- Osservatorio Permanente sul Mercato del Lavoro

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- Osservatorio Permanente sul Mercato del Lavoro
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La Riforma viene illustrata nei suoi risvolti di immediata applicabilità nell’attività
quotidiana di professionisti e imprese.
La Riforma del Lavoro nasce dall’esperienza del Sole 24 Ore e dalla operatività del
Sistema Frizzera 24 e fornisce soluzioni chiare e autorevoli.
LA RIFORMA DEL LAVORO
La Riforma del Lavoro offre una serie di strumenti operativi per la comprensione
delle numerose e importanti novità introdotte nel diritto e nel mondo del lavoro dalla
Legge 28 giugno 2012, n. 92.
5
somministrazione di lavoro - lavoro intermittente - lavoro accessorio
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I manuali del Sole 24 ORE
Settimanale N. 5/2012
5
MERCATO DEL LAVORO: flessibilità in entrata
somministrazione di lavoro
lavoro intermittente
lavoro accessorio
a cura di
Giampiero Falasca, Paola Sanna e Luca Vichi
IN COLLABORAZIONE CON
Euro 9,90
05_RifLav.indd 1
14/09/12 16.19
LA RIFORMA
DEL LAVORO
SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO,
LAVORO INTERMITTENTE
E LAVORO ACCESSORIO
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LA RIFORMA DEL LAVORO continua ONLINE
Il Sole 24 ORE riserva ai lettori di «La riforma del lavoro» l’opportunità di approfondire online i temi
trattati in questo volume.
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I Manuali del Sole 24 ORE – Aut. Min. Rich.
Direttore responsabile: Roberto Napoletano
Il Sole 24 ORE S.p.A. – Via Monte Rosa, 91 – 20149 Milano
Settimanale - N. 5/2012
Volume 5 – Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
© Il Sole 24 ORE a cura dell’Area Tax&Legal
Direttore: Paolo Poggi
Redazione: Claudio Pagliara - Ermanno Salvini
Progetto grafico copertine: Marco Pennisi & C.
Tutti i diritti di copyright sono riservati. Ogni violazione sarà perseguita a termini di legge.
Finito di stampare nel mese di ottobre 2012 presso:
Grafica Veneta – Via Malcanton, 2 – 35010 Trebaseleghe (PD)
CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE: STRADA MAESTRA
DEL MERCATO DEL LAVORO
La lunga discussione che ha preceduto la Riforma del Lavoro ha preso le mosse dall’interessante ipotesi di semplificare e ridurre le forme contrattuali spurie – purtroppo enormemente diffuse - e di dare spazio a nuovi e più adeguati strumenti di “flexicurity”. Come?
Avvalendosi innanzitutto del supporto delle Agenzie per il Lavoro, considerate, pressoché
all’unanimità, come le uniche realtà in grado - grazie al contratto di somministrazione - di
combinare la flessibilità richiesta dalle aziende con la domanda di continuità professionale e di redditività giustamente invocata dalle persone.
Proprio per questo, le Agenzie per il Lavoro erano state indicate da tutti come “i nuovi
protagonisti” del mercato del lavoro, capaci di garantire, anche contrattualmente, le modalità più idonee affinché la necessaria flessibilità non si traducesse, di fatto, in forme di
precarizzazione del lavoro con effetti devastanti.
Purtroppo la logica concertativa a cui abbiamo assistito ha notevolmente rallentato e in
parte impedito lo sviluppo e l’incentivazione delle forme di buona flessibilità. Proviamo
tuttavia, in estrema sintesi, ad elencare le principali opportunità nell’utilizzo della somministrazione emerse dalla Riforma.
Valorizzazione del contratto di apprendistato: l’attuale Testo Unico in materia di apprendistato dispone che il datore di lavoro possa assumere apprendisti, oltre che direttamente, anche tramite le Agenzie per il lavoro in staff leasing grazie all’emendamento, inserito
in sede di conversione di legge nel decreto sviluppo, che ha esteso la possibilità da parte
delle Agenzie per il lavoro di somministrare a tempo indeterminato lavoratori apprendisti
in tutti i settori produttivi.
Stop & go: per l’eventuale riattivazione di contratti a tempo determinato con la medesima
persona e mansione devono trascorrere almeno 60 o 90 giorni, a seconda che la durata
del primo contratto sia inferiore o superiore a sei mesi. Nel caso di utilizzo del contratto
di somministrazione da parte delle aziende questo vincolo non esiste ed il contratto può
essere riattivato immediatamente.
Acausalità: circa l’indicazione della causale di utilizzo del lavoratore vi è un’esenzione,
non prorogabile, per il primo contratto se non superiore ai 12 mesi, o del 6% del personale
complessivo, ma solo se previsto dai CCNL in specifici progetti organizzativi. In caso di
utilizzo della somministrazione sono però indicate ulteriori ipotesi di acausalità, ai sensi
del D.lgs 24/2012: sono quelle che rientrano nell’ambito della soggettività, come le varie
forme riferite a “soggetti svantaggiati” – è il caso dei disoccupati percettori di indennità
pubblica oltre i 6 mesi o degli adulti soli con famigliari a carico - o, ancora, la parte in
cui si sancisce che non vi sia il vincolo causale ogniqualvolta si giunga ad un accordo di
secondo livello.
36 mesi: va infine sottolineato che un’attenta interpretazione dell’attuale norma porta ad
affermare che, mentre per i contratti a termine vige l’obbligo da parte delle aziende utilizzatrici di stabilizzare i lavoratori dopo i 36 mesi di utilizzo, calcolando in questo conteggio
anche i periodi di somministrazione, non è vero il contrario: la circolare interpretativa
n°18/2012, appena emanata dal Ministero del lavoro, chiarisce in modo esplicito che, se
i lavoratori vengono collocati solo tramite contratti di somministrazione di lavoro, senza
commistione con contratti di lavoro a termine direttamente stipulati tra datori e lavoratori, l’obbligo di stabilizzazione non opera. (D’altro canto si ricorda che dopo 36 mesi l’obbligo di stabilizzazione è invece previsto per le APL ai sensi del CCNL di categoria).
Aspi: viene definito un contributo aggiuntivo, che graverà sui contratti a termine diretti e
non sulla somministrazione, perché compensati da Formatemp.
Vengono in tal modo introdotti nel sistema alcuni reali strumenti di flexicurity, grazie
all’utilizzo efficiente della capillarità dei servizi erogati dalle APL. Una grande opportunità
per lo sviluppo del mercato del lavoro e per il bene di tutte le parti in causa.
Stefano Colli-Lanzi,
CEO Gi Group e Presidente Gi Group Academy
www.scolliniamo.it @collilanzi
SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO, LAVORO
INTERMITTENTE E LAVORO ACCESSORIO
di Giampiero Falasca, Paola Sanna e Luca Vichi
INDICE GENERALE
pag.
Capitolo 1 - Agenzie per il lavoro: quadro
normativo
.....................................................1
1.1 Dal divieto alla liberalizzazione .............1
1.1.1 Riforma Fornero e Agenzie
per il lavoro .................................7
1.2 Orientamenti dell’Organizzazione
internazionale sul lavoro .......................8
1.3 Direttiva 2008/104/CE sul lavoro
tramite Agenzia ...................................10
1.4 Attuazione della Direttiva
104/1998. Riforma delle causali ..........12
Capitolo 2 - Autorizzazione all’esercizio
dell’attività di agenzia per il lavoro...................15
2.1 Requisiti delle Agenzie ........................15
2.2 Obblighi e divieti a carico delle
Agenzie per il lavoro ............................24
Capitolo 3 - Mercato del lavoro e servizi
per l’impiego ...................................................29
3.1 Politiche attive e soggetti del
mercato del lavoro ..............................29
3.2 Riforma Fornero e servizi per
l’impiego ..............................................32
Capitolo 4 - Il contratto commerciale
di somministrazione di manodopera ................37
4.1 Il contratto di somministrazione ........37
4.2 Somministrazione a tempo
determinato ........................................41
4.2.1 Causali di ricorso ........................41
4.2.2 Esenzione dalla causale .............44
4.2.3 Esenzione della causale
nella Riforma Fornero ...............48
4.2.4 Contratti di lavoro
utilizzabili nell’ambito della
somministrazione a termine .....51
4.2.5 Durata massima della
somministrazione a termine ......52
4.2.6 Proroga del contratto
di somministrazione .................53
pag.
4.3
4.2.7 Successione di contratti
e obbligo di intervallo (c.d.
stop and go) ...............................54
Somministrazione a tempo
indeterminato (Staff Leasing) ...............55
4.3.1 Casi di ricorso.............................56
4.3.2 Staff leasing e apprendisti ..........58
4.3.3 Staff leasing e contratto di
lavoro .......................................63
Capitolo 5 - Somministrazione,
appalto e distacco...............................................65
5.1 Somministrazione e appalto................65
5.1.1 Regime di responsabilità
solidale del committente ...........66
5.1.2 Responsabilità solidale
nella riforma Fornero ................68
5.2 Somministrazione e distacco ..............70
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in
somministrazione ..............................................75
6.1 Instaurazione del rapporto di lavoro ...75
6.2 Orario di lavoro ....................................77
6.3 Inquadramento contrattuale,
mansioni e retribuzione .......................82
6.4 Dimissioni del lavoratore.....................85
6.5 Licenziamento del lavoratore ..............91
Capitolo 7 - Parti del contratto di
somministrazione e diritti sindacali ...............101
7.1 Imprese utilizzatrici ...........................101
7.2 Lavoratori...........................................104
7.3 Obblighi del lavoratore
somministrato ...................................107
7.4 Diritti sindacali...................................108
Capitolo 8 - Somministrazione di lavoro:
aspetti sanzionatori ........................................111
8.1 Divieto di interposizione fittizia di
manodopera .......................................111
8.2 Somministrazione irregolare ............113
VI
– segue –
INDICE GENERALE
pag.
8.3
8.4
Esercizio abusivo ed utilizzazione
illecita ................................................116
Somministrazione fraudolenta ..........117
Capitolo 9 - Lavoro intermittente ....................119
9.1 Lavoro intermittente a tempo
determinato .......................................119
9.2 Caratteristiche ...................................119
9.3 Tipologie di contratti a chiamata .......122
9.4 Ruolo della contrattazione collettiva .123
9.5 Divieti .................................................123
9.6 Adempimenti del datore di lavoro .....124
I capitoli da 1 a 8 sono a cura di G. Falasca.
I capitoli 9 e 10 sono a cura di P. Sanna e L. Vichi.
pag.
9.7
Tutele fondamentali e gestione
delle assenze .....................................133
Capitolo 10 - Lavoro accessorio ......................137
10.1 Limite reddituale ...............................137
10.2 Ambito applicativo .............................138
10.3 Adempimenti dei committenti ...........141
10.3.1 Contenuti della
comunicazione obbligatoria .....141
10.3.2 Pagamento delle prestazioni ....142
10.3.3 Voucher telematici e
voucher cartacei ......................144
Capitolo 1
AGENZIE PER IL LAVORO: QUADRO NORMATIVO
1.1 Dal divieto alla liberalizzazione
Il legislatore italiano ha abbandonato solo a partire dagli anni novanta l’atteggiamento di
storica diffidenza verso tutti quei soggetti, diversi dallo Stato, che si frappongono tra il datore
di lavoro e il lavoratore al momento della costituzione del rapporto di lavoro; tale processo
ha interessato, con tempi e con forme diverse, la maggior parte dei Paesi europei, nei quali si
riscontra una sempre più accentuata tendenza a liberalizzare il mercato del lavoro e, in particolare, le attività legate all’intermediazione della manodopera, nel presupposto che il servizio
reso all’utente dall’operatore pubblico in concorrenza con quello privato guadagni in efficacia,
efficienza e qualità.
NATURA PUBBLICA DEL COLLOCAMENTO
La legge 29 aprile 1949, n. 264, ribadendo l’impostazione fatta propria dall’ordinamento corporativo, affermò la natura di pubblica funzione del collocamento e, in quanto tale, né affidò la gestione
esclusiva allo Stato, vietando a tutti gli altri soggetti “l’esercizio della mediazione, anche se gratuito” (art. 1).
La legge disciplinava in maniera particolarmente vincolistica anche la procedura di assunzione
dei lavoratori, introducendo un meccanismo molto articolato la cui finalità era di controllare l’esercizio della libertà contrattuale in materia di costituzione del rapporto di lavoro.
I datori di lavoro erano tenuti ad assumere lavoratori iscritti al collocamento, ad eccezione di
parenti ed affini, personale con funzioni direttive, lavoratori a esclusiva compartecipazione, personale domestico e addetti agli studi professionali. Erano esentate le aziende con non più di tre
dipendenti, limitatamente a zone particolari, mentre era invece ammesso il passaggio del lavoratore “direttamente e immediatamente dall’azienda nella quale è occupato ad un’altra”.
La richiesta di personale all’ufficio di collocamento doveva essere “numerica per categoria e qualifica professionale”; la richiesta nominativa era ammessa per le ditte fino a cinque dipendenti e,
per le altre aziende, nella proporzione di un decimo delle assunzioni (con un minimo garantito di
dieci persone), per lavoratori di concetto o aventi particolare specializzazione o qualificazione, per
il personale di fiducia addetto a compiti di vigilanza, per il primo avviamento di giovani in possesso
di titoli di studio rilasciati da scuole professionali.
Divieto di interposizione di manodopera
Il divieto di mediazione privata di manodopera fu in seguito ulteriormente rafforzato dalla legge
23 ottobre 1960, n. 1369, la quale sanzionò anche quella particolare forma di intermediazione (c.d.
interposizione fittizia) mediante la quale un soggetto assume formalmente lavoratori per farli poi
lavorare alle effettive dipendenze di un altro soggetto.
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 1 - Agenzie per il lavoro: quadro normativo
2
- segue Crisi del collocamento pubblico
Nonostante la rigidità dell’impianto burocratico e vincolistico del collocamento costruito con la
legge n. 264/1949, lo Stato non è riuscito a svolgere il ruolo immaginato di unico attore e garante
del funzionamento del mercato del lavoro, ed anzi il modello imperniato sul monopolio della gestione statale e sulla natura vincolistica delle procedure d’assunzione ha costituito un freno alla
crescita dell’occupazione.
L’insoddisfazione nei confronti delle carenze del sistema iniziò ad esprimersi, dagli anni ottanta,
in un lento ma incessante percorso culturale e normativo il cui filo conduttore era la ricerca, inizialmente molto timida, e successivamente sempre più decisa, di strumenti e correttivi in grado di
ovviare all’inefficacia del sistema.
L’Accordo di concertazione del gennaio 1983 indicò una serie di obiettivi di riforma del mercato del
lavoro particolarmente ambiziosi e lungimiranti, che sarebbero stati i temi principali dell’agenda
politica del successivo decennio; alcuni di questi obiettivi furono attuati mediante provvedimenti
legislativi immediatamente successivi.
La legge 19 dicembre 1984, n. 863 introdusse i contratti di formazione e lavoro e le liste di collocamento per il lavoro a tempo parziale, ed estese la facoltà di richiesta nominativa da un decimo
alla metà delle assunzioni a tempo indeterminato; successivamente, la legge 28 febbraio 1987, n.
56, adottò una serie di misure correttive tese a migliorare il funzionamento degli uffici di collocamento. La legge individuò nelle sezioni circoscrizionali le unità gestionali più idonee, attribuì alle
commissioni regionali per l’impiego le funzioni di programmazione, direzione e controllo delle
politiche attive del lavoro e la facoltà di proporre deroghe ai vincoli esistenti per incentivare l’incontro tra domanda e offerta, ampliò la possibilità di stipulare contratti a termine e riformulò la
disciplina dell’apprendistato, e infine istituì le Agenzie per l’impiego regionali.
Chiamata nominativa
A partire dagli anni Novanta vengono approvati provvedimenti che affrontano compiutamente i
nodi del sistema tra i quali, in primo luogo, la necessità di ridurre il carico vincolistico delle procedure di assunzione. La legge 29 dicembre 1990, n. 407 consente la chiamata nominativa per i
lavoratori cassintegrati e disoccupati iscritti da più di 24 mesi, e la legge 23 luglio 1991, n. 223
generalizza la richiesta nominativa per il collocamento ordinario. Questa ultima, in particolare,
rende il sistema nominativo non più eccezionale, bensì ordinario, mantenendo tuttavia la facoltà di
ricorrere ancora al criterio numerico.
La chiamata numerica sopravvive nel collocamento obbligatorio, nel cui ambito viene introdotta la
protezione di lavoratori svantaggiati, e il nulla osta preventivo all’assunzione viene sostituito con
la sola comunicazione successiva.
Questi provvedimenti producono l’indubbio effetto pratico di ridurre il carico burocratico del collocamento, seppure a livello di situazioni giuridiche soggettive non mutano l’impostazione del sistema; essi, infatti, non cancellano il principio di soggezione delle parti alla potestà autorizzatoria
dell’Ufficio di collocamento, né minano la concezione del collocamento come funzione pubblica
esclusiva.
La tendenza alla riduzione del carico burocratico del collocamento si consacra nella legge 28 novembre 1996, n. 608, mediante la quale viene generalizzata la facoltà di assunzione diretta (la c.d.
scelta nominativa) e si consente ai datori di lavoro l’autocertificazione del rispetto delle norme
vigenti.
Prime regolazioni della fornitura di manodopera
All’inizio degli anni novanta fanno la propria comparsa le prime norme sperimentali sulla fornitura di personale. In particolare, un’importante anticipazione delle riforme che saranno attuate
qualche anno dopo si realizza con l’art. 13 D.L. 1/1993, il quale consente la creazione di imprese
di fornitura di prestazioni di lavoro. La norma, seppure ha vita molto breve (decade per mancata
conversione in legge) segna la prima frattura del rigido principio che riservava allo Stato in via
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 1 - Agenzie per il lavoro: quadro normativo
3
- segue esclusiva lo svolgimento di funzioni di incontro tra domanda ed offerta di lavoro.
La prospettiva dell’introduzione del lavoro interinale è riproposta subito dopo, quando è inserita
tra le misure previste dal Protocollo d’intesa del 23 luglio 1993 per aumentare l’occupazione.
L’accordo riconosce che il lavoro interinale potrebbe contribuire a rendere “... più efficiente il
mercato del lavoro...”, e contiene l’impegno dell’esecutivo di predisporre un disegno di legge in
materia di gestione del mercato del lavoro che avrebbe dovuto consentire il ricorso al lavoro interinale.
Pacchetto Treu caduta del divieto di mediazione privata
Il percorso di legittimazione della fornitura di lavoro si concretizza nella legge 24 giugno 1997, n.
196 (il c.d. Pacchetto Treu) la quale riconosce finalmente la liceità del lavoro interinale da parte di
Agenzie private autorizzate.
Accanto a questo provvedimento, ne viene approvato un altro che rimuove il divieto di mediazione privata, il D.lgs. 23 dicembre 1997, n. 469. Con questo atto viene avviata la trasformazione
del collocamento in un sistema integrato di “servizi all’impiego”, decentrato a livello territoriale,
improntato, per la parte pubblica, su regole e procedure innovative, orientate non più allo svolgimento di funzioni meramente burocratiche ma finalizzate all’erogazione di un servizio ai lavoratori. All’interno di questa riforma complessiva, l’art. 10 del decreto introduce il concetto innovativo per cui alcuni servizi di intermediazione possono essere offerti dai soggetti privati autorizzati
dallo Stato. L’apertura al lavoro interinale e alla mediazione privata viene attuata secondo una
tecnica di liberalizzazione controllata, suggerita dalla Convenzione OIL n. 181/1997, in quanto le
norme sopra ricordate subordinano l’esercizio dell’attività dei soggetti privati al previo ottenimento dell’autorizzazione dal Ministero del Lavoro.
Riforma Biagi e Agenzie per il lavoro - Il D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (meglio noto
come riforma Biagi), cerca di accrescere la capacità concorrenziale e l’operatività nel mercato
dei soggetti privati che erogano servizi per il lavoro, mediante un doppio tipo di interventi. Da
un lato, la riforma amplia il contenuto delle attività che possono essere svolte dalle Agenzie
per il lavoro, mediante l’abrogazione dell’obbligo di oggetto sociale esclusivo delle agenzie
interinali e di mediazione; da un altro lato, viene ipotizzata la possibilità che i privati, mediante
l’accreditamento, contribuiscano a rafforzare l’azione pubblica, fornendo servizi o specifiche
professionalità cui risulta sprovvista.
Agenzie per il lavoro polifunzionali - La riforma Biagi abroga l’art. 2 della legge n.
196/1997, il quale richiedeva l’esercizio in forma esclusiva dell’attività di fornitura di lavoro
temporaneo, e dell’art. 10, comma 3 del D.lgs. n. 469/1997, il quale prescriveva che i soggetti interessati allo svolgimento delle attività di mediazione dovevano svolgere, sempre in
forma esclusiva, soltanto tale attività. Con queste modifiche, viene meno l’obbligo di oggetto sociale esclusivo e si consente alle Agenzie per il lavoro di scegliere se specializzarsi in
un particolare segmento di attività (somministrazione generale, somministrazione speciale, intermediazione, supporto alla ricollocazione professionale, ricerca e selezione del personale) o se operare come soggetti “polifunzionali”, i quali svolgono contemporaneamente
più attività.
Somministrazione di manodopera - L’art. 2 D.Lgs. n. 276/2003 - innovando il quadro legale vigente - descrive in modo analitico le attività suscettibili di svolgimento da parte dei soggetti privati autorizzati: l’intermediazione, la ricerca e selezione del personale, il supporto
alla ricollocazione professionale, la somministrazione di manodopera.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
4
Capitolo 1 - Agenzie per il lavoro: quadro normativo
La più ampia delle attività che potranno essere svolte dai soggetti privati è la somministrazione di manodopera. L’elemento tipico della fattispecie della somministrazione consiste nella
possibilità per una parte di obbligarsi, verso il corrispettivo di un prezzo, a fornire ad un’altra
prestazioni periodiche o continuative rese da terzi, senza che tra i lavoratori “forniti” e l’utilizzatore si insaturi un contratto di lavoro subordinato. Affinché tale operazione sia lecita la
legge richiede alcune condizioni di liceità (autorizzazione, sussistenza delle causali, non ricorrenza dei divieti specifici, rispetto dei requisiti di forma); in tal modo, il legislatore opera una
valutazione di “meritevolezza” circa la stipula di tale contratto solo in presenza di un complesso di condizioni che consentono di distinguerlo da fattispecie tipicamente riconducibili a fenomeni di sfruttamento criminoso del lavoro altrui.
La somministrazione sostituisce integralmente la fattispecie del lavoro interinale, con alcuni tratti di continuità ed altri di distinzione.
Lo schema trilaterale proprio del lavoro interinale rimane inalterato; vengono stipulati due
diversi contratti, uno tra l’Agenzia fornitrice e l’utilizzatore (un contratto di natura commerciale definibile come il contratto di somministrazione), e l’altro tra il lavoratore e l’Agenzia, che
costituisce un normale contratto di lavoro, cui si applica l’ordinaria disciplina dei rapporti di
lavoro, seppure con alcuni significativi tratti di specialità.
Il cambiamento si concretizza innanzitutto nell’introduzione di due tipologie di somministrazione, una maggiormente assimilabile al lavoro interinale, cioè la somministrazione a tempo
determinato, ed una sino ad allora non prevista nel nostro ordinamento, la somministrazione a
tempo indeterminato (nota anche come staff leasing), utilizzabile per alcuni tipi di attività elencati dalla legge (art. 20 comma 3), che possono essere integrati dalla contrattazione collettiva.
Inoltre, per la somministrazione a termine le vecchie causali vengono sostituite, secondo il modello della nuova disciplina del contratto a tempo determinato, da una clausola generale, formulata in termini simili a quelli del D.lgs. n. 368/2001; la somministrazione di lavoro a tempo determinato, infatti, “è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o
sostitutivo…” (art. 20, comma 4). Il legislatore delegato ha aggiunto, un significativo inciso “..anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore...” - probabilmente con l’intento di escludere che le ragioni giustificatrici debbano avere un carattere eccezionale.
La finalità di ampliare la possibilità di ricorso all’istituto rispetto alle condizioni previste per
il lavoro interinale è visibile anche nella riduzione dei divieti posti al suo utilizzo (art. 20, comma 5).
Tra i divieti previgenti sono sopravvissuti quelli relativi alla sostituzione di lavoratori in
sciopero, al precedente ricorso (sino a sei mesi prima) a licenziamenti collettivi o sospensioni totali o parziali del lavoro, all’omessa valutazione dei rischi per la sicurezza sul lavoro;
sono invece venuti meno i divieti di utilizzo per le mansioni eventualmente individuate dai
contratti collettivi in caso di pericoli per la sicurezza, nonché quelli concernenti le lavorazioni
richiedenti una sorveglianza medica speciale.
La riforma ha liberalizzato ulteriormente l’istituto consentendo il suo utilizzo anche nei
settori dell’agricoltura e dell’edilizia, per i quali vigeva un regime speciale che doveva passare
attraverso intese sindacali di livello nazionale (art. 1, comma 3, legge n. 196/1997).
Somministrazione e appalto - Il D.Lgs. n. 276/2003 riforma in profondità la disciplina complessiva dei fenomeni interpositori, mediante l’abrogazione della legge 1369/1960, la quale
vietava ogni forma di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, e la contestuale riforma della disciplina della somministrazione di manodopera.
La legge n. 1369/60 sanciva (art. 1, comma 1) il divieto per l’imprenditore di affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l’esecuzione di
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 1 - Agenzie per il lavoro: quadro normativo
5
mere prestazioni di lavoro mediante l’impiego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore o intermediario, qualunque fosse la natura dell’opera o del servizio cui le prestazioni si
riferivano.
In base a questa disciplina il lavoratore doveva essere considerato come dipendente dell’effettivo utilizzatore ogni volta che il datore di lavoro “formale” si fosse limitato a fornire mere
prestazioni di lavoro. Tali prestazioni erano definite dall’art. 1, comma 3, con una norma dal
carattere sia integrativo che esplicativo del divieto, come “ogni forma di appalto o subappalto,
anche per l’esecuzione di opere e servizi, ove l’appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante quand’anche per il loro uso venga corrisposto un compenso”.
Contestualmente all’abrogazione della legge n. 1369/1960, il D.Lgs. n. 276/2003 ridefinisce
i criteri per distinguere un appalto genuino ex art. 1655 c.c. da un nudo appalto di manodopera in parte diversi da quelli applicabili sulla base della legge n. 1369/60. In particolare, l’art.
29 tenta di dare confini normativi più solidi all’appalto di servizi, cioè a quella fattispecie che,
in ragione della prevalenza delle prestazioni di lavoro sull’organizzazione dell’appaltatore, è
più vicina alla fornitura di manodopera.
Intermediazione di manodopera - Il D.Lgs. n. 276/2003 riformula anche la fattispecie
dell’intermediazione, che va a sostituire quella - meno ampia - di mediazione contenuta nel
D.Lgs. n. 469/1997. Questo ultimo non definiva in maniera puntuale l’attività di mediazione di
manodopera; il Ministero del Lavoro, per colmare questa lacuna, tentò di precisare la nozione,
riconducendo ad essa tutte le attività strumentali al raggiungimento dell’oggetto sociale
esclusivo, come le attività di gestione di una banca dati e la ricerca e selezione del personale;
l’intervento ministeriale estese così il contenuto della nozione di mediazione, evitando di optare per una lettura restrittiva, che sarebbe in ogni caso stata possibile alla luce della scarsa
precisione della norma. Tale lettura estensiva è stata in seguito accolta dal legislatore ordinario con l’art. 117 comma 3 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, che ha novellato l’art. 10 del
D.lgs. 469/1997.
Con questa norma il legislatore ha ampliato la nozione di mediazione autorizzata. Secondo
il nuovo art. 10 erano riconducibili alla mediazione in senso stretto le attività di raccolta dei
curricula degli aspiranti lavoratori, di preselezione dei curricula ricevuta dal datore di lavoro,
di costituzione di una banca dati, di orientamento professionale (attività sino ad allora ritenuta
propria degli enti di formazione), di effettuazione, su richiesta del datore di lavoro, delle comunicazioni obbligatorie conseguenti all’assunzione di soggetti avvenuta per il tramite della società di mediazione, di gestione di attività dei servizi per l’impiego a seguito di convenzioni con
le pubbliche istituzioni preposte.
La norma ha inoltre ricondotto alla fattispecie di mediazione le attività di ricerca e selezione del personale e di supporto alla ricollocazione professionale.
Il D.Lgs. n. 276/2003 riformula nuovamente la fattispecie che, oltre ad assumere la denominazione di “intermediazione”, comprende un numero molto più ampio di attività. Essa infatti comprende, “… tra l’altro ...”, le attività di raccolta dei curricula dei potenziali lavoratori e di
costituzione della relativa banca dati, di preselezione dei curricula ricevuti dal datore di lavoro,
di effettuazione, su richiesta del committente, di tutte le comunicazioni conseguenti alle assunzioni avvenute a seguito della attività di intermediazione, di orientamento professionale, di
progettazione ed erogazione di attività formative finalizzate all’inserimento lavorativo.
Un’altra differenza rispetto alla vecchia definizione di mediazione è l’assenza del richiamo alla
“gestione di servizi per l’impiego” in convenzione, probabilmente perché l’esercizio di tale attività è
stato riservato, a seguito dell’opportuna ridefinizione dell’istituto, ai soggetti accreditati, mentre
l’intermediazione è subordinata all’ottenimento del – diverso - provvedimento di autorizzazione.
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Capitolo 1 - Agenzie per il lavoro: quadro normativo
Ricerca e selezione del personale - L’art. 2 D.Lgs. n. 276/2003 riformula anche la definizione dell’attività di ricerca e selezione del personale, descritta come consulenza di direzione finalizzata alla risoluzione di una specifica esigenza dell’organizzazione committente; nella
nuova fattispecie sono comprese diverse attività, alcune propedeutiche all’inserimento lavorativo ed altre connesse all’accompagnamento nella fase dell’inserimento.
Tra le prime rientrano l’individuazione delle candidature idonee a ricoprire una o più posizioni lavorative in seno al committente (anche tramite un’analisi del suo contesto organizzativo e l’individuazione e definizione delle sue esigenze), la definizione del profilo di competenze
e di capacità della candidatura ideale, la pianificazione e la realizzazione del programma di
ricerca delle candidature, la valutazione delle candidature individuate attraverso appropriati
strumenti selettivi e la formazione della rosa di candidature maggiormente idonee. Tra le attività più legate alla fase dell’inserimento vero e proprio rientrano invece la progettazione ed
erogazione di attività formative finalizzate all’inserimento lavorativo, l’assistenza nella fase di
inserimento dei candidati e la verifica e valutazione dell’inserimento e del potenziale dei candidati. Anche questa definizione è più ampia di quella contenuta nell’art. 10 D.Lgs. n. 469/1997,
la quale definiva la ricerca e selezione del personale come l’attività, svolta su specifico ed
esclusivo incarico del datore di lavoro, di ricerca, selezione e valutazione dei candidati sulla
base del loro profilo professionale, mediante l’uso di mezzi e strumenti idonei allo scopo. Se si
opera una comparazione tra l’attività di intermediazione e quella di ricerca e selezione del
personale risulta difficile tracciare, avendo riferimento alla realtà economica, le effettive differenze tra le due attività. Queste possono, probabilmente, essere rintracciate innanzitutto nel
modo in cui le Agenzie potranno svolgere queste attività.
Le Agenzie di intermediazione possono esercitare autonomamente un ruolo di promozione
dell’inserimento lavorativo, proponendo i candidati alle aziende; quelle di ricerca e selezione
del personale potranno invece svolgere la propria attività solo previo conferimento di un incarico e in qualità di consulenti del datore di lavoro.
Un secondo aspetto differenziale consiste nella maggiore ampiezza delle attività “collaterali” all’incrocio di manodopera che possono essere svolte con l’intermediazione, che consente anche lo svolgimento, ad esempio, delle comunicazioni obbligatorie connesse ai rapporti
instaurati tramite l’attività di intermediazione.
Supporto alla ricollocazione professionale - Il supporto alla ricollocazione professionale,
meglio noto come outplacement, nasce come strumento di supporto alla mobilità ed alla flessibilità del lavoro dei dirigenti, i soggetti cioè meno tutelati contro i licenziamenti individuali; solo
in seguito l’attività si è estesa anche ai quadri aziendali, agli impiegati e agli operai. Le modalità
tipiche di azione delle Agenzie di outplacement si articolano essenzialmente in tre momenti:
- una prima fase in cui si offre un supporto psicologico al candidato, al fine di motivarlo, mediante interventi tesi a valorizzare la sua personalità ed esperienza;
- una fase in cui il candidato riceve una specifica formazione relativa alla propria presentazione ed auto promozione nel mercato del lavoro;
- un ultima fase in cui il candidato viene aiutato a mobilitarsi per individuare l’attività ed il
posto che più gli si addicono.
Nel D.Lgs. n. 469/1997 il supporto alla ricollocazione professionale viene definito come
l’attività svolta su incarico del datore o in esecuzione di accordi sindacali stipulati da “soggetti
surroganti il datore di lavoro” (la formulazione allude alle organizzazioni datoriali e agli enti
bilaterali), al fine di facilitare la rioccupazione di prestatori di lavoro mediante la preparazione
(attività non facilmente distinguibile dalla formazione), l’accompagnamento della persona o il
suo affiancamento nell’inserimento nella nuova attività.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 1 - Agenzie per il lavoro: quadro normativo
7
La riforma Biagi amplia anche questa nozione, definendo l’outplacement come l’attività
effettuata su specifico ed esclusivo incarico dell’organizzazione committente, anche in base
ad accordi sindacali, finalizzata alla ricollocazione nel mercato del lavoro di prestatori di lavoro, singolarmente o collettivamente considerati.
Nella nuova fattispecie viene incluso anche lo svolgimento di attività strumentali quali la
preparazione e formazione finalizzata all’inserimento lavorativo, l’accompagnamento della
persona e l’affiancamento della stessa nell’inserimento nella nuova attività; rispetto alla precedente definizione la novità consiste nell’aggiunta, accanto alla “preparazione”, della “formazione” finalizzata all’inserimento lavorativo.
Operatori speciali - Il D.lgs. n. 276/2003 stimola la partecipazione al mercato del lavoro di
alcuni particolari soggetti (organizzazioni sindacali e datoriali, enti bilaterali, università e
scuole private, Comuni, Camere di Commercio, consulenti del lavoro), mediante le previsione
di un regime di autorizzazione meno rigoroso di quello ordinario; tale scelta è il frutto di un
apprezzamento positivo del legislatore nei confronti di questi soggetti, che sono ritenuti professionalmente adeguati a svolgere funzioni nel mercato del lavoro.
Il regime di autorizzazione agevolato consente di svolgere direttamente, con proprie strutture e personale, l’attività di intermediazione, quella di ricerca e selezione del personale ed il
supporto alla ricollocazione professionale; resta invece preclusa l’attività di somministrazione, sia a tempo determinato, sia a tempo indeterminato.
Raccordo tra servizi pubblici e privati - Alcune norme della riforma Biagi intendono
stimolare la collaborazione tra soggetti pubblici e privati nella realizzazione di alcune
azioni di politica attiva del lavoro; tali misure in alcuni casi assumono carattere volontario
ed eventuale (ad esempio, la somministrazione dei lavoratori svantaggiati) e in altri casi
hanno un carattere necessario ed obbligatorio (ad esempio, la Borsa continua nazionale
del lavoro)
1.1.1 Riforma Fornero e Agenzie per il lavoro
La riforma Fornero (legge 28 giugno 2012, n. 92) interviene di nuovo sulla materia dell’organizzazione del mercato del lavoro, riattivando una delega in materia di servizi per l’impiego
e politiche attive prevista da una legge precedente (la legge 24 dicembre 2007, n. 247, attuativa
del c.d. “Protocollo Welfare”).
Il Governo, nell’esercizio della delega, viene legittimato a disciplinare le forme di attivazione del soggetto che cerca lavoro, in quanto mai occupato, espulso o beneficiario di ammortizzatori sociali, al fine di incentivarne la ricerca del lavoro; la delega dovrebbe anche
occuparsi del “patto di servizio” quale strumento per erogare servizi solo verso quei soggetti che abbiano manifestato una concreta ed effettiva disponibilità a beneficiare delle azioni di politica attiva.
Nulla viene invece detto sul potenziamento dei servizi pubblici mediante la partecipazione
degli operatori privati che già oggi svolgono, in maniera professionale, servizi per il lavoro: le
Agenzie per il lavoro, in primo luogo, ma anche tutti gli enti e soggetti, pubblici e privati, che
hanno da sempre un ruolo nei percorsi di incontro tra domanda ed offerta di lavoro.
Abbiamo appena ricordati che questi soggetti erano stati ampiamente sollecitati dalla legge Biagi ad entrare nel sistema delle politiche del lavoro; gli inviti del legislatore non hanno
prodotto significative forme di collaborazione tra pubblico e privato (salvo lodevoli eccezioni),
e quindi un intervento di aggiornamento del quadro normativo sarebbe stato utile per rimettere questo obiettivo al centro dell’agenda del lavoro.
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8
Capitolo 1 - Agenzie per il lavoro: quadro normativo
Mancano, invece, nella legge n. 92/2012 interventi di questa natura, e tra i criteri di delega
non sono presenti indicazioni specifiche al riguardo, anche se i medesimi criteri sono talmente generici che non sarebbe precluso un intervento, in sede di emanazione della normativa
delegata, anche sul tema delle collaborazione tra pubblico e privato.
1.2 Orientamenti dell’Organizzazione internazionale sul lavoro
Convenzioni OIL del 1948-1949 sul collocamento pubblico. La svolta degli anni 90 e, in
particolare, l’abbandono del principio del monopolio statale del collocamento e la conseguente apertura agli operatori privati è scaturita da diversi fattori. Un contributo rilevante,
oltre che dalla giurisprudenza comunitaria (di cui parliamo in seguito), è venuto dall’Organizzazione Internazionale di Lavoro (OIL), l’Agenzia specializzata ONU che definisce gli standard internazionali minimi dei diritti di base del lavoro. Fino agli anni novanta tale organismo
aveva portato avanti un approccio molto rigido nei confronti dei mediatori privati di manodopera, che era stato formalizzato nella Convenzioni n. 88 del 1948, che vincolava gli Stati
membri a costituire servizi pubblici gratuiti per i lavoratori, e nella Convenzione n. 96 del
1949, che esprimeva una netta preferenza per un sistema collocamento esclusivamente
pubblico, caldeggiando il divieto all’esercizio della mediazione privata a fini di lucro o comunque l’adozione di misure fortemente restrittive della stessa.
Legittimazione degli operatori privati
L’art. 1 della Convenzione n. 181/1997 riconosce la possibilità di operare come Agenzie d’impiego
private a tutte le persone fisiche o morali, purché indipendenti dalle autorità pubbliche, che forniscono servizi volti ad abbinare le offerte e le domande d’impiego o relativi alla ricerca di lavoro, o
servizi consistenti nell’assumere lavoratori allo scopo di metterli a disposizione di una terza persona fisica o morale che stabilisce i loro compiti e ne sorveglia l’esecuzione (questi ultimi servizi
sono riconducibili a quelli delle società di somministrazione di personale).
Liberalizzazione controllata
La Convenzione, pur riconoscendo l’importanza degli operatori privati, non suggerisce di procedere ad una liberalizzazione indiscriminata; prevede invece che ciascuno Stato membro deve predisporre una normativa che preveda la concessione di licenze o abilitazioni per l’esercizio delle
attività da parte degli operatori privati.
Nella medesima logica, la Convenzione auspica lo sviluppo di forme di cooperazione tra soggetti
pubblici e privati, da realizzarsi mediante la stipula di convenzioni tra servizi pubblici per l’impiego
e Agenzie private relative all’esecuzione di alcune attività (come già ricordato, la riforma Biagi
prova ad investire su questo ambito, ma con risultati deludenti).
Tutela dei lavoratori
Al fine di “….di proteggere i lavoratori che ricorrono ai servizi di tali agenzie” (art. 3), la Convenzione prevede (art. 11) che ogni Stato membro dell’OIL deve garantire un’adeguata protezione a tutti i
lavoratori ingaggiati dalle Agenzie e messi a disposizione di un’impresa utilizzatrice, in conformità
alla legislazione ed alla prassi nazionale, in materia di libertà sindacale, negoziazione collettiva, minimi salariali, orari, durata del lavoro ed altre condizioni di lavoro, prestazioni istituzionali
di sicurezza sociale, accesso alla formazione, sicurezza e salute sul lavoro, risarcimento in caso
d’infortuni sul lavoro o di malattie professionali, indennizzo in caso d’insolvenza e protezione dei
crediti dei lavoratori, protezione e prestazioni di maternità, protezione e prestazioni parentali.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 1 - Agenzie per il lavoro: quadro normativo
9
Convenzione OIL n. 181/1997 sulle Agenzie per il lavoro. Questo indirizzo, come accennato, è mutato radicalmente negli anni novanta, a seguito dell’approvazione della Convenzione n.
181 del 19 giugno 1997; tale atto, rovesciando completamente il precedente approccio, ha riconosciuto“….il ruolo che può essere svolto dalle agenzie per l’impiego private, ai fini di un
buon funzionamento del mercato del lavoro”.
Raccomandazione OIL n. 188/1997 sulle Agenzie private. La Raccomandazione OIL n.
188 del 1997, approvata insieme alla Convenzione, individua alcune regole di base che
devono disciplinare l’attività delle Agenzie private. I lavoratori assunti dalle Agenzie private, secondo la Raccomandazione, devono avere un contratto di lavoro scritto che specifica
le condizioni d’impiego ed essere informati delle loro condizioni d’impiego prima dell’assunzione iniziale dell’incarico; le Agenzie d’impiego private non devono fornire lavoratori
destinati a sostituire personale che è in sciopero; l’autorità competente dovrebbe reprimere le prassi pubblicitarie sleali, nonché le inserzioni menzognere, comprese quelle che
offrono impieghi inesistenti.
Infine, le Agenzie d’impiego private non dovrebbero consapevolmente reclutare, collocare o
utilizzare dei lavoratori per degli impieghi che comportano pericoli e rischi inaccettabili, o qualora gli stessi possano essere vittime di abusi o di trattamenti discriminatori di qualsiasi tipo.
GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA E DISCIPLINA COMUNITARIA
Sentenza Job Centre. La caduta del divieto di mediazione privata, avvenuta formalmente negli
anni novanta, è stata accelerata, oltre che dagli orientamenti OIL sopra ricordati, da un fattore
esterno che ha reso urgente la modifica delle norme italiane, la sentenza Job Centre della Corte
di Giustizia Europea. La controversia da cui è scaturita la sentenza ha preso le mosse dal rifiuto
del Tribunale di Milano di concedere l’omologazione dell’atto costitutivo di una cooperativa (Job
Centre), poiché tra le attività era presente anche quella di fornitura temporanea di manodopera,
vietata dall’articolo 1 della legge n. 1369/1960. Il Tribunale, su sollecitazione della cooperativa,
chiese alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi su due questioni di notevole importanza. In primo luogo, fu domandato se le norme italiane sul collocamento erano riconducibili
all’esercizio di pubblici poteri in base agli articoli 55 e 66 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea. In secondo luogo, fu chiesto alla Corte di Giustizia se le norme comunitarie in tema di diritto
del lavoro, libertà di domanda e offerta delle prestazioni di lavoro e dei servizi di libera e corretta
concorrenza tra operatori economici (artt. 48, 59, 60, 86, 90 del Trattato Cee), potevano consentire
ad ogni soggetto, sia pubblico sia privato, di svolgere attività di mediazione tra domanda e offerta
di lavoro e di fornitura temporanea di manodopera a terzi, nel caso in cui lo Stato membro non
fosse nelle condizioni di soddisfare adeguatamente la domanda di servizi emergente dal mercato
del lavoro.
Monopolio del collocamento e libera concorrenza. La controversia è stata decisa l’11 dicembre
1997 (causa C-55/96) quando la Corte ha dichiarato l’illegittimità del regime italiano di monopolio
pubblico delle attività di collocamento, per incompatibilità con le norme contenute negli artt. 86 e
90 (poi diventati rispettivamente 82 e 86) del Trattato. Per comprendere i termini della decisione,
occorre ricordare che la normativa europea ammette sicuramente l’istituzione di enti o imprese
pubbliche; nel contempo, la normativa comunitaria pone sullo stesso piano imprese pubbliche e
private, richiedendo che eventuali differenze di disciplina siano giustificate. Le imprese pubbliche
possono essere sottoposte ad una disciplina differente – più o meno favorevole – solo quando ciò
risulti necessario per la sussistenza di esigenze oggettive. In questo quadro di neutralità rispetto
alla natura pubblica o privata dell’impresa, l’art. 166 c. 2 della costituzione Europea (già art. 86
del Tratto CE) prevede che i servizi di interesse economico generale debbano essere assicurati da
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
10
Capitolo 1 - Agenzie per il lavoro: quadro normativo
-segue- GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA E DISCIPLINA COMUNITARIA
imprese pubbliche e private in regime di concorrenza. Solo qualora le finalità di interesse generale siano compromesse dall’applicazione delle regole ordinarie della Costituzione UE, lo Stato
membro può riconoscere diritti speciali ed esclusivi ad un’impresa pubblica. Sulla base di questi
principi, il monopolio pubblico esclusivo del collocamento è stato dichiarato illegittimo, in quanto
il riconoscimento di un diritto esclusivo agli uffici di collocamento pubblico risultava, di fatto, non
proporzionato, considerato che essi erano manifestamente incapaci di soddisfare i fabbisogni del
mercato, e che invece altri operatori privati potevano concorrere a soddisfare. Il monopolio pubblico, secondo la pronuncia, risulta vieppiù illegittimo nel caso italiano, dove il divieto di esercizio
delle attività di collocamento da parte delle imprese private è applicato nonostante gli uffici pubblici non siano palesemente “in grado di soddisfare l’intera domanda di collocamento dei disoccupati”.
Orientamenti delle Corte di Giustizia. La sentenza Job Centre non era giunta inattesa, in quanto
la Corte di Giustizia, in decisioni precedenti (la c.d. sentenza Macroton del 1991), sempre con riferimento all’ipotesi di violazione degli articoli 86 e 90 del Trattato, pronunciandosi relativamente ad
un ricorso di una società tedesca di consulenza per la ricerca del personale, aveva evidenziato la
sussistenza di una situazione di abuso di posizione dominante ogni volta che il servizio pubblico di
collocamento non è in condizione di soddisfare adeguatamente le richieste del mercato.
1.3 Direttiva 2008/104/CE sul lavoro tramite Agenzia
L’ordinamento comunitario non ha prodotto solo sentenze, ma ha anche approvato una Direttiva – la 2008/104/CE - che individua le regole minime che devono informare le leggi nazionali in materia di Agenzie per il lavoro di somministrazione di lavoro. La Direttiva persegue la
finalità generale di garantire la tutela dei lavoratori tramite Agenzia privava di lavoro, e migliorare la qualità del lavoro di tali soggetti (art. 2), ma contiene innovazioni che vanno anche oltre
questo obiettivo, già ambizioso.
Rilevanza strategica del lavoro temporaneo. Il preambolo della Direttiva fornisce la cornice generale entro la quale viene collocato, nel diritto comunitario, il lavoro tramite Agenzia. Di particolare rilievo risulta il Considerando n. 11, il quale chiarisce che “il lavoro tramite Agenzia interinale
risponde non solo alle esigenze di flessibilità delle imprese ma anche alla necessità di conciliare la vita
privata e la vita professionale dei lavoratori dipendenti….contribuisce pertanto alla creazione di posti di
lavoro e alla partecipazione al mercato del lavoro e all’inserimento in tale mercato”. Questa formula testimonia un approccio di particolare favore verso il lavoro tramite Agenzia; tale approccio risulta
particolarmente importante, in quanto consente di interpretare le norme specifiche che regolano
la materia con un approccio diverso e distinto da quello che viene di norma applicato verso altre
tipologie contrattuali di lavoro flessibile.
