Un Passo nella Fiaba - associazione agalma
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Un Passo nella Fiaba - associazione agalma
Seminario di riflessione Firenze, 16/23/30 Ottobre 2009 Organizzato dell’Associazione Agalma e curato dai relatori: Rossella Benedetti ; Counselor sociale e ad orientamento psicoanalitico membro fondatore e presidente dell’associazione Agalma. Ileana Ceccarelli; Counselor sociale ad orientamento psicoanalitico , membro sostenitore dell’Associazione Agalma. Con la collaborazione di; Elena Bazzani e Tommaso Fiorenza Counselor sociali ad orientamento psicoanalitico, membri fondatori dell’Associazione Agalma. Un passo nella fiaba Presentazione L’avventura di ogni bambino è abitata da piccole e grandi domande alle quali è difficile dare una risposta. Il mondo delle fiabe apre un canale comunicativo laterale, che mette in condizioni i più piccoli di affrontare la propria avventura, accompagnati dai personaggi fantastici e dalla narrazione dell’adulto, che può fare della fiaba uno strumento di ascolto. Durante lo svolgimento di questo seminario si sono affrontati gli argomenti cardine che la fiaba rappresenta come metafora di ascolto, mettendo in evidenza quali sono gli elementi che fanno della fiaba un momento nel quale, il mittente offre al destinatario, uno spazio ed un tempo che mette in condizioni il soggetto di esprimersi a partire dalle proprie peculiarità. L’orientamento psicoanalitico che in modo trasversale ha caratterizzato il seminario, ha affrontato, anche se in modo epidermico, la posizione dell’adulto nei diversi ruoli e le caratteristiche che abitano il soggetto nella relazione, genitoriale e educativa, con un bambino, mettendo in evidenza che, quanto più l’adulto riconosce i propri limiti, tanto di più il bambino potrà costruirsi la propria identità a partire dalla soggettività che lo caratterizza come soggetto desiderante, differente da chiunque altro. 1 Venerdì 16 Ottobre 2009 La voce delle fiabe… ….per attraversare il bosco delle paure infantili. L'AMBIVALENZA E LA FIABA Ileana Ceccarelli Vorrei richiamare l'attenzione sull'ambivalenza, presente nella fiaba, e sulla sua doppia funzione; e sottolineare brevemente anche l'importanza di un altro elemento sempre presente in ogni fiaba: la voce. L'ambivalenza, dunque. Le fiabe sono piene di contrasti, i quali, conservando per l'appunto la traccia dell'ambivalenza, lasciano spazio alla riflessione. Giusto per fare qualche esempio, per quanto riguarda l'ambientazione delle fiabe, il tratto scenico insomma, possiamo citare la coppia giorno/notte, che ci rimanda alla simbologia luce/ombra : la notte, l'ombra ci parlano simbolicamente di ciò che non si vede, di ciò che si nasconde e si può nascondere; e anche di ciò da cui ci si può nascondere. La notte è il tempo dei fantasmi, il tempo in cui anche i ‘nostri fantasmi’ prendono forza per mostrarsi......e farci paura Un altro esempio di contrasto può essere visto nel cibo, che viene presentato simbolicamente nella sua forma di nutrimento, ma anche di distruzione (vita/morte). Ne sono un esempio la 'mela ' in Biancaneve , la 'casa di marzapane ' in Hansel e Gretel, tanto accattivante e appetitosa ma che si rivela alla fine una trappola che rischia di essere mortale. In ogni fiaba c'è quindi il bene e il male, l'amore e l'odio, rappresentato con gli avvenimenti e nelle azioni dei personaggi. Tra di essi, quelli fondamentali nella vicenda dei protagonisti sono sempre i familiari e, ancor più, i genitori. La madre, in quanto testimone, per l'appunto, di quell'opposto fondamentale che è vita/morte; la madre, in quanto incarnazione di quell'opposto per eccellenza, perché è lei che, per sua natura, contiene e conserva in se stessa quel nucleo di doppio, quella possibilità sempre presente per ogni uomo che è la vita e il suo opposto: la morte. 2 Anche quando è assente, in parte o del tutto, perché è morta, la figura della madre occupa infatti un posto rilevante nella fiaba perché riconduce simbolicamente all'origine della vita. La contrapposizione tra madre buona e madre cattiva ci racconta dell'ambivalenza presente in ogni essere umano, ambivalenza che, se riferita alla madre però, non può essere presentata nella fiaba in modo brutale e palese, bensì solo attraverso una netta divisione tra madre buona a madre cattiva ( e quindi: madre naturale- fata / matrigna-strega ), perché il bambino non è ancora pronto a riconoscere e ad accettare tale coesistenza di bene-male nella figura materna. Se il padre, che rappresenta l'ordine, il divieto, può essere presentato come distante, freddo e addirittura anche come un giudice crudele, la madre, che è ventre che genera, terra che nutre e fa vivere, deve a tutti i costi essere protetta nella sua bontà, perché è solo salvando lei che si può effettivamente salvare anche la propria esistenza. Quindi nelle fiabe la madre buona muore, se mai, e lascia il posto cattivo alla matrigna. Il padre, abbiamo detto, può essere presentato in modo più severo rispetto alla madre, rispecchiando del resto quello che già in effetti succede nella relazione familiare, dove la sua posizione è, per l'appunto, di colui che detiene la legge e la fa rispettare. Perlomeno, così dovrebbe essere. Però.... La forza della legge, lo sappiamo, può anche prendere la mano e diventare eccessiva; può diventare una forza che prende il sopravvento sul Soggetto, fino a schiacciare, cancellare l'Altro, fino a manifestarsi in quelle forme estreme che presentano l'altra faccia della legge, il suo opposto: l'animalità. Due parole in più, soffermandoci su questo contrasto : Legge / Animalità Risalendo nella notte dei tempi . La legge nasce da un atto scellerato : dall’uccisione del padre-capo del branco da parte dei fratelli che decidono di porre fine all’illimitato soddisfacimento (sessuale) del padre-padrone verso le sorelle. Questo limite imposto dal figlio al padre è diventato simbolo, legge. Si è insomma sublimato. A cominciare da quell’atto estremo, da quella forza-bruta usata per fermare quell’altra forza-bruta, si sono istituite delle regole: è nata la famiglia ( dentro la quale ogni membro assume una specifica posizione che è tenuto a rispettare ) e quindi è nata la Civiltà. A partire da quella scelleratezza insomma si è voluto stabilire un ordine nelle relazioni umane, nel mondo. Il padre allora, se vuole portare avanti tale discorso e farsi detentore di Legge, quindi di Civiltà, ‘deve’, in prima persona, dimostrare al figlio di farsi carico del sacrificio del proprio ‘godimento’ senza freni; 3 insomma, se chiede al figlio di obbedire, lo può fare non sotto il segno di un proprio arbitrio autoritario, ma di una Legge che vale anche per lui stesso , altrimenti, come per l’appunto dice il bambino stesso : “ eh, però così non vale!” Perché? Perché sotto, sotto non c’è un discorso chiaro, giusto, corretto, ma c’è un discorso ‘perverso’. E il bambino lo sente. Il lato animale della legge è praticamente il divieto assoluto e automatico senza amore e rispetto. E’ il comando in sé e per sé, privato di un trasferimento di un’etica del vivere, di un Sapere. La voce del padre, la sua “pasta-vocale” conserva ancora con sé la traccia di quel forte contrasto presente nell’uomo, contrasto agito, divenuto atto in quella notte dei tempi. A questo atto è d’altra parte legata quella ‘paura’ atavica verso il padre ( quel ‘senso di colpa’ per averlo ‘simbolicamente’ ucciso ), così come anche da parte del padre si conserva una paura verso il figlio, paura sempre legata a quell’atto: è la paura di essere superato dal figlio. Nel senso di essere ‘simbolicamente’ ucciso, appunto, per es. con l’essere ‘messo da parte’, cosa che in fondo avviene sempre alla nascita del figlio dove il padre, per l’appunto, è escluso dalla diade madre-infans. Il padre , dal punto di vista di quella diade, è il ‘terzo’, l’estraneo. Ma non è tutto. Anche dalla parte del padre inizialmente il figlio è, in fondo, percepito come un estraneo, un “intimo estraneo”. E’ solo col tempo che si costruisce la loro relazione, se si costruisce. Quando la legge diventa una forza bruta e non rispetta più l'altro, quando il limite viene superato e non c'è più controllo, manca anche il rispetto verso le stesse regole stabilite, e allora vuol dire che non c'è più legge in atto. Per tornare alla fiaba e a ciò che in essa si può o non si può dire. E come si fa ad accettare che colui che pone dei limiti, non rispetti i propri? Come si può condividere che colui che detiene la legge ne abusi? Come si può, soprattutto quando si è bambini? Il padre, che rappresenta la legge, non può essere lui stesso un fuori-legge. Sarebbe la fine. La fine della Civiltà. E la fiaba invece deve aiutare il bambino a fargli fare i suoi primi passi dentro la 4 Civiltà, senza però obbligarlo, bensì solo stimolandolo affinché desideri da se stesso di mettere in atto certi comportamenti piuttosto che altri. Voglio dire: attraverso gli avvenimenti della storia, la fiaba permette al bambino di ri-ordinare se stesso senza però imporglielo, ma semplicemente fornendogli la possibilità di toccare con mano ciò che è giusto o ciò che è sbagliato e, nel riconoscerlo da sé, il bambino può quindi anche decidere di metterlo in pratica. Contemporaneamente la fiaba deve proteggerlo da dolori troppo forti; il bambino deve poter sperare e la fiaba lo aiuta in questo. Quindi, anche se nella realtà, purtroppo, lo sappiamo, esiste il padre-padrone, nelle sue varie sfumature di intensità di forza-bruta, la fiaba non è lì per dire la verità, bensì è lì per rassicurare il bambino, per aiutarlo a distinguere il bene dal male, per fornirgli quella forza e fiducia che lo aiutino a sviluppare le proprie risorse interiori. La fiaba deve rispondere al desiderio del bambino e deve potergli suggerire, di traverso, la risposta al suo problema E quello che il bambino desidera non è di certo di essere sbranato...... dal padre! Per questo c’è il lupo, l’orco, ecc. ecc. ; quel rischio, se mai, lo si può correre con loro e, di fronte a loro, la paura può risalire, può farsi avanti liberamente e, magari, sciogliere. L’ambivalenza quindi, come importante filo conduttore nelle fiabe. E, il bambino è attratto da tutti questi contrasti. Partecipa emotivamente e attivamente all’ascolto della fiaba, sia quando si racconta della fata o quando si parla della strega, del lupo o del cacciatore; e, più la ‘scena reale’ si fa capace di avvicinarsi a quanto si dice con le parole, più il bambino può entrare in quella …. sospensione ….. di cui la fiaba si fa carico. Sospensione di verità, ma anche di menzogna. Perché è vero che la fiaba non dice la verità, ma è anche vero che non mente mai : tra chi racconta e chi ascolta si parte sempre dal rispetto di questo patto: Chi racconta non sta dicendo il vero: non l’ha mai sostenuto; ma neppure lo si può tacciare di falso. Chi ascolta decide volontariamente di sospendere l’incredulità, anche se sa che ciò che ascolterà non sarà la verità. In tale atmosfera di sospensione, la ‘voce’- narrante gioca un ruolo decisivo quando riesce a farsi vero ‘corpo’ della parola. Mi spiego. 