo a risolvere in modo pacifico tutte le controversie. Alla luce di ciò basare le riflessioni geostrategiche con un punto di vista culturale e normativo è sicuramente un’operazione dovuta, ma ridurre la portata degli avvenimenti ad una scelta di schieramento tra West e East appare un’operazione eccessivamente semplicistica 43. Considerando i fatti l’era Davutoğlu è la continuazione di un graduale attivismo multilaterale avviato negli anni 70 da Bülent Ecevit e continuato negli anni 90 dal presidente Turgut Özal, che fece lunghi passi in avanti per integrare la Turchia nell’economia globale 44. Così come all’epoca si ricavarono numerose opportunità nell’accrescere l’influenza e la posizione nazionale nella regione dimostrando comunque di essere un partner affidabile per l’Occidente, oggi l’attuale politica estera vuole adottare un approccio inclusivo nelle regioni vicine volto a sostenere la pace, sicurezza e lo 40 W. Hale, “Turkey and the Middle East in the New Era” in Insight Turkey, vol. 11, n.3, 2009, pp. 143-159. “Israeli FM report on Turkey annoys its own envoy” in Today’s Zaman, 28 Gennaio 2010. 40 B. Yinanç, “Israel’s big question: Where is Turkey going?” in Hürriyet Daily News, 6 Gennaio 2010. “Lieberman criticizes Turkey’s anti-Israeli stance”, Agence France-Press in Hürriyet Daily News, 9 Febbraio 2010L. K. Yanik, “The Metamorphosis of Metaphors of Vision: “Bridging” Turkey’s Location, Role and Identity After the End of the Cold War” in Geopolitics, vol. 14, 2009,pp.531-549. 41 “Mottaki: Threat to Iran amounts to threat to Turkey” in Today’s Zaman, 4 Febbraio 2010. 42 C. Sağir, “Turkey Dismisses Missile Threat from neighbouring Iran” in Today’s Zaman, 23 Dicembre 2009. 43 W. Hale and E.Özbudun, Islamism, Deamocracy and Liberalism in Turkey..., op. cit., pp. 120-121. K. Barysch, “Can Turkey Combine EU accession and Regional leadership?” , Centre for European Reform Polic Brief, January 2010. “Turkey, Saudi Arabia denounce Israel’s settlement policy” in Today’s Zaman, 4 Gennaio 2010. 44 T. Oğuzlu, “Soft Power in Turkish Foreign Relations” in Australian Journal of International Affairs, vol.61, n. 1, 2007, pp. 81-97 11 sviluppo economico45. E’ con la fine della Guerra Fredda e soprattutto dopo il rifiuto del parlamento turco a supportare l’invasione in Iraq che Ankara ha iniziato a camminare da sola e a forgiarsi una nuova identità nell’arena internazionale traendo vantaggio della frammentazione dell’area e rafforzando la sua posizione egemonica. Questo complesso processo di trasformazione non mina l’orientamento a Occidente, ma è ancora una volta un banco di prova per l’impegno alla cooperazione e all’integrazione anche in ambito europeo 46. E’evidente che rispetto al primo mandato il governo ha perso entusiasmo in quello che in precedenza è stato il punto focale della sua politica estera - ossia la richiesta di membership all’Unione Europea-, ma la sua svolta verso il soft Euro-Asianism è correlata solo in parte agli sfortunati sviluppi del processo di integrazione47. Se da una parte la crisi di identità nei confronti dell’Europa è chiaramente testimoniata dalla lentezza delle riforme proposte da Bruxelles – prima tra tutte la promozione e la tutela delle fondamentali libertà religiose-, dall’altra la logica dell’integrazione ha influenzato Ankara ad utilizzare il linguaggio del soft power per disperdere i conflitti regionali e consolidare le sue alleanze di vicinato tramite l’interdipendenza economica48. A questo proposito si evince che se per il governo è chiara l’appartenenza sia alla civiltà europea che a quella islamica, i negoziati con l’Europa riflettono una logica di interesse strumentale volto bilanciare civilmente il potere, garantire la stabilità pubblica e continuare ad attrarre investimenti nell’economia turca. Tale inclinazione della politica di Erdoğan è ormai ovvia da quando la leadership ha annunciato che “la Turchia continuerà a condurre le riforme liberal democratiche anche se i negoziati verranno sospesi”49. Il crescente impatto della democrazia liberale a livello domestico e l’importanza accordata al corpo politico legittimamente eletto e ai nuovi gruppi di interesse nella formulazione delle politica estera dimostrano che le ambizioni della Turchia oggi vanno oltre l’inclinazione dell’establishment a mantenere lo status quo. In accordo con i nuovi input sociali, infatti, c’è un sostanziale consenso nel definire l’attivismo strategico come un impegno volto a perseguire l’interesse nazionale, indipendentemente dai vincoli strutturali con l’Occidente 50. Questo nuovo posizionamento 45 N. Danforth, “Ideology and Pragmatism in Turkish Foreign Policy: from Atatürk to the AKP” in Turkish Policy Quarterly, vol. 7, n. 3, pp. 83-95. 