L. 6 dicembre 19781 n. 1034 Art. 23-bis. 1. Le disposizioni di cui al

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L. 6 dicembre 19781 n. 1034 Art. 23-bis. 1. Le disposizioni di cui al
L. 6 dicembre 19781 n. 1034
Art. 23-bis.
1. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano nei giudizi davanti agli organi di giustizia
amministrativa aventi ad oggetto:
a) i provvedimenti relativi a procedure di affidamento di incarichi di progettazione e di attività
tecnico-amministrative ad esse connesse;
b) i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere
pubbliche o di pubblica utilità, ivi compresi i bandi di gara e gli atti di esclusione dei concorrenti, nonché
quelli relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate alle predette opere;
c) i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di servizi
pubblici e forniture, ivi compresi i bandi di gara e gli atti di esclusione dei concorrenti;
d) i provvedimenti adottati dalle autorità amministrative indipendenti;
e) i provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni
pubblici, nonché quelli relativi alla costituzione, modificazione o soppressione di società, aziende e
istituzioni ai sensi dell'articolo 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142;
f) i provvedimenti di nomina, adottati previa delibera del Consiglio dei ministri ai sensi della legge 23
agosto 1988, n. 400;
g) i provvedimenti di scioglimento degli enti locali e quelli connessi concernenti la formazione e il
funzionamento degli organi.
2. I termini processuali previsti sono ridotti alla metà, salvo quelli per la proposizione del ricorso.
3. Salva l'applicazione dell'articolo 26, quarto comma, il tribunale amministrativo regionale chiamato a
pronunciarsi sulla domanda cautelare, accertata la completezza del contraddittorio ovvero disposta
l'integrazione dello stesso ai sensi dell'articolo 21, se ritiene ad un primo esame che il ricorso evidenzi
l'illegittimità dell'atto impugnato e la sussistenza di un pregiudizio grave e irreparabile, fissa con
ordinanza la data di discussione nel merito alla prima udienza successiva al termine di trenta giorni dalla
data di deposito dell'ordinanza. In caso di rigetto dell'istanza cautelare da parte del tribunale
amministrativo regionale, ove il Consiglio di Stato riformi l'ordinanza di primo grado, la pronunzia di
appello è trasmessa al tribunale amministrativo regionale per la fissazione dell'udienza di merito. In tale
ipotesi, il termine di trenta giorni decorre dalla data di ricevimento dell'ordinanza da parte della segreteria
del tribunale amministrativo regionale che ne dà avviso alle parti.
4. Nel giudizio cautelare di cui al comma 3 le parti possono depositare documenti entro il termine di
quindici giorni dal deposito o dal ricevimento delle ordinanze di cui al medesimo comma e possono
depositare memorie entro i successivi dieci giorni.
5. Con le ordinanze di cui al comma 3, in caso di estrema gravità ed urgenza, il tribunale amministrativo
regionale o il Consiglio di Stato possono disporre le opportune misure cautelari, enunciando i profili che,
ad un sommario esame, inducono a una ragionevole probabilità sul buon esito del ricorso.
6. Nei giudizi di cui al comma 1, il dispositivo della sentenza è pubblicato entro sette giorni dalla data
dell'udienza, mediante deposito in segreteria.
7. Il termine per la proposizione dell'appello avverso la sentenza del tribunale amministrativo regionale
pronunciata nei giudizi di cui al comma 1 è di trenta giorni dalla notificazione e di centoventi giorni dalla
pubblicazione della sentenza. La parte può, al fine di ottenere la sospensione dell'esecuzione della
sentenza, proporre appello nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione del dispositivo, con riserva dei
motivi, da proporre entro trenta giorni dalla notificazione ed entro centoventi giorni dalla comunicazione
della pubblicazione della sentenza.
8. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche davanti al Consiglio di Stato, in caso di
domanda di sospensione della sentenza appellata (1) (2).
(1) Articolo aggiunto dall'articolo 4 della legge 21 luglio 2000, n. 205.
(2) Vedi inoltre l'articolo 13 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall'articolo 1 della
legge 27 dicembre 2006, n. 296.
D.L.vo 12 giugno 2006 n. 163
Articolo 239
Transazione
Art. 239.
1. Anche al di fuori dei casi in cui è previsto il procedimento di accordo bonario ai sensi dell'articolo
240, le controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici di lavori,
servizi, forniture, possono sempre essere risolte mediante transazione nel rispetto del codice civile.
2. Per le amministrazioni aggiudicatrici e per gli enti aggiudicatori, se l'importo di ciò che detti soggetti
concedono o rinunciano in sede di transazione eccede la somma di 100.000 euro, è necessario il parere
dell'avvocatura che difende il soggetto o, in mancanza, del funzionario più elevato in grado, competente
per il contenzioso.
3. Il dirigente competente, sentito il responsabile del procedimento, esamina la proposta di transazione
formulata dal soggetto aggiudicatario, ovvero può formulare una proposta di transazione al soggetto
aggiudicatario, previa audizione del medesimo.
4. La transazione ha forma scritta a pena di nullità.
Articolo 240
Accordo bonario
Art. 240.
(art. 81, direttiva 2004/18; art. 72, direttiva 2004/17; art. 31-bis, legge n. 109/1994;
art. 149, decreto del Presidente della Repubblica n. 554/1999)
1. Per i lavori pubblici di cui alla parte II affidati da amministrazioni aggiudicatrici ed enti aggiudicatori,
ovvero dai concessionari, qualora a seguito dell'iscrizione di riserve sui documenti contabili, l'importo
economico dell'opera possa variare in misura sostanziale e in ogni caso non inferiore al dieci per cento
dell'importo contrattuale, si applicano i procedimenti volti al raggiungimento di un accordo bonario,
disciplinati dal presente articolo.
2. Tali procedimenti riguardano tutte le riserve iscritte fino al momento del loro avvio, e possono essere
reiterati per una sola volta quando le riserve iscritte, ulteriori e diverse rispetto a quelle già esaminate,
raggiungano nuovamente l'importo di cui al comma 1.
3. Il direttore dei lavori dà immediata comunicazione al responsabile del procedimento delle riserve di
cui al comma 1, trasmettendo nel più breve tempo possibile la propria relazione riservata.
4. Il responsabile del procedimento valuta l'ammissibilità e la non manifesta infondatezza delle riserve
ai fini dell'effettivo raggiungimento del limite di valore.
5. Per gli appalti e le concessioni di importo pari o superiore a dieci milioni di euro, il responsabile del
procedimento promuove la costituzione di apposita commissione, affinché formuli, acquisita la relazione
riservata del direttore dei lavori e, ove costituito, dell'organo di collaudo, entro novanta giorni dalla
apposizione dell'ultima delle riserve di cui al comma 1, proposta motivata di accordo bonario.
6. Nei contratti di cui al comma 5, il responsabile del procedimento promuove la costituzione della
commissione, indipendentemente dall'importo economico delle riserve ancora da definirsi, al ricevimento
da parte dello stesso del certificato di collaudo o di regolare esecuzione. In tale ipotesi la proposta
motivata della commissione è formulata entro novanta giorni da detto ricevimento.
7. La promozione della costituzione della commissione ha luogo mediante invito, entro dieci giorni dalla
comunicazione del direttore dei lavori di cui al comma 3, da parte del responsabile del procedimento al
soggetto che ha formulato le riserve, a nominare il proprio componente della commissione, con
contestuale indicazione del componente di propria competenza.
8. La commissione è formata da tre componenti aventi competenza specifica in relazione all'oggetto del
contratto, per i quali non ricorra una causa di astensione ai sensi dell'articolo 51 codice di procedura civile
o una incompatibilità ai sensi dell'articolo 241, comma 6, nominati, rispettivamente, uno dal responsabile
del procedimento, uno dal soggetto che ha formulato le riserve, e il terzo, di comune accordo, dai
componenti già nominati, contestualmente all'accettazione congiunta del relativo incarico, entro dieci
giorni dalla nomina. Il responsabile del procedimento designa il componente di propria competenza
nell'ambito dell'amministrazione aggiudicatrice o dell'ente aggiudicatore o di altra pubblica
amministrazione in caso di carenza dell'organico.
9. In caso di mancato accordo entro il termine di dieci giorni dalla nomina, alla nomina del terzo
componente provvede, su istanza della parte più diligente, il presidente del tribunale del luogo dove è
stato stipulato il contratto.
10. Gli oneri connessi ai compensi da riconoscere ai commissari sono posti a carico dei fondi stanziati
per i singoli interventi. I compensi spettanti a ciascun membro della commissione sono determinati dalle
amministrazioni e dagli enti aggiudicatori nella misura massima del 50% dei corrispettivi minimi previsti
dalla tariffa allegata al decreto ministeriale 2 dicembre 2000, n. 398, oltre al rimborso delle spese
documentate.
11. Le parti hanno facoltà di conferire alla commissione il potere di assumere decisioni vincolanti,
perfezionando, per conto delle stesse, l'accordo bonario risolutivo delle riserve; in tale ipotesi non si
applicano il comma 12 e il comma 17. Le parti nell'atto di conferimento possono riservarsi, prima del
perfezionamento delle decisioni, la facoltà di acquisire eventuali pareri necessari o opportuni.
12. Sulla proposta si pronunciano, entro trenta giorni dal ricevimento, dandone entro tale termine
comunicazione al responsabile del procedimento, il soggetto che ha formulato le riserve e i soggetti di cui
al comma 1, questi ultimi nelle forme previste dal proprio ordinamento e acquisiti gli eventuali ulteriori
pareri occorrenti o ritenuti necessari.
13. Quando il soggetto che ha formulato le riserve non provveda alla nomina del componente di sua
scelta nel termine di venti giorni dalla richiesta del responsabile del procedimento, la proposta di accordo
bonario è formulata dal responsabile del procedimento, acquisita la relazione riservata del direttore dei
lavori e, ove costituito, dell'organo di collaudo, entro sessanta giorni dalla scadenza del termine assegnato
all'altra parte per la nomina del componente della commissione. Si applica il comma 12.
14. Per gli appalti e le concessioni di importo inferiore a dieci milioni di euro, la costituzione della
commissione da parte del responsabile del procedimento è facoltativa e il responsabile del procedimento
può essere componente della commissione medesima. La costituzione della commissione è altresì
promossa dal responsabile del procedimento, indipendentemente dall'importo economico delle riserve
ancora da definirsi, al ricevimento da parte dello stesso del certificato di collaudo o di regolare esecuzione.
Alla commissione e al relativo procedimento si applicano i commi che precedono.
15. Per gli appalti e le concessioni di importo inferiore a dieci milioni di euro in cui non venga promossa
la costituzione della commissione, la proposta di accordo bonario è formulata dal responsabile del
procedimento, ai sensi del comma 13. Si applica il comma 12.
15-bis. Qualora i termini di cui al comma 5 e al comma 13 non siano rispettati a causa di ritardi negli
adempimenti del responsabile del procedimento ovvero della commissione, il primo risponde sia sul piano
disciplinare, sia a titolo di danno erariale, e la seconda perde qualsivoglia diritto al compenso di cui al
comma 10 (1).
16. In ogni caso, decorsi i termini per la pronuncia sulla proposta di accordo bonario, di cui al comma
12 e al comma 13, può farsi luogo ad arbitrato.
17. Dell'accordo bonario accettato, viene redatto verbale a cura del responsabile del procedimento,
sottoscritto dalle parti.
18. L'accordo bonario di cui al comma 11 e quello di cui al comma 17 hanno natura di transazione.
19. Sulla somma riconosciuta in sede di accordo bonario sono dovuti gli interessi al tasso legale a
decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla sottoscrizione dell'accordo.
20. Le dichiarazioni e gli atti del procedimento non sono vincolanti per le parti in caso di mancata
sottoscrizione dell'accordo bonario.
21. Qualora siano decorsi i termini di cui all'articolo 141 senza che sia stato effettuato il collaudo o
emesso il certificato di regolare esecuzione dei lavori, il soggetto che ha iscritto le riserve può notificare al
responsabile del procedimento istanza per l'avvio dei procedimenti di accordo bonario di cui al presente
articolo.
22. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano, in quanto compatibili, anche ai contratti pubblici
relativi a servizi e a forniture nei settori ordinari, nonché ai contratti di lavori, servizi, forniture nei settori
speciali, qualora a seguito di contestazioni dell'esecutore del contratto, verbalizzate nei documenti
contabili, l'importo economico controverso sia non inferiore al dieci per cento dell'importo originariamente
stipulato. Le competenze del direttore dei lavori spettano al direttore dell'esecuzione del contratto.
(1) Comma inserito dall'articolo 3, comma 23, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
Articolo 240 Bis
Definizione delle riserve (1)
Art. 240-bis
(art. 32, comma 4, d. m. n. 145/2000).
1. Le domande che fanno valere pretese gia' oggetto di riserva non possono essere proposte per importi
maggiori rispetto a quelli quantificati nelle riserve stesse.
(1) Articolo inserito dall'articolo 2, comma 1, lettera uu), del D.Lgs.11 settembre 2008 , n. 152.
Articolo 241
Arbitrato
Art. 241.
(art. 81, direttiva 2004/18; art. 72, direttiva 2004/17; art. 32, legge n. 109/1994; articoli 150151,
decreto del Presidente della Repubblica n. 554/1999; art. 6, comma 2, legge n. 205/2000;
decreto ministeriale n. 398/2000; art. 12, decreto legislativo n. 190/2002;
art. 5, commi 16-sexies e 16-septies, decreto-legge n. 35/2005, conv.
nella legge n. 80/2005; art. 1, commi 70 e 71, legge n. 266/2005)
1. Le controversie su diritti soggettivi, derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, comprese quelle conseguenti al mancato
raggiungimento dell'accordo bonario previsto dall'articolo 240, possono essere deferite ad arbitri.
2. Ai giudizi arbitrali si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, salvo quanto disposto dal
presente codice.
3. Il collegio arbitrale è composto da tre membri.
4. Ciascuna delle parti, nella domanda di arbitrato o nell'atto di resistenza alla domanda, nomina
l'arbitro di propria competenza tra soggetti di particolare esperienza nella materia oggetto del contratto
cui l'arbitrato si riferisce.
5. Il Presidente del collegio arbitrale è scelto dalle parti, o su loro mandato dagli arbitri di parte, tra
soggetti di particolare esperienza nella materia oggetto del contratto cui l'arbitrato si riferisce.
6. In aggiunta ai casi di ricusazione degli arbitri previsti dall'articolo 815 del codice di procedura civile,
non possono essere nominati arbitri coloro che abbiano compilato il progetto o dato parere su di esso,
ovvero diretto, sorvegliato o collaudato i lavori, i servizi, le forniture cui si riferiscono le controversie, nè
coloro che in qualsiasi modo abbiano espresso un giudizio o parere sull'oggetto delle controversie stesse
(1).
7. Presso l'Autorità è istituita la camera arbitrale per i contratti pubblici relativi a lavori, servizi,
forniture, disciplinata dall'articolo 242.
8. Nei giudizi arbitrali regolati dal presente codice sono ammissibili tutti i mezzi di prova previsti dal
codice di procedura civile, con esclusione del giuramento in tutte le sue forme.
9. Il lodo si ha per pronunziato con il suo deposito presso la camera arbitrale per i contratti pubblici.
10. Il deposito del lodo presso la camera arbitrale è effettuato, entro dieci giorni dalla data dell'ultima
sottoscrizione, a cura del segretario del collegio in tanti originali quante sono le parti, oltre ad uno per il
fascicolo di ufficio. Resta ferma, ai fini della esecutività del lodo, la disciplina contenuta nel codice di
procedura civile.
11. All'atto del deposito del lodo va corrisposta, a cura degli arbitri, una somma pari all'uno per mille
del valore della relativa controversia. Detto importo è direttamente versato all'Autorità.
12. Il collegio arbitrale determina il valore della controversia con i criteri stabiliti dal decreto del
Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro di grazia e giustizia, 2 dicembre 2000, n. 398, e
applica le tariffe fissate in detto decreto. L'articolo 24 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito,
con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, si interpreta come non applicabile a quanto
disciplinato ai sensi del presente comma. L'ordinanza di liquidazione del compenso e delle spese arbitrali
nonché del compenso e delle spese per la consulenza tecnica costituisce titolo esecutivo (1).
13. Il collegio arbitrale provvede alla liquidazione degli onorari e delle spese di consulenza tecnica, ove
disposta, secondo i criteri dettati dal decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 per
gli ausiliari del magistrato.
14. Le parti sono tenute solidalmente al pagamento del compenso dovuto agli arbitri e delle spese
relative al collegio e al giudizio arbitrale, salvo rivalsa fra loro.
15. In caso di mancato accordo per la nomina del terzo arbitro, ad iniziativa della parte più diligente,
provvede la camera arbitrale, sulla base di criteri oggettivi e predeterminati, scegliendolo nell'albo di cui
all'articolo 242.