5 Se il narratore si fa carico di presentare la storia colorandola delle giuste e dovute intonazioni, se la ‘pasta-vocale’ si presenta cioè via via nelle sue numerose varietà di modulazione: morbidezza o durezza, rotondità o spigolosità, abissalità o leggera musicalità, e si fa assente….. in …. piccoli…. Brevi … ma allusivi o paurosi silenzi….. in relazione, per esempio, a descrizioni di ambienti, o di personaggi, o di azioni commesse da tali personaggi, o di parole proferite da essi, beh, quella voce, corpo della parola, aiuta il bambino a calarsi in quella sospensione, ad assumere sul proprio corpo quelle emozioni che passano da quell’incontro e quindi a vivere la ‘propria’ di verità. ( La voce, rappresentante dell’oggetto 'piccolo a' è, dice Lacan, il vettore dell’esperienza più prossimo all’inconscio.) E’ anche a partire dalla voce-narrante che il bambino può quindi avere la possibilità di riacchiappare qualche eco lontano; che può, in quella sospensione, intravedere qualcosa di intimo in cui ritrovarsi; di intimo (e dunque in un qualche modo di conosciuto), ma contemporaneamente anche di estraneo ( dunque di sconosciuto), e di sentirne addosso gli effetti. ( Perturbante ) E’ in questo senso che volevo sottolineare l’importanza della voce nella fiaba, inquadrandola d’altra parte anch’essa nel discorso dell’ambivalenza. Si può dire infatti che sin da subito insomma la voce si mostra al bambino nella sua duplicità: da una parte accoglie, cura, rassicura; dall’altra nega, respinge, distrugge, ordina. Addirittura già da prima della nascita le voci dei genitori hanno il potere di calmare o agitare il feto; e questa è già la conferma dei due aspetti contrastanti esistenti nel familiare: il rassicurante e l’angosciante ( = Perturbante) E allora: la voce-narrante della fiaba può far ritornare in tutta la sua potenza quelle tonalità affettive che sono state registrate in << quell’eco iniziale del mondo >>; le può far ritornare per permettere al bambino di riconoscerle in quell’ après-coup della fiaba e, da lì, aiutarlo a ‘parlare’ raccontandosi. 6 LA VOCE DELLE FIABE Rossella Benedetti Ogni fiaba contiene una storia, ogni storia nasconde mille “fiabe” diverse a seconda della storia di chi le leggerà ... Il termine fiaba deriva dal latino fabula e la traduzione più generica di fabula è diceria, discorsi della gente, commedia. Le fiabe nascono dalle storie degli uomini che per tramandarle le scrivono nei libri, pagine bianche macchiate d’inchiostro, da segni chiamati scrittura, la quale nasconde diversi linguaggi, tutti accomunati da un unico fondamentale strumento; la voce. Senza di essa non esiste fiaba che possa rappresentare tutto il suo valore. Pagine mute che non trovano ascolto. La potenza della fiaba infatti, passa inequivocabilmente dal fonema, che s’incarna nella voce, emittente che passa al destinatario e s’investe di emozioni. Così le fiabe diventano strumento di ascolto, attraverso il quale si possono raggiungere anfratti, talvolta labirintici, del proprio essere. Le fiabe sono scritte da adulti e sono per gli adulti, (questo non vuol dire che non si possono leggere ai bambini ma che sono uno strumento molto importante affinché il bambino ne possa beneficiare), anelli che ci legano al passato, alle tradizioni, alle credenze popolari, che mantengono vivi miti e aneddoti, come patrimoni genetici che si tramandano da padre in figlio, da generazione a generazione e protagonista di questo passaggio è sempre la parola, oggetto piccolo (a),… rappresentante del residuo del godimento, che si produce nelle prime esperienze libidiche infantili, e che prende il posto dell’oggetto perduto, della prima esperienza di godimento totale (l’oggetto materno). il residuo di questo “godimento” spinge il soggetto a desiderare ed il desiderio è diverso per ognuno. Adesso non vogliamo inoltrarci nella clinica, non ne abbiamo le competenze e sarebbe fuori luogo, serve soltanto a spiegare che la voce è un’emittente importante che rimanda ad un qualcosa di personale. Attraverso l’altro dunque la fiaba s’incarna ed è investita nella sua prima trasformazione e interpretazione, pronta per fare ingresso, accompagnata da una posizione laterale, nell’immaginario del destinatario, generalmente fanciullo, alla quale si dedica questo magico strumento per elaborare piccoli e grandi avventure, più o meno difficili. La fiaba così, come un bell’abito cambia secondo lo stile del soggetto che lo “indossa”, (se dico bosco, ognuno se lo immagina in maniera diversa) aprendo le porte ad un mondo fantastico che nasconde personaggi facilmente reperibili nella realtà del soggetto bambino. La fiaba infatti, per la sua caratteristica, parla attraverso personaggi estrusi alla realtà e delle difficoltà che si possono incontrare nella grande avventura che la vita rappresenta, pertanto giustifica anche eventi forti e difficili ai quali il bambino spesso si trova del tutto impreparato; in pratica se qualcuno ne parla, anche attraverso le pagine di un libro che rappresenta una posizione Altra nell’immaginario del bambino, vuol dire che certe cose posso succedere anche ad altri e che “non sono solo” nelle mie difficoltà... ...Poi la fiaba continua e si scoprono strategie per risolvere esperienze anche apparentemente insormontabili, ed è a quel punto che i personaggi della storia parlano all’inconscio del bambino aprendo nuovi orizzonti e nuove possibilità. 7 Davanti ad un focolare, sul dondolo di fianco al lettino, sul manto vellutato di un prato, in cucina mentre si prepara la cena, durante un temporale, ogni ora ed ogni luogo si può trasformare in un tempo dove la narrazione diviene un momento di ascolto, uno strumento mediante il quale si possono conoscere piccoli e grandi universi nascosti. Momenti magici che offrono la possibilità di comunicare con i più piccoli che, attraverso la fiaba possono trovare il coraggio per dare parola a paure, incertezze e emozioni nascoste dietro le quinte del proprio essere, troppo anonime per salire sulla scena, troppo invisibili agli occhi per essere notate, ma vere e essenziali quanto veementi, in cerca di un modo per emergere. Aspetti aggressivi nei confronti dei genitori, generalmente della madre, sono molto frequenti nei bambini, e direi quasi fisiologici, ma negati dalla paura di esprimerli. L’adulto per primo non accetta questo aspetto, né in se stesso tanto meno nel bambino perché ne è spaventato. Nelle fiabe moderne riscritte da Perrault e da Walt Disney sono rimossi questi aspetti aggressivi che si ritrovano ormai soltanto nelle fiabe antiche, Nel Il culto de li culti di Giambattista Basile, ci sono fiabe a noi note, che conosciamo soltanto per metà, soltanto nella parte più bella della favola, quello che ci vogliamo sentire dire e se la realtà, fiaba antica, non corrisponde al nostro modello la modifichiamo. Sarebbe come dire non mi piace l’infinito di Leopardi, lo riscrivo come piace a me… sembra ridicolo, ma che differenza c’è fra la fiaba e la poesia, quando si modifica la letteratura? La ricchezza delle fiabe nasce dalle sue molteplici appartenenze, figlia di tutti i tempi e di tutte le latitudini, vanta un largo spettro di esperienze che avvolge tutte le generazioni in ogni luogo. Ogni fiaba è abitata da un bosco; luogo oscuro, imprevedibile per eccellenza, dove si attraversano riti di iniziazione e di passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Il bosco, tra luci ed ombre mette il soggetto in condizioni di entrare in contatto con la parte più intima di sé, lontano dai riferimenti genitoriali, dalla protezione materna, che trattiene, che confonde i limiti dell’atro proiettando su esso sempre il proprio bambino nascosto perennemente in cerca d’amore. Il bosco è il luogo dell’inconscio, che racchiude gli antichi poteri della foresta, luogo sacro, dentro il quale il soggetto vi è immerso, ma inconsapevole delle forze e delle creature che lo abitano. All’interno cambiano le dimensioni e le percezioni, amplificate da un sentire Altro, lì si avverte il perturbante, che si rappresenta in forma immaginaria come qualcosa che il soggetto sente ma non vede, talvolta ne è spaventato e trova da solo strategie per rendere visibile ciò che non si può definire, il perturbante appunto!| Il perturbante è presente in ogni fiaba, e rappresenta una presenza di cui è sconosciuta l’identità e la forma. Il perturbante è qualcosa che disturba il soggetto, che attraverso la fiaba può emergere e trovare canali espressivi nelle diverse forme che rappresentano il piano simbolico. Una rimozione degli aspetti perturbanti rende impossibile un’ articolazione della vita interiore con la sua pregnanza affettiva, dove risiede una trama costituita da pulsioni distruttive e pulsioni riparatorie. Adalinda Gasparini, una psicoanalista che cura molto bene il simbolismo delle fiabe, sostiene che una rimozione delle pulsioni aggressive, provoca nelle migliori delle ipotesi una personalità nevrotica. 8 Insegnare ai figli a rimuovere tutti agli aspetti oscuri, non significa proteggerli, gli aspetti perturbanti, insieme e quelli avvenenti costituiscono il nostro essere. Negare questi aspetti non ci impedirà di essere ciò che siamo, piuttosto mineranno i nostri rapporti sociali. Non ci sono chiavi che riescono a chiudere parti vere di noi. I nostri fantasmi riusciranno ad uscire da qualsiasi labirinto possiamo costruirci. Fanno eco nelle nostre emozioni e si manifestano con atti di rabbia. Gli impulsi distruttivi fanno parte di ognuno di noi, del nostro bagaglio genetico, noi li temiamo tanto da rimuoverli anche nelle fiabe. Chiuso dentro la copertina di un libro, il mondo delle fiabe sopito, aspetta di essere raccontato attraverso vicende ambientate in un mondo nel quale elementi magici e fantastici si intrecciano con tratti di vita reale.Quello delle fiabe è un mondo meraviglioso popolato da fate , maghi , principi e principessa, ma anche da orchi , draghi , animali parlanti dotati di poteri straordinari, dove trasformazioni e incantesimi sono normali e dove la morte, sovente temporanea, avviene per divoramento e inghiottimento. Di fianco a questo mondo incantato, un mondo, sotto molti aspetti, normale, fatto di famiglie, povertà, viaggi verso la fortuna, di bambini in difficoltà. Così la fiaba, nella sua narrazione offre, come la commedia in un teatro, una maschera un personaggio, per trovare il coraggio e l’opportunità di risalire sentieri profondi del proprio essere e conquistare la scena. Nel bosco il personaggio fiabesco, spesso umano, trova la forza per affrontare pericoli, scopre i suoi talenti si sperimenta con i propri limiti ed affronta le proprie paure. Tonerà al luogo di origine lasciandosi alle spalle la propria fanciullezza, nascosta fra le fronde di quel luogo profondo che risiede dentro ogni essere soggetto. Viene così simboleggiato il rito di passaggio dalla fanciullezza all’età adulta. Di pagina in pagina, di storia in storia, di giorno in giorno, le fiabe accompagnano il bambino ad affrontare l’avventura dei cuccioli d’uomo seguiti da strani personaggi che inconsapevoli o meno, sanno parlare all’inconscio del soggetto, aiutandolo a trovare soluzioni possibili alle difficoltà che inevitabilmente ogni persona trova nel proprio percorso evolutivo. Il modo dei bambini è come un altalena che spesso offre la possibilità di vedere da un'altra prospettiva, oscilla fra inconsapevolezza, spontaneità ma anche paura. Le paure dei bambini sono paure vere, senza filtri di una percezione reale del mondo e per questo sono forti. Mancano spesso le parole per dirlo e tutto si rifà all’interpretazione dell’adulto, che da tempo ha perduto lo sguardo di quel bambino che è in lui e confonde certi segnali. In questo modo le paure, se non ascoltate ed elaborate, si nascondono nel labirinto profondo della mente, non sono risolte, sono nascoste e prima o poi torneranno in superficie, magri mutate, tanto da essere irriconoscibili ma forti e ancora una volta autentiche. Come un tam tam, faranno eco e pretenderanno di essere ascoltate; le paure sono ostinate indossano maschere e forme diverse e sanno farsi sentire. Sono costituite anche da tutti quegli aspetti aggressivi rimossi che abbiamo detto precedentemente. 