La giurisprudenza, di norma, interpreta qualsiasi forma di lavoro diverso da quello subordinato a
tempo indeterminato, partendo dalla considerazione che l’ordinamento considera come eccezione
qualsiasi forma di lavoro diversa. Orbene, questa impostazione non sembra adatta al lavoro tramite Agenzia, ed ai principi contenuti nella Direttiva n. 104/2008. Ancora più evidente è la divaricazione che la Direttiva viene a creare con il lavoro a tempo determinato, disciplinato da una diversa
fonte comunitaria (la Direttiva n. 70/1999), che – con un approccio ben diverso- ha come scopo
pressoché esclusivo quella di contrastare l’eccessivo ricorso al contratto a termine.
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 1 - Agenzie per il lavoro: quadro normativo
11
- segue Questa differente considerazione delle due forme contrattuali negli indirizzi comunitari dovrebbe
indurre a sfuggire dalla tentazione, spesso molto ricorrente, di applicare al lavoro tramite Agenzia
meccanicamente criteri interpretativi e regole previste per una forma di lavoro (quello a termine)
tanto diversa.
Riesame dei divieti e delle restrizioni. La Direttiva considera il lavoro tramite Agenzia come una
forma di occupazione meritevole di una tutela speciale; il Considerando n. 18 si spinge ad affermare che le restrizioni o i divieti imposti al ricorso a questa forma di lavoro possono essere giustificati
soltanto da ragioni d’interesse generale che investono in particolare la tutela dei lavoratori, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro e la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi. Questa disposizione viene specificata nell’art. 4
della Direttiva, il quale prevede che i divieti o le restrizioni imposti al lavoro tramite Agenzia privata
sono giustificati soltanto da ragioni d’interesse generale che investono in particolare la tutela dei
lavoratori, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro o la necessità di garantire il
buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi. Il comma 4 chiarisce che
il riesame non dovrà riguardare i requisiti nazionali in materia di registrazione, autorizzazione,
certificazione, garanzia finanziaria o controllo degli operatori privati.
Principio della parità di trattamento. Il preambolo della Direttiva, al n. 14, si occupa della regola della c.d. parità di trattamento. Dopo aver confermato il principio generale, secondo il quale
le condizioni di base di lavoro e d’occupazione applicabili ai lavoratori tramite Agenzia privata
dovrebbero essere almeno identiche a quelle che si applicherebbero a tali lavoratori se fossero
direttamente impiegati dall’impresa utilizzatrice per svolgervi lo stesso lavoro (Considerando n.
14), si prevede la possibilità di introdurre delle deroghe a tale principio (Considerando n. 17), a
condizione che sia concluso un accordo dalle parti sociali a livello nazionale, e che sia previsto un
livello di tutela adeguato. Altra deroga, questa volta di carattere generale, è paventata dal Considerando n. 15; la clausola afferma che nel caso dei lavoratori legati all’Agenzia privata da un contratto a tempo indeterminato, tenendo conto della particolare tutela garantita da tale contratto,
occorrerebbe prevedere la possibilità di derogare alle norme applicabili nell’impresa utilizzatrice.
Condizioni di lavoro. L’articolo 5 della Direttiva prevede che per tutta la durata della missione
presso un’impresa utilizzatrice, le condizioni di base di lavoro e d’occupazione dei lavoratori tramite Agenzia privata sono almeno identiche a quelle che si applicherebbero loro se fossero direttamente impiegati dalla stessa impresa per svolgervi il medesimo lavoro. Per quanto riguarda la
retribuzione, la norma ripropone quanto già ricordato in materia di parità di trattamento: gli Stati
Membri possono, previa consultazione delle parti sociali, prevedere una deroga al principio nel
caso in cui i lavoratori siano assunti a tempo indeterminato da un’Agenzia e continuino a essere
retribuiti nel periodo che intercorre tra una missione e l’altra.
Contrattazione collettiva. Secondo l’art. 5, comma 3, della Direttiva, la legge nazionale può affidare alle parti sociali la facoltà di derogare al principio di parità di trattamento. Il comma 4 prevede
poi che gli Stati Membri che non possiedono né un sistema legislativo che dichiari i contratti collettivi universalmente applicabili, né un sistema legislativo o di prassi che consenta di estendere
le disposizioni di tali contratti a tutte le imprese simili in un determinato settore o area geografica
possono stabilire modalità alternative riguardanti le condizioni di base di lavoro e d’occupazione in
deroga al principio di parità di trattamento. Tali modalità alternative possono prevedere un periodo di attesa per il conseguimento della parità di trattamento.
Accesso all’occupazione. Secondo l’art. 6, i lavoratori tramite Agenzia devono essere informati
dei posti vacanti nell’impresa utilizzatrice, affinché possano aspirare, al pari degli altri dipendenti
dell’impresa, a ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato. Il comma 2 impone agli Stati Membri di adottare le misure necessarie affinché siano dichiarate nulle o possano essere dichiarate
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 1 - Agenzie per il lavoro: quadro normativo
12
- segue nulle le clausole che vietano o che abbiano l’effetto d’impedire la stipulazione di un contratto di
lavoro o l’avvio di un rapporto di lavoro tra l’impresa utilizzatrice e il lavoratore al termine della
sua missione.
Principio di gratuità. L’art. 6, comma 3 ribadisce il principio di gratuità: le Agenzie per il lavoro
non possono richiedere compensi ai lavoratori in cambio di un’assunzione presso un’impresa utilizzatrice o nel caso in cui essi stipulino un contratto di lavoro o avviino un rapporto di lavoro con
l’impresa utilizzatrice dopo una missione nella medesima.
Rappresentanza e informazione dei lavoratori. Secondo l’art. 7, i lavoratori tramite Agenzia sono
presi in considerazione, alle condizioni stabilite dagli Stati Membri, per il calcolo della soglia sopra la quale si devono costituire gli organi rappresentativi dei lavoratori previsti dalla normativa
comunitaria e nazionale o dai contratti collettivi in un’Agenzia privata. Inoltre, secondo l’art. 8,
l’impresa utilizzatrice è tenuta a fornire informazioni adeguate sul ricorso a lavoratori tramite
Agenzia all’interno dell’impresa all’atto della presentazione dei dati sulla propria situazione occupazionale agli organi rappresentativi dei lavoratori, istituiti conformemente alla normativa comunitaria e nazionale.
Clausola di non regresso. L’art. 9 fissa, come tutte le Direttive sul lavoro, la c.d. clausola di non
regresso. In virtù di tale principio, in nessun caso l’attuazione della direttiva costituisce una ragione sufficiente per giustificare una riduzione del livello generale di protezione dei lavoratori
rientranti nel suo ambito d’applicazione.
1.4 Attuazione della Direttiva 104/1998. Riforma delle causali
La Direttiva n. 104 è stata attuata nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 2 marzo 2012, n. 24.
Il decreto contiene una innovazione destinata a cambiare in maniera significativa le condizioni
di utilizzo di questo strumento contrattuale: viene superato un tabù fino allora quasi intangibile, quello della c.d. causale del contratto. Con questa definizione si fa riferimento all’obbligo, per chiunque utilizza un lavoratore fornito da un’Agenzia per il lavoro, di indicare le ragioni
di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo che rendono necessario il ricorso a
questa forma di flessibilità. Si tratta di un adempimento che si è rivelato molto insidioso, in
quanto secondo gran parte della giurisprudenza la causale deve essere specifica, a pena di
conversione a tempo indeterminato del rapporto, a carico dell’utilizzatore.
Casi di esenzione dall’obbligo di indicare la causale. Il D.Lgs. n. 24/2012 consente di evitare queste problematiche, individuando tre differenti situazioni nelle quali l’obbligo di redigere la causale (con i rischi conseguenti) non si applica: 1) la prima situazione ricorre quando il lavoratore
impiegato nell’ambito della somministrazione è un soggetto che percepisce ammortizzatori sociali, anche in deroga, da almeno sei mesi. Questa ipotesi si va a sovrapporre, senza eliminarla, a
quella già prevista nella finanziaria per il 2010, che riconosceva la facoltà di non indicare la causale
o di utilizzare lo staff leasing fuori dai settori di legge, in casi di impiego di lavoratori assunti dalle
liste di mobilità. Al riguardo, si noti che la legge parla di percettori di ammortizzatori sociali; per
i semplici iscritti alle liste, quindi, la norma di riferimento continuerà ad esser quella previgente.
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 1 - Agenzie per il lavoro: quadro normativo
13
- segue La legge accoglie una nozione ampia di ammortizzatori sociali, e quindi potranno rientrare dentro di
essa tutti i sistemi di sostegno del reddito previsti dall’ordinamento, sia precedente che successivi
al licenziamento; 2) la seconda situazione riguarda il caso in cui siano utilizzati lavoratori definibili
come ‘svantaggiati’ o “molto svantaggiati” ai sensi del regolamento CE n. 800 del 2008; 3) la terza
situazione in cui scompare la causale è rimessa alle parti sociali, che potranno definire mediante
contratti collettivi di qualsiasi livello (nazionale, territoriale oppure aziendale) i casi nei quali non è
necessario indicare le ragioni di ricorso alla somministrazione. L’unica condizione che dovrà essere
rispettata in questa ipotesi è che gli accordi collettivi dovranno essere firmati dalle organizzazioni
sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative.
Nozione di missione. Il D.Lgs. n. 24/2012 mette a fuoco e conferma alcuni concetti di base che
già informavano la disciplina della somministrazione, anche se non erano affermati in maniera
esplicita nella legge. Si fa riferimento, in particolare, alla distinzione tra il contratto commerciale
di somministrazione, che viene stipulato tra l’Agenzia per il lavoro e l’impresa utilizzatrice, e il
contratto di lavoro subordinato che viene stipulato tra la medesima Agenzia per il lavoro e il lavoratore. Questa distinzione viene confermata dall’art. 2, comma 1, del decreto legislativo, il quale
disciplina in maniera formale il concetto di “missione”, che viene definita come il periodo durante il quale, nell’ambito di un contratto di somministrazione di lavoro, il lavoratore dipendente da
un’Agenzia di somministrazione è messo a disposizione di un utilizzatore. La definizione chiarisce
ancora di più che il rapporto di lavoro del somministrazione non si esaurisce necessariamente nei
periodi in cui si svolge la missione stessa, ma può anche prevedere periodi diversi, durante i quali
il lavoratore resta a disposizione dell’Agenzia in attesa di una nuova collocazione.
Norme di tutela dei lavoratori. Il D.Lgs. n. 24/2012 si preoccupa anche di applicare i principi comunitari in materia di tutela dei lavoratori; in verità, il decreto non introduce reali innovazioni, in
quanto l’ordinamento italiano era già perfettamente aderente da questo punto di vista alla disciplina comunitaria.
Condizioni di base di lavoro e d’occupazione. L’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 24/2012 introduce il
concetto di “condizioni di base di lavoro e d’occupazione”; secondo la norma, rientrano nella nozione
le condizioni di lavoro e di occupazione in materia di orario di lavoro, retribuzione, protezione delle
donne in stato di gravidanza e in materia di non discriminazione. L’introduzione di questa nozione
è funzionale all’affermazione del principio per cui le “condizioni di base” di lavoro devono essere riconosciute al lavoratore somministrato; si tratta di un’affermazione superflua, in quanto il nostro
ordinamento già offriva una tutela di pari ampiezza ai lavoratori somministrati (se non maggiore,
in quanto la legge garantiva la parità di trattamento economico e normativo complessivamente
applicato).
Part time e somministrazione. L’art. 6 aggiunge all’art. 22 D.Lgs n. 276/2003 un nuovo comma 3
bis in materia di part time; la norma conferma un principio che era già ampiamente noto e pacifico, e cioè la possibilità di svolgere il lavoro somministrato mediante un regime di orario a tempo
parziale.
Diritto di informazione sui posti vacanti. L’innovazione più rilevante, dal punto di vista del lavoratore, apportata dal D.lgs. n. 24/2012 è quella che introduce nel corpo dell’art. 23 del D.Lgs. n.
276/2003 un nuovo comma 7 bis. La norma riconosce ai lavoratori somministrati il diritto di essere
informati dall’utilizzatore dei posti vacanti presso quest’ultimo, affinché possano aspirare, al pari
dei dipendenti del medesimo utilizzatore, a ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato. Tali
informazioni, secondo la norma, possono essere fornite mediante un avviso generale affisso all’interno dei locali dell’utilizzatore. Il nuovo adempimento si traduce in un obbligo di informativa, e
non in un diritto di precedenza.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 2
AUTORIZZAZIONE ALL’ESERCIZIO DELL’ATTIVITÀ
DI AGENZIA PER IL LAVORO
2.1 Requisiti delle Agenzie
Autorizzazione. Tutti i soggetti pubblici e privati, diversi dai Centri per l’Impiego, che intendono svolgere una o più delle attività previste dalla legge hanno l’obbligo di richiedere ed
ottenere l’autorizzazione per l’esercizio delle relative attività. La concessione dell’autorizzazione comporta l’iscrizione nell’apposito Albo delle agenzie per il lavoro istituito presso il
Ministero del lavoro e delle Politiche sociali, articolato in cinque sezioni:
- agenzie di somministrazione di lavoro di tipo generalista
- agenzie di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato di tipo specialista
- agenzie di intermediazione
- agenzie di ricerca e selezione del personale
- agenzie di supporto alla ricollocazione professionale.
L’erogazione di servizi di incontro tra domanda ed offerta di manodopera non viene concepita, nell’ordinamento internazionale, come una attività imprenditoriale completamente libera, ma viene considerata suscettibile di penetranti procedure di verifica, preventiva e periodica, finalizzati all’applicazione di un complesso di standard ed obblighi accomunati dalla
finalità di costituire indici di serietà ed affidabilità. Il motivo di questa visione particolarmente
restrittiva della libertà imprenditoriale risiede nell’esigenza di tutelare in maniera rinforzata
gli utenti di questi servizi, cioè i lavoratori. Tale logica è ben visibile nella Convenzione OIL n.
181/1997 sulle Agenzie private per il lavoro. Tale Convenzione, che ha natura di Trattato internazionale e quindi vincola gli Stati che l’hanno sottoscritta (tra cui l’Italia) a dare attuazione
ai principi da essa affermati, prevede, all’art. 3, comma 2, l’obbligo di richiedere, ai soggetti
privati che intendano esercitare servizi al lavoro, “... licenze o di abilitazioni …”; tali abilitazioni,
secondo la medesima norma, dovranno essere rilasciate solo a quei soggetti in possesso dei
requisiti prescritti per l’esercizio dell’attività dalla legislazione o dalla prassi nazionale.
Regimi di autorizzazione. Gli artt. 4 e 6 D.Lgs. n. 276/32003 prevedono i requisiti che devono essere soddisfatti per ottenere l’autorizzazione allo svolgimento di una delle attività potenzialmente esercitabili dalle Agenzie per il lavoro. Sulla base di tali norme, esistono diversi
gruppi di requisiti che devono essere soddisfatti, in ragione del tipo di attività che si intendono svolgere (complessivamente, i requisiti sono più onerosi per l’ottenimento dell’autorizzazione a svolgere attività di somministrazione, mentre si riducono per l’intermediazione e le
altre attività minori), ed anche in ragione del soggetto richiedente (per alcuni operatori, si
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Capitolo 2 - Autorizzazione all’esercizio dell’attività di agenzia per il lavoro
prevede un regime di autorizzazione speciale, meno gravoso, qualora intendano svolgere solo
l’attività di intermediazione); ulteriore distinzione emerge in relazione all’estensione territoriale dell’attività (se si vuole svolgere solo intermediazione, e solo in una regione, il soggetto
competente a rilasciare l’autorizzazione è la Regione).
Autorizzazione ordinaria e regime speciale. Il regime di autorizzazione si definisce ordinario o speciale, a seconda della natura del richiedente. Il regime ordinario è destinato alla
generalità dei soggetti che intendano richiedere l’autorizzazione per lo svolgimento di una o
più delle attività previste dalla nuova normativa. Questo regime consente l’ottenimento
dell’autorizzazione per tutte le attività previste dalla legge (somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, ricollocazione professionale). Tramite il regime speciale, invece, alcuni soggetti specificamente indicati dalla legge (tra questi, Università, i Comuni,
associazioni sindacali e datoriali, enti bilaterali) possono essere autorizzati, previo rispetto di
un insieme di requisiti meno rigorosi di quelli previsti dal regime ordinario, allo svolgimento
della sola attività di intermediazione di manodopera. È invece esclusa la somministrazione, la
quale può essere autorizzata solo nei casi e modi previsti dal regime generale.
Autorizzazione ministeriale e regionale. Il soggetto chiamato a rilasciare l’autorizzazione,
nella generalità dei casi, è il Ministero del lavoro. Tuttavia, nei casi in cui il soggetto richiedente intenda svolgere solo l’attività di intermediazione, di ricerca e selezione del personale o di
supporto alla ricollocazione professionale, e intenda esercitare tali servizi in un ambito territoriale ristretto ad una sola Regione, la competenza al rilascio dell’autorizzazione spetta alla
Regione in cui ha sede il soggetto richiedente (art. 8, co. 8, d.lgs. n. 276/2003). Le Agenzie
autorizzate a livello regionale non possano «operare a favore di imprese con sede legale in
altre Regioni» (art. 6, co. 8 bis, D.Lgs. n. 276/2003).
Autorizzazione e accreditamento. Il D.Lgs. n. 276/2003, accanto all’autorizzazione, disciplina anche l’istituto dell’accreditamento; le differenze tra i due provvedimenti sono notevoli.
L’autorizzazione è il provvedimento che abilita i soggetti richiedenti allo svolgimento delle
attività previste dalla legge; questi, una volta ottenuto il provvedimento di autorizzazione, sono
legittimati ad operare immediatamente nel mercato del lavoro senza l’attesa di ulteriori provvedimenti o l’esperimento di altre procedure. Diversa è la funzione dell’accreditamento. Questo è un provvedimento mediante il quale le Regioni riconoscono ad un operatore, pubblico o
privato, l’idoneità ad erogare determinati servizi al lavoro, definiti dalle Regioni e finanziati
con risorse pubbliche (art. 7 D.Lgs. n. 276/2003). Un soggetto accreditato, quindi, vedrà certificata la propria idoneità ad agire come partner della Pubblica Amministrazione, ma in concreto dispiegherà il proprio ruolo solo se e quando otterrà, mediante un ulteriore e distinto provvedimento, l’affidamento del compito di svolgere determinati servizi dalla medesima (la quale,
ovviamente, non sarà vincolata ad affidare servizi a tutti i soggetti accreditati, ma solo a scegliere tra questi i destinatari dei propri affidamenti).
Soggetti competenti al rilascio dell’autorizzazione. L’autorizzazione allo svolgimento
dell’attività di somministrazione di manodopera è rilasciata solo dal Ministero del lavoro. Analogamente, solo il Ministero può rilasciare l’esercizio all’attività di intermediazione, quando
questa debba essere esercitata in almeno 4 regioni. Quando, invece, si intenda esercitare
l’attività di intermediazione, di ricerca e selezione del personale o di supporto alla ricollocazione professionale solo in uno specifico territorio regionale, il soggetto competente è la Regione
(o la Provincia Autonoma di Trento o Bolzano).
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Capitolo 2 - Autorizzazione all’esercizio dell’attività di agenzia per il lavoro
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Autorizzazione provvisoria e definitiva. La procedura di concessione dell’autorizzazione è
strutturata secondo un iter procedimentale articolato e graduale, finalizzato a garantire una costante vigilanza sull’attività delle Agenzie. La prima autorizzazione viene concessa in via provvisoria dal Ministero del lavoro e delle Politiche sociali, entro sessanta giorni dalla richiesta, a seguito
dell’accertamento della sussistenza dei requisiti giuridici e finanziari prescritti per le singole attività. L’autorizzazione provvisoria può essere trasformata in autorizzazione definitiva solo dopo che
siano decorsi due anni, previa verifica da parte del Ministero del lavoro del corretto andamento
dell’attività svolta e, in particolare, dell’adempimento degli obblighi posti dalle norme del D.Lgs. n.
276/2003, dalle norme ordinarie sul collocamento e dalla decretazione ministeriale. Solo in caso di
esito positivo della verifica può essere rilasciata l’autorizzazione a tempo indeterminato, che potrà
tuttavia essere revocata in qualsiasi momento, qualora si verifichino violazioni delle predette norme. Sia nel caso di richiesta di autorizzazione provvisoria sia in caso di richiesta dell’autorizzazione
a tempo indeterminato è previsto un meccanismo di silenzio – assenso, in virtù del quale la domanda si intende accettata qualora decorrano inutilmente i termini previsti per il rilascio dell’autorizzazione (art. 4, comma 2). Tale prescrizione risolve alcuni dubbi sorti con la precedente disciplina
sul lavoro interinale, nella quale non era chiaro cosa accadeva in caso di inerzia del Ministero.
Requisiti per l’ottenimento dell’autorizzazione ordinaria. Il soggetto che intende svolgere l’attività di somministrazione di manodopera deve richiedere l’autorizzazione al Ministero
del lavoro. La richiesta deve essere accompagnata dagli elementi utili a dimostrare il possesso dei requisiti obbligatori previsti dagli artt. 4 e 6 del d.lgs. n. 276/2003. Di seguito riportiamo
i requisiti necessari per l’ottenimento dell’autorizzazione a svolgere attività di somministrazione di manodopera. Qualora un soggetto intenda chiedere l’autorizzazione per un ambito di
attività più ristretto (es. solo intermediazione, solo ricerca e selezione, solo outplacement), i
requisiti sono meno gravosi.
Configurazione giuridica. Le Agenzie per il lavoro devono essere costituite in forma di
società di capitali o in forma di società cooperativa o consorzio di cooperative, italiana o di
altro Stato membro dell’Unione europea; le Agenzie di ricerca e selezione del personale e
quelle di supporto alla ricollocazione professionale possono essere costitute anche in forma
di società di persone.
Per le Agenzie di somministrazione che siano costituite in forma di cooperative di produzione e lavoro, è richiesta anche la presenza di almeno 60 soci e tra di loro, come socio sovventore, la presenza di almeno un fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della
cooperazione, di cui agli artt. 11 e 12 della legge 31 gennaio 1992, n. 59.
Sede legale. La sede legale o una dipendenza dell’Agenzia dovrà essere situata nel territorio dello Stato o di altro Stato membro dell’Unione Europea. È appena il caso di ricordare
che, anche nelle ipotesi in cui la sede legale sia in un altro Stato membro, i rapporti tra l’impresa fornitrice e l’utilizzatrice, così come quelli tra il prestatore e i due soggetti, saranno comunque assoggettati alla legge italiana.
Oggetto sociale. Le Agenzie di somministrazione e quelle di intermediazione possono
svolgere l’attività autorizzata come oggetto sociale prevalente, anche se non esclusivo; la
“prevalenza” dell’oggetto sociale non è invece richiesta per le Agenzie di ricerca e selezione
del personale e di ricollocazione professionale. La legge non definisce in maniera precisa cosa
debba intendersi con la definizione, in quanto l’art. 5, comma 1, lett. l) definisce le divisioni
operative come “soggetti polifunzionali gestiti con strumenti di contabilità analitica”, suggerendo
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Capitolo 2 - Autorizzazione all’esercizio dell’attività di agenzia per il lavoro
l’idea che l’Agenzia polifunzionale stessa sia una divisione operativa, mentre la lett. e) del medesimo articolo considera le divisioni operative come unità interne alle Agenzie polifunzionali;
tale sfasatura è tuttavia superabile, in quanto sembra chiaro che vada preferita la seconda
opzione.
Divieto di cessione dell’autorizzazione. L’art. 4, comma 7, del D.lgs. n. 276/2003, prevede
che “l’autorizzazione o non può essere oggetto di transazione commerciale”. Tale concetto è
specificato dall’art. 10, c. 2 del D.M. 23 dicembre 2003, secondo il quale «è vietato il ricorso a
figure contrattuali, tipiche o atipiche, attraverso cui realizzare, anche a titolo non oneroso,
qualsivoglia forma di trasferimento o concessione della autorizzazione ottenuta a favore di
soggetti terzi, siano essi persone fisiche o giuridiche. È altresì vietato il ricorso a contratti di
natura commerciale con cui viene ceduta a terzi parte della attività oggetto di autorizzazione
compresa l’attività di commercializzazione». Queste norme vietano qualsiasi frammentazione
nella gestione delle attività oggetto di autorizzazione, che non possono essere cedute o delegate a terzi in nessuna forma, e rende di conseguenza impossibile ipotizzare la liceità di una
cessione dell’autorizzazione ottenuta a livello centrale alle organizzazioni territoriali.
Locali. Tutte le Agenzie dovranno avere la disponibilità di uffici situati in locali idonei allo
specifico uso e garantire una determinata diffusione sul territorio; la nozione di “disponibilità
di uffici” è molto ampia, e quindi si presume che l’Agenzia potrà acquisire i locali con qualsiasi strumento negoziale renda possibile la disponibilità stessa. I locali presso cui si svolge
l’attività, secondo la disciplina ministeriale (D.M. 5 maggio 2004), devono essere dotati di attrezzature d’ufficio, informatiche e collegamenti telematici, devono essere distinti da locali di
altri soggetti e devono essere adeguati allo svolgimento della specifica attività, essere conformi alle norme in materia di igiene e sicurezza sul lavoro ed essere accessibili ai disabili ai
sensi della normativa vigente; devono inoltre essere aperti al pubblico in orari d’ufficio. Infine,
all’esterno e all’interno delle agenzie devono essere indicati, in modo visibile, gli estremi
dell’autorizzazione e dell’iscrizione all’albo, ed essere affissi l’orario di apertura al pubblico e
l’organigramma della filiale con l’indicazione delle funzioni e competenze professionali di ciascun dipendente e l’evidenziazione del responsabile della filiale.
Numero di sedi. L’attività di intermediazione deve interessare un ambito distribuito sull’intero territorio nazionale e, comunque, non inferiore a quattro regioni (in caso si scelga una
estensione inferiore, si dovranno acquisire singole autorizzazioni regionali per ciascun territorio); nulla è invece prescritto circa l’estensione territoriale dell’attività di ricerca e selezione
del personale o di supporto alla ricollocazione professionale, e pertanto l’Agenzia può scegliere liberamente l’estensione territoriale della propria attività.
Competenze professionali. Al fine di verificare l’adeguatezza professionale del personale
delle Agenzie è previsto che esse dispongano di specifiche competenze professionali nel settore delle risorse umane o nelle relazioni industriali. Come specificato dal Ministero, le competenze professionali possono essere acquisite alternativamente attraverso esperienze professionali non inferiori a 2 anni ovvero attraverso percorsi formativi certificati.
Numero dipendenti. L’Agenzia deve disporre di almeno 4 addetti qualificati allo svolgimento
della rispettiva attività nella sede centrale, ed almeno 2 addetti qualificati in ciascuna filiale. Il
requisito della “disponibilità” del personale è inteso dal Ministero del lavoro come presenza di
“… un livello minimo di organico, nel senso di lavoratori dipendenti direttamente, con rapporto di
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Capitolo 2 - Autorizzazione all’esercizio dell’attività di agenzia per il lavoro
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lavoro subordinato, dalla società ...”; solo la presenza di personale assunto con questa tipologia
contrattuale consente quindi di ritenere soddisfatto il requisito (D.M. 5 maggio 2004).
Amministratori e dirigenti. Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti muniti di rappresentanza e i soci accomandatari non devono aver subito condanne penali, anche non definitive (art. 416 bis c.p.) per delitti contro il patrimonio, per delitti contro la fede pubblica o contro
l’economia pubblica, per il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso (comprese le
sanzioni sostitutive di cui alla legge 24 novembre 1991, n. 689), per delitti non colposi puniti con
la reclusione di almeno tre anni, per delitti o contravvenzioni previsti da leggi dirette alla prevenzione degli infortuni sul lavoro o da leggi in materia di lavoro o di previdenza sociale. Gli
stessi soggetti non dovranno essere sottoposti alle misure di prevenzione disposte nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità, o appartenenti ad associazioni mafiose (ai sensi della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, della legge 31 maggio 1965, n.
575, della legge 13 settembre 1982, n. 646, e successive modificazioni).
Capitale sociale. L’art. 5 del D.lgs. n. 276/2003 prevede poi un regime particolarmente rigoroso in merito alla capacità e alla solidità finanziaria delle Agenzie, mutuato dalla precedente legge sulla fornitura di lavoro interinale, con requisiti differenziati a seconda dell’attività che
si intende esercitare. L’Agenzia che intende svolgere l’attività di somministrazione deve acquisire un capitale versato non inferiore a 600.000 euro o, nel caso in cui l’Agenzia sia costituita in
forma cooperativa, deve essere garantita la disponibilità di 600.000 euro tra capitale sociale
versato e riserve indivisibili.
Deposito cauzionale. Poiché le Agenzie di somministrazione erogano direttamente ai prestatori i relativi trattamenti retributivi e sono tenute ad adempiere le relative obbligazioni contributive, sono previste per esse (e non, invece, alle Agenzie di intermediazione, ricerca e selezione o ricollocazione professionale) alcune prescrizioni destinate specificatamente a
garantire l’adempimento di tali crediti. Le Agenzie di somministrazione dovranno disporre
presso un istituto di credito, per i primi due anni di attività, un deposito cauzionale di 350.000
euro; a decorrere dal terzo anno solare, è richiesta la disposizione, in luogo della cauzione, di
una fideiussione bancaria o assicurativa (la fideiussione può essere rilasciata anche da intermediari autorizzati all’attività di rilascio di garanzie ed iscritti nell’apposito elenco) non inferiore al 5 per cento del fatturato, al netto dell’imposta sul valore aggiunto, realizzato nell’anno
precedente e comunque non inferiore a 350.000 euro. Le società che assolvono obblighi analoghi posti, a tutela dei crediti retribuiti e contributivi, dalla legislazione di altri Stati membri
dell’Unione Europea, sono esonerate dalla prestazione delle garanzie di cui sopra.
Distinte divisioni operative
I soggetti polifunzionali (vale a dire quei soggetti che svolgono più di una delle attività suscettibili di autorizzazione) devono adottare distinte divisioni operative, le quali devono essere gestite con strumenti di
contabilità analitica che siano tali da consentire di conoscere tutti i dati economico-gestionali specifici.
Spostamenti
Le Agenzie sono tenute a comunicare all’autorità concedente, nonché alle Regioni e alle Province
Autonome competenti, gli spostamenti di sede, l’apertura delle filiali o succursali, la cessazione
dell’attività e tutte le altre informazioni da queste richieste.
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 2 - Autorizzazione all’esercizio dell’attività di agenzia per il lavoro
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- segue Annunci
Per la finalità di rendere trasparente l’attività delle Agenzie sono previsti il divieto di effettuare
annunci e comunicazioni pubblicitarie in forma anonima ed il correlativo obbligo di indicare in ogni
comunicazione gli estremi dell’autorizzazione e dell’eventuale accreditamento.
Interconnessione con la Borsa lavoro
Le Agenzie hanno l’obbligo di interconnessione con la borsa continua nazionale del lavoro e quello
dell’invio all’autorità concedente di ogni informazione strategica per un efficace funzionamento
del mercato del lavoro.
Contributo per la formazione. L’art. 12 D.Lgs. n. 276/2003 prescrive come condizione per il
mantenimento dell’autorizzazione l’obbligo di contribuire regolarmente ai fondi per la formazione e l’integrazione del reddito (c.d. contributo per la formazione). Nella disciplina introdotta dall’art. 12 D.Lgs. n. 276/2003 il contributo è destinato a specifici fondi bilaterali, appositamente costituiti come soggetti giuridici di natura associativa ai sensi dell’art. 36 c.c. oppure
come soggetti dotati di personalità giuridica ai sensi dell’art. 12 c.c. dalle parti stipulanti il
contratto nazionale delle imprese di somministrazione (art. 12, comma 4), anche nell’ambito
di enti bilaterali, e successivamente autorizzati dal Ministero del lavoro.
La legge assegna al Fondo il compito di svolgere interventi formativi e “… garantire ai lavoratori un sostegno al reddito…”; in caso di fine lavori e ad esclusivo beneficio dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato; inoltre, la norma fa riferimento a “specifiche misure di carattere previdenziale” per i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato.
Rispetto degli obblighi previsti da legge e CCNL. Altra condizione per il rilascio ed il mantenimento dell’autorizzazione consiste nell’obbligo di adempiere il regolare versamento dei
contributi previdenziali e assistenziali, e infine quello di rispettare gli obblighi previsti dal contratto collettivo nazionale delle imprese di somministrazione di lavoro applicabile.
REQUISITI PER LA COSTITUZIONE DI UNA AGENZIA PER IL LAVORO
Forma societaria
consentita
società di capitali;
società cooperativa;
consorzio di cooperative;
società di persone (solo per le Agenzie di ricerca e selezione e ricollocazione)
Sede legale
la sede legale o una sua dipendenza devono trovarsi nel territorio dello Stato o di altro Stato UE
Struttura
disponibilità di uffici in locali idonei allo specifico uso
(cfr. D.M. 5 maggio 2004)
Professionalità
possesso di adeguate competenze professionali, dimostrabili per titoli
o per specifiche esperienze nel settore delle risorse umane o nelle
relazioni industriali
(cfr. D.M. 5 maggio 2004)
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 2 - Autorizzazione all’esercizio dell’attività di agenzia per il lavoro
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- segue Onorabilità
degli amministratori
gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti muniti di rappresentanza e i soci accomandatari non devono aver subito condanne penali,
anche non definitive (comprese le sanzioni sostitutive di cui alla Legge
24 novembre 1991, n. 689) per delitti contro il patrimonio, per delitti
contro la fede pubblica o contro l’economia pubblica, per il delitto di
associazione a delinquere di stampo mafioso, per delitti non colposi
puniti con la reclusione di almeno tre anni, per delitti o contravvenzioni previsti da leggi dirette alla prevenzione degli infortuni sul lavoro o
da leggi in materia di lavoro o di previdenza sociale. Gli stessi soggetti
non dovranno essere sottoposti alle misure di prevenzione disposte
nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità, o appartenenti ad associazioni mafiose
Tenuta
della contabilità
nel caso di soggetti polifunzionali, non caratterizzati da un oggetto
sociale esclusivo, è necessaria la presenza di distinte divisioni operative, gestite con strumenti di contabilità analitica, tali da consentire di
conoscere tutti i dati economico-gestionali specifici per ogni singola
attività svolta
Borsa continua
nazionale del lavoro
obbligo di interconnessione con la borsa continua nazionale del lavoro
(art. 15, D.Lgs. n. 276/03) attraverso il raccordo con uno o più nodi regionali, nonché di invio alla autorità concedente di ogni informazione
strategica per un efficace funzionamento del mercato del lavoro
Dati dei lavoratori
Obbligo di tutelare il diritto dei lavoratori alla diffusione dei propri dati
nell’ambito da essi stessi indicato (art. 8, D.Lgs. n. 276/03)
Requisiti specifici
per le Agenzie
di intermediazione
capitale versato non inferiore a 50.000 euro;
diffusione dell’attività dell’Agenzia in un ambito distribuito sull’intero
territorio nazionale e comunque non inferiore a quattro regioni;
indicazione dell’attività di intermediazione come oggetto sociale prevalente, anche se non esclusivo.
Requisiti specifici
per le Agenzie
di ricerca
e selezione
capitale versato non inferiore a 25.000 euro;
indicazione delle attività di ricerca e selezione del personale/supporto
alla ricollocazione professionale come oggetto sociale, anche se non
esclusivo
Associazioni sindacali e datoriali. Per alcuni soggetti “speciali”, la legge Biagi prevede un
regime di autorizzazione semplificato tra questi soggetti “speciali” la novità di maggiore rilievo è costituita dalle associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative. Al fine di delimitare l’ambito delle organizzazioni che potranno
fruire del regime “speciale”, la legge pone la condizione che esse “… siano firmatarie di contratti collettivi nazionali di lavoro” (art. 6, comma 2). L’art. 12, comma 3, del D.M. 23 dicembre 2003
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
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Capitolo 2 - Autorizzazione all’esercizio dell’attività di agenzia per il lavoro
dispone che «per le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro la richiesta di iscrizione è prevista con riferimento alla sezione regionale dell’albo».
Enti bilaterali. Il sindacato e le associazioni datoriali potranno svolgere le funzioni di intermediazione, in aggiunta o in alternativa all’esercizio diretto, anche, tramite gli “enti bilaterali”.
Tali soggetti sono definiti dall’art. 1, comma 1, lett. h), come quegli “organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative”. L’art. 2 del D.Lgs. n. 276/2003 attribuisce numerose funzioni connesse al mercato del
lavoro agli enti bilaterali:
- promozione di un’occupazione regolare e di qualità;
- intermediazione nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro;
- promozione di buone pratiche contro la discriminazione e per l’inclusione dei soggetti più svantaggiati;
- sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro;
- programmazione di attività formative;
- determinazione di modalità di attuazione della formazione professionale in azienda;
- gestione mutualistica di fondi per la formazione e l’integrazione del reddito;
- certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità o congruità contributiva;
- ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento.
La legge utilizza un criterio “selettivo” per individuare quali enti bilaterali sono suscettibili di rientrare nella nozione legislativa; questi devono essere espressione delle organizzazioni
sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative. Tale nozione, il cui utilizzo è molto
frequente a partire dalla legislazione degli anni novanta, presuppone l’utilizzo di un criterio
selettivo per le ipotesi di contrasto intersindacale finalizzato a stabilire, tra i sindacati maggiormente rappresentativi, quale sia il sindacato dotato di maggiore rappresentatività.
La legge, a proposito della natura degli enti bilaterali “destinatari” della norma, si limita a
fornire una definizione molto ampia e generica sulle modalità formali di costituzione, mentre
nulla dice sull’organizzazione interna. L’unica condizione posta è la riconducibilità dell’ente ad
una o più associazioni fornite del requisito di rappresentatività indicato; il requisito potrà quindi manifestarsi anche ad un livello inferiore di quello nazionale.
Patronati. Nell’ambito del regime speciale previsto per le parti sociali si colloca anche
l’autorizzazione allo svolgimento dell’intermediazione anche in favore delle “associazioni in
possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale e aventi come oggetto sociale la
tutela e l’assistenza delle attività imprenditoriali , del lavoro e delle disabilità” (art. 6, co. 3). La
norma, secondo l’interpretazione più diffusa, intende fare riferimento ai c.d. patronati, cioè a
quei soggetti istituiti dalle principali organizzazioni sindacali nonché a quella associazioni in
possesso di personalità giuridica aventi finalità assistenziali.
Ordine nazionale dei consulenti del lavoro. Un altro soggetto che potrà esercitare l’attività d’intermediazione è l’Ordine nazionale dei consulenti del lavoro. La possibilità d’iscrizione
all’Albo delle Agenzie è tuttavia riservata ad un’apposita fondazione (il 19 settembre 2003 il
consiglio Nazionale dell’Ordine ha deliberato di dar vita ad una fondazione per l’esercizio
dell’attività) o ad altro soggetto dotato di personalità giuridica costituito nell’ambito del Con-
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 2 - Autorizzazione all’esercizio dell’attività di agenzia per il lavoro
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siglio nazionale dei consulenti del lavoro; è invece vietato espressamente ai consulenti del
lavoro di esercitare l’attività individualmente o in altra forma, anche tramite ramificazioni territoriali (art. 6, comma 5). Tale previsione viene in parte attenuata dal D.M. 23 dicembre 2003,
il quale prevede la possibilità di delegare ai singoli consulenti del lavoro lo svolgimento dell’attività di intermediazione.
Università e scuole. Il comma 1 dell’art. 6 dice che le Università “sono autorizzate” a condizione che siano rispettati determinati requisiti; tale norma, secondo l’interpretazione dominante, autorizza ope legis le Università a svolgere intermediazione. L’autorizzazione si caratterizza per la non necessità di iscrizione all’Albo; di conseguenza, non opera per tali soggetti il
meccanismo di estensione automatica dell’autorizzazione all’intermediazione anche alle attività di ricerca e selezione del personale e di ricollocazione professione (che, quindi, non potranno essere esercitate dalle Università).
ACCREDITAMENTO DELLE AGENZIE PER IL LAVORO
Strumenti del raccordo pubblico privato. Gli strumenti volti a favorire la collaborazione tra pubblico e privato sono regolati dalla riforma Biagi, che ha investito molto - ottenendo tuttavia pochi risultati - sulla costruzione di un rapporto sinergico tra pubblico e privato. Tali strumenti consistono
nell’accreditamento dei soggetti che intendono svolgere servizi al lavoro (art. 7), nelle convenzioni
in base alle quale le imprese di somministrazione possono erogare misure specificamente mirate
a creare opportunità di lavoro per gli appartenenti alle fasce più deboli del mercato (art. 13), e
infine nelle convenzioni mirate all’inserimento lavorativo dei disabili (art. 14). La possibilità di
una gestione collaborativa di alcuni servizi è un concetto già contemplato dalle precedenti riforme
che hanno investito il sistema dei servizi per l’impiego. Il comma 1-bis dell’art. 10 del D.lgs. n.
469/1997 prevedeva che le società di mediazione potessero, mediante convenzione con le pubbliche istituzioni preposte, effettuare la “gestione di attività dei Servizi all’impiego”, per il cui esercizio
il possesso dell’autorizzazione alla mediazione costituisce criterio preferenziale. Lo stesso D.Lgs.
n. 181/2000 prevede espressamente la possibilità che determinati servizi di politica attiva possano
essere affidate a soggetti diversi dai Centri per l’impiego; la nozione di “servizi competenti” fornita
dall’art. 1, comma 2, lett. g) del D.lgs. 181/2000, richiama infatti, accanto ai Centri per l’Impiego
“gli altri organismi autorizzati e accreditati…”.
Accreditamento per i servizi al lavoro. L’art. 7 del D.lgs. n. 276/2003 configura l’accreditamento
come il provvedimento con cui ciascuna Regione può riconoscere l’idoneità di un soggetto ad erogare alcuni servizi nel mercato del lavoro in nome e per conto di un soggetto pubblico. Mediante
questo atto, ciascuna Regione può selezionare gli operatori che possono accedere al sistema regionale secondo criteri di efficienza ed affidabilità coerenti con il contesto locale ed i suoi fabbisogni. In tal modo si istituzionalizza una fase decisiva del procedimento di collaborazione tra pubblico e privato, cioè quello della verifica della capacità del privato stesso di soddisfare i fabbisogni
del servizio pubblico.
Ruolo delle discipline regionali. Il ruolo delle discipline regionali nella costruzione dei singoli
sistemi di accreditamento è delineato nell’art. 7 del D.lgs. 276/2003 il quale si limita a stabilire i
principi ed i criteri della materia, lasciando alle Regioni il compito di istituire e disciplinare compiutamente i propri sistemi di accreditamento (significativamente, la rubrica dell’articolo parla, al
plurale, di “accreditamenti”). I principi e criteri direttivi cui dovranno attenersi le Regioni ai sensi del
citato art. 7, nella disciplina delle proprie procedure sono numerosi. Innanzitutto, le discipline regionali dovranno essere finalizzate a garantire la libera scelta dei cittadini, nell’ambito di una rete
di operatori qualificati “… adeguata per dimensione e distribuzione alla domanda espressa dal territorio”, costruita mediante strumenti “negoziali” (lett. c) e finalizzata “..all’ottimizzazione delle risorse”.
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 2 - Autorizzazione all’esercizio dell’attività di agenzia per il lavoro
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- segue Il secondo principio, contenuto nel comma 2, lett. b), che dovrà essere rispettato è quello della
salvaguardia di standard omogenei a livello nazionale nell’affidamento di “… funzioni relative all’accertamento dello stato di disoccupazione e al monitoraggio dei flussi del mercato del lavoro ...” (per i
problemi interpretativi connessi a tale norma cfr. infra). Il terzo principio cui dovranno essere informate le discipline regionali è quello del necessario raccordo con il sistema regionale di accreditamento degli organismi di formazione, che come noto vanta una tradizione consolidata nei diversi
sistemi regionali. Il quarto ed ultimo principio concerne l’ambito di applicazione soggettiva delle
procedure di accreditamento, che dovranno essere preventivamente esperite non solo dai soggetti
privati che volessero candidarsi a svolgere servizi al lavoro, ma anche dagli operatori pubblici
diversi da quelli istituzionalmente competenti a disciplinare e gestire i sistemi regionali dei servizi per l’impiego (cioè, rispettivamente, le Regioni e le Province). Oltre a doversi conformare ai
predetti principi, le discipline regionali dovranno anche necessariamente regolamentare alcuni
aspetti espressamente indicati dall’art. 7. Innanzitutto, dovranno essere stabilite le forme con cui
potrà realizzarsi la cooperazione tra i servizi pubblici e operatori privati; ciò significa che dovranno
essere in concreto individuati gli strumenti negoziali per l’affidamento dei servizi (che, come mostra l’esperienza, sono in genere delle convenzioni) e le procedure per la loro stipulazione. Inoltre,
e questo è probabilmente uno degli aspetti più rilevanti, dovranno essere definiti i requisiti minimi
richiesti per l’iscrizione nell’elenco regionale dei soggetti accreditati e le relative procedure.
Servizi al lavoro. Un soggetto accreditato potrà essere destinatario dell’affidamento, da parte
delle Province e delle Regioni, di quelli che l’art. 7 definisce “servizi al lavoro”; l’ampiezza della
locuzione rende necessario individuare in concreto quali sono questi servizi. Rientrano nella nozione innanzitutto le attività previste dal D.lgs. n. 181/2000, il quale prevede il compimento di una
serie di azioni promozionali da parte dei “servizi competenti”, quali i colloqui di orientamento e le
proposte di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo o formative.
Ad esse devono aggiungersi quelle che lo stesso D.lgs. n. 276/2003 individua come tali sia nell’art.
2, sia nell’art. 7. Le norme del Decreto individuano come “servizi al lavoro” le attività di orientamento, quelle di incontro tra domanda ed offerta di lavoro, le azioni di prevenzione della disoccupazione di lunga durata, la promozione dell’inserimento lavorativo degli svantaggiati, i servizi di
sostegno alla mobilità geografica dei lavoratori, il monitoraggio dei flussi del mercato del lavoro.
A queste attività si aggiungono le “… funzioni relative all’accertamento dello stato di disoccupazione
...”, cui fa riferimento indirettamente il comma 2, lett. b), dell’art. 7, il quale prevede l’obbligo per
le Regioni di salvaguardare, nelle proprie discipline, standard omogenei a livello nazionale per
l’esercizio di tale funzione.
2.2 Obblighi e divieti a carico delle Agenzie per il lavoro
Trasparenza delle comunicazioni. L’art. 9 D.Lgs. n. 276/2003 mira a garantire la trasparenza delle informazioni che circolano sui mezzi di comunicazione, in tutte le loro possibili
forme; la legge individua in maniera molto estensiva la nozione di mezzi di comunicazione, in
quanto fa rientrare in essa la stampa, internet, la televisione e, utilizzando una formulazione
potenzialmente omnicomprensiva, tutti gli “altri mezzi di informazione”.
La norma prescrive che tutte le comunicazioni (il legislatore utilizza una formula aperta,
specificando “… in qualunque forma effettuate …”) relative ad attività di ricerca e selezione del
personale, ricollocazione professionale, intermediazione o somministrazione non possono
essere effettuate in forma anonima. Allo stesso tempo, le medesime comunicazioni non possono essere effettuate da intermediari, pubblici o privati, sprovvisti di autorizzazione o di ac-
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 2 - Autorizzazione all’esercizio dell’attività di agenzia per il lavoro
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creditamento all’incontro tra domanda e offerta di lavoro; restano invece fuori dal divieto le
comunicazioni aventi ad oggetto ricerche svolte direttamente dal potenziale datore di lavoro o
da soggetti facenti parte del medesimo gruppo di imprese.
Estremi dell’autorizzazione. Al fine di rendere pienamente riconoscibili i soggetti che
svolgono il servizio di mediazione professionale, il comma 2 prescrive inoltre l’obbligo di
indicare gli estremi del provvedimento di autorizzazione o di accreditamento in tutte le
comunicazioni; anche in questo caso, la norma ha una portata omnicomprensiva, che va
dalle inserzioni pubblicitarie sino alla corrispondenza epistolare ed elettronica. Infine, è
previsto l’obbligo di allegare agli annunci pubblicati su quotidiani e periodici o mediante
reti di comunicazione elettronica un facsimile dell’informativa prevista dall’articolo 13 del
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (la nuova normativa sul trattamento dei dati personali), o in alternativa di indicare il sito internet attraverso il quale è possibile scaricare
tale modello.