(1) Comma modificato dall'articolo 2 del D.Lgs. 31 luglio 2007 n. 113.
Articolo 242
Camera arbitrale e albo degli arbitri
Art. 242.
(artt. 150 e 151 decreto del Presidente della Repubblica n. 554/1999, )
1. La camera arbitrale per i contratti pubblici cura la formazione e la tenuta dell'albo degli arbitri,
redige il codice deontologico degli arbitri camerali, e provvede agli adempimenti necessari alla
costituzione e al funzionamento del collegio arbitrale nella ipotesi di cui all'articolo 241, comma 15.
2. Sono organi della camera arbitrale il presidente e il consiglio arbitrale.
3. Il consiglio arbitrale, composto da cinque membri, è nominato dall'Autorità fra soggetti dotati di
particolare competenza nella materia dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, al fine di garantire
l'indipendenza e l'autonomia dell'istituto; al suo interno l'Autorità sceglie il Presidente. L'incarico ha
durata quinquennale ed è retribuito nella misura determinata dal provvedimento di nomina nei limiti delle
risorse attribuite all'Autorità stessa. Il presidente e i consiglieri sono soggetti alle incompatibilità e ai
divieti previsti dal comma 9.
4. Per l'espletamento delle sue funzioni la camera arbitrale si avvale di una struttura di segreteria con
personale fornito dall'Autorità.
5. La camera arbitrale cura annualmente la rilevazione dei dati emergenti dal contenzioso in materia di
lavori pubblici e li trasmette all'Autorità e all'Osservatorio. Per l'espletamento della propria attività la
Camera arbitrale può richiedere notizie, chiarimenti e documenti relativamente al contenzioso in materia
di contratti pubblici; con regolamento dell'Autorità sono disciplinate le relative modalità di acquisizione.
6. Possono essere ammessi all'albo degli arbitri della camera arbitrale soggetti appartenenti alle
seguenti categorie:
a) magistrati amministrativi, magistrati contabili e avvocati dello Stato in servizio, designati dagli
organi competenti secondo i rispettivi ordinamenti, nonché avvocati dello Stato e magistrati a riposo;
b) avvocati iscritti agli albi ordinari e speciali abilitati al patrocinio avanti alle magistrature superiori
e in possesso dei requisiti per la nomina a consigliere di cassazione;
c) tecnici in possesso del diploma di laurea in ingegneria o architettura, abilitati all'esercizio della
professione da almeno dieci anni e iscritti ai relativi albi;
d) professori universitari di ruolo nelle materie giuridiche e tecniche e dirigenti generali delle
pubbliche amministrazioni laureati nelle stesse materie con particolare competenza nella materia dei
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
7. La camera arbitrale cura altresì la tenuta dell'elenco dei periti al fine della nomina dei consulenti
tecnici nei giudizi arbitrali; sono ammessi all'elenco i soggetti in possesso dei requisiti professionali
previsti dal comma 6, lettera c), nonché dottori commercialisti in possesso dei medesimi requisiti
professionali.
8. I soggetti di cui al comma 6, lettere a) b), c), e d), nonché al comma 7 del presente articolo, in
possesso dei requisiti di onorabilità fissati in via generale dal consiglio arbitrale, sono rispettivamente
inseriti nell'albo degli arbitri e nell'elenco dei periti su domanda corredata da curriculum e da adeguata
documentazione.
9. L'appartenenza all'albo degli arbitri e all'elenco dei consulenti ha durata triennale, e può essere
nuovamente conseguita decorsi due anni dalla scadenza del triennio; durante il periodo di appartenenza
all'albo gli arbitri non possono espletare incarichi professionali in favore delle parti dei giudizi arbitrali da
essi decisi, ivi compreso l'incarico di arbitro di parte.
10. Per le ipotesi di cui all'art. 241, comma 15, la camera arbitrale cura anche la tenuta dell'elenco dei
segretari dei collegi arbitrali; sono ammessi all'elenco i funzionari dell'Autorità, nonché i funzionari delle
magistrature contabili e amministrative, nonché delle pubbliche amministrazioni operanti nei settori dei
lavori, servizi, forniture. Detti funzionari devono essere muniti di laurea giuridica, economica ed
equipollenti o tecnica, aventi un'anzianità di servizio in ruolo non inferiore a cinque anni. Gli eventuali
oneri relativi alla tenuta dell'elenco sono posti a carico dei soggetti interessati all'iscrizione, prevedendo a
tal fine tariffe idonee ad assicurare l'integrale copertura dei suddetti costi.
Articolo 243
Ulteriori norme di procedura per gli arbitrati in cui il presidente è nominato dalla camera arbitrale
Art. 243.
(art. 32, legge n. 109/1994, come novellato dalla legge n. 80/2005; art. 150, decreto del Presidente della
Repubblica n. 554/1999; decreto ministeriale n. 398/2000;
art. 1, co. 71, legge n. 266/2005)
1. Limitatamente ai giudizi arbitrali in cui il presidente è nominato dalla camera arbitrale, in aggiunta
alle norme di cui all'art. 241, si applicano le seguenti regole.
2. La domanda di arbitrato, l'atto di resistenza ed eventuali controdeduzioni, vanno trasmesse alla
camera arbitrale ai fini della nomina del terzo arbitro.
3. Le parti determinano la sede del collegio arbitrale, anche presso uno dei luoghi in cui sono situate le
sezioni regionali dell'Osservatorio; se non vi è alcuna indicazione della sede del collegio arbitrale, ovvero
se non vi è accordo fra le parti, questa deve intendersi stabilita presso la sede della camera arbitrale.
4. Gli arbitri possono essere ricusati dalle parti, oltre che per i motivi previsti dall'articolo 815 del
codice di procedura civile , anche per i motivi di cui all'articolo 242, comma 9 (1).
5. Il corrispettivo dovuto dalle parti è determinato dalla camera arbitrale, su proposta formulata dal
collegio, in base alla tariffa allegata al decreto ministeriale 2 dicembre 2000, n. 398.
6. Contestualmente alla nomina del terzo arbitro, la camera arbitrale comunica alle parti la misura e le
modalità del deposito da effettuarsi in acconto del corrispettivo arbitrale.
7. Il presidente del collegio arbitrale nomina il segretario, scegliendolo nell'elenco di cui all'articolo
242, comma 10.
8. Il corrispettivo a saldo per la decisione della controversia è versato dalle parti, nella misura liquidata
dalla camera arbitrale, nel termine di trenta giorni dalla comunicazione del lodo.
9. La camera arbitrale provvede alla liquidazione degli onorari e delle spese di consulenza tecnica, ove
disposta.
10. Gli importi dei corrispettivi dovuti per la decisione delle controversie sono direttamente versati
all'Autorità.
(1) Comma modificato dall'articolo 2 del D.Lgs. 31 luglio 2007 n. 113.
Articolo 244
Giurisdizione
Art. 244.
(art. 81, direttiva 2004/18; art. 72, direttiva 2004/17; art. 4, co. 7, legge n. 109/1994 ; art. 6, co. 1, legge
n. 205/2000;
art. 6, co. 19, legge n. 537/1993)
1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie, ivi incluse
quelle risarcitorie, relative a procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti
comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria
ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale.
2. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative ai
provvedimenti sanzionatori emessi dall'Autorità.
3. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative al
divieto di rinnovo tacito dei contratti, quelle relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo
provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell'ipotesi di cui all'art.
115, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell'adeguamento dei prezzi ai sensi dell'art. 133
commi 3 e 4.
Articolo 245
Strumenti di tutela
Art. 245.
(art. 81, direttiva 2004/18; art. 72, direttiva 2004/17; artt. 1 e 2, direttiva 1989/665; art. 23-bis, l. n.
1034/1971; art. 14, decreto legislativo n. 190/2002;
art. 5, co. 12-quater, decreto-legge n. 35/2005, conv. nella legge n. 80/2005)
1. Gli atti delle procedure di affidamento, nonché degli incarichi e dei concorsi di progettazione, relativi
a lavori, servizi e forniture previsti dal presente codice, nonché i provvedimenti dell'Autorità, sono
impugnabili, alternativamente, mediante ricorso al tribunale amministrativo regionale competente o
mediante ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Davanti al giudice amministrativo si applica
il rito di cui all'articolo 23-bis, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
2. Si applicano i rimedi cautelari di cui all'articolo 21 e all'articolo 23-bis, della legge 6 dicembre 1971,
n. 1034, e di cui all'articolo 3, comma 4, della legge 21 luglio 2000, n. 205, e gli strumenti di esecuzione di
cui agli articoli 33 e 37, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
3. In caso di eccezionale gravità e urgenza, tale da non consentire neppure la previa notifica del ricorso
e la richiesta di misure cautelari provvisorie di cui all'art. 21, comma 9, della legge 6 dicembre 1971, n.
1034, il soggetto legittimato al ricorso può proporre istanza per l'adozione delle misure interinali e
provvisorie che appaiono indispensabili durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso di
merito e della domanda cautelare di cui ai commi 8 e 9 del citato articolo 21.
4. L'istanza, previamente notificata ai sensi dell'articolo 21, comma 1, della legge 6 dicembre 1971, n.
1034, si propone al Presidente del Tribunale amministrativo regionale competente per il merito. Il
Presidente, o il giudice da lui delegato, provvede sull'istanza, sentite, ove possibile, le parti, e omessa ogni
altra formalità. Le questioni di competenza di cui al presente comma sono rilevabili d'ufficio.
5. Il provvedimento negativo non è impugnabile, ma la domanda cautelare può essere riproposta dopo
l'inizio del giudizio di merito ai sensi dell'articolo 21, commi 8 e 9, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
6. L'efficacia del provvedimento di accoglimento può essere subordinata alla prestazione di una
adeguata cauzione per i danni alle parti e ai terzi. Esso è notificato dal richiedente alle altre parti entro un
termine perentorio fissato dal giudice, non superiore a cinque giorni. Il provvedimento di accoglimento
perde comunque effetto con il decorso di sessanta giorni dalla sua prima emissione, dopo di che restano
efficaci le sole misure cautelari che siano confermate o concesse ai sensi dell'articolo 21, commi 8 e 9,
della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. Il provvedimento di accoglimento non è appellabile, ma, fino a
quando conserva efficacia, è sempre revocabile o modificabile senza formalità dal Presidente, d'ufficio o
su istanza o reclamo di ogni interessato, nonché dal Collegio dopo l'inizio del giudizio di merito.
7. Per l'attuazione del provvedimento cautelare e per la pronuncia in ordine alle spese si applica
l'articolo 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
8. Le disposizioni del presente art. non si applicano ai giudizi in grado di appello, per i quali le istanze
cautelari restano disciplinate dagli articoli 21 e 23-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 .
Articolo 246
Norme processuali ulteriori per le controversie relative a infrastrutture e insediamenti produttivi
Art. 246.
(art. 81, direttiva 2004/18; art. 72, direttiva 2004/17; articoli 1 e 2, direttiva 1989/665;
art. 23-bis, legge n. 1034/1971; art. 14, decreto legislativo n. 190/2002;
art. 5, co. 12-quater, decreto-legge n. 35/2005, conv. nella legge n. 80/2005)
1. Nei giudizi davanti agli organi di giustizia amministrativa che comunque riguardino le procedure di
progettazione, approvazione, e realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi e relative
attività di espropriazione, occupazione e asservimento, di cui alla parte II, titolo III, capo IV, le
disposizioni di cui all'articolo 23-bis, legge 6 dicembre 1971, n. 1034 si applicano per quanto non
espressamente previsto dai commi 2, 3, 4, del presente articolo.
2. Non occorre domanda di fissazione dell'udienza di merito, che ha luogo entro quarantacinque giorni
dalla data di deposito del ricorso.
3. In sede di pronuncia del provvedimento cautelare, si tiene conto delle probabili conseguenze del
provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere lesi, nonché del preminente interesse
nazionale alla sollecita realizzazione dell'opera, e, ai fini dell'accoglimento della domanda cautelare, si
valuta anche la irreparabilità del pregiudizio per il ricorrente, il cui interesse va comunque comparato con
quello del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure.
4. La sospensione o l'annullamento dell'affidamento non comporta la caducazione del contratto già
stipulato, e il risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente.
5. Le disposizioni del comma 4 si applicano anche alle controversie relative alle procedure di cui all'art.
140.
Tribunale Perugia, 26 aprile 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha
pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 4490/2006, proposto dal:
- Consorzio lavori marittimi-Porto di Taranto, in liquidazione, in
persona del liquidatore in carica, rappresentato e difeso dagli
avv.ti Guido Cerruti e Raffaella di Tarsia di
Belmonte
ed
elettivamente domiciliato presso lo studio dei medesimi, in viale
Liegi n. 34, Roma, appellante;
contro
- il Ministero infrastrutture e trasporti, in persona del Ministro in
carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
domiciliataria per legge in via dei Portoghesi n. 12, Roma, appellato
resistente;
e nei confronti del
- Consorzio S.I.S.R.I. (Sviluppo
industriale
servizi
reali
all'impresa) di Taranto, in persona del legale rappresentante in
carica, rappresentato e difeso dall'avv.
Nicola
Serra
ed
elettivamente con lui domiciliato presso lo studio Alfredo Placidi,
in via Cosseria n. 2, Roma, appellato "interventore ad adiuvandum";
per annullamento e/o riforma
della sentenza del T.a.r. Lazio, Roma, sezione III, n. 31/2006, resa
inter partes e recante declaratoria di difetto di giurisdizione del
giudice amministrativo in rapporto al decreto 9 maggio 2003 di
approvazione di transazione su vertenza in materia di esecuzione di
appalto di lavori edilizi.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati.
Visti gli atti costituzione in giudizio del Ministero e del Consorzio
appellati.
Visti gli atti tutti della causa.
Relatore, alla pubblica udienza del 23 ottobre 2007, il Consigliere
Aldo SCOLA.
Uditi, per il Ministero appellato, l'avvocato dello Stato Antonio
Volpe e l'avvocato Di Gioia per delega dell'avvocato Serra per il
Consorzio.
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
Fatto e diritto
L'atto a suo tempo impugnato dal Consorzio lavori marittimi-Porto di Taranto disponeva, a seguito di
rilievo da parte della Corte dei conti, l'annullamento del decreto 9 maggio 2003, recante la transazione
intervenuta tra il Consorzio stesso ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, a chiusura di una
controversia giudiziale sorta nella fase di esecuzione di un appalto di lavori pubblici.
Dinanzi
al
T.a.r.
Lazio
erano
state
dedotte
dal
Consorzio
ricorrente
censure
di:
- violazione dell'art. 27, Cost. e degli artt. 1, 3 e 7, legge n. 241/1990 (per omesso preavviso
procedimentale e vizio motivazionale); dell'art. 2, legge n. 166/2002; degli artt. 14 e 19. r.d. n.
2440/1923; dell'art. 3, legge n. 20/1994, e dell'art. 27, legge n. 340/2000; eccesso di potere per difetto di
motivazione, perplessità, illogicità e carenza istruttoria; il tutto, con annesse richieste risarcitorie.
La p.a. intimata si era costituita in giudizio resistendo al ricorso, mentre era intervenuto ad adiuvandum il
Consorzio per lo Sviluppo Industriale dei Servizi Reali all'Impresa, a sostegno di quello ricorrente, il cui
gravame era stato, dunque, dichiarato inammissibile per carenza di giurisdizione amministrativa con
sentenza prontamente impugnata dal Consorzio soccombente in prime cure, che prospettava travisamento
dei fatti ed erronea motivazione, nonché violazione dell'art. 33, d.lgs. n. 80/1998, e succ. modif. ed
integr., dell'art. 103, Cost.,dell'art. 2, legge n. 2248/1865, all. E, dell'art. 26, r.d. n. 1054/1924, e dell'art.
3,
legge
n.
1034/1971
Il Ministero appellato si costituiva in giudizio e resisteva al gravame, mentre il Consorzio S.I.S.R.I.
interveniva
ad
adiuvandum
a
sostegno
di
quello
appellante.
All'esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione.
L'appello
è
fondato
e
va
accolto.
Il collegio prende atto della circostanza che i primi giudici si sono ritenuti privi di giurisdizione, trattandosi
di una vertenza considerata di natura palesemente privatistica, per cui essi d'ufficio si sono orientati a
dichiarare inammissibileper carenza di giurisdizione del giudice amministrativo il ricorso di prima istanza.
In realtà, gli stessi si sono convinti che l'atto amministrativo contestato concernesse un rapporto
contrattuale in vigore, generante esclusivamente diritti soggettivi, e non scaturente da una posizione di
supremazia speciale, agendo invece in un contesto paritetico, con il medesimo essendosi imposto alle parti
soltanto l'esecuzione del rapporto contrattuale in questione, la cui vigenza non era stata mai messa
realmente
in
discussione.