46 T. Oğuzlu, “Middle Easternization of Turkey’s Foreign Policy: Does Turkey Dissociate from the West?” in Turkish Studies, vol. 9, n.1, March 2008,pp. 3-20. 47 Z. Öniş and Y. Şuhnaz, “Between Europeanization and Euro-Asianism: Foreign Policy Activism in Turkey during the AKP Era” in Turkish Studies, vol. 10, n.1, March 2009, pp. 7-24. M. J. Patton, “AKP Reform Fatigue in Turkey: What has happened to EU Process?” in Mediterranean Politics, vol. 12, n. 3, Novembre 2007, pp. 339-358. S. Kiniklioğlu, “Stockholm broken promises and the EU” in Today’s Zaman, 3 Febbraio 2010. 48 T. Oğuzlu, “Soft Power in Turkish Foreign Relations”..., op. cit. 49 Dichiarazioni del Primo Ministro Erdogan, Cfr. “EU’s Report on Turkey biased, says Turkish Prime Minister”, Hürriyet Daily News, 11 February 2010. 50 “Turks see no shift in foreign policy, survey reveals” in Today’s Zaman, 2 Gennaio 2010. K. Buğra Kanat, “AK Party’s Foreign Policy: Is Turkey Turning Away from the West?” ... op. cit. 12 suggerisce che Ankara intende proiettare all’esterno ciò che ha acquisito dal legame con l’Occidente ed ha contribuito alla sua trasformazione interna 51. In altre parole ciò che si sta registrando è il cambiamento concettuale della politica estera da un forte orientamento di stampo Hobbesiano verso un approccio Kantiano -ancora non maturo- e sarà proprio l’equilibrio che emergerà dalla critica interazione con i fattori domestici a determinare il reale orientamento della Turchia nell’arena internazionale. Naturalmente se Ankara è diventato un attore cruciale nell’era globale è soprattutto grazie al suo costante e persistente impegno a difendere la laicità e la democrazia così come il processo di modernizzazione ed europeizzazione. Senza dubbio in un mondo altamente insicuro la capacità a sperimentare in modo pacifico la coesistenza dell’Islam con la modernità e la democrazia è l’indicatore più importante della crescente attrattiva che la Turchia esercita non solo in Occidente ma anche nel mondo musulmano52. Tuttavia è altrettanto chiaro che le politiche verso il Medio Oriente sono agevolate dall’emotional feeling che facilita la comunicazione e l’intendimento con Damasco, Teheran e Hamas. L’“atteggiamento umanitario” verso i vicini mediorientali però non deve essere enfatizzato in modo da sancire l’allontanamento da Bruxelles o da Washington. Sempre più spesso Erdoğan rassicura sullo stato delle relazioni con l’Occidente, sottolineando alla stesso tempo la disillusione per “aver aspettato più di cinquanta anni alle porte di un’Europa che non ha agito onestamente” 53. Certamente questo scarso autocontrollo non aiuta la diplomazia a rendere realmente attiva e costruttiva la politica estera così al fine di scongiurare il rischio di assistere in breve tempo ad un reale turning point, la rivitalizzazione delle relazioni con l’Europa dovrebbe costituire un punto centrale nell’agenda politica sia di Bruxelles che dell’AKP. Rimanendo saldamente ancorata al Vecchio Continente la Turchia potrà dimostrare di aver acquisito la consapevolezza che solo una matura strategia geopolitica, basata su una profonda articolazione di democrazia e modernità, può rafforzare l’interesse nazionale nella regione e garantire l’attrattiva globale da e verso Ankara 54. Conclusioni. Senza dubbio oggi Ankara ha interessi ovunque dall’Europa al Medio Oriente, dal Mar Nero all’Africa del Sud e i tentativi dell’AKP di normalizzare lo stato dei critici rapporti con gli Stati confinanti, adattando le richieste della società alla realtà del mondo multipolare, dimostrano una 51 T. Oğuzlu e M. Kibaroğlu, “Is the Westernization Process Losing Pace?” in Turkish Studies, vol. 10, n.4, pp. 577593, December 2009. 