Sanzioni specifiche. L’art. 19, comma 3, del D.lgs. n. 276/2003 prevede infatti sanzioni specifiche (in particolare, una sanzione amministrativa da 4000 a 12000 euro) esclusivamente per
gli editori, i direttori responsabili ed i gestori dei siti internet sui quali siano pubblicati annunci senza il rispetto dell’art. 9.
Invece, per gli operatori autorizzati il regime sanzionatorio si ricava dalla lettura combinata dell’art. 9, comma 3 e delle norme di cui al D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196; in particolare, il
citato comma 3 fa riferimento – seppure in forma implicita - all’obbligo, previsto dall’art. 13
del Testo Unico, sia di dare le informazioni utili alla propria identificazione ed al titolo che lo
autorizza, sia di raccogliere le risposte degli interessati nel rispetto della normativa posta a
tutela de dati personali secondo le linee guida dettate dal Garante.
Divieto di indagini sulle opinioni e trattamenti discriminatori. L’art. 10 pone un ampio
divieto di ogni pratica discriminatoria nello svolgimento dell’attività di mediazione. In particolare, la norma vieta le indagini ed il trattamento dei dati dei lavoratori rispetto ad una serie di
informazioni che esulano dagli elementi indispensabili per valutare le rispettive inclinazioni
professionali; proprio la natura di queste informazioni, non essenziali per la valutazione della
professionalità individuale, rende ingiustificata la loro assunzione da parte dei mediatori professionali.
Estensione del divieto. La tutela offerta dall’art. 10 non riguarda le informazioni connesse alla sfera professionale, ma si estende ad una serie di informazioni che non sono indispensabili a valutare le capacità lavorative del singolo e, in quanto tali, non possono essere
assunte dai datori di lavoro e dai mediatori professionali. La norma vieta, in particolare, indagini e trattamenti dei dati dei lavoratori relativi “alle convinzioni personali, alla affiliazione
sindacale o politica, al credo religioso, al sesso, all’orientamento sessuale, allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, all’età, all’handicap, alla razza, all’origine etnica, al colore, alla
ascendenza, all’origine nazionale, al gruppo linguistico, allo stato di salute, nonché a eventuali
controversie con i precedenti datori di lavoro”. La dottrina si è interrogata sulla natura, tassativa o esemplificativa, delle elencazioni contenute nell’art. 10. Un’analisi letterale del testo
consente di propendere per la seconda ipotesi, o meglio per una lettura dell’elencazione
come norma aperta; ciò è ben visibile nella formula con cui si vieta il trattamento dei dati
personali dei lavoratori che non siano “strettamente attinenti alle loro attitudini professionali e
al loro inserimento lavorativo”. In tal modo la previsione legale potrà essere “riempita” in via
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
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Capitolo 2 - Autorizzazione all’esercizio dell’attività di agenzia per il lavoro
interpretativa in modo da adeguarsi alle mutevoli forme con cui possono essere raccolte e
trattate le informazioni sensibili.
Rapporto con l’art. 8 dello Statuto dei lavoratori. La disposizione presenta forti tratti di
similitudine con l’art. 8 dello Statuto dei lavoratori, di cui riprende quasi integralmente il contenuto. Rispetto a questo, la tutela offerta dall’art. 10 si differenzia tuttavia per il soggetto
tenuto ad astenersi dall’assunzione delle informazioni; nell’art. 8 esso è il datore di lavoro,
nell’art. 10 sono le Agenzie per il lavoro e gli altri soggetti autorizzati o accreditati. Un’altra
differenza concerne la natura dell’attività vietata; l’art. 8 pone il divieto di “effettuare indagini”,
mentre l’art. 10, ampliando la sfera delle attività non consentite, vieta lo svolgimento di “qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione di lavoratori”.
Ciò consente di rintracciare una diversa ratio tra le due norme; nell’art. 8 questa è rinvenibile nella finalità di restringere al livello minimo indispensabile la compressione della libertà del lavoratore nell’esecuzione del rapporto di lavoro, mentre l’art. 10 mira a garantire una
tutela al disoccupato o al lavoratore nel momento in cui entrano in contatto con dei mediatori
professionali.
Rapporto con il Testo Unico sulla privacy. L’art. 10 mostra uno stretto legame anche con
la legge n. 675/1996, poi confluita nel Testo Unico sulla privacy. La legge, all’art. 22, tutela in
generale alcuni dati personali c.d. sensibili (origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose,
filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od
organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali
idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale). La differenza tra le due forme di tutela
risiede essenzialmente oltre che nell’elenco di informazioni coperte dalla tutela legislativa,
nel regime di “disponibilità” delle informazioni. La legge n. 675/1996 contempla la possibilità,
previo consenso scritto preceduto da consenso preventivo del Garante, per l’interessato di
disporre delle informazioni facenti parte del proprio patrimonio di riservatezza; l’art. 10 invece esclude in radice tale possibilità, qualificando come assolutamente indisponibili le informazioni da esso coperte.
Esclusioni. Da ultimo va ricordato che il comma 2 dell’articolo 10 prevede che le disposizioni di cui al comma 1 non possono “… in ogni caso…” impedire ai mediatori professionali
“..di fornire specifici servizi o azioni mirate per assistere le categorie di lavoratori svantaggiati
nella ricerca di una occupazione”. Questa norma muove dalla medesima ratio del richiamo
contenuto nell’art. 8 al diritto al lavoro, e presuppone che in caso di possibile “conflitto” di
due beni giuridici come il diritto a non rivelare informazioni personali e quello al lavoro si
debba operare un bilanciamento in favore del secondo. Sono previste deroghe al divieto di
assunzione di informazioni solo quando le informazioni abbiano ad oggetto “caratteristiche
che incidono sulle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento” della stessa. Tale disposizione presenta un contenuto analogo a quello posto nell’art. 8 dello Statuto dei lavoratori, anche se la
tecnica utilizzata dal legislatore è opposta, in quanto l’art. 8 dello Statuto individua la possibilità di assunzione di tali informazioni come eccezione alle indagini vietate, mentre qui
viene configurata come una facoltà generale.
Divieto di oneri in capo ai lavoratori. L’art. 11 D.Lgs. n. 276/2003 dispone che “è fatto divieto ai soggetti autorizzati o accreditati di esigere o comunque di percepire, direttamente o indirettamente, compensi dal lavoratore”. La norma costituisce diretta attuazione dell’articolo 7 della
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 2 - Autorizzazione all’esercizio dell’attività di agenzia per il lavoro
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Convenzione sulle agenzie di collocamento private n. 181 del 19 giugno 1997, la quale dispone
che “Le agenzie di collocamento private non devono porre a carico dei lavoratori, in maniera diretta o indiretta, in tutto o in parte, onorari o altre spese” (comma 1).
Analogo principio è affermato anche nell’art. 29 della Carta dei diritti fondamentali di Nizza,
nella Costituzione Europea e nelle Carte Sociali europee che hanno preceduto tali documenti.
Deroghe. L’obbligo di gratuità per i lavoratori dei servizi delle Agenzie per il lavoro era disciplinato in forma restrittiva dall’art. 10 D.Lgs. n. 469/1997, il quale non riconosceva la possibilità di deroghe specifiche, pure possibile ai sensi dell’art. 7 della Convenzione OIL.
L’art. 11 D.Lgs. n. 276/2003 modifica tale impostazione. La norma prevede che i contratti
collettivi stipulati da associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale o territoriale possono stabilire delle deroghe al
divieto “..per specifiche categorie di lavoratori altamente professionalizzati o per specifici servizi
offerti dai soggetti autorizzati o accreditati”. I contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni
sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale o territoriale
saranno quindi legittimati a temperare il divieto di oneri in capo ai lavoratori, ma solo nell’interesse dei lavoratori stessi, o meglio di alcune particolari categorie di lavoratori, quelli altamente specializzati e quelli che prestano specifici servizi; queste definizioni sono l’unico limite cui dovrà attenersi la contrattazione collettiva nel definire in concreto le categorie
suscettibili di applicazione della deroga.
Destinatari del divieto. Il divieto di percepire oneri per l’attività di mediazione si esplica
nella sola direzione del lavoratore, mentre resta libera per i mediatori professionali la possibilità di percepire compensi dai datori di lavoro; questa apparente disparità di trattamento si
giustifica, come ha avuto modo di affermare anche la Corte Costituzionale (sent. 3 febbraio
2000), in quanto anche in un contesto di liberalizzazione del collocamento offre una protezione
differenziata al soggetto più debole del rapporto.
Sanzioni specifiche. L’art. 18, comma 4, punisce la percezione di oneri in deroga al divieto
posto dall’art. 11 con una sanzione penale e la cancellazione dall’albo delle Agenzie per il lavoro, ma solo per il caso della somministrazione; manca invece una norma sanzionatoria
esplicita per l’eventuale illecito realizzato da un soggetto autorizzato all’intermediazione o
alle altre attività minori.
Principio dell’imputazione diretta. La legge stabilisce l’obbligo della c.d. imputazione diretta degli effetti giuridici delle attività oggetto di autorizzazione, che scaturisce dall’esigenza di
garantire la trasparenza e la riconoscibilità assoluta dell’attività dell’Agenzia nei confronti
dell’utenza, impedendo qualsiasi forma di frattura organizzativa, anche minima.
Il principio è sancito in via generale dall’art. 4, comma 7, del D.lgs. n. 276/2003, secondo il
quale “l’autorizzazione non può essere oggetto di transazione commerciale”. Tale norma viene
specificata nell’art. 10, c. 2 del D.M. 23 dicembre 2003, secondo il quale «è vietato il ricorso a
figure contrattuali, tipiche o atipiche, attraverso cui realizzare, anche a titolo non oneroso,
qualsivoglia forma di trasferimento o concessione della autorizzazione ottenuta a favore di
soggetti terzi, siano essi persone fisiche o giuridiche. È altresì vietato il ricorso a contratti di
natura commerciale con cui viene ceduta a terzi parte della attività oggetto di autorizzazione
compresa l’attività di commercializzazione».
Estensione del principio. Il principio impedisce qualsiasi frammentazione nella gestione
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
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Capitolo 2 - Autorizzazione all’esercizio dell’attività di agenzia per il lavoro
delle attività oggetto di autorizzazione, che non possono essere cedute o delegate a terzi in
nessuna forma, e rende di conseguenza impossibile ipotizzare la liceità di una cessione
dell’autorizzazione ottenuta a livello centrale alle organizzazioni territoriali. Pertanto, le
Agenzie potranno sviluppare forme di collaborazione con altri soggetti solo per attività che,
seppure connesse all’intermediazione, non siano incluse tra quelle sottoposte ad autorizzazione (quindi, ad esempio, non sarà possibile cedere banche dati, delegare lo svolgimento
delle ricerche o dei colloqui, ecc.), e ciascun soggetto dovrà svolgere in proprio le attività
oggetto dell’autorizzazione, mediante l’utilizzo di personale e strutture proprie dislocate sul
territorio.
Investimenti nella formazione dei lavoratori somministrati. Per bilanciare gli effetti, potenzialmente negativi, della naturale intermittenza delle prestazioni di lavoro, il legislatore
che ha introdotto e disciplinato la fornitura professionale di manodopera (prima la legge n.
96/1997, poi il d.lgs. n. 276/2003) ha previsto un sistema, finanziato dalle stesse Agenzie di
somministrazione, destinato a fornire servizi di orientamento, formazione e riqualificazione
professionale dei lavoratori.
Fondi per la formazione. L’art. 12 del D.lgs. n. 276/2003 prescrive come condizione per il
mantenimento dell’autorizzazione l’obbligo, per le Agenzie di somministrazione, di contribuire
regolarmente ai fondi per la formazione e l’integrazione del reddito; la norma riproduce l’obbligo di corrispondere il c.d. contributo per la formazione introdotto dall’art. 5 della legge
196/1997. Tale strumento nelle intenzioni del legislatore dovrebbe essere vantaggioso per le
stesse Agenzie di somministrazione, che potranno fornire manodopera maggiormente qualificata rispetto a quella normalmente reperibile sul mercato del lavoro; in tal senso si spiega il
coinvolgimento di questi soggetti non solo nella contribuzione al meccanismo, ma anche nella
sua gestione.
Evoluzione normativa. Nella disciplina introdotta dall’art. 12 del D.lgs. n. 276/2003 il contributo è destinato a specifici fondi bilaterali, appositamente costituiti come soggetti giuridici
di natura associativa ai sensi dell’articolo 36 del codice civile oppure come soggetti dotati di
personalità giuridica ai sensi dell’articolo 12 del codice civile dalle parti stipulanti il contratto
nazionale delle imprese di somministrazione (art. 12, comma 4), anche nell’ambito di enti bilaterali, e successivamente autorizzati dal Ministero del lavoro. In questa nuova impostazione
emerge una considerazione pluralista dei fondi; laddove la vecchia normativa faceva riferimento a un solo Fondo finanziato dal contributo delle imprese fornitrici, l’art. 12 parla al plurale di “fondi” (commi 1 e 2).
La riforma Fornero (legge n. 92/2012), pur mantenendo inalterata la struttura e la finalità
del contributo, ha ridotto la sua entità dal 4% al 2,6%, al fine di bilanciare l’aumento del costo
del lavoro derivante dall’introduzione della maggiorazione contributiva dell’1,4% sui contratti
di lavoro temporaneo.
Finalità del Fondo. L’art. 12 D.Lgs. n. 276/2003 ripristina l’esplicito riferimento al “sostegno
al reddito”, in caso di fine lavori e ad esclusivo beneficio dei lavoratori assunti con contratto a
tempo indeterminato; inoltre, compare per la prima volta il riferimento a “specifiche misure di
carattere previdenziale” per i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato.
Al Fondo viene assegnato anche il compito di realizzare misure finalizzate al reinserimento
nel mercato del lavoro dei soggetti svantaggiati e la promozione dell’emersione del lavoro irregolare.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 3
MERCATO DEL LAVORO E SERVIZI PER L’IMPIEGO
3.1 Politiche attive e soggetti del mercato del lavoro
Rientrano nella nozione di politiche attive del lavoro tutte le azioni e le misure attuate o
attuabili dall’autorità pubblica in materia di inserimento al lavoro subordinato, gli incentivi finalizzati alla creazione di impresa o al lavoro autonomo, le iniziative per creare opportunità
occupazionali per i soggetti con maggiori difficoltà (donne, inoccupati e soggetti esclusi dal
ciclo produttivo, disabili, soggetti svantaggiati), e le attività di prevenzione della disoccupazione di lunga durata.
L’attuale organizzazione amministrativa del mercato del lavoro scaturisce dai processi di
decentramento amministrativo (D.Lgs. n. 469/1997, D.Lgs. n. 181/2000, D.Lgs. n. 297/2002) e
di federalismo legislativo (riforma del Titolo V). Tali norme hanno disegnato un assetto del
mercato del lavoro in cui agiscono, con ambiti di attività e poteri diversi, i seguenti soggetti:
Ministero del lavoro; Regioni; Province; Centri per l’impiego; Agenzie private per il lavoro;
Operatori “speciali”.
Compiti e funzioni del Ministero del lavoro. Il Ministero del lavoro esercita i seguenti compiti e funzioni in materia di mercato del lavoro (D.Lgs. n. 469/1997, D.Lgs. n. 276/2003):
– vigilanza sul lavoro;
– vigilanza sui flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all’Unione Europea;
– conciliazione delle controversie di lavoro individuali e plurime;
– risoluzione delle controversie collettive di rilevanza ultra − regionale;
– raccordo con gli organismi internazionali e coordinamento con l’Unione Europea;
– eccedenze di personale aventi dimensione ultra regionale;
– conduzione coordinata ed integrata della Borsa Continua Nazionale del lavoro (art. 15 D.Lgs.
n. 276/2003);
– monitoraggio e valutazione delle politiche attive del lavoro;
– gestione delle procedure di autorizzazione delle Agenzie per il lavoro di rilevanza ultraregionale;
– compiti di indirizzo politico e di proposta legislativa.
Compiti e funzioni delle Regioni. Le Regioni esercitano i seguenti compiti e funzioni in
materia di mercato del lavoro:
• gestione delle procedure di avviamento a selezione negli enti pubblici e nella pubblica amministrazione, ad eccezione di quelle riguardanti le amministrazioni centrali dello Stato e gli
uffici centrali degli enti pubblici;
• preselezione ed incontro tra domanda ed offerta di lavoro;
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
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Capitolo 3 - Mercato del lavoro e servizi per l’impiego
• programmazione, gestione ed attuazione delle misure di politica attiva del lavoro (art. 2,
comma 2, D.Lgs. n. 469/1997);
• iniziative finalizzate ad incrementare l’occupazione ed incentivare l’incontro tra la domanda
e l’offerta di lavoro; reimpiego dei lavoratori posti in mobilità e dei lavoratori svantaggiati;
• definizione di linee di indirizzo, programmazione e verifica sui tirocini formativi e di orientamento e sulle borse lavoro; compilazione e gestione delle liste di mobilità;
• svolgimento (art. 3) dell’esame congiunto previsto per l’erogazione dei trattamenti di cassa
integrazione guadagni straordinaria e per le procedure propedeutiche alla dichiarazione di
mobilità;
• promozione della stipula di accordi e contratti collettivi finalizzati all’utilizzo dei contratti di
solidarietà.
Compiti e funzioni delle Province. Le Province gestiscono ed erogano − mediante proprie
strutture denominate “Centri per l’impiego” − tutti i compiti assegnati alla Regione in materia
di politiche attive del lavoro (art. 4, comma 1, lett. e), D.Lgs. n. 496/1997), e gli ulteriori compiti conferiti dalla legislazione regionale.
Centri per l’impiego. I servizi connessi alle funzioni e ai compiti relativi al collocamento
devono essere erogati dalle Province (art. 4 D.Lgs. n. 469/1997) tramite strutture denominate
“Centri per l’Impiego”. I Centri per l’Impiego hanno sostituito le vecchie sezioni circoscrizionali per l’impiego (i c.d. uffici di collocamento), anche se svolgono un servizio profondamente
diverso. Tali strutture sono chiamate a erogare tutte le attività indirizzate all’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, all’informazione ed all’orientamento di chi cerca ed offre lavoro.
Servizi erogati all’utenza. I Centri per l’Impiego gestiscono tutte le procedure in materia di collocamento e avviamento al lavoro, ai servizi di informazione, accoglienza, orientamento e preselezione tra domanda ed offerta di lavoro. Inoltre i legislatori regionali hanno facoltà (art. 4, comma
1, lett. e, D.Lgs. n. 469/1997) di attribuire alle Province, anche tramite i Centri per l’Impiego, la
gestione e l’erogazione di servizi connessi alle funzioni e compiti in materia di politica attiva del lavoro, conferiti alla Regione in prima battuta (art. 2, comma 2): una di queste funzioni è ad esempio
la tenuta delle liste di mobilità, generalmente conferita alle Province.
Analisi del mercato del lavoro. Nel disegno del legislatore, i Centri per l’Impiego dovrebbero
svolgere approfondite analisi del mercato del lavoro locale, cioè dell’economia locale e delle dinamiche della domanda e d’offerta di lavoro nel territorio di competenza dei Centri. Tale attività
è funzionale e propedeutica all’erogazione dei servizi all’utenza, in quanto consente di adattare i
servizi stessi alle particolari caratteristiche dinamiche territoriali.
Accoglienza. Il primo servizio che il Centro per l’Impiego eroga ai lavoratori è quello di accoglienza
ed informazione di base. Tale attività ha lo scopo di illustrare la natura e le caratteristiche del servizio, e di indirizzare l’utente verso l’ufficio adeguato rispetto ai propri fabbisogni.
Amministrazione. Il Centro per l’Impiego ha il compito di gestire le procedure amministrative connesse agli obblighi di comunicazione gravanti in capo ai datori di lavoro (avviamento al lavoro, comunicazione di assunzione e licenziamento, conferma dello stato di disoccupazione, cancellazioni,
trasferimenti e trasformazioni e varianti connesse alla qualifica, al reddito percepito, ai carichi
familiari, verifica dei requisiti che danno diritto a particolari agevolazioni).
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 3 - Mercato del lavoro e servizi per l’impiego
31
- segue Collocamento mirato dei disabili. Il Centro per l’Impiego gestisce direttamente tutte le procedure
di collocamento mirato dei lavoratori disabili, dagli obblighi periodici di comunicazione sino alla
stipula delle convenzioni per l’inserimento lavorativo.
Promozione reinserimento lavorativo. Accanto ai servizi rivolti alla generalità degli utenti, il Centro
per l’Impiego deve svolgere un’attività promozionale finalizzata al reinserimento lavorativo dei soggetti iscritti nelle liste di mobilità, per i quali deve progettare interventi specifici finalizzati al reimpiego, sulla base della conoscenza di tutte le informazioni individuali anagrafiche e professionali.
Orientamento. I Centri per l’impiego erogano un servizio di orientamento per i soggetti in cerca di
occupazione: tale attività, cui si lega la correlativa attività di consulenza alle imprese, è finalizzata
a favorire l’utente nell’utilizzo degli strumenti di ricerca del lavoro. Fanno parte di questa attività la
fornitura di indicazioni su come rispondere alle inserzioni di ricerca del personale, sulla redazione
del curriculum vitae o sulla gestione di un colloquio di lavoro, e infine sulla predisposizione di progetto professionali personalizzati in base alle esperienze, caratteristiche e competenze personali.
Incrocio tra domanda ed offerta di lavoro. A seguito dell’abrogazione della legge n. 264/ 1949,
attualmente il datore di lavoro può scegliere liberamente il personale da assumere. Pertanto, il
Centro per l’Impiego può svolgere solo una funzione di supporto al lavoratore, fornendogli una
banca dati delle offerte di lavoro e, nel contempo, inserendolo nella corrispondente banca dati delle persone in cerca di occupazione. L’inserimento nella banca dati è subordinato all’effettuazione
di un apposito colloquio con gli operatori. Rientra in questa funzione anche l’attività di preselezione, propedeutica all’effettivo inserimento lavorativo.
Azioni positive per i soggetti deboli. Il D.Lgs. n. 181/2000 prevede specifiche azioni positive che
devono essere realizzate dai Centri per l’Impiego nei confronti di determinate categorie di soggetti
meritevoli di tutela. Gli strumenti di intervento sono le interviste periodiche ed i colloqui di orientamento rivolti a giovani ed adolescenti, e le proposte di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo
o di formazione e riqualificazione professionale nei confronti delle donne in cerca di reinserimento
lavorativo, non oltre sei mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione, o nei confronti dei disoccupati
e degli inoccupati di lunga durata, non oltre dodici mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione.
Elenco anagrafico. Il D.P.R. 7 luglio 2000, n. 442, istituisce un elenco anagrafico in cui devono essere inserite, a prescindere dalla residenza, le persone in età di lavoro e in cerca di lavoro (perché
inoccupate, disoccupate, ovvero perché intendono cambiarle) che desiderano avvalersi dei servizi
competenti. L’elenco anagrafico sostituisce le vecchie liste di collocamento, soppresse definitivamente, all’esito di un tormentato iter normativo, con il D.Lgs. n. 297/2002. Tale decreto ha disposto
la soppressione definitiva delle liste ordinarie e speciali di collocamento, ad eccezione di quelle
dello spettacolo, di mobilità e degli elenchi per l’inserimento lavorativo dei disabili.
Soggetti iscritti. L’art. 4, comma 1, D.P.R. n. 442/2000 impone l’iscrizione nell’elenco anagrafico a
tutti i soggetti che intendano avvalersi dei Centri per l’Impiego; per la ricerca di un posto di lavoro
è necessario essere iscritto nell’elenco e l’iscrizione permane durante tutta la vita lavorativa salvo
domanda di cancellazione. L’aggiornamento delle informazioni contenute nell’elenco avviene sulla
base delle informazioni fornite dal lavoratore o, d’ufficio, sulla base delle comunicazioni obbligatorie provenienti dai datori di lavoro, dalle società di fornitura di lavoro interinale, e dai soggetti
autorizzati all’attività di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro.
Scheda professionale. La scheda professionale è un documento in cui devono essere inserite le informazioni relative alle esperienze formative e professionali, alle disponibilità del lavoratore, ed i dati relativi alla certificazione delle sue competenze professionali. In particolare, ai sensi dell’art. 5 D.P.R. n.
442/2000, devono essere inserite nella scheda le seguenti informazioni: i dati desunti dall’elenco anagrafico; le informazioni relative alle esperienze formative e professionali; le disponibilità della persona.
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 3 - Mercato del lavoro e servizi per l’impiego
32
- segue La scheda professionale è compilata dai Centri per l’Impiego e viene rilasciata alle persone inserite
nell’elenco anagrafico che ne facciano richiesta, senza alcun onere per queste ultime. Le operazioni di
inserimento, aggiornamento, conservazione, cancellazione, diffusione, comunicazione e trasferimento
dei dati della scheda professionale spettano al Centro per l’Impiego nel cui elenco anagrafico la persona è inserita. Il Centro per l’Impiego acquisisce, anche gradualmente, le informazioni da inserire nella
scheda attraverso diverse modalità: dichiarazioni fornite dal lavoratore; comunicazioni provenienti dai
Centri per l’Impiego; ogni altra fonte che attesti lo svolgimento di esperienze formative o professionali;
recupero di dati ed informazioni disponibili negli archivi informativi dei Centri per l’Impiego.
Stato di disoccupazione. Lo stato di disoccupazione viene definito dal D.Lgs. n. 181/2000 (nella
versione modificata dal D.Lgs. n. 297/2002) come la condizione del “soggetto privo di lavoro, che
sia immediatamente disponibile allo svolgimento ed alla ricerca di una attività lavorativa secondo
modalità definite con i servizi competenti”. Tale documento assume, nella nuova impostazione dei
servizi per l’impiego, una valenza fondamentale, in quanto il lavoratore può fruire dei servizi erogati dai Centri per l’Impiego solo ove sia in possesso (e mantenga, rispettando gli impegni assunti
con il patto di servizio) dello stato di disoccupazione.
Caratteristiche. Lo stato di disoccupazione si compone di un elemento oggettivo (la mancanza di
lavoro), di un elemento soggettivo (l’immediata disponibilità) e di un elemento esterno (il rapporto
con i Servizi pubblici per l’impiego). Il presupposto per l’acquisizione dello stato di disoccupazione risiede nella circostanza di essere “privo di lavoro”. La finalità dello stato di disoccupazione
è quella di identificare il disoccupato non in base a un dato meramente burocratico (l’iscrizione
nelle liste di collocamento), e realizzare una analisi effettiva dei fabbisogni individuali, o con una
conseguente programmazione delle azioni attive da realizzare per favorire il reinserimento nel
mercato del lavoro. Inoltre, al fine di destinare le misure di politica attiva, in una logica selettiva,
solo ai soggetti che partecipano attivamente alle attività proposte dai servizi per l’impiego, lo stato
di disoccupazione presuppone la “ricerca attiva” del lavoro da parte del soggetto.
Certificazione e verifica dello stato di disoccupazione. Il sistema di censimento si fonda sulle autodichiarazioni degli interessati. Le Regioni hanno il compito di definire gli indirizzi operativi in merito
alle procedure di accertamento e verifica periodica dello stato di disoccupazione (D.Lgs. n. 181/2000,
D.Lgs. n. 297/2002). La legge fissa dei vincoli per il legislatore regionale. In primo luogo, l’accertamento deve essere fatto sulla base delle comunicazioni obbligatorie. Inoltre, vengono introdotti
degli standard minimi di servizio (con particolare riferimento ai colloqui orientativi e alle proposte
di adesione ad iniziative di formazione o riqualificazione professionale) che devono essere forniti in
materia di prevenzione della disoccupazione di lunga durata. I colloqui dovrebbero essere forniti a
tutti gli utenti, ed essere erogati entro tre mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione. Le proposte
di adesione dovrebbero essere fornite entro un termine che va dai quattro mesi (per adolescenti,
donne, giovani) ai sei mesi (per tutti gli altri soggetti a rischio di disoccupazione di lunga durata).
3.2 Riforma Fornero e servizi per l’impiego
L’art. 4, co. 48, legge n. 92/2012 riattiva la delega contenuta nel co. 30, art. 1, legge
24.12.2007, n. 247, in materia di servizi per l’impiego e politiche attive, specificando ulteriori
principi e criteri direttivi oltre a quelli già presenti al co. 34. Il governo, nell’esercizio della
delega, dovrebbe disciplinare le forme di attivazione del soggetto che cerca lavoro, in quanto
mai occupato, espulso o beneficiario di ammortizzatori sociali.
La delega dovrebbe anche occuparsi del “patto di servizio” quale strumento per erogare
servizi solo verso quei soggetti che abbiano manifestato una concreta ed effettiva disponibilità a beneficiare delle azioni di politica attiva. La delega, infine, dovrebbe colmare la vistosa
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 3 - Mercato del lavoro e servizi per l’impiego
33
lacuna della legge n. 92/2012, la quale rinuncia ad investire sul potenziamento dei servizi
pubblici mediante la partecipazione degli operatori privati che già oggi svolgono, in maniera
professionale, servizi per il lavoro: le Agenzie per il lavoro, in primo luogo, ma anche tutti gli
enti e soggetti, pubblici e privati, che hanno da sempre un ruolo nei percorsi di incontro tra
domanda ed offerta di lavoro. Questi soggetti erano stati ampiamente sollecitati dalla legge
Biagi ad entrare nel sistema delle politiche del lavoro, ma non hanno sostanzialmente raccolto l’invito, limitandosi ad agire in via autonoma. probabilmente, la creazione di un sistema di
convenienze avrebbe potuto riattivare questo percorso di coinvolgimento, che sarebbe essenziale per far crescere sul piano qualitativo e quantitativo l’offerta di servizi per il lavoro.
SERVIZI PER L’IMPIEGO. SINTESI DELLE NOVITÀ NELLA RIFORMA FORNERO
Azioni di politica attiva
a) percettori di trattamenti di disoccupazione:
- colloquio di orientamento, entro 3 mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione
- azioni di orientamento collettive con formazione sulle modalità di ricerca di occupazione adeguate al contesto produttivo territoriali, tra i 3-6 mesi
- formazione della durata complessiva non inferiore a 2 settimane adeguata alle
competenza professionali e alla domanda di lavoro del territorio, tra i 6 i 12 mesi;
b) percettori di trattamenti di integrazione salariale o analoghi, da almeno 6 mesi:
- offerta di formazione professionale della durata di almeno 2 settimane.
Stato di disoccupazione
- lo status di disoccupato si perde in caso di rifiuto senza giustificato motivo di una congrua offerta
di lavoro a prescindere dalla durata e dalla tipologia contrattuale proposta;
- non si può conservare lo status di disoccupato a seguito dello svolgimento di un’attività lavorativa
seppure inferiore ad un certo tetto di reddito;
- si può sospendere lo status di disoccupazione solo in caso di reperimento di un’occupazione di
durata inferiore ai 6 mesi.
Banca dati INPS e scambio informazioni
istituzione di una banca dati curata dall’INPS e messa a disposizione dei servizi competenti contenente: dati dei beneficiari di ammortizzatori sociali; dati concernenti le azioni di politica attiva svolte
dai servizi per l’impiego
Semplificazione procedure
- la dichiarazione di immediata disponibilità può essere resa anche all’INPS insieme alla domanda
di ASpI;
- semplificazione degli adempimenti connessi al riconoscimento degli incentivi all’assunzione attraverso una messa in rete delle informazioni di INPS, Regioni e Province;
- abrogazione dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale da rilasciare all’INPS da parte di tutti i beneficiari di un trattamento di sostegno al reddito.
Servizi per l’impiego
delega in materia di servizi per l’impiego, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:
- principi e criteri direttivi già previsti dalla legge n. 247/2007;
- incentivazione della ricerca attiva di una nuova occupazione;
- qualificazione professionale dei giovani che entrano nel mercato del lavoro;
- formazione nel continuo dei lavoratori;
- riqualificazione di coloro che sono espulsi, per un loro efficace e tempestivo.
ricollocamento
- collocamento di soggetti in difficile condizione.
Azioni in favore dei disoccupati. La riforma Fornero definisce i livelli essenziali delle
prestazioni che devono essere erogate dai servizi per l’impiego nei confronti dei percettori di
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
34
Capitolo 3 - Mercato del lavoro e servizi per l’impiego
ammortizzatori sociali. Per le persone disoccupate, vengono ridefinite e precisate una serie
di prestazioni che rientrano nella nozione di politiche attive per il lavoro: rientrano in questa
categoria tutte le misure realizzate dai centri per l’impiego e dalle regioni per favorire il
reinserimento dei lavoratori disoccupati nel mercato del lavoro e prevenire la disoccupazione di lungo periodo; queste misure, di regola, consistono in iniziative volte a stimolare il disoccupato ad occuparti della ricerca di un nuovo lavoro, e interventi volti ad incrementare la
sua occupabilità attraverso interventi formativi mirati. la riforma cerca di migliorare l’efficacia di tali prestazioni, definendo gli standard minimi che devono essere rispettati dai servizi
che le erogano, in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, nel caso in cui il destinatario sia un lavoratore che percepisce un trattamento di sostegno al reddito (mobilità, disoccupazione, Aspi, ecc.). In primo luogo, la riforma prevede che ai percettori di tali misure
debba essere offerto un colloquio di orientamento, entro i 3 mesi dall’inizio dello stato di
disoccupazione. Dopo il colloquio, e precisamente nel periodo compreso tra i 3 ed i 6 mesi
dall’inizio dello stato di disoccupazione, i servizi per l’impiego devono erogare azioni di
orientamento. la legge stabilisce che deve trattarsi di iniziative collettive, e all’interno di
queste deve essere organizzata la formazione sulle modalità più efficaci di ricerca di una
nuova occupazione, che tenga conto del contesto produttivo territoriale. Una volta superata
questa fase, e comunque nel periodo compreso tra i 6 e i 12 mesi dall’inizio dello stato di
disoccupazione, i servizi per l’impiego devono offrire un’opportunità di formazione, della
durata complessiva non inferiore a 2 settimane. l’attività formativa proposta deve essere
adeguata alle competenze professionali del disoccupato ed alla domanda di lavoro dell’area
territoriale di residenza; si tratta di una precisazione importante, in quanto spesso i centri
per l’impiego e le regioni offrono lo svolgimento di percorsi formativi poco collegati con i
fabbisogni formativi della persona e con le opportunità lavorative del territorio. infine, entro
la scadenza del periodo di percezione del trattamento di sostegno del reddito, i servizi per
l’impiego devono - o meglio dovrebbero - proporre al disoccupato l’adesione ad iniziative di
inserimento lavorativo. Non viene precisato in dettaglio come dovrebbero strutturarsi tali
iniziative, anche perché si tratta della parte più impegnativa e complessa delle azioni di politica attiva, che richiede una capacità del centro per l’impiego di agire nel territorio in maniera efficace, per far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro.
Azioni in favore dei lavoratori sospesi. Le misure sopra descritte sono espressamente
dedicate ai lavoratori che hanno perso in via definitiva il posto di lavoro; per quanto riguarda le
persone che non sono ancora in questa fase, ma comunque non stanno lavorando e il loro
rapporto di lavoro è stato sospeso (con il relativo accesso ai trattamenti di integrazione salariale o alle altre prestazioni spettanti per la sospensione, anche parziale, dell’attività lavorativa), la legge individua un pacchetto di misure diverse, che tengono conto della differente situazione professionale che vive il soggetto interessato. Per quanto riguarda le misure
destinate a questa platea di soggetti la legge prevede l’obbligo di offrire al dipendente almeno
una possibilità di formazione professionale della durata complessiva non inferiore a 2 settimane; questa opportunità, precisa la riforma, deve essere adeguata alle competenze professionali del soggetto destinatario dell’intervento. Come si vede, l’impegno è molto più circoscritto di quello previsto per i disoccupati – si limita offerta di un’attività formativa – ma non
per questo è meno importante, in quanto proprio la formazione è uno strumento importante
che può aiutare le persone, durante le fasi di crisi aziendale, ad aggiornare le proprie competenze e, in tal modo, aumentare la propria occupabilità attraverso la formazione, sia in vista
del rientro in azienda, sia in vista dell’ipotesi in cui l’attività lavorativa non venga più ripresa.
Non tutti i percettori di sostegni al reddito possono accedere alle misure: il trattamento deve
essere in godimento da almeno 6 mesi.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 3 - Mercato del lavoro e servizi per l’impiego
35
Condizionalità. La legge n. 92/2012 ribadisce che il soggetto che percepisce un trattamento collegato allo stato di disoccupazione o inoccupazione lo perde, in caso rifiuti di partecipare (o partecipi in maniera incompleta) senza giustificato motivo a una iniziativa di politica
attiva, oppure rifiuti di una offerta di un lavoro inquadrato in un livello retributivo non inferiore
al 20% rispetto all’importo lordo della indennità cui ha diritto. la legge prevede che i servizi
competenti debbano comunicare dall’Inps gli eventi che determinano la decadenza dal trattamento.
Dichiarazione di disponibilità. L’art. 4, co. 47, legge n. 92/2012 abroga il co. 10, art. 19,
D.L. 29.11.2008, n. 185, che prevede una dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o
a un per- corso di riqualificazione professionale da rilasciare all’INPS da parte di tutti i beneficiari di un trattamento di sostegno al reddito.
Perdita e sospensione dello stato di disoccupazione. La riforma Fornero rende più rigoroso il regime di perdita dello stato di disoccupazione. A tal fine, viene abrogata la lett. a, art. 4,
co. 1, D.Lgs. 181/2000, per cui non è più possibile per un beneficiario conservare lo stato di
disoccupazione, anche se svolge una attività lavorativa tale da assicurare un reddito annuale
non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione. si prevede, inoltre, la perdita dello stato di disoccupazione in caso di rifiuto di una offerta di lavoro congrua sia a tempo
indeterminato sia a tempo determinato, indipendentemente dalla durata del contrato, mentre
nella legislazione vigente lo stato di disoccupazione non viene Con una finalità analoga, viene
ridotta da 8 a 6 mesi la durata di un contratto di lavoro subordinato che consente la sospensione dello stato di disoccupazione. inoltre, la legge cancella la distinzione tra adulti e giovani
(per i quali la durata era di 4 mesi, e quindi ora beneficiano di un periodo maggiore) con riferimento alla durata del contratto per la sospensione dello stato di disoccupazione.
Borsa continua nazionale del lavoro. La Borsa continua nazionale del lavoro consiste in una rete
telematica finalizzata ad agevolare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro. L’idea di costruire un
sistema informatico a supporto dell’incontro tra domanda ed offerta di lavoro trova il proprio immediato precedente nel Sistema informativo lavoro, previsto dall’art. 11 D.Lgs. n. 469/1997. Questo
sistema avrebbe dovuto mettere in rete i Centri per l’impiego, le strutture di orientamento e formazione professionale ed i soggetti privati, per assicurare su tutto il territorio la rapida circolazione
delle informazioni sui posti di lavoro vacanti e sulla disponibilità di manodopera. Con l’idea della
Borsa continua nazionale del lavoro il legislatore (art. 15 D.Lgs. n. 276/2003) tenta di riprendere
questo progetto, introducendo alcuni correttivi, individuati proprio in relazione all’esperienza pregressa, che dovrebbero consentire finalmente la nascita di un sistema di collegamenti informatici
tra tutti gli operatori del mercato del lavoro ed i fruitori dei servizi.
Accesso diretto alla Borsa. L’innovazione principale che caratterizza la Borsa rispetto al SIL consiste
nell’estensione ai datori di lavoro ed ai lavoratori della possibilità di accesso diretto al sistema informativo, sia per la consultazione sia per l’immissione delle informazioni. Secondo il disegno perseguito
dal legislatore, tale sistema dovrebbe essere alimentato non solo dalle informazioni immesse dagli
operatori professionali, pubblici o privati, ma anche da quelle immesse individualmente dai datori di
lavoro e dai lavoratori. Il sistema viene infatti costruito come un servizio cui ciascun cittadino ha diritto
di accedere per proporre le proprie candidature e per poter consultare le offerte di lavoro.
Raccolta dei dati. L’obbligo di utilizzare tecnologie capaci di rendere accessibile a tutti il sistema
è legato al momento della divulgazione dei dati. Diverso è il momento della raccolta e dell’inserimento dei dati, che deve passare necessariamente attraverso il loro conferimento ai nodi regionali.
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 3 - Mercato del lavoro e servizi per l’impiego
36
- segue L’art. 15, comma 7, prevede in proposito che “... Le informazioni minime necessarie per favorire l’incontro
fra domanda e offerta di lavoro nella borsa continua nazionale del lavoro, immesse per via telematica direttamente dalle persone in cerca di occupazione ovvero dai datori di lavoro, sono rese disponibili ai nodi
informativi regionali. Le informazioni raccolte dagli operatori sono accessibili alla borsa continua nazionale del lavoro per il tramite dei nodi informativi regionali
Obbligo di conferimento dei dati. Una caratteristica peculiare della Borsa consiste nell’obbligo per tutti i
soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati di conferire i dati informativi acquisiti sulla domanda ed
offerta di manodopera.
Fallimento della Borsa Lavoro e tentativo di rilancio delle banche dati. La legge n. 92/2012 prova ad
individuare delle sedi di raccordo in cui far convergere i diversi attori del sistema italiano chiamato
a gestire le politiche del lavoro. Si tratta di un sistema che, già sulla carta, mostra delle lacune, in
quanto è stato costruito in maniera illogica e irrazionale: i servizi per l’impiego e le politiche attive
sono gestiti da regioni e province, e seguono indirizzi slegati da una sede centrale in grado di definire le priorità. Il ministero del lavoro cerca faticosamente di recuperare quelle competenze che gli
sono state tolte da un regionalismo spinto, mediante l’azione di Italia lavoro, ma fatica ad ottenere
risultati concreti. invece, il sistema che eroga gli ammortizzatosi sociali si regge sul INPS, ente gestito centralmente a livello nazionale. Il risultato è sotto gli occhi di tutti; le gambe del sistema non
dialogano, e il legislatore cerca da anni di trovare degli strumenti in grado di far entrare dentro lo
stesso percorso sia le misure di politica attiva che quelle di politica passiva.
Banca dati INPS. Principale strumento che viene identificato per raggiungere questo obiettivo è una banca
dati che dovrebbe essere costituita, entro il 30.6.2013, dall’INPS, per poi essere messa a disposizione dei
servizi competenti. Questa banca dati dovrebbe contenere i dati individuali dei beneficiari di ammortizzatori sociali, con indicazione dei dati anagrafici, di residenza e domicilio, dei dati essenziali relativi al tipo di
ammortizzatore sociale di cui beneficia.
Scambio di informazioni. La legge n. 92/2012, oltre alla costituzione della banca dati, si preoccupa di stimolare lo scambio di informazioni tra i soggetti del sistema, al fine di agevolare la programmazione e la
gestione delle misure di politica attiva e degli ammortizzatori sociali. Per dare concretezza a tali finalità, la
legge pone a carico delle regioni e delle province l’obbligo di mettere a disposizione dell’INPS, del Ministero
del lavoro e in particolare della borsa continua nazionale del lavoro (Cliclavoro), le informazioni relative
allo stato di disoccupazione e alla sua durata, nonché i dati necessari per l’individuazione degli incentivi
all’assunzione. lo scopo di questa disposizione è di estendere la conoscenza delle informazioni sulla situazione individuale dei lavori, dal punto di vista dell’applicabilità di eventuali incentivi all’assunzione, anche ai
datori di lavoro, i quali non hanno accesso alla banca dati INPS.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4
IL CONTRATTO COMMERCIALE
DI SOMMINISTRAZIONE DI MANODOPERA
4.1 Il contratto di somministrazione
Il contratto di somministrazione di manodopera si caratterizza per la possibilità per una
parte (somministratore) di obbligarsi, verso il corrispettivo di un prezzo, a fornire ad un’altra
(utilizzatore) prestazioni di lavoro periodiche o continuative rese da terzi, senza che tra i lavoratori forniti e l’utilizzatore si insaturi un contratto di lavoro subordinato. Tale definizione
si ricava solo indirettamente dall’art. 2 del D.Lgs. n. 276/2003; la norma, infatti, non offre una
definizione compiuta della fattispecie, limitandosi a definire la somministrazione come “fornitura professionale di manodopera, a tempo determinato o indeterminato, ai sensi dell’articolo 20”.
Natura commerciale del contratto. La fattispecie della somministrazione racchiude in se
due distinti rapporti contrattuali, quello - propriamente inquadrabile come “somministrazione”
- di natura commerciale che intercorre tra l’Agenzia e l’utilizzatore, ed il contratto di lavoro che
lega il lavoratore con l’Agenzia. Il primo rapporto – il contratto di somministrazione – consiste in
un contratto di scambio tra prestazioni periodiche e continuative e un corrispettivo economico; il secondo è un ordinario rapporto di lavoro che, salvo alcuni adeguamenti specifici richiesti
dalle particolari modalità con cui si svolge il rapporto, è soggetto alla disciplina ordinaria.
Causa del contratto. Per quanto riguarda la causa del contratto, qui intesa nella nozione
tradizionale di “funzione economico sociale del negozio”, va detto che il legislatore non definisce espressamente gli elementi costitutivi della fattispecie. Una ricostruzione complessiva
delle caratteristiche del contratto consente di individuare la causa nella fornitura professionale di mano d’opera in cambio di un corrispettivo.
Forma scritta. In base all’art. 21, comma 4, del D.Lgs. n. 276 del 2003, è sanzionata con la
nullità e la conversione del rapporto la mancanza di forma scritta del contratto. Secondo la
norma, il contratto deve contenere le seguenti indicazioni:
a.
b.
c.
d.
e.
gli estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore;
il numero di lavoratori da somministrare;
i motivi di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di ricorso alla somministrazione di lavoro;
l’indicazione della presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle
misure di prevenzione adottate;
la data di inizio e la durata prevista del contratto di somministrazione;
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
38
- segue f.
g.
h.
i.
j.
k.
le mansioni, l’inquadramento del lavoratore somministrato;
il luogo, l’orario ed il trattamento economico e normativo delle prestazioni lavorative;
l’assunzione da parte del somministratore della obbligazione del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico e dei contributi previdenziali;
l’assunzione dell’obbligo da parte dell’utilizzatore di rimborsare al somministratore gli oneri
retributivi e previdenziali da questo effettivamente sostenuti in favore del lavoratore;
l’assunzione dell’obbligo da parte dell’utilizzatore di comunicare al somministratore i trattamenti retributivi applicabili ai lavoratori comparabili;
l’assunzione da parte dell’utilizzatore, in caso di inadempimento del somministratore,
dell’obbligo del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico, nonché del versamento dei contributi previdenziali, fatto salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore.
La lettera di assegnazione ad ogni singola missione deve contenere obbligatoriamente
tutte le indicazioni di cui sopra. Nell’indicare tali elementi, le parti devono recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi.
Disciplina applicabile. La somministrazione di lavoro rientra nella tipologia dei contratti di
durata. Tali contratti sono destinati al soddisfacimento di un bisogno, e cioè di un interesse,
durevole nel tempo, che connota la stessa causa del contratto e ne condiziona l’adempimento.
La qualificazione nell’ambito dei contratti di durata comporta alcune conseguenze. La
somministrazione prevista dal D.Lgs. n. 276/2003 potrà sostanziarsi in una prestazione continuativa (senza alcuna interruzione) o periodica (con reiterazione del lavoro in periodi predeterminati), perché si tratta di una caratteristica propria di tutti i contratti che sono funzionalmente destinati a protrarsi nel tempo.
Essendo un contratto di durata, la somministrazione non potrà esaurirsi nella mera messa
a disposizione del lavoratore (o di più di uno di essi, come risulta dall’art. 20, comma 2); il fornitore (l’Agenzia) dovrà anche garantire la continuità dell’adempimento, in modo da soddisfare
il bisogno durevole del creditore, ed assicurare la puntuale esecuzione della prestazione
lavorativa.L’esattezza dell’adempimento che, in una relazione diretta, può essere richiesta al
lavoratore, in questo caso è imposta sul somministratore, che è parte del contratto commerciale e che risponde dei comportamenti del somministrato.