La questione riguardava la fase di esecuzione del contratto di appalto e, pertanto, secondo i primi giudici
non poteva essere inclusa tra quelle conoscibili dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione
esclusiva, sulla scorta di quanto previsto dall'art. 33, comma 2, lett. d) (già lett. e), d.lgs. n. 80/1998.
Appariva loro evidente come il legislatore, utilizzando l'espressione "controversie aventi ad oggetto le
procedure di affidamento di appalti...", avesse voluto tenere distinta la fase dell'affidamento dell'appalto,
più strettamente legata alla procedura ad evidenza pubblica (attinente ad interessi legittimi) da quella
successiva dell'esecuzione, di natura tipicamente civilistica, presupponente un rapporto in essere e
l'esistenza di soli diritti soggettivi, relativamente ai quali, secondo il dettato legislativo, non si
estenderebbe,
peraltro,
la
cognizione
in
sede
esclusiva
del
giudice
amministrativo.
Il che induceva il T.a.r. adìto a considerare la controversia de qua, riguardante la fase esecutiva del
contratto d'appalto, come appartenente all'ambito della giurisdizione ordinaria, nonostante la forma del
provvedimento gravato, di apparente natura autoritativa: la parte privata, titolare nella fase de qua di soli
diritti soggettivi, non sarebbe stata pertanto chiamata a preoccuparsi del corretto esercizio di un potere
autoritativo (esterno) della p.a., derivante da una posizione di supremazia, per cui il gravame non avrebbe
potuto
trovare
sbocco
dinanzi
agli
organi
della
giurisdizione
amministrativa.
Ma il Tribunale di prima istanza ha, d'altra parte, omesso di considerare che il procedimento di formazione
della volontà contrattuale della p.a. non si svolge integralmente ed esclusivamente sul piano del diritto
privato, articolandosi invece in due serie di atti, la prima (cd. serie negoziale) costituita da atti civilistici;
la seconda (cd. serie procedimentale), composta da atti amministrativi, quali la deliberazione a contrarre,
l'approvazione od il diniego o la revoca dell'approvazione, la registrazione ed il visto, ovvero il diniego
degli stessi: atti che, avendo natura provvedimentale, sono di certo sindacabili da parte del giudice
amministrativo.
In particolare, la circostanza che gli atti di approvazione e controllo si pongano, sul piano negoziale, come
condiciones juris di efficacia del contratto, con la conseguente giurisdizione del giudice ordinario in ordine
alle controversie risarcitorie, connesse con il mancato avveramento di dette condizioni, non esclude la loro
rilevanza o sindacabilità anche come atti amministrativi, con conseguente giurisdizione del giudice
amministrativo (cfr. C.d.S., sezione IV, dec. n. 990/1998; sezione VI, decisione n. 1364/2007).
Il presente appello va, dunque, accolto, con contestuale riforma dell'impugnata sentenza, dichiarandosi la
giurisdizione del giudice amministrativo, con rimessione al T.a.r. affinché rinnovi il giudizio di merito (ex
artt. 34 e 35, legge n. 1034/1971), anche in relazione alle spese di tutte le fasi della presente vertenza.
P.Q.M.
Il
Consiglio
di
Stato
in
sede
giurisdizionale,
sezione
sesta,
-accoglie
l'appello;
-riforma
l'impugnata
sentenza;
-dichiara
la
giurisdizionedel
giudice
amministrativo;
-rimette gli atti al primo giudice per il rinnovo del giudizio, anche in rapporto a tutti gli oneri processuali.
Ordina
che
la
presente
decisione
sia
eseguita
dall'Autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma, Palazzo Spada, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio
del
23
ottobre
2007,
con
l'intervento
dei
signori
magistrati:
Claudio
VARRONE
Presidente
Carmine
VOLPE
Consigliere
Paolo
BUONVINO
Consigliere
Aldo
SCOLA
Consigliere
rel.
est.
Francesco
CARINGELLA
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 17 DIC. 2007.
Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha
pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto da Florida 2000 s.r.l., in persona
del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli
avv.ti Riccardo Marone e Angelo Clarizia,
ed
elettivamente
domiciliato presso il secondo, in Roma, via Principessa Clotilde, n.
2;
contro
Circumvesuviana s.r.l., in persona del legale rappresentante pro
tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'
avv.to Enrico Soprano, ed elettivamente domiciliato presso lo stesso,
in Roma, via degli Avignonesi, n. 5;
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in persona del
Ministro pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso la
stessa in Roma via dei Portoghesi n. 12;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per
la
Campania, Sezione I, n. 1715/2005;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti appellate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 9-5-2006 relatore il Consigliere Roberto
Chieppa.
Uditi l'Avv. Clarizia e l'Avv. Soprano;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
In data 21 luglio 2004 la Florida 2000 s.r.l. ha stipulato con la società Circumvesuviana s.r.l. un
contratto di appalto, avente ad oggetto l'esecuzione dei servizi di pulizia e lavaggio del parco rotabile
ferroviario
e
di
alcune
pertinenze
e
dormitori
della
rete
ferroviaria.
L'ambito e la durata del contratto sono stati ampliati con una serie di atti integrativi e di rinnovo, di
cui
si
tratterà
in
seguito.
Nonostante l'espressa previsione di invariabilità dei prezzi, la ricorrente, ai sensi dell'art. 6 della legge
24.12.1993 n. 537, ritenendo che la revisione dei prezzi fosse obbligatoria per rapporti contrattuali
quali quello in questione, con istanza notificata in data 1° ottobre 2003 ha chiesto alla
Circumvesuviana s.r.l. il riconoscimento del compenso revisionale pari ad . 529.876,04 oltre I.V.A.
Tale istanza è stata respinta dalla Circumvesuviana s.r.l. con nota n. 6295 del 17.9.2003 - confermata
con la successiva nota n. 6989 del 16.10.2003 - sulla base dell'esistenza di decreti legge che avevano
sospeso l'efficacia della norma invocata all'epoca della stipulazione del contratto, rendendone così
impossibile
l'applicazione
alla
fattispecie
in
esame.
Avverso entrambe le note la società Florida 2000 s.r.l. ha proposto ricorso al Tar per la Campania,
chiedendone l'annullamento, oltre alla condanna della società resistente al pagamento delle somme
ritenute
dovute
a
titolo
di
revisione
prezzi.
Con
l'impugnata
sentenza
il
Tar
ha
respinto
il
ricorso,
rilevando
che:
- l'efficacia dell'art. 6 della legge n. 537/93 è stata sospesa dal 1° giugno 1994 fino al 31.12.1995 per
espressa previsione del D.L. 31 maggio 1994, n. 331, del D.L. 30 luglio 1994, n. 478, del D.L. 30
settembre 1994, n. 559, e del D.L. 30 novembre 1994, n. 658; sebbene questi siano decaduti, l'art. 1,
comma secondo della legge 29.3.1995 n. 95, di conversione del D.L. 31.1.1995 n. 26, ha disposto che
restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti
giuridici
sorti
sulla
base
di
questi
ultimi;
- a causa del regime di sospensione dell'efficacia delle disposizioni della legge 24.12.1993 n. 537 in
materia di revisione prezzi, il meccanismo revisionale invocato dalla ricorrente non può essere
applicato
al
contratto
in
questione;
- in ogni caso, l'istituto della revisione dei prezzi, disciplinato da norme speciali di settore per gli
appalti pubblici e dall'art. 1664 c.c. per quelli privati, ha la specifica funzione di recuperare l'originario
equilibrio del sinallagma in ipotesi in cui venga a determinarsi un'alterazione tra il valore delle
reciproche prestazioni di un contratto a prestazioni corrispettive. Tuttavia, in presenza di una proroga
non coattiva ed anzi effettuata previa rinegoziazione, le citate esigenze di tutela e di conservazione
del rapporto devono ritenersi salvaguardate; avendo la società ricorrente avuto la possibilità di
ottenere
il
riequilibrio
del
sinallagma
in
sede
di
rinegoziazione.
Avverso
tale
decisione
ha
proposto
appello
la
Florida
2000
s.r.l.,
deducendo:
1) la violazione dell'art. 6 della legge n. 537/1993, che riconosce il diritto al compenso revisionale e,
avendo
natura
imperativa,
comporta
la
nullità
delle
clausole
difformi;
2) anche volendo attribuire rilevanza al periodo di sospensione dell'efficacia del citato art. 6, la
disposizione sarebbe comunque applicabile a partire dal termine del periodo di sospensione, o in
subordine
a
partire
dal
primo
atto
di
rinegoziazione
successivo
a
tale
termine;
3) il fatto che l'impresa abbia rinegoziato il contratto non può escludere l'applicazione del citato art. 6
anche in presenza di clausole difformi, da ritenersi nulle per contrasto con una norma imperativa.
La Circumvesuviana s.rl. e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporto si sono costituiti in giudizio,
chiedendo
la
reiezione
dell'appello.
All'odierna
udienza
la
causa
è
stata
trattenuta
in
decisione.
2. L'oggetto del presente giudizio è costituito dalla pretesa della società ricorrente del riconoscimento
del diritto alla revisione del prezzo, ai sensi dell'art. 6, comma 4, della legge n. 537/93, in relazione ad
un
contratto
di
appalto
di
servizi,
stipulato
con
la
Circumvesuviana
s.r.l..
La controversia appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto la previsione della
revisione prezzi per i contratti ad esecuzione periodica o continuativa, relativi a servizi e forniture, è
accompagnata dalla disposizione di cui al comma 19 del medesimo art. 6, secondo cui "le controversie
derivanti dall'applicazione del presente articolo sono devolute alla giurisdizione, in via esclusiva, del
giudice
amministrativo".
La giurisdizione del giudice amministrativo è pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza (Cass.,
Sez. Unite, n. 10616/1996; Cons. Stato, V, n. 141/2002) ed è stata confermata, di recente, dal D. Lgs.
12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione
delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), che anzi ha esteso tale giurisdizione anche alla revisione
prezzi dei contratti di lavori pubblici (art. 244, comma 3, del citato D. Lgs. n. 163/2006).
3. La pretesa della Florida 2000 s.r.l. del riconoscimento del diritto alla revisione prezzi in ordine al
contratto di appalto di servizi, stipulato con la Circumvesuviana s.r.l., è infondata, anche se sulla base
di
motivi
parzialmente
diversi
da
quelli
sostenuti
dal
Tar.
Innanzitutto, deve essere confermata la statuizione del giudice di primo grado circa l'inapplicabilità
del meccanismo di revisione prezzi, previsto dall'art. 6 della legge n. 537/1993, al contratto
originariamente
stipulato
dalla
ricorrente.
Tale contratto è stato, infatti, sottoscritto in data 21 luglio 1997, quando, come rilevato dal Tar, la
disposizione del citato art. 6era stata sospesa da diversi decreti legge, non convertiti, ma i cui effetti
sono
stati
fatti
salvi
dall'art.
1
della
legge
n.
95/1995.
La giurisprudenza ha chiarito che la disposizione del citato art. 6, nella parte in cui dispone che tutti i
contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del
prezzo, non è applicabile ai contratti già in corso di esecuzione alla data dell'entrata in vigore della
legge predetta, ma solo a quelli di futura stipulazione, per i quali il contraente è ex lege avvertito,
previa inserzione automatica dell'apposita clausola, della possibilità di un mutamento dei patti
originari
(Cons.
Stato,
VI,
n.
2434/2001;
V,
n.
2462/2005).
Di conseguenza, la clausola di fissità ed invariabilità dei prezzi deve ritenersi legittima in relazione ad
un appalto di servizi anteriore alla disciplina di cui all'art. 6 l. 24 dicembre 1993, n. 537 (Cons. Stato,
V,
n.
1362/2003).
Ovviamente, tali principi operano non solo con riferimento ai contratti stipulati prima del 1993, ma
anche a quelli stipulati nel periodo in cui l'efficacia della norma era stata sospesa.
4. Anche il primo atto integrativo del contratto, sottoscritto in data 26-9-1994, non solo ricadeva
sempre nel periodo di sospensione del citato art. 6, ma anzi su tale sospensione si fondava, inserendo
la clausola di rinnovo tacito del contratto, proprio perché il divieto di rinnovo, contenuto nell'art. 6
della
legge
n.
537/93,
era
sospeso.
La prima vera novazione del rapporto si è avuta non con gli atti integrativi del 2-8-95 e del 27-1-99 (in
cui veniva solo ampliato l'ambito oggettivo), ma con l'atto di rinnovo del 20 aprile 2000.
Tale rinnovo è stato stipulato in periodo in cui era terminata la sospensione dell'efficacia dell'art. 6
della legge n. 537/1991 ed era, quindi, vigente l'obbligo di inserire una clausola di revisione periodica
del
prezzo
per
tutti
i
contratti
ad
esecuzione
periodica
o
continuativa.
Tuttavia, tale obbligo non poteva applicarsi alla fattispecie in esame, non perché era stato oggetto di
pattuizione tra le parti (come ritenuto dal Tar), ma perché il rinnovo era stato disposto sulla base di
una disciplina speciale, incompatibile e prevalente sul meccanismo della revisione prezzi.
Infatti, come si ricava dalle premesse dell'atto, il rinnovo era stato convenuto in applicazione dell'art.
27, comma 6, della legge n. 488/1999, che prevede che "i contratti per acquisti e forniture di beni e
servizi delle amministrazioni statali, stipulati a seguito di esperimento di gara, in scadenza nel triennio
2000-2002, possono essere rinnovati per una sola volta e per un periodo non superiore a due anni, a
condizione che il fornitore assicuri una riduzione del corrispettivo di almeno il 3 per cento, fermo
restando
il
rimanente
contenuto
del
contratto".
Nel caso di specie, la riduzione del corrispettivo era stata concordata dalle parti nella misura del 5 %.
È evidente come l'impresa, che ha beneficiato di una speciale disposizione, che prevede la possibilità
di rinnovo senza gara a condizione di una concordata riduzione del prezzo, non possa poi pretendere
di applicare allo stesso contratto il meccanismo della revisione dei prezzi, che condurrebbe ad effetti,
del
tutto
opposti
rispetto
alle
pattuita
riduzione
del
corrispettivo.
Se l'impresa avesse ottenuto il rinnovo del contratto con una procedura ordinaria (pubblica gara) ben
avrebbe poi potuto invocare l'applicazione della revisione prezzi, ma, avendo ottenuto il rinnovo in
deroga alla disciplina vigente sulla base dello sconto pattuito, non può poi invocare un compenso a
titolo di revisione prezzi, che avrebbe l'effetto di eliminare o attenuare lo sconto, che gli ha garantito il
rinnovo
senza
gara.
Deve, quindi, concludersi che la Florida 2000 s.r.l. non poteva invocare il meccanismo della revisione
prezzi
in
relazione
al
contratto,
stipulato
con
la
Circumvesuviana
s.r.l.
5.
In
conclusione,
l'appello
deve
essere
respinto.
Ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello in epigrafe.
Spese
compensate
Ordina
che
la
presente
decisione
sia
eseguita
dall'Autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma, il 9-5-2006 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez. VI -, riunito in Camera
di
Consiglio,
con
l'intervento
dei
Signori:
Claudio
Varrone
Presidente
Luigi
Maruotti
Consigliere
Carmine
Volpe
Consigliere
Giuseppe
Romeo
Consigliere
Roberto
Chieppa
Consigliere
Est.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 25 LUG. 2006.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima Sezione,
costituito dai magistrati:
Bruno Amoroso Presidente
Lorenzo Stevanato Consigliere
Italo Franco Consigliere, relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 1634/2002, proposto da S.I.E.M.E.C. S.p.A., in persona
del rappresentante legale ing. Leonardo Bernardini, rappresentata e
difesa dagli avv. Chiara Cacciavillani ed Elena Fabbris,
con
domicilio presso la segreteria del TAR, ai sensi dell'art. 35 del
R.D. 26.6.24 n. 1054, come da procura a.l. a margine del ricorso,
contro
Il Comune di Caorle, in persona del Sindaco
protempore,
rappresentato e difeso dall'avv. Massimo Carlin, in forza di delibera
di autorizzazione a resistere della G.M. n. 43/2002, come da procura
a.l. a margine del controricorso,
per l'accertamento
del diritto alla percezione delle somme dovute dal comune per i
titoli specificati nelle conclusioni, in esecuzione del contratto di
gestione dell'impianto di depurazione e della rete fognaria comunale,
e per la conseguente condanna del Comune al pagamento.
Visto il ricorso, notificato il 9.7.2002, e depositato presso la
segreteria il 18 luglio 2002, con i relativi allegati;
vista la memoria di costituzione del Comune di Carole, depositata; il
3 gennaio 2003;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
visti gli atti tutti della causa;
uditi, alla pubblica udienza del 6 luglio 2006, relatore
il
Consigliere Italo Franco, l'avv. Quarneti in sostituzione dell'avv.
Cacciavillani per la ricorrente, e l'avv. Carlin per la P.A.
resistente.