9 Ma di che cosa hanno paura i bambini? Una delle più grandi paure è l’abbandono. Pensate al pianto disperato di alcuni bambini quando iniziano ad andare all’asilo, per loro fino ai due anni, la mamma esiste fino a che rientra nel loro campo visivo, se non c’è, non sanno che tornerà. Pensate che paura vederla andare via, magari con la bugia: “Torno subito” e poi passano ore, ma loro come lo quantificano il tempo? Che ne sanno di quanto è un ora o tre ore? Intorno ai primi anni delle elementari il bambino si può rendere conto che esiste un mondo interno ed uno esterno nel proprio sentire e che le manifestazioni esterne possono, talvolta, coincidere con l’emotività interna, questo vuol dire che il bambino è in grado di percepire che ci sono cose che si possono “vedere” dall’esterno.E’ un momento delicato, nel quale il bambino acquisisce consapevolezza del proprio sé, ma è anche il momento nel quale esso può chiudersi, o semplicemente vivere esperienze emotive importanti in solitudine, senza elaborare questioni delicate che possono caratterizzare il suo percorso evolutivo in termini emotivi. La fiaba, in questo senso, si rivela un ‘efficace strumento per mettere “in scena” questi aspetti interni del bambino. - Spesso quando i bambini hanno paura di qualcosa si dice loro: Dai, sei grande ormai non devi avere paura! Ormai !? Ma che cosa vuol dire? E poi, chi l’ha detto che i grandi non hanno paura? Così facendo sembra che la paura sia qualcosa di cui vergognarsi, qualcosa di non previsto. Da deboli. Niente di più falso, la paura è innata nell’uomo e come la rabbia e tutte le atre emozioni è astratta, non visibile, di conseguenza difficile da gestire. Quanti personaggi ci sono nel mondo delle fiabe che provano paura? Proviamo a incontrarli … ….Scopriremo che i più coraggiosi sono i bambini, spesso ad avere paura sono i grandi. Pollicino, piccolo per età e per statura , è molto coraggioso al di la delle sue dimensioni trova le strategie utili, non solo per salvare i fratelli ma per risolvere i problemi alla sua famiglia. Hansel e Grethel trovano il coraggio e sconfiggono la strega. Pinocchio chi ha più paura è Geppetto, all’inizio temerario e poi pronto ad abbandonarsi alla sorte, quando dentro la pancia della balena ritrova il godimento dell’oggetto perduto. L’oggetto materno. E’ Pinocchio, infatti che provoca la spinta (starnuto) della balena che come una madre attraverso il liquido amniotico, ridona la vita a colui che vuole essere soggetto, bambino e mai più burattino in balia dell’Altro. In Biancaneve, è la strega che ha paura di perdere la propria giovinezza , il suo primo posto, un primato e mente allo specchio, luogo nel quale ella non è mai sola ma con un’estranea attorno, colei che si nasconde nei riflessi dello specchio, accecata dal desiderio di essere altro a sé ... Cenerentola sono le sorellastre, sollecitate dalla matrigna che per prima non riesce ad accettare la figlia del marito che risulta troppo bella, troppo aggraziata rispetto alle sue figlie, oltre a scoprirsi per prima incapace e spaventata al confronto dell’altra donna anche se morta. Ancora più difficile da raggiungere, perché altro e non tangibile. La Sirenetta sa bene cosa vuole, è pronta per lasciare il suo mondo per scoprirne altri, ma Tritone non riesce a vederla crescere ed ha paura, non si accorge che Ariel sta diventando donna e cambia in lei l’oggetto d’amore. 10 Nella Bella Addormentata la strega ha paura di non essere all’altezza, frustrata per non essere stata invitata alla cerimonia di battesimo della piccola Aurora, manda un maleficio sulla principessina e si mette in attesa che la piccola diventi donna e le sia negata la femminilità, la stessa che la strega non ha saputo consumare, quell’amore che le è stato negato, quel principe troppo a lungo atteso, lo stesso atto d’amore che sconfiggerà i suoi malefici. Le fatine Fauna Flora e Serenella addirittura sottraggono Aurora alla famiglia sedici anni prima nascondendole la propria identità, addirittura cambiandole il nome sostituendolo con uno bizzarro: ROSA SPINA, colei che dovrà inevitabilmente bucarsi con la punta dell’arcolaio per scoprirsi donna attraverso il principe che risveglia la sua sessualità da il periodo di latenza. In Harry Potter gli zii, i babbani , coloro che sono “normali”, negano la vera identità di Harry, non accettano la diversità, intesa come qualcosa che differisce da loro, che va oltre la loro conoscenza e sono spaventati fino a rinnegarlo. Nel romanzo la Gabbianella e il Gatto, Sepúlveda coglie un particolare importante: Amare è dare ciò che non si ha. Una delle frasi cardine dell’orientamento lacaniano; che sta ad indicare una posizione di ascolto laterale che non invade il soggetto ma lo rimanda al proprio sentire mettendo in primo piano sempre la sua soggettività. Lasciarsi alle spalle gli aspetti immaginari relativi all’altro, significa intraprendere una strada che non c’è, un sentiero tutto da scoprire che porta al soggetto, a ciò che è, e non a ciò che vorremmo che fosse. Zorba, il gatto, accetta di insegnare a volare alla gabbianella, pur non sapendo come mantenere la promessa fatta alla sfortunata gabbiana, intraprende così, una via che non c’è, una via tutta da costruire a partire da ciò che ha davanti; un UOVO, qualcosa che è integro, chiuso, che nasconde una cosa preziosa, invisibile e molto fragile, “cova” Zorba! Pur essendo gatto, si prende cura dell’uovo.Poi nasce la gabbianella che vorrebbe rimanere “gatto” rinunciando per sempre a volare, è sempre il gatto Zorba che riesce a dare al di là a di sé ed a far ritrovare alla gabbianella la propria identità, separandola da se ed insegnandole a “volare” da una posizione altra, laterale, che la riconosce come altro da sé. E’ questa a nostro avviso, la posizione che dovrebbe occupare l’educatore nella relazione con l’altro. Una posizione che non invade l’altro ma che spinge il soggetto sempre a desiderare. Di volare, per esempio! Le paure dunque, abitano l’uomo a partire dalla sua infanzia sono parte della persona, non si possono negare né ignorare ma è importate saperle ascoltare. Le paure amplificano l’immaginario, il soggetto le avverte nel reale, che rappresenta ciò che il soggetto sente nella parte più intima, per essere ascoltate devono essere trasferite su un piano simbolico che dia al soggetto la possibilità di riconoscerle e di poterle affrontare senza esserne sopraffatto. Abbiamo visto come la fiaba possa rivelare un universo di simboli da utilizzare come strumento di ascolto rispettando la soggettività del bambini, delle sue paure, delle loro fragilità, scoprendo magari che sono diversi da noi e che meglio di noi sanno volare … 11 Venerdì 23 Ottobtre 2009 La rivalità fraterna La scarpetta di cristallo, ovvero l’oggetto prezioso di Cenerentola LA RIVALITA’ FRATERNA NELLA FIABA Ileana Ceccarelli Oggi l'attenzione va sull'aggressività. La 'gestione' dell'aggressività. L'aggressività è figlia della pulsione di morte, quindi la direzione va verso l'odio, l'odio liquido, quello che cola lungo il corpo e lo infiamma. E, se si vuole tenere ancora il legame con quel filo della volta scorsa, quello dell'ambivalenza, dei contrari, diciamo ODIO opposto ad AMORE. Istinto di morte contro istinto di vita. Pulsione contro pulsione. Così, ancora una volta siamo a rimarcare quella che è la natura dell'uomo,e la sua difficoltà a gestirla per inscriversi nella Civiltà e divenirlo per davvero UOMO, cioè Soggetto parlante. Perché, dopo essere stati 'gettati' nel mondo, siamo lì, chiamati ad imparare, per tutta la vita, a starci nel mondo, in modo ordinato e in un divenire continuo. Se vogliamo davvero incontrare la vita! (e non il suo opposto). Lo sappiamo bene tutti : la morte, quella più angosciosa e temibile, non è quella che ad un certo punto ci prende nel corpo. Quando quel momento arriva, certo, non siamo felici, però.... se avremo vissuto … avremo per lo meno svolto il nostro compito, quello per cui, in fondo, siamo nati. E a quel punto il ciclo della vita si concluderà. Così è. Che ci piaccia o no. La morte più temibile è invece quella che si camuffa di vita e ci logora dentro, riflettendosi dentro ai nostri occhi, sul nostro corpo..... mentre siamo 'occupati' ad andare nel mondo a 'far finta' di vivere. Cenerentola viveva tra la cenere; viveva di cenere. 12 E si consumava. Consumava la sua vita. Cosa le rimaneva della sua vita? Solo cenere. Quello che resta quando si è tutto distrutto, tutto bruciato. Non è giusto bruciarsi la vita! C'è chi l'aggressività la rivolge verso l'altro e, sempre continuando con l'esempio della fiaba in questione, 'le sorellastre' lo dimostrano bene; e c'è chi la rivolge su se stesso, arrivando a compiere degli eccessi che potrebbero insegnare tanto, ma tanto (se andassimo sul reale) anche alla stessa Cenerentola. Allora, cosa insegna, (e cosa ' vogliamo' che insegni!) la fiaba al bambino in questo caso? Intanto: che siamo tutti uguali : albergatori e portatori, sì, di amore, ma anche di odio; e che non deve quindi spaventarsi di scoprire in sé questa forte emozione, questa forza al negativo, ma deve solo imparare a conoscerla per non farsene divorare, per poter essere lui a dirigerla e trasformarla in una spinta vitale. Quando il cavallo è senza briglie, corre all'impazzata e devasta ciò che incontra . E anche chi sta sopra di lui. Se c'è invece chi gli tiene le redini, viene portato, ed esprime tutta la sua forza e vitalità; e viene pure apprezzato e riconosciuto per questo. Il tema specifico del giorno è l'aggressività tra fratelli. La rivalità fraterna. Penso subito all'invidia. E quindi dal 'fraterno' mi sposto e salgo su, vado ad Altro. Spiego il mio pensiero. E anche il mio dire 'salgo su'. Per farlo però ho bisogno di entrare un attimo nel terreno psicoanalitico. Azzardo. Nel quadro psicoanalitico (edipico) il fratello è il nuovo estraneo. Il primo straniero che minaccia la felicità totale (fusione con l'Altro Materno) è il padre (Edipo in verticale). Il fratello rappresenta il nuovo straniero. Dopo che la triade si è costituita, (più o meno) secondo un equilibrio, ecco che il nuovo nato arriva a sconvolgere, a rompere quegli equilibri già creati. La minaccia non viene più solo dall'alto (dal Padre) ma anche da chi è accanto (Edipo orizzontale). 