Obblighi derivanti dal contratto. La legge fa discendere dalla stipula del contratto di somministrazione alcune conseguenze; queste, in relazione alla possibilità per le parti stipulanti di regolarle diversamente, possono essere catalogate come obblighi inderogabili o obblighi derogabili.
Parità di trattamento. Una volta stipulato il contratto di somministrazione, non sarà possibile
derogare alla parità di trattamento economico e normativo previsto dall’art. 23, comma 1 (e nei
limiti ivi indicati o contenuti nel successivo comma).
In virtù di tale norma, nel testo modificato dal D.Lgs. n.24/2012, devono essere riconosciute al lavoratore somministrato le stesse “condizioni di base di lavoro e d’occupazione” applicate ai dipendenti dell’utilizzatore che svolgono le stesse mansioni. Secondo la norma rientrano nella nozione
le condizioni di lavoro e di occupazione in materia di orario di lavoro, retribuzione, protezione delle
donne in stato di gravidanza e in materia di non discriminazione.
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
39
- segue Obblighi inderogabili. Le parti del contratto di somministrazione non possono disporre della responsabilità solidale per i trattamenti retributivi e previdenziali (art. 23, comma 3), della materia
relativa alle erogazioni economiche accessorie ed ai servizi sociali (art. 23, comma 4), delle disposizioni relative ai rischi sulla sicurezza, all’addestramento ed agli obblighi di protezione (salvo le
deroghe ivi previste).
Analogo divieto di deroga si applica alla disciplina delle mansioni e del regime retributivo e risarcitorio ivi stabilito (art. 24, comma 6),alla disposizione sul potere disciplinare (art. 24, comma 7),
alle norme sui diritti sindacali (art. 24, commi 1 e 2) e agli obblighi informativi ivi connessi (art. 24,
comma 4) (la cui violazione, tra l’altro, è sanzionabile anche ai sensi dell’art. 28 stat. lav.), oltre
che alle disposizioni previdenziali (art. 25, commi da 1 a 4) (il cui statuto inderogabile è connesso
anche ad esigenze pubblicistiche).
Alle stesse conclusioni si giunge per quanto riguarda l’imposizione, a carico dell’utilizzatore, del
pagamento del trattamento economico e contributivo in caso di inadempimento del somministratore (art. 21, comma 1, lettera k), in quanto si tratta di norma di tutela a favore del lavoratore, che
trova, tra l’altro, un ulteriore fondamento di inderogabilità nella responsabilità solidale prevista
dall’art. 23, comma 3, del D.Lgs. 276/2003.
Infine, con riferimento alle previsioni delle lettere f) e g) (mansioni, inquadramento, luogo, orario
e trattamento economico e normativo), quando tali elementi sono definiti dalle parti del contratto
commerciale, il recepimento delle condizioni previste dai contratti collettivi sarà inderogabile in
quanto relativo ad aspetti necessariamente connessi alla esecuzione della prestazione lavorativa.
Sanzioni per la violazione degli obblighi inderogabili. Quando il D.Lgs. 276/2003 non prevede la
sanzione specifica (invalidità della clausola e conversione del rapporto) si applicheranno i principi
generali in materia: nullità per contrasto con norma imperativa e sostituzione della disposizione
convenzionale con la norma inderogabile di legge o di contratto collettivo.
Clausole limitative della facoltà di assunzione. L’art. 23, comma 8, stabilisce che in caso di somministrazione di lavoro è nulla ogni clausola diretta a limitare, anche indirettamente, la facoltà
dell’utilizzatore di assumere il lavoratore al termine della missione.
Analogo divieto non è invece previsto nell’ipotesi di somministrazione a tempo indeterminato, nell’ambito della quale possono essere pattuite liberamente, clausole limitative dell’assunzione, purché nel
rispetto dei limiti previsti dall’art. 2125 c.c. in merito alla stipula del patto di non concorrenza.
La disposizione contenuta nell’art. 23 sostituisce la previsione degli artt. 1, comma 6, e 3, comma
6, l. n. 196 del 1997 che stabilivano la nullità delle clausole inserite nel contratto di fornitura limitative della facoltà dell’utilizzatore di assumere il lavoratore al termine del contratto stesso, nonché delle clausole inserite nel contratto di lavoro limitative della facoltà del lavoratore di accettare
l’assunzione da parte dell’utilizzatore dopo la scadenza del contratto di fornitura.
La nuova norma utilizza un’accezione ampia delle clausole invalide, in quanto estende il divieto a
tutte le possibili modalità con le quali la limitazione della possibilità di assunzione del lavoratore
può realizzarsi, e lo applica a tutte le pattuizioni che possono intercorrere tra somministratore e
utilizzatore o tra somministratore e lavoratore.
Nella medesima logica onnicomprensiva, la formula legale non definisce il contenuto delle clausole vietate, ma si applica ad ogni forma di limitazione della possibilità del lavoratore di essere
assunto dall’utilizzatore al termine della somministrazione, a prescindere dalla modalità con la
quale tale obiettivo è perseguito.
Il D.Lgs. n. 24/2012 ha tuttavia riconosciuto alle parti del contratto di somministrazione, la facoltà
di prevedere un corrispettivo in favore dell’azienda come premio per attività formative e di addestramento che hanno consentito l’assunzione presso l’utilizzatore.
Obblighi in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. In merito alla tutela della salute e sicurezza del lavoratore il D.Lgs. n. 276/2003 prevede, in capo al somministratore,
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
40
- segue l’obbligo di informare il lavoratore sui rischi per la sicurezza e la salute connessi all’attività
produttiva in generale, nonché di formare e addestrare i lavoratori all’uso delle attrezzature
necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa che debbono svolgere; è rimessa all’autonomia delle parti contraenti la possibilità di trasferire tali obblighi in capo all’utilizzatore
mediante il contratto di somministrazione, con l’unico limite di darne indicazione nel contratto
di lavoro.
In capo all’utilizzatore grava poi un obbligo di informazione specifica, nel caso di mansioni che
richiedono una sorveglianza medica speciale; lo stesso utilizzatore è anche tenuto all’osservanza
nei riguardi del lavoratore somministrato di tutti gli obblighi di protezione previsti nei confronti dei
propri dipendenti ed è responsabile per la violazione degli obblighi di sicurezza individuati dalla
legge e dai contratti collettivi.
Queste disposizioni sono confermate e rafforzate dalla normativa collettiva di settore, che ribadisce espressamente l’obbligo delle parti del contratto - l’Agenzia per il lavoro e l’utilizzatore - di
cooperare per dare al lavoratore somministrato tutte le informazioni in materia di sicurezza ed
igiene sul lavoro, fermo restando il regime di responsabilità in caso di infortuni.
Clausole di gradimento. Il contratto di somministrazione è regolato dal D.Lgs. n. 276/2003 e, per
quanto qui non espressamente previsto, è soggetto alla disciplina generale dei contratti.
La natura commerciale del contratto lo rende estraneo alle tecniche di regolazione proprie del
diritto del lavoro e consente una certa libertà contrattuale alle parti, che potranno inserire tutte
le clausole che non sono vietate dalla normativa speciale e che non risultano incompatibili con la
fattispecie.
Una delle clausole che la dottrina considera legittime è la c.d. clausola di gradimento. Mediante
tale pattuizione, le parti del contratto di somministrazione (Agenzia ed utilizzatore) possono prevedere un periodo di prova dei lavoratori somministrati, durante il quale l’utilizzatore può decidere
se rifiutare la prestazione dei dipendenti inviati dall’Agenzia; un altro possibile contenuto di tali
clausole consiste nella possibilità concessa all’utilizzatore di esprimere in qualsiasi momento la
sua insoddisfazione per l’attività lavorativa svolta e, di conseguenza, chiedere la sostituzione del
dipendente sgradito.
Ovviamente, queste clausole hanno effetto esclusivamente tra le parti del contratto di somministrazione, e cioè l’Agenzia e l’utilizzatore. Il lavoratore, assunto dall’Agenzia con contratto di lavoro
subordinato, continua ad essere tutelato dalle norme ordinarie sul rapporto di lavoro e, pertanto,
il suo rapporto di lavoro resta insensibile rispetto alle predetta clausole.
Divieti di somministrazione di lavoro. La stipula del contratto di somministrazione è vietata quando sia realizzata in una delle seguenti ipotesi:
- in mancanza di autorizzazione (ipotesi, questa, sanzionata anche penalmente ex art. 18);
- per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
- salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi, che abbiano riguardato lavoratori
adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione ovvero presso unità
produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario, con
diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione;
- da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi del D.Lgs.
81/2008;
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
41
4.2 Somministrazione a tempo determinato
4.2.1 Causali di ricorso
Mediante l’introduzione della somministrazione di manodopera il legislatore ha inteso consentire una particolare operazione di scissione tra titolarità formale del rapporto di lavoro e utilizzo
delle prestazioni lavorative. Al fine di consentire la realizzazione di tale effetto, il legislatore ha tipizzato una specifica fattispecie negoziale, il contratto di somministrazione, mediante la quale è
possibile creare uno “schermo legale” che impedisce l’instaurazione, altrimenti connaturale, di un
rapporto di lavoro subordinato fra il lavoratore e colui il quale lo dirige e ne utilizza la prestazione.
Per attenuare la portata di tale innovazione, il legislatore ha circoscritto la possibilità di
sottoscrivere un contratto commerciale di somministrazione a termine solo quando l’utilizzatore debba soddisfare «ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore» (art. 20, comma 3).
Differenze con il contratto a termine. La notevole assonanza tra le “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” che consentono, ai sensi del D.Lgs. n. 368/2001, l’assunzione a termine, e le ragioni che consentono la somministrazione determinato ai sensi dell’art.
20, D.Lgs. n. 276/2003 ha posto gli interpreti di fronte al dubbio se sussiste un necessario collegamento tra queste ipotesi. Questo dubbio può essere superato in senso negativo, se si considera il che il lavoro a tempo determinato e la somministrazione di manodopera sono disciplinate
da due distinti gruppi di norme che danno attuazione a due diverse Direttive comunitarie.
Direttiva Comunitaria sul lavoro a termine. La disciplina del lavoro a termine (D.Lgs. n. 368/2001)
dà attuazione alla Direttiva comunitaria n. 1999/70/CE che, nel dare attuazione a un accordo quadro raggiunto dalle parti sociali a livello comunitario, persegue come finalità principale l’obiettivo
di tutelare il lavoratore contro l’eccessiva reiterazione di contratti a tempo determinato (accanto
a questa finalità, la Direttiva intende anche garantire una serie di tutele ai lavoratori a termie,
quali il principio di non discriminazione, diritto alla formazione professionale e all’informazione
sui posti vacanti a tempo indeterminato, i diritti sindacali. Questa finalità emerge con chiarezza
dalla Clausola n. 1 della Direttiva, la quale sostiene di voler: “….creare un quadro normativo per
la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro
a tempo determinato”. La finalità è ribadita dalla successiva Clausola n. 5, la quale precisa che le
misure che saranno adottate dagli Stati Membri dovranno perseguire l’obiettivo di “…prevenire gli
abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”. Per attuare l’obiettivo di contenere l’eccessiva reiterazione dei contratti a tempo determinato, la Direttiva indica alcune misure che il legislatore nazionale potrà applicare, operando una
valutazione discrezionale. In particolare, la Clausola 5 prevede che gli Stati Membri “dovranno
introdurre […] una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei
suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo
determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti”.
La normativa comunitaria, quindi, impone agli Stati Membri di limitare l’eccessiva reiterazione e
successione dei contratti a tempo determinato, pur lasciando un ampio margine di discrezionalità
agli stessi sulle modalità con cui dovrà essere perseguito l’obiettivo, limitandosi a indicare una
serie di misure alternative tra loro.
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
42
- segue Direttiva comunitaria sul lavoro tramite Agenzia. Completamente diversa è l’impostazione della
normativa comunitaria da cui discende la disciplina del lavoro in somministrazione, la Direttiva n.
104/2008. La Direttiva, infatti, detta un quadro di principi volto ad incentivare l’utilizzo del lavoro tramite Agenzia, in quanto – si legge nel Considerando n. 11 – questa forma contrattuale “….risponde
non solo alle esigenze di flessibilità delle imprese ma anche alla necessità di conciliare la vita privata e la vita professionale dei lavoratori dipendenti….contribuisce pertanto alla creazione di posti
di lavoro e alla partecipazione al mercato del lavoro e all’inserimento in tale mercato”. La Direttiva
adotta, quindi, un approccio di particolare favore verso il lavoro tramite Agenzia, tanto che il Considerando n. 18 e il successivo art. 4 si spingono ad affermare che le restrizioni o i divieti imposti al
ricorso a questa forma di lavoro possono essere giustificati soltanto da ragioni d’interesse generale
che investono in particolare la tutela dei lavoratori, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza
sul lavoro e la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione
di abusi. Da un lato, abbiamo un contratto – quello a tempo determinato – che, secondo la normativa
comunitaria, deve essere combattuto, al momento della sua reiterazione, mentre dall’altro abbiamo
un contratto – la somministrazione di lavoro – che deve essere incentivato.
Queste differenze impongono l’adozione di criteri interpretativi e di modelli di regolazione delle
due fattispecie diversi, superando quella tendenza – invero ancora molto presente, sia in sede
giurisprudenziale che legislativa – a considerare unitariamente le due fattispecie.
Natura eccezionale delle causali. L’art. 1, comma 1, legge 196/1997 disponeva che il contratto di fornitura di lavoro temporaneo poteva essere stipulato solo per il soddisfacimento di
esigenze di carattere eccezionale. Gli artt. 20 ss. D.Lgs. 276/2003 viceversa non contengono
alcun riferimento esplicito al necessario carattere straordinario delle esigenze che giustificano il ricorso al lavoro somministrato, ivi precisandosi anzi che “la somministrazione a tempo
determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo, o
sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore”; quindi si è acceso in dottrina e giurisprudenza un vivo dibattito in ordine alla attuale sussistenza di tale presupposto.
La giurisprudenza ha rilevato che tale presupposto deve ancora ritenersi esistente, altrimenti l’obbligo di indicazione delle causali finirebbe per risultare norma pleonastica e inutile
(tra le tante, Tribunale di Padova 15 settembre 2010). Secondo una diversa lettura, attualmente minoritaria, la eccezionalità delle esigenze non sarebbe richiesta nel contratto, e il controllo di legittimità dello stesso sarebbe affidato solo al rispetto dei limiti quantitativi e degli elementi formali del contratto (Tribunale di Vicenza, 17 febbraio 2011). Questa tesi in passato è
stata avallata da una circolare del Min. Lavoro n. 7 del 2005, la quale ha ritenuto che il termine
della somministrazione non dipende dalla necessità di soddisfare un’esigenza o straordinaria
dell’utilizzatore, ma costituisce la dimensione in cui deve essere misurata la ragionevolezza
delle esigenze tecniche, organizzative, produttive o sostitutive poste a fondamento della stipulazione del contratto di somministrazione. In ogni caso, quale che sia il rilievo che assume la
temporaneità, va considerato che il riferimento alla «ordinaria attività dell’utilizzatore» vuole
significare che il contratto è utilizzabile ogni volta che l’impresa abbia un motivo realmente
esistente, senza che questo debba necessariamente assumere caratteri di straordinarietà.
Specificazione delle causali. Dopo un periodo di sostanziale tranquillità, la disciplina delle
causali contenute nella riforma Biagi ha prodotto un rilevante contenzioso in sede giudiziale,
agevolato dal fatto che, subito dopo l’approvazione della riforma, e basandosi sulle convergenti letture della dottrina, il mercato del lavoro aveva accolto le nuove norme come una
forma di “liberalizzazione” della facoltà di utilizzo del contratto; questo approccio è stato accompagnato da una scarsa attenzione agli aspetti formali del contratto e, in particolare, alla
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
43
scrittura delle esigenze di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo che legittimavano il ricorso alla somministrazione.In questo contesto, molti lavoratori hanno impugnato
i contratti di somministrazione scaduti, invocando la nullità degli stessi per eccessiva genericità della causale; queste azioni sono state accolte in gran parte dei casi dalla giurisprudenza,
la quale ha ritenuto sul fatto che esista un obbligo di specificità delle causali e che il suo
mancato rispetto comporti la costituzione di un rapporto di lavoro con l’utilizzatore.
Questa corrente giurisprudenziale, nettamente maggioritaria, ha sempre rifiutato di considerare che secondo la disciplina speciale, contenuta nell’art. 20 del D.Lgs. n. 276/2003, ai fini della legittimità del contratto di somministrazione, è sufficiente che le ragioni che giustificano il ricorso
siano “contenute” nel contratto di somministrazione; nessuna norma prevede, invece, l’obbligo di
“specificare” le causali. In altri termini, mentre l’art. 1 del D.Lgs. n. 368/2001 pone in capo al datore
di lavoro che intenda apporre un termine al contratto di lavoro subordinato l’obbligo di indicare in
maniera dettagliata (specificare) le esigenze cui intende fare fronte con il contratto a termine, l’art.
20 del D.Lgs. n. 276/2003 pone in capo all’utilizzatore l’obbligo, sicuramente meno di inteso, di riportare in maniera sintetica e riassuntiva, all’interno del contratto commerciale, quali sono le
esigenze ordinarie cui intende fare fronte mediante l’utilizzo dei lavoratori somministrati.
Questa lettura trova conferma dall’analisi del regime sanzionatorio; la legge non prevede
alcuna sanzione specifica per l’ipotesi in cui la causale sia indicata in maniera generica dalle
parti del contratto di somministrazione, e la nullità del contratto di somministrazione è sancita dalla legge solo per la mancata stipula del contratto in forma scritta (art. 21, comma 4).
Lo stesso articolo precisa che il contratto deve contenere alcuni elementi, tra cui (comma
1, lett. c) l’indicazione dei “i casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui ai commi 3 e 4 dell’articolo 20”; questi elementi, ai sensi del comma 3 del medesimo
articolo, devono essere comunicati al lavoratore al momento dell’assunzione.
La mancata comunicazione di questi elementi non è punita con la nullità, ma con una sanzione amministrativa; l’art. 18 comma 3, prevede che “….per il solo somministratore, la violazione del disposto di cui al comma 3 del medesimo articolo 21, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.250”.
Le norme del D.Lgs. n. 276/2003, quindi, puniscono la mancata indicazione delle esigenze
che l’utilizzatore intende soddisfare mediante la somministrazione di manodopera (con una
sanzione a carico dell’Agenzia), mentre non affrontano né sanzionano in alcun modo il caso in
cui tali ragioni siano indicate in maniera generica.
Orientamento giurisprudenziale sulla legittimità della causale generica. Il granitico orientamento della giurisprudenza di merito in tema di causa ha mostrato le prime crepe nel corso del
2011, quando sono emerse sentenze di merito che hanno confermato come non sussiste nella legge alcun obbligo di specificazione delle causali di ricorso alla somministrazione, e di conseguenza
serie di pronunce recenti ha messo chiaramente in evidenza che la causali di ricorso al contratto
di somministrazione devono essere interpretate secondo canoni diversi da quelli tradizionalmente
applicati per giudicare le causali del contratto a tempo determinato.
Il Tribunale di Bassano del Grappa con sentenza del 16 febbraio 2011 è arrivato a tale conclusione
osservando che la legge utilizza parole diverse per definire le modalità con cui devono essere redatte le causali dei contratti di lavoro a termine e di somministrazione. In particolare il Giudice ha sostenuto che “è vero che il contratto di lavoro a tempo determinato e la somministrazione a termine
sono consentiti in presenza di identici presupposti - le ragioni di carattere tecnico produttivo,
organizzativo o sostitutivo - e che per l’uno e per l’altro è prescritto che tali ragioni risultino dal
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
44
- segue contratto - rispettivamente di lavoro e di somministrazione - tuttavia nell’un caso il legislatore
ha richiesto la “specificazione” delle predette ragioni e nell’altro che esse siano contenute nel
contratto. Questa differenza terminologica non appare priva di significato. Va infatti considerato che
sotto il profilo strettamente letterale “specificare” significa precisare per mezzo di dati specifici” e
cioè mediante dati “determinati, particolari, concreti”, mentre il disposto dell’art. 21, comma 1, del
D.lgs n.276/2003 è meno rigoroso e si presta ad essere soddisfatto anche da una mera “indicazione”
- termine che seppur talora usato come sinonimo di “specificazione” ha tuttavia un significato più
ampio e meno cogente, potendo la relativa attività consistere nel “rilevare, manifestare, lasciare
intendere, far vedere”.
In tal senso si è espresso in precedenza anche il Tribunale di Vicenza con sentenza del 17 febbraio 2011 affermando che «(…) poiché nel comma quattro dell’articolo 20 non è indicato in nessun
modo in che termini devono specificarsi e a che cosa devono ispirarsi dette scelte tecniche produttive organizzative o sostitutive, l’unico limite che dette scelte aziendali incontrano è in ciò che esse
devono avere tale natura (tecnica o organizzativa produttiva o sostitutiva) essere qualitativamente
e quantitativamente conformi a quanto indicato dalla contrattazione collettiva e non incorrere nei
divieti espressi dal comma seguente, il comma quinto; questi sono anche i limiti oggettivi della
specificità richiesta a detta indicazione».
Adesione della Corte di Cassazione alla tesi della causale generica. Questa lettura ha trovato
un’importante conferma con la sentenza della Corte di Cassazione n. 2521 del 24 gennaio 2012,
la quale ha riconosciuto la legittimità di un contratto di somministrazione che reca come causale
l’esigenza di far fronte a “punte di intensa attività”, in quanto questo tipo di esigenza è noto e sperimentato nella pratica contrattuale, ed è stato più volte utilizzato anche dalla legge. Questa lunga
tradizione applicativa, secondo la pronuncia, consente di affermare che tale causale è automaticamente riferibile ad esigenze aziendali di flessibilità del lavoro. In virtù di questa caratteristica,
le “punte di intensa attività” sono sicuramente ascrivibili nel novero di quelle esigenze (produttive,
organizzative, tecniche o sostitutive) che la legge considera come lecite ai fini della stipula di un
contratto di somministrazione. Ovviamente, osserva la Corte, alla causale indicata nel contratto
deve corrispondere in concreto la realtà aziendale cui la stessa fa rifermento; pertanto, il datore
di lavoro che allega l’esistenza di punte di più intensa attività deve dimostrare che, in concreto, nei
periodi di utilizzo del lavoratore somministrato, l’attività produttiva ha avuto un’intensificazione
che ha reso necessario il ricorso a questo strumento contrattuale.
La Cassazione aveva già anticipato questa forma di ragionamento, seppure in maniera meno
netta rispetto all’odierna pronuncia, con la sentenza n 15610/2011. In tale pronuncia, era stato
osservato che l’art. 20, comma 4 del D.Lgs. n. 276/2003, nella parte in cui richiede l’indicazione
delle c.d. causali, ha introdotto una causale ampia, non legata a specifiche situazioni tipizzate
dal legislatore o dal contratto collettivo, sulla base della quale non deve essere verificata la
temporaneità o la eccezionalità delle esigenze organizzative richieste per la somministrazione
a termine ma, piuttosto solo la effettiva esistenza delle esigenze alle quali si ricollega l’assunzione del singolo dipendente.
L’interpretazione fornita dalla Suprema Corte segna una discontinuità con la prevalente giurisprudenza di merito, che in questi anni ha ritenuto di rielaborare le norme che regolano la somministrazione di manodopera, sulla base di criteri più restrittivi rispetto a quelli desumibili dal testo
letterale della legge.
4.2.2 Esenzione dalla causale
Le problematiche connesse alla causale della somministrazione hanno spinto il legislatore
ad individuare una serie di casi e situazioni nelle quali la causale medesima non è richiesta;
questa scelta, finalizzata a ridurre il contenzioso, è stata operata con riferimento a tipologie di
lavoro che scontano difficoltà occupazionali, con una misura che ha creato un interessante ed
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
45
efficace incentivo normativo. Il percorso di riduzione del peso della causale si è svolto nei due
momenti di seguito esplicitati.
Somministrazione di lavoratori in mobilità. Il primo intervento di rilievo è quello attuato con
l’art. 2, c. 142, lett. b) della legge Finanziaria, che ha introdotto un comma 5 bis all’art. 20 del D. Lgs.
n. 276/2003. Secondo la nuova disposizione, qualora il contratto di somministrazione preveda l’utilizzo di lavoratori iscritti alle liste di mobilità e assunti dal somministratore con contratti a termine stipulati ai sensi dell’art. 8, c. 2, della legge n. 223/1991, “non operano” le disposizioni di cui
ai cc. 3 e 4 dell’art. 20. La norma estende gli incentivi normativi già riconosciuti dalla legge n.
223/1991 ai datori di lavoro che assumono personale attingendo dalle liste di mobilità anche all’ipotesi di utilizzo di tali lavoratori mediante il contratto di somministrazione. In particolare, se l’Agenzia invia in somministrazione i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità (e assunti con contratto a
termine ai sensi dell’art. 8, c. 2, della legge n. 223/1991 - quindi, con durata massima di un anno),
“non operano” i limiti posti in via generale dai commi 3 e 4 dell’articolo 20. Pertanto:
1.
2.
in caso di somministrazione a tempo determinato, non sarà necessario indicare, nel medesimo contratto di somministrazione, le esigenze di carattere tecnico, organizzativo e produttivo
che giustificano la stipula del contratto. Inoltre, i contratti aventi ad oggetto le prestazioni dei
lavoratori in mobilità non saranno soggetti ai limiti quantitativi eventualmente previsti dalla
contrattazione collettiva;
nel caso di utilizzo di lavoratori in mobilità nell’ambito di un contratto di somministrazione
a tempo indeterminato (c.d. staff leasing), non operano le limitazioni settoriali che la legge
prevede per l’utilizzo di questo contratto: per essere più chiari, in caso di utilizzo di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità si potrà utilizzare lo staff leasing anche in settori diversi da
quelli elencati dall’art. 20 del D.Lgs. n. 276/2003. Tuttavia, in quest’ultima ipotesi il beneficio
dovrebbe valere (il condizionale è d’obbligo, in quanto la legge sul punto nulla dice) solo per
il periodo massimo di durata del rapporto di lavoro del soggetto iscritto nella lista di mobilità
previsto dall’art. 8, c. 2, legge n. 223/1991 (come detto, 12 mesi), visto il riferimento diretto a
tale norma da parte del nuovo comma 5 bis citato.
Durata del regime agevolato. Abbiamo appena ricordato che l’art. 8 della legge n. 223/1991
prevede una durata massima di un anno del contratto a termine stipulato con il lavoratore
iscritto nelle liste di mobilità, e ne abbiamo tratto la conclusione che questo termine diventa
anche il limite di durata massimo del regime agevolato introdotto dalla legge finanziaria.
Benefici contributivi. Le considerazioni sin qui esposte riguardano la disciplina applicabile
al contratto commerciale di somministrazione, cioè quel contratto stipulato tra l’Agenzia per il
lavoro e un’impresa che intende utilizzare le prestazioni di lavoro di uno o più dipendenti
dell’Agenzia. Questi ultimi saranno assunti, secondo lo schema tipico della somministrazione,
direttamente dall’Agenzia. Tale rapporto, per espressa previsione della norma in commento,
sarà regolato - nel caso in cui il lavoratore sia iscritto nella liste di mobilità - dall’articolo 8, c.
2, della legge n. 223 del 1991. In virtù di tale disposizione, per i lavoratori assunti dalle liste di
mobilità la quota di contribuzione a carico del datore di lavoro è pari a quella prevista per gli
apprendisti (quindi, con un prelievo pari a circa il 10% della retribuzione lorda, notevolmente
inferiore a quello ordinario).
Tale disciplina va letta in correlazione con l’art. 4, commi 13, 14 e 15 della legge n. 92/2012, che
ha riformato il sistema degli incentivi emanando nuovi criteri per la loro concreta applicazione.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
46
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
Mobilità ordinaria e in deroga. L’applicazione del regime agevolato introdotto dalla Finanziaria e dei benefici contributivi previsti dalla legge n. 223/1991 presuppone l’instaurazione di
un rapporto di lavoro con i lavoratori iscritti alle liste di mobilità. La legge non chiarisce se
nella platea debbano rientrare tutti i lavoratori iscritti nelle liste, o se invece vadano esclusi
quelli che hanno avuto accesso alle liste di mobilità medianti i cd. accordi di mobilità “in deroga”. Sul punto, non sembrano esserci dubbi circa l’applicabilità delle norme citate nei confronti di tutti i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, senza alcuna distinzione relativa ai criteri di accesso . Infatti, i lavoratori iscritti nelle liste grazie ad accordi di mobilità in deroga
hanno avuto la possibilità di accedere alle liste di mobilità pur non disponendo di tutti i requisiti previsti dalla normativa ordinaria. Una volta che - pur mancando alcuni requisiti ordinari
- al lavoratore è stato consentito l’accesso alle liste di mobilità, lo stesso beneficia del sistema
di tutela previsto dalla legge n. 223/1991 in maniera identica agli altri, senza limitazioni di
sorta.
LA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORATORI IN MOBILITÀ
Presupposti oggettivi
• Assunzione da parte dell’Agenzia di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità
• Stipula di un contratto a termine di durata massima di un anno ex art. 8, comma 2, l. 223/91
• Fornitura dei lavoratori assunti al soggetto utilizzatore
Incentivi normativi e contributivi
• Esclusione dall’obbligo di indicare esigenze di ricorso
• Mancata applicazione dei limiti settoriali, se il lavoratore è utilizzato nell’ambito dello staff leasing
• Mancata applicazione dei divieti di ricorso alla somministrazione presso imprese che hanno operato nei 6 mesi precedenti licenziamenti collettivi o sospensioni di lavoro
• Applicazione della contribuzione agevolata prevista per gli apprendisti
Durata
• Il regime normativo agevolato dura per tutto il tempo di durata del rapporto con il lavoratore in
mobilità, sino ad un massimo di un anno
Ulteriori ipotesi di esenzione dalla causale: D.Lgs. n. 24/2012. Il secondo tassello della
riforma delle causali è coinciso con il decreto legislativo n. 24/2012, con cui sono state individuate ulteriori ipotesi nelle quali la somministrazione può essere utilizzata senza la c.d. “causale”, cioè l’indicazione delle esigenze di carattere tecnico, organizzativo, produttivo e sostituivo che legittimano l’utilizzo del contratto.
L’obbligo di apposizione della causale ai contratti di somministrazione in teoria dovrebbe
funzionare come deterrente contro gli abusi, ma nella prassi è diventato un elemento che
produce sempre e comunque conflitto, anche nei casi in cui gli abusi non ci sono: per questo
motivo la scelta del legislatore di scindere, per la prima volta, la somministrazione della causale può aprire la strada a un nuovo utilizzo del contratto, che sia accompagnato da meno
problemi di carattere legale.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
47
Somministrazione di percettori di ammortizzatori sociali. La prima situazione nella quale,
secondo il D.Lgs. n. 24/2012, non deve essere indicata la causale ricorre quando il lavoratore
impiegato nell’ambito della somministrazione è un soggetto che percepisce ammortizzatori
sociali, anche in deroga, da almeno sei mesi. La legge accoglie una nozione ampia di ammortizzatori sociali, e quindi potranno rientrare dentro di essa tutti i sistemi di sostegno del reddito previsti dall’ordinamento, sia precedente che successivi al licenziamento.
L’accoppiamento dell’esenzione dell’obbligo della causale all’utilizzo di lavoratori percettori di ammortizzatori sociali (ma lo stesso può dirsi per il caso dei lavoratori somministrati), è
una misura molto intelligente, in quanto rende conveniente per le Agenzie per il lavoro il collocamento lavorativo di tali categorie e, di fatto, promuove lo svolgimento da parte degli operatori privati di misure concrete di politica attiva del lavoro; al riguardo, l’esperienza concreta
della norma della Finanziaria del 2010 sui lavoratori in mobilità ha dato risultati eccellenti, e
quindi il legislatore ha colto l’occasione offerta dalla direttiva comunitaria per ampliarla.
Somministrazione di lavoratori svantaggiati. La seconda situazione riguarda il caso in cui
siano utilizzati lavoratori definibili come ‘svantaggiati’ o “molto svantaggiati” ai sensi del Regolamento CE n. 800 del 2008. Le categorie rientranti in queste definizioni sono molto numerose. Tale Regolamento elenca con un buon grado di precisione questi soggetti. Rientra tra i
lavoratori svantaggiati chi non ha un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi, chi
non possiede un diploma di scuola media superiore o professionale, i lavoratori che hanno
superato i 50 anni di età, gli adulti che vivono soli con una o più persone a carico, i lavoratori
occupati in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera
almeno del 25 % la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici dello Stato membro interessato. Sono invece considerati come lavoratori “molto svantaggiati” tutte le persone
prive di lavoro da almeno 24 mesi. Da notare che l’approvazione del Regolamento comunitario
n. 800/2008, nel quale si trova la lista di lavoratori svantaggiati appena descritta, ha determinato il superamento della precedente disciplina contenuta nel Regolamento n. 2204 del 2002.
Nel vecchio testo erano incluse alcune categorie che nel Regolamento n. 800/2008 non sono
più considerate direttamente (es. minori di 25 anni, stranieri in transito, ex tossicodipendenti,
ecc.); le persone collocate in tali categorie potranno quindi rientrare nella platea degli svantaggiati solo qualora avessero le caratteristiche previste dalla normativa attualmente vigente.
L’art. 4 del decreto prevede l’emanazione di un Decreto Ministeriale, che avrebbe dovuto
essere approvato entro 90 giorni dall’entrata in vigore della nuova normativa per l’individuazioni concrete delle categorie di svantaggiati.
Il rinvio a un decreto ministeriale poteva essere evitato, in quanto l’individuazione concreta
dei soggetti svantaggiati, nella maggior parte dei casi, non presenta particolari complessità.
Solo alcune delle situazioni previste dalla normativa comunitaria richiede una specificazione
complessa (es. le zone con un alto tasso di disparità tra lavoro maschile e femminile), mentre
per altre situazioni legate solo al decorso del tempo il legislatore avrebbe potuto evitare di
mettere un periodo di attesa.
Un discorso a parte merita la categoria – anch’essa elencata dal Regolamento n. 800/2008
dei membri di una minoranza nazionale all’interno di uno Stato membro che hanno necessità
di consolidare le proprie esperienze in termini di conoscenze linguistiche, di formazione professionale o di lavoro, per migliorare le prospettive di accesso ad un’occupazione stabile. Per
tale categoria, la riforma non prevede alcun decreto ministeriale, e quindi con riferimento a
tali lavoratori è immediatamente applicabile l’esonero dalla causale. La scelta di non prevedere per questa categoria l’emanazione del decreto deriva, probabilmente, dal timore di intervenire con un atto amministrativo su un tema tanto delicato quale l’identificazione delle minoranze linguistiche.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
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Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
Esonero dalla causale nelle ipotesi previste dai contratti collettivi. La terza situazione in cui
scompare la causale è rimessa alle parti sociali, che potranno definire mediante contratti collettivi di qualsiasi livello (nazionale, territoriale oppure aziendale) i casi nei quali non è necessario indicare le ragioni di ricorso alla somministrazione. L’unica condizione che dovrà essere
rispettata in questa ipotesi è che gli accordi collettivi dovranno essere firmati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative.
Esonero dalla causale nelle ipotesi previste dai contratti di prossimità. Al riguardo, si noti
che la formulazione del D.Lgs. n. 24/2012 consente di superare i dubbi che avevano accompagnato l’art. 8 della legge n. 148/2011, disciplina i c.d. contratti di prossimità e, in tale ambito,
assegna a tali contratti la facoltà di individuare i “casi di ricorso” alla somministrazione. È
bene soffermarsi per un momento sulla struttura della norma, la quale interviene sulla contrattazione aziendale con l’obiettivo di farla diventare la sede centrale in cui si scrivono le regole del lavoro. In presenza di alcune specifiche finalità - creazione di nuova occupazione,
definizione della qualità dei contratti di lavoro, emersione del lavoro irregolare, investimenti
e avvio di nuove attività, incrementi di competitività e di salario, gestione delle crisi aziendali e
occupazionali – l’art. 8 consente agli accordi aziendali di approvare norme che possono derogare alla legge o ai contratti collettivi. Il potere derogatorio può essere esercitato solo su alcuni temi: gli impianti audiovisivi e le nuove tecnologie, le mansioni e gli inquadramenti, i regime
di solidarietà negli appalti, le modalità di assunzione, le collaborazioni coordinate e continuative a progetto, le partite IVA, il part time e i contratti flessibili, compresi i contratti a termine,
e la disciplina dei casi di ricorso somministrazione. Questo ultimo rinvio è poco chiaro, in
quanto non è agevole capire se il contratto di prossimità possa spingersi sino ad escludere
l’obbligo di indicare la causale; nel D.Lgs. n. 24/2012 il tema ha perso di rilevanza, in quanto è
stata affermata con il decreto – questa volta in maniera chiara – la facoltà per gli accordi collettivi, anche aziendali, di escludere l’obbligo di indicare la causale per una o più situazioni
individuate dagli stessi.
4.2.3 Esenzione della causale nella Riforma Fornero
A pochi mesi di distanza dall’approvazione del D.Lgs. 24/2012, il legislatore - con la riforma
Fornero - ha individuato casi ulteriori di esenzione dalla causale. In forza del nuovo co. 1-bis, art.
1, D.Lgs. 368/2001, inserito dall’art. 1, co. 9, lett. b), legge 92/2012, tale onere non è più richiesto
nell’ipotesi del primo contratto a tempo determinato “di durata non superiore a dodici mesi”; tale
esenzione si applica anche in caso “di prima missione di un lavoratore nell’ambito di un contratto
di somministrazione a tempo determinato ai sensi del co. 4, art. 20, D.Lgs. 10.9.2003, n. 276”.
A causa di una discutibile stesura della norma in questione - che si riferisce al “primo rapporto a tempo determinato… concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore…” - risulta di difficile comprensione se l’esonero in commento si applichi al contratto di lavoro - oppure al contratto commerciale di somministrazione.
Non è dato rinvenire casi in cui si sia dibattuto della legittimità delle ragioni indicate nel
contratto di lavoro stipulato tra l’agenzia per il lavoro e il prestatore in regime di somministrazione; pertanto, va da sé che, ove la norma in parola dovesse interpretarsi come volta a consentire l’omissione della causale nel contratto di lavoro, la sua applicazione risulterebbe produttiva di ben pochi effetti.
Diversamente, affinché la disposizione in commento possa avere una utilità pratica, se ne
impone una lettura che preveda l’applicazione del meccanismo di esenzione (anche e soprattutto) per il contratto commerciale di somministrazione, che l’agenzia per il lavoro sottoscrive
con l’utilizzatore.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
49
Questa lettura sembra confermata dalla norma di raccordo inserita nel corpo del D.Lgs. n.
276/2003; il comma 4 dell’art. 20, come modificato dalla riforma Fornero, dopo aver indicato
la necessità di redigere la causale fa espressamente “salva la previsione di cui al co. 1-bis, art.
1, D.Lgs. 6.9.2001, n. 368”, cioè la norma che consente di non indicare la causale.
Limiti di applicazione. La possibilità di non indicare la causale può essere utilizzata solo nell’ambito di contratti di somministrazione aventi una durata non superiore a 12 mesi. Tale contratto ha
una durata fissa, nel senso che “il contratto a tempo determinato di cui all’art. 1, co. 1-bis, non può essere oggetto di proroga” (così dispone l’art. 1, co. 9, lett. d. legge n. 92/2012, che ha inserito un nuovo
co. 2-bis all’art. 4 D.Lgs. 368/2001). La legge, in realtà, sul piano testuale stabilisce il divieto di proroga solo per il contratto a termine; tuttavia, alla luce della finalità della norma, è probabile che la
giurisprudenza riferirà il divieto di proroga anche alla somministrazione di manodopera.
Rinvio alla contrattazione collettiva. La Riforma Fornero riconosce alla contrattazione
collettiva il potere di individuare, in luogo dell’ipotesi dalla legge di cui si è detto, specifici casi
in relazione ai quali prevedere che non operi il requisito della causale.
Secondo la legge, i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori
e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere, in via diretta a livello interconfederale o di categoria ovvero in via delegata ai livelli
decentrati, un sistema alternativo a quello appena descritto.
Prevede infatti l’art. 1, co. 1-bis, D.Lgs. 368/2001, nuovo testo, che i contratti collettivi possono escludere il requisito della causale quando l’inserimento lavorativo avvenga nel contesto
di un processo organizzativo che sia occasionato “dall’avvio di una nuova attività; dal lancio di un
prodotto o di un servizio innovativo; dall’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; dal rinnovo o dalla
proroga di una commessa consistente” (art. 5, co. 3, D.Lgs. 368/2001, nella nuova formulazione
introdotta dalla lett. h), art. 1, co. 9, legge 92/2012).
La contrattazione collettiva dovrà tuttavia rispettare una precisa limitazione di carattere
quantitativo: i contratti in cui è consentito omettere l’indicazione della causale non potranno
esorbitare dal limite complessivo del 6 per cento del totale dei lavoratori occupati nell’ambito
dell’unità produttiva.
CASI DI ESONERO DALLA CAUSALE NEI CONTRATTI DI SOMMINISTRAZIONE
Ipotesi
Fonte normativa
Requisiti
Limiti e condizioni
a) Lavoratori
iscritti
nelle liste
di mobilità
Art. 20, comma 5-bis,
D.Lgs. n. 276/2003,
introdotto dall’art. 2,
comma 142, lett. b),
L. n. 191/2009 (Finanziaria 2010)
Il contratto di somministrazio- Contratto di durata
ne deve prevedere l’utilizzazio- non superiore a 12
ne di un lavoratore iscritto alle mesi
liste di mobilità di cui all’art. 8,
comma 2, L. n. 223/1991
b) Casi previsti
dalla
contrattazione
collettiva
di prossimità
Art. 8, D.l. n. 138/2011, I contratti collettivi di lavoro sotconv. in L. n. 148/2011 toscritti a livello aziendale o territoriale possono specificamente prevedere, tra l’altro, ipotesi
specifiche di a-causalità del contratto di somministrazione, come
di quello di lavoro a termine
Come previsto dagli
accordi aziendali o
territoriali che introducono le ipotesi
di a-causalità
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
50
- segue c) Lavoratori
svantaggiati
o molto
svantaggiati
Art. 20, comma 5-ter,
D.Lgs. n. 276/2003,
introdotto
dall’art.
4, comma 1, lett. c),
D.Lgs. n. 24/2012
Il contratto di somministrazione
deve prevedere l’utilizzazione di
un lavoratore che alternativamente sia:
a. percettore da 6 mesi di indennità di disoccupazione
ordinaria non agricola;
b. percettore di ammortizzatori sociali da 6 mesi, anche in
deroga;
c. “svantaggiato” o “molto svantaggiato” (ai sensi dell’art.
2, nn. 18 e 19, Reg. CE n.
800/2008), ovvero: (i) sia privo di impiego regolarmente
retribuito da 6 mesi; (ii) sia in
possesso di diploma di scuola
media inferiore; (iii) abbia più
di 50 anni; (iv) viva da solo con
almeno una persona a carico;
(v) sia occupato in un settore o
professione con tasso di disparità uomo-donna superiore
del 25% al tasso medio e appartenga al genere sottorappresentato; (vi) sia membro di
una minoranza nazionale; (vii)
disoccupato da 24 mesi.
Si attende emanazione D.M. che individui i lavoratori di
cui ai punti (i), (ii) e
(v) della lett. c) che
precede
d) Prima
missione (o primo contratto
di lavoro
a termine)
Art. 1, comma 1-bis,
D.Lgs. n. 368/2001,
nel nuovo testo a seguito di riformulazione da parte della L. n.
92/2012
Non vi siano stati contratti tra
utilizzatore e somministratore per il medesimo lavoratore
(ovvero tra datore e lavoratore
in caso di contratto di lavoro a
termine)
Contratto di lavoro
in somministrazione
(ovvero contratto di
lavoro a termine) di
durata non superiore a 12 mesi
e) Casi previsti
dal CCNL o da
D.M. in alternativa alla ipotesi d)
Art. 1, comma 1-bis e • I CCNL ovvero, in mancanza,
un Decreto Ministeriale, pos5, comma 3, D.Lgs. n.
sono legittimare la a-causali368/2001, nel nuovo
tà nell’ambito di un processo
testo a seguito di riorganizzativo
determinato
formulazione da parte
dalle seguenti ragioni: “avvio
della L. n. 92/2012
di nuova attività”, “lancio di
un prodotto o di un servizio innovativo”, “implementazione
di un rilevante cambiamento
tecnologico”, “fase supplementare di un significativo
progetto di ricerca e sviluppo”, “rinnovo o proroga di una
commessa consistente”
• La missione (o l’assunzione)
avvengano per una delle ragioni di cui sopra
Contratti di lavoro
in somministrazione (ovvero contratti
di lavoro a termine),
nel limite massimo
del 6% dei lavoratori
occupati nell’unità
produttiva interessata
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
51
SOMMINISTRAZIONE A TERMINE NEL SETTORE PUBBLICO
Le pubbliche amministrazioni possono ricorrere alla sola somministrazione a tempo determinato (fatto salvo il caso in cui utilizzino lo staff leasing per i servizi sanitari e assistenziali), alle
medesime condizioni previste dalla normativa generale. Pertanto, anche quando il committente è
una Pubblica Amministrazione il presupposto per il ricorso al contratto di somministrazione deve
essere individuato “nelle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore”. La normativa generale deve tuttavia tenere
conto dei limiti di ricorso alla flessibilità che contempla l’articolo 36 del decreto legislativo n. 30
marzo 2001, n. 165, come più volte modificato dalle leggi di bilancio. La norma impone alle amministrazioni di attivare le forme contrattuali flessibili solo per esigenze temporanee ed eccezionali
e, comunque, dopo aver proceduto a verificare l’opportunità di esternalizzare alcune attività.
4.2.4 Contratti di lavoro utilizzabili nell’ambito della somministrazione a termine
Il contratto di somministrazione può essere stipulato nella forma a tempo determinato
oppure a tempo indeterminato. Si tratta di comprendere come questo vincolo di durata del
contratto di somministrazione può influire sul rapporto di lavoro del soggetto coinvolto nella
fornitura di manodopera. Tale ipotesi è disciplinata dall’art. 22, il quale dedica due distinti
commi rispettivamente alla disciplina dei rapporti di lavoro in caso di somministrazione a
tempo indeterminato e in caso di somministrazione a tempo determinato.
- alla stregua del comma 1 dell’art. 22 “…in caso di somministrazione a tempo indeterminato i rapporti di lavoro tra somministratore e prestatori di lavoro sono soggetti alla disciplina generale
dei rapporti di lavoro di cui al codice civile e alle leggi speciali”;
- al contrario, il comma 2 prevede che, nel caso di somministrazione a tempo determinato “…il
rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro è soggetto alla disciplina di cui al
decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368…”.
Se leggessimo in senso letterale le due previsioni, dovremmo ritenere che la possibilità di assunzione a tempo indeterminato del lavoratore è consentita solo in caso di somministrazione a tempo indeterminato, mentre nell’ipotesi di somministrazione a termine sarebbe consentita solo l’assunzione a tempo determinato del lavoratore. Tale conclusione
sarebbe paradossale, in quanto dovremmo ammettere che il legislatore abbia voluto introdurre un divieto di assunzione a tempo indeterminato nel caso di utilizzo della fattispecie
delimitata temporalmente; e sarebbe incompatibile con i principi generali che disciplinano il rapporto di lavoro, ma anche con altre disposizioni dello stesso D.Lgs. n. 276/2003: si
pensi, ad esempio, al diritto (previsto dagli artt. 20, comma 2 e 22, comma 3) riconosciuto
al lavoratore assunto a tempo indeterminato di percepire un’indennità di disponibilità durante il periodo in cui egli rimane a disposizione del somministratore, in attesa di assegnazione di un incarico.
Il riconoscimento di tale diritto presuppone proprio la situazione che l’art. 22, comma 2
appare escludere, e cioè l’assunzione a tempo indeterminato di un lavoratore impiegato in
diversi e successivi contratti di somministrazione a termine; non è infatti concettualmente
ipotizzabile la situazione di un lavoratore in attesa di assegnazione se non si ammette che egli
possa essere assunto con contratto di lavoro a tempo indeterminato anche per l’esecuzione di
una somministrazione a termine.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
52
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
In ragione di queste incongruenze la dottrina suggerisce di optare per una interpretazione
della norma secondo cui il richiamo al D.Lgs. n. 368/2001, contenuto nel comma 2 dell’art. 22,
non è finalizzato ad escludere diverse forme di assunzione del lavoratore (in particolare quella a tempo indeterminato), né tantomeno mira a consentire l’assunzione a termine, bensì serve solo ad indicare la disciplina applicabile al rapporto di lavoro nel caso in cui questo venga
stipulato a termine.