Ritenuto in fatto e considerato e in diritto quanto segue:
FATTO
Precedente appaltatrice del servizio di gestione dell'impianto di depurazione e delle stazioni di
sollevamento della rete fognaria comunale, in forza di contratto originariamente scaduto il 31.01.97, la
S.p.A. S.I.E.M.E.C. ne otteneva, con delibera della G.M. n. 58 del 30.01.97, una proroga per tre anni più sei
mesi (su proposta della stessa SIEMEC in ordine alla trasformazione dell'impianto "phostrip" esistente, al
fine di ottenere il rinnovo, con l'impegno ad assumersi oneri che - si dice - avrebbero gravato sul Comune,
con liquidazione mediante presentazione di fattura a parte). Il contratto, stipulato il 30.4.97, prevedeva,
inoltre: il ritrasferimento al comune dell'impianto realizzato, al termine del nuovo contratto;
l'ammortamento dell'intervento nel periodo di proroga, con il ricavato dell'attività di trattamento liquami
per conto terzi; che la durata del rinnovo contrattuale (in particolare i sei mesi) si rendeva necessaria per
il
rilascio
dell'autorizzazione
alle
migliorie
da
parte
degli
enti
competenti.
Tanto premesso, espone la SIEMEC - che aveva, nel frattempo, richiesto al comune la revisione prezzi
mediante adeguamento all'indice ISTAT, come previsto dall'art. 4.11 del capitolato speciale - di avere
terminato in ritardo i lavori relativi alla trasformazione dell'impianto menzionato (nel febbraio 2000), e di
avere in ritardo avviato il nuovo impianto "trattamento bottini", a causa dei ritardi della stazione
appaltante, che era in possesso del certificato di collaudo sin dal 12.02.96, e che solo il 5.03.98 richiedeva
l'autorizzazione alla Provincia, che la rilasciava per il solo impianto principale il 10.08.99, senza nulla dire
in merito al servizio del "trattamento bottini". In conseguenza del ritardo, afferma la SIEMEC di avere
sopportato oneri relativi al trasporto dei fanghi, e di aver richiesto all'amministrazione comunale (con
lettere del dicembre 98 e dell'aprile 2001) un'ulteriore proroga del contratto al fine di recuperare gli oneri
sostenuti con l'avvio di detto servizio, ma di avere ricevuto risposta negativa dal comune, che la informava
di avere disposto di affidare la gestione dell'impianto al Consorzio Basso Piave, e la corresponsione del
10% del costo di realizzazione dell'impianto (( 144.607,93), oltre ad IVA. In data 14.03.2001 il comune
emetteva due mandati di pagamento, per complessivi 159.068,72, che la SIEMEC comunicava di trattenere
a
titolo
di
acconto.
Con il ricorso in epigrafe, l'interessata, assumendo che il Comune non si è adoperato per ottenere
tempestivamente l'autorizzazione dell'impianto principale e per richiedere l'autorizzazione dell'"impianto
bottini", mentre si è avvalso di un servizio (di trasporto dei materiali di rifiuto derivanti dall'esercizio
dell'impianto di depurazione, fornitura dei prodotti chimici, ecc.), chiede in via principale, che il Comune
sia condannato: 1) a corrispondere la revisione prezzi (( 14.205,70), oltre a rivalutazione e interessi
legali; 2) il risarcimento di tutti i danni esposti in narrativa, per un ammontare complessivo pari a
239.105,88 e, in subordine, in caso di mancato riconoscimento dell'inadempienza del comune, a titolo di
indebito
arricchimento,
ai
sensi
dell'art.
2041
c.c.
In via istruttoria parte ricorrente chiede disporsi C.T.U. al fine della verifica dei conteggi effettuati, posti a
base
delle
domande
attrici.
Si è costituita l'amministrazione, controdeducendo dettagliatamente in punto di fatto, eccependo che il
ritardo non è ad essa imputabile, che la proposta venne da essa accettata come contropartita del
riaffidamento a trattativa privata senza bando, e che il certificato di collaudo ricevuto riguardava altro
impianto,
soggiungendo
di
avere
versato
l'importo
che
ritiene
dovuto,
di
308.000.
Sono seguite memorie di replica della ricorrente, che afferma appartenere al G.A. la giurisdizione, sulla
scorta di Corte cost. n. 204/2004, e della P.A. resistente, che, tra l'altro, sostiene di avere diligentemente
operato, e che è stata la Provincia a richiedere il certificato di collaudo solo per le opere autorizzate dalla
Regione,
ecc.
All'udienza i difensori comparsi hanno svolto la discussione, quello della p.a. resistente eccependo il
difetto di giurisdizione del giudice adito, dopo di che la causa è stata introitata per la decisione.
DIRITTO
1- Come si evince dalla narrativa in fatto che precede, con il ricorso in epigrafe è stata introdotta
un'azione di accertamento, e di conseguenziale condanna dell'amministrazione convenuta, in ordine,
sostanzialmente, ad una serie di quelle che si assumono come vere e proprie inadempienze contrattuali.
Gli argomenti addotti a sostegno della domanda attengono tutti, in concreto, alla fase di esecuzione del
contratto di appalto (stipulato originariamente a seguito dello svolgimento di una pubblica gara, ed in un
secondo tempo rinnovato per tre anni e sei mesi a trattativa privata - si dice - senza bando). Di più: i titoli
fondativi del diritto al risarcimento dei danni patiti dalla ricorrente, prima ancora che all'esecuzione del
contratto, attengono all'interpretazione dello stesso, contestandosi dalle parti del contratto il contenuto di
determinate clausole contrattuali e gli effetti che ne discendono, segnatamente in ordine al soggetto sul
quale
gli
stessi
sono
destinati
a
ricadere.
Così, quanto al ritardo nell'ottenimento delle prescritte autorizzazioni, e del conseguente tardato avvio del
servizio inerente alla conversione dell'impianto preesistente (cui si è accennato in narrativa), si discute se
lo stesso sia addebitabile alla stazione appaltante (come sostiene parte ricorrente), o meno.
Analogamente, si discute in ordine all'ammortamento dei costi di realizzazione del servizio, sulla scorta
delle previsioni contrattuali, e in ordine all'impianto cui si riferiva il certificato di collaudo presentato dalla
ricorrente.
Da quanto sopra accennato emerge, in altre parole, che la controversia attiene alla fase di esecuzione del
contratto stipulato con una P.A., oltre che all'interpretazione del contratto medesimo. Orbene, è noto che
le controversie che si inscrivono in simile contesto - nelle quali, cioè si fa questione, appunto, di
esecuzione e interpretazione del contratto - sia pure concernente materie rientranti nella giurisdizione
esclusiva del G.A., appartengono alla cognizione del giudice ordinario. Un simile orientamento, affatto
consolidato e prevalente, se non proprio univoco, è seguito dalla giurisprudenza non soltanto del G.O., ma
anche (con qualche rara eccezione) del giudice amministrativo, sulla scorta del criterio di separazione
della giurisdizione elaborato da giurisprudenza e dottrina. In base a tale criterio, tutto ciò che attiene alla
fase c.d. a evidenza pubblica - vale a dire, concernente la formazione della volontà della P.A. - appartiene
al G.A., laddove tute le liti che si innestano nella fase di esecuzione del contratto (ivi comprese quelle
discendenti dall'interpretazione del contratto, al fine di verificare quali siano diritti ed obblighi vicendevoli
scaturenti
dalla
fonte
contrattuale
per
le
parti)
appartengono
al
G.O.
È ben noto poi, che, per quanto discutibile possa apparire detto criterio, esso si fonda sulla tradizionale
dicotomia, in ordine al tipo di posizione giuridica fatta valere in giudizio: interesse legittimo - diritto
soggettivo. Ed invero, le controversie che si innestano sulla fase di formazione della volontà della p.a.
atterrebbero, per tale concezione, a posizioni giuridiche qualificabili come interesse legittimo, laddove
quelle riguardanti la fase di esecuzione e interpretazione del contratto attengono a posizioni qualificabili
come
diritto
soggettivo
(o,
reciprocamente,
obbligo).
2- Su tale criterio non pare in grado di influire nemmeno la richiamata, famosa sentenza della Corte
costituzionale 6-7 luglio 2004 n. 204 la quale, restringendo la giurisdizione esclusiva del G.A. in materia di
pubblici servizi e in tema di comportamenti della p.a., ha teorizzato che soltanto laddove detti
comportamenti si presentino come manifestazione o esplicitazione di poteri pubblici o autoritativi, la
giurisdizione sulle controversie che ne discendono appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo. Infatti, la Corte costituzionale non ha inteso toccare - né, del resto poteva, non essendo
stata investita della relativa questione - la summa divisio concernente la materia dei contratti della p.a., di
cui si è detto, imperante (in base al richiamato indirizzo giurisprudenziale) finanche nella materia della
concessione di beni pubblici, attribuita alla giurisdizione esclusiva del G.A. fin dall'emanazione della legge
n. 1034 del 1971, giurisdizione che mai (o ben raramente), da parte dello stesso G.A. - si è ritenuta estesa
alla fase di esecuzione del contratto. (per una recente pronuncia in termini, si veda TAR Lombardia - BS,
27
giugno
2005
n.
673).
Soluzione diversa il legislatore ha inteso adottare, come è noto, in relazione alla materia degli accordi
raggiunti tra organi della p.a. e privati, in sostituzione di provvedimenti, ai sensi dell'art. 11 della legge n.
241 del 1990, il quale sancisce la giurisdizione esclusiva del G.A. sulle controversie in materia di accordi
per l'intera gamma di controversie ipotizzabili al riguardo, includendovi espressamente quelle concernenti
la fase di esecuzione dell'accordo. Ma, come ognun vede, non versandosi, nel caso di specie, in ipotesi di
accordi ex art. 11 citato, bensì in materia di contratti pubblici in senso proprio (sia pure seguiti ad una
fase di evidenza pubblica), non si vede come possa prescindersi dall'applicazione della regola menzionata.
La conseguenza delle considerazioni sopra accennate è che la giurisdizione sulla controversia che ne
occupa, inerente alle inadempienze contrattuali di cui si è detto, appartiene al giudice ordinario.
3- Vero è che, in relazione alla ulteriore domanda di riconoscimento del diritto alla revisione dei prezzi
parrebbe potersi sostenere la tesi contraria. In tal senso depone, infatti, una parte della giurisprudenza
che, ravvisando nella decisione sulla richiesta di revisione un minimum di potere discrezionale della p.a., è
venuta affermando l'appartenenza della controversia che ne deriva alla giurisdizione del G.A. Vero è,
altresì, che il nuovo "codice dei contratti pubblici", approvato con D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163, all'art.
244, comma 3, stabilisce che la cognizione delle liti concernenti la clausola di revisione del prezzo e il
relativo provvedimento applicativo appartiene alla giurisdizione esclusiva del G.A. Da ciò seguirebbe che la
controversia che ne occupa, soltanto limitatamente a questa parte (marginale) apparterrebbe al giudice
adito.
Tuttavia, premesso che l'entrata in vigore di detto codice è stata fatta slittare, rispetto all'originaria data
di entrata in vigore, fissata al primo luglio 2006 all'inizio della legislatura in corso alla data attuale, si
osserva, da un lato, che il ricorso all'esame è anteriore all'emanazione del menzionato decreto legislativo;
dall'altro, che ben difficilmente si giustificherebbe una frammentazione della controversia ai fini del
riparto di giurisdizione (tanto più in presenza di oscillazioni in tema di revisione prezzi), con
l'assegnazione
della
stessa
a
due
giudici
diversi.
Conclusivamente, per le considerazioni su esposte, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice
amministrativo.
Possono, tuttavia, compensarsi integralmente fra le parti le spese e onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione prima, definitivamente pronunziando sul
ricorso in epigrafe, respinta ogni contraria domanda ed eccezione, dichiara il difetto di giurisdizione del
giudice
amministrativo.
Spese
compensate.
Ordina
che
la
presente
sentenza
sia
eseguita
dall'autorità
amministrativa.
Così
deciso
in
Venezia,
in
camera
di
consiglio,
addì
6
luglio
2006.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 06 SET. 2006.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISCUOLO Alessandro
- Primo Presidente f.f. Dott. PREDEN
Roberto
- Presidente di sezione Dott. TRIFONE
Francesco
- Consigliere Dott. SETTIMJ
Giovanni
- Consigliere Dott. SALVAGO
Salvatore
- Consigliere Dott. FORTE
Fabrizio
- rel. Consigliere Dott. TOFFOLI
Saverio
- Consigliere Dott. TIRELLI
Francesco
- Consigliere Dott. BALLETTI Bruno
- Consigliere ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 1724 del Ruolo Generale dell'art. 41
c.p.c., per regolamento preventivo di giurisdizione proposto da:
COMUNE DI ACIREALE (CT), in persona del sindaco p.t., autorizzato a
stare in giudizio da Delib. G.M. 18 novembre 2005, n. 143, e
elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Germanico n. 12, int. 4,
presso lo studio dell'avv. Franco Di Lorenzo, rappresentato e difeso
dall'avv. MANDAGLI Nunzio, per procura in calce al ricorso;
- ricorrente contro
S.I.E.T. s.p.a. (d'ora in avanti SIET), con sede in (OMISSIS), in
persona dell'amministratore, rappresentata e difesa, per procura a
margine del controricorso, dall'avv. MIRONE RUSSO Antonino, del foro
di Catania, con studio ivi, alla Via Vecchia Ognina, n. 142/B;
- controricorrente nel processo iscritto al n. 12662/04 del R.G. degli affari civili del
Tribunale di Catania, promosso dalla SIET nei confronti del Comune di
Acireale, per far dichiarare la illegittimità delle decurtazioni
operate dall'ente locale sui corrispettivi dovuti alla società per
l'esecuzione dell'appalto di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi
urbani, per pretese inadempienze (Euro 50.545,00, per ritardata
fornitura di cassonetti e cestini, con determinazione dirigenziale n.
173 dell'8.7.03, Euro 15990,00, per incompleto svolgimento del
servizio
in occasione di uno sciopero, Euro 483.495,25,
per
decurtazioni per minori servizi forniti ed Euro 854.109,67 per
illegittimo disconoscimento di crediti dell'appaltatrice per lavori
extra contratto) e per fare accertare come non dovute o ridurre le
penali applicate all'attrice dal convenuto, ai sensi della clausola
di cui all'art. 15 del capitolato speciale di appalto, sottoscritto
dalle parti il 30 dicembre 2002.
Udita la relazione del Cons. Dott. Fabrizio Forte all'adunanza in
camera di consiglio del 10 luglio 2007 e lette le conclusioni
scritte, del 30 ottobre 2006, del sostituto Procuratore Generale Dr.
Vincenzo Gambardella, che ha chiesto di dichiarare la giurisdizione
del giudice amministrativo con ogni statuizione consequenziale,
avendo la controversia ad oggetto l'esercizio del potere di vigilanza
e controllo del Comune, nei confronti del gestore del pubblico
servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani e speciali
assimilati.
Fatto
Con atto di citazione notificato il 24 novembre 2004, la SIET, appaltatrice del servizio di raccolta e
trasporto di rifiuti solidi urbani e speciali assimilati per il Comune di Acireale, in virtù del già indicato
capitolato speciale, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania, detto ente locale, chiedendo di
accertare la illegittimità delle decurtazioni operate in suo danno dalla stazione appaltante e sopra
richiamate e la inesistenza dei presupposti di applicazione delle penali a suo carico decise dal convenuto
nell'espletamento del servizio oggetto d'appalto, con più determinazioni dirigenziali tra il 2003 e il 2004 o,
in subordine, la riduzione delle stesse, con condanna dell'ente locale a restituire le somme indebitamente
trattenute
e
a
pagare
i
crediti
illegittimamente
disconosciuti.
Ad avviso dell'attrice, il capitolato speciale d'appalto all'art. 15 contiene una clausola penale che regola lo
specifico procedimento per applicare le penali, imponendo la immediata contestazione degli addebiti, con
il termine ridotto di tre giorni per le controdeduzioni dell'appaltatore e quello di sette giorni per "adottare
il provvedimento definitivo e irrogare la sanzione" (comma 5), definita dal comma 7 "forfettaria" e da
applicare con provvedimento motivato, solo per il verificarsi di gravi disservizi, ferme restando le condotte
specificamente sanzionate per inadempienze individuate in contratto e quelle conseguenti a infrazioni non
specifiche
del
capitolato,
per
le
quali
la
penale
è
di
L.
200.000.
Per l'applicazione di tali penali il contratto prevede un procedimento, da iniziare con l'immediata
contestazione dalla stazione appaltante degli addebiti ali"appaltatrice che, entro sette giorni, può
controdedurre alla stessa, con obbligo delle parti di tentare la risoluzione delle controversie eventuali
dapprima in sede amministrativa e quindi mediante arbitrato ovvero, in caso di diniego del giudizio
arbitrale,
dinanzi
al
giudice
competente.