13 Attraverso il fratello, attraverso le cure che lui riceve dalla madre, il bambino rivede se stesso (rispecchiamento) e quello che ha perso per sempre; perciò questa mancanza, alla quale magari si stava già sottomettendo, si ripresenta con forza e la ferita ricomincia a sanguinare (più o meno, a seconda dell'età e di come sono andate le cose fino a quel momento con l'Altro). D'altro canto, a questo punto il bambino non solo si ricorda di quello che ha perso per sempre, ma realizza (sempre inconsciamente) che è tutt'ora attivamente in continua perdita, perché ora non ha più neanche tutto quello che ha avuto fino al giorno prima: tutto (l'AMORE) ora va diviso con quell'altro nuovo che è arrivato. C'è un bisogno, una necessità: accaparrarsi l'oggetto d'amore. Dietro questa forte necessità il bambino mette a disposizione tutte le sue energie per raggiungere lo scopo. Anche quell'altro che è appena arrivato però 'urla' la sua impellente necessità ...... ed ecco che la lotta è già cominciata. E' questione di mettere in gioco le proprie risorse e imparare a 'giocarsele' dalla propria posizione : stando cioè al proprio posto di …. primogenito, secondogenito, e così via, e rispettando la posizione dell'altro, con tutte le difficoltà che si presentano.(nuovo ordine). C'è da dire ancora qualcos'altro rispetto a questo nuovo arrivo, qualcosa che 'viene prima'. Perché prima dell'arrivo, c'è l'attesa. Già ancora prima di venire al mondo infatti, quando il fratello è atteso, in un certo senso comincia già ad essere presente; anche se non c'è, gli è già stato assegnato un posto nel gruppo parentale e questo traspare da come “si parla” di lui. Il bambino sente quindi 'chi' sta arrivando. E' un compagno di viaggio? E' un 'salvatore'? O è un 'demone', un usurpatore? E' anche su questo 'parlare' che si prepara la sua relazione con lui. Lui, il bambino cosa aspetta? Cosa si aspetta? E' d'accordo intimamente con quanto sente dire? Aspetta un compagno di vita? di giochi? O aspetta anche lui qualcuno che, a modo suo, lo salvi? Qualcuno con cui condividere, spartire un dolore? E allora, quando poi l'attesa si concretizza, quel pianto, che ora sente spesso, com'è? Lo rassicura? Oppure è come un tuono a ciel sereno? 14 Ricapitolando. Il nuovo nato sviluppa dunque nel bambino sentimenti negativi che lui dirige verso il fratello ma che in realtà appartengono alle figure genitoriali (e soprattutto alla madre). E' da lì, è guardando loro, che trovano origine tali sentimenti, perché il bambino si sente tradito, offeso, per non essere 'bastato'. Si sente offeso perché il desiderio dei genitori è andato 'oltre' lui. E ora c'è una reale minaccia, è concreta : il nuovo nato. C'è una reale concorrenza : sarà migliore di lui ? E quindi potrà soddisfare meglio di lui i genitori e potrà avere di più ( amore! ) Si sente ferito da questa possibilità e ha paura ….. La paura è talmente grande che il desiderio di 'farlo fuori' prende campo e allora l'angoscia lo attanaglia. Si riaffaccia l'eco della 'forza bruta', quella che appartiene all'uomo da sempre, fin dalla 'notte dei tempi'. Penso a Caino e Abele. Ci sono vari modi di lottare, e il bambino usa quelli a lui più congeniali. C'è chi usa l'aggressività fisica, o verbale, o tutt'e due insieme; c'è chi lotta con la furbizia, il calcolo; chi ricorre alla cosiddetta 'legge del più forte' che va vista non solo dalla parte del 'più forte che vince' ma anche dal lato del più debole che, guarda caso, spesso è lui ad infastidire il più forte, fino ad arrivare a fargli perdere la pazienza per poi poter correre a cercare l'aiuto del 'forte e potente genitore' e per poterlo avere dalla sua parte. E quindi... vincere ! In questo mare di emozioni, la fiaba cosa può fare ? Può fare tanto, perché ripresenta al bambino queste stesse emozioni, in immagini, aiutandolo a concretizzarle perché nella fiaba le ritrova completate, mentre le sue possono essere ancora confuse o appena abbozzate. E può riconoscerle. Per questo crede nella verità della fiaba. La fiaba lo aiuta a prendere coraggio e ad avere fiducia nelle proprie risorse interiori; 15 lo aiuta ad alleggerire e/o superare quel senso di inferiorità e di distruzione di sé. La fiaba poi, si è detto, è sempre a lieto fine. La virtù vince sempre : il buono è sempre premiato e il cattivo castigato; anche in quest'ultimo caso però, nel caso in cui il bambino si senta lui il cattivo e ha pensieri pessimi rispetto alla propria aggressività (nel senso che sente di averla ma non riesce a rinunciarci e però ne soffre), in tali casi, dicevo, la fiaba lo risolleva, perché gli comunica che lo scontro nella vita è cosa naturale e non bisogna averne paura; che i sentimenti contrastanti non distruggono, ma anzi rinforzano; che è necessario lottare per vivere, affrontare le difficoltà, non fuggirle; perché è solo così che si può uscirne vittoriosi. La fiaba consola, porta ottimismo al bambino, gli fornisce quell'immagine positiva, quell'appiglio a cui aggrapparsi e da cui poter intuire una via d'uscita per il suo problema o, addirittura, la sua disperazione. La fiaba spinge il bambino a essere coraggioso nel mondo anche se in esso deve correre dei rischi; e lo spinge ad agire in prima persona, ad essere lui stesso artefice della propria esistenza, con le proprie forze (con l'astuzia, l'intelligenza, l'onestà) e gli insegna però che deve imparare a tollerare anche la propria impotenza, la propria fragilità, incapacità : che c'è un momento giusto (e quindi un'età giusta) per ogni cosa. 16 LA MITOLOGIA DELLA FIABA Riflessioni sulla rivalità fraterna Rossella Benedetti “C’è un significato più profondo nelle fiabe che mi furono narrate nella mia infanzia che nella verità qual’ è insegnata dalla vita”. Schiller Partirei da un’interpretazione di Bettelheim citata sul libro il Mondo Incantato, dove vengono messi in evidenza i maggiori punti di forza che costellano la fiaba intesa come strumento di grande valore che, attraverso simboli, comunica ed offre al bambino, strategie e soluzioni per affrontare le maggiori difficoltà che si possono presentare nel corso evolutivo dell’individuo. Secondo l’interpretazione psicoanalitica, infatti, la fiaba, può accompagnare il bambino nei diversi passaggi della sua vita. Il compito di chi accompagna in questo “viaggio” un bambino, è quello di aiutarlo a trovare un significato al suo essere al mondo, al suo ruolo nella vita, a partire da ciò che è e non da ciò che abbiamo immaginato per lui, dalle sue risorse e anche dalle sue difficoltà. Per fare questo il bambino ha bisogno di arricchire la sua immaginazione, la sua creatività, sviluppare la propria intelligenza, riconoscere le sue emozioni, armonizzare le sue ansie, l’adulto dovrà riconoscere le sue preoccupazioni ed essere in grado di suggerirgli strategie che lo possano aiutare a trovare soluzioni ai problemi che maggiormente lo turbano. La letteratura come l’arte offre canali espressivi di grande prestigio, mettendo su un piano simbolico il sentire del soggetto, lasciandogli lo spazio di interpretare e modellare su se stesso il personaggio narrato. Così come il pittore che di fronte alla sua tela, converte in forma e colore le proprie emozioni, tanto autentiche da passare dalla tela all’occhio di chi guarda, trasferendo un’emozione, così la fiaba, passando attraverso la voce s’incontra con l’universo immaginario del bambino per aprire un mondo di simboli e canali rappresentativi, tanto da fargli trovare giuste connotazioni nel mondo reale. Affinché un bambino si senta coinvolto, la narrazione deve divertirlo, interessarlo, questo prevede, da parte dell’adulto, di essere creativo. In questo senso la narrazione diviene un atelier, un laboratorio che si costruisce in corso d’opera con il bambino, e nel quale,.. si trasmettono significati chiari ed allo stesso tempo velati. 17 La fiaba non è un gioco. Quanto più i personaggi fiabeschi si avvicinano alla realtà del bambino, quanto più il bambino si sente coinvolto, fino a riflettersi nei personaggi e viverne l’ambiente, gli odori, a sentirne il sapore, fino ad esserne parte immaginaria. A quel punto… la narrazione parla all’inconscio del bambino e siamo su un terreno molto delicato, dove egli troverà la sua strategia per affrontare la sua realtà accompagnato dall’Altro, che in un posizione laterale lo sostiene, senza invaderlo, ma piuttosto riconoscendolo come protagonista della sua storia. La giostra di simboli inconsci e le fantasie consce, che il bambino attiva rispetto alla fiaba, aprono la strada a dimensioni altre,… impossibili da raggiungere per il bambino se lasciato a se stesso. La fiaba … rappresenta una strategia, un mezzo con il quale attraversare una difficoltà,… un pensiero perturbante. Accompagnare un bambino in un processo di crescita che rispetti i suoi tempi e lo riconosca come soggetto a sé - e non come oggetto dell’altro,- significa avere la capacità di seguirlo con il rispetto delle sua personalità. In equilibrio fra l’esserci e il sottrarsi,… si possono scoprire caratteristiche differenti a quelle che ci aspettavamo rispetto al bambino che abbiamo immaginato o immaginiamo che sia. Il tempo a lui dedicato sarà un tempo che l’adulto si concede per incontrarsi e scoprirsi, nel tempo che con le sue scansioni, segna un percorso di crescita … che non è mai unilaterale. Soltanto in questa direzione … si può vivere, la relazione con un bambino, come un esperienza sempre nuova. In questo modo possiamo scoprire che ogni soggetto custodisce in sé una parte intima, quasi mai espressa o espressa in parte e spesso non compresa, che lo rappresenta come soggetto e per questo, diverso da ogni altro. Questa risorsa che ogni soggetto possiede, spesso inconsapevolmente, viene soffocata dalle aspettative dell’Altro. Riflettere un’aspettativa che ci appartiene su un'altra persona, rappresenta vivere un tempo senza tempo, un tempo che va oltre il tempo del soggetto e crea un’altra possibilità, come una seconda vita, che si rispecchia nel figlio, col quale realizzare atti mancati e sogni perduti, che però non appartengono al figlio. Se ascoltato e riconosciuto il bambino è in grado di trovare canali comunicativi che lo favoriscono, in questo modo struttura una personalità fondata sul piano della sicurezza. Quanto più un bambino si sentirà sicuro quanto meno necessita di costruire le proprie sicurezze sull’altro e non si sentirà rivale a nessuno. *°*°*°*°*°*°*°* In Cenerentola la scarpetta di cristallo rappresenta qualcosa di quasi invisibile ma prezioso ed unico, che rimanda al soggetto il desiderio di mostrarsi, nonostante tutte le circostanze ….. si svolgano in un terreno sfavorevole. Con il sostegno di chi crede in lei, in una posizione Altra, che rappresenta la separazione dall’atro genitoriale, Cenerentola riesce ad uscire dal suo godimento, che rappresenta una sofferenza della quale il soggetto si fa carico. 