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commentary Commentary,20dicembre2013 PEOPLE TO WATCH 2014: RECEP TAYYIP ERDOĞAN VALERIA TALBOT D ©ISPI2013 opo un decennio in cui ha dominato incontrastato la politica turca, Recep Tayyip Erdoğan non sembra intenzionato ad abbandonare la scena, ma a cambiare ruolo. Con tre mandati consecutivi in Parlamento alle spalle, il primo ministro non potrà presentarsi – per regolamento interno del suo partito – alle prossime elezioni legislative previste per il 2015, a meno che non decida di cambiare le regole del gioco. Ma questa forzatura potrebbe non giocare a suo favore. Erdoğan ha buone chance di essere il primo presidente della repubblica di Turchia eletto a suffragio universale ad agosto 2014. Con quali poteri resta da vedere: attualmente la figura del presidente ha un ruolo prevalentemente cerimoniale, e non è un segreto che il partito Giustizia e Sviluppo (Akp) prema per una riforma in senso presidenziale del sistema politico-istituzionale turco. L’operazione tuttavia non è ancora riuscita perché gli mancano i numeri in parlamento per procedere da solo alla modifica della Costituzione del 1982 e il dialogo con le opposizioni sulla riforma si è arenato proprio per la mancanza di accordo sul presidenzialismo. Anche i tentativi di agganciare il partito curdo, l’unico che sembrava disposto a sostenere la riforma presidenziale in cambio di un maggiore riconoscimento dei diritti della minoranza curda e dell’abbassamento della soglia elettorale al di sotto del 10%, non hanno prodotto risultati. Alla luce dello stallo attuale, non sembra ci saranno i tempi per cambiare la costituzione prima della prossima estate. Ma Erdoğan è un leader dalle grandi ambizioni e difficilmente si accontenterà di una carica di rappresentanza priva di poteri effettivi. Senza dubbio il decennio dell’Akp ha rappresentato una “storia di successo” per la Turchia in termini di stabilità di governo, riforme politiche, straordinaria crescita economica e proiezione sul piano regionale e internazionale. Il ridimensionamento del ruolo dei militari nella vita politica del paese è stato considerato una delle principali realizzazioni degli esecutivi a guida Erdoğan. Tuttavia, nell’ultimo anno è emerso una sorta di effetto “fatigue” nei confronti del partito di maggioranza e del suo leader. Le proteste di Gezi Park dello scorso giugno hanno per la prima volta messo in discussione un sistema di governo e metodi sempre più percepiti come autoritari. Il primo ministro è noto infatti per essere poco incline ad accettare Valeria Talbot, ISPI Senior Research Fellow. Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI. Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. 14 commentary stamento tra le diverse correnti in seno al partito. critiche ed espressioni di dissenso anche all’interno del proprio partito. Un’altra incognita grava sull’esito del fragile processo di pace lanciato nella primavera del 2013 per la soluzione della delicata questione curda su cui influiscono dinamiche sia interne sia regionali e che potrebbe essere la contropartita per la riforma presidenziale così importante per il primo ministro. Ciononostante, Erdoğan è riuscito – per meriti propri e ma anche demeriti altrui – a mantenere salda la sua leadership e rimane il personaggio politico turco più popolare dopo il fondatore della Turchia moderna Mustafa Kemal. Infatti, malgrado un calo di consensi, secondo i sondaggi è ancora il leader più accreditato. In ogni caso un ciclo sembrerebbe volgere alla conclusione, anche la crescita economica non è più quella degli anni precedenti, e si profila una nuova fase su cui pesano diverse incognite in vista delle prossime scadenze elettorali. Sul piano esterno, sembrerebbe che il governo dell’Akp stia cercando di riguadagnare quel consenso regionale che negli ultimi due anni si è progressivamente deteriorato. I recenti tentativi di riavvicinamento nei confronti di Iran e Iraq suggerirebbero una sorta di ‘reset’ nella politica turca in Medio Oriente, sebbene molte criticità ancora permangano a partire proprio dal conflitto siriano. Allo stesso tempo si assiste a una nuova convergenza con gli Stati Uniti sulle questioni regionali (dopo l’accordo ad interim sul nucleare iraniano) e con l’Unione europea dopo anni di stallo nei negoziati di adesione. Si vedrà se si tratta di un ritorno alla profondità strategica e alla politica di zero problemi con i vicini o di manovre tattiche pre-elettorali – buona parte dell’opinione pubblica turca non ha appoggiato la politica del governo nei confronti della crisi siriana. Innanzitutto, la decisione del governo di chiudere le scuole preparatorie per gli esami di ammissione universitari gestite dalla comunità di Fethullah Gülen ha portato alla rottura con quel movimento che aveva ampiamente sostenuto il partito di Erdoğan nella marginalizzazione dei militari e contribuito ai suoi successi elettorali nello scorso decennio. L’appartenenza di molti sostenitori dell’Akp anche alla comunità di Gülen potrebbe avere delle conseguenze a livello politico e produrre un calo di consensi alle amministrative di marzo 2014, dove la partita più importante si gioca a Istanbul. Malumori e dissenso nei confronti della decisione del governo serpeggiano anche all’interno dell’Akp tra i deputati più vicini al movimento gulenista e hanno portato alle dimissioni di uno dei suoi membri più celebri, l’ex-star del calcio turco Akan Şükür. Se resta da vedere se si tratta di un gesto isolato o se altri seguiranno, le dimissioni di Şükür hanno messo in evidenza divisioni interne che vanno oltre il caso specifico e potrebbero segnare l’inizio di un riasse- ©ISPI2013 Non vi è dubbio che le sfide che attendono il primo ministro turco nel 2014 sono molte sia sul piano interno sia a livello regionale e internazionale. Ma le ambizioni di Erdoğan vanno ben oltre quella data: l’obiettivo è guidare il paese fino al 2023, anno del centenario della nascita della Repubblica turca. Chissà se ambizioni e realtà saranno per allora dalla stessa parte. 15