Nel caso di specie, si sono applicate penali per inadempienze insussistenti o generiche e successivamente
alla data nella quale l'ente locale era già decaduto dalla facoltà ad esso conferita dal contratto stipulato
con la SIET, che ha chiesto quindi al Tribunale di Catania di riconoscere l'illiceità delle decurtazioni
operate da controparte a titolo di penale, dichiarando non dovute le somme trattenute, per tale ragione e
per i pretesi altri inadempimenti sopra indicati, dal Comune di Acireale, del quale si è anche chiesta la
condanna
a
pagare
all'attrice
i
crediti
da
esso
erroneamente
disconosciuti.
Si è costituito il Comune di Acireale, che ha eccepito preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice
ordinario, ai sensi del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 33, come sostituito dalla della L. 21 luglio 2000, n.
205, art. 7, trattandosi di controversia relativa ad un rapporto avente ad oggetto un'attività qualificabile
come di pubblico servizio di natura concessoria, riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo.
Nel merito, l'ente locale ha denegato le avverse pretese e confermato la piena conformità al capitolato
speciale e la liceità delle decurtazioni di pagamento e dei disconoscimenti di credito operati, non solo per
le clausole contrattuali, ma anche nell'interesse pubblico alla tutela dell'ambiente e della salubrità
collettiva, nell'ambito di un rapporto non avente natura paritetica e in attuazione di poteri autoritativi
esercitati con un proprio accertamento in contraddittorio con il concessionario delle inadempienze di
questo, avente valore di prova legale, perchè compiuto da un funzionario, delegato del sindaco
responsabile dell'igiene pubblica e che ha operato in qualità di pubblico ufficiale. Lo stesso convenuto si è
pure opposto alla riduzione delle penali, inapplicabile in rapporti come quello oggetto di causa, nel quale a
suo
avviso,
la
P.A.
non
ha
una
posizione
paritaria
con
l'altra
parte
del
contratto.
Con ricorso alla Corte di Cassazione a Sezioni Unite Civili notificato alla SIET il 3 gennaio 2006, il Comune
di Acireale ha quindi chiesto in via preventiva di accertare a quale autorità giudiziaria appartenga la
giurisdizione della controversia di cui sopra e la società intimata ha resistito con controricorso, notificato
all'amministrazione istante a mezzo posta il 10 - 15 febbraio 2006 e illustrato con memoria ai sensi
dell'art. 378 c.p.c., con il quale ha domandato di affermare la giurisdizione, nella fattispecie, del Giudice
ordinario.
Diritto
1. Il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione del Comune di Acireale deduce che, dal sorgere
del rapporto contrattuale, l'amministrazione ricorrente ha sempre provveduto alla vigilanza e al controllo
del servizio, per assicurare il rispetto delle norme sulla tutela ambientale e sulla salubrità pubblica,
nell'ambito
delle
sue
competenze.
La presente controversia non attiene quindi alla mera esecuzione di un rapporto contrattuale, ma è effetto
della gestione di un servizio pubblico regolato nel rispetto di canoni, ai quali le parti non possono derogare
convenzionalmente, essendovi da una parte l'autorità amministrativa che, nel rispetto del pubblico
interesse, stabilisce le regole, e dall'altra, il concessionario del servizio tenuto al rispetto della legge e del
regolamento convenzionale, senza possibilità di intervenire in ordine alla stesura e all'applicazione dello
stesso.
Per effetto dei detti controlli, secondo il Comune ricorrente, l'atto accertativo degli inadempimenti e quello
applicativo delle sanzioni, pur collocandosi nella fase esecutiva del rapporto contrattuale e avendo natura
formalmente
negoziale,
in
realtà
esprimono
poteri
autoritativi
dell'amministrazione.
Ad avviso dell'ente locale, il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani costituisce "attività di pubblico
interesse", ai sensi del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 1 (abrogato dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n.
22, art. 56 e dal D.Lgs. 3 aprile 2003, n. 152); il successivo art. 3 dello stesso citato D.P.R., ha riservato ai
comuni lo smaltimento dei rifiuti urbani e la gestione del servizio, esercitato con diritto di privativa
"direttamente o mediante aziende municipalizzate ovvero mediante concessioni a enti o imprese
specializzati"
(così
dall'abrogato
D.P.R.
n.
915
del
1982,
art.
8).
Il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 2, attuativo delle Direttive CEE n. 156 del 1991, n. 689 del 1991, n. 62
del 1994 e abrogato dal D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 264 (Codice dei contratti relativi a lavori, servizi
e forniture), ad avviso del ricorrente, ribadisce l'affermazione del D.P.R. n. 915 del 1982, che la gestione
dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse e che il rapporto tra comune e SIET è di concessione,
potendo la gestione del servizio pubblico di rimozione e smaltimento dei rifiuti essere solo delegata dal
comune
a
aziende
e
imprese
specializzate,
come
accaduto
nel
caso.
Secondo il ricorrente, come rilevato da S.U. 27 novembre 2002 n. 16831, lo smaltimento dei rifiuti ordinari
costituisce un servizio pubblico oggetto della sola giurisdizione del Giudice amministrativo, a differenza
della mera raccolta dei rifiuti pericolosi o speciali, e il T.A.R. della Campania, già prima della sentenza della
Corte Costituzionale 6 luglio 2004 n. 204, ha ritenuto devoluta a tale giurisdizione anche la controversia
sulla
risoluzione
dell'appalto
del
servizio
di
smaltimento
rifiuti.
Non vi è rapporto paritetico tra comune concedente e SIET nell'espletamento del servizio oggetto del
capitolato speciale, nel quale il concessionario deve adeguarsi alle norme regolamentari e ai
provvedimenti della P.A., che devono assicurare la tutela igienica e sanitaria in tutte le fasi relative alla
raccolta
dei
rifiuti
nel
territorio
dell'ente
locale.
In ordine alla citata sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004, il Comune ricorrente rileva che la
giurisdizione esclusiva è comunque di legittimità, anche se ha ad oggetto un'attività della P.A., essendo
escluso che il mero coinvolgimento di pubblici interessi possa imporre in ogni caso la devoluzione della lite
relativa al giudice amministrativo ed essendo presupposto di tale cognizione giurisdizionale solo il fatto
che la P.A. agisca nel caso concreto, esercitando i suoi poteri autoritativi, anche se adotta "strumenti
negoziali in sostituzione del potere autoritativo", come rileva nella sua pronuncia il Giudice delle leggi.
Quando lo strumento negoziale opera in sostituzione dell'atto di esercizio del potere, come sarebbe
accaduto nella fattispecie secondo il Comune di Acireale, la controversia è rimessa al Giudice
amministrativo, ai sensi del D.Lgs. n. 30 del 1998, art. 33, come modificato successivamente e manipolato
dalla
sentenza
additiva
della
Corte
costituzionale
già
citata.
Secondo l'ente locale, che sul punto richiama varie decisioni della giurisprudenza amministrativa, è la
qualità di gestore del pubblico servizio, indipendentemente dal titolo giuridico in base al quale la gestione
avviene, che comporta la devoluzione della controversia al giudice amministrativo; nella fattispecie,
secondo il ricorrente, l'atto applicativo della sanzione e/o penale, pur se nella fase esecutiva del rapporto,
esprime un potere autoritativo del Comune di Acireale nella gestione del servizio, incidente su posizioni di
interesse
legittimo
della
appaltatrice.
Ad avviso del ricorrente, confermerebbe l'esistenza di detto potere il fatto stesso che esclusivamente il
Comune può irrogare le sanzioni (o penali) di cui all'art. 15 del capitolato speciale d'appalto,
nell'irrilevanza invece dell'inadempimento eventuale dell'ente locale; pertanto, con detta irrogazione, si
esprime il potere di vigilanza e controllo sul servizio dalla P.A. e quello di impartire direttive, espressione
della sua discrezionalità nella stessa valutazione dell'inadempimento della concessionaria, in rapporto
all'interesse pubblico, perseguito con il capitolato, a una corretta esecuzione del servizio di smaltimento
dei
rifiuti
nell'interesse
pubblico.
Comunque il carattere vincolante dell'accertamento delle inadempienze della società e la esecutorietà
della irrogazione della sanzione, che consegue al potere del Comune di decurtare, dal corrispettivo dovuto
per il servizio, le somme pretese come penale, evidenzia che, con le penalità applicate, si è esercitato un
potere autoritativo della P.A., sul quale non può affermarsi la giurisdizione dell'autorità giudiziaria
ordinaria.
La questione è allo stato comunque controversa nella stessa giurisprudenza amministrativa e appare
quindi opportuno, secondo l'ente locale ricorrente, la pronuncia preventiva delle Sezioni Unite della
Cassazione, potendosi denegare la giurisdizione del Giudice ordinario pure a ritenere la presente causa
qualificabile
come
controversia
in
materia
di
affidamento
di
pubblico
servizio.
La SIET, con le sue difese, deduce anzitutto che, come ammette lo stesso comune, la controversia attiene
all'esecuzione del rapporto sorto per effetto del contratto concluso dalle parti, da qualificare di appalto del
servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e che la stessa, in base alla prevalente
giurisprudenza,
è
riservata
alla
cognizione
del
Giudice
ordinario.
Tale conclusione deve confermarsi, anche dopo la citata sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del
2004, che ha rilevato l'illegittimità del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 33, comma 1, come sostituito
dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7, lettera a, nella parte in cui assegna alla giurisdizione esclusiva del
Giudice amministrativo la materia dei pubblici servizi e non limita la stessa alle sole "...controversie in
materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità,
canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla Pubblica amministrazione o dal
gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla L. 7 agosto 1990, n.
241, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, e alla vigilanza e controllo, nei
confronti
del
gestore"
(così
espressamente
la
pronuncia
della
Corte
Costituzionale).
Se potevano esservi dubbi sulla giurisdizione prima della sentenza citata del Giudice della legge, dopo
quest'ultima, è certo che, dell'esecuzione dei rapporti di appalto di pubblici servizi, deve occuparsi il
Giudice ordinario, perchè le domande che hanno come causa petendi le situazioni conseguenti
all'esecuzione del capitolato speciale di appalto di cui alla citazione, si basano sui diritti sorti dalla
convenzione di cui si chiede la tutela in sede giurisdizionale e, riguardando i corrispettivi dovuti per il
servizio svolto, non possono che essere oggetto della giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, così
come
accadeva
prima
della
novella
di
cui
al
D.Lgs.
n.
80
del
1998.
La controversia ha ad oggetto l'accertamento di condotte delle parti da accertare in sede giudiziaria e che
si assumono lesive solo di diritti soggettivi e non di interessi legittimi e, ai sensi degli artt. 102 e 113
Cost., spettano alla cognizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, ove non possano rientrare nella
giurisdizione
esclusiva
dei
giudici
amministrativi.
Nel caso di specie, con la citazione si è chiesto di dichiarare non dovute le somme decurtate e le penali
applicate con varie determinazione dirigenziali, in difetto dei presupposti di fatto e di diritto a base delle
stesse e, in subordine, si è domandato di ridurre tali penali e di accertare quanto ancora dovuto dalla
stazione appaltante e i crediti dell'appaltatrice disconosciuti, per prestazioni extra contrattuali,
condannando il Comune alla restituzione di quanto indebitamente trattenuto in danno della
controricorrente e al pagamento di quanto dovuto per effetto dell'esecuzione dell'appalto.
Il procedimento per la irrogazione delle penali è disciplinato dall'art. 15 del capitolato speciale che, come
si rileva dalla stessa comparsa di risposta del comune, è una vera e propria clausola penale e non, come
affermato in ricorso, la "espressione di un potere sostanzialmente autoritativo dell'Amministrazione".
L'art. 15 del capitolato speciale prevede infatti che, "accertata l'irregolarità contrattuale", questa sia
comunicata all'appaltatrice per le controdeduzioni e per applicare eventualmente la penalità nei dieci
giorni dalla contestazione; nella stessa clausola contrattuale, sono tipizzate alcune forme di disservizio,
prevedendosi, per ciascuna di esse, una misura distinta di penalità e infine stabilendosi una misura di
sanzione, anche per ogni infrazione non indicata tra le prescrizioni del capitolato la cui violazione comporti
penali
specifiche.
Ad avviso della SIET, si tratta di una clausola penale nella quale è irrilevante la mancata reciprocità della
previsione delle penali per gli inadempimenti previsti, non avendo rilevanza di atto pubblico gli
accertamenti dei disservizi o delle inadempienze di cui alle contestazioni dell'ente locale, come accertato
da più sentenze dei giudici amministrativi, tra le quali assume rilievo peculiare, perchè relativa ad una
clausola penale analoga a quella di cui è causa, la sentenza del TAR di Napoli n. 6845 del 2003, la quale
ritiene che, nel caso in cui la controversia attenga all'ipotesi di sanzioni applicate a seguito di
contestazioni di inadempienze specificamente previste nel contratto, con indicazione delle penali
concordate per ciascuna di esse, si versa comunque in una controversia che deve esaminare il Giudice
ordinario.
Secondo la citata sentenza del TAR della Campania deve escludersi, quando vi sia un capitolato speciale di
appalto del tipo di quello a base della presente causa, che vi sia una concessione e non un mero appalto, in
cui la previsione delle penali incide in sostanza sui corrispettivi dovuti, non potendosi ritenere che il
comune eserciti i suoi poteri di vigilanza e controllo in rapporto a inadempimenti contrattuali dell'altra
parte, per i quali trattiene quale penale le somme previste in contratto da quelle maggiori da esso dovute
alla SIET come corrispettivo. Escluso che nella fattispecie ricorra una ipotesi di concessione, anche alla
luce delle Direttive CEE nella materia, dovendosi invece ritenere sussistente un mero appalto e denegato
l'esercizio di un qualsiasi potere amministrativo del Comune di Acireale, trattandosi di facoltà di questo
previste dal contratto stipulato tra le parti il 30 dicembre 2002, in cui l'unica parola costantemente
utilizzata è appunto quella privatistica di "appalto" e non quella di "concessione", tanto che l'atto si è
definito capitolato speciale di appalto, va negato si sia avuta una concessione, mancando un trasferimento
di poteri pubblici alla SIET, che chiede quindi di affermare la giurisdizione nella presente azione del
Giudice
ordinario.
2. Non può dubitarsi anzitutto che, allorchè venne stipulata la convenzione a base della presente azione
della SIET (30 dicembre 2002), risultavano già regolati normativamente, dal D.Lgs. 17 marzo 1995, n.
157, art. 3 (abrogato poi con il citato D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 256) "gli appalti pubblici di servizi",
definiti nella norma "contratti a titolo oneroso, conclusi per iscritto tra un prestatore di servizi e una
amministrazione... aventi ad oggetto i servizi elencati negli allegati 1 e 2", tra i quali il n. 16 dell'allegato 1
espressamente
comprende
quello
della
"eliminazione
di
rifiuti".
Il successivo riferimento, contenuto nel D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 5, allo smaltimento dei rifiuti,
contestuale all'abrogazione del D.P.R. n. 915 del 1982, previsto dall'art. 56 dello stesso decreto, conferma
che, alla data dell'atto costitutivo del rapporto a base dell'azione della SIET, nessun obbligo vi era di dare
solo in concessione il servizio oggetto della convenzione, che resta di interesse pubblico e di competenza
degli enti locali, i quali peraltro possono anche concludere meri "appalti pubblici" per realizzare il servizio
di pubblico interesse dello smaltimento e trasporto dei rifiuti solidi urbani e speciali assimilati, come, ad
avviso
di
questa
Corte,
è
avvenuto
nella
fattispecie.
Il capitolato speciale stipulato dalle parti viene infatti definito nella sua premessa "contratto" ed è così
qualificato anche agli artt. 3, 6 e 8, tipizzandosi poi come "appalto" relativo al servizio di raccolta e
trasporto dei rifiuti; nello stesso atto (nella premessa, oltre che agli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 7) è indicata la
SIET come "appaltatore" e tale qualifica è usata in più clausole (artt. 4, 10, 11) con espressione
inequivocabilmente
usata
nel
senso
indicato.
La lettera del capitolato speciale conferma la natura di contratto della convenzione oggetto della presente
controversia, escludendo che possa ritenersi mero disciplinare di una concessione di pubblico servizio, che
è da negare vi sia stata nel caso, mancando ogni indicazione, in rapporto alla causa concreta dell'atto
stesso,
che
possa
portare
ad
una
diversa
conclusione
ermeneutica.
Pertanto, la controversia oggetto della presente causa, pur vertendo in materia di pubblici servizi, non è
relativa ad una concessione di pubblici servizi ma al corrispettivo di un appalto pubblico del servizio di
raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e, per tale profilo, deve negarsi che essa rientri tra quelle di
cui al D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33 come poi modificato, dovendosi inquadrare come vertenza relativa alla
esecuzione di un rapporto, effetto di un appalto pubblico di servizi e non di concessione di servizio di
pubblico
interesse.