18 Infatti Cenerentola non si ribella mai, si “veste” di stracci e si lascia investire dal disagio della matrigna, si rende serva nella sua stessa casa. E’ al limite Cenerentola, o soccombe nella cenere della sua stessa casa, o trova una via altra e diventa “Luna” come Una - unica e irripetibile nell’universo, rappresentata da quell’oggetto prezioso che calza a perfezione soltanto a lei. La madre buona, l’unica che potrebbe agevolare il sogno di Cenerentola è morta, come tutte le madri buone delle fiabe, che rivestono un ruolo immaginario riconducibile a quello stato di godimento dell’oggetto materno, che le rende uniche e insostituibili, proprio a partire dalla sua distacco, dal vuoto che esse lasciano, vuoto dentro il quale il bambini può muoversi e può emergere. La morte come metafora di separazione dall’altro materno offre al soggetto la possibilità di essere parlante, di avere parola rispetto a se stesso, autore della sua stessa storia. Non è così per le sorellastre che sono un tutt’uno con la madre, ormai mature e irretite dall’oggetto materno dal quale non si sono mai separate. Sono parlate dalla madre che decide sempre per loro. Costellate da un godimento fatto di cose futili, inseguono un sogno già mancato,… si consumano nella rivalità l’una dell’altra, si contengono tutto, litigano e gridano, soddisfano il desiderio della madre, di essere bambine oltre tempo, coloro le quali sopperiscono ad una mancanza altra, ad un disagio di cui si fanno carico, che le vede sempre in un tutto pieno che non lascia spazio e che le rende sgraziate e inadeguate a qualsiasi circostanza. Invidiose di tutto ortopedico. e per questo bisognose di continue conferme e di un sostegno che risulta Anche al ballo vanno accompagnate dalla madre, da quello sguardo che va oltre confini, che riflette una dipendenza. La rivalità fraterna è un’ esperienza che nell’ambito familiare, sia il bambino che l’adulto sperimentano in maniera più meno marcata e per questo non può essere sottovalutata. Fa parte della crescita di un individuo. Tuttavia, se le condizioni circostanti valorizzano il soggetto, anche i fratelli troveranno una loro complicità. I fratelli hanno la capacità di confrontarsi, imitarsi e di allearsi in progetti ludici, se li aiutiamo a comprendere che non potranno mai essere uguali ma che la loro risorsa, come quella di ogni individuo, consiste nell’essere se stesso. Un bambino che vive le dinamiche di un rapporto fraterno, sul piano della rivalità vive una situazione dove si sente sempre messo da parte, sempre in minoranza di fronte a qualcosa troppo più grande di lui, sempre sovrastato, si sente nella cenere e soccombe, non vede il mondo circostante e soffre. Sente che non è più l’unico “oggetto” d’amore per i suoi genitori e fa fatica a immaginarsi ancora unico per loro. Sostenerlo in questo senso significa comunicargli, magari attraverso atti ludici, che lui, come il fratello o altre mille parsone è, e sarà sempre unico perché diverso da tutti. Quanto più una madre investe il figlio del proprio fantasma, il fantasma, nel campo psicoanalitico è qualcosa che il soggetto avverte, come perturbante, di cui non conosce la natura. Si potrebbe dire per semplificare in maniera estrema, che il fantasma è come una sensazione che il soggetto avverte 19 nel reale, cioè all’interno delle proprie emozioni, e nel reale si iscrive, qualche volta in modo forte, tanto da mettere in difficoltà il soggetto Il fantasma si iscrive nella perdita e nel vuoto che questa produce, quanto più il figlio, anche nella relazione fraterna non riuscirà ad emergere e far riconoscere la sua parte più vera e per questo si sentirà sempre in difetto, figlio a metà, quasi mai riconosciuto, sempre in cerca di qualcosa che soddisfi l’altro, mai se stesso, insicuro e per questo rivale. La rivalità fraterna dunque, non deve essere vissuta come un disagio da parte dei genitori ma affrontata come momento di crescita ed un occasione per scoprirsi capaci di istaurare legami a partire da ciò che siamo. Noi genitori non abbiamo nulla da giustificare se dobbiamo dedicarci di più al nuovo nascituro. Il tempo che dedicheremo ai figli sarà un tempo diverso per ciò che faremo insieme, e non un tempo dove contendersi i minuti. Sarà un tempo reale e simbolico, non soltanto misurabile in scansioni di tempo. Per questo è necessario dimostrarlo ai bambini, ripercorrendo ogni volta, ciò che abbiamo fatto insieme e trasmettere che non è stata una prestazione ma un momento nel quale anche l’adulto ha ricevuto qualcosa. Tuttavia non esistono sbagli rispetto ai genitori, ritengo che nelle relazioni genitoriali non sussistano colpe piuttosto posizioni che come anelli di una collana si susseguono nel tempo, fino a diventare tradizione orale. Avere la capacità di costruirsi genitori a partire da ciò che siamo e dal figlio che abbiamo di fronte è un impresa difficile e non esistono scuole ma soltanto un sentire, orientamenti che servono a farci vedere oltre i confini delineati dalle tradizioni e dalle posizioni altrui. Le fiabe che come i miti riportano a verità profonde tanto difficili da comprendere, che sembrano storie fantastiche che lasciamo imprigionate nei libri, come parole sorde sopraffatte dalla polvere del tempo che nascondiamo in castelli incantati delle nostre difese. Vediamo come questi possono accompagnarci in una visione altra di questioni complesse che ci troviamo ad affrontare. Per riepilogare … Per spiegare meglio cosa centra la rivalità fraterna, con l’oggetto prezioso, (scarpetta di cristallo), come elemento che lo caratterizza, che ogni individuo custodisce inconsapevole di esserne in possesso e per comprendere meglio la questione del fantasma materno che si lega in questo processo che ne inibisce la motivazione della rivalità, ho pensato al mito di Demetra che vorrei rinnovarvi con la lettura che ne seguirà. (Dal libro “La nascita delle stagioni” il mito di Persefone e Demetra. C.Lossani/ O.Monaco Edizione Arka) Demetra, la dea del grano,amava la sua bambina più di ogni cosa. Uno, due , tre Io sono te,tu sei me. Quattro, cinque, sei: dove sono io, tu ci sei. Cantava la dea, giocando con la piccola kore. 20 Non la lasciava mai, neanche quando scendeva dall’Olimpo per stare tra gli uomini e sorvegliare che il grano il grano scendesse abbondante. Quando Kore si fece più grande, Demetra le insegnò il nome dei fiori e dei frutti. Madre e figlia correvano fra l’erba, si riposavano all’ombra degli ulivi. Sempre insieme, come i chicchi di una spiga, Demetra nel suo cuore credeva che quel tempo non dovesse mai finire. Invece gli anni passavano . Kore divenne una giovane dea di grande bellezza. Una mattina, guardando dall’Olimpo la natura, disse a sua madre: “I prati sono tutti in fiore. Andiamo a raccogliere i crocchi e le Viole ?” . “Non possiamo”rispose Demetra mentre si pettinava davanti allo specchio,” oggi c’è il taglio del grano, gli uomini ci aspettano …”. “Ci andrò da sola” l interruppe Kore, “mentre tu sorvegli il raccolto”. “ Senza di me?” aggrottò la fronte Demetra. I loro sguardi si incontrarono nello specchio. Quello di Kore per la prima volta era determinato, e Demetra cedette: “Va bene, pensando che l’avrebbe tenuta d’occhio da lontano. Sorvegliare il raccolto era un dovere cui Demetra non poteva mancare. Zeus, il padre degli dei, gliel’aveva Ricordato più di una volta: “Non lasciare mai soli gli uomini durante il taglio del grano. Vedi che le loro falci Siano bene affilate e che tutte le spighe Siano ammucchiate sui carri prima di notte”. Demetra controllava il lavoro, ma le bastava alzare lo sguardo per scorgere Kore laggiù,tra i fiori. Se per un attimo i suoi occhi la cercavano ansiosi, subito le giungeva un richiamo: “Mamma, son qui!”. E il cuore di Demetra ritrovava il suo ritmo. Campanule crocchi, papaveri. Rose, violette,iris, Il prato splendeva di colori. L’aria era pervasa di profumi. Kore raccoglieva i fiori E sorrideva pensando al suo futuro di dea. Anche Ade, il dio Dai capelli colore della cenere Preparava un futuro per sé. Kore: non sorridere ai narcisi! Di narcisi, c en’era uno solo in quel prato. Quando catturò il suo sguardo, Kore non esitò a raccoglierlo, chiedendosi meravigliata: “Perché i narcisi sono presagio di morte?”. Da giorni Ade, dio degli Inferi spiava Kore. La voleva al suo fianco, a rischiarare il suo mondo di ombre. 21 Sapeva però che finché Demetra era con lei, lui non l’avrebbe mai avuta. Per questo aspettò che fosse sola. E ora Kore era sola … Ade si preparò a rendersi invisibile agli occhi degli uomini. La terra tremò, si spalancò, e dal profondo il dio balzò fuori Sul carro trainato da cavalli bui. Per lei non ci fu il tempo di fuggire o nascondersi. Solo il tempo di lanciare un grido. Ma Demetra non corse in suo aiuto:Zeus aveva messo un bavaglio al vento, che non portò alla madre la sua voce. Strappata ai fiori, Kore scomparve con Ade nella voragine nera. “Kore, dove sei?”. A Demetra rispose solo il fruscio del vento tra le spighe. Verranno separai i chicchi di grano. Non prevedi, Demetra, quale destino ti aspetta? Demetra dea del regno della terra fertile, madre di Kore, con la quale ha instaurato un legame fortissimo, ha immaginato che quel tempo non potesse mai mutare e ignara della fanciulla che le cresce accanto non la vede oltre il suo desiderio. In questo Demetra invade, con il proprio desiderio Kore e la irretisce nel proprio fantasma. Poi lo sguardo di Kore s’incrocia ancora con quello di Demetra attraverso lo specchio e da quel momento niente sarà più uguale, poiché lo sguardo di Kore appare già mutato, lei sente il desiderio di separarsi dalla madre, non ne è consapevole, ma in quel momento esce da il quadro edipico. Nel tempo delle stagioni kore ha volto lo sguardo dalla madre e allettata dal profumo si è immersa nei fiori di una primavera che rinnova la vita. Come il principe riconosce Cenerentola attraverso un oggetto prezioso, la scarpetta di cristallo nella versione di Perrault e lo sguardo in pelle d’asino, Kore scorge il narciso, rappresentate della posizione maschile che segna una estensione altra oltre il periodo di latenza. Kore sa che i narcisi sono presagio di morte ma si sente attratta e lo raccoglie … Si apre in quel momento un'altra dimensione nella quale Kore entra sollevata dall’aiuto della Madre alla quale Zeus, in favore a Kore, aveva impedito di sentire quel grido di richiamo. Zeus padre degli dei, rappresenta una funzione simbolica del padre in quanto rappresentante della Legge. Che come nell’Edipo mette a posto le cose. Infatti la funzione paterna e incisiva e determinante nella separazione e nel riconoscimento della Legge nella triade familiare. Zeus fa resistenza e prova a far riflettere Demetra ma il vuoto che ha lasciato la figlia fa eco sugli uomini. Demetra rappresentante la madre universale, la prosperità legata alla vita, dovrebbe dedicare uno sguardo, come dono nella garanzia della riproduzione del raccolto, Riprodurre non vuol dire trattenere ma piuttosto donare. 