4.2.5 Durata massima della somministrazione a termine
La legge non fissa alcun tetto di durata massima del contratto commerciale di somministrazione a tempo determinato va tuttavia considerato che il contratto collettivo di settore
(art. 42) delimita la possibilità di portare avanti un contratto di lavoro a termine sottoscritto
dall’Agenzia con il lavoratore per un periodo massimo di 36 mesi (42 mesi, se nei primi 24 di
missione sono usate al massimo 2 proroghe). Tale limite, pur applicandosi al contratto di lavoro, condizione di fatto la durata del contratto commerciale. Una volta terminato il contratto di
somministrazione in linea teorica l’Agenzia per il lavoro, se individua una causale valida, potrebbe stipularne un altro, con lo stesso lavoratore e la stressa impresa, per un nuovo periodo:
in questo caso si andrebbe contro due diverse tipologie di limiti che, indirettamente, contengono la durata della somministrazione a termine entro la soglia complessiva (non limitata, cioè,
al singolo contratto) dei 36 mesi.
Obbligo di stabilizzazione previsto dal CCNL Agenzie per il lavoro. Il primo limite si applica al contratto di lavoro che stipula il lavoratore con l’Agenzia; secondo quanto prevede il
CCNL di settore, quando una persona lavora per la stessa Agenzia, eseguendo le stesse mansioni in favore dello stesso utilizzatore, il rapporto deve essere trasformato a tempo indeterminato, quando viene superata la durata di 36 mesi complessivi (che diventano 42, se cambia
l’utilizzatore). L’obbligo di assunzione scatta a carico dell’Agenzia, mentre non opera a carico
dell’utilizzatore (che tuttavia resta soggetto alle norme ordinarie che pongono a suo carico
l’obbligo di assumere il lavoratore somministrato, se si verifica una “somministrazione irregolare” ai sensi dell’art. 27 D.Lgs. 276/2003). Questa norma di fatto disincentiva le Agenzie per
il lavoro a proseguire la somministrazione dopo che il contratto con lo stesso lavoratore ha
raggiunto la soglia, a meno che il contratto commerciale con l’utilizzatore non abbia una durata tale da rendere profittevole l’assunzione a tempo indeterminato.
Obbligo di computo delle missioni nel limite dei 36 mesi. Il secondo limite è, anch’esso,
indiretto, nel senso che si trova nella normativa che regola la durata massima del contatto a
termine. Prevede il D.Lgs. 368/2001 che un rapporto di lavoro a termine con il medesimo
prestatore, complessivamente considerato, qualora abbia per oggetto “per lo svolgimento di
mansioni equivalenti”, non può superare un periodo di durata massima di 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi e indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro (art. 5, co. 4-bis, D.Lgs. 368/2001). La stessa norma, in caso di
raggiungimento del limite de 36 mesi, consente la sottoscrizione di un unico “ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti”, sempreché la sua stipulazione avvenga
presso la DTL competente per territorio, e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (la
durata di questo contratto è fissata da avvisi comuni). La Riforma Fornero, pur lasciando
invariata la disciplina appena descritta, ha previsto che nei 36 mesi si deve tenere conto
anche dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti nell’ambito della somministrazione di lavoro a tempo determinato (art. 1, co. 9, lett. i), legge n. 92/2012, che ha
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
53
modificato l’art. 5, co. 4-bis, D.Lgs. 368/2001). Pertanto, ogni volta che la somministrazione
a termine sarà utilizzata all’interno di una sequenza di rapporti a termine che prevedano
anche l’utilizzo del contratto a tempo determinato, il limite di 36 mesi diventerà una barriera invalicabile, il cui superamento determinerà la conversione a tempo indeterminato del
primo dei contratti a termine utilizzati.
Forme contrattuali soggette al limite. La legge non chiarisce se, ai fini del raggiungimento dei 36 mesi, vadano computati tutti i lavoratori in somministrazione oppure solo coloro che
siano stati assunti a tempo determinato dall’Agenzia per il lavoro. Può accadere che un’Agenzia dia esecuzione ad un contratto di somministrazione a tempo determinato, mediante la
fornitura di lavoratori assunti a tempo indeterminato; in tale evenienza, sarebbe irrazionale
conteggiare i periodi di missione ai fini del raggiungimento del tetto dei 36 mesi previsto
dall’art. 5, co. 4-bis, D.Lgs. 368/2001, in quanto la norma persegue la finalità contrastare un
uso distorto dei soli rapporti di lavoro a termine.
Se la somministrazione a termine viene eseguita da lavoratori assunti a tempo indeterminato, non sussiste alcuna esigenza di contenimento, e quindi i relativi periodi non dovrebbero
essere conteggiati; il dubbio, tuttavia, resta, perché il tenore letterale della norma non lascia
tranquilli.
Contratti utilizzabili dopo il decorso dei 36 mesi. Il Ministero del lavoro, con la circolare
n. 18 del 18 luglio 2012, con riferimento alla regola dei 36 mesi sopra descritta, ha in maniera
sorprendente affermato che, una volta raggiunti i 36 mesi, tra le parti si potrà continuare ad
usare il contratto di somministrazione. Tale conclusione è sbagliata. Sembra debole sul piano
normativo e, quindi va attuata con molta cautela.
Inapplicabilità del limite di durata. La norma che fissa il tetto massimo di 36 mesi è diretta a contenere entro questo periodo massimo la stipula di contratti a termine, o la combinazione tra questa ultima fattispecie e le missioni svolte nell’ambito della somministrazione di manodopera a tempo determinato. La norma non si applica, invece, ai casi in cui il
rapporto si svolge sempre e solo nell’ambito della somministrazione a termine; pertanto
tale rapporto, in linea del tutto teorica, potrebbe giungere fino al tetto massimo, previsto dal
CCNL Agenzie per il lavoro, di 36 mesi applicabile al singolo contratto, e poi ricominciare con
una nuova causale. È un’ipotesi, come precisato, più che altro teorica, in quanto una durata
eccessiva della somministrazione a termine andrebbe in conflitto con il requisito cardine di
tale fattispecie, cioè il fatto che serva a coprire esigenze temporanee e non strutturali
dell’impresa (per le quali andrebbe usato lo staff leasing, se si vuole restare nell’area del
lavoro tramite Agenzia).
4.2.6 Proroga del contratto di somministrazione
La legge non disciplina in maniera esplicita i casi di proroga del contratto commerciale di
somministrazione. Tale disciplina può tuttavia ricavarsi in maniera indiretta dalla norma che
regola la proroga del contratto di lavoro subordinato che l’Agenzia sottoscrive con il lavoratore
coinvolto nella somministrazione. Nel caso di contratto di lavoro a tempo determinato nell’ambito della somministrazione a tempo determinato, l’art. 22, co. 2, prevede che il termine inizialmente posto al contratto può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per
atto scritto, nei casi e per la durata prevista dal contratto collettivo applicato dal somministratore (il CCNL Agenzie per il lavoro del 2008 prevede che il contratto può essere prorogato sino ad
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
54
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
un massimo di 6 volte, per una durata massima di 36 mesi). In questa ipotesi la proroga è quindi
sottratta ai limiti della legge sul contratto a tempo determinato (art. 4 D.Lgs. 368/2001) ed assoggettata a quelli previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore.
La possibilità di concordare 6 proroghe indirettamente, come detto, rifluisce sul contratto
di somministrazione, che sembra doversi ritenere soggetto ad analoga disciplina, in virtù della necessaria sincronizzazione che, sul piano fattuale, deve sussistere tra contratto commerciale a termine e rapporto di lavoro stipulato per eseguirlo, anch’esso a termine.
4.2.7 Successione di contratti e obbligo di intervallo (c.d. stop and go)
Un dubbio molto ricorrente che accompagna la somministrazione di lavoro è quello relativo
all’applicabilità al contratto commerciale ed ai collegati contratti di lavoro della disposizione, contenuta nell’art. 5, comma 3, del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, che vieta la stipula di un nuovo
contratto a termine prima che sia passato un certo periodo dopo la scadenza del contratto precedente, a pena di conversione a tempo indeterminato del rapporto (c.d. stop and go).
Tale intervallo minimo, prima dell’approvazione della legge 28 giugno 2012, n. 92 (c.d.
riforma Fornero), era fissato in 10 giorni, se il contratto precedente aveva avuto una durata
non superiore a 6 mesi, oppure 20 giorni, qualora il contratto precedente avesse avuto una
durata ultrasemestrale; a seguito dell’approvazione della riforma Fornero, l’intervallo è
stato innalzato a 60 oppure 90 giorni, a seconda della durata inferiore o superiore ai 6 mesi
del contratto precedente.
Con riferimento al contratto di somministrazione, la regola non è applicabile, per la semplice ragione che tale contratto, di natura commerciale, è regolato solo dalle norme speciali
del D.Lgs. n. 276/2003 che regolano le condizioni di utilizzo del contratto e, in via residuale,
delle norme del codice civile che regolano i contratti commerciali di durata: nessuna di queste
norme prevede mai, in forma diretta o indiretta, l’applicazione di una regola analoga o identica a quella di cui al D.Lgs. n. 368/2001, in materia di intervallo minimo tra un contratto e l’altro. Anzi, vi è una disposizione dello stesso D.Lgs. n. 368/2001 (art. 10, comma 1, lett. a) che
sancisce in maniera espressa l’inapplicabilità delle disposizioni ivi contenute ai contratti di
lavoro temporaneo regolati dalla legge n. 196/1997 e successive modifiche: la norma, dopo
l’approvazione della riforma Biagi e la sostituzione del lavoro temporaneo con la somministrazione di manodopera, non può che ritenersi riferita proprio alla fattispecie negoziale della
somministrazione ed ai singoli contratti di cui la stessa si compone.
La mancata previsione di una regola analoga a quella dello “stop and go” per il contratto di
somministrazione non è una dimenticanza del legislatore ma, piuttosto, appare una scelta
coerente con il diverso approccio che ha l’ordinamento comunitario verso il lavoro a termine
- considerato dalla Direttiva n. 70/1999 come un contratto da contrastare, in caso di eccessiva
reiterazione - e verso il lavoro tramite Agenzia, considerato dalla Direttiva n. 104/2008 come
una tipologia contrattuale capace di creare occupazione stabile e di qualità.
Da notare che la regola non si applica neanche ai rapporti di lavoro che intercorrono tra
l’Agenzia e il lavoratore somministrato, in quanto l’art. 22, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003,
esclude espressamente l’applicazione verso tali rapporti delle “disposizioni di cui all’articolo 5,
commi 3 e seguenti” del D.Lgs. n. 368/2001, cioè proprio di quei commi che stabiliscono la regola dell’intervallo minimo.
Stop and go e somministrazione fraudolenta. Quanto appena detto circa l’inapplicabilità
dell’obbligo di intervallo minimo tra un contratto e l’altro vale per le ipotesi di successione di
due contratti di somministrazione di manodopera; il quadro normativo è meno scontato, per i
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
55
casi in cui la somministrazione di lavoro intervenga dopo la conclusione di un contratto a termine stipulato direttamente tra il soggetto che si propone come utilizzatore e il lavoratore che
dovrebbe essere somministrato. In questa ipotesi, in linea generale vale quanto detto sopra:
non esiste un obbligo formale di applicare un intervallo minimo tra la stipula del precedente
contratto a termine e del nuovo contratto di somministrazione. Tuttavia, occorre considerare
che in tale situazione potrebbe essere contestata la fattispecie della “somministrazione fraudolenta” (art. 28 D.Lgs. n. 276/2003), che ricorre quando il contratto di somministrazione è
stipulato con l’esclusiva finalità di evitare l’applicazione di alcune norne di legge o di contratto collettivo.
L’applicazione di tale regime sanzionatorio non sarebbe scontata e, anzi, sarebbe subordinata ad una prova molto difficile, quella del “dolo specifico” delle parti; tuttavia, pare opportuno segnalare l’esistenza di tale rischio.
LIMITI QUANTITATIVI
La legge prevede la possibilità di introdurre limiti, da parte della contrattazione collettiva, all’utilizzo di lavoratori somministrati come percentuale dell’organico complessivo. Tale facoltà e prevista nel solo caso di somministrazione a termine (art. 21 comma 4), mentre nulla dice il D.Lgs. n.
276/2003 per quanto concerne la somministrazione a tempo indeterminato.
4.3 Somministrazione a tempo indeterminato (Staff Leasing)
La disciplina originaria del D.Lgs. n. 276/2003 contemplava due forme di somministrazione,
una a tempo determinato, ed una a tempo indeterminato (c.d. staff leasing). Questa seconda
forma contrattuale è stata abrogata dalla legge n. 247/2007, e poi è stata reintrodotta con la legge 23.12.2009, n. 191, con dei correttivi che ne hanno ampliato lo spazio di utilizzo; tale spazio è
cresciuto ancora quando, dopo l’approvazione della riforma Fornero, la legge 7 agosto 2012 n.
134, di conversione del decreto legge 22 giugno 2012 n. 83, ha previsto un meccanismo di particolare favore per il caso di accoppiamento tra lo staff leasing e l’assunzione di apprendisti.
Differenze con la somministrazione a termine. Lo staff leasing è una fattispecie che, come
la somministrazione a termine, si compone di due contratti, un contratto commerciale di somministrazione e un contratto di lavoro subordinato. La differenza con la somministrazione sta
nella durata del contratto commerciale, che è privo di scadenza; sulla base di questo elemento, la somministrazione – pur restando regolata dalle ordinarie norme generali – è soggetta ad
alcune disposizioni specifiche, che la differenziano dalla forma a termine.In primo luogo, per
lo staff leasing la legge non rinvia, come invece accade per la forma a tempo determinato, ai
contratti collettivi per l’individuazione di eventuali limiti quantitativi di utilizzo; questo non toglie ai contratti collettivi la facoltà di individuare comunque tali limiti, ma testimonia la volontà
del legislatore di lasciare libere le parti sociali di non stabilire alcun tetto. Altra differenze risiede nei limiti di durata; la somministrazione a termine, quando si combina con dei contratti
a termine diretti, è soggetta - dopo l’approvazione della legge n. 92/2012 - al tetto massimo
di durata di 36 mesi previsto dal D.Lgs. n. 368/2001, mentre lo staff leasing non è soggetto ad
alcun tetto minimo o massimo. Il rapporto, infatti, come ogni contratto di durata è recedibile
nel solo rispetto del preavviso concordato tra le parti.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
56
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
4.3.1 Casi di ricorso
Lo staff leasing, al contrario del lavoro a termine, non è soggetto alla regola che impone
l’indicazione delle esigenze che ne giustificano il ricorso. Il contratto, infatti, può essere utilizzato - senza la necessità che siano indicate le causali - per lo svolgimento di una serie di attività (art. 20 comma 3 lett. a-h), relative a fasce professionali variegate.
CASI DI RICORSO ALLA SOMMINISTRAZIONE DOPO LE MODIFICHE
DELLA RIFORMA FORNERO E DEL DECRETO SVILUPPO
Art 20 D.Lgs. n. 276/2003 (in neretto le nuove disposizioni)
1. Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso da ogni soggetto, di seguito denominato utilizzatore, che si rivolga ad altro soggetto, di seguito denominato somministratore,
a ciò autorizzato ai sensi delle disposizioni di cui agli articoli 4 e 5.
2. Per tutta la durata della missione i lavoratori svolgono la propria attività nell’interesse nonché
sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore. Nell’ipotesi in cui i lavoratori vengano assunti
con contratto di lavoro a tempo indeterminato essi rimangono a disposizione del somministratore per i periodi in cui non sono in missione presso un utilizzatore, salvo che esista una giusta
causa o un giustificato motivo di risoluzione del contratto di lavoro.
3. Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso a termine o a tempo indeterminato. La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato é ammessa:
a) per servizi di consulenza e assistenza nel settore informatico, compresa la progettazione e
manutenzione di reti intranet e extranet, siti internet, sistemi informatici, sviluppo di software
applicativo, caricamento dati; b) per servizi di pulizia, custodia, portineria;
c) per servizi, da e per lo stabilimento, di trasporto di persone e di trasporto e movimentazione di
macchinari e merci;
d) per la gestione di biblioteche, parchi, musei, archivi, magazzini, nonché servizi di economato;
e) per attività di consulenza direzionale, assistenza alla certificazione, programmazione delle
risorse, sviluppo organizzativo e cambiamento, gestione del personale, ricerca e selezione del
personale;
f) per attività di marketing, analisi di mercato, organizzazione della funzione commerciale;
g) per la gestione di call-center, nonché per l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali nelle aree
Obiettivo 1 di cui al regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio, del 21 giugno 1999, recante
disposizioni generali sui Fondi strutturali;
h) per costruzioni edilizie all’interno degli stabilimenti, per installazioni o smontaggio di impianti
e macchinari, per particolari attività produttive, con specifico riferimento all’edilizia e alla cantieristica navale, le quali richiedano più fasi successive di lavorazione, l’impiego di manodopera
diversa per specializzazione da quella normalmente impiegata nell’impresa;
i) in tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi di lavoro nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative.
i-bis) in tutti i settori produttivi, pubblici e privati, per l’esecuzione di servizi di cura e assistenza
alla persona e di sostegno alla famiglia.
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
57
- segue i-ter) in tutti i settori produttivi, in caso di utilizzo da parte del somministratore di uno o più
lavoratori assunti con contratto di apprendistato.
4. La somministrazione di lavoro a tempo determinato é ammessa a fronte di ragioni di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore. È fatta salva la previsione di cui al comma 1-bis dell’articolo 1 del decreto legislativo
6 settembre 2001, n. 368. La individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi
di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi in conformità alla
disciplina di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368.
5. Il contratto di somministrazione di lavoro é vietato:
a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
b) salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della
legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui
si riferisce il contratto di somministrazione, a meno che tale contratto sia stipulato per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti ovvero sia concluso ai sensi dell’articolo 8, comma
2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi.
Salva diversa disposizione degli accordi sindacali, il divieto opera altresì presso unità produttive
nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario, con diritto al
trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui
si riferisce il contratto di somministrazione;
c) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’articolo
4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modifiche.
5-bis. Qualora il contratto di somministrazione preveda l’utilizzo di lavoratori assunti dal somministratore ai sensi dell’articolo 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, non operano le disposizioni di cui ai commi 3 e 4 del presente articolo. Ai contratti di lavoro stipulati con lavoratori in mobilità ai sensi del presente comma si applica il citato articolo 8, comma 2, della legge n. 223 del 1991.
5-ter. Le disposizioni di cui al comma 4 non operano qualora il contratto di somministrazione
preveda l’utilizzo:
a) di soggetti disoccupati percettori dell’indennità ordinaria di disoccupazione non agricola con
requisiti normali o ridotti, da almeno sei mesi;
b) di soggetti comunque percettori di ammortizzatori sociali, anche in deroga, da almeno sei mesi.
Resta comunque fermo quanto previsto dei commi 4 e 5 dell’articolo 8 del decreto-legge 21
marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 maggio 1988, n. 160;
c) di lavoratori definiti “svantaggiati” o “molto svantaggiati” ai sensi dei numeri 18) e 19) dell’articolo 2 del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008.
Con decreto di natura non regolamentare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, si provvede
all’individuazione dei lavoratori di cui alle lettere a), b) ed e) del n. 18) dell’articolo 2 del suddetto
regolamento (CE) n. 800/2008.
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
58
- segue 5-quater. Le disposizioni di cui al primo periodo del comma 4 non operano nelle ulteriori ipotesi individuate dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro.
4.3.2 Staff leasing e apprendisti
Il Testo Unico sull’apprendistato (D.Lgs. n. 167/2011) ha riconosciuto alle Agenzie per il
lavoro la possibilità di assumere apprendisti da impiegare per l’esecuzione di missioni di lavoro somministrato, senza porre limiti sulla forma contrattuale (a termine oppure a tempo
indeterminato). La riforma Fornero e il c.d. Decreto Sviluppo (D.L. n. 83/2012) hanno prodotto due innovazioni importanti.
La prima è stata l’introduzione di un divieto di utilizzo dell’apprendistato per l’esecuzione
di contratti di somministrazione a termine. Si tratta di una scelta poco comprensibile, soprattutto in ragione del fatto che il progetto di riforma iniziale prevedeva una norma di contenuto
opposto (veniva specificato, al fine di superare i dubbi interpretativi sollevati da alcuni, che
l’apprendistato si potesse usare nell’ambito della somministrazione a termine).
La seconda innovazione, contenuta nel decreto sviluppo, consiste nella possibilità di utilizzare lo staff leasing in tutti i settori produttivi, senza l’applicazione dei limiti previsti in via
generale, nei casi in cui l’Agenzia per il lavoro impiega un apprendista per dare esecuzione al
contratto. L’innovazione è molto rilevante, se si considera che, di norma, la somministrazione
a tempo indeterminato è utilizzabile solo per i settori e le attività prima ricordati.
Con la nuova disposizione sugli apprendisti, lo staff leasing è destinato a diventare una
forma di lavoro flessibile molto utilizzata, in quanto risulta attrattiva per le aziende senza ridurre tutele per i lavoratori: non è necessaria la causale, non serve definire una durata, non si
applicano i limiti quantitativi e di durata previsti per la somministrazione a termine, e nel contempo il lavoratore gode di tutte le tutele tipiche del lavoro subordinato, e partecipa agli interventi formativi previsti dal suo contratto.
CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE A TEMPO INDETERMINATO DI APPRENDISTI
Tra
XXXXXX, Agenzia per il Lavoro, Aut. Min. XXXX Prot. N. 1101 – Iscrizione Albo Informatico Agenzie
per il Lavoro, Sez. I, sede legale e amministrativa in XXXXX, Partita IVA XXXX qui rappresentata dal
procuratore speciale pro-tempore XXXXX(di seguito ”XXXXXX” o la “Somministratrice”)
E
la Società ……………………………............. con sede legale in …………………........................ CAP ………..
P. IVA ………………………........................., qui rappresentata dal Legale Rappresentante/procuratore
…………………………................................................................. (di seguito denominata “Utilizzatrice”)
Di seguito congiuntamente le “Parti” o singolarmente “Parte”;
Premesso che:
a) la Somministratrice è un’Agenzia per il Lavoro, autorizzata a tempo indeterminato dal Ministero
del Lavoro ai sensi dell’art. 4 c. 1 lett. a) del D.Lgs. 276/03.;
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
59
- segue b) l’Utilizzatrice ha dichiarato:
• di voler ricorrere alla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato di apprendisti ai sensi
dell’art. 20, comma 3 del D.Lgs. 276/03;
• di non trovarsi nelle condizioni di cui all’art. 20, comma 5 del D.Lgs. 276/03;
• di aver effettuato la valutazione dei rischi ex D.Lgs. 81/08 e successive modifiche e integrazioni
e di aver individuato la presenza di rischi per l’integrità e la salute dei lavoratori nonché di aver
adottato le misure di prevenzione adeguate;
c) La Somministratrice è disponibile a somministrare lavoratori in apprendistato professionalizzante
dei quali l’Utilizzatrice intende avvalersi nei limiti di legge e di contratto collettivo vigenti.
Tutto ciò premesso le Parti come in epigrafe rappresentate convengono e stipulano quanto segue:
1. PREMESSE - Le premesse e gli allegati sono patti essenziali e costituiscono parte integrante del
presente contratto.
2. OGGETTO DEL CONTRATTO - L’Utilizzatrice affida alla Somministratrice l’incarico di somministrare a tempo indeterminato lavoratori da quest’ultima assunti con contratto di apprendistato professionalizzante ex art. 49 D.lgs 276/2003 per le ipotesi e alle condizioni di seguito indicate.
3. ELEMENTI RELATIVI AL CONTRATTO DI PRESTAZIONE DI LAVORO DICHIARATI
DALL’ UTILIZZATRICE
• Numero lavoratori richiesti : XXX
• Ipotesi di ricorso alla somministrazione a tempo indeterminato ex art 20 c. 3 Dlgs 276/03: Descrivere la situazione che legittima il contratto (utilizzo di apprendisti)
• Data inizio: XXX
• Durata dell’apprendistato: XXXXX
• Mansioni: XXXX Qualifica: XXXX Qualifica professionale a fini contrattuali al cui conseguimento
è preordinato l’apprendistato: XXXXX
• Periodo di prova: XXXXX
• CCNL applicato dall’Utilizzatrice: XXXX - Livello di inquadramento iniziale: XXX Livello di inquadramento finale: XXX
• CCNL applicato dalla Somministratrice : ccnl per la categoria delle agenzie di somministrazione
di lavoro ; Livello di inquadramento ex CCNL Agenzie di somministrazione di lavoro: XXXX
• CCNL Utilizzatrice 2° livello:
• Luogo di lavoro degli apprendisti: XXXX
• Ore settimanali di lavoro: XXXX
In turni
Non in turni
• Ore giornaliere di lavoro: XXXX
Tempo pieno
Tempo parziale - % p.t. -
Ripartizione giornaliera dell’orario settimanale:
XXXX
TRATTAMENTO ECONOMICO E NORMATIVO DEI LAVORATORI
Progressione retributiva: XXXXX
ALTRI ELEMENTI RETRIBUTIVI:
Descrizione
Importo
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
60
- segue • Rischi per l’integrità e la salute dei lavoratori: con riferimento a quanto in premessa, ai sensi dell’art
21, c. 1 lett. d) D.Lgs. 276/03 e dell’art 21 CCNL per la categoria delle Agenzie di somministrazione
di lavoro, l’Utilizzatrice dichiara la presenza di rischi per l’integrità e la salute dei lavoratori nell’esecuzione delle attività somministrate e dichiara di aver adottato a riguardo le misure di prevenzione
idonee; la dichiarazione dell’Utilizzatrice riguardo tali rischi e misure è riportata nell’Allegato 1, che
costituisce parte integrante del presente contratto e che sarà consegnata in copia al lavoratore.
4. CONDIZIONI DI SOMMINISTRAZIONE
• Corrispettivo: XXX
• Fatturazione e modalità di pagamento: La fatturazione avverrà a cadenza XXXX. IVA: L’I.V.A.
sarà applicata solo sui compensi spettanti alla Somministratrice per il servizio prestato.
Condizioni di pagamento: XXX
CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO
5. DICHIARAZIONE E OBBLIHI DELL’UTILIZZATRICE - L’Utilizzatrice dichiara di aver comunicato alla Somministratrice per iscritto, anche mediante la “Scheda Informativa Cliente”, a norma
dell’art. 21 comma 1 lett. j) del D.Lgs. 276/03 i corretti elementi relativi al trattamento economico e previdenziale ed assistenziale ai quali avrà diritto l’apprendista e si impegna a comunicare
altresì le differenze retributive maturate nel corso di ciascuna mensilità o del minore periodo
di durata del rapporto. Le comunicazioni di cui sopra dovranno essere attuate in modo tale da
consentire alla Somministratrice di riconoscere all’apprendista un trattamento economico non
inferiore a quello degli apprendisti comparabili dell’Utilizzatrice (art. 23 c. 1 D.Lgs. 276/03).
L’Utilizzatrice si obbliga a:
- utilizzare le prestazioni degli apprendisti nel rispetto delle normative vigenti;adibire gli apprendisti alle mansioni contrattualmente concordate rispettando e facendo rispettare il Piano Formativo Individuale dell’apprendista, la normativa di legge e di contratto collettivo vigenti in tema
di lavoro, ivi compresa a titolo esemplificativo, ma non limitativo: la normativa in materia di
formazione degli apprendisti, igiene e sicurezza sul lavoro, orari di lavoro,lavoro notturno, turni
di lavoro, lavoro straordinario;
- designare un Tutor adeguatamente formato ai sensi della legislazione vigente;
- comunicare le modalità e i criteri per la determinazione e corresponsione delle erogazioni economiche, se previste, correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi concordati tra le parti o collegati all’andamento economico dell’impresa ovvero i premi di produzione
di qualsiasi natura non collegati a risultati e/o obiettivi aziendali;
- informare gli apprendisti e rendere edotta la Somministratrice prima dell’inizio delle prestazioni
lavorative sui rischi per la sicurezza e la salute connessi all’attività produttiva in generale ed alle
specifiche attività per le quali sono stati avviati dalla Somministratrice nonché sulle procedure
di emergenza e sulle misure mediche, di protezione e di prevenzione dei rischi stessi;
- formare e addestrare gli apprendisti in conformità alle disposizioni del D.Lgs. 81/08 e successive modificazioni ed integrazioni all’uso delle attrezzature di lavoro e macchinari necessari allo
svolgimento dell’attività per la quale sono stati assunti;
- fornire agli apprendisti tutti i necessari dispositivi di protezione e prevenzione dei rischi specifici
per l’integrità e la salute dei lavoratori ovvero le attrezzature necessarie all’esecuzione della
prestazione lavorativa nonché tutti i mezzi necessari per lo svolgimento delle loro mansioni;
- comunicare per iscritto alla Somministratrice e informare direttamente gli apprendisti, qualora
le mansioni cui sono adibiti richiedano una sorveglianza medica speciale o comportino rischi
specifici impegnandosi ad effettuare, a proprie spese, nei confronti di questi ultimi e qualora ne
ricorrano le condizioni, gli accertamenti sanitari preventivi e periodici previsti dalla legge e dai
regolamenti a mezzo del proprio medico competente;
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
61
- segue - osservare nei confronti degli apprendisti tutti gli obblighi di prevenzione e protezione previsti nei
confronti dei propri dipendenti con responsabilità esclusiva per la violazione degli obblighi di sicurezza individuati dalla legge e dai contratti collettivi;
- rimuovere qualsiasi violazione degli obblighi previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva
applicabile, con particolare riferimento all’azione di informazione, formazione e addestramento
professionale nonché sulla dotazione dei dispositivi di protezione e sicurezza;
- fornire all’apprendista, tramite il proprio medico competente, copia della cartella sanitaria e di
rischio di cui all’art. 25 c. 1 lett. e) e c) del D.Lgs 81/08 e successive modifiche e integraz.
- informare immediatamente per iscritto la Somministratrice degli infortuni sul lavoro in cui eventualmente incorrano gli apprendisti al fine di rendere possibile l’adempimento tempestivo degli
obblighi di legge;
- rimborsare alla Somministratrice tutte le somme pattuite unitamente a tutti gli oneri sostenuti
per i trattamenti retributivi, contributivi, assistenziali, assicurativi, formativi nonché tutti gli altri
oneri accessori da questa effettivamente sostenuti in quanto dovuti all’apprendista ai sensi di legge e di contratto collettivo;
- provvedere al pagamento diretto all’apprendista, in caso d’inadempimento della Somministratrice, del trattamento economico, contributivo, previdenziale, assistenziale e assicurativo spettantie,
fatto salvo il diritto di rivalsa verso la Somministratrice;
- comunicare tempestivamente alla Somministratrice, in forma scritta, anche via fax, tutte le informazioni necessarie ad una corretta gestione del rapporto di lavoro;
- consegnare il modulo di rilevazione delle presenze fornito dalla Somministratrice, compilato dal
lavoratore, trattenendone copia. In caso di mancata consegna e/o controfirma del suddetto modulo di rilevazione delle presenze verranno fatturate le ore contrattualmente previste;
- controfirmare il “Rapporto Ore Formative” dell’apprendista segnalando tempestivamente alla
Somminstratrice eventuali violazioni degli obblighi formativi da parte dell’apprendista;
- tenere indenne e manlevare la Somministratrice per qualunque conseguenza negativa, spesa,
perdita, danno, passività o responsabilità, comprese le spese legali e di giudizio (“i danni”), derivanti dalla mancanza e/o non veridicità e/o incompletezza e/o non tempestività delle comunicazioni, informazioni, dati, dichiarazioni, garanzie forniti e necessari per la stipula e la corretta
esecuzione del presente contratto nonché per la corretta gestione dei rapporti di lavoro con gli
apprendisti;
- effettuare le comunicazioni di cui all’art. 24, c. 4 D.Lgs. 276/03 alla rappresentanza sindacale unitaria, ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali e, in mancanza, alle associazioni territoriali
di categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul
piano nazionale.
6. OBBLIGHI DELLA SOMMINISTRATRICE - La Somministratrice si obbliga a:
- corrispondere direttamente agli apprendisti in forza del presente contratto e sulla base di quanto
comunicato dall’Utilizzatrice un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello cui hanno diritto gli apprendisti comparabili dell’Utilizzatrice;
- versare i contributi previdenziali ed i premi assicurativi dovuti con le modalità ed alle scadenze
previste dalla legislazione vigente;
- consegnare agli apprendisti una nota informativa che riporti un riepilogo degli obblighi previsti
dalla legge in materia di igiene e sicurezza sul lavoro;
- erogare agli apprendisti la formazione coerente con il Piano Formativo Individuale durante tutto il
periodo di svolgimento della missione, raccordandosi tempestivamente con il Tutor di Agenzia in
caso di scostamenti rispetto agli impegni formativi;
- comunicare agli apprendisti le informazioni di cui al c. 3 dell’ art 21 D.Lgs. 276/03;
7. INADEMPIMENTI E RISOLUZIONE - XXXX
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
62
- segue 8. DURATA MINIMA DEL CONTRATTO E RECESSO - XXXX
9. POTERE DIRETTIVO E RESPONSABILITÀ CIVILE - Le parti si danno reciprocamente atto che l’apprendista svolgerà i compiti assegnatigli nell’interesse e sotto la direzione ed il controllo dell’Utilizzatrice la quale sarà, pertanto, l’esclusiva responsabile degli eventuali danni arrecati a persone e
cose, anche di terzi, causati o anche subiti dall’apprendista durante lo svolgimento delle sue attività.
10. POTERE DISCIPLINARE - Il potere disciplinare nei confronti dell’apprendista spetta esclusivamente alla Somministratrice che eserciterà nei confronti somministrato dello stesso ogni eventuale
azione disciplinare che dovesse rendersi necessario promuovere. L’Utilizzatrice si obbliga espressamente a comunicare tempestivamente alla Somministratrice in modo esaustivo e per iscritto tutti
gli elementi necessari al fine dell’eventuale formulazione di una contestazione disciplinare ai sensi
dell’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300. L’eventuale adozione del provvedimento disciplinare
sarà comunicata per iscritto dalla Somministratrice all’apprendista, e in copia all’Utilizzatrice, entro 5 giorni dalla scadenza del termine assegnato al lavoratore per presentare le sue giustificazioni.
11. RISERVATEZZA - Le Parti manterranno la massima riservatezza su tutte le informazioni, notizie,
dati e documenti, comprese idee, progetti o know-how, relativi all’altra Parte o a terzi (di seguito, “Dati
Riservati”), di cui siano venute o vengano in possesso o a conoscenza nel corso delle trattative o nell’esecuzione del presente contratto. Tale obbligo di riservatezza rimarrà fermo anche successivamente
alla cessazione del contratto, fino a quando i Dati Riservati verranno divulgati da parte del legittimo
titolare o diverranno legittimamente di pubblico dominio. Le Parti si impegnano a far sì che le obbligazioni previste dalla presente clausola siano rispettate anche dai loro dipendenti, consulenti, collaboratori e professionisti che di volta in volta verranno a conoscenza del contenuto del presente contratto e
della sua esecuzione. Gli obblighi di riservatezza di cui al presente articolo rimarranno efficaci anche
oltre la data di conclusione delle attività di cui al presente contratto per un periodo di 2 anni.
12. OBBLIGHI CONNESSI ALLA NORMATIVA IN TEMA DI PRIVACY - L’Utilizzatrice si impegna a trattare
con la massima diligenza e nel pieno rispetto del D.Lgs. n. 196/2003 e succ. modificazioni e integrazioni
i dati personali degli apprendisti ed ogni altra informazione ad essi relativa trasmesse dalla Somministratrice, e a non rivelarli a persone/soggetti non autorizzati, né ad usarli per scopi diversi da quelli
convenuti nel presente contratto, salvo dietro espressa autorizzazione da parte degli apprendisti.
16. VALIDITÀ DELLE CLAUSOLE CONTRATTUALI - Qualora qualsiasi clausola del presente contratto dovesse essere ritenuta invalida o non efficace, tale vizio non comporterà l’invalidità delle restanti
clausole, che continueranno ad avere pieno vigore ed efficacia.
……………..,…………….
Impresa utilizzatrice
- Timbro e Firma (Rappresentante
Legale/procuratore speciale) -
Agenzie per il lavoro
XXXX
A sensi e per gli effetti degli artt.1341 e 1342 del codice civile si intendono specificamente approvate
le clausole riportate ai numeri XXXX
Impresa utilizzatrice
- Timbro e Firma (Rappresentante
Legale/procuratore speciale -
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
63
4.3.3 Staff leasing e contratto di lavoro
L’art. 22 del D.Lgs. n. 276 del 2003 individua la disciplina applicabile al contratto di lavoro
stipulato tra l’Agenzia e il lavoratore somministrato, stabilendo che in caso di staff leasing tale
rapporti di lavoro è soggetto “…alla disciplina generale dei rapporti di lavoro di cui al codice civile
e alle leggi speciali”.
L’art. 22 lascia, dunque, ampia scelta alle Agenzie per il lavoro, circa le tipologie contrattuali da utilizzare per dare esecuzione ai contratti commerciali di somministrazione a tempo
indeterminato.
Sulla base di questa previsione, l’Agenzia per il lavoro potrà assumere il lavoratore attingendo a tutte le tipologie contrattuali previste dall’ordinamento (ovviamente, a condizione che
sussistano le specifiche condizioni di utilizzo).
Questa lettura risulta confermata dalla Circolare del Ministero del Lavoro n. 7 del 22 febbraio 2005; la Circolare conferma che l’art. 22, comma 1, cit. ammette, in caso di staff leasing,
il ricorso anche a quelle fattispecie previste da leggi speciali, quali il D. Lgs. n. 368/2001.
Questa scelta è possibile in quanto rispetto alla disciplina della fornitura di lavoro temporaneo di cui alla legge n. 196 del 1997 è venuta meno la necessaria coincidenza tra il termine
del contratto di lavoro in somministrazione e il contratto commerciale di somministrazione.
Né questa interpretazione può essere smentita dalla natura a tempo indeterminato del
contratto di somministrazione: trattandosi di un contratto commerciale, la mancanza di un
termine di durata si traduce in una minore stabilità del rapporto, che può essere risolto in
qualsiasi momento, previo rispetto del periodo di preavviso (al contrario di un contratto commerciale a termine, che può essere risolto anticipatamente solo se si verificano le condizioni
contrattualmente previste dalle parti). In altri termini, se il contratto di staff leasing è un contratto per sua natura “instabile”, la sua esecuzione è pienamente compatibile con l’utilizzo di
lavoratori a termine.
La possibilità di assumere con contratto a tempo determinato i lavoratori da utilizzare per
l’esecuzione di un contratto di staff leasing, deve tuttavia essere valutata alla luce della necessità di indicare nel contratto di assunzione, ai sensi dell’art. 1, comma 1, D. Lgs. n. 368/2001,
le esigenze di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo che legittimano l’apposizione del termine.
Come noto, la dottrina e la giurisprudenza negli ultimi anni hanno evidenziato che le esigenze di ricorso al contratto a tempo determinato devono necessariamente presentare natura
temporanea.
Si colloca su di un piano diverso il requisito della eccezionalità che, a seguito della novella
operata dal D. L. n. 112/2008 (che ha introdotto all’art. 20, comma 4, D. Lgs. cit. l’inciso “…anche
se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore”) assume oggi una rilevanza pressoché trascurabile.
L’importanza del rilievo di cui sopra è di tutta evidenza dal momento che l’eventuale indicazione, come causale del contratto, della semplice necessità di dare esecuzione al contratto di
staff leasing, non sarebbe sufficiente a integrare il requisito di legge.
L’eventuale apposizione del termine al contratto di lavoro dovrà quindi essere sorretta
dall’indicazione di un’autonoma ragione tecnica-organizzativa o produttiva che sia in grado di
evidenziare la temporaneità delle esigenze di ricorso alle prestazioni del lavoratore.
Le situazioni in cui potrebbe verificarsi questa evenienza sono diverse; in via meramente
esemplificativa, il contratto a termine potrebbe essere giustificato nelle seguenti circostanze:
- necessità di inserire professionalità diverse, per differenti fasi di una lavorazione;
- impossibilità di prevedere la durata del contratto, una volta decorso un periodo minimo, per
motivi connessi all’attività dell’utilizzatore (motivi che, ovviamente, dovranno essere indicati: es.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
64
Capitolo 4 - Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera
sperimentazione di un nuovo prodotto, andamento ciclico della produzione, esistenza di scadenze che possono condizionare la prosecuzione o l’interruzione del servizio di staff leasing);
- estinzione del periodo di durata minima eventualmente pattuito nel contratto di staff leasing;
In presenza di queste situazioni, l’Agenzia per il lavoro potrebbe legittimamente assumere
un lavoratore a tempo determinato, dando evidenza nella descrizione della causale della temporaneità delle esigenze.
Così, nel caso di sottoscrizione di un contratto di staff leasing per la gestione, ad esempio,
di un call center, si potrà utilizzare personale assunto a tempo determinato qualora l’impresa
utilizzatrice sia in grado di assicurare la continuità contrattuale solo fino a una certa data (ad
esempio, per l’esecuzione di una certa commessa).
Questa scelta, ovviamente, dovrà tuttavia essere adottata solo per situazioni particolari; è di
tutta evidenza che, in mancanza di elementi oggettivi che consentano di motivare la temporaneità delle esigenze di personale, l’Agenzia dovrà procedere all’assunzione a tempo indeterminato.
RECESSO ANTICIPATO DAL CONTRATTO DI STAFF LEASING
La legge non disciplina le modalità ed i casi di interruzione anticipata, rispetto al termine di scadenza pattuito, del contratto di somministrazione. Pertanto le parti avranno ampia possibilità di
pattuire le condizioni e modalità di interruzione del vincolo contrattuale. Potranno inserire forme
di recesso anticipato, potranno prevedere una giusta causa di recesso anticipato, ecc. I contraenti, ad esempio, potranno legare la sorte del contratto commerciale alle vicende del rapporto di
lavoro, ad un andamento negativo della produttività dell’azienda utilizzatrice o a vicende che ne
modifichino gli assetti interni (fusioni incorporazioni ecc.).
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 5
SOMMINISTRAZIONE, APPALTO E DISTACCO
5.1 Somministrazione e appalto
L’art. 1655 c.c. definisce l’appalto come “il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un
servizio verso un corrispettivo in danaro”. La norma individua come elementi tipici della fattispecie innanzitutto l’organizzazione dei fattori produttivi; l’appaltatore deve poter disporre e
coordinare una complessa organizzazione dei fattori produttivi dei quali non deve necessariamente avere la proprietà, ben potendo procurarseli da terzi tramite finanziamenti e locazioni
mobiliari e provvedere, successivamente, all’organizzazione degli stessi con la manodopera
occorrente. Un altro elemento fondamentale per qualificare l’appalto come genuino è l’assunzione del rischio economico. L’appaltatore deve, inoltre, essere dotato di un ampio margine di
autonomia rispetto al committente: il concetto di autonomia deve essere posto in correlazione con la capacità e, soprattutto, la discrezionalità dell’appaltatore di predisporre e coordinare
l’organizzazione dei fattori produttivi idonei al raggiungimento del risultato dedotto nel contratto. In sostanza, l’organizzazione materiale dei fattori produttivi da parte dell’appaltatore
deve sottrarsi all’ingerenza del committente: ingerenza che, comunque, non esclude il diritto
di questo ultimo di verificare e controllare che l’esecuzione dell’opera proceda a regola d’arte.
Problema dell’appalto illecito. La delimitazione dei confini di liceità dell’appalto costituisce un tema molto controverso che, nonostante la natura squisitamente commerciale del contratto, interessa direttamente il diritto del lavoro. Il riconoscimento della illiceità di un contratto di appalto comporta infatti, tra le numerose conseguenze, la costituzione di un rapporto di
lavoro tra l’effettivo utilizzatore della manodopera e il lavoratore.
Elementi tipici dell’appalto lecito. Dalla definizione del codice civile si evince che costituisce elemento tipico dell’appalto lecito innanzitutto l’organizzazione dei fattori produttivi; l’appaltatore deve poter disporre e coordinare una complessa organizzazione dei fattori produttivi
dei quali non deve necessariamente avere la proprietà, ben potendo procurarseli da terzi tramite finanziamenti e locazioni mobiliari e provvedere, successivamente, all’organizzazione degli stessi con la manodopera occorrente. Un altro elemento fondamentale, per qualificare l’appalto come genuino, è l’assunzione del rischio economico; l’appalto è lecito solo se il soggetto
che lo esegue è un vero imprenditore, che come tale assume il rischio derivante dall’esecuzione dell’opera o del servizio. L’appaltatore deve, inoltre, essere dotato di un ampio margine di
autonomia rispetto al committente: il concetto di autonomia deve essere posto in correlazione
con la capacità e, soprattutto, la discrezionalità dell’appaltatore di predisporre e coordinare
l’organizzazione dei fattori produttivi idonei al raggiungimento del risultato dedotto nel contratto. In sostanza, l’organizzazione materiale dei fattori produttivi da parte dell’appaltatore
deve sottrarsi all’ingerenza del committente: ingerenza che, comunque, non esclude il diritto
di questo ultimo di verificare e controllare che l’esecuzione dell’opera proceda a regola d’arte.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
66
Capitolo 5 - Somministrazione, appalto e distacco
Criterio distintivo dell’appalto lecito nella legge Biagi. L’art. 29 D.Lgs. n. 276/2003 ha definitivamente eliminato la presunzione contenuta nella legge n. 1369/1960, secondo la quale
l’appalto si considerava senz’altro illecito nel caso in cui l’appaltatore impiegasse capitali,
macchine e attrezzature fornite dall’appaltante. Sulla base dell’art. 29 citato, gli elementi che
contraddistinguono l’appalto genuino sono, “la organizzazione dei mezzi necessari da parte
dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio di impresa”, senza riferimento esplicito ad un divieto di utilizzo di mezzi dell’appaltante. Ciò non
significa che l’appaltatore possa essere privo di mezzi propri, ma piuttosto che tali mezzi possono essere anche immateriali (l’esempio più diffuso è quello del know how).
APPALTO E SOMMINISTRAZIONE: ELEMENTI DISTINTIVI
(ART. 29 D. LGS. N. 276/2003, CIRCOLARE MIN. LAVORO 15 DICEMBRE 2004, N. 48)
- organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore
- esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto
- assunzione del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore
- attività appaltata, durata presumibile del contratto, dettagli in ordine all’apporto dell’appaltatore
e precisazioni circa l’organizzazione dei mezzi necessari per la realizzazione dell’opera o del
servizio dedotto in contratto
- nel caso di contratti d’appalto concernenti lavori per i quali non risulta rilevante l’utilizzo di
attrezzatura o di beni strumentali, devono essere acquisite notizie in ordine al know how aziendale o alle elevate professionalità possedute dal personale impiegato nell’ambito dell’appalto,
nonché indicazioni sulle modalità di esercizio del potere organizzativo e direttivo dei lavoratori
- l’appalto riferito ai rapporti di mono committenza deve essere attentamente valutato, al fine di
verificare se in capo all’appaltatore incomba l’organizzazione dei mezzi necessari e se è rintracciabile il rischio d’impresa
- rischio d’impresa, indici: l’appaltatore ha già in essere un’attività imprenditoriale; l’appaltatore
svolge propria attività produttiva od opera per conto di diverse imprese
5.1.1 Regime di responsabilità solidale del committente
La crescente diffusione del contratto di appalto come strumento di decentramento produttivo
ha spinto il legislatore ad introdurre una serie di principi volti a garantire i diritti dei lavoratori
utilizzati con questo strumento contrattuale. Tali principi sono accomunati dall’utilizzo della tecnica della responsabilità solidale; in virtù di tale tecnica, l’adempimento di alcune obbligazioni
gravanti in capo al datore di lavoro (l’appaltatore) può essere richiesto, da parte dei lavoratori o dei
terzi, anche al committente, che sarà tenuto ad adempiere come obbligato solidale (fermo restando il suo diritto di regresso nei confronti dell’obbligato principale). Il motivo per cui il legislatore ha utilizzato questa tecnica normativa per regolare le obbligazioni nascenti dal contratto di
appalto risiede nella scelta di accollare in capo al committente una sorta di rischio sociale conseguente alla scelta, dallo stesso operata, di ricorrere ad un modello di produzione decentrata. In
sostanza il legislatore non vieta la frammentazione del processo produttivo al di fuori dell’impresa, ma − mediante le norme sulla responsabilità solidale − mantiene ferma in capo all’impresa
stessa la responsabilità per le eventuali patologie che emergessero nei confronti dei lavoratori
coinvolti. Per attuare questa linea di politica legislativa, il legislatore, a partire dal 2003, ha progressivamente attribuito in capo al committente delle responsabilità tipiche del datore di lavoro,
la cui applicazione in alcune circostanze prescinde dall’eventuale responsabilità del committente
circa l’inadempimento delle obbligazioni gravanti in capo all’appaltatore.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 5 - Somministrazione, appalto e distacco
67
Responsabilità solidale per i crediti retributivi e previdenziali. L’art. 29 D.Lgs. n. 276/
2003 prevede che “in caso di appalto di opere o di servizi” il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, entro il limite di due anni dalla cessazione
dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali
dovuti. Il regime di solidarietà opera anche per le obbligazioni delle imprese subappaltatrici
(l’estensione alle imprese subappaltatrici è stata introdotta dalla legge 27 dicembre 2006, n.