Tale qualificazione giuridica del capitolato speciale di cui sopra può essere anche confermata dall'attuale
definizione normativa delle concessioni di pubblico servizio, di cui al D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 30,
che
ha
dato
attuazione
alle
direttive
CEE
n.
17
e
18
del
2004.
Tale definizione chiarisce ormai che, a differenza che nell'appalto, nella concessione "la controprestazione
a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e sfruttare
economicamente il servizio", tanto che "il soggetto concedente stabilisce in sede di gara anche un prezzo,
qualora al concessionario venga imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli
corrispondenti alla somma del costo del servizio e dell'ordinario utile di impresa, ovvero qualora sia
necessario assicurare al concessionario il perseguimento dell'equilibrio economico finanziario degli
investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da prestare" (così
testualmente
la
norma
citata).
Nel caso, non solo non vi è stata alcuna delega traslativa di poteri dal Comune di Acireale alla SIET ma
quest'ultima non poteva pretendere, in base al contratto, alcun prezzo dagli utenti per il servizio prestato
e, anche per tale profilo, deve quindi negarsi che, a prescindere dalla lettera del contratto che è di certo in
senso contrario come già detto, si sia avuto comunque un rapporto concessorio e che la presente
controversia verta sullo stesso (sulla differenza tra appalto e concessione, ancora attuale appare Cass. 25
maggio
1966
n.
1354).
Se in passato era sufficiente tale accertamento a rilevare una domanda fondata su diritti soggettivi sorti
con l'esecuzione del contratto e in rapporto al petitum sostanziale la conseguente giurisdizione del Giudice
ordinario, allo stato, in ragione della materia su cui verte la causa che è quella dei pubblici servizi, sui
quali vi è di regola la giurisdizione esclusiva dei Giudici amministrativi, tale conclusione non è più
accettabile nei termini riportati, dovendosi accertare pure se la presente causa non sia relativa a
provvedimenti "adottati dalla Pubblica Amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un
procedimento amministrativo disciplinato dalla L. 7 agosto 1990, n. 241", ovvero riguardi "l'affidamento di
un pubblico servizio e la vigilanza e controllo nei confronti del gestore", in rapporto alle altre ipotesi di cui
al del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, lett. e, come novellato nel 2000 e manipolato dalla più volte
richiamata sentenza del Giudice della L. del 2004, come sembra dedurre l'ente locale istante con il
presente
regolamento.
Trattandosi di ritenute per inadempimenti e disconoscimenti di crediti per prestazioni extra contratto, non
si dubita che si verte, per tali rapporti, in una controversia relativa alla esecuzione del contratto di
appalto; altrettanto deve dirsi per le "penalità", di cui il Comune di Acireale ha preteso il pagamento per le
"irregolarità contrattuali", di cui all'art. 15 del capitolato speciale di appalto, nonostante la parola
"sanzione" usata in contratto per definire tali penali, da ritenersi previste nella clausola contrattuale
inquadrabile nell'art. 1384 c.c., non avendo rilievo a qualificare la penalità come sanzione amministrativa,
il fatto che essa è stata poi accertata da determinazione dirigenziale di funzionari dell'ente locale.
Secondo il Comune di Acireale la richiamata circostanza dimostrerebbe che, a base delle sue pretese per le
inadempienze generiche e specifiche di cui al citato art. 15 del capitolato speciale di appalto, vi sarebbe
una attività provvedimentale della amministrazione, nell'esercizio dei suoi poteri di vigilanza e controllo
sul servizio, da ritenere riservata alla cognizione dei Giudici amministrativi. Certamente gli accertamenti
consentiti all'ente locale in contraddittorio con la controparte non possono qualificarsi atti facenti prova
piena o di fede pubblica, e le penalità applicate, per il principio di legalità sancito anche in rapporto alle
sanzioni amministrative (L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 1) non esprimono assolutamente il potere
pubblico autoritativo dell'ente locale di accertare violazioni e irrogare sanzioni amministrative.
Nessun rilievo ha la previsione della clausola penale in favore di una sola delle parti del contratto, per
ritenere che con essa si sia in realtà esercitato un potere pubblico dello stesso ente locale; il Comune di
Acireale, che ha predisposto lo schema di contratto pubblico con la previsione della penale, ha in effetti
utilizzato uno strumento tipico dell'autonomia privata, servendosi di facoltà regolata dalla legge, che
impone particolari tutele a favore della parte più debole che, anche nel caso, dovevano adottarsi (art.
1341 c.c. e segg.) e, di conseguenza, deve negarsi che oggetto di questa causa sia un atto autoritativo
della P.A. o un provvedimento di vigilanza e controllo del servizio, che, anche ai sensi del nuovo del citato
D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 244, comma 2, dovrebbe ritenersi riservato alla cognizione della giustizia
amministrativa
in
materia
di
pubblici
servizi.
Essendo palese che non si verte nel caso in una fattispecie relativa all'affidamento del servizio trattandosi
di causa relativa alla sua esecuzione ed essendo pacifico tra le parti che lo stesso è stato già espletato, in
conclusione, deve negarsi che la controversia rientri tra quelle di cui al D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art.
33, come sostituito dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7, e novellato dalla sentenza della Corte
Costituzionale 6 luglio 2004 n. 204 e competa alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo.
Deve invece dichiararsi sulle domande della SIET la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, in
applicazione del seguente principio di diritto: "Quando vi sia una controversia relativa alla esecuzione di
un contratto di appalto di pubblici servizi e ai corrispettivi dovuti per la prestazione di essi, la stessa non
rientra nella fattispecie di cui al D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, come successivamente modificato, che
attiene solo alle concessioni e agli affidamenti di pubblici servizi ovvero ad attività provvedimentali
relative al servizio stesso e deve invece ritenersi applicabile il principio generale di cui all'art. 113 Cost.,
per il quale la tutela dei diritti soggettivi deve chiedersi al Giudice ordinario in conformità alla
giurisprudenza costante di questa Corte (cfr. S.U. ord. 5 aprile 2007 n. 8519, ord. 27 febbraio 2007 n.
4425, sent. 26 luglio 2006 n. 16990. ord. 18 ottobre 2005 n. 20116, tra molte altre) e a quella più recente
dei
Giudici
amministrativi
(Cons.
Stato,
Sez.
5^,
25
settembre
2006
n.
5617)".
Le spese della presente fase possono compensarsi tra le parti, in considerazione delle incertezze ancora
sussistenti nella fattispecie.
P.Q.M.
La Corte dichiara la giurisdizione del Giudice ordinario e compensa le spese tra le parti.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione, il 10
luglio
2007.
Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2007
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE
Vincenzo
- Primo Presidente
Dott. PRESTIPINO
Giovanni
- Presidente di sez. Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio
- Consigliere Dott. LUCCIOLI
Maria Gabriella
- Consigliere Dott. TRIOLA
Roberto Michele
- Consigliere Dott. TRIFONE
Francesco
- Consigliere Dott. VIDIRI
Guido
- Consigliere Dott. SALVAGO
Salvatore
- rel. Consigliere Dott. TIRELLI
Francesco
- Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
CITELUM S.A., in persona del Presidente pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio
dell'avvocato
STICCHI DAMIANI ERNESTO (STUDIO
BDL),
che
la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati PASCONE GIOVANNI, NILO
LUIGI, giusta procura speciale del notaio Dott. M. Jacques Beghain di
Parigi del 28/11/05, in atti;
- ricorrente contro
SOCIETA' I.T. - INNOVAZIONE E TECNOLOGIE S.R.L., in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIALE DI VILLA GRAZIOLI 13, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE
GIUFFRE', rappresentata e difesa dagli avvocati LENTINI LORENZO,
FELICIANA FERRENTINO, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente e contro
HERA S.P.A., GEMMO IMPIANTI S.P.A., CO.I.M.I. S.R.L., COMUNE DI
TARANTO,
COMMISSIONE
GARA APPALTO GESTIONE
TECNICA
PUBBLICA
ILLUMINAZIONE COMUNE DI TARANTO, ENEL SO.L.E. S.P.A., EMILIO ALFANO
S.P.A., SIRET S.R.L., ELETTROVIT S.R.L., SMEA S.R.L., ACEA LUCE
S.P.A., UTILITAS S.R.L., ARISTEA SERVICE S.C.A.R.L.;
- intimati avverso la decisione n. 5196/05 del Consiglio di Stato di ROMA,
depositata il 28/09/05;
udito l'Avvocato Feliciana FERRENTINO;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio il
09/10/07 dal Consigliere Dott. Salvatore SALVAGO;
lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott.
Antonio MARTONE, il quale chiede che le Sezioni unite della Corte di
cassazione, in camera di consiglio, rigettino il ricorso perchè
manifestamente infondato, con le conseguenze di legge.
Fatto
Il TAR Puglia, sez. Lecce con sentenza del 14 giugno 2004 n. 3721, in accoglimento del ricorso della ATI
con capogruppo la s.p.a. Hera (e comprendente la s.p.a. Gemmo Impianti, la s.r.l. I.T., nonchè la s.r.l.
Co.I.MI), annullava tutti gli atti della procedura di gara approvata con determinazione 15 luglio 2002 n. 89
del Dirigente settore L.P. del comune di Taranto, e finalizzata all'affidamento di un appalto misto per la
gestione tecnologica integrata e la manutenzione degli impianti di pubblica illuminazione di detto comune;
nonchè la successiva determinazione dirigenziale 2 marzo 2004 n. 25 che aveva preso atto
dell'approvazione della graduatoria compilata dalla Commissione di gara ed aveva aggiudicato
definitivamente
il
servizio
all'ATI
con
capogruppo
s.a.
Citelum.
Dichiarava altresì la nullità del contratto stipulato in data 12 aveva aggiudicato definitivamente il servizio
all'ATI con capogruppo s.a. Citelum. Dichiarava altresì la nullità del contratto stipulato in data 12 marzo
2004
tra
quest'ultima
ATI
e
l'amministrazione
comunale.
In parziale accoglimento dell'appello dell'ATI Citelum, il Consiglio di Stato, con sentenza 28 settembre
2005 n. 5196, ha dichiarato l'inefficacia del contratto suddetto, e ne ha respinto gli altri motivi di
impugnazione unitamente al gravame dell'amministrazione comunale, osservando (per quanto qui
interessa): a) che doveva prestarsi adesione all'orientamento secondo cui la caducazione in sede
giurisdizionale o amministrativa di atti della fase della formazione della volontà della P.A. (deliberazione a
contrarre, bando di gara, aggiudicazione) priva la stessa amministrazione,con efficacia ex tunc, della
legittimazione a negoziare conferitagli dai precedenti atti amministrativi: in conformità del resto al
principio che gli atti della serie pubblicistica e quelli della serie privatistica sono indipendenti, ma i primi
condizionano l'efficacia dei secondi; e tale inefficacia può essere fatta valere soltanto dalla parte che abbia
ottenuto l'annullamento della deliberazione costitutiva della volontà della p.a. senza pregiudizio per i
diritti acquistati dai terzi di buona fede in esecuzione della deliberazione medesima; b) che pertanto non
poteva essere recepito nè l'indirizzo propugnante la caducazione automatica del contratto in conseguenza
dell'annullamento dell'aggiudicazione, peraltro comportante l'aggiudicazione automatica in favore del
secondo classificato; nè quello che mediando tra le due tesi, riteneva comunque di far salvi i diritti dei
terzi
richiamando
le
disposizioni
degli
artt.
23
e
25
c.c..
Per la cassazione della sentenza l'ATI Citelum ha proposto ricorso, ai sensi dell'art. 111 Cost., comma 3;
cui resiste l'ATI Hera con controricorso.
Diritto
Con il ricorso l'ATI Citelum,deducendo violazione della L. n. 205 del 2000, artt. 6 e 7, D.Lgs. n. 80 del
1998, art. 33 e artt. 25, 103 Cost., censura la sentenza impugnata per aver dichiarato l'inefficacia del
contratto di appalto stipulato tra di essa ed il comune di Taranto, in seguito all'annullamento degli atti
della gara e del verbale di aggiudicazione, senza porsi la questione dei limiti della propria giurisdizione
non estesa dalle menzionate norme alla cognizione delle sorti di detto negozio avente natura pariteticaprivatistica
e
non
rientrante
nella
fase
dell'azione
della
P.A.
autorità,
in
quanto:
1) con la sottoscrizione del contratto si instaura tra le parti un vincolo negoziale "iure privatorum"
comportante che tutte le controversie attinenti alla sua esecuzione devono ascriversi alla giurisdizione
ordinaria: a maggior ragione configurabile quando si discuta della esistenza giuridica del contratto, ossia
non già come il contratto vada eseguito, ma se deve essere eseguito tra le parti;
2) non ne è sostenibile una sorta di attrazione nell'ambito della giurisdizione amministrativa per
l'automatico collegamento tra la procedura autoritativa di evidenza pubblica e la validità-efficacia del
vincolo contrattuale perchè le relative questioni con riferimento sia alla patologia del negozio per cui
optare (con le relative conseguenze) tra le categorie tipizzate dal codice civile,sia alla sorte delle
prestazioni nel frattempo eseguite dalle parti, sia alla qualificazione della buona fede del contraente
privato, sia al trattamento giuridico dei terzi che abbiano acquisito diritti in forza del contratto,
trascendono la mera cognizione del profilo della legittimità dell'azione autoritativa espletata dalla p.a.
come autorità ed implicano valutazioni meramente civilistiche, ascrivibili al giudice naturale dei rapporti
negoziali
paritetici;
3) le stesse Sezioni Unite già prima della nota decisione 204/2004 della Corte costituzionale, avevano
sistematicamente affermato che i vizi degli atti amministrativi precedenti la stipulazione dei contratti iure
privatorum della p.a. comportano la mera annullabilità del contratto; che solo l'amministrazione può far
valere davanti al giudice ordinario. Laddove il giudice amministrativo aveva finito per sconfessare il
sistema privatistico delle patologie del negozio giuridico e creato una automatica inefficacia ad esso
completamente
estranea;
4) ad identica conclusione è pervenuta parte della giurisprudenza amministrativa secondo la quale al
giudice amministrativo è dato conoscere e statuire sulla legittimità dei procedimenti amministrativi di
gara, ma non anche sulle vicende inerenti al contratto, attribuite alla giurisdizione dell'A.G.O..
Il
ricorso
è
manifestamente
fondato.
Nel sistema antecedente al D.Lgs. n. 80 del 1998, nonchè alla L. n. 205 del 2000, in tema di pubblici
appalti
costituivano
principi
giurisprudenziali
del
tutto
consolidati:
1) che il contratto di appalto comunque concluso da vita ad un rapporto essenzialmente di diritto privato,
seppur caratterizzato da una disciplina differenziata dipendente dalla qualità di ente pubblico del
committente e dalle finalità di interesse generale perseguite; e che esso è fonte di reciproche obbligazioni
e diritti soggettivi la cui tutela è perciò affidata agli organi della giurisdizione ordinaria;
2) che nella fase antecedente a tale conclusione, nel caso in cui la scelta del contraente privato avvenga
con il sistema della "licitazione privata", con quello dei pubblici incanti o dell'appalto- concorso, la
posizione del soggetto aspirante all'affidamento dell'appalto nonchè dei partecipanti alla gara sulla quale
l'amministrazione committente con sua azione può interferire favorevolmente o sfavorevolmente, trova
protezione nelle norme di legge e nei regolamenti disciplinanti il procedimento amministrativo di scelta
del contraente; con la conseguenza che, assume natura e consistenza di interesse legittimo al regolare
svolgimento del procedimento amministrativo: tutelatale, come tale, davanti al giudice amministrativo;
3) che, in particolare, detto interesse può configurarsi sia come pretensivo, che come oppositivo: avendo
egli l'interesse pretensivo all'aggiudicazione della gara; mentre, ove l'abbia già ottenuto e questa sia stata
annullata, egli ha l'interesse oppositivo ad impugnare l'annullamento, ovvero a ricorrere avverso la nuova
aggiudicazione ad altri partecipanti alla gara di appalto. Sicchè appartenevano alla giurisdizione generale
di legittimità di detto giudice le impugnative dei provvedimenti di aggiudicazione dell'appalto, nonchè
degli atti procedimentali a questa precedenti e prodromici; e, per converso, quelle dei provvedimenti di
invalidazione dell'aggiudicazione, che costituiva il limite di operatività di detta giurisdizione anche quando
la stessa segnava nel contempo la conclusione del contratto, con effetti vincolanti per entrambe le parti.
In tal caso, le domande dirette ad ottenere la declaratoria di nullità o l'annullamento del relativo verbale
per
vizi
della
volontà
o
per
altre
cause
previste
dall'art.
1418
c.c.
e
segg.
esulavano da detta giurisdizione per rientrare nella cognizione del giudice ordinario, riguardando la
validità
di
un
rapporto
negoziale
di
natura
privatistica
(Cass.
sez.
un.
1507/1987).