22 Zeus infatti le raccomanda: “ non lasciare mai soli gli uomini durante il taglio del grano. Vedi che le loro falci siano bene affilate e che tutte le spighe siano ben ammucchiate sui carri prima di notte”. Separati dalla terra che rappresenta l’Altro materno. Il tempo; “prima di notte” rappresenta il tempo entro il quale il soggetto deve trovarsi in una posizione altra e nell’orientamento psicoanalitico s’intende prima che la donna sviluppi, dopo di che l’inconscio si chiude, e sia meno agibile, ed il soggetto sia portato alla ripetizione e di conseguenza sarà più difficile aprire una percezione altra. In altre parole se la fanciulla/o no si separa è molto probabile che intraprenda una direzione verso la patologia. “Kore!Kore dove sei?” gridò Demetra, precipitandosi sul prato. Le rispose solo il fruscio del vento sull’erba. “Koooore!”. Gli uccelli smisero di cantare, il vento restò sospeso. Per terra, sparso, il mazzo ai fiori e il narciso. Sgomento. Dolore. Disperazione. Demetra si graffiò il viso, gettò via il manto, si lanciò per i campi e per le strade Chiamando Kore, dimenticandosi di proteggere gli uomini e i loro raccolti. Che cosa le importava di loro, se non aveva più la figlia? Sentiva il petto vuoto, come s ele avessero strappato il cuore. Silenzio e freddo, morte e ombra, finita la vita, il cuore è una tomba. Vagò per tutto il giorno in cerca dio Kore. Nessuno, né uomini né dei, aveva visto niente. Vagò anche per tutta la notte. Finché all’alba apparve la vecchia Ecate, dea delle strade e dei crocevia, seguita dai suoi cani. I cani corsero incontro a Demetra, le chiesero carezze. Ma Demetra non aveva più tenerezza nemmeno sulla punta delle dita. “Un dio ti ha rapito la figlia. Io non ho visto nulla” le disse Ecate, “ma ho udito le sue grida. Il gelo scese nel cuore di Demetra. Le dea guardò il cielo e, senza dire una parola , come un uccello lasciò la terra. Che cosa speri Demetra? Se davvero è stato un dio a rubarti la figlia, il tuo dolore sarà solo più grande. 23 Giunta davanti a Helios, che guidava il suo carro luminoso, con gesto ampio, e la rabbia nel cuore ne fermò i cavalli: “Mia figlia è stata rapita da un dio, ma non so quale!” grido. “Tu, che illumini tutta la terra dimmi chi è stato! Dimmi: chi mi ha rapito Kore?”. “Zeus l’ha promessa in sposa ad Ade, e lui l’ha portata nel suo regno di ombre. Ade sarò uno sposo degno di lei: sue sono le ricchezze del sottosuolo, l’oro E le pietre preziose. Che cosa vuoi di più per tua figlia?” disse Helios, incitando i cavalli a ripartire. Fulminea, la dea si parò davanti al carro e ne deviò il percorso. Poi tempestò di pugni il cielo, crebbe a dismisura e si sciolse i capelli Oscurando il sole e gettando sulla terra la sua ombra immensa. “Mai più voglio rivederti Zeus, traditore! Mai più rimetterò piede sull’Olimpo!” Gridava Demetra mentre di nuovo Vagava sulla terra, incurante Degli uomini e dei loro raccolti. Silenzio e freddo, morte e ombra finita la vita, il cuore è una tomba. Si aggirava per i campi,ormai freddi e bui come la sua ombra: l’erba ingialliva, gli alberi perdevano i frutti e le foglie cadevano. lasciando rami spagli puntati contro il cielo spento. Demetra non donava più semi alla terra, e il sole, non sembrava più lontano, non scaldava più le zolle. Marrone, grigio e nero erano i colori che ora dipingevano il mondo. Grigio e nero erano anche i colori del mondo nel quale era precipitata kore. Mentre pregava gli dei di poter rivedere la luce, il dolore l’assalì più intenso della paure: “Ora sei la mia sposa” le disse con voce gentile, “non sei più la stessa, non sei più Kore. “Ora sei Persefone , dea degli Inferi”. Nello stesso istante Kore si accorse che i ricordi della sua vita nel mondo di sopra iniziavano a sbiadire. Allora capì che il valore di un dio potente l’aveva divisa dalla madre, sentì che Kore a poco a poco lasciava il posto a Persefone. “ … Saranno separati i chicchi di grano” e il destino di Demetra dovrà affrontare il vuoto lasciato dalla figlia con la quale immaginava di essere un tutt’uno. Il narciso reciso è rimasto sul prato, a scorgerlo è Demetra. Poi Ecate si presenta a Demetra ma non le indica nessuna via, poiché Demetra è nel labirinto della propria sofferenza, tanto da farsi ella stessa deviatrice del divenire della luce, rappresentato da Helios, il sole che illumina, colui che cerca di rassicurarla dicendole che Kore è nel regno delle ombre dove sono le ricchezze del sottosuolo, le pietre preziose e nulla ha da temere. Le pietre preziose e le ricchezze del sottosuolo stanno ad indicare la morte metaforica di Kore che la riporta a nuova vita, Solo attraverso questo passaggio, doloroso, la fanciulla può divenire soggetto fuori dalla rete, della madre, che la inibisce nel suo percorso evolutivo. 24 Quando la posizione materna trattiene troppo, il bambino attraverso il suo inconscio, risponde con il sintomo. Lacan chiama mamma coccodrillo, la madre che con il suo amore opprimente fagocita il figlio. Il sintomo rappresenta il paletto nella bocca del coccodrillo, che frena questo processo, Sempre Lacan, spiega come questo avvenga nelle patologie alimentari come l’Anoressia e la bulimia. … Poi l’ombra sulla terra che Demetra copre con i suoi stessi capelli. Se il percorso del ciclo della vita è invaso da un potere mortifero, anche la Legge della vita soccombe e il disagio come ombra invade il soggetto. Muore, metaforicamente Kore che lascia il posto a Persefone, che rappresenta l’età della coscienza e della ragione. Dell’essere donna. Se fra gli uomini non c’è gioia, non c’è gioia nemmeno fra gli dei. Il cielo è un riflesso della terra? O la terra del cielo? Spenti gli ultimi colori, la terra appariva un giardino bruciato dal gielo. Dall’Olimpo Zeus l’osservava preoccupato: “Se il grano non potrà più germogliare, gli uomini moriranno. Chi allora offrirà doni agli Immortali?” si chiedeva?. Facendo rimbombare le nubi , scagliò rabbioso un fulmine e chiamò Iris, la dea dell’arcobaleno che sapeva unire la terra con il cielo: “Vai da Demetra e dille che le ordino di tornare tra gli dei e di restituire vita alla terra!” Ma il cuore di Demetra era sordo: “ Terrò nascosti i semi finché non avrò rivisto mia figlia” rispose ad Iris. Un tempo sta per concludersi, un altro sta per incominciare. E’ Zeus a deciderlo: Chi può contraddirlo? Quando, nel suo errare, Demetra giunse ad Eleusi, una strana creatura le si avvicinò, proponendole dei fichi e una bevanda d’orzo. “ Buon giorno, Demetra!”. La dea alzò gli occhi “ Chi sei tu?”. “ Baubò!” “Che cosa significa?”. “ Significa pancia!”rise Baubò. E con gesto impertinente sollevò la veste, mostrando la pancia rotonda che sembrava una viso, con i seni per occhi. Demetra fissò quella pancia rotonda che le ricordò qualcosa … Forse pance di mamme che pensano ai loro bambini? Forse se stessa quando, con amore, coltivava pancia e progetti per Kore? Quell’amore, si disse, era ancora dentro di lei, suo per sempre, e nessun dio avrebbe potuto rapirglielo … All’improvviso una risata leggera le risuonò 25 Nel petto, portando via il dolore. Poi, libera, esplose nell’aria e si diffuse Per le strade di Eleusi, e su, su per le montagne, fino alla cima dell’Olimpo. Fu proprio allora … Che apparve il giovane Hermes: “ Demetra, ho un messaggio da Zeus per te: La terra non può vivere senza i frutti…” “Né io senza Kore!” interruppe lei. Hermes annuì. “ Così disse anche Zeus. Per questo mi mandò da Ade , al quale annunciai: “ Per il bene degli uomini e degli dei, Zeus ti chiede che Kore possa rivedere sua madre”. Ade alzò un sopracciglio, stupito, ma poi sulle labbra corse uno strano sorriso: “ Demetra rivedrà sua figlia, come ordina Zeus. Le Arpie, custodi dell’Oltretomba, la riporteranno da lei. Adesso però, vorrei restare solo con la mia sposa”. E senza aggiungere altro, la condusse per mono verso il giardino dei melograni”. Questo riferì Hermes a Demetra e un attimo dopo era scomparso. I Tuoi occhi Demetra rivedranno Kore, come avevi richiesto. Ma lei, sarà la stessa persona che ti è stata rapita? Spinte dal vento tempestoso che le circondava sempre, le Arpie condussero Persefone dal buio alla luce, e la deposero sulla pianura di Eleusi, dove in ansia l’aspettava Demetra. “Kore ! Kore!” gemette la dea abbracciando la figlia, mentre le dita correvano da sole per riconoscere le labbra, il naso, i capelli. Ma sua figlia disse: sono Persefone , adesso”. Demetra la scostò da sé e si accorse che, anche se era tornata, e lei la poteva toccare, Kore non era più la stessa. Le chiese allarmata: “ Che cosa ti è successo negli Inferi?”. Persefone le racconta del dio gentile dai capelli della cenere, del giardino E dei chicchi di melagrana che le aveva spremuto sulle labbra prima di lasciarla partire. A Demetra il respiro si fece di pietra: “ Kore!” gridò. “Perché l’hai seguito in quel giardino?” Nel suo vagare errante Demetra incontra Baubò strana creatura, caratterizzata dalla pancia rotonda che riporta al pensiero della maternità, Baubò, con il suo modo accogliente ma diretto, le fa sentire che l’amore materno è qualcosa che non può sottrarle nessuno e questo fa sentire meglio Demetra che però, non sa separasi dalla figlia. Kore non può essere trattenuta come oggetto del suo amore e Demetra avverte una perdita, poiché sulla figlia ha costruito il proprio desiderio fino ad invaderla. Ma Kore ha lasciato il posto a Persefone e non sarà mai più la stessa, ha assaggiato il 26 melograno, frutto della fertilità ed è donna ormai separata dall’Altro materno, ma le condizioni di Demetra la limitano in questo passaggio. Ora il confine tra l’ombra e la vita è reso più incerto: chi mangia cibo dagl’Inferi dovrà tornarci! Demetra capì allora che solo il padre degli dei avrebbe potuto aiutarla. Abbracciata a Persefone, si avvio verso l’Olimpo Zeus le aspettava. “Persefone ha mangiato cibo degli Inferi” tuonò il dio, “e Ade vuole che torni laggiù! Ma anche tu Demetra, la vuoi con te, e se non l’avrai lascerai morire la terra . Questo però gli dei non possono permetterlo, e allora ho deciso: d’ora in avanti, Persefone trascorrerà una parte dell’anno con te e una parte con Ade.Quando starà con te, la terra sarà ricolma di fiori e frutti, ma quando tua figlia scenderà nel paese, delle ombre, calerà il gelo e sarà il deserto, come il tuo cuore comanda, perché Persefone porterà via con sé i chicchi delle spighe. Lei stessa sarà come il chicco, che solo se viene sepolto sotto terra può rinascere e germogliare. Tutto cambierà anche per gli uomini, la loro vita troverà un ritmo nuovo: alla primavera seguirà l’estate, all’estate l’autunno e l’inverno all’inverno la primavera e l’estate. Per sempre. Una stagione per vivere, una stagione per morire”. Un tempo è concluso, un altro incomincia. È Zeus ad averlo deciso chi può contraddirlo? Il desiderio di Demetra invade le Leggi della natura e gli dei non possono permettere che la terra, simbolo della vita e della fertilità che sempre si rinnova, muoia. Una Legge più grande, Zeus rappresenta, come abbiamo detto il Padre degli dei, interviene, ma non può cambiare ciò che Demetra raffigura attraverso il suo sintomo:” Persefone rappresenta il chicco di grano, il seme che solo se separato, collocato altrove può rinascere e “germogliare”. La donna che non si separa dalla madre rimarrà sempre donna a metà, una parte di sé rimarrà irretita dal fantasma materno e come Persefone si contenderà fra luce e ombra, fra la fertilità e l’immensa aridità che porta con sé. Sarà donna metà e figlia per sempre. 