296; la stessa legge ha portato a due anni il limite temporale della responsabilità solidale,
prima fissato in un anno). La responsabilità solidale tra committente, appaltatore e subappaltatori è sempre operativa nei confronti dei lavoratori; il committente non può invocare il suo
mancato coinvolgimento nell’inadempimento delle obbligazioni retributive.
L’elemento costitutivo dell’obbligazione solidale è costituito dall’esistenza del contratto di
appalto, e dal fatto che il lavoratore abbia reso prestazioni di lavoro per dare esecuzione a quel
contratto; in questo senso, questo tipo di responsabilità solidale si configura come una particolare forma di responsabilità oggettiva. La responsabilità solidale del committente non ha un
limite di importo, ma sussiste per l’ammontare complessivo del credito; l’unico limite di questa responsabilità è di carattere temporale, nel senso che l’azione verso il committente può
essere promossa solo entro due anni dalla scadenza del contratto di appalto.
Responsabilità solidale per debiti fiscali. L’art. 35, comma 34, della legge 4 agosto 2006,
n. 248, ha introdotto un ulteriore meccanismo di responsabilità solidale in materia di appalto,
per i debiti fiscali relativi al personale impiegato nell’appalto. La norma è cambiata più volte,
da ultimo con l’art. 13-ter della legge di conversione del D.L. n. 83/2012 (c.d. Decreto Sviluppo). Secondo la disciplina risultante da questo intervento, in caso di appalto di opere o di servizi, l’appaltatore risponde in solido con il subappaltatore, nei limiti dell’ammontare del corrispettivo dovuto, del versamento all’erario delle ritenute fiscali sui redditi da lavoro dipendente
e del versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore all’erario, in relazione alle prestazioni effettuate nell’ambito del rapporto di subappalto.
La norma consente all’appaltatore di adottare dei comportamenti che fanno venire meno la
responsabilità solidale dell’appaltatore, in caso di subappalto. In particolare, questi può liberarsi della responsabilità se verifica, acquisendo la documentazione prima del versamento del
corrispettivo, che gli adempimenti fiscali scaduti alla data del versamento, sono stati correttamente eseguiti dal subappaltatore.
L’attestazione dell’avvenuto adempimento degli obblighi di cui al primo periodo può essere
rilasciata anche attraverso un’asseverazione resa da parte di professionisti e soggetti abilitati.
L’appaltatore può sospendere il pagamento del corrispettivo fino all’esibizione da parte del
subappaltatore della documentazione attestante il corretto adempimento degli obblighi fiscali.
La norma prevede poi che gli atti che devono essere notificati entro un termine di decadenza al subappaltatore sono notificati entro lo stesso termine anche al responsabile in solido; la
previsione si giustifica con la finalità di agevolare il controllo dell’appaltatore.
Il regime appena descritto si applica all’appaltatore e all’eventuale subappaltatore; diversa la
disciplina dei rapporti tra il committente e l’appaltatore, per la quale si applica il comma 28-ter della norma. Secondo tale disposizione, il committente provvede al pagamento del corrispettivo dovuto
all’appaltatore previa esibizione da parte di quest’ultimo della documentazione attestante che gli
adempimenti fiscali scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, sono stati correttamente
eseguiti dall’appaltatore e dagli eventuali subappaltatori. Il committente può sospendere il pagamento del corrispettivo fino all’esibizione da parte dell’appaltatore della predetta documentazione.
La legge pone a carico del committente un obbligo di sorveglianza che è sanzionato con una
pena pecuniaria (diversamente di quanto accade per l’appaltatore, che viene invece assoggetta-
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
68
Capitolo 5 - Somministrazione, appalto e distacco
to a responsabilità solidale); si prevede, in particolare, che l’inosservanza delle modalità di pagamento previste a carico del committente è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria
da euro 5.000 a euro 200.000. Questo regime non si applica ai committenti di appalti pubblici.
Responsabilità del committente in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. Un altro ambito nel quale opera un regime di responsabilità solidale tra il committente, l’appaltatore e gli
eventuali subappaltatori è quello della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. In particolare,
l’art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008, pone in capo al committente una responsabilità solidale per gli
infortuni sul lavoro dei lavoratori utilizzati nell’ambito dell’appalto. La norma prevede che
“l’imprenditore committente risponde in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori, per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall’appaltatore o
dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell’Istituto nazionale per l’assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro”. La norma estende il regime di solidarietà passiva anche agli infortuni sul lavoro dei dipendenti dell’appaltatore e del subappaltatore; questi potranno richiedere al committente il risarcimento di tutti i danni subiti nel corso dell’esecuzione dell’appalto
e non indennizzati dall’INAIL.
Il presupposto per l’applicazione di questa responsabilità è il medesimo di quello richiesto
dall’art. 29 D.Lgs. n. 276/2003, e cioè l’esecuzione da parte del lavoratore di prestazioni di lavoro nell’ambito del contratto di appalto stipulato tra committente ed appaltatore; pertanto,
una volta accertata la responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio, il committente sarà
responsabile in solido con esso per l’intera somma dovuta a titolo di risarcimento.
Obblighi del committente in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. La legge non si limita a stabilire un principio di responsabilità solidale tra committente, appaltatore e subappaltatori nella materia della salute e sicurezza sul lavoro. Al fine di rafforzare l’effettività degli obblighi di prevenzione, sussistono norme che regolano in maniera specifica gli obblighi che
deve adempiere il committente nel caso di utilizzo di lavoratori dipendenti da soggetti terzi.
L’art. del D.Lgs. n. 81/2008 pone in capo al committente l’obbligo di verificare l’idoneità tecnico
professionale delle imprese appaltatrici e dei lavoratori autonomi di cui si avvale, ed a fornire
loro “dettagliate informazioni” sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati
ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate. Un altro obbligo è quello di
coordinare l’attuazione delle misure di prevenzione dei rischi che possono ricadere sulle attività oggetto dell’appalto cui sono esposti i lavoratori. Tale obbligo deve essere adempiuto mediante l’elaborazione di un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure
adottate per eliminare le interferenze tra le diverse imprese coinvolte, fatti salvi i rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi.
5.1.2 Responsabilità solidale nella riforma Fornero
La riforma Fornero interviene a soli di due mesi di distanza da un precedente provvedimento legislativo sul regime di responsabilità solidale del committente e degli appaltatori, in caso
di appalto di servizi. In particolare, la riforma riscrive il comma 2, dell’art. 29 D.Lgs. n.
276/2003, riformando il contenuto della delega ai contratti collettivi e rivedendo, nel contempo, quel complesso meccanismo processuale che era stato introdotto dall’art. 21 D.L. n.
5/2012 (poi convertito con modificazioni dalla legge n. 35/2012).
Rinvio alla contrattazione collettiva. La nuova disciplina riconosce la possibilità, ai contratti collettivi nazionali, sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori compa-
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 5 - Somministrazione, appalto e distacco
69
rativamente più rappresentative del settore, di individuare metodi e procedure di controllo e di
verifica della regolarità complessiva degli appalti, al fine di derogare alla disciplina della responsabilità solidale. I contratti nazionali, quindi, potranno stabilire delle procedure di verifica
e controllo che devono essere applicate dal committente, il quale – se le rispetta – può conseguire il premio dell’esonero dalla responsabilità solidale. Questo rinvio alla contrattazione collettiva trova un precedente nella lett. c), dell’art. 8 D.L. n. 138/2011 (così come convertito con
modificazioni dalla legge n. 148/2011).
Tale norma, che voleva potenziare i c.d. contratti di prossimità, consentiva ai contratti di
secondo livello di regolare regime della solidarietà negli appalti; considerato che la previsione
non è stata abrogata, ne viene fuori un sistema nel quale la responsabilità solidale negli appalti può essere derogata sia dai contratti collettivi nazionali sia da quelli di prossimità.
Nuovo regime processuale. La legge n. 92/2012, come accennato, ritocca il regime processuale della responsabilità solidale in caso di appalti, nonostante tale regime fosse già stato
interessato da un intervento normativo pochi mesi prima.
La novità più importante è il litisconsorzio necessario di tutti i responsabili solidali; il committente dovrà quindi essere convenuto in giudizio insieme all’appaltatore e agli eventuali ulteriori subappaltatori, senza che il ricorrente possa scegliere autonomamente quale debitore
attaccare. Si tratta di una deroga ai principi generali delle obbligazioni solidali, i quali prevedono che il creditore possa agire verso qualsiasi responsabile per l’intero debito (art. 1292
c.c.), che si spiega con la volontà di amplificare il coinvolgimento di tutta la filiera dell’appalto
ed evitare che il committente sia chiamato a rispondere per i debiti dell’appaltatore.
Eccezioni del committente. Ulteriore novità della riforma è la riscrittura del complesso
meccanismo processuale introdotto dall’art. 21 D.L. n. 5/2012, il quale dettava le regole processuali applicabili a seconda che il committente fosse convenuto in giudizio da solo o congiuntamente all’appaltatore. Nella nuova disciplina, si prevede che se il committente nella
prima difesa eccepisce il beneficio della preventiva escussione dei debitori principali, il giudice, dopo aver accertato la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, dovrà provvedere ad
escutere il patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori prima di intentare l’azione esecutiva nei confronti del committente.
Viene meno l’obbligo per il convenuto di indicare «i beni del patrimonio dell’appaltatore sui
quali il lavoratore può agevolmente soddisfarsi», come condizione per poter eccepire la preventiva escussione; la scomparsa di questo requisito è quanto mai opportuna, essendo un onere
troppo complesso da applicare.
Altra novità della norma consiste nell’aver inserito un esplicito riferimento anche agli
«eventuali ulteriori subappaltatori»; l’inclusione di tali soggetti nel regime della norma era
pacifico, ma un rinvio espresso è sempre positivo.
APPALTO. SINTESI DELLE NOVITÀ NELLA RIFORMA FORNERO
il meccanismo di responsabilità solidale negli appalti può essere derogato dai contratti collettivi
nazionali
- in caso di azione del lavoratore:
(i) devono essere convenuti anche l’appaltatore e gli eventuali ulteriori subappaltatori;
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 5 - Somministrazione, appalto e distacco
70
- segue (ii) nella prima difesa il committente può sempre richiedere che il giudice, dopo aver accertato la
responsabilità solidale di tutti gli obbligati, provveda ad escutere il patrimonio dell’appaltatore e
degli eventuali subappaltatori prima di intentare l’azione esecutiva nei propri confronti;
(iii) la responsabilità solidale vincola anche i subappaltatori
5.2 Somministrazione e distacco
Nozione. L’art. 30 del D.Lgs. n. 276 del 2003 definisce il distacco come la fattispecie mediante la quale ”il datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente
uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività
lavorativa”.
Interesse. La legge richiede, ai fini della legittimità del distacco, che il datore di lavoro
abbia un interesse all’esecuzione della prestazione presso l’impresa beneficiaria. La presenza
di un interesse consente di qualificare come distacco lecito, e non come somministrazione
irregolare, tutte le ipotesi nelle quali il distaccante dimostri di aver affidato il lavoratore all’impresa terza sul presupposto che egli, mediante la sua opera, comunque possa determinare un
vantaggio all’impresa da cui dipende.
L’utilizzo del medesimo criterio impone di qualificare come mera somministrazione non
autorizzata di manodopera le ipotesi in cui il lavoratore sia destinato ad un’altra azienda soltanto per soddisfare un’esigenza specifica di questa.
Natura dell’interesse. L’art. 30 non definisce un criterio di selezione dei diversi possibili interessi del
datore di lavoro, nel senso che non specifica se l’interesse debba essere di natura economica, organizzativa o altro, il silenzio del legislatore sul punto induce a ritenere tipizzata l’interpretazione estensiva del requisito suggerita dai precedenti orientamenti della giurisprudenza. La verifica della reale
sussistenza dell’interesse non può quindi che essere svolta caso per caso anche se è possibile a priori
stabilire alcuni criteri minimi di indagine. Innanzitutto, l’interesse deve essere “... proprio ...” (art. 30,
comma 1) del datore di lavoro, e cioè deve essere collegato alla sua attività imprenditoriale; qualora il
distacco si ponesse in evidente e insanabile contrasto con le finalità proprie dell’oggetto sociale, o con
le ragioni che hanno indotto la società ad assumere il dipendente, sarebbe molto difficile asserire l’esistenza di un interesse. Inoltre, l’interesse non può consistere nella realizzazione stessa del distacco,
concepito come somministrazione di manodopera da cui il datore intenda trarre un profitto economico,
in quanto in tal caso si realizzerebbe una fattispecie di somministrazione di manodopera non autorizzata; allo stesso modo non può ritenersi legittimo un interesse alla realizzazione di finalità fraudolente
o comunque, anche indirettamente, dirette alla riduzione dei trattamenti dovuti al lavoratore.
Temporaneità. Ulteriore elemento individuato dalla giurisprudenza come tipico del distacco di
personale consiste nella temporaneità dell’assegnazione; la necessità di questo requisito è una diretta conseguenza della natura dell’interesse, che in tanto può essere ritenuto valido in quanto abbia una sua delimitazione temporale. Un interesse perpetuo del datore di lavoro non è ipotizzabile,
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 5 - Somministrazione, appalto e distacco
71
- segue salvo quello, illecito, all’uscita definitiva del lavoratore dall’organico aziendale, un eventuale distacco definitivo non realizzerebbe una semplice modifica della prestazione lavorativa del dipendente, ma concretizzerebbe una vera e propria cessione del contratto di lavoro, fattispecie che, ai
sensi degli art. 1406 e ss. del codice civile, richiede il necessario consenso del lavoratore.
L’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003 tipizza anche questo requisito prevedendo che il distacco può essere disposto “.. temporaneamente..”. dal datore di lavoro. La norma non specifica se la temporaneità vada intesa come semplice non definitività del distacco o se, al contrario, essa debba
essere interpretata anche come necessaria brevità della situazione. Il problema è stato più volte
affrontato dalla giurisprudenza, che ha interpretato, salvo alcune occasioni, in un’accezione assai
ampia il requisito, ritenendo che non sia necessaria una durata più o meno lunga del distacco né,
tanto meno, che tale durata sia predeterminata. Si è sempre ritenuto che fino a quando permane
l’interesse del distaccante, può continuare il distacco; solo nel momento in cui viene a mancare
l’interesse il datore di lavoro è tenuto a ripristinare l’ordinaria modalità di esecuzione della prestazione. L’art. 30, non qualificando in alcun modo la durata del distacco e limitandosi solo a prevedere la sua necessaria delimitazione in un arco temporale, sembra lasciare aperto il problema
della estensione del requisito.
Consenso del lavoratore. Nel silenzio della legge, la dottrina e la giurisprudenza escludono la
necessità del consenso del lavoratore distaccato, in quanto egli sarebbe in ogni caso tenuto ad
eseguire la propria prestazione secondo le modalità indicate dal datore di lavoro, in osservanza al
dovere di obbedienza disposto dall’art. 2104 c.c. (Cass. 21 maggio 1998, n. 5102).
Mutamento di mansioni. Il problema del consenso si atteggia diversamente qualora il distacco
comporti un mutamento delle mansioni svolte in precedenza, in quanto esso per espressa previsione normativa “.... deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato ....” (art. 30, comma 3). La norma restringe, nel caso del distacco, il potere generale attribuito al datore di lavoro
dall’art. 2103 del codice civile di modificare unilateralmente le mansioni nel corso del rapporto,
con il solo limite di adibire il lavoratore alle mansioni per le quali è stato assunto, o comunque
equivalenti o superiori a quelle effettivamente svolte, e si pone in termini restrittivi anche rispetto
alla precedente elaborazione giurisprudenziale, che escludeva comunque il consenso del distaccato, o al più lo richiedeva solo nel caso di mansioni di apprezzabile livello professionale.
Tale previsione potrebbe essere letta in senso estensivo, ritenendo cioè necessario il consenso
solo in caso di assegnazione a mansioni non equivalenti, mentre non sarebbe richiesto in caso di
assegnazione a mansioni, seppure diverse, equivalenti. Il dato letterale della norma, tuttavia, non
specifica né differenzia le diverse ipotesi di mutamento di mansioni. Tali problemi interpretativi
non sussistono nel caso in cui il distacco comporti una variazione peggiorativa delle mansioni, in
quanto qui si rientra nell’alveo della disciplina comune, che pone un generale divieto di attribuzione a mansioni peggiorative e prevede la nullità di eventuali patti contrari.
Mansioni superiori. Nel caso in cui il lavoratore distaccato sia assegnato a mansioni superiori,
si produrranno i medesimi effetti previsti per la generalità dei lavoratori. Dovrà quindi essere
riconosciuto il trattamento retributivo, diretto ed indiretto, adeguato alle mansioni svolte e il conseguimento della relativa qualifica, dopo che sia decorso il periodo previsto da legge e contratto
collettivo applicabile al distaccante. L’assegnazione di mansioni superiori presso il distaccatario
determina spesso, nella prassi, il rifiuto del distaccante, al momento del ritorno del lavoratore
presso l’azienda originale, di riconoscere mansioni equivalenti (ed il proporzionale aumento retributivo) a quelle svolte da ultimo.
Tale rifiuto non può ritenersi legittimo: se il dipendente viene destinato altrove per adempiere al
contratto originale e per soddisfare, comunque, l’interesse del distaccante, ne discende che questo ultimo sarà tenuto a conformarsi ai mutamenti di mansione avvenuti nel periodo intermedio,
rispettando il divieto generale di demansionamento dei lavoratori (art. 2103 c.c.).
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 5 - Somministrazione, appalto e distacco
72
- segue Individuazione dell’attività lavorativa. L’art. 30 prevede la necessità di individuare la “determinata attività lavorativa” che sarà espletata dal dipendente dopo il suo distacco. È immaginabile che l’individuazione dell’attività lavorativa sia finalizzata a mettere a conoscenza il lavoratore delle nuove mansioni, e
tale comunicazione è propedeutica all’inizio dell’attività stessa; ne consegue che il distacco potrà essere disposto solo dopo che sia stata individuata, di comune accordo tra datore di lavoro e distaccatario,
l’attività lavorativa che dovrà svolgere il prestatore, e che questa sia stata comunicata al lavoratore.
Trasferimento. L’art. 30 disciplina l’ipotesi in cui il distacco comporti un trasferimento ad una unità produttiva sita a più di cinquanta chilometri da quella in cui il lavoratore è abitualmente occupato, prevedendo che esso può avvenire solo in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive (formula, questa, analoga a quella utilizzata dal D.Lgs. n. 368/2001
per indicare le causali che legittimano il ricorso al contratto a tempo determinato).
Effetti del distacco nei confronti del datore di lavoro. Mediante il distacco il datore di lavoro, in virtù
del proprio potere direttivo, dispone una diversa modalità di esecuzione della prestazione, prevedendo che dovrà essere temporaneamente resa presso un diverso soggetto; esso costituisce quindi
una vicenda interna al rapporto di lavoro e, in quanto tale, non determina l’alterazione degli elementi
soggettivi del rapporto, né comporta l’interruzione o l’estinzione dell’originario rapporto di lavoro o
la costituzione di un nuovo rapporto con il beneficiario della prestazione. Ne deriva che l’originario
datore di lavoro resta, anche dopo il distacco, l’unico titolare del rapporto. Egli continua a detenere
il potere di direzione e di coordinamento del lavoratore (può infatti determinare la cessazione del distacco), così come resta tenuto ad effettuare gli adempimenti amministrativi connessi alla gestione
del rapporto, ed al pagamento degli obblighi contributivi (tanto che la classificazione previdenziale
del lavoratore deve essere operata tenendo presente l’attività dell’originario datore di lavoro). L’immutata titolarità del rapporto comporta anche la perdurante obbligazione del datore al pagamento
del premio per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali,
e la sua soggezione anche durante il periodo in cui il lavoratore è distaccato ad una eventuale azione
di rivalsa dell’Istituto (disciplinata dall’art. 10 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124) in caso di un infortunio
sul lavoro che integri un’ipotesi di reato. La modifica delle modalità di effettuazione della prestazione conseguente al distacco determina tuttavia alcuni riflessi significativi sulla quantità e sulla qualità dei poteri spettanti al datore di lavoro. Il potere direttivo si affievolisce, in quanto viene in parte
esercitato anche dall’imprenditore distaccatario, nella misura necessaria ad organizzare il concreto
svolgimento della prestazione presso di esso; la titolarità del potere disciplinare (contestazione, decisione e comunicazione del provvedimento) resta in capo al datore, ma questi lo potrà esercitare
solo sulla base delle indicazioni e delle informazioni fornite dall’impresa distaccataria.
Effetti del distacco nei confronti del lavoratore. Dopo il distacco il lavoratore, il quale è tenuto a
seguire la disciplina del lavoro (orario, pause, procedure, ecc.) vigente presso l’azienda nella quale
la sua attività viene svolta, e deve soggiacere al potere direttivo dell’azienda presso la quale si trasferisce, anche se, l’originario datore conserva il potere di revocare in qualsiasi momento la situazione.
Inoltre, dopo il distacco il principale soggetto verso il quale il lavoratore sarà tenuto a rispettare il
dovere di diligenza diventa il distaccatario, mentre rimane ampia la portata del divieto di concorrenza, che dovrà essere rispettato sia nei confronti del distaccante che del distaccatario, considerato
che esso potrebbe essere agevolmente eluso anche durante lo svolgimento della propria prestazione presso il soggetto terzo.
Diritti sindacali. Un problema connesso alla realizzazione del distacco riguarda la definizione delle
modalità e del luogo nel quale il lavoratore distaccato può esercitare i diritti sindacali previsti dallo
Statuto dei lavoratori. Le norme dello Statuto dei lavoratori riconducono la titolarità e la fruibilità
dei diritti sindacali (es. la partecipazione ad assemblee) alla sede in cui viene effettivamente prestata l’attività lavorativa; si pensi all’art. 20, che riconosce il diritto di riunirsi ai lavoratori “nell’unità
– continua –
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Capitolo 5 - Somministrazione, appalto e distacco
73
- segue -
produttiva in cui prestano la loro opera”, ed anche agli artt. 1 e 14 che fanno sempre riferimento ai
luoghi di lavoro. Tuttavia, non si può negare che il lavoratore distaccato si trovi in una posizione ambivalente in quanto, pur essendo temporaneamente soggetto alla normativa aziendale o contrattuale della società presso cui è dislocato, non è indifferente alla normativa (e alle relative vertenze
sindacali) applicata presso la società di provenienza, considerato che egli comunque tornerà lì a
prestare la propria attività. Questa posizione ambivalente avvalora la tesi secondo cui il lavoratore
sia legittimato − come avviene di frequente nella prassi − a partecipare sia alle assemblee della
società in cui presta la propria attività sia a quelle indette presso il datore di lavoro.
Distacco nei gruppi di imprese. Nell’odierna realtà economica sono molto frequenti gli scambi di
personale tra società collegate o appartenenti al medesimo gruppo economico, al fine di ridurre i
costi del personale o di aumentare l’integrazione tra i lavoratori e le imprese facenti capo al gruppo. Nel nostro ordinamento non esiste una nozione giuridica unitaria di gruppi di imprese, se si
eccettuano gli indici di collegamento e di controllo di natura commerciale propri del codice civile
(art. 2359), in virtù dei quali si definiscono come collegate le società per azioni sulle quali un’altra
società eserciti un’influenza notevole (partecipazione al capitale superiore a un decimo o, a seconda dei casi, un ventesimo), e come controllate le società per azioni sulle quali un’altra società
eserciti un’influenza dominante (possesso della maggioranza del pacchetto azionario o presenza
di particolari vincoli contrattuali). Il problema del distacco assume una particolare fisionomia nel
caso sia realizzato tra imprese collegate o facenti parte dello stesso gruppo, in quanto si tratta di
stabilire se l’esistenza del collegamento tra l’impresa distaccante e quella distaccataria consenta
di presumere a priori l’esistenza dell’interesse del datore di lavoro.
La giurisprudenza in alcune pronunce ha ritenuto che l’esistenza di un rilevante interesse, sufficiente a legittimare la qualificazione come distacco, si potesse presumere in ragione della sola
esistenza di collegamento funzionale tra l’impresa distaccante e la distaccataria, mentre in altre
occasioni ha escluso che l’appartenenza di due società allo stesso soggetto consenta di raggiungere questa presunzione; in queste pronunce si è ridotto il valore del collegamento societario a
quello di mero indizio, non autosufficiente, dell’esistenza dell’interesse (nella prima accezione,
Cass. 17 marzo 1998, n. 2880, nella seconda Cass. 3 giugno 2000 n. 7450).
Distacco illegittimo. Conseguenze. Il distacco di un lavoratore effettuato in carenza dei presupposti sostanziali previsti dalla legge ricade nel regime sanzionatorio di cui all’art. 27, comma 1, del
D.Lgs. n. 276/2003, che disciplina le ipotesi di “somministrazione irregolare”, tale conseguenza
è prevista espressamente dal comma 4 bis della norma, il quale espressamente prevede la possibilità per il lavoratore di chiedere, in caso di distacco illegittimo, la costituzione di un rapporto
di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore, e dall’altro esplicita l’applicabilità dell’art. 27, comma
2. Tale conseguenza è coerente con l’assetto normativo risultante dal D.Lgs. n. 276/2003, il quale
riconduce tutte le ipotesi (non solo di distacco, ma anche di appalto) in cui si verifichi la messa a
disposizione di prestazioni di lavoro in favore di un terzo senza i requisiti previsti dalle rispettive
discipline nella disciplina della somministrazione irregolare. Così, se il distacco presenta i suoi
elementi tipici (interesse, temporaneità), si distingue dalla somministrazione di manodopera; se
invece è sprovvisto di tali elementi, e viene utilizzato esclusivamente per soddisfare un interesse
dell’utilizzatore, esso realizza un’ipotesi di somministrazione di manodopera irregolare, in quanto
priva dei presupposti formali e sostanziali previsti dalla legge.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 6
CONTRATTO DI LAVORO IN SOMMINISTRAZIONE
6.1 Instaurazione del rapporto di lavoro
Comunicazione obbligatoria. L’assunzione del lavoratore somministrato non presenta rilevanti differente rispetto a quella ordinaria di un normale lavoratore dipendente. L’Agenzia per
il lavoro – quale datore di lavoro - è infatti tenuta a rispettare le medesime procedure ed
adempimenti previsti dalla legge per la generalità dei datori di lavoro. Una qualche peculiarità si riscontra solo per ciò che concerne i tempi delle comunicazioni obbligatorie. Ai sensi
dell’art. 4 bis D.Lgs. 181/2000 le Agenzie per il lavoro debbono comunicare l’instaurazione, la
proroga e la cessazione dei rapporti di lavoro somministrato entro il ventesimo giorno del
mese successivo a quello a cui si riferisce l’evento.
Le regole ordinarie valgono invece integralmente per il personale interno o diretto delle
Agenzie (art. 9 bis, comma 2, D.L 510/1996, come sostituito dall’ art.1, comma 1180, legge
296/2006; Min. Lav., nota n. 440 del 4/01/2007).
Accentramento delle comunicazioni obbligatorie. Tutti i datori di lavoro, comprese le
Agenzie per il lavoro, previa comunicazione al Ministero del lavoro, possono fare richiesta di
accentrare l’invio delle comunicazioni attraverso un unico servizio informatico regionale individuato tra quelli ove è ubicata una delle loro sedi operative. In mancanza di tale richiesta, le
comunicazioni devono essere effettuate attraverso il sistema regionale cui fa riferimento la
singola sede operativa. È possibile altresì richiedere una modifica del sistema informatico
regionale utilizzato per l’accentramento e optare per un diverso sistema regionale (la scelta
può essere utile, ad esempio, in caso di variazione degli assetti societari o semplicemente in
caso di variazione della sede legale o amministrativa). In seguito all’accettazione della richiesta è utile poi informare il servizio regionale con il quale era in essere fino a quel momento
l’accentramento della data dalla quale ha effetto la variazione.
Sorveglianza sanitaria. L’utilizzatore osserva nei confronti del lavoratore somministrato “tutti
gli obblighi di protezione previsti nei confronti dei propri dipendenti ed è responsabile per la violazione
degli obblighi di sicurezza individuati dalla legge e dai contratti collettivi” (art. 23, comma 5. D.Lgs.
276/2003). Il contratto collettivo per la categoria delle Agenzie di somministrazione di lavoro, così
come il D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico sicurezza), rimettono all’utilizzatore l’obbligo di provvedere
– ove dovuto - alle attività di sorveglianza sanitaria a favore del lavoratore somministrato, che si
compone, ricordiamo, da una sorveglianza preventiva rispetto all’esposizione al rischio connesso
all’attività lavorativa, oltre a successive verifiche di carattere periodico, secondo le disposizioni di
legge o del protocollo sanitario (anche in questo caso da riferirsi all’impresa utilizzatrice).
La sorveglianza sanitaria è sempre obbligatoria per l’assunzione di minori.
Obblighi in materia di sicurezza previsti dalla contrattazione collettiva. Il CCNL per la
categoria delle Agenzie di somministrazione prevede alcuni obblighi di informazione integra-
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
76
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
tivi rispetto a quanto previsto dalle disposizioni di legge. In particolare, al momento dell’assunzione l’Agenzia per il l avoro è tenuta a consegnare al lavoratore (o in fase precedente, in
sede di stipula del contratto di lavoro o della lettera di assegnazione della missione per i lavoratori assunti a tempo indeterminato) un modulo contenente tutte le informazioni sui rischi
generali per la salute e sicurezza connessi all’attività oggetto del contratto, oltre che i nominativi del referente dell’impresa utilizzatrice incaricato di fornire le informazioni su tali rischi
e dei soggetti responsabili in materia di sicurezza ai sensi delle disposizioni di legge (RSPP,
RLS, medico competente).
Inoltre, unicamente in sede di prima missione con la stessa Agenzia, al lavoratore somministrato deve essere consegnata copia del CCNL per i lavoratori in somministrazione (art. 46
CCNL). Contestualmente alla consegna di copia del CCNL o unitamente alla prima busta paga,
l’ Agenzia per il lavoro è inoltre tenuta a consegnare al lavoratore il modello di delega sindacale di cui all’allegato 8 del CCNL (art. 20 CCNL).
Obblighi di informazione. In ottemperanza a quanto previsto dal D.Lgs. 152/1997, l’Agenzia
per il lavoro è tenuta a comunicare al lavoratore entro 30 giorni dall’assunzione alcuni dati
relativi al rapporto di lavoro e più precisamente: l’identità delle parti, il luogo di lavoro e la data
di inizio e durata del rapporto di lavoro, la durata del periodo di prova, l’inquadramento, il livello e la qualifica del lavoratore, il trattamento retributivo spettante e il periodo di pagamento, la
durata delle ferie, l’orario di lavoro e i termini di preavviso in caso di recesso dal rapporto di
lavoro. Per le Agenzie per il lavoro la maggior parte di queste informazioni sono già contenute
nel contratto di assunzione a scopo di somministrazione , in ottemperanza a quanto previsto
dal CCNL relativamente ai contenuti obbligatori del contratto di lavoro (artt. 22, 23 CCNL ).
Peraltro, l’obbligo di comunicazione – in forma scritta – di tutte le caratteristiche del rapporto
di lavoro somministrato, è ribadita anche dallo stesso D.Lgs. 276/2003 all’art. 21, comma 3.
Nel contratto di lavoro somministrato è inoltre necessario fare riferimento sia al CCNL per i
lavoratori somministrati che a quello applicabile all’impresa utilizzatrice, in quanto in relazione ai diversi istituti potranno applicarsi disposizioni dell’una o dell’altra fonte collettiva.
Collocamento mirato. Il comma 6 dell’art. 22 D.Lgs. 276/2003 escludeva i lavoratori somministrati dall’applicazione della disciplina in materia di assunzioni obbligatorie e della riserva di cui all’a rt. 4 bis, comma 3, D.Lgs. 181 del 2000. Successivamente, tale comma è stato
abrogato per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 50 del 28 gennaio 2005 che ne
ha dichiarato l’illegittimità costituzionale. Pertanto è sorto il dubbio circa l’obbligo per le
Agenzie per il lavoro di includere nella base di computo di cui alla legge n. 68/1999 tutto il
proprio personale dipendente, somministrati compresi: tuttavia, sulla base di un’interpretazione sistematica della pronuncia e delle sue motivazioni, è da ritenere che la volontà della
Corte fosse quella di annullare solo la prima parte della norma, senza travolgere anche la
disciplina applicabile alla somministrazione.
Dal 2009 ogni datore di lavoro – ivi incluse le Agenzie per il l avoro – è tenuto ad inviare il
prospetto riepilogativo del personale ai fini della legge n. 68/1999 unicamente in forma telematica (art. 40, comma 4, legge 133/2008).
Registrazione sul Libro Unico. La disciplina del Libro Unico prevede una doppia registrazione per i lavoratori somministrati. L’Agenzia per il l avoro è infatti tenuta ad annotare sul
proprio Libro Unico i dati anagrafici ( nome e cognome, codice fiscale), la qualifica e il livello di
inquadramento contrattuale; la retribuzione base; l’anzianità di servizio e le relative posizioni
assicurative e previdenziali. Con riferimento ai parametri retributivi, devono altresì essere annotate tutte le dazioni in denaro o in natura corrisposte o gestite dal datore di lavoro.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
77
6.2 Orario di lavoro
Disciplina. Ai lavoratori in somministrazione si applica la disciplina generale in materia di
orario di lavoro di cui al D . Lgs. n. 66/2003, nonché le normative particolari previste per talune
categorie (es. autotrasportatori, marittimi, ecc.).
Nella regolamentazione degli istituti legati all’orario di lavoro, si applicano le medesime
disposizioni applicabili ai dipendenti dell’impresa utilizzatrice, che è pertanto il punto di riferimento per l’individuazione della disciplina sia legale che di fonte collettiva della materia.
Partendo dalla disciplina legale, l’Agenzia per il lavoro dovrà tener conto – nella somministrazione di lavoro – delle peculiarità eventualmente applicabili all’impresa utilizzatrice o relative al tipo di lavoro svolto dal lavoratore somministrato. Pertanto, nel caso in cui l’utilizzatore rientri in una delle categorie escluse dalla disciplina generale, l’Agenzia per il lavoro
dovrà applicare la disciplina speciale prevista per il settore di riferimento. Tali esclusioni sono
previste all’art. 2 D.Lgs. 66/2003.
Un’ulteriore eccezione è prevista – con riferimento alla disciplina della durata settimanale
dell’orario di lavoro - dall’ art. 16 D.Lgs. n. 66/2003, il quale esclude una serie di lavorazioni
tra le quali si segnalano a titolo esemplificativo le prestazioni di lavoro agricolo per dipendenti a tempo determinato o nei casi in cui le stesse siano soggette ad esistenze tecniche o stagionali; i lavori discontinui o di semplice attesa o custodia; il personale dipendente di imprese
concessionarie di servizi nei settori delle poste, autostrade, servizi portuali ed aeroportuali e
personale dipendente da imprese che gestiscono servizi pubblici di trasporto e da imprese
esercenti servizi di telecomunicazione.
Lavoratori con orario flessibile. Esclusioni sono previste per quelle categorie di lavoratori
per i quali non è possibile determinare a priori la durata della prestazione lavorativa (art. 17,
comma 5, D . lgs. 66/2003), quali: i dirigenti, il personale direttivo delle aziende o altri soggetti aventi potere di decisione autonomo (vedi circ. Min. Lav. 15 febbraio 2000, n. 10), la manodopera familiare, i lavoratori nel settore liturgico delle chiese e delle comunità religiose e le
prestazioni rese nell’ambito di rapporti di lavoro a domicilio o di telelavoro. Per questi lavoratori non trovano applicazione le disposizioni relative alla disciplina dell’orario normale di lavoro, della durata massima dell’orario di lavoro, del lavoro straordinario, del riposo giornaliero, delle pause e del lavoro notturno.
Ruolo della disciplina collettiva. Oltre alla disciplina legale interviene la fonte collettiva,
ovvero il CCNL dell’impresa utilizzatrice e, se esistenti, anche quello territoriale ed aziendale. Ciò in quanto al lavoratore somministrato deve essere garantito un “trattamento economico
e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore,
a parità di mansioni svolte” (art. 2, comma 1, D.Lgs. 276/2003).
È al contratto collettivo applicato dall’impresa utilizzatrice che deve farsi riferimento per
individuare l’orario normale di lavoro, le maggiorazioni per lavoro straordinario, supplementare, notturno, festivo e per la disciplina di istituti quali clausole elastiche e flessibili. A tal riguardo si ricorda che, in seguito alle modifiche introdotte dal D.L. 112/2008, anche i contratti
collettivi di secondo livello (territoriali o aziendali) possono intervenire sulla disciplina del lavoro notturno, delle pause, dei riposi.
Rilevazione delle presenze. La rilevazione delle presenze del lavoratore somministrato deve
essere effettuata dall’impresa utilizzatrice, la quale comunicherà le stesse all’Agenzia per il
lavoro in tempo utile per consentire la regolare registrazione delle presenze nel Libro Unico
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
78
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
entro il 16 del mese successivo nel Libro Unico dell’Agenzia . In seguito alle modifiche introdotte
in tema di libri obbligatori con la l egge n. 133/2008, le presenze potranno essere rilevate sia su
supporto cartaceo che attraverso un sistema automatico di rilevazione , fermo restando l’obbligo
di riportare le stesse nel Libro Unico dell’Agenzia.
Pause e riposi. L’art. 8 D.Lgs. 66/2003 prevede il diritto del lavoratore il cui orario di lavoro
giornaliero ecceda il limite di 6 ore a fruire di periodi di pausa (le cui modalità e durata sono
definite dalla contrattazione collettiva dell’utilizzatore). In carenza di precisa disposizione del
CCNL, il lavoratore ha diritto ad una pausa di 10 minuti (consecutivi) tra l’inizio e la fine di ogni
periodo giornaliero di lavoro. I lavoratori videoterminalisti – considerando tali coloro che svolgono tale attività per almeno 4 ore consecutive – hanno diritto ad una pausa di almeno 15 minuti ogni 120 minuti di applicazione continuativa ai videoterminali (senza possibilità di cumulo). È l’utilizzatore che deve garantire l’esercizio di questo diritto da parte del lavoratore
somministrato. Le pause non sono retribuite né debbono essere computate ai fini del superamento dei limiti di durata.
Insieme ai riposi giornalieri, il D.Lgs. 66/2003 ha disposto che il lavoratore ha diritto a 11
ore di riposo ogni 24 ore (durata minima) e che tale periodo debba essere fruito in modo continuativo. Nel periodo di riposo non si computano i riposi intermedi e le pause di lavoro di durata non inferiore a 10 minuti e complessivamente non superiori a 2 ore (comprese tra l’inizio
e la fine di ogni periodo della giornata di lavoro). Il lavoratore ha diritto al periodo di riposo
giornaliero anche quando sia titolare di più rapporti di lavoro.
Regime di reperibilità. Con riferimento ai lavoratori in regime di reperibilità, l’art. 41, comma 4, legge 112/2008, modificando l’art. 7 D.Lgs. 66/2003, ha stabilito che la reperibilità consente di frazionare il godimento del periodo di riposo purché l’ammontare complessivo rispetti il limite minimo di 11 ore prima dell’inizio della nuova prestazione di lavoro ordinaria.
Riposi compensativi. I contratti collettivi o gli accordi conclusi a livello nazionale tra le
OOSS nazionali comparativamente più rappresentative o – conformemente alle regole fissate
nei predetti contratti o accordi – i contratti o gli accordi collettivi di secondo livello, possono
derogare alla disciplina dei riposi giornalieri, purché prevedano un periodo di riposo compensativo e una protezione appropriata in modo da garantire adeguate condizioni di salute e di
recupero delle energie psico - fisiche al lavoratore.
Riposo settimanale. Tale periodo deve essere pari almeno a 24 ore di riposo consecutive
ogni sette giorni, di regola coincidenti con la domenica. Anche in questo caso sono previste
deroghe per:
• le attività di lavoro a turni ogni volta che il lavoratore cambi squadra e non possa usufruire, tra
la fine del servizio di una squadra e l’inizio di quella successiva, di periodi di riposo giornaliero
o settimanale;
• le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata;
• personale che lavora nel settore di trasporti ferroviari (per lavori discontinui, servizi prestati a
bordo di treni, attività connesse con gli orari del trasporto ferroviario per assicurare continuità
e regolarità del traffico ferroviario).
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
79
A queste, altre se ne possono aggiungere ad opera della contrattazione collettiva dell’utilizzatore, a patto che si tratti di contrattazione di primo livello (art. 17, comma 1), o di secondo livello - se espressamente previsto un rimando ad essa da parte del primo livello di
contrattazione.
Prestazioni di lavoro straordinario. Tutte le prestazioni di lavoro rese oltre l’orario normale
settimanale sono da considerarsi prestazioni di lavoro straordinario. La maggiorazione per lavoro straordinario – in assenza di un minimo fissato dalla legge – deve ricavarsi dalla lettura
delle disposizioni previste dal CCNL dell’impresa utilizzatrice. Il limite massimo di prestazioni
di lavoro straordinario può essere fissato dal contratto collettivo (anche in questo caso dell’utilizzatore) o in assenza di questo, è il legislatore che provvede a fissarlo in 250 ore annuali.
Nel caso in cui la disciplina del lavoro straordinario sia definita dalla fonte collettiva, non è
necessario il consenso del lavoratore allo svolgimento dello stesso (salvo che il contratto collettivo non disponga diversamente). In questo caso, un rifiuto del lavoratore può configurare
inadempimento contrattuale e può pertanto essere oggetto di contestazione disciplinare. In
assenza di CCNL o accordo individuale è opinione prevalente che se la prestazione di lavoro
straordinario è rimessa alle disposizioni di legge, il consenso del lavoratore diviene elemento
necessario e un eventuale rifiuto non può costituire inadempimento contrattuale né tantomeno essere oggetto di contestazione disciplinare (Cass. 19/2/1992 n. 2073).
Il prestatore di lavoro non è tenuto a svolgere attività lavorativa straordinaria qualora:
•
•
•
•
il contratto contenga una clausola che consideri volontaria la prestazione straordinaria;
il lavoratore rifiuti legittimamente di svolgere la prestazione;
sia uno studente (art. 10, legge 300/1970);
vi sia un giustificato motivo.
La disponibilità del lavoratore somministrato allo svolgimento di lavoro straordinario può
essere anche formalizzata all’interno del contratto di prestazione di lavoro somministrato,
evitando così di richiederne il consenso di volta in volta.
Ferie. Le ferie costituiscono un diritto irrinunciabile del lavoratore. Il periodo feriale – fissato dalla legge in 4 settimane annue minime – assolve alla finalità di consentire al lavoratore
di reintegrare le energie psicofisiche (art. 2109 c.c. e art. 10 D.Lgs. 66/2003).
Corollario di questo principio è il divieto imposto al datore di lavoro di procedere alla monetizzazione delle ferie, se non in determinati casi (vedi interpello Min. Lav. 26 ottobre 2006),
quali:
• cessazione del rapporto di lavoro (ipotesi più frequente nel lavoro somministrato, trattandosi
nella maggior parte dei contratti di rapporti di lavoro a termine);
• trasferta all’estero con un termine di preavviso talmente breve da non consentire la programmazione di un piano ferie (Interpello Min. Lav. n. 15 del 10 giugno 2008);
• ferie maturate e non godute fino al 29 aprile 2003 (entrata in vigore del D.Lgs. 66/2003)
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
80
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
Disciplina del CCNL Agenzie per il lavoro. Con riferimento al lavoro somministrato, l’art.
26 comma 17 del CCNL del lavoro somministrato prevede che venga predisposto un piano
ferie – sempre compatibilmente con le esigenze dell’utilizzatore – una volta trascorsi 6 mesi
di durata del contratto. Ai fini del requisito dei 6 mesi necessari per la fruizione delle ferie,
si sommano i giorni di missione presso uno stesso utilizzatore (anche se frutto di proroghe
o rinnovi).
Periodo di godimento. L’art. 10 D.Lgs 66/2003 stabilisce che le ferie vadano godute per
almeno 2 settimane consecutive nell’anno di maturazione e per le restanti due settimane nei
18 mesi successivi alla maturazione. Tale disposizione si applica anche al lavoratore somministrato, stante l’assenza di una diversa disposizione del relativo CCNL . Infatti, la contrattazione collettiva – a patto di non consentire un eccessivo frazionamento del periodo feriale tale da
comprometterne la finalità – può ben ridurre il periodo continuativo di godimento delle ferie
sotto le 2 settimane annuali (Interpello Min. Lav. 18/10/2006). Analogamente, la contrattazione
collettiva avrebbe potuto prevedere una dilazione del termine di 18 mesi entro cui godere le
ulteriori 2 settimane di ferie, anche se tale opportunità si sarebbe con tutta probabilità applicata unicamente ai rapporti di lavoro stipulati a tempo indeterminato.
Il lavoratore somministrato può legittimamente richiedere di usufruire delle ferie maturate
anche prima del termine dei sei mesi, ma in questo caso l’autorizzazione allo svolgimento
delle stesse è subordinata all’accettazione delle richiesta da parte dell’Agenzia per il lavoro
(che valuterà la richiesta sulla base delle esigenze dell’utilizzatore).
Festività. Il lavoratore somministrato – quale lavoratore subordinato – ha diritto al pagamento e alla fruizione delle festività previste dalla legge e dal CCNL dell’impresa utilizzatrice.
Con riferimento alla ricorrenza del Santo Patrono, si farà riferimento alla sede di lavoro del
lavoratore durante la missione. Il CCNL del lavoro somministrato prevede poi il pagamento
della/e festività cadenti tra una contratto ed un altro se l’interruzione tra gli stessi è limitata
alla sola festività (art. 26, comma 9).
ARTICOLO 26 COMMA 9 CCNL LAVORO SOMMINISTRATO
In caso di successione di due contratti, dove il primo termina il giorno antecedente una o più festività e il secondo inizia il primo giorno lavorativo successivo alla stessa/e i due contratti, ai soli fini
del pagamento di tale o tali festività, si considerano continuativi.
Sotto il profilo meramente economico, il CCNL del lavoro somministrato prevede che le
festività infrasettimanali debbano essere retribuite moltiplicando l’orario lavorativo giornaliero previsto per la paga oraria (retribuzione mensile/divisore orario mensile).
Lavoro a turni. Il lavoro a turni – che può essere a squadre o a ciclo continuo - consiste in
una particolare organizzazione del lavoro “in base alla quale i lavoratori occupano successivamente i medesimi posti di lavoro, secondo un determinato ritmo, compreso quello rotativo, che può
essere di tipo continuo o discontinuo e il quale comporta la necessità per i lavoratori di compiere
un lavoro in orari differenti su un periodo determinato di giorni o di settimane” (art. 1, comma 2.