Siffatta disciplina non è sostanzialmente mutata per effetto della L. n. 205 del 2000, il cui art. 7,
recependo con parziali modifiche e sostituendo il D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, ha devoluto alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi
(comma 1); e specificato in quello successivo che Tali controversie sono, in particolare quelle:....... e)
aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, di servizi e forniture svolti da
soggetti
comunque
tenute
alla
applicazione
delle
norme
comunitarie.......;":
perciò nel contempo delimitando l'ambito di tale giurisdizione, già introdotta, significativamente con
identica
formula,
dal
precedente
art.
6
della
L..
Queste Sezioni Unite, infatti, fin dalle prime interpretazioni della norma hanno precisato il concetto di
pubblico servizio come prestazione resa da un soggetto pubblico (o privato che al primo, in forza di vari
meccanismi giuridici si sostituisca) alla generalità degli utenti, mentre esulano da tale nozione le
prestazioni rese in favore dell'amministrazione,e comunque del gestore per garantirgli l'organizzazione
del
servizio
(Cass.
sez.
un.
7461/2004;
1997/2003;
10726/2002).
E fra le diverse e pur possibili opzioni ermeneutiche, hanno privilegiato quella cd. privatistica, per la quale
la L. n. 205 del 2000, artt. 6 e 7, nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte
le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, hanno
riguardo alla sola fase pubblicistica dell'appalto (in essa compresi i provvedimenti di non ammissione alla
gara o di esclusione dalla stessa); e non si riferiscono alla successiva fase dell'esecuzione del rapporto,
concernente i diritti e gli obblighi derivanti, per ciascuna delle parti, dal contratto stipulato
successivamente agli atti di evidenza pubblica. In questa seconda fase resta operante la giurisdizione del
giudice ordinario quale giudice dei diritti, cui spetta verificare la conformità alle norme positive delle
regole attraverso le quali i contraenti hanno disciplinato i loro contrapposti interessi, e delle relative
condotte
attuative:
a
nulla
rilevando
che
specifiche
disposizioni
legislative
attribuiscano
all'amministrazione committente la facoltà di incidere autoritativamente sul rapporto (e perfino di
risolverlo), posto che detti atti amministrativi, non hanno natura provvedimentale e non cessano di
operare nell'ambito delle paritetiche posizioni contrattuali (Da ult., Cass. sez. un. 17829 e 17830/2007;
4427/2007;
4116/2007).
Si è pure evidenziato (Cass. sez. un. 72/2000) come una diversa lettura della nuova normativa (cd.
pubblicistica), comportando una estensione della giurisdizione amministrativa a controversie di carattere
e contenuto esclusivamente patrimoniale, non direttamente ed effettivamente connesse ad interessi
generali - come, in tesi, quelle relative alla verifica (sulla base di categorie privatistiche) della puntualità o
meno della esecuzione di contratti conclusi dal gestore (sia esso pubblico o privato) di un servizio
pubblico per l'acquisizione di beni ed opere strumentali a detta attività - ponesse seri dubbi di
compatibilità con il precetto dell'art. 103 Cost.: dubbi condivisi dalla Corte Costituzionale che, nella
recente sentenza 204 del 2004, ha dichiarato parzialmente illegittimo il menzionato D.Lgs. n. 80 del 1998,
art.
33,
come
recepito
dalla
L.
n.
205
del
2000,
art.
7.
La Consulta ha rilevato,infatti, che il riferimento della disposizione ad una materia - quella dei pubblici
servizi - dai confini non compiutamente delimitati, e soprattutto il richiamo a tutte le controversie
ricadenti in tale settore rende evidente che la materia così individuata prescinde totalmente dalla natura
delle situazioni soggettive coinvolte, radicando la giurisdizione esclusiva sul dato puramente oggettivo del
normale coinvolgimento in tali controversie del generico pubblico interesse che è naturalmente presente
nel settore dei pubblici servizi: e così travolgendo il necessario rapporto di specie a genere che l'art. 103
Cost. postula come ordinario discrimine tra le giurisdizioni, allorchè contempla le materie devolvibili alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo come particolari rispetto a quelle nelle quali la pubblica
amministrazione agisce quale autorità. Ha quindi precisato che il necessario collegamento delle materie
assoggettabili a giurisdizione esclusiva con la natura delle situazioni soggettive, espresso, nell'art. 103
Cost., dalla loro qualificazione di particolari rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di
legittimità, comporta che le materie affidate alla giurisdizione suddetta devono necessariamente
partecipare della medesima natura - segnata dall'agire della P.A. come autorità, nei confronti della quale è
accordata tutela alle posizioni di diritto soggettivo del cittadino dinanzi al giudice amministrativo - di
quelle
devolute
alla
giurisdizione
generale
di
legittimità.
Dopo la declaratoria di parziale incostituzionalità della norma,non sono più ammissibili dubbi ermeneutici
sulla possibile estensione della giurisdizione esclusiva; che può essere istituita o ampliata, per esigenze di
concentrazione della tutela,per impedire la moltiplicazione dei giudizi, e comunque per garantire pienezza
di tutela al cittadino attraverso un unico giudizio, soltanto alle condizioni indicate dalla Consulta, che cioè
le posizioni di diritto soggettivo fatte valere si collochino in un'area di rapporti nella quale la p.a. agisce
attraverso poteri autoritativi, ovvero si avvalga della facoltà riconosciuta dalla legge di adottare strumenti
negoziali in sostituzione del potere autoritativo ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 11.
Il che nell'attività di diritto privato si verifica soltanto nella fase della formazione della sua volontà,
nonchè di scelta del contraente privato, che non è libera, ma si snoda attraverso una serie di atti
procedimentali caratterizzati dall'esercizio di poteri discrezionali e vincolati; i quali hanno normalmente
inizio con la determinazione di contrarre e si concludono (nell'appalto di opere o servizi, che qui interessa)
con il provvedimento di aggiudicazione che individua il contraente privato perciò costituendo l'ultimo atto
e, nel contempo, il confine estremo della fase pubblicistica, del resto evidenziato dalla stessa formulazione
letterale della ricordata L. n. 205 del 2000, art. 6 e art. 7, lett. a), laddove limita l'ambito della
giurisdizione esclusiva alle sole "procedure di affidamento di appalti..."; con conseguente implicita
esclusione della cognizione di tutti gli atti successivi alla sua conclusione (Cass. sez. un. 1142/2007;
9601/2006;
4508/2006;
13296/2005).
In questa seconda fase, pur strettamente connessa con la precedente, e ad essa consequenziale, che ha
inizio con l'incontro delle volontà delle parti per la stipulazione del contratto, e prosegue con tutte le
vicende in cui si articola la sua esecuzione,infatti, i contraenti - p.a. e privato - si trovano in una posizione
paritetica e le rispettive situazioni soggettive si connotano del carattere, rispettivamente, di diritti
soggettivi ed obblighi giuridici a seconda delle posizioni assunte in concreto. Sicchè è proprio la
costituzione di detto rapporto giuridico di diritto comune a divenire l'altro spartiacque fra le due
giurisdizioni, quale primo atto appartenente a quella ordinaria, nel cui ambito rientra con la disciplina
posta dall'art. 1321 c.c. e segg.; e che perciò, comprende non soltanto quella positiva sui requisiti (art.
1325 c.c. e segg.) e gli effetti (art. 1372 c.c. e segg.), ma anche l'intero spettro delle patologie ed
inefficacie negoziali, siano esse inerenti alla struttura del contratto, siano esse estranee e/o alla stessa
sopravvenute: come si verifica appunto nelle fattispecie prospettate dalla sentenza impugnata in cui viene
a mancare uno degli atti del procedimento costitutivo della volontà dell'amministrazione (deliberazione di
contrarre, bando, aggiudicazione). E trova giustificazione il principio da decenni enunciato da dottrina e
giurisprudenza, che seppure gli atti della serie pubblicistica e quelli della serie privatistica sono
indipendenti quanto alla validità, primi condizionano l'efficacia dei secondi, di modo che il contratto
diviene inefficace se uno degli atti del procedimento viene meno per una qualsiasi causa (Cass. 5 aprile
1976
n.
1197
e
succ.).
Per queste ragioni le Sezioni Unite, già con la precedente sentenza 20504/2006 relativa ad un contratto di
locazione stipulato da un Comune per l'acquisizione di un'area privata hanno dichiarato la giurisdizione del
giudice ordinario sulla domanda volta ad ottenere la dichiarazione di nullità o l'annullamento del contratto
a seguito dell'annullamento della delibera di scelta dell'altro contraente, adottata all'esito di una
procedura ad evidenza pubblica "non avendo la controversia ad oggetto i provvedimenti riguardanti la
scelta dell'altro contraente, ma il rapporto di locazione derivante dall'atto stipulato in condizione di parità
con quest'ultimo, del quale l'Amministrazione chiede di accertare l'invalidità o l'inefficacia, al fine di
impedirne l'esecuzione; onde le situazioni giuridiche soggettive delle quali si chiede 1"accertamento
negativo
hanno
consistenza
di
diritti
soggettivi
pieni".
Identica situazione è ravvisabile nella fase di esecuzione dell'appalto successiva al provvedimento di
aggiudicazione, segnata dall'operare dell'amministrazione non quale autorità che esercita pubblici poteri,
ma nell'ambito di un rapporto privatistico contrattuale. Per cui nella fattispecie apparteneva sicuramente
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la cognizione della legittimità degli atti della
procedura di gara approvata dal comune di Taranto per il conferimento dell'appalto misto per cui è causa,
nonchè dei provvedimenti relativi al loro annullamento; ed in particolare all'annullamento della
determinazione dirigenziale 2 marzo 2004 n. 25 che aveva aggiudicato definitivamente il servizio all'ATI
con capogruppo s.a. Citelum. Ma alla sentenza impugnata restava precluso ogni sindacato sugli atti di
esecuzione conseguenti all'aggiudicazione, a cominciare dal contratto stipulato in data 12 marzo 2004 tra
quest'ultima ATI e l'amministrazione comunale; che, invece, il Consiglio di Stato ha dichiarato inefficace,
esorbitando dall'ambito della propria giurisdizione limitata dai ricordati L. n. 205 del 2000, artt. 6 e 7 "alle
procedure
di
affidamento
di
appalti
pubblici".
La giurisdizione esclusiva non è nel caso invocabile neppure per il fatto che tale inefficacia è stata
considerata dal giudice amministrativo di appello - che non ha condiviso la declaratoria di nullità del
contratto pronunciata dal TAR - una conseguenza necessaria dell'annullamento giurisdizionale
dell'aggiudicazione:
("in forza del rapporto di consequenzialità necessaria tra la procedura di gara ed il contratto
successivamente
stipulato":
pag.
53); anzitutto perchè vige nell'ordinamento processuale il principio generale dell'inderogabilità della
giurisdizione per ragioni di connessione, salve deroghe normative espresse non rinvenibili nella normativa
in esame (Cass. sez. un. 7859/2001; 1760/2002). E, quindi, perchè valutare l'incidenza dell'annullamento
dell'atto amministrativo di aggiudicazione rispetto al rapporto privatistico che ad esso consegue
costituisce una questione di merito relativa alla verifica della validità e della perdurante efficacia del
contratto di appalto; e significa pronunziare intorno alla ricorrenza o meno delle condiciones juris,
incidenti sulla sua giuridica esistenza e validità iniziale, nonchè, sul perdurare degli effetti legati al
sinallagma
funzionale
(Cass.
sez.
un.
6743/2005;
5179/2004;
931/1999, nonchè 5941/2004; 12629/2006): e non già decidere circa il corretto esercizio del potere di
annullamento di ufficio che deve necessariamente arrestarsi all'adozione del relativo provvedimento
(nonchè alla eventuale pronuncia sul risarcimento del danno conseguente D.Lgs. n. 80 del 1998, ex art.
35).
Ne è conferma proprio la disamina compiuta dal Consiglio di Stato delle variegate posizioni della
giurisprudenza amministrativa e di quella ordinaria sulla sorte del contratto, nonchè dei diritti ed obblighi
dallo stesso derivanti, in seguito all'annullamento del provvedimento che ne costituisce il presupposto;
che in realtà spaziano dalla declaratoria di nullità assoluta (recepita dal TAR Puglia; cfr. Cons. St. 5,
1218/2003; 6281/2002; Cass. 193/2002) alla mera annullabilità invocabile soltanto dall'amministrazione
committente
ex
art.
1441
e
1442
c.c.
(Cass.
11247/2002;
2842/1996;
Cons. St. 6, 570/2002), e comprendono le tesi intermedie che pervengono alla caducazione automatica
(per il venir meno, con efficacia ex tunc, del requisito della legittimazione a contrarre o di uno dei
presupposti di efficacia del negozio: Cons. St. 5, 41/2007; 4, 6666/2003; 6, 2992/2003; Cass.
12629/2006), oppure alla inefficacia (sopravvenuta) del contratto, a sua volta giustificata in base ad
istituti
diversi
(Cons.
St.
6,
4295/2006;
5,
6759/2005;
3463/2004; Cass. 6450/2004), che ora comportano il travolgimento dei diritti acquisiti dai terzi per
effetto dell'atto negoziale, ora consentono la salvezza di quelli acquistati in buona fede (Cfr. Cons. St. 5,
1591/2006; 5194/2005; 7346/2004; 3465/2004). Ma che hanno tutte quale presupposto comune una
vicenda propria dell'atto negoziale rientrante nel sistema delle inefficacie-invalidità (significativamente)
disciplinate dal codice civile: in forza delle quali non se ne producono gli effetti perseguiti, o questi
vengono
a
cessare.
Anche nell'opzione prescelta dalla decisione impugnata, la condizione di inefficacia e l'effetto costitutivo
della caducazione del contratto (perciò stesso non assimilabile ad un mero atto di ritiro) non discendono
dalla statuizione di annullamento adottata dal giudice amministrativo (che pur ne costituisce il
presupposto necessario), ma derivano direttamente dalla legge (così come avviene per le patologie del
contratto dovute a peculiari vizi genetici, e riconosce lo stesso Consiglio di Stato invocando i principi
civilistici sui negozi collegati). La quale, d'altra parte, ben può escluderla come ha fatto il D.Lgs. n. 190 del
2002, art. 14 per le procedure di progettazione, approvazione e realizzazione delle infrastrutture ed
insediamenti
produttivi
strategici
e
di
interesse
nazionale:
disponendo che l'annullamento giurisdizionale della aggiudicazione di prestazioni pertinenti alle
infrastrutture non determina la risoluzione del contratto eventualmente già stipulato dai soggetti
aggiudicatori; e che in tal caso il risarcimento degli interessi o diritti lesi avviene per equivalente, con
esclusione
della
reintegrazione
in
forma
specifica.
Le Sezioni Unite devono, allora, ribadire che i riflessi sul contratto di appalto, del sistema delle
irregolarità-illegittimità che affliggono la procedura amministrativa a monte, devono essere scrutinati in
ogni caso dal giudice ordinario: e, quindi, non soltanto nelle fattispecie di radicale mancanza del
procedimento di evidenza pubblica (o di vizi che ne affliggono singoli atti), ma anche in quella della sua
successiva mancanza legale provocata dall'annullamento del provvedimento di aggiudicazione perchè
nella materia il criterio di riparto delle giurisdizioni non è fondato sul grado ed i profili di connessione tra
dette disfunzioni ed il sistema delle invalidità-inefficacia del contratto; e neppure sulla tipologia delle
sanzioni civilistiche che dottrina e giurisprudenza di volta in volta gli riservano, ma unicamente sulla
separazione imposta dall'art. 103 Cost., comma 1, tra il piano del diritto pubblico (e del procedimento
amministrativo) ed il piano negoziale, interamente retto dal diritto privato: separazione nuovamente
ribadita dall'art. 244 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle
direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE (D.Lgs. n. 163 del 2006), che ha confermato l'attribuzione alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di "tutte le controversie, ivi incluse quelle risarcitorie,
relative a procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella
scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei
procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale". E, per quanto riguarda la
successiva fase contrattuale, soltanto di quelle "relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti, quelle
relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad
esecuzione continuata o periodica, nell'ipotesi di cui all'art. 115, nonchè quelle relative ai provvedimenti
applicativi
dell'adeguamento
dei
prezzi
ai
sensi
dell'art.
133
commi
3
e
4":
nelle quali (almeno fino alla L. n. 359 del 1992, art. 3 e L. n. 109 del 1994, art. 26), la posizione del
contraente privato è stata da decenni qualificata dalla giurisprudenza di interesse legittimo e perciò
devoluta già nel quadro normativo antecedente al D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, alla giurisdizione
generale di legittimità del giudice amministrativo L. n. 1034 del 1971, ex artt. 2 e 3 (Cass. sez. un. 21292,
21293
e
21294/2005;
18126/2005;
1996/2003).