27 Venerdì 30 Ottobre 2009 ALLA RICERCA DELL'IDENTITA’ Biancaneve allo specchio Rossella Benedetti Nel corso di questo seminario dedicato alla fiaba, è stato messo in evidenza come la narrazione possa essere utilizzata come uno strumento di ascolto per favorire l’espressione del sé del bambino nei diversi processi della sua crescita, sostenendo che le fiabe, attraverso la voce, danno vita ai personaggi, rendendoli facilmente reperibili nella realtà di ogni bambino. Con la fiaba infatti, possiamo parlare di tutto senza invadere il bambino ma facilitandolo ad affrontare argomenti talvolta complessi quali; la paura- generalmente dell’abbandono, la morte, l’aggressività, la rivalità, i riti di passaggio dall’infanzia all’età adulta, oltre alle ansie che il bambino incontra nei processi di crescita che sono elementi perturbanti, astratti e per questo difficili da rappresentare attraverso la parola nel linguaggio comune. Le caratteristiche della fiaba, abbiamo detto, possono essere molte e soprattutto possono essere adattate a seconda delle caratteristiche del soggetto. Nella psicoanalisi questo aspetto viene spostato da soggetto a soggetto, per usare un linguaggio fiabesco, dedicato a Pinocchio, ogni legno è pur sempre legno ma di natura diversa. Vuol dire che anche se della stessa struttura, il soggetto si distingue per la propria natura e il proprio sentire. Per questo la fiaba occupando una posizione laterale, rappresenta una grande risorsa di ascolto perché parla all’inconscio e si converte in maschera per il soggetto che si sente autorizzato a mostrarsi in tempi e modalità diverse. I bambini, come piccoli filosofi si fanno delle domande, cercando di trovare soluzioni agli interrogativi, peraltro gli stessi che da sempre abitano l’uomo e che si rifanno al tempo ed ai luoghi e della posizione che il soggetto risiede fra questi due elementi all’interno della realtà che li circonda. La fiaba non si occupa della realtà perché contiene una realtà già sua, che ha le sue modalità e le sue caratteristiche ed i suoi personaggi. La sua caratteristica infatti, è quella di andare al di là della realtà perché possiede una realtà propria, immaginaria e fantastica, possibile al di là del possibile, collocabile in ogni tempo e in ogni luogo proprio perché non ha luoghi né tempi. Il tema del tempo è un tema complesso presente in ogni fiaba ed essendo anche questo un elemento astratto, trova diverse forme d’espressione, per essere trasferito su un piano simbolico. Spesso le fiabe si avvalgono di uno strumento, lo specchio, che rispetto al tempo da una lettura trasversale, mettendo cioè in condizioni l’uomo di attraversarlo e di vedere oltre le apparenze e di “vivere” tempi diversi nell’illusione, nel desiderio e nell’inganno, che lo stesso soggetto si costruisce intorno a questo oggetto. 28 Lo specchio, lo sappiamo, nasconde fra luci ed ombre un potere “magico” quello di far vedere soltanto la parte che accettiamo e di nasconderne altre, che pur visibili nello specchio, ormai da tempo non riusciamo a vedere. E’ come pensare che il nostro occhio veda soltanto certe forme e non altre, che nasconda in un cono d’ombra ciò che non vogliamo o non possiamo vedere. Si usa lo specchio per vedere ciò che in assenza di questo, non possiamo vedere, la nostra immagine del volto, o qualcosa che è fuori dal nostro campo visivo, per guardarci dietro per esempio. Ci riflettiamo in forme e modelli, e sempre noi stessi allo specchio guardiamo il mostro tempo passare, scorgendo di tanto in tanto i segni che attraverso lo specchio ci vengono rivelati. Ogni casa ospita uno specchio e viene collocato nella parte più intima della casa; in bagno o in camera. Non sappiamo stare senza, è sempre lo specchio l’ultimo a guardarci, mentre andiamo via. Ma eccolo di nuovo pronto e immutabile al nostro ritorno, a lui dedichiamo sempre almeno uno sguardo e qualche volta gli dedichiamo un tempo infinito … Tuttavia attiviamo diverse strategie per ridurre gli effetti di questo tempo, che ci appartiene, che spendiamo che vendiamo, che rincorriamo, che inganniamo soprattutto quando ci identifichiamo con questo tempo. Quando parliamo di identità parliamo di un insieme di caratteristiche che rendono qualcuno diverso da chiunque altro. Quando quel qualcuno siamo noi, pensiamo di aver superato questo ostacolo e di aver una percezione abbastanza ampia di chi siamo, nonostante tutto, si vivono con difficoltà i cambiamenti e nella nostra natura c’è un inclinazione al trattenere. Nel romando Il ritratto di Dorian Gray, Oscar Wilde mette in evidenza un aspetto fondamentale rispetto all’immagine ed al valore che l’uomo attribuisce all’apparire rispetto all’essere. Se facciamo un sondaggio sul valore che attribuiamo all’apparenza rispetto all’essere, ci troveremo davanti una statistica a favore dell’essere. Se porremmo la domanda in maniera diversa, es: diciamo se preferiremmo vivere storpi e intelligenti o belli e stupidi già le cose potrebbero cambiare. Nel romanzo; Il ritratto di Dorian Gray accade la stessa cosa; Dorian è un personaggio di tutto rispetto gode della sua giovinezza e della sua sensibilità, ma gli basta poco, per iscriversi nella parola dell’altro Lord Henry Wotton che gli dice : Quando la gioventù vi abbandonerà, la bellezza si affretterà a seguirla, e allora vi accorgerete a un tratto che non vi sono più trionfi per voi o dovrete contentarvi di quei mediocri trionfi che il ricordo del vostro passato renderà amari più che disfatte. Ogni mese vi avvicina, scomparendo, a qualche cosa di terribile; il tempo è geloso di voi e fa guerra ai vostri gigli e alle vostre rose. Si spegneranno i vostri colori, le vostre guance si incaveranno, gli occhi perderanno il loro lampo; e soffrirete tremendamente.” Dorian non tollera l’idea che il tempo lo faccia invecchiare, mentre i quadri del suo amico Basil non muteranno mai. Esprime così il desiderio che i segni inevitabili che la vita lascia sulle persone possano essere rivolti al suo ritratto, e non a sé stesso. Da quel momento, come per incanto, i segni del tempo, non cambieranno i tratti del suo volto ma muteranno soltanto nella tela e non intaccheranno minimamente la bellezza e la gioventù della sua persona. Mentre il quadro porta i segni dell’età che avanza, l’anima di Dorian porta quelli della progressiva decadenza morale, alla quale l’eccessiva dedizione al culto del bello e della superficialità lo ha portato. Il suo ritratto 29 diventa lo specchio dell’anima e per superficialità aveva rinnegato se stesso. Ma il ritratto rispecchia anche ciò che è invisibile agli occhi, le torture dell’anima che sanguinano e deformano l’essere e lo rendono mostruoso a se stesso. Soltanto affrontando il vero Io che lo richiama sempre attraverso lo sguardo, lo stesso che lascia trapelare qualcosa, Dorian riesce a riprendersi la vera identità rimandando alla tela la bellezza effimera del soggetto che è sempre in un continuo mutare. Muore Dorian ucciso dalla sua stessa passione, lui stresso si è fatto carnefice del proprio Io e l’unico modo per salvarsi l’anima è uccidere l’immagine di quel tempo che lo ha tratto in inganno. Vitangelo Moscarda, protagonista del celebre romanzo Uno nessuno e centomila di Pirandello, è una persona come tante. Dal momento che la moglie gli ha fatto notare che il suo naso pende da una parte, il protagonista comincia una profonda analisi interiore ed esteriore ed a chiedersi come in realtà tutti gli altri lo vedono, fino ad arrivare a scoprire che le persone intorno a sé hanno un’immagine della sua persona completamente diversa da quella che lui ha di se stesso. Nasce in Vitangelo il desiderio di rimanere solo a riflettere, ma solo in un modo insolito … Come’io volevo esser solo ( dal libro Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello Ed. E.V.1993 P.217/219) Io volevo esser solo in un modo affatto insolito, nuovo. Tutt’al contrario di quel che pensavate voi: cioè senza me e appunto con un estranio attorno. Vi sembra già questo un primo segno di pazzia? Forse perché non riflettete bene. Poteva già essere in me la pazzia, non nego; ma vi prego di credere che l’unico modo d’essere soli veramente è questo che vi dico io. La solitudine non è mai con voi; è sempre senza di voi, e soltanto possibile con un estraneo attorno: luogo o persona che sia, che del tutti vi ignorino, che del tutto voi ignorate, così che la vostra volontà e il vostro sentimento restino sospesi e smarriti in un’incertezza angosciosa e, cessando ogni affermazione di voi, cessi l’intimità stessa della vostra coscienza. La vera solitudine è in un luogo che vive per sé e che per voi non ha traccia né voce, e dove dunque l’estraneo siete voi. Così volevo io essere solo. Senza me. Voglio dire senza quel me ch’io già conoscevo, o che credevo di conoscere. Solo con un certo estraneo, che già sentivo oscuramente di non poter levarmi di torno e ch’ero io stesso: l’estraneo inseparabile da me. Ne avvertivo uno solo, allora! E già quest’uno, o il bisogno che sentivo di star solo con esso, di mettermelo davanti per conoscerlo bene e conversare un po’ con lui, mi turbava tanto, con un senso tra ribrezzo e sgomento. Se per gli altri non ero quel che finora avevo creduto d’essere per me, chi ero io? 30 Vivendo, non avevo mai pensato alla forma del mio naso; al taglio, se piccolo o grande, o al colore dei miei occhi; all’angustia o all’ampiezza della mia fronte, e via dicendo. Quello era il mio naso, quelli i miei occhi, quella la mia fronte: cose inseparabili da me, a cui, dedito ai miei affari, preso dalle mie idee, abbandonato ai miei sentimenti, non potevo pensare. Ma ora pensavo: “ E gli altri?” Gli altri non sono mica dentro di me. Per gli altri che guardano da fuori, le mie idee, i miei sentimenti hanno un naso. Il mio naso. E hanno un paio d’occhi, i miei occhi, ch’io non vedo e ch’essi vedono. Che relazione c’è tra le mie idee e il mio naso? Per me, nessuna, Io non penso con il naso, né bado al mio naso, pensando. Ma gli altri? Gli altri che non possono vedere dentro di me le mie idee e vedono da fuori il mio naso? Per gli altre le mie idee e il mio naso hanno tanta relazione, che se quello poniamo, fossero molto serie e questo per la sua forma molto buffo, si metterebbero a ridere”. Così, seguitando, sprofondai in quest’altra ambascia: che non potevo, vivendo, rappresentarmi a me stesso negli atti della mia vita; vedermi come gli altri mi vedevano; pormi il mio corpo e vederlo vivere come quello d’un altro. Quando mi ponevo davanti a uno specchio avveniva come un arresto in me; ogni spontaneità era finita, ogni mio gesto appariva a me stesso fittizio o rifatto. Io non potevo vedermi vivere. Potei averne la prova nell’impressione alla quale fui per così dire assaltato, allorché, alcuni giorni dopo, camminando e parlando col mio amico Stefano Firbo, mi accadde di sorprendermi all’improvviso in uno specchio per via, di cui non m’ero prima accordo. Non poté durare più di un attimo quell’impressione, ché subito seguì quel tale arresto e finì la spontaneità e cominciò lo studio. Non riconobbi in prima me stesso. Ebbi l’impressione d’un estraneo che passasse per via conversando. Mi fermai. Dovevo essere molto pallido. Firbo mi domandò: - Che hai? - Niente, dissi. E tra me invaso da uno strano sgomento ch’era insieme ribrezzo, pensavo: - “Era proprio la mia quell’immagine intravista in un lampo? Sono proprio così, io, di fuori, quando - vivendo – non mi penso? Dunque per gli altri sono quell’estraneo sorpreso nello specchio: quello, e non già io quale mi conosco: quell’uno lì che io stesso in prima scorgendolo, non ho riconosciuto. Sono quell’estraneo che non posso veder vivere se non così in un attimo impensato. Un estraneo che possono vedere e conoscere solamente gli altri, e io no”. E mi fissai dall’ora in poi in questo proposito disperato: d’andare in seguendo quell’estraneo ch’era in me e che mio sfuggiva; che non potevo fermare davanti a uno specchio perché subito diventava me quale io mi conoscevo; quell’uno che viveva per gli altri e che io non potevo conoscere; che gli altri vedevano vivere e io no. Lo volevo vedere e conoscere anch’io così come gli altri lo vedevano e conoscevano. 