D.Lgs. 66/2003). L’istituzione di forme di lavoro a turni rientra nei poteri del datore di lavoro,
che può quindi disporla quando lo ritenga funzionale alle esigenze aziendali. La contrattazione
collettiva (dell’utilizzatore) può però definirne i limiti e le modalità di ricorso e le maggiorazioni retributive per i lavoratori turnisti.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
81
Il ricorso al lavoro somministrato – oltre ad inserirsi in contesti aziendali dove sia già
operativo il lavoro a turni – potrebbe giustificarsi anche in realtà dove si intenda sperimentare questa modalità di articolazione della prestazione lavorativa, prima di introdurla stabilmente in azienda (la motivazione sarà in questo caso di carattere organizzativo) o per incrementare per un periodo determinato la produttività aziendale per far fronte a commesse di
particolare entità.
Lavoro notturno. Il lavoratore somministrato può essere adibito a turni di lavoro notturno,
nei limiti e alle condizioni previste per i dipendenti dell’impresa utilizzatrice. Perché un lavoratore possa essere qualificato come notturno è necessario che la prestazione si svolga per
almeno 3 ore nella fascia oraria identificata dal legislatore come periodo notturno per un minimo di 80 giorni l’anno (art. 2 D.Lgs. 66/2003 come mod. art. 41, commi 1 e 2, D.L. 112/2008)
o che sia considerato tale in base alle disposizioni del CCNL di riferimento ( dell’impresa utilizzatrice nel caso di lavoratori in somministrazione).
Anche il contratto collettivo aziendale o territoriale applicato all’utilizzatore può regolare la
materia del lavoro notturno (stante la modifica apportata dal D.L. 112/2008 all’art. 17 D.Lgs.
66/2003).
È fatto divieto di svolgere lavoro notturno ai minori e alle donne in stato di gravidanza e
comunque fino al compimento di un anno di età del bambino. Ulteriori divieti e limitazioni possono essere previsti dal CCNL dell’utilizzatore.
Possono legittimamente rifiutarsi di svolgere prestazioni di lavoro notturno i seguenti soggetti:
• lavoratrice madre o padre convivente con la stessa che abbiano un figlio di età inferiore ai 3 anni;
• lavoratrice e lavoratore che sia l’unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore
ai 12 anni;
• lavoratrice o lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile (non necessariamente
convivente).
Le maggiorazioni per prestazioni di lavoro notturno sono stabilite dalla contrattazione collettiva e dagli accordi aziendali di riferimento dell’utilizzatore, i quali possono prevedere una
differenziazione dell’entità della maggiorazione con riferimento ai vari periodi della notte (ivi
inclusa la maggiorazione per lavoro straordinario notturno).
Lavoro a tempo parziale. Il contratto di lavoro somministrato può essere stipulato anche a
tempo parziale (come confermato espressamente dal D.Lgs. 24/2012). In questo caso, la disciplina di riferimento va ricavata dalla lettura congiunta delle disposizioni di legge e del CCNL
dell’impresa utilizzatrice.
Il lavoro a tempo parziale potrà avere la forma del part-time orizzontale, verticale o misto,
sempre che le motivazioni che giustificano il ricorso al lavoro somministrato siano in linea con
l’articolazione temporale della prestazione lavorativa. L’orario di lavoro dovrà risultare dal
contratto di assunzione a scopo di somministrazione , così come la tipologia di lavoro a tempo
parziale applicabile (orizzontale, verticale o misto appunto).
Nell’eventualità che il lavoratore somministrato abbia in essere più di un rapporto a tempo
parziale, deve darne comunicazione all’Agenzia per il lavoro al fine di consentire un controllo
sull’osservanza della disciplina legale dell’orario di lavoro (circ. Min. Lav. n. 8/2005).
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
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Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
Le peculiarità relative al rapporto di lavoro a tempo parziale, i limiti e caratteristiche devono ricavarsi dal CCNL dell’impresa utilizzatrice che - in seguito alle modifiche introdotte con
la legge 247/2007 - costituisce il punto di riferimento per valutare la legittimità dell’apposizione di clausole elastiche o flessibili al rapporto di lavoro. In particolare, la fonte collettiva è legittimata ad intervenire sui seguenti aspetti del lavoro a tempo parziale:
• condizioni e modalità della prestazione lavorativa a tempo parziale (art. 1, comma 3, D.Lgs.
61/2000 e succ. modifiche ed integrazioni);
• numero massimo di ore di lavoro supplementare effettuabili e relative causali di ricorso allo
stesso, conseguenze del superamento del tetto massimo, maggiorazione economica e incidenza
della retribuzione per lavoro supplementare sugli istituti diretti e differiti (art. 3, commi 2, 3, 4
D.Lgs. 61/2000 e succ. mod. int.);
• ammissibilità di clausole elastiche e flessibili, condizioni e modalità di realizzazione delle stesse, limiti massimi di variabilità in aumento per le clausole elastiche, preavviso per l’esercizio
della clausola elastica/flessibile (art. 3, commi 7 e 8 D.Lgs. 61/2000 e succ. mod. int.);
• criteri di applicazione del diritto di informazione al personale dipendente trasformato da tempo
pieno a parziale (art. 5, comma 3, D.Lgs. 61/2000 e succ. mod. int.).
L’eventuale apposizione di un patto di clausole elastiche potrà avvenire anche in un secondo momento rispetto all’inizio del rapporto di lavoro e non essere incluso nel contratto di
prestazione di lavoro ma oggetto di un accordo separato.
6.3 Inquadramento contrattuale, mansioni e retribuzione
Mansione ed inquadramento contrattuale. Il legislatore richiede espressamente che nel contratto di somministrazione di lavoro (ma la stessa previsione può leggersi per il contratto di prestazioni di lavoro somministrato) siano indicate la mansione e l’inquadramento del lavoratore.
L’individuazione della mansione deve essere comunicata dall’utilizzatore all’Agenzia per il
lavoro normalmente attraverso la compilazione di un prospetto informativo, sottoscritto dalle
parti a reciproca tutela (Agenzia per il lavoro ed azienda utilizzatrice). Prendendo poi a riferimento il CCNL dell’azienda utilizzatrice si andranno a determinare la qualifica ed il livello di
inquadramento che verranno poi riportati nei contratti di somministrazione e di lavoro.
Risulta pertanto evidente come la corretta identificazione della mansione che il prestatore
di lavoro sarà tenuto a svolgere abbia un ruolo fondamentale nella individuazione di elementi
(qualifica e livello) ai quali sono collegati sia profili economici che normativi. Al lavoratore
somministrato devono essere garantite condizioni comparabili rispetto ai dipendenti dell’utilizzatore adibiti a medesime mansioni.
Passaggio a mansioni superiori o equivalenti. Resta in capo all’utilizzatore il cosiddetto ius
variandi, ovvero il potere di modificare – attraverso l’assegnazione a mansioni superiori od
equivalenti – l’inquadramento contrattuale del lavoratore somministrato. Di tale passaggio che deve risultare in linea con le esigenze giustificatrici del contratto di somministrazione –
deve esserne data comunicazione scritta sia all’Agenzia per il lavoro che, tramite quest’ultima, al lavoratore. Nell’eventualità che tale mutamento avvenga senza il rispetto degli obblighi
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
83
di informazione previsti dalla legge (art. 23, comma 6, D.Lgs. 276/2003), le eventuali differenze retributive spettanti al lavoratore somministrato saranno a totale carico dell’impresa utilizzatrice. Per il passaggio a mansioni equivalenti non è richiesto il consenso del lavoratore,
questo è invece indispensabile per l’assegnazione a mansioni superiori.
Il concetto di equivalenza deve essere valutato non solo in senso retributivo o di appartenenza allo stesso livello contrattuale, ma in particolare in senso professionale. Pertanto, è
considerata mansione equivalente quella che consente al lavoratore di sviluppare e perfezionare la propria professionalità con riguardo alla qualità dell’attività svolta, al grado di autonomia assegnato e alla sua posizione gerarchica all’interno dell’organizzazione aziendale (Cass.
2 maggio 2006, n. 10091; Cass. 24 novembre 2006 n. 25033). La valutazione di equivalenza
dovrà basarsi sulla realtà aziendale e sulle previsioni del CCNL dell’impresa utilizzatrice.
Passaggio a mansioni inferiori. Il mutamento in peius delle mansioni assegnate al lavoratore somministrato è ammesso solo ed esclusivamente nelle ipotesi tassativamente individuate dal legislatore.
L’ipotesi di demansionamento finalizzato alla conservazione del posto di lavoro potrà trovare applicazione nei confronti del personale assunto a tempo indeterminato da parte dell’Agenzia per il lavoro (Cass. 6 marzo 2007, n. 5112; Cass. 5 agosto 2000 n. 10339) anche se in
quest’ipotesi la contrattazione collettiva prevede già un meccanismo di flessibilità in uscita
che ne riduce il campo di applicazione concreto (art. 23 bis CCNL).
In caso di assegnazione del lavoratore somministrato a mansioni inferiori, questi avrà diritto – a carico dell’utilizzatore – unicamente ad un risarcimento del danno (Trib. Milano,
22/12/2001).
Classificazione del personale. Il CCNL del lavoro somministrato prevede una classificazione unica dei lavoratori in somministrazione, al fine di consentire un’armonizzazione con le
disposizioni dei CCNL delle imprese utilizzatrici. I lavoratori sono pertanto classificati in tre
grandi aree, in base alla professionalità e alla complessità della mansione svolta. Restano
ovviamente ferme le discipline specifiche applicabili alle diverse qualifiche (operai, impiegati,
quadri, dirigenti). Il contratto prevede la suddivisone in:
• gruppo A: lavoratori di elevato contenuto professionale, quali dirigenti, quadri e impiegati direttivi;
• gruppo B: lavoratori di concetto, operai specializzati e/o corrispondenti alle cosiddette categorie
intermedie con contenuti professionali caratterizzati da autonomia operativa ma non decisionale e da un elevato livello di conoscenze tecnico/pratiche ;
• gruppo C: lavoratori qualificati e d’ordine, che eseguono il lavoro sotto la guida e il controllo di
altri.
L’attribuzione ad uno dei tre gruppi viene effettuata sulla base dell’inquadramento previsto
dal contratto di somministrazione, e quindi prendendo a riferimento la descrizione della mansione e del livello del CCNL dell’utilizzatore.
La classificazione del CCNL del lavoro somministrato è il punto di riferimento per l’applicazione di taluni istituti, per i quali non trova attuazione il CCNL delle imprese utilizzatrici. Tra
questi vi sono:
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
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Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
• periodo di prova (art. 28 CCNL del lavoro somministrato);
• preavviso in caso di dimissioni per i lavoratori a tempo indeterminato (art. 29 CCNL del lavoro
somministrato);
• penalità per risoluzione anticipata dal contratto di prestazione da parte del lavoratore a tempo
determinato (art. 31 CCNL del lavoro somministrato).
Mutamento di mansioni per i lavoratori assunti a tempo indeterminato. Nel caso in cui
il lavoratore somministrato sia assunto a tempo indeterminato dall’Agenzia per il lavoro, nel
“contratto di lavoro quadro” - secondo lo schema previsto dall’art. 23 CCNL per il lavoro
somministrato - non è indicata la mansione a cui sarà adibito ma unicamente il gruppo di
appartenenza (A, B, C), così come descritto al paragrafo precedente. Pertanto, nel corso
delle diverse missioni a cui è di volta in volta inviato il lavoratore, potrà essere adibito a mansioni diverse facenti parti dello stesso gruppo di appartenenza. Tale specifica dovrà essere
contenuta nella “lettera di assegnazione”, altrettanto prevista dal citato art. 23 (comma 3).
Deve però essere assicurata una certa omogeneità fra le mansioni affidate al lavoratore, al
fine di salvaguardare la sua professionalità. Quindi, pur non essendo indispensabile applicare un criterio di equivalenza e potendo adibire anche a mansioni inferiori il lavoratore somministrato, l’Agenzia deve prestare attenzione a mantenere su un livello comparabile le
competenze del lavoratore.
Pagamento della retribuzione. Il soggetto obbligato nei confronti del lavoratore al pagamento della retribuzione e all’assolvimento degli obblighi contributivi è l’Agenzia di somministrazione (art. 21, comma 1, lett. h, D.Lgs. n. 276/2003); ovviamente, per procedere al pagamento l’Agenzia deve necessariamente raccordarsi con l’utilizzatore, il quale è tenuto a
trasmettergli tutte le informazioni relative al trattamento retributivo applicabile ai lavoratori
da lui dipendenti che svolgono pari mansioni (art. 21, comma 1, lett. j). Una volta pagato, il
somministratore ha diritto ad ottenere il rimborso dall’utilizzatore degli oneri effettivamente
sostenuti per retribuzioni e contributi (art. 21, comma 1, lett. i).
Trattamento economico e normativo del lavoratore somministrato. Il lavoratore somministrato ha diritto all’applicazione della “parità di trattamento” con i dipendenti dell’utilizzatore adibiti a mansioni analoghe a quelle svolte; tale obbligo si applica rispetto alle “condizioni di
base di lavoro e d’occupazione” applicate ai dipendenti dell’utilizzatore che svolgono le stesse
mansioni. Secondo l’art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003, come modificato dal D.Lgs. n.
24/2012, rientrano nella nozione le condizioni di lavoro e di occupazione in materia di orario di
lavoro, retribuzione, protezione delle donne in stato di gravidanza e in materia di non discriminazione.
Deroghe al principio di parità di trattamento. La legge lascia aperta la possibilità di apportare delle deroghe principio di parità; i contratti collettivi applicati dall’utilizzatore possono infatti stabilire modalità e criteri per la corresponsione della retribuzione variabile
collegata al conseguimento di programmi concordati tra le parti o collegati all’andamento
economico dell’impresa, potendo così prevedere criteri differenziati di calcolo della retribuzione variabile.
Accanto a questa ipotesi, il testo originario dell’art. 23 prevedeva la possibile per le Agenzie
per il lavoro di derogare alla parità di trattamento nell’ambito della c.d. somministrazione
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
85
degli svantaggiati, regolata dall’art. 13 del D.Lgs. n. 276/2003. Secondo questa disciplina,
nell’ambito di specifici programmi di formazione, inserimento e riqualificazione professionale,
in concorso con Regioni, Province ed enti locali, le agenzie per il lavoro possono essere autorizzate a fornire in somministrazione lavoratori svantaggiati, senza dover garantire loro pari
condizioni retributive rispetto a quelle assicurate ai lavoratori assunti dall’utilizzatore, in presenza di un piano individuale di inserimento o reinserimento che preveda interventi formativi
idonei e il coinvolgimento di un tutore con adeguate competenze e professionalità, previa assunzione del lavoratore con un contratto di durata non inferiore a sei mesi.
In forza del combinato disposto delle previsioni da ultimo citate, dunque, un’agenzia per il
lavoro, impegnata in un’azione di politica attiva concordata con uno degli enti pubblici sopra
menzionati, era abilitata a somministrare lavoratori svantaggiati, senza essere tenuta a garantire a questi lavoratori pari condizioni retributive rispetto a quelle assicurate ai lavoratori
assunti dall’utilizzatore in base al contratto collettivo applicato presso quest’ultima impresa.
Con la riforma Fornero, il sistema è rimasto in vita ma è stato privato del principale elemento incentivante, cioè la possibilità di applicare condizioni retributive inferiori a quelle ordinarie.
Indennità di disponibilità. L’art. 22, comma 3, riconosce, nel caso in cui il rapporto sia
stato stipulato a tempo indeterminato, al lavoratore il diritto di percepire un’indennità di
disponibilità per i periodi in cui rimane in attesa di assegnazione. La corresponsione dell’indennità è dovuta al lavoratore in tutte le ipotesi in cui non svolga la prestazione presso un
utilizzatore, indipendentemente dal fatto che la sua inattività sia dovuta ad una cessazione
anticipata dell’assegnazione (ad esempio a causa di una risoluzione anticipata del contratto
di somministrazione) ovvero consegua all’esaurimento della durata inizialmente convenuta
della missione.
Sotto il profilo giuridico, l’indennità può essere come il corrispettivo della disponibilità
resa dal lavoratore al somministratore nei periodi di intervallo che separano successive assegnazioni; tale indennità è assoggettata a prelievo contributivo, seppure in deroga al criterio del minimale contributivo, secondo quanto previsto dall’art. 25, comma 1, D.Lgs. n.
276/2003.
La misura dell’indennità di disponibilità deve essere individuata dal contratto collettivo
applicabile al somministratore, anche se la sua misura minima, inderogabile in senso peggiorativo sia a livello individuale sia a livello collettivo, è stabilita e periodicamente aggiornata con decreto del Ministro del lavoro (nel 2012 ammonta a 700 euro netti).
Va infine ricordato che l’indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di
legge o di contratto collettivo; pertanto, in mancanza di diverse e più favorevoli indicazioni
negoziali delle parti individuali o collettive, l’indennità non concorre al calcolo della retribuzione parametro per la determinazione di voci retributive indirette o differite (tale disposizione vale a prevenire i ben noti problemi connessi al tema della c.d. onnicomprensività
della retribuzione).
6.4 Dimissioni del lavoratore
Il rapporto di lavoro instaurato alle dipendenze di un’Agenzia per il lavoro può estinguersi
in diverse ipotesi:
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
86
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
• recesso unilaterale di una delle parti. Si parla in questo caso di dimissioni, nel caso in cui sia il
lavoratore a recedere dal contratto, e di licenziamento, nel caso in cui sia invece il datore di lavoro a recedere. I requisiti sostanziali e gli effetti del recesso unilaterale differiscono a seconda
che il rapporto di lavoro sia a tempo indeterminato o determinato ;
• risoluzione consensuale. In tal caso le parti si accordano per risolvere il contratto al pari di
quanto avviene per i negozi giuridici in generale;
• scadenza del termine. La scadenza del contratto di lavoro comporta la naturale estinzione del contratto;
• morte del lavoratore;
• impossibilità sopravvenuta definitiva della prestazione;
• altre cause di estinzione, quali superamento del periodo di comporto, mancato rientro in azienda dopo la sentenza di reintegro nei termini stabiliti per legge, ecc.
Per ciò che concerne i requisiti sostanziali e formali del licenziamento, delle dimissioni e
delle risoluzioni consensuali, non vi sono differenze tra lavoratore subordinato tipico e lavoratore somministrato.
Dimissioni del lavoratore a termine. Ad esclusione del periodo di prova, nel quale il recesso è libero per entrambe le parti senza preavviso né motivazioni, il lavoratore assunto a
tempo determinato può rassegnare le proprie dimissioni unicamente in presenza di una giusta causa di recesso laddove per giusta causa si intende una causa di gravità tale che “non
consente la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto”; pena il diritto dell’Agenzia di pretendere il risarcimento del danno conseguente al recesso. In questo caso, il lavoratore non è tenuto a dare alcun preavviso all’Agenzia per il lavoro ed ha altresì diritto a che gli venga corrisposta l’indennità di mancato preavviso di cui all’articolo 29 dello stesso CCNL.
Un’ipotesi di giusta causa potrebbe configurarsi nel caso in cui l’utilizzatore non rispetti le
disposizioni in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro (art. 21, comma 9, CCNL del lavoro
somministrato). Non costituisce invece giusta causa il fatto che il lavoratore somministrato
trovi una diversa occupazione durante il rapporto di lavoro somministrato.
Nella pratica, però, accade con frequenza che il lavoratore somministrato receda prima
della scadenza naturale dal contratto a tempo determinato, senza che sussista una giusta
causa a supporto. Per tutelare al massimo il lavoratore, il CCNL del lavoro somministrato ha
previsto la quantificazione massima del risarcimento del danno che l’Agenzia per il lavoro può
in questo caso richiedere al lavoratore. Si tratta, in particolare, della penalità per risoluzione
anticipata dal rapporto, disciplinata all’art. 31 del CCNL in questione. La disposizione prevede
che – in caso di recesso nei primi 15 giorni del contratto – nulla sia dovuto dal lavoratore. Successivamente, al lavoratore potrà essere addebitato un giorno di retribuzione per ogni 15 giorni di missione ancora da prestare, con differenziazioni in base alla classificazione del personale prevista dal CCNL del lavoro somministrato (massimo di 7 giorni per i lavoratori del gruppo
C, 10 giorni per il gruppo B e 20 giorni per il gruppo A). Ne deriva quindi che è ammesso il
recesso senza l’applicazione della penale, nel caso in cui il lavoratore comunichi all’Agenzia la
sua volontà con un anticipo pari almeno al numero di giornate di penali imputabili in assenza
di preavviso.
Dimissioni del lavoratore a tempo indeterminato. Nel caso di rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, oltre alla giusta causa, le dimissioni possono essere rassegnate anche per
giustificato motivo, che è costituito da “un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
87
del datore di lavoro”, non così grave però da richiedere un’estinzione immediata del rapporto.
In questo caso, il lavoratore è tenuto a dare un preavviso all’Agenzia per i lavoro, i cui termini
sono fissati all’articolo 29 CCNL lavoro somministrato in relazione al gruppo di inquadramento (a decorrere dal primo e sedicesimo giorno di ciascun mese). Le dimissioni devono essere
comunicate in forma scritta all’Agenzia per il lavoro per mezzo di raccomandata con ricevuta
di ritorno o con altro mezzo idoneo a certificare la data di ricevimento.
TERMINI DI PREAVVISO PER I LAVORATORI A TEMPO INDETERMINATO
(ART. 29 CCNL LAVORO SOMMINISTRATO)
I) Fino a cinque anni di servizio compiuto:
Gruppo A: 60 giorni di calendario;
Gruppo B: 30 giorni di calendario;
Gruppo C: 20 giorni di calendario.
II) Oltre cinque anni e fino a dieci anni di servizio:
Gruppo A: 90 giorni di calendario;
Gruppo B: 45 giorni di calendario;
Gruppo C: 30 giorni di calendario.
III) Oltre i dieci anni di servizio compiuti:
Gruppo A: 120 giorni di calendario;
Gruppo B: 60 giorni di calendario;
Gruppo C: 45 giorni di calendario.
Convalida delle dimissioni. I dipendenti delle Agenzie per il lavoro, al pari degli altri lavoratori, sono obbligati – in caso di dimissioni o di risoluzione consensuale dal rapporto – a seguire la procedura di convalida introdotta dalla legge n. 92/2012. Le nuove disposizioni cambiano anche il T.U. sulla tutela della maternità e paternità (D.Lgs.151/2001) rendendo
maggiormente garantiste le misure e gli obblighi imposti al datore di lavoro e alle lavoratrici.
Procedura di convalida. Con il comma 17, art. 4, la legge di riforma introduce una procedura applicabile a tutti i lavoratori e le lavoratrici. Secondo la norma, l’efficacia delle dimissioni
della lavoratrice o del lavoratore, al pari della risoluzione consensuale, resta sospesa sino alla
convalida presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l’impiego territorialmente
competenti, ovvero presso le medesime sedi individuate dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
LETTERA DI INVITO ALLA CONVALIDA IN DTL
Con riferimento alle dimissioni da Lei rassegnate con lettera del ____________, La invitiamo a
presentarsi per la convalida delle stesse presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per
l’impiego territorialmente competenti, ovvero presso le sedi individuate dal CCNL applicato, al fine
di procedere alla convalida delle stesse.
Il rapporto di lavoro si intenderà risolto, per il verificarsi della condizione sospensiva apposta per
legge alle dimissioni, qualora Ella non aderisca al presente invito entro il termine di 7 (sette) giorni
dal ricevimento della presente.
Firma del datore di lavoro
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
88
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
Dichiarazione di convalida. Tale procedura può essere sostituita, alternativamente, dalla
sottoscrizione di un’apposita dichiarazione, da parte del lavoratore interessato, da apporsi in
calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro
che l’azienda è obbligata ad inviare al Centro per l’impiego entro cinque giorni (art. 21 legge
264/1949).
Ulteriori modalità. La legge n. 92/2012 rinvia a un decreto ministeriale di natura non regolamentare per l’individuazione di ulteriori modalità semplificate di accertamento della veridicità della data e della autenticità della dichiarazione del lavoratore, in funzione dello sviluppo
dei sistemi informatici e della evoluzione della disciplina in materia di comunicazioni obbligatorie (comma 18, art. 4).
Termine di attivazione della procedura di convalida. Il datore di lavoro deve provvedere a
trasmettere alla lavoratrice o al lavoratore la comunicazione contenente l’invito alla procedura di convalida tramite la Direzione territoriale del lavoro, il Centro per l’impiego, competenti
per territorio o la struttura individuata dalla contrattazione collettiva di categoria, ovvero alla
sottoscrizione di convalida della comunicazione obbligatoria di risoluzione del rapporto di lavoro al Centro per l’impiego. A pena di decadenza, la comunicazione deve avvenire nel termine
di 30 giorni dalla data delle dimissioni o della risoluzione consensuale. Le dimissioni si intendono prive di effetto se la procedura viene attivata oltre il termine prescritto.
Sospensione dei termini. Fino alla scadenza prevista dalla legge per l’esperimento della
procedura di convalida, restano sospesi tutti i termini che afferiscono agli obblighi di comunicazione previsti dalla legge.
Omessa convalida. Nell’ipotesi in cui la lavoratrice o il lavoratore non revochi le dimissioni
e non aderisca all’invito a comparire presso la sede prescelta o, nei 7 giorni successivi, non
accolga l’invito scritto inoltrato dal datore di lavoro ad apporre la sottoscrizione alla comunicazione da inoltrarsi al Centro per l’impego, il rapporto di lavoro si intende risolto, per il verificarsi della condizione sospensiva.
Revoca delle dimissioni. Il comma 21 dell’art. 4 della riforma in esame introduce la possibilità di revoca delle dimissioni rassegnate dal lavoratore interessato stabilendo che nel termine di 7 giorni dalla ricezione dell’invito formulato dal datore di lavoro, la lavoratrice o il lavoratore hanno facoltà di revocare tanto le dimissioni quanto la risoluzione consensuale. A tal
fine il lavoratore interessato dovrà offrire la propria prestazione lavorativa. Il termine di sette
giorni può sovrapporsi anche al periodo di preavviso.
Forme della revoca. La riforma non prevede il rispetto di forme particolari per la comunicazione della revoca limitandosi a precisare che una manifestazione di volontà in tal senso
“può” essere comunicata in forma scritta e lasciando, quindi, desumere la possibilità di inoltrarla anche verbalmente.
Conseguenze della revoca. Intervenuta la revoca delle dimissioni o della risoluzione consensuale, il contratto di lavoro torna ad a seguire il suo iter normale dal giorno successivo alla
comunicazione di revoca. In tal caso non sussiste alcun diritto alla retribuzione ove durante
tale periodo non sia stata svolta prestazione. Alla revoca del recesso le eventuali pattuizioni a
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
89
esso connesse perdono efficacia e, conseguentemente, sussiste l’obbligo in capo al lavoratore
di restituire tutto quanto eventualmente percepito in forza di esse.
Sanzione amministrativa. L’art. 4, comma 23, legge n. 92/2012, al fine di rafforzare l’azione di contrasto del fenomeno delle cd. “dimissioni in bianco”, individua una nuova tipologia di
infrazione. La norma, salvo che il fatto costituisca reato, punisce il datore di lavoro che abusi
del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni
o la risoluzione consensuale del rapporto, mediante l’applicazione di una sanzione amministrativa di importo variabile da euro 5.000 ad euro 30.000. L’accertamento e l’irrogazione della sanzione sono di competenza delle Direzioni territoriali del lavoro. Si applicano, in quanto
compatibili, le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689. Il richiamo alla legge
689/81 fa salvi, quindi, i termini temporali dell’accertamento, della contestazione o notificazione dell’illecito. Sarà, quindi, facoltà del datore di lavoro definire la sanzione con il pagamento
di un terzo dell’importo massimo pari a 10 mila euro oppure, in alternativa, opporsi al verbale
e/o all’ordinanza di ingiunzione.
Il legislatore non ha ammesso, almeno per il momento, alcuna possibilità di sanare l’eventuale infrazione a seguito di diffida con il pagamento di una sanzione minima.
Sanzione penale. Sul versante penale, resta fermo quanto enunciato da numerose pronunce di merito e di legittimità sulla possibilità di configurare il reato di estorsione in ipotesi di
dimissioni in bianco sottoscritte al momento dell’assunzione del dipendente e, quindi, estorte
sotto minaccia psicologica o costrizione da parte del datore di lavoro. La fattispecie penale
prevede, all’art. 629 c.p., la reclusione da cinque a 10 anni o la multa da 500 a 2.066 euro.
DIMISSIONI: NOVITÀ NELLA RIFORMA FORNERO
Tutti i lavoratori dipendenti che non rientrano nel campo di applicazione del T.U. Maternità
Finalità dell’istituto Contrastare il noto fenomeno delle “dimissioni in bianco” allo scopo di garantire coincidenza tra manifestazione di volontà ed intento risolutorio
Destinatari
Lavoratori e lavoratrici dipendenti per i quali non trovano applicazioni le tutele di cui all’art. 55 del T.U. sulla maternità
Procedure
alternative
1. presentazione delle dimissioni o sottoscrizione della risoluzione consensuale; convalida represso la Direzione territoriale del lavoro o Centro per l’impiego o presso le sedi individuate dalla contrattazione collettiva nazionale;
la procedura deve essere attivata nei 30 giorni successivi alle dimissioni o
alla risoluzione consensuale del rapporto a cura del datore di lavoro che
dovrà invitare il lavoratore a presentarsi presso la sede prescelta per convalidare l’atto;
2. sottoscrizione di un’apposita dichiarazione da parte dei lavoratori interessati in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione
del rapporto di lavoro che l’azienda è obbligata ad inviare al Centro per l’impiego entro cinque giorni (art. 21 legge 264/1949).
Termini
la procedura deve essere attivata nei 30 gg. successivi alle dimissioni o alla
risoluzione consensuale. Decorso il termine le dimissioni perdono efficacia.
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
90
- segue Omessa convalida
Risoluzione del rapporto di lavoro per il verificarsi della condizione sospensiva, qualora la lavoratrice o il lavoratore non aderiscano, entro il termine di
7 giorni dalla ricezione:
• all’invito a presentarsi presso la sede prescelta;
• all’invito ad apporre la sottoscrizione trasmesso dal datore al lavoratore
interessato con comunicazione scritta;
Revoca
Entro 7 giorni dalla ricezione la lavoratrice o il lavoratore possono revocare le dimissioni e la risoluzione consensuale, offrendo le proprie prestazioni al datore di lavoro. Ripristino del rapporto. Non sussiste alcun
diritto alla retribuzione se non è stata volta attività lavorativa (es. preavviso lavorato)
Sistema
sanzionatorio
delle dimissioni
in bianco
• Sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 ad euro 30.000 nelle
ipotesi in cui il datore di lavoro abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni o la risoluzione
consensuale del rapporto, salvo che il fatto costituisca reato;
• l’accertamento e l’irrogazione della sanzione sono di competenza delle
Direzioni territoriali del lavoro, con applicazione, in quanto compatibili, le
disposizioni della legge 689/1981.
Dimissioni delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri. Il comma 16 dell’art. 4 della riforma Fornero riscrive il comma 4 dell’art. 55 del T.U. sulla maternità prevedendo che la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, in
gravidanza, dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi 3 anni di vita del bambino o nei
primi 3 anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi 3 anni decorrenti dall’invio della comunicazione di proposta di incontro
con l’adottando devono essere convalidate dal servizio ispettivo del ministero del Lavoro e
delle politiche sociali o dai Centri per l’impiego, competenti per territorio, ovvero presso le
sedi individuate dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
La riforma Fornero, quindi, aumenta il periodo di protezione in cui opera l’obbligo di convalida delle dimissioni volontarie, e specifica che, in caso di adozione internazionale, i tre anni
decorrono dal momento della comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando ovvero della comunicazione dell’invito a recarsi all’estero per ricevere la proposta di “abbinamento”.
In tutti i casi di cui sopra, inoltre, estende l’istituto del convalida anche al caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.
Efficacia della convalida. La convalida delle dimissioni rappresenta la condizione sospensiva di efficacia delle stesse. Ciò significa che l’efficacia della cessazione del rapporto di lavoro
resta sospesa per tutto il periodo che intercorre tra la richiesta di risoluzione ed il perfezionamento della procedura di convalida.
DIMISSIONI DI LAVORATRICI IN GRAVIDANZA, MADRI E/O PADRI LAVORATORI
Finalità
dell’istituto
Contrastare il noto fenomeno delle “dimissioni in bianco” allo scopo di garantire coincidenza tra manifestazione di volontà ed intento risolutorio
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
91
- segue Destinatari
lavoratrice in gravidanza;
la lavoratrice o lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei
primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso
di adozione internazionale nei primi tre anni
Procedura
Convalida delle dimissioni da parte del servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. Alla convalida è sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro
6.5 Licenziamento del lavoratore
Disciplina del licenziamento. Analogamente a quanto visto per le dimissioni, anche per il
licenziamento del lavoratore la legge richiede espressamente l’esistenza di requisiti sostanziali perché lo stesso possa considerarsi efficace e li individua nella giusta causa e nel giustificato motivo di licenziamento.
Ai lavoratori somministrati si applicano le stesse regole previste in generale per gli altri
lavoratori, e quindi anche loro sono soggetti alla nuova formulazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, introdotta dalla legge n. 92/2012 e sintetizzata nello schema che segue.
NUOVA DISCIPLINA DEI LICENZIAMENTI
Licenziamento discriminatorio (art. 18, commi 1, 2 e 3, nuovo testo)
Definizione
Licenziamento intimato per motivi discriminatori
Presupposti per l’annullamento
Licenziamento intimato in uno dei seguenti casi:
• violazione art. 3 legge 108/1990
• in costanza di matrimonio,
• violazione delle norme del Testo Unico Maternità e Paternità
• nullo per espressa previsione legge
• motivo illecito determinante
• licenziamento orale
•
Sanzione
Reintegrazione sul posto di lavoro, a prescindere dal motivo formalmente addotto e dal numero di
dipendenti.
Il lavoratore può chiedere, in alternativa alla reintegra, ed entro 30 giorni dal deposito della sentenza (o dall’invito a riprendere servizio) un’indennità pari a 15 mensilità della retribuzione globale di
fatto, e la richiesta determina la risoluzione del rapporto; la somma non è soggetta a contribuzione
previdenziale.
Il rapporto di lavoro si intenderà risolto, per il verificarsi della condizione sospensiva apposta per
legge alle dimissioni, qualora Ella non aderisca al presente invito entro il termine di 7 (sette) giorni
dal ricevimento della presente.
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
92
- segue Firma del datore di lavoro
In aggiunta alla reintegra o all’indennità sostitutiva, spetta un’indennità risarcitoria di importo
pari all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello di
effettiva reintegra, dedotto quanto percepito da altre occupazioni (c.d. aliunde perceptum).
L’indennità risarcitoria non può mai essere inferiore a 5 mensilità.
Il datore di lavoro dovrà pagare i contributi previdenziali e assistenziali sulle somme riconosciute
al dipendente.
Ambito di applicazione
Datori di lavoro anche non imprenditori, imprese di qualsiasi dimensione, dirigenti, lavoratori subordinati.
Ripresa del lavoro
Dopo l’ordine di reintegrazione il rapporto di lavoro si intende risolto se il lavoratore non riprende
servizio entro 30 giorni dall’invito datoriale (a meno che non eserciti la facoltà di chiedere l’indennità sostitutiva della reintegra)
Licenziamento disciplinare
a) con reintegra (art. 18, comma 4, nuovo testo)
Definizione
Licenziamento intimato all’esito di una procedura disciplinare
Presupposti per l’annullamento
Il licenziamento è intimato sulla base di un giustificato motivo soggettivo o di una giusta causa, ma
il Giudice ritiene che non ricorrono gli estremi per uno dei seguenti motivi:
• insussistenza del fatto contestato
• il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, secondo quanto prevedono i
contratti collettivi o i codici disciplinari applicabili
Sanzione
Reintegra sul posto di lavoro.
In aggiunta alla reintegra, pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, detratto quanto il lavoratore ha percepito per altre attività lavorative (c.d.
aliunde perceptum) e quanto avrebbe potuto percepire cercando con diligenza una nuova occupazione (c.d. aliunde percipiendum).
L’indennità non può superare l’importo di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto.
Ripresa del lavoro
Dopo l’ordine di reintegrazione il rapporto di lavoro si intende risolto se il lavoratore non riprende
servizio entro 30 giorni dall’invito datoriale (a meno che non eserciti la facoltà di chiedere l’indennità sostitutiva della reintegra).
Contributi
Il datore di lavoro deve pagare i contributi previdenziali e assistenziali dovuti dal giorno del licenziamento fino a quello di effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi legali ma senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
93
- segue contributivo tra la contribuzione che sarebbe stata versata se il rapporto fosse proseguito e quella
che è stata già accreditata al lavoratore per lo svolgimento di altre attività (se le gestioni previdenziali sono diverse, i contributi sono accreditati alla gestione cui era iscritto il lavoratore licenziato,
con addebito dei costi a carico del datore di lavoro).
Licenziamenti per motivi fisici (art. 18, comma 7, nuovo testo)
Definizione
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato per inidoneità fisica del lavoratore.
Presupposti per l’annullamento
Sono annullabili i licenziamenti intimati:
• inesistenza del motivo oggettivo addotto circa l’inidoneità fisica o psichica del lavoratore.
• in violazione dell’art. 2110 c.c.
Disciplina applicabile
Per questi casi si applica integralmente la disciplina prevista per il licenziamento disciplinare con
reintegra (comma 4).
Licenziamento disciplinare
b) senza reintegra (art. 18, comma 5, nuovo testo)
Presupposti per l’annullamento
Il giudice accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta
causa, per ragioni diverse da quelle che consentono la reintegra (insussistenza del fatto, illecito
punito espressamente con una sanzione conservativa).
Sanzione
Pagamento di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva di importo variabile tra 12 e 24 mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto.
L’indennità viene determinata calcolando l’anzianità del lavoratore, il numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro, le dimensioni dell’attività economica, il comportamento e le condizioni
delle parti; il Giudice deve motivare l’applicazione di tali criteri.
Licenziamento affetto da vizi formali (art. 18, comma 6, nuovo testo)
Presupposti per l’annullamento
Vizio di motivazione ai sensi dell’art. 2, comma 2, legge n. 604/1966.
Vizio della procedura disciplinare ai sensi dell’art. 7 dello Statuto o dell’art. 7 della legge n.
604/1966.
Sanzione
Pagamento di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva di importo variabile tra 6 e 12 mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto.
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
94
- segue Non c’è reintegra.
L’indennità viene calcolata in relazione alla violazione formale o procedurale commessa; il Giudice
deve motivare l’applicazione di tale criterio.
Conversione del licenziamento
Se il Giudice accerta che, oltre ai vizi formali, sussiste anche un vizio di giustificazione del licenziamento, applica le tutele previste dai commi 4, 5 o 7.
Licenziamento c.d. economico (art. 18, comma 7, nuovo testo, art. 7 legge n. 604/1996, nuovo testo)
Definizione
Licenziamento intimato per ragioni connesse all’andamento economico dell’impresa o per motivi
di carattere organizzativo.
Presupposti per l’annullamento
Il Giudice accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo.
Sanzione
Pagamento di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva di importo variabile tra 12 e 24 mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto.
L’indennità viene determinata calcolando l’anzianità del lavoratore, il numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro, le dimensioni dell’attività economica, il comportamento e le condizioni
delle parti; il Giudice deve motivare l’applicazione di tali criteri.
Inoltre, il Giudice deve tenere conto delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una
nuova occupazione, e del comportamento tenuto dalle parti nell’ambito della procedura di esame
preventivo.
Conversione
Se il licenziamento è “manifestamente infondato” si applica la disciplina del licenziamento disciplinare assistito da reintegra.
Se durante il giudizio emerge che il licenziamento era determinato da ragioni discriminatorie o
disciplinari, si applicano i relativi regimi sanzionatori.
Forma scritta. Il licenziamento deve essere comunicato al lavoratore in forma scritta, con
raccomandata con ricevuta di ritorno o con altro mezzo idoneo a certificare la data di ricevimento e nel caso del licenziamento disciplinare (che è sempre supportato da giusta causa)
deve altresì rispettare la procedura disciplinare di cui all’articolo 44 .
Norme del CCNL. Il CCNL del lavoro somministrato individua una serie di casi per la qualificazione del licenziamento per giusta causa (art. 45 lett. b) comma 4 CCNL); tali disposizioni
assumono particolare importanza, dopo la riforma dell’art. 18 e il rilievo che viene dato alle
norme collettive ai fini dell’approvazione del regime della reintegra nel posto di lavoro.
L’elencazione non può considerarsi esaustiva, potendo l’Agenzia considerare anche altri
comportamenti o condotte non elencati quali giusta causa di licenziamento (fermo restando
che – secondo le regole generali - l’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
95
giustificato motivo è a suo carico, tranne nel caso di licenziamenti impugnati perché considerati discriminatori: in questo caso l’onere della prova spetta al lavoratore).
IPOTESI DI GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO PREVISTE
DAL CCNL LAVORO SOMMINISTRATO (ART. 45 COMMA 4)
• recidiva nella non osservanza dell’obbligo di cui al quarto capoverso dell’art. 31;
• diverbio litigioso seguito da vie di fatto in servizio anche fra i dipendenti, che comporti nocumento o turbativa al normale esercizio dell’attività aziendale;
• insubordinazione verso i superiori, o verso il personale dell’impresa utilizzatrice incaricata del
coordinamento, accompagnata da comportamento oltraggioso;
• irregolare dolosa scritturazione o timbratura di schede di controllo delle presenze al lavoro;
• appropriazione nel luogo di lavoro di beni aziendali o di terzi;
• danneggiamento volontario di beni dell’APL / utilizzatrice o di terzi;
• esecuzione di lavoro nell’impresa per conto proprio o di terzi senza il permesso del soggetto
referente dell’impresa utilizzatrice;
• assenza ingiustificata per oltre tre giorni consecutivi o cinque nell’anno solare.
Motivi del licenziamento. L’Agenzia per il lavoro non può modificare le motivazioni che
hanno portato al licenziamento, una volta intimato, ma può invece modificare quelli che
sono i requisiti sostanziali dello stesso. Questo significa che se un lavoratore viene licenziato perché si assenta ripetutamente dal posto di lavoro senza motivazione, il datore di lavoro
può decidere che questo licenziamento è per giustificato motivo (e chiedere quindi il preavviso) e poi cambiare opinione e decidere che si tratta invece di una mancanza talmente grave da configurarsi come giusta causa. Non può invece dichiarare che il licenziamento, oltre
che per i motivi già detti, è intimato anche perché il lavoratore ha offeso il suo responsabile.
È sua facoltà intimare un secondo licenziamento per i nuovi motivi, ma non può modificare
le motivazioni iniziali.
Secondo il CCNL di settore, nella lettera di licenziamento (non disciplinare) non è necessario indicare i motivi che costituiscono la causa del licenziamento; va tuttavia considerato che
questa previsione deve ritenersi superata dalla legge n. 92/2012, che ha previsto l’obbligo di
inserire già nella lettera di licenziamento le motivazioni del recesso.
Nel caso in cui il lavoratore ritenga di essere stato ingiustamente licenziato può impugnare
il licenziamento nel termine di decadenza di 60 giorni dalla ricezione della comunicazione o
dai motivi, se non contenuti nella stessa. In questo caso la forma scritta dell’impugnazione è
richiesta ad substantiam.
Licenziamento per giustificato motivo. L’Agenzia per il lavoro – nell’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo – deve consentire al lavoratore di svolgere per intero il periodo di
preavviso o – nell’eventualità che ciò non sia possibile – deve corrispondere allo steso un’indennità di mancato preavviso per ogni giorno di mancato preavviso, calcolata sulla base del
reddito medio giornaliero degli ultimi 12 mesi , ivi inclusi i periodi di disponibilità (art. 30 CCNL
l avoro somministrato).
Licenziamento del lavoratore a termine. Nel caso di rapporto di lavoro a tempo determinato, il licenziamento può essere intimato solo in presenza di una giusta causa di recesso,
mentre nel caso di tempo indeterminato il recesso può essere supportato anche da giustificato motivo (art. 45 CCNL).
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
96
COMUNICAZIONE ALLA DTL DI LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO
raccomandata a/r
Spett.
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
Direzione Territoriale del Lavoro di …
e p.c.
Egregio Sig. / Gentile Sig.ra
…..................................................................
Oggetto: comunicazione ai sensi dell’art. 7, legge 15 luglio 1966, n. 604
Ai sensi e per gli effetti dell’art. 7, legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dall’art. 1, comma
40, legge 28 giugno 2012, n. 92, la scrivente società comunica l’intenzione di procedere al licenziamento del Sig. ...../ della Sig.ra……, attualmente alle dipendenze della società presso l’unità
produttiva di….. per giustificato motivo oggettivo.
Le ragioni che presiedono a tale decisione sono da identificarsi nel ….
Alla luce di quanto sopra, con la presente comunicazione la scrivente società chiede di essere
convocata presso codesta Direzione Territoriale del lavoro entro e non oltre 7 giorni dal ricevimento della presente per l’esperimento della procedura di conciliazione preventiva dinnanzi alla
Commissione Provinciale di Conciliazione di cui all’art. 410 c.p.c.
La società è disponibile a valutare l’adozione di eventuali misure di assistenza e ricollocazione del
lavoratore.
Ai fini della procedura di cui al cit. art. 7, la società dichiara di avere i requisiti dimensionali di cui
all’art. 18, 8° comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300.
Potete inviare la convocazione alla sede della società al seguente indirizzo:
Nel rimanere a disposizione per chiarimenti, porgiamo cordiali saluti
Data e firma
…...................................................................
Procedura in caso di mancanza di occasione di lavoro. L’art. 23 bis del CCNL del lavoro
somministrato disciplina lo scioglimento del rapporto di lavoro a tempo indeterminato in
caso di assenza di possibilità di ricollocazione.
La norma prevede l’obbligo in capo all’Agenzia per il lavoro - che appunto non possa più
mantenere alle proprie dipendenze per la mancanza di nuove occasioni di lavoro lavoratori
assunti a tempo indeterminato a scopo di somministrazione con un’anzianità di almeno 30
settimane (comprensive di eventuali periodi in disponibilità) - di informare preventivamente le
organizzazioni sindacali proprie e dei lavoratori, allo scopo di promuovere entro 15 giorni l’apertura di una procedura di confronto utile a definire tramite un accordo “percorsi di riqualificazione e continuità occupazionale, per una durata di 6 mesi” (7 in caso di lavoratori con più di 50
anni).
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
97
Durante tale periodo, ai lavoratori interessati sarà riconosciuta l’indennità di disponibilità (nella
misura minima prevista dalle norme – 700 € mensile – o nella maggior somma eventualmente
concordata nel contratto di lavoro), in parte a carico della stessa Agenzia, in parte della bilateralità.
Decorso il termine, la perdurante mancanza di occasioni di lavoro giustificherà il recesso
dal rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo, con la corresponsione da parte
dell’Agenzia dell’indennità di mancato preavviso.
Conciliazione preventiva obbligatoria. In tutti i casi di licenziamento per giustificato
motivo oggettivo intimato dai datori di lavoro aventi i requisiti dimensionali di cui al comma
8, art. 18, St. Lav. (comma 1, art. 7, legge 604/1966) deve essere applicata una procedura di
conciliazione preventiva, introdotta dalla legge n. 92/2012.
Il datore di lavoro che intenda licenziare un lavoratore per giustificato motivo oggettivo
dovrà inviare una comunicazione alla Direzione Territoriale del Lavoro (D.T.L.) del luogo dove
il lavoratore presta la sua opera e al lavoratore, contenente la dichiarazione di voler procedere
al licenziamento per motivi oggettivi e l’indicazione delle relative motivazioni. Il datore di lavoro dovrà indicare altresì le eventuali misure di assistenza e ricollocazione del lavoratore interessato (commi 1 e 2, art. 7, legge 604/1966)
Termine per l’espletamento della procedura. Entro 7 giorni (termine perentorio) dalla ricezione della richiesta, la DTL convocherà le parti dinnanzi alla competente commissione di
conciliazione territoriale (comma 3, art. 7, legge 604/1966). La convocazione della DTL si intende validamente effettuata se recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di
lavoro o altro domicilio che questi abbia comunicato la datore di lavoro, ovvero consegnata a
mani al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta (comma 4, art. 7, legge 604/1966).