Conclusivamente, spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla domanda volta ad ottenere tanto la
dichiarazione di nullità quanto quella di inefficacia o l'annullamento del contratto di appalto, a seguito
dell'annullamento della delibera di scelta dell'altro contraente, adottata all'esito di una procedura ad
evidenza
pubblica:
posto che in ciascuno di questi casi la controversia, non ha ad oggetto i provvedimenti riguardanti la scelta
suddetta, ma il successivo rapporto di esecuzione che si concreta nella stipulazione del contratto di
appalto, del quale i soggetti interessati chiedono di accertare un aspetto patologico, al fine di impedirne
l'adempimento; che le situazioni giuridiche soggettive delle quali si chiede l'accertamento negativo hanno
consistenza di diritti soggettivi pieni; e che il giudice è comunque chiamato a verificare la conformità alla
normativa positiva delle regole attraverso cui l'atto negoziale è sorto, ovvero è destinato a produrre i suoi
effetti
tipici.
Questo risultato non è contraddetto dalla recente decisione 24658/2007 delle Sezioni Unite, che in una
controversia in cui il giudice amministrativo aveva annullato l'aggiudicazione di un appalto relativo alla,
progettazione di un complesso polifunzionale, ha recepito la tesi della caducazione automatica del
successivo contratto stipulato con l'impresa vincitrice della gara in quanto nella fattispecie esaminata, la
sentenza del Consiglio di Stato gravata dal ricorso, si era limitata ad annullare il provvedimento di
aggiudicazione senza emettere alcuna statuizione in ordine alla successiva vicenda contrattuale.
Era stata invece la stazione appaltante a dedurre che nel caso il contratto di appalto aveva avuto integrale
esecuzione, ed a sostenere in base a tale presupposto (3 motivo) "la insussistenza della giurisdizione del
giudice amministrativo", per essere competente quello ordinario a pronunciare la caducazione del
contratto. Ma la Corte non ha condiviso tale prospettazione che modificherebbe il criterio di riparto delle
giurisdizioni - delineato dalla L. n. 205 del 2000, artt. 6 e 7 con esclusivo riguardo alla fase pubblicistica o
privatistica dell'appalto - in funzione dell'esaurimento di quest'ultima fase; ed in conformità alla propria
consolidata giurisprudenza ha ribadito anche in tal caso la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo a pronunciare in ogni momento (Cass. sez.un. 1142/2007 cit.) l'annullamento del
provvedimento di aggiudicazione, ritenendo al riguardo ininfluente l'intero effetto- vicenda negoziale da
esso
derivato
(Cass.
sez.
un.
4508/2006;
13296/2005; 5179/2004). E rilevando che era invece la fase esecutiva del rapporto ad esser priva di
autonomia propria, in quanto destinata a subire gli effetti del vizio che inficia il provvedimento
amministrativo cui è collegata, nonchè a restare immediatamente travolta in conseguenza del suo
annullamento senza richiedere pronunce di caducazione o atti di ritiro dell'Amministrazione.
E sempre sulla distinzione tra la fase pubblicistica scandita dalle regole della evidenza pubblica e la
successiva fase negoziale è stato fondato il criterio di riparto delle giurisdizioni anche in un appalto di
servizi da Cass. sez. un. 24668/2007 che ha specificato, da un lato come l'intera procedura diretta alla
scelta dell'altro contraente e fino all'atto di aggiudicazione nei diversi momenti in cui si articola sia
devoluta dal legislatore alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,unitamente alla tutela
risarcitoria completiva, pur se chiesta senza quella demolitoria (D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 35, come
recepito dalla L. n. 205 del 2000, art. 7). Ma dall'altro, ha riaffermato che il provvedimento di
aggiudicazione "segna il momento terminale dell'esercizio della fase pubblicistica", sicchè nella fase
successiva concernente l'esecuzione del rapporto resta operante la giurisdizione del giudice ordinario,
quale
giudice
dei
diritti
e
degli
obblighi
di
ciascun
contraente.
Pertanto, in accoglimento del ricorso, le Sezioni Unite devono dichiarare la giurisdizione del giudice
ordinario in relazione alla declaratoria di inefficacia del contratto suddetto, e conseguentemente cassare
la sentenza impugnata limitatamente a tale parte. Mentre la peculiarità delle questioni trattate, che aveva
già indotto il Consiglio di Stato, a compensare tra le parti le spese dell'intero giudizio, induce il Collegio a
confermare detta statuizione e ad estenderla anche a quelle di questa fase.
P.Q.M.
La Corte, a sezioni unite, accoglie il ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, cassa la
sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e dichiara interamente compensate tra le parti le spese
di
questa
fase
del
giudizio.
Così
deciso
in
Roma,
il
9
ottobre
2007.
Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2007 .
In materia di appalto di opere pubbliche è competente il g.a. in via esclusiva solo per le controversie
derivanti dalle procedure di affidamento dei lavori, mentre per le controversie inerenti l’esecuzione del
contratto resta la competenza del g.o. Pertanto, in caso di rescissione di contratto di appalto, pur essendo
questo rivestito della forma dell’atto amministrativo, che costituisce una forma di autotutela della p.a.
incidente su posizioni di diritto soggettivo, da cui ne consegue che le contestazioni inerenti il legittimo
esercizio di tale forma di autotutela e i diritti consequenziali appartengono alla giurisdizione del g.o.
Tribunale Nocera Inferiore, sez. I, 11 dicembre 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER LA CALABRIA
SEZIONE STACCATA DI REGGIO CALABRIA
composto dai Magistrati:
- GIUSEPPE CARUSO Presidente
- DANIELE BURZICHELLI Consigliere
- CATERINA CRISCENTI Consigliere rel. est.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 118/07 R.G. proposto da ASSOCIAZIONE Piccola Opera
Papa Giovanni - ONLUS, rappresentata e difesa dagli Avv.ti CHIOFALO
Giuseppe e CHIOFALO Cristiano e presso il cui studio sito in Reggio
Calabria, Via Filippini, 19 è elettivamente domiciliata
CONTRO
Comune di Villa San Giovanni, in persona del legale rappresentante
pro tempore, non costituito in giudizio
Cooperativa Servizi Sociali SKINNER, non costituita in giudizio
Cooperativa Sociale ROSE BLU a r.l., rappresentata e difesa, solo per
la fase cautelare ante causam, dagli Avv.ti Prof. Aldo TIGANO e Mario
CORIGLIANO domiciliati, per legge, presso la Segreteria del Tar
per l'annullamento
del bando di gara del 19 gennaio 2007, con il quale il Comune di
Villa S. Giovanni - Ambito n. 14 - Settore pubblica istruzione/socio
- culturale, ha indetto una gara d'appalto per l'affidamento del
servizio di assistenza a persone disabili, nonché di ogni altro atto
presupposto e connesso, con conferma del decreto cautelare ante
causam emesso dal Presidente del Tar in data 7 febbraio 2007
Vista l'istanza ex art. 245, co. 3, D.lgs. 12 aprile 2006 n. 163,
notificata in data 5 febbraio 2007 e depositata il successivo giorno
6, con la quale l'ASSOCIAZIONE Piccola Opera Papa Giovanni - ONLUS premesso che il Comune di Villa San Giovanni, nell'indire con bando
del 19 gennaio 2007 una gara d'appalto per l'affidamento del servizio
di assistenza a persone disabili, illegittimamente l'ha riservata
alle Cooperative di tipo sociale costituite ai sensi della l.n.
381/91, e relativi consorzi, impedendo così la partecipazione delle
Onlus - ha chiesto al Presidente di questo Tar un intervento
cautelare al fine di evitare che l'offerta presentata da essa
ricorrente potesse essere esclusa e la gara svolgersi tra le sole
Cooperative di tipo sociale;
Visto il controricorso presentato nell'interesse della ROSE BLU Coop.
Soc. a r.l., col quale si è dedotto l'inammissibilità di un
intervento cautelare di tipo interamente anticipatorio;
Visto il decreto cautelare ante causam del 7 febbraio 2007 con il
quale il Presidente, "considerato che per la presentazione delle
offerte e per l'aggiudicazione sono stati fissati rispettivamente i
termini dell'8 e del 9 febbraio 2007" ha accolto l'istanza e sospeso
l'efficacia del bando di gara, ordinando, altresì, alla ricorrente di
notificare il decreto alle altre parti "entro il temine di giorni due
e cioè entro il 9 febbraio 2007";
Visto il ricorso, con i relativi allegati, notificato in data 12-3
marzo 2007, dal quale, tra l'altro, si evince che, a seguito di
notifica del decreto cautelare, il Capo settore del Comune di Villa
S. Giovanni, con determina n. 15/ISC dell'8 febbraio 2007, ha sospeso
la gara in oggetto;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore il Consigliere Caterina CRISCENTI per la Camera di
Consiglio del 4 aprile 2007;
FATTO E DIRITTO
Rilevato che il procuratore dell'Associazione ricorrente ha prodotto, nella camera di consiglio fissata per la
trattazione della domanda cautelare, copia dell'avviso di annullamento della gara in oggetto, disposta dal
Capo
settore
del
Comune
resistente
con
determina
n.
53/ISC
del
27
marzo
2007;
che la difesa ha, dunque, rilevato l'intervenuta cessazione della materia del contendere ed ha insistito per
la
condanna
alle
spese
della
controparte,
producendo
relativa
nota;
Ritenuto che può procedersi, con decisione in forma semplificata, alla definizione del giudizio ai sensi degli
artt. 3 e 9 l.n. 205/00, come richiesto dalla parte, ricorrendo l'ipotesi di improcedibilità del ricorso;
che avendo, infatti, l'amministrazione assunto la determinazione di annullare il provvedimento impugnato,
soddisfacendo integralmente, per questa fase, l'interesse giuridicamente protetto azionato in giudizio, il
Tribunale non può che adottare una pronuncia di cessazione della materia del contendere;
Ritenuto, altresì, che le spese della lite, considerato il comportamento complessivo dell'amministrazione
appaltante, possono essere poste a carico di quest'ultima per ¾ e compensate per la restante parte,
mentre
devono
essere
compensate
per
intero
nei
confronti
delle
controinteressate;
che, ai sensi dell'art. 13, co. 6 bis, T.U. n. 115/02, deve, invece, essere posto a carico del Comune
soccombente,
per
intero,
il
contributo
unificato;
che, tale contributo è dovuto nella misura totale di 2.000,00 (pari a quella effettivamente pagata dalla
ricorrente), e non di 4.000,00 (2.000,00 per l'istanza cautelare e 2.000,00 per il ricorso), come indicato
nella
nota
spese;
che, infatti, deve ritenersi applicabile in via analogica (mancando una specifica disposizione che disciplini,
per quanto concerne il contributo unificato, questa fattispecie di domanda cautelare prevista, nel giudizio
amministrativo, solo per il processo in materia di contratti pubblici di cui all'art. 245 cit.) la regola
dell'esenzione posta dall'art. 10, co. 5, T.U. cit, che, se pure letteralmente riferita alla domanda presentata
in corso di causa, può comprendere anche la fattispecie in parola che riguarda una istanza cautelare, che
sebbene proposta anteriormente alla notificazione del ricorso, mantiene i caratteri dell'accessorietà e
della strumentalità rispetto al successivo giudizio di merito e che, quindi, non dà luogo ad una autonoma
iscrizione
a
ruolo;
che la previsione del versamento di un autonomo contributo - pur ipotizzata per la domanda cautelare ex
art. 245 cit. in sede di primo commento sul "nuovo contributo unificato", quale risultante a seguito della l.
4 agosto 2006 n. 248 e della l. 27 dicembre 2006 n. 296 - è prevista (peraltro, in misura ridotta alla metà)
dall'art. 13, co. 3, T.u. n. 115/02, per i processi speciali previsti nel libro IV, titolo I, del codice di
procedura civile, tra cui sono compresi i processi cautelari, che però non sono caratterizzati da rigoroso
vincolo di strumentalità rispetto al giudizio di merito, come è invece nel processo amministrativo
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria - Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo dichiara improcedibile per cessazione
della
materia
del
contendere.
Condanna il Comune di Villa San Giovanni a rimborsare alla parte ricorrente un quarto delle spese della
lite, liquidate in 1.250,00 per spese, diritti e onorari, oltre 2.000,00 per contributo unificato, e dichiara
compensate
tutte
le
restanti
spese.
Ordina
all'autorità
amministrativa
di
eseguire
la
presente
decisione.
Così
deciso
in
Reggio
Calabria,
nella
Camera
di
Consiglio
del
4
aprile
2007.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 27 APR. 2007.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER IL VENETO
prima sezione
DECRETO N. 2/07
IL PRESIDENTE F.F.
ha pronunciato il seguente
DECRETO
Vista l’istanza ex art. 245, 3° comma, del D.Lgs.vo 12.4.2006, n. 163 proposta da MEDILOG GMBH, in persona dell’Amministratore
delegato pro tempore, anche nella sua qualità di mandataria/capogruppo dell’ATI con la mandante STERI CONSULT GMBH, nuova denominazione
sociale della ZEHNACKER CLEANICAL GMBH, rappresentata e difesa dagli avv.ti Fabio A. Roversi Monaco e Antonino Morello, con elezione di
domicilio presso lo studio dell’avv.to Franco Zambelli in Venezia Mestre, Via Cavallotti 22,
CONTRO
l’AZIENDA OSPEDALIERA di PADOVA, in persona del Direttore Generale pro tempore,
l’AZIENDA ULSS n. 16 PADOVA, in persona del Direttore Generale pro tempore,
e nei confronti
del CPSIS – CONSORZIO POLO STERILIZZAZIONE INTEGRATA IN SERVICE, in persona del legale rappresentante pro tempore,
della ATI costituita tra CPSIS – CONSORZIO POLO STERILIZZAZIONE INTEGRATA IN SERVICE, e SERVIZI ITALIA S.P.A., in persona del
legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv.to Benedetto Giovanni Carbone, con elezione di domicilio presso lo studio
dell’avv.to Mario Barioli, in Venezia Mestre, Via Torino 151/C,
della SERVIZI ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,
della SERVIZI ITALIA S.P.A., nella sua qualità di mandante dell’ATI CPSIS – CONSORZIO POLO STERILIZZAZIONE INTEGRATA IN
SERVICE e SERVIZI ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,
Considerato che, nei termini prospettati dalla parte ricorrente non sembrano sussistere - allo stato – apprezzabili ragioni di eccezionale
gravità ed urgenza sotto lo stretto profilo del danno - impregiudicata restando ogni valutazione del fumus boni iuris in sede di esame del proponendo
ricorso, - tali da non consentire neppure la previa notifica dell’impugnativa in forma ordinaria con contestuale richiesta di misure cautelari provvisorie
di cui all’art. 21, comma 9, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034;
P.Q.M.
Respinge l’istanza in epigrafe.
Il presente decreto sarà eseguito dall'Amministrazione ed è depositato presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne
comunicazione alle parti.
Venezia, lì 25 settembre 2007.
Il Presidente f.f.
Il Segretario
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER IL VENETO
PRIMA SEZIONE
DECRETO N.
IL PRESIDENTE F.F.
ha pronunciato il seguente
DECRETO
Vista l’istanza ex art. 245, 3° comma, del D.Lgs.vo 12.4.2006, n. 163 proposta da
TRASPORTI ECOLOGICI S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv.to Donatella Cerqueni, con
domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ai sensi dell'art. 35 R.D. 26.6.1924 n. 1054;
CONTRO
La ETRA S.p.a. – Energia Territorio Risorse Ambientali, in persona del legale rappresentante pro tempore;
il COMUNE di SELVAZZANO DENTRO (PD), in persona del Sindaco pro tempore;
il SETTORE TECNICO – UFFICIO AMBIENTE del COMUNE di SELVAZZANO DENTRO (PD);
e nei confronti
di SESA – Società Estense Servizi Ambientali s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore;
di SIT – Societa’ Igiene e Territorio S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore;
Rilevato che la domanda cautelare in epigrafe non risulta supportata da alcuna documentazione, ancorchè minimale, idonea a consentire a questo
giudice l’adozione di qualsivoglia statuizione al riguardo e che la stessa va, pertanto, dichiarata all’evidenza inammissibile, non potendo comunque
questo stesso giudice provvedere in questa sede a formalità istruttorie (cfr. art. 245, comma 4, seconda parte, D.L.vo cit.; “Il Presidente o il giudice da
lui delegato provvede sull’istanza, sentite ove possibile le parti e omessa ogni altra formalità”) con la conseguenza che la sospensione cautelare degli
atti impugnati, a’ sensi dell’art. 245, comma 5, D.L.vo citato, può ora essere accordata – ove del caso – soltanto dopo l’inizio del giudizio di merito.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, dichiara inammissibile la domanda cautelare in epigrafe.
Dispone che il presente provvedimento sia notificato a cura del richiedente alle altre parti nel termine perentorio di giorni ginque dalla sua emissione,
autorizzando fin d’ora la notifica a mezzo fax.
La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione
alle parti.
Venezia, lì 3 agosto 2007.
Il Presidente f.f.
(Cons. Fulvio Rocco)
Il Segretario