31 Ripeto, credevo ancora che fosse uno solo questo estraneo: uno solo per tutti, come uno solo credevo d’esser io per me. Ma presto l’atroce mio dramma si complicò: con la scoperta dei centomila Moscarda ch’io ero non solo per gli altri ma anche per me, tutti con questo solo nome di Moscarda, brutto fino alla crudeltà, tutti dentro questo povero corpo ch’era uno anch’esso uno e nessuno ahimè, se me lo mettevo davanti allo specchio e me lo guardavo fisso e immobile negli occhi, abolendo in esso ogni sentimento e ogni volontà. Vitangelo dunque è in una posizione diversa da Dorian poiché il Moscarda occupa una posizione dietro lo specchio, dove non si vede ciò che il soggetto conosce ma appunto dove il soggetto soltanto in assenza di se stesso è in grado scoprirsi, diverso, non più uno, ma nessuno e centomila altri che in lui riconoscevano quell’uno. Infatti è attraverso lo sguardo distratto che Vitangelo scorge nello specchio se stesso, che non è lo stesso che lui conosce, è quello che gli altri vedono e che lui può vedere soltanto in assenza di sé. Lo sguardo in questo senso va oltre l’immagine e trapassa lo specchio che mette in luce ciò che gli atri conoscono di Vitangelo Moscarda. Un immagine che da forma al suo pensiero, la stessa immagine che lui offre all’altro ma di cui lui stesso ne è allo scuro. Nelle diverse posizioni dell’uomo davanti allo specchio possiamo scorgere, quanto queste possano essere libere e autonome o quanto invece condizionate. Nella fiaba del fine 1700, dei fratelli Greemm I fratelli Greemm e l’incantevole strega, vi vengono presentati gli elementi cardine delle diverse fiabe a tutti conosciute , che mettendo in evidenza i simboli che caratterizzano ogni personaggio. La fiaba infatti si articola fra l’inganno, anche crudele, dei due fratelli che si trovano in un contesto dentro il quale sono chiamati a dimostrare ciò che dicono di essere; cioè di avere gli strumenti per poster esorcizzare ciò che è avvolto nel mistero; streghe, spettri e orchi che spaventano l’uomo, rappresentanti di una parte oscura non inesplorata dal soggetto e per questo sembiante di mostro perché investita dall’immaginario. Nel racconto il bosco è il luogo dentro il quale si manifestano maggiormente eventi incomprensibili, dove ogni personaggio manifesta la paura e lo smarrimento. Nel paese vicino al bosco sono scomparse dodici bambine, una delle quali rapita da un cavallo che con una membrana reticolosa, simile al sacco amniotico, avvolge la bambina fino a riportarla nella posizione fetale e nasconderla nella pancia fagocitandola. La rete prodotta dalla bocca del cavallo rappresenta la madre che irretisce la bambina. Nell’orientamento psicoanalitico la mamma ragno è colei che trattiene il figlio costruendogli una rete dentro la quale il bambino rimane metaforicamente impedito nel suo essere soggetto. Questo può avvenite per un’inconscia rivalità o come si è detto altre volte, perché l’altro materno proietta il proprio tempo sul figlio irretendolo nel proprio fantasma. Nella stessa fiaba la strega chiamata strega specchio, a complicità della sua vanità, dal tempo della peste risiede chiusa in una torre dove giace distesa immobile in un sonno incantato investita del tempo che è passato. Intorno alla torre, dodici bare formavano un orologio simbolo del tempo che la strega voleva fermare. Quando tutte le bare saranno piene di giovanissime fanciulle, inizierà l’incantesimo e con il sangue di tutte le vittime la strega potrà ritornare bella come un tempo assorbendone la bellezza da ognuna. Attraverso lo sguardo della strega, riflesso nello specchio ella riesce a manipolare il desiderio di chiunque s’incanti a tanta bellezza. Secondo Lacan, psicoanalista del ‘900 , lo sguardo non rappresenta ciò che l’occhio vede ma ciò che il lo sguardo coglie. Che per il soggetto rappresenta Altro. Massimo Recalcati nel libro 32 “il miracolo della forma” illustra come Lacan durante una vacanza in Bretagna negli anni della sua giovinezza, fece una gita con una famiglia di pescatori nella loro pesca quotidiana, al largo egli nota sulla superficie del mare una scatola di sardine il cui luccichio provocava in lui la percezione perturbante (qualcosa che il soggetto avverte ma di cui non ne conosce l’identità), di essere guardato. Lo sguardo enigmatico che proviene dalla scatola di sardine fa emergere il reale(ciò che il soggetto sente e che non si iscrive nella realtà) della sua esistenza come un essere di troppo … In questa immagine speculare si nascondono tutte le parti vere del soggetto ed emergono le falsità dell’anima, in un tempo senza tempo. Ancora una volta il tempo e lo specchio sono gli elementi mediante i quali l’uomo gioca se stesso. L’immagine speculare nasconde l’essere e manifesta i desideri reconditi. Gli specchi delle bra-me brama- me sono delle maschere che il soggetto mantiene in vita alimentando la parte falsa. La storia si conclude con la rottura dello specchio che riporta ogni cosa al suo posto, ogni soggetto al suo tempo. Vediamo come in ogni fiaba il tempo oscilli tra passato, presente e futuro in una linea indefinita che coinvolge attraverso l’immaginario ogni soggetto nel presente. Lo specchio della matrigna di Biancaneve non regge più la maschera e rivela la paura della madre, di perdere la propria posizione narcisistica nella triade familiare di conseguenza la regina (madre) trasferisce sulla figlia la propria perdita narcisistica, il cacciatore che rappresenta la figura paterna, offre alla figlia una via di fuga, riconoscendole una posizione altra. E proprio questo che la bambina e la ragazza nella posizione edipica vuole credere: che suo padre anche se indotto dalla madre si schiererebbe sempre dalla sua parte. Infatti il cacciatore (padre) porta la prova alla regina ingannando così la madre. Biancaneve entrerà nella casa dei nani che rappresentano il suo periodo di latenza, i nani nella versione antica, sono tutti uguali poiché nutrono soltanto interessi materiali oltre ad essere immutabili. Non è così per Biancaneve che nel tempo muta i suoi interessi e desidera, lasciandosi sedurre dagli oggetti, che nel travestimento le offre la regina: le stringhe del corpetto,Simbolo del corpo che cambia le forme, il pettine avvelenato, relativo alla cura per la propria immagine e infine la metà della mela, la parte rossa quella pià attraente, che segna la fine dell’età immatura per intraprendere l’età adolescenziale che attraverso i pericoli che la caratterizzano, la preparano all’incontro con il principe. Ancora un’affinità di simboli si può cogliere nella bara di cristallo, che di poco differisce dalle scarpette di cristallo di Cenerentola a quelle d’argento di Doroty nel mago di Oz . Tutti questi oggetti stanno a rappresentare una parte che va perduta, ed una che rimanendo, rappresenta la parte preziosa del soggetto. Biancaneve rimane molto tempo nella bara di cristallo e questo sta ad indicare che il tempo cronologico che rappresenta l’adolescenza non va di pari passo con il tempo del soggetto che differisce in ogni individuo. Così accade anche per Aurora nella fiaba della Bella addormentata, che stupenda riposa nel giaciglio del suo castello (Casa dei genitori) per molto, molto tempo. Anche Alice si addormenta ai piedi di un albero e intraprende il viaggio nel paese delle meraviglie, in un susseguirsi del tempo rappresentato dal Bianconiglio che è sempre in ritardo. Tutto come nel mito di Demetra che abbiamo ascoltato la volta scorsa, si rappresenta nelle viscere della terra ed anche lei manga il frutto che la fa crescere o decrescere a seconda della parte che ella privilegerà. Per concludere questo seminario che ha soltanto superficialmente affrontato delle tematiche che si accostano alle caratteristiche del bambino nella sua esperienza evolutiva, metterei in evidenza, 33 sottolineando i punti cardine che si sono affrontati e che si rifanno alla posizione dell’adulto nei confronti di un bambino, sia questo il figlio, il nipote o l’alunno, poco cambia, ...fondamentale è che sia sempre riconosciuto come soggetto, diverso da come lo abbiamo immaginato, da come vorremmo che fosse e per questo l’adulto a suo fianco, dovrà continuamente misurarsi con quello che rappresenta il v desiderio,diverso per ognuno, v l’etica, che non si iscrive nelle modalità educative né in modelli di prescrizione, piuttosto in una cornice fatta di riferimenti che prevedono le regole che si fondano su un principio di realtà e di convivenza, v l’ascolto che prevede una posizione laterale, che non invada il soggetto ma che lo accompagni nelle sue esperienze e in fine ma non per importanza, v il buon senso, che spesso viene invaso dal frenetico battito del tempo che ci fagocita in un grembo sociale che non protegge ma aliena ogni soggetto attore su questo palcoscenico che la vita rappresenta. Fine. *°*°* L’Associazione Agalma ringrazia e saluta tutti coloro che hanno partecipato al seminario, per la cooperazione e l’armonia che si sono potute vivere in queste serate. Presidente dell’Associazione Agalma Rossella Benedetti 34 U|uÄ|ÉzÜty|t *°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°* v Il Cunto deli Cunti Aut. Gian Battista Basile ed. Einaudi Edizioni v La fiaba Russa Aut. Vladimir Jakovlevic Propp ed. Einaudi v La luna nella cenere Aut. Adalinda Gasparini ed. Franco Angeli v Il mondo incantato Aut. Bruno Bettelheim ed. Feltrinelli v Alice nel paese delle meraviglie Attraverso lo specchio Aut. Carroll Ed. Garzanti v Logica della fiaba Aut. Michele Rak Ed. Bruno Mondadori v Uno, nessuno e centomila Aut. Luigi Pirandello Ed. E.V. v L’animus e l’anima delle fiabe Aut. Marie – Louisse Von Franz Ed. Maggi v Lacan Scritti vol.I A cura di Giacomo Conti Ed. Einaudi v La nascita delle stagioni , il mito di Persefone e Demetra. ( Aut.C.Lossani/ O.Monaco Ed. Arka) v Il ritratto di Dorian Gray Aut. Oscar Wilde Aut. Feltrinelli v Il miracolo della forma Aut. Massimo Recalcati Ed. Bruno Editori 35