52 “Muslim World Appreciates Turkish Policies” in Anatolia News Agency, 15 Febbraio 2010. D. Sariişik, “Council of Europe head praises Turkey’s global role” in Hürriyet Daily News, 8 Febbraio 2010. 53 Dichiarazione di R. Tayipp Erdogan a Jeddah, Anatolia News Agency,20 Gennaio 2010. 54 E. F. Keyman, “Turkish Foreign Policy in a Globalized World” in Turkish Policy Quarterly, 2009. 13 netta rottura con l’isolazionismo strategico kemalista. La vicinanza con Damasco, Teheran e gli altri Stati mediorientali è agevolata dall’emotional feeling che li accomuna, ma ciò che realmente spinge la Turchia a guardare oltre il prisma occidentale è l’interesse a definire una propria posizione regionale indipendentemente dai legami con la comunità internazionale. In questa nuova era, segnata dall’attivismo di Davutoğlu, in altre parole, la Turchia sta cercando di condurre una politica estera a somma positiva accrescendo le interazioni economiche e gli scambi commerciali tra le regioni, tentando di risolvere i problemi con i vicini e diversificando le opzioni nell’arena internazionale. Chiaramente questa nuova tendenza si oppone alla xenofoba attitudine isolazionista dell’establishment basata sulla convinzione che la Turchia sia circondata da nemici ed è l’esito della trasformazione del decision making process che, più che una riconfigurazione ideologica di “deoccidentalizzazione” o “islamizzazione, riflette la forte spinta democratizzante vissuta dalla società negli ultimi anni. Sebbene Ankara stia cercando di sfruttare le opportunità offerte dallo scenario post guerra fredda e dal vacuum di potere causato dalla disastrosa irruzione americana in Iraq, la sincerità del suo legame con l’Occidente e la determinazione a diventare membro dell’Europa non sembrano essere in discussione. Il seggio non permanente guadagnato all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, i contributi alle missioni NATO, la validità dei numerosi accordi internazionali, l’istituzione di un’apposita carica ministeriale per gli Affari Europei e la recente nomina di Mevlüt Çavusoğlu alla Presidenza dell’Assemblea all’interno del Consiglio d’Europa testimoniano non solo che la Turchia rimane un forte alleato dell’Occidente, ma anche che l’AKP ha grandi responsabilità riguardo l’orientamento della sua politica estera. Date le continue tensioni interne, gli incidenti diplomatici con Tel Aviv e i sospetti da parte di alcuni osservatori sulla lealtà del governo, il compito di regional peace maker diventa sempre più difficile. La validità e il successo del nuovo approccio di Davutoğlu, infatti, dipendono in gran misura dal grado di ricezione da parte dell’opinione pubblica locale e internazionale e, sebbene l’impatto e il feeling religioso sia notevole nel mondo musulmano, è opportuno che non venga letto come un cambiamento di rotta della foreign policy turca. Al fine di non accentuare possibili incomprensioni l’AKP deve investire ancora molte energie a consolidare l’iter di adesione all’Unione Europea dimostrando un adeguato attaccamento alle norme e ai principi della comunità internazionale. Se rafforzare la comunicazione diplomatica con l’Occidente, stemperando i toni della polemiche, è un elemento fondamentale per il processo di modernizzazione, internamente la leadership dell’AKP ha il dovere di informare tutte le parti interessate riguardo i propri progetti e di replicare alle critiche in maniera appropriata. 14 Oggigiorno la società turca sta diventando sempre più conservatrice e senza un’adeguata informazione e coinvolgimento del pubblico nella formulazione delle politiche da una parte si corre il rischio di accentuare le teorie cospirative dell’opposizione, dall’altra di favorire un atteggiamento contrario all’Europa nelle file conservatrici. La disillusione verso una matura mambership europea è tangibile in gran parte dell’elettorato, ma se è vero che i successi ottenuti sono esito della tendenza riformatrice è più che mai è opportuno che Ankara rimanga ben ancorata a Bruxelles per risolvere i suoi problemi domestici, garantire una stabile e plurale democrazia e rendere realmente efficace il suo soft power nell’arena internazionale. Quello che la Turchia sta vivendo è un momento altamente delicato e l’atmosfera di sfiducia nei confronti dell’AKP testimonia l’enorme gap esistente tra governo ed élite di Stato. Nonostante i sospetti sulla buona condotta di Erdoğan, il rumore diffusosi riguardo il presunto piano segreto volto a debellare la democrazia e stabilire un regime islamico non sembra essere persuasivo. L’AKP è al potere da otto anni, ha vinto per ben due volte una sostanziale maggioranza in Parlamento e durante entrambi i mandati non si sono registrati espliciti tentativi di trasformazione del regime in chiave islamica. Tuttavia, la performance del governo non è sempre stata impeccabile e alcune critiche non sono totalmente prive di fondamento. Negli ultimi anni lo zelo democratico connesso al processo di adesione all’Unione Europea ha subito un pericoloso rallentamento e contemporaneamente l’AKP ha rafforzato la sua posizione di potere grazie alla candidatura di Abdullah Gül alla Presidenza della Repubblica e all’acquisizione di numerosi media. Sfortunatamente, però, non ha agito in modo altrettanto efficace per rendere effettive le riforme previste nella sua agenda. Gli sforzi volti ad emendare la costituzione hanno enfatizzato la libertà di religione sfidando eccessivamente i primi quattro articoli - che definiscono i fondamenti della Repubblica Turca – e contribuendo a perdere il supporto delle frange liberal-secolari. Inoltre, in riferimento alle critical issue riguardo la tutela delle minoranze e il riconoscimento della questione curda, il governo, pur avendo lanciato maggiori “iniziative democratiche” rispetto alle precedenti amministrazioni, non ha dimostrato una grande abilità a sviluppare politiche coerenti55. In altre parole, sembra che l’AKP stia diventando vittima del suo stesso successo e del consolidamento del suo potere. Il timore di perdere i propri privilegi e il senso di frustrazione dei kemalisti si è materializzato in un programma politico opposto e contrario a quello della maggioranza ed ha contribuito al raffreddamento di ogni maggiore apertura democratica segnando la resistenza dei militari e del giudiziario ad accettare l’idea di un secolarismo plurale. Per evitare che la polarizzazione sociale non si acuisca maggiormente e non sfoci in spiacevoli derive è quindi 55 “ Crocodile Tears” in Hürriyet Daily News, 13 Dicembre 2009. E. Yavuz, “Gov’t to forge ahead with Kurdish initiative in 2010” in Today’s Zaman, 2 Gennaio 2010. Y. Baydar, “Is the AKP up to the task?” in Today’s Zaman, 25 Gennaio 2010. 15 opportuno che la politica turca si attesti su un apparato statale davvero democratico ed articoli in profondità i concetti liberali di modernità. Al fine di arginare le tensioni domestiche e i sospetti della comunità internazionale, combinare lo zelo a perseguire il proprio interesse nazionale con un maggiore impegno a rivitalizzare le relazioni con l’Europa dovrebbe costituire una priorità nell’agenda politica di Erdoğan 56. L’AKP con il suo pragmatismo sta dimostrando di essere una forza democratizzante- non ancora profondamente democratica- così sostenere vigorosamente la memebership europea e trovare un compromesso con l’élite di Stato, accettando alcuni aspetti dello status quo senza aver la pretesa di controllare ogni aspetto della sfera pubblica, è un valido viatico per continuare a guadagnare consenso ed essere credibile agli occhi dell’opinione pubblica. D’altro canto l’opposizione dovrebbe adoperarsi per riformare se stessa, promuovendo un’agenda politica che sia al passo con i tempi e meno blindata dietro l’interpretazione dogmatica della rivoluzione kemalista 57. *Valeria Giannotta è Phd candidate presso la facoltàdi Scienze Politiche dell’UniversitàCattolica del Sacro Cuore di Milano. Da Marzo 2009 svolge ricerca sull’AKP ed è associata come visiting researcher al dipartimento di Relazioni Internazionali della Boğaziçi University- Istanbul- e all’European Researcher Center dell’Univeristà di Ankara. 56 Cfr. “Turkey is worst human right violator, ECTHR says” in Today’s Zaman, 29 Gennaio 2010. Cfr. S. B. Gülmez,“The EU Policy of the Republican People’s Party: An Inquiry on the Opposition Party and EuroSkepticism in Turkey” in Turkish Studies, vol. 9, n. 3, September 2008, pp. 423-436. “Turkish politicians call for new understanding on the left” in Milliyet, 2 Febbraio 2010. 57 16