Le parti potranno farsi assistere avanti alla commissione di conciliazione dalle OO.SS. cui
abbiano conferito mandato, da un rappresentante delle RSA/RSU, da un proprio legale di
fiducia ovvero da un consulente del lavoro (comma 5, art. 7, legge 604/1966).
Durante la procedura si esamineranno soluzioni alternative al recesso (comma 6, art. 7,
legge 604/1966). Non viene prevista pertanto la possibilità in tale sede di entrare nel merito
delle motivazioni a sostegno del licenziamento, avendo tale procedura l’unico scopo di valutare eventuali misure che possano evitare o attutire l’impatto del licenziamento, anche attraverso la promozione della risoluzione consensuale del rapporto.
La procedura si concluderà entro 20 giorni dal giorno in cui la D.T.L. ha trasmesso la
convocazione o anche prima se le parti di comune accordo riterranno di non dover proseguire la consultazione (comma 6, art. 7, legge 604/1966).
Esito della procedura. In caso di esito positivo della procedura che preveda la risoluzione
consensuale del rapporto, il lavoratore potrà avere accesso all’Aspi. Le parti potranno altresì
prevedere l’affidamento del lavoratore a un’agenzia di cui all’art. 4, comma 1, lett. a) e b), D.
Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 al fine di favorirne la ricollocazione professionale (comma 7,
art. 7, legge 604/1966).
In caso di mancato raggiungimento di un accordo per comune volontà delle parti o, in ogni
caso, decorso il termine di sette giorni senza che la D.T.L. abbia convocato le parti, il datore di
lavoro potrà intimare il licenziamento al lavoratore (comma 6, art. 7, legge 604/1966).
Comunicazione del licenziamento. La norma non specifica se la comunicazione del licenziamento possa essere inviata soltanto successivamente al decorso dei 20 giorni o anche pri-
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
98
ma qualora venga formalizzato un mancato accordo, facendo genericamente riferimento al
momento in cui “fallisce il tentativo di conciliazione”.
Nonostante la poco chiara definizione di un aspetto così rilevante, in sede di prima interpretazione sembra potersi affermare che il datore di lavoro potrebbe intimare il licenziamento
anche prima del decorso dei 20 giorni a seguito di un’intesa con il lavoratore sull’inutilità della prosecuzione delle trattative. Tuttavia, è bene considerare l’ipotesi più prudenziale nell’attesa che un definitivo orientamento si consolidi.
Comportamento delle parti. La norma introduce un riferimento al comportamento che
dovranno tenere le parti in sede di conciliazione, desumibile dal verbale redatto dalla commissione di conciliazione, nonché dalla proposta conciliativa da questa avanzata, il quale dovrà
essere valutato dal giudice in sede giudiziale ai fini della determinazione dell’indennità di cui
al comma 7, art. 18, St. Lav. e per la condanna alle spese ex artt. 91 e 92 c.p.c. (comma 8, art.
7, legge 604/1966).
Sospensione della procedura. La norma prevede che la procedura possa essere sospesa
per un massimo di 15 giorni soltanto nel caso di legittimo e documentato impedimento del
lavoratore a presenziare all’incontro presso la commissione provinciale di conciliazione (comma 9, art. 7, legge 604/1966).
Dirigenti. La procedura di conciliazione preventiva non si applica ai dirigenti.
CONCILIAZIONE PREVENTIVA PER LICENZIAMENTO ECONOMICO
contenuto
della comunicazione
svolgimento e termini
conclusione
ambito
di applicazione
Il licenziamento “economico” deve essere
preceduto da una comunicazione preventiva alla DTL dove ha
sede l’unita produttiva, con la quale il datore di lavoro:
• comunica l’intenzione di procedere al
licenziamento per
motivo oggettivo
• indica i motivi del licenziamento
• illustra le eventuali
misure di ricollocazione in favore del
dipendente
DTL convoca le parti
entro un termine di 7
giorni dalla comunicazione
Durante
l’incontro
presso la DTL le parti,
con l’eventuale assistenzadelle rispettive
associazioni sindacali,
o di un avvocato o di un
consulente del lavoro,
esaminano eventuali
soluzioni alternative al
recesso
La procedura si conclude entro 20 giorni
dalla data di invio della
convocazione ad opera
della DTL, salvo il caso
in cui le parti non chiedano una proroga per
arrivare ad un accordo
Il licenziamento può
essere intimato dopo
che è decorso il termine di conclusione della procedura o, in ogni
caso, se il tentativo di
conciliazione fallisce
Se la conciliazione si
conclude con la risoluzione consensuale del
rapporto, il lavoratore
ha diritto di accedere
all’ASPI; inoltre, le parti possono prevedere
l’attivazione di misure
di outplacement
Il licenziamento intimato al termine della
procedura ha efficacia
dal giorno di avvio della
procedura stessa, salvo
il diritto al preavviso o
Licenziamento
per
giustificato motivo oggettivo intimato da:
• datori di lavoro,
imprenditori o non
imprenditori,
che
nell’ambito
dello
stesso comune occupano più di 15 dipendenti
• imprese
agricole
che nel medesimo ambito territoriale
occupano
più di 5 dipendenti
• datori di lavoro che
occupano alle proprie dipendenze più
di 60 dipendenti sul
territorio nazionale
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
99
- segue Se il lavoratore ha un
legittimo impedimento,
la procedura può essere
sospesa per un massimo di 15 giorni
alla indennità sostitutiva, ma i giorni di lavoro
svolti si considerano
come preavviso lavorato (è fatto salvo l’effetto sospensivo delle
norme sulla maternità
e paternità e quello dovuto agli infortuni sul
lavoro)
Il comportamento tenuto dalle parti in sede
di procedura è valutato
dal Giudice ai fini della
determinazione dell’indennità
risarcitoria
spettante al lavoratore
a ai fin della quantificazione delle spese legali
Efficacia del licenziamento. La riforma Fornero ha previsto che il licenziamento intimato
all’esito della procedura di cui all’art. 7, St. Lav. ovvero all’esito della procedura di conciliazione preventiva ex art. 7, legge 604/1966, produrrà i suoi effetti retroattivamente dal giorno della
comunicazione con cui la procedura è stata avviata, salvo l’eventuale diritto del lavoratore al
preavviso o all’indennità sostitutiva ai fini del quale verrà computato anche il periodo di lavoro
svolto durante la procedura (art. 41, legge 28 giugno 2012, n. 92). L’effetto sospensivo si produrrà invece nei soli casi di maternità della lavoratrice e infortunio sul lavoro. La disposizione
rappresenta un correttivo all’impianto normativo originario volta ad evitare che il lavoratore
possa mettersi in malattia al fine di impedire il perfezionamento del licenziamento nelle more
della procedura di consultazione.
Licenziamento per superamento del periodo di comporto. Il CCNL del lavoro somministrato
prevede un periodo di comporto pari a 180 giorni nell’anno solare, trascorsi i quali l’Agenzia può
procedere al licenziamento del lavoratore per giustificato motivo oggettivo (art. 34 CCNL).
Nel silenzio del contratto, il periodo di comporto deve intendersi per sommatoria, ovvero
determinato come somma di tutte le assenze per malattia anche imputabili a eventi morbosi
distinti effettuate nel periodo di riferimento.
Il periodo di comporto può essere allungato – su richiesta scritta del lavoratore e in presenza di comprovate ragioni mediche, da dimostrare con idonea certificazione – attraverso la concessione di una aspettativa non retribuita fino ad un massimo di 120 giorni.
Per i lavoratori a tempo determinato, il periodo di comporto – così come l’aspettativa non
retribuita – si applicano limiti di durata del contratto.
Conciliazione preventiva e disciplina della mancanza di occasioni di lavoro. L’introduzione
della disciplina di conciliazione preventiva creare un’evidente sovrapposizione tra la procedura da applicarsi in via ordinaria quando il licenziamento si fonda su un giustificato motivo og-
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
100
Capitolo 6 - Contratto di lavoro in somministrazione
gettivo, e quella da applicarsi - in presenza della stessa ragione - al lavoratore somministrato.
Per evitare l’eccessivo appesantimento di questa fase - che rischia di essere composta da ben
due procedure, quella pubblica avanti alla DTL e quella sindacale avanti alle Commissioni
previste dal CCNL - sarebbe necessario e opportuno dare alla contrattazione collettiva la facoltà di accorpare la procedura legale in quelle eventualmente già esistenti.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 7
PARTI DEL CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE
E DIRITTI SINDACALI
7.1 Imprese utilizzatrici
Utilizzatore. Il contratto di somministrazione è un negozio commerciale mediante il quale
un soggetto (Agenzia per il lavoro autorizzata) si impegna a fornire prestazioni di lavoro rese
da suoi dipendenti ad un altro soggetto (utilizzatore).
Il soggetto che riveste la posizione di creditore delle prestazioni lavorative dei dipendenti
dell’Agenzia è, quindi, l’utilizzatore, in virtù del contratto stipulato con l’Agenzia, e non il datore di lavoro formale (l’Agenzia stessa).
CASSAZIONE N. 3020 DEL 27 FEBBRAIO 2003
Del resto, tra Agenzia e utilizzatore si determina una relazione definita di “co-datorialità” nei confronti del lavoratore. In altre parole, ruolo, diritti, doveri e responsabilità tipiche della posizione
datoriale nella somministrazione sono ripartite su due soggetti (un datore di lavoro “formale” –
l’Agenzia – ed il datore di lavoro “sostanziale” – l’utilizzatore); su tale concetto ha avuto occasione
di esprimersi anche la Suprema Corte rispetto all’istituto analogo del lavoro temporaneo
Qualsiasi soggetto privato può rivestire la posizione di utilizzatore, a meno che non ricada
in una delle situazioni di divieto che tuttavia non derivano dalla natura soggettiva dell’utilizzatore, ma da situazioni contingenti in cui esso si trova. La somministrazione potrà dunque essere stipulata tra un’agenzia ed un imprenditore, una società di persone o capitali, un’organizzazione di tendenza od un semplice privato.
PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
Le norme contenute nel D.Lgs. n. 276/2003 non si applicano nei confronti della pubblica amministrazione, salvo deroghe espresse. Una di queste deroghe riguarda proprio la somministrazione
di manodopera. Secondo quanto previsto dall’art. 86, comma 9, del D.Lgs. 276/2003, infatti, la
Pubblica Amministrazione può stipulare contratti di somministrazione a tempo determinato. La
relativa disciplina si applica con eccezione del regime sanzionatorio previsto dall’art. 27, comma 1, del decreto delegato, espressamente escluso. L’applicazione della somministrazione anche alla pubblica amministrazione rende necessario verificare la compatibilità della disciplina
comune al contratto commerciale e di lavoro con quella speciale prevista per il lavoro pubblico.
Proprio per tale ragione, è prevista la possibilità di un incontro con le organizzazioni sindacali
dei lavoratori pubblici per “esaminare i profili di armonizzazione conseguenti all’entrata in vigore
del presente decreto legislativo”, con possibile emanazione di provvedimenti legislativi in materia
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
102
Capitolo 7 - Parti del contratto di somministrazione e diritti sindacali
- segue (art. 86, comma 8, D.Lgs. 276/2003). Altra deroga è prevista dall’art. 20, comma 3, per l’ipotesi di
utilizzo di lavoratori in regime di staff leasing, per l’esecuzione di servizi di cura e assistenza alla
persona e di sostegno alla famiglia; per questa fattispecie, la legge precisa che il contrattosi può
stipulare in tutti i settori produttivi, compreso quello pubblico.
Esercizio dei poteri datoriali da parte dell’utilizzatore. In corrispondenza degli obblighi
del lavoratore vi sono i cosiddetti poteri del datore di lavoro: potere direttivo, di controllo e
disciplinare. Tuttavia, nel lavoro somministrato questi poteri non spettano per intero all’Agenzia per il lavoro, alla quale la legge riserva il potere disciplinare lasciando invece all’impresa utilizzatrice l’esercizio del potere direttivo e di controllo (principio della cosiddetta “codatorialità”). La ragione di tale suddivisione è ovvia: poiché la prestazione lavorativa si inserisce nel
contesto produttivo ed organizzativo dell’impresa utilizzatrice si rende necessaria una traslazione del potere organizzativo e direttivo dal titolare del rapporto giuridico a chi è nelle condizioni materiali di esercitare tali poteri. Sulla base dei medesimi presupposti, la legge (art. 26
D.Lgs. 276/2003) attribuisce al soggetto utilizzatore la responsabilità verso i terzi per i danni
eventualmenti cagionati dal lavoratore somministrato nello svolgimento delle mansioni assegnate. D’altro canto, non poteva invece attribuirsi il potere disciplinare ad un soggetto non legato da un vincolo contrattuale diretto al lavoratore somministrato, con il quale sussiste un
mero rapporto di fatto.
Limitazioni al potere direttivo e di controllo. L’impresa utilizzatrice deve esercitare questi
poteri con le medesime limitazioni previste per la generalità dei datori di lavoro, ed in particolare delle norme di cui al titolo I dello Statuto dei lavoratori, quali ad esempio:
SOMMINISTRAZIONE A TERMINE NEL SETTORE PUBBLICO
• il divieto di indagine sulle opinioni dei lavoratori e su fatti non rilevanti ai fini della valutazione
professionale dei lavoratori di cui all’art. 8 l . 300/1970;
• la libertà di opinione del lavoratore (art. 1 l. 300/1970), che implica il diritto dei lavoratori ad
esprimere nei luoghi di lavoro il proprio pensiero “nel rispetto dei principi della Costituzione
e delle norme della presente legge”. La libertà di opinione – laddove sia collegata ad attività
sindacale – deve essere esercitata nei limiti di cui all’art. 26 dello Statuto, ovvero senza pregiudicare l’attività lavorativa;
• il divieto di discriminazione del lavoratore in ragione della sua affiliazione sindacale, partecipazione ad uno sciopero, o legate al sesso, nazionalità, religione o affiliazione politica (art. 15 l.
300/1970);
• i limiti ai poteri di vigilanza (artt. 2, 3, 4 l. 300/1970). Al lavoratore somministrato – al pari dei
dipendenti dell’utilizzatore - devono essere comunicati i nominativi e le mansioni del personale
addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa, tra i quali non possono rientrarvi le guardie giurate
(che sono preposte invece alla tutela del patrimonio aziendale). Inoltre, laddove vi sia necessità
di installare impianti audio visivi per esigenze aziendali (es. contro i furti), è richiesto l’accordo
preventivo con le rappresentanze sindacali aziendali;
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 7 - Parti del contratto di somministrazione e diritti sindacali
103
- segue • il divieto di accertamenti sullo stato di salute del lavoratore (art. 5 l. 300/1970), anche in caso di
malattia o infortunio. I controlli – in caso di malattia – possono essere effettuati unicamente per
il tramite dei servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti;
• il divieto a procedere a visite personali di controllo sul lavoratore “fuorché nei casi in cui siano
indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti” (art. 6 l. 300/1970) In questo caso le visite
personali devono essere eseguite all’uscita dai luoghi di lavoro, con l’applicazione di sistemi di
selezione automatica e devono rispettare in ogni caso la dignità e riservatezza del lavoratore.
Potere disciplinare. L’irrogazione di sanzioni disciplinari presenta alcune peculiarità nel
rapporto di lavoro somministrato. Legittimata all’esercizio di questo potere è l’Agenzia per il
lavoro. L’impresa utilizzatrice gioca ugualmente un ruolo importante, in quanto è sulla base
delle informazioni fornite da quest’ultima che – nella maggior parte dei casi – traggono origine
i provvedimenti disciplinari. È lo stesso legislatore che chiama in causa questo terzo soggetto
quando richiede che “ai fini dell’esercizio del potere disciplinare che è riservato al somministratore, l’utilizzatore comunica al somministratore gli elementi che formeranno oggetto della contestazione ai sensi dell’articolo 7 della legge 20 maggio 1970 n. 300 “ (art. 23 comma 7 D.Lgs.
276/2003).
La comunicazione dell’utilizzatore è elemento indispensabile per l’attivazione di un procedimento disciplinare in tutti i casi in cui l’infrazione deriva da una condotta del lavoratore che
poteva da questi essere rilevata. Diversamente, quando l’omissione riguarda obblighi del lavoratore nei confronti dell’Agenzia, l’intervento dell’utilizzatore non è richiesto. Così, ad esempio,
per contestare un ritardo nella presa di servizio del lavoratore è richiesta la comunicazione
dell’utilizzatore che ne descriva luogo e fatto perché l’Agenzia possa legittimamente decidere di
iniziare un procedimento disciplinare (resta infatti a discrezione dell’Agenzia la decisione finale
se procedere o meno a contestare l’addebito al lavoratore). Diversamente, il lavoratore che
senza giustificato motivo non avverta entro 24 ore l’Agenzia per il lavoro di una sua assenza per
malattia o infortunio ( vedi art. 39 comma 1 CCNL lavoro somministrato) potrà essere da questa
sanzionato, anche in assenza di comunicazione da parte dell’utilizzatore.
Altro elemento di differenziazione nell’applicazione di provvedimenti disciplinari consiste
nel fatto che le infrazioni devono essere rilevate in primo luogo prendendo a riferimento il
CCNL dell’utilizzatore (anche se, come si è visto, sono altresì sanzionabili condotte del lavoratore che siano in contrasto con disposizioni del CCNL per i lavoratori somministrati). Il
comma 5 dell’art. 44 CCNL del lavoro somministrato riferisce, infine, le possibili sanzioni
applicabili.
Comunicazione affidamento di mansioni superiori. Nel caso in cui adibisca il lavoratore a
mansioni superiori o comunque a mansioni non equivalenti a quelle pattuite nel contratto di
somministrazione, l’utilizzatore deve darne immediata comunicazione scritta all’Agenzia per
il lavoro, consegnando copia di tale comunicazione al dipendente (art. 23, comma 6, D.Lgs. n.
276/2003). Ove non abbia adempiuto all’obbligo di informazione, l’utilizzatore risponde in via
esclusiva per le differenze retributive spettanti al lavoratore occupato in mansioni superiori e
per l’eventuale risarcimento del danno derivante dalla assegnazione a mansioni inferiori.
Informazione sui posti vacanti. Il D.Lgs. n. 24/2012, in aggiunta agli obblighi di informazione sindacale, ha posto a carico dell’utilizzatore un obbligo di informativa diretto ai lavoratori
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
104
Capitolo 7 - Parti del contratto di somministrazione e diritti sindacali
somministrati. Prevede infatti l’art. 7 bis del decreto che i lavoratori somministrati hanno diritto di essere informati dall’utilizzatore dei posti vacanti presso la sua azienda, affinché “possano aspirare, al pari dei dipendenti del medesimo utilizzatore, a ricoprire posti di lavoro a tempo
indeterminato“. La formulazione di legge è chiara: si tratta di un obbligo di trasparenza, che
non produce alcun diritto di precedenza ma, al contrario, ha la sola finalità di mettere i lavoratori somministrati in condizioni di concorrere a un posto a tempo indeterminato. La norma
precisa che le informazioni possono essere fornite mediante un avviso generale, da affiggere
all’interno dei locali dell’utilizzatore presso il quale i lavoratori prestano la loro opera.
La legge non individua una sanzione specifica per il mancato adempimento dell’obbligo; è probabile che la mancata informativa potrebbe dare luogo a rivendicazioni di natura risarcitoria, ma
solo in presenza di una prova rigorosa dell’effettiva perdita della chanche di concorrere al posto.
Responsabilità civile. L’art. 26 D.Lgs. n. 276/2003 pone in carico all’utilizzatore la responsabilità per i danni cagionati ai terzi dal lavoratore somministrato nell’esercizio delle sue mansioni. La norma, nei contenuti, coincide con quella dettata, più in generale, per la responsabilità dei padroni e committenti per i danni causati dal fatto illecito dei loro domestici e
commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti (art. 2049 c.c.). Il presupposto per
l’imputazione di questo tipo di responsabilità è l’esercizio delle mansioni previste dal contratto
di somministrazione; restano fuori dall’ambito di responsabilità dell’utilizzatore, quindi, i danni cagionati dal somministrato quando questo è a disposizione dell’Agenzia per il lavoro ed
opera nell’esclusivo interesse di questa.
7.2 Lavoratori
Requisiti per l’assunzione. Nell’ambito del negozio di somministrazione, accanto al contratto commerciale di somministrazione di manodopera stipulato tra l’utilizzatore e l’Agenzia
per il lavoro autorizzata allo svolgimento di tale attività, viene stipulato un contratto di lavoro
subordinato, che vede come parti l’Agenzia per il lavoro ed il lavoratore che dovrà dare esecuzione, mediante l’esecuzione delle proprie prestazioni in favore dell’utilizzatore, al contratto.
Tale contratto è soggetto alle regole ordinarie, per quanto concerne l’individuazione dei requisiti di assunzione.
Capacità lavorativa. Come accade nella generalità dei contratti di lavoro subordinato, il
lavoratore deve essere in possesso della capacità lavorativa, e cioè della capacità giuridica di
essere parte di un rapporto di lavoro. La capacità lavorativa si acquista al momento del raggiungimento dell’età minima per l’accesso al lavoro, fissata attualmente a sedici anni. Il minore che ancora non ha adempiuto l’obbligo scolastico può essere tuttavia autorizzato dalla DTL,
previa richiesta scritta dei soggetti titolari della potestà genitoriale, ad essere impiegato in
attività lavorative di carattere culturale, artistico, pubblicitario, di spettacolo o sportivo, a condizione che tali attività non pregiudichino la sicurezza, la salute, la crescita, l’istruzione e la
formazione del minore (art. 4, c. 2, legge n. 977/1967). In questi casi, l’art. 8 prevede l’esperimento di visite mediche – preventive e periodiche - volte ad accertare l’idoneità del minore allo
svolgimento dell’attività lavorativa. Il contratto di lavoro stipulato da un soggetto privo della
capacità lavorativa è affetto da nullità per illiceità dell’oggetto, in quanto il divieto di lavorare
prima del raggiungimento dell’età minima deve essere inteso anche come divieto di prevedere
come oggetto del contratto l’esecuzione di una prestazione di lavoro da parte del minore
sprovvisto di capacità lavorativa.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 7 - Parti del contratto di somministrazione e diritti sindacali
105
Lavoratori svantaggiati. La legge ricollega alcuni incentivi normativi all’utilizzo di lavoratori svantaggiati quali, in particolare, l’esenzione dall’obbligo di redigere la causale e la possibilità di utilizzare il meccanismo di workfare disciplinato dall’art. 13 D.Lgs. n. 276/2003 (che,
tuttavia, con le modifiche apportate dalla riforma Fornero, che ha escluso la possibilità di
deroghe al principio della parità ti trattamento retributivo, ha perso gran parte della propria
capacità incentivante).
La nozione di lavoratori svantaggiati può essere ricavata dall’art. 2, nn. 18 e 19, del Regolamento CE n. 800/2008, che include chiunque si trovi in una delle seguenti situazioni: (i) sia
privo di impiego regolarmente retribuito da 6 mesi; (ii) sia in possesso di diploma di scuola
media inferiore; (iii) abbia più di 50 anni; (iv) viva da solo con almeno una persona a carico;
(v) sia occupato in un settore o professione con tasso di disparità uomo-donna superiore del
25% al tasso medio e appartenga al genere sottorappresentato; (vi) sia membro di una minoranza nazionale; (vii) disoccupato da 24 mesi (in questi casi si parla di lavoratori “molto
svantaggiati”).
Trattamento dei dati personali dei lavoratori. La necessità di un limite giuridico nell’utilizzo delle informazioni assume un rilievo primario in una società come quella attuale in cui i
mezzi tecnologici rendono molto facile il trattamento e la diffusione incontrollata dei dati. La
tendenza a regolamentare la circolazione delle informazioni personali scaturisce dalle evoluzioni concettuali che ha avuto il concetto di riservatezza che non può limitarsi al riduttivo diritto di essere lasciati soli, ma si espande nel diritto di controllare la circolazione delle informazioni personali. Partendo dalla considerazione che ciò che è privato non è necessariamente
segreto, si è andata sviluppando, prima a livello teorico e poi a livello normativo (con l’approvazione della legge 31 dicembre 1996, n. 675, oggi confluita nel Testo Unico in materia trattamento dei dati personali, D.Lgs. 30 luglio 2003, n. 196, c.d. Codice Privacy), una nozione
di riservatezza il cui elemento chiave è la possibilità per il titolare dell’informazione di controllare le modalità della sua circolazione e del suo utilizzo.
Trattamento dati e Agenzie per il lavoro. L’art. 8 del D.Lgs. n. 276/2003 disciplina le modalità di trattamento dei c.d. dati sensibili da parte degli operatori professionali, previste in via
generale dal Codice Privacy. La norma prevede che le Agenzie per il lavoro e gli altri operatori
pubblici e privati autorizzati o accreditati debbano assicurare ai lavoratori il diritto di indicare
i soggetti o le categorie di soggetti ai quali i propri dati possono essere comunicati; gli operatori devono attenersi a queste indicazioni, garantendo che non venga superato l’ambito di diffusione indicato dal lavoratore. Tale disposizione pone, in particolare, pone un duplice obbligo
per le Agenzie per il lavoro.
Il primo obbligo è diretto ad assicurare ai lavoratori il diritto di indicare i soggetti o le categorie di soggetti ai quali i propri dati devono essere comunicati; il tal modo, si riconosce al
lavoratore stesso la facoltà di scegliere l’ambito di diffusione dei dati che lo riguardano.
La seconda prescrizione pone, correlativamente alla prima, l’obbligo per l’operatore professionale di rispettare l’ambito di diffusione dei dati indicato dai lavoratori stessi.
La norma non individua esplicitamente quali sono i dati oggetto della tutela, ma chiaramente questi vanno individuati nei dati personali attinenti alle attitudini professionali dei lavoratori ed al loro inserimento lavorativo.
Le modalità di trattamento dei dati personali sono stabilite da un apposito decreto del Ministero del lavoro, che individua le informazioni che possono essere comunicate e diffuse tra
gli operatori e le modalità attraverso le quali deve essere data al lavoratore la possibilità di
esprimere le preferenze relative alla comunicazione e alla diffusione dei dati.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
106
Capitolo 7 - Parti del contratto di somministrazione e diritti sindacali
Il titolare del trattamento è quella figura (che può consistere tanto in una persona fisica che
giuridica) che ha competenza a decidere sulle finalità e sulle modalità di trattamento dei dati.
In un sistema nel quale confluiscono le informazioni di più soggetti ed operatori, le opzioni
connesse alla scelta del titolare del trattamento sono diverse.
Tutela della riservatezza e diritto al lavoro. Gli obblighi previsti dall’art. 8 sono accompagnati dal richiamo alla necessità di dare “… pieno soddisfacimento del diritto al lavoro di cui
all’articolo 4 della Costituzione.”. Il richiamo all’art. 4 sembra, in questo contesto, finalizzata a
stabilire un ordine di priorità tra diversi beni giuridici – la tutela della riservatezza ed il diritto
al lavoro – che in alcune circostanze potrebbe venire in conflitto tra loro.
Così, ogni volta che il lavoratore offrirà la propria disponibilità ad una ampia circolazione
dei propri dati personali, il richiamo ex art. 4 Cost. consentirà di escludere problemi di compatibilità con la normativa posta a tutela della riservatezza. La norma non individua esplicitamente quali dati sono oggetto della tutela, ma chiaramente questi vanno individuati nei dati
personali attinenti alle attitudini professionali dei lavoratori ed al loro inserimento lavorativo
(come previsto, indirettamente, nel successivo art. 10).
Trasparenza delle comunicazioni. L’art. 9, D.Lgs. n. 276/2003, mira a garantire la trasparenza delle informazioni che circolano sui mezzi di comunicazione, in tutte le loro possibili
forme; la legge individua in maniera molto estensiva la nozione di mezzi di comunicazione, in
quanto fa rientrare in essa la stampa, internet, la televisione e, utilizzando una formulazione
potenzialmente omnicomprensiva, tutti gli “altri mezzi di informazione”. La norma prescrive
che tutte le comunicazioni, in qualunque forma effettuate, relative ad attività di ricerca e selezione del personale, ricollocazione professionale, intermediazione o somministrazione non
possono essere effettuate in forma anonima. Allo stesso tempo, le medesime informazioni
non possono essere effettuate da intermediari, pubblici o privati, sprovvisti di autorizzazione o
di accreditamento all’incontro tra domanda e offerta di lavoro; restano invece fuori dal divieto
e comunicazioni aventi ad oggetto ricerche svolte direttamente dal potenziale datore di lavoro
o da soggetti facenti parte del medesimo gruppo di imprese. Il comma 2 prescrive inoltre l’obbligo di indicare gli estremi del provvedimento di autorizzazione o di accreditamento in tutte le
comunicazioni; anche in questo caso, la norma ha una portata omnicomprensiva, che va dalle
inserzioni pubblicitarie sino alla corrispondenza epistolare ed elettronica. Infine, è previsto
l’obbligo di allegare agli annunci pubblicati su quotidiani e periodici o mediante reti di comunicazione elettronica un facsimile dell’informativa prevista dall’articolo 13 del Codice Privacy,
o in alternativa di indicare il sito internet attraverso il quale è possibile scaricare tale modello.
Divieto di indagini sulle opinioni e di trattamenti discriminatori. L’art. 10 D.Lgs. n.
276/2003 pone un ampio divieto di ogni pratica discriminatoria nello svolgimento dell’attività
di mediazione. In particolare, la norma vieta le indagini ed il trattamento dei dati dei lavoratori rispetto ad una serie di informazioni che esulano dagli elementi indispensabili per valutare
le rispettive inclinazioni professionali. La norma vieta, in particolare, indagini e trattamenti dei
dati dei lavoratori relativi “alle convinzioni personali, alla affiliazione sindacale o politica, al
credo religioso, al sesso, all’orientamento sessuale, allo stato matrimoniale o di famiglia o di
gravidanza, all’età, all’handicap, alla razza, all’origine etnica, al colore, alla ascendenza, all’origine nazionale, al gruppo linguistico, allo stato di salute, nonché a eventuali controversie con
i precedenti datori di lavoro”. Sono previste deroghe al divieto di assunzione di informazioni
solo quando le informazioni abbiano ad oggetto “caratteristiche che incidono sulle modalità di
svolgimento dell’attività lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai
fini dello svolgimento” della stessa. Infine, va ricordato che l’articolo 10, comma 2, prevede che
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 7 - Parti del contratto di somministrazione e diritti sindacali
107
le disposizioni di cui al c. 1 non possono “…in ogni caso…” impedire ai mediatori professionali
“..di fornire specifici servizi o azioni mirate per assistere le categorie di lavoratori svantaggiati
nella ricerca di una occupazione”. Questa norma presuppone che in caso di possibile conflitto di
due beni giuridici come il diritto a non rivelare informazioni personali e quello al lavoro si debba operare un bilanciamento in favore del secondo.
Divieto di oneri in capo ai lavoratori. L’art. 11, D.Lgs. n. 276/2003 dispone che “è fatto divieto ai soggetti autorizzati o accreditati di esigere o comunque di percepire, direttamente o indirettamente, compensi dal lavoratore”. La norma tuttavia prevede la possibilità di derogare al principio. I contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro
comparativamente più rappresentative a livello nazionale o territoriale possono stabilire delle
deroghe “..per specifiche categorie di lavoratori altamente professionalizzati o per specifici servizi offerti dai soggetti autorizzati o accreditati”. È il caso di ricordare che il divieto di percepire
oneri per l’attività di mediazione si esplica nella sola direzione del lavoratore, mentre resta
libera la possibilità di percepire compensi dai datori di lavoro.
7.3 Obblighi del lavoratore somministrato
Premessa. Stante la peculiarità del rapporto di lavoro somministrato – nel quale il lavoratore si trova a rispondere del suo operato a due soggetti, da un lato l’Agenzia per il lavoro e
dall’altro l’impresa utilizzatrice - anche i tipici obblighi a cui è soggetto il lavoratore subordinato si adattano alla struttura trilaterale del rapporto. Il rapporto di lavoro infatti non si esaurisce nel semplice scambio di lavoro contro retribuzione, ma è caratterizzato dall’insorgere di
una serie di diritti ed obblighi delle parti, finalizzati a garantire ai soggetti coinvolti il soddisfacimento dei propri interessi (interesse commerciale per l’Agenzia per il lavoro, corretto svolgimento della prestazione lavorativa per l’impresa utilizzatrice e adeguato trattamento economico e normativo per il lavoratore somministrato). Il corretto adempimento della prestazione
lavorativa del lavoratore somministrato è infatti finalizzato al duplice scopo di consentire il
corretto inserimento nel contesto produttivo aziendale dell’utilizzatore e di ottenere una prestazione soddisfacente tale da consentire all’Agenzia per il lavoro di mantenere un buon rapporto commerciale con il suo cliente.
Obblighi tipici del lavoro subordinato. I riferimenti normativi degli obblighi contrattuali
intrinseci nel rapporto di lavoro somministrato sono i medesimi applicabili al rapporto di lavoro subordinato tout court, ovvero gli artt. 2104, 2105 c.c., i quali possono sinteticamente essere
riassunti come segue.
Obbligo di diligenza. Il lavoratore è tenuto a svolgere la propria prestazione usando la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta (ciò implica che questa sarà riferita alla
natura delle mansioni affidate al lavoratore) e dall’interesse dell’impresa (ovvero alle particolari esigenze in cui il rapporto di lavoro si inserisce). L’art. 2104 c.c. fa riferimento ad un terzo
parametro, l’interesse superiore della produzione nazionale, che deve però ritenersi abrogato
con la fine dell’ordinamento corporativo.
Il corretto adempimento all’obbligo di diligenza sarà valutato in primis dall’impresa utilizzatrice, la quale – in virtù del potere di direzione e controllo a lei assegnato – verificherà l’operato del lavoratore, ma sarà sanzionabile anche il comportamento non diligente del lavoratore
somministrato sia nel caso in cui venga meno ai propri obblighi verso l’Agenzia per il lavoro.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
108
Capitolo 7 - Parti del contratto di somministrazione e diritti sindacali
ART. 44, COMMI 1 E 4, CCNL AGENZIE PER IL LAVORO
1. Il lavoratore temporaneo è tenuto a rispettare le disposizioni previste dai contratti collettivi e
dai regolamenti delle imprese utilizzatrici, a norma dell’art. 7 della legge n. 300 del 20/5/1970 e
dall’art. 20, comma 2, D.Lgs. 276/2003. “4. Il lavoratore deve svolgere con assiduità e diligenza i
compiti assegnati, deve osservare scrupolosamente l’orario di lavoro, nonché conservare la più
assoluta riservatezza sui dati e sui fatti di cui viene a conoscenza.
Obbedienza. Il lavoratore è tenuto ad osservare le disposizioni a lui impartite dall’impresa
utilizzatrice che svolge in questo caso la funzione del datore di lavoro. Pertanto, il lavoratore
dovrà seguire le indicazioni fornite dal titolare dell’impresa o dai suoi collaboratori, anche al
fine di consentire il suo inserimento all’interno del contesto produttivo aziendale.
Fedeltà. Il lavoratore si obbliga a non “trattare affari per conto proprio o di terzi in concorrenza con l’imprenditore, né a divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione
dell’impresa o farne uso in modo da arrecare ad essa pregiudizio” (art. 2105 c.c.). Questo obbligo
si sostanzia nei fatti in due distinti obblighi, un obbligo di non concorrenza (che permane fintanto che dura il rapporto di lavoro) e un obbligo di riservatezza, a tutela del segreto aziendale.
L’interesse protetto in questo caso è quello dell’impresa utilizzatrice, a cui la condotta non
conforme al disposto dell’art. 2105 c.c. arrecherebbe pregiudizio. Il lavoratore somministrato
è tenuto altresì ad una condotta corretta e al rispetto del segreto professionale anche nei confronti dell’Agenzia per il lavoro.
7.4 Diritti sindacali
Disciplina legale. Nel caso della somministrazione di manodopera la fruizione dei diritti
sindacali deve necessariamente tenere conto della sostanziale scissione tra il datore di lavoro
formale ed il soggetto che esercita il potere direttivo; secondo un’impostazione formale, verso
questo ultimo – proprio in quanto non assume la veste di datore di lavoro – non sarebbe configurabile un’attività sindacale del lavoratore somministrato.
Per valorizzare le esigenze di adeguata tutela sindacale a tali ipotesi, l’art. 24, comma 1 ,
del D.Lgs. n. 276/2003, riprendendo formulazioni analoghe a quelle contenute nella legge n.
196/1997, riconosce ai “lavoratori delle società o imprese di somministrazione e degli appaltatori” i diritti sindacali previsti dalla legge 20 maggio 1970, n. 300.
La norma non accompagna questa enunciazione di principio con specificazioni utili ad individuare le modalità con cui i lavoratori possono costituire, nel caso di somministrazione a
tempo indeterminato, rappresentanze sindacali aziendali presso la sede dell’Agenzia per il
lavoro da cui dipendono e presso l’effettivo utilizzatore.
Nel silenzio della legge, è da ritenere che, salvo il caso in cui non sussista una disciplina
collettiva, le rappresentanze sindacali sono costituite presso l’Agenzia datrice di lavoro, ma
nel caso in cui un gruppo di più di 15 lavoratori sia impiegato stabilmente presso un’impresa
utilizzatrice essi possano, ai sensi dell’art. 35 dello Statuto dei lavoratori, costituire le proprie
rappresentanze nel luogo abituale di lavoro.
Diritto di assemblea. I commi 2 e 3 del medesimo articolo riconoscono ai lavoratori somministrati il diritto di assemblea, esercitabile sia presso la sede del datore di lavoro formale
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 7 - Parti del contratto di somministrazione e diritti sindacali
109
(l’Agenzia), con le modalità individuate dalla contrattazione collettiva, sia presso l’impresa utilizzatrice, mediante la partecipazione alle “…assemblee del personale dipendente …” dello
stesso utilizzatore. La norma, analogamente a quanto accade per il distacco, dove si profila un
problema analogo, non disciplina il trattamento economico connesso alla partecipazione alle
predette assemblee; è ragionevole ritenere che resti fermo quanto previsto dall’art. 20 dello
Statuto dei lavoratori (dieci ore annue retribuite), con la particolarità che le ore potranno essere fruite a scelta del lavoratore per partecipare alle assemblee presso il somministratore o
l’utilizzatore.
Obblighi di informazione. Il 4 comma, infine, ribadisce gli obblighi dell’utilizzatore di informazione circa il ricorso alla somministrazione di manodopera (numero di contratti e motivi di
ricorso) nei confronti delle rappresentanze sindacali unitarie o aziendali o, in mancanza, nei
confronti delle associazioni sindacali territoriali aderenti alle confederazioni maggiormente
rappresentative sul piano nazionale; gli obblighi di informativa hanno duplice natura, sia preventiva (obbligo di comunicare il numero e i motivi del ricorso alla somministrazione di lavoro)
che consuntiva (obbligo di comunicare il numero e i motivi dei contratti di somministrazione di
lavoro conclusi, la durata degli stessi, il numero e la qualifica dei lavoratori interessati), in
quest’ultimo caso con cadenza annuale.
Diritti di informazione. L’art. 1 del CCNL Agenzie per il lavoro prevede l’obbligo per le parti
stipulanti di effettuare un esame congiunto del quadro economico e normativo del settore,
delle sue dinamiche strutturali e delle prospettive di sviluppo di norma entro il primo semestre di ogni anno, o comunque su richiesta di una delle parti stipulanti. Nel corso dell’incontro
saranno oggetto di informazioni e di esame congiunto i seguenti argomenti:
- lo stato e la dinamica qualitativa e quantitativa dell’occupazione sull’intero settore;
- la formazione e la riqualificazione professionale;
- le necessità dei comparti e dei settori nonché le prevedibili evoluzioni degli stessi e i modelli organizzativi idonei alle Agenzie per il lavoro. Il comma 4 della norma prevede l’obbligo per
le Agenzie per il lavoro di informare le organizzazioni sindacali firmatarie del contratto, della
stipulazione dei contratti di somministrazione, presso il medesimo utilizzatore, di consistenza numerica pari o superiore a 20 lavoratori. Tale informazione verrà fornita entro il termine
di 5 giorni dalla stipulazione del contratto di somministrazione.
Rappresentante nazionale di Agenzia. L’art. 16 del CCNL istituisce una nuova rappresentanza sindacale a livello nazionale che possa dialogare e consultarsi direttamente con l’Agenzia per
il lavoro in merito alla situazione economica e congiunturale. Tale forma di rappresentanza trova
una articolazione territoriale ed aziendale, in modo da creare un sistema di relazioni sindacali
strutturato secondo i diversi livelli in cui sono strutturare le organizzazioni stipulanti.
Relazioni Sindacali Territoriali. L’art. 2 del CCNL, con una previsione molto innovativa per
il settore, delinea la costruzione di un sistema di relazioni sindacali territoriali. A tal fine, si
prevede l’istituzione di organismi denominati Commissioni Sindacali Territoriali. A tali organismi sono affidati i seguenti compiti:
- confronto sulle informazioni di cui all’articolo 1;
- competenza ad esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione relativo alle controversie di
lavoro;
- elaborazione di proposte relativamente alla programmazione nazionale delle iniziative formative e sul miglioramento delle prestazioni degli enti bilaterali.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
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Capitolo 7 - Parti del contratto di somministrazione e diritti sindacali
Bilateralità. Accanto alle norma sopra descritte, il CCNL (art. 3 e ss.) costruisce un articolato sistema di organismi bilaterali, che vengono individuati come sedi privilegiate di confronti ed osservazione degli andamenti del mercato e delle relazioni industriali. Tali commissioni,
divise per materia (Commissione Osservatorio Nazionale e Comunicazione, Commissione Paritetica Nazionale, Commissione Paritetica Nazionale per l’Igiene e la Sicurezza sul Lavoro,
Commissione per le Pari Opportunità, Commissione Prestazioni) sono composte ciascuna da
sei membri, dei quali tre designati dalla associazione datoriale e tre designati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori firmatarie del contratto.
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Capitolo 8
SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO: ASPETTI SANZIONATORI
8.1 Divieto di interposizione fittizia di manodopera
Dalla legge n. 1369/1960 alla riforma Biagi. La legge n. 1369/1960 sanciva il divieto di
qualsiasi forma di interposizione nelle prestazioni di lavoro. La rigidità del divieto di interposizione di manodopera ha subito una prima corposa deroga a livello normativo con l’approvazione della legge 24 giugno 1997, n. 196, la quale ha riconosciuto, in particolari condizioni ed a
particolari soggetti, la possibilità di stipulare un contratto avente ad oggetto la fornitura di
prestazioni di lavoro temporaneo (c.d. lavoro interinale). Con questo intervento normativo si
concretizza una mutata concezione del fenomeno interpositorio, e sposta a livello sistematico
il momento essenziale della sua illiceità; in particolare, al contrario di quanto accade nella
legge n. 1369/1960, il fenomeno non viene più considerato illecito a priori, ma solo quando in
ragione della natura, autorizzata o “abusiva”, dell’intermediario stesso. Tale intervento ha
tuttavia una portata limitata, in quanto la sua applicazione è limitata al fenomeno specifico (il
lavoro interinale) che regola.
Solo con il D.Lgs. n. 276/2003 la legge n. 1369/1960 viene definitivamente abrogata, e si
opera una complessiva riforma della disciplina delle diverse forme con cui si realizza il lavoro
“decentrato” (appalto, distacco, fornitura di manodopera). Tuttavia, sarebbe affrettato concludere che con l’abrogazione della legge n. 1369 sia scomparso nel nostro ordinamento il divieto
di interposizione di manodopera. Un’osservazione attenta consente di rilevare che esso sopravvive anche nel nuovo sistema, ma assume una valenza diversa, in quanto viene rovesciata
l’impostazione sistematica che caratterizzava la legge n. 1369/1960.
La sopravvivenza del divieto è ben visibile nella conferma del regime civilistico e penalistico previgente ai casi di violazione della disciplina della mediazione privata e nei rapporti di
lavoro (cfr. artt. 18-19 del D.Lgs. n. 276/2003).
Le fattispecie cui si applica il regime sanzionatorio previgente coincidono, nei loro elementi
costitutivi, con le ipotesi sanzionate dall’art. 1 della legge 1369/1960, che puniva colui che violava
il divieto di affidare in appalto o in subappalto (o in altre forme atipiche) l’esecuzione di mere
prestazioni di lavoro mediante l’impiego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore.
Così, l’art. 18 del D.Lgs. 276/2003, seguendo la medesima impostazione, considera illecito
(sia sotto il profilo civile sia sotto quello penale) l’esercizio non autorizzato dell’attività di somministrazione e l’utilizzazione di mere prestazioni di manodopera fornite da soggetto non autorizzato; allo stesso modo, gli artt. 27 e 28 approntano specifiche sanzioni civili e penali per i casi di
somministrazione e fraudolenta. Ciò significa che, anche dopo l’abrogazione della legge n.
1369/1960, la fornitura a terzi di mere prestazioni di lavoro è lecita se effettuata da soggetti autorizzati e nei casi e secondo le modalità di legge, mentre resta illecita se effettuata al di fuori di
tali condizioni.
Ma allora si può concludere che tutto è cambiato affinché nulla cambiasse? Una risposta
affermativa sarebbe semplicistica. L’effetto, non di poco conto, dell’abrogazione della legge n.
1369/1960 non riguarda il divieto di interposizione, che abbiamo visto essere sopravvissuto,
quanto la sua estensione, notevolmente ridotta nella nuova impostazione.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
112
Capitolo 8 - Somministrazione di lavoro: aspetti sanzionatori
Il divieto, considerata la contemporanea riformulazione in senso estensivo della disciplina
dell’appalto e di quella della somministrazione di manodopera, perde i caratteri di generalità
che aveva nel sistema della legge n. 1369/1960, ma diventa applicabile solo a ipotesi specifiche.
Rispetto alla fornitura di mere prestazioni di lavoro, esso opera, secondo la logica già introdotta dalla legge n. 196/1997, quando questa sia realizzata senza rispettare le forme (es. possesso dell’autorizzazione) o le condizioni (es. rispetto delle causali previste per la somministrazione) previste dalla legge.
Rispetto agli appalti che presentano una netta prevalenza delle prestazioni di lavoro sui
mezzi impiegati, esse perde il carattere di sanzione automatica, ma si applica solo a quelle
ipotesi in cui l’assenza di mezzi ed organizzazione costituisca un indice di illiceità del contratto.
Se prima della riforma, le possibili fattispecie interpositorie potevano essere ascritte a tre
diverse aree - la fornitura lecita di manodopera, ai sensi della legge n. 196/1997, l’appalto o il
distacco lecito, l’interposizione illecita - con il D.Lgs. n. 276/2003, resta inalterato questo schema, ma l’area prima occupata dal lavoro interinale diventa, nella nuova veste della somministrazione, più estesa, così come quella degli appalti assume confini più solidi.
Sarebbe quindi errato ritenere che l’abrogazione della legge n. 1369/1960 abbia avuto l’effetto di liberalizzare la attività di fornitura di lavoro altrui, o abbia determinato il superamento
del principio generale che richiede la necessaria coincidenza tra il datore di lavoro formale e
l’effettivo utilizzatore delle prestazioni; semplicemente, cambiano i rapporti tra il divieto di
interposizione, che “copre” un’area meno vasta rispetto al passato, e le ipotesi di interposizione lecita, che abbraccia situazioni oggettive e soggettive ben più ampia rispetto al passato, sia
a quello prossimo (legge n. 196/1997) sia a quello più remoto (legge n. 1369/1960).
Articolazione delle fattispecie sanzionatorie. Il combinato disposto dell’abrogazione della
legge n. 1369/1960 e del contestuale recupero del sistema sanzionatorio per i casi di somministrazione, appalto e distacco illecito non fa venire meno il divieto d’interposizione, in quanto
resta un principio cardine del nuovo regime sanzionatorio il divieto di dissociazione, fuori dai
casi consentiti, tra titolarità del rapporto di lavoro e prestazione lavorativa. Tuttavia, cambia
notevolmente la tecnica normativa con cui il divieto viene posto, in quanto esso viene meno
come divieto esplicito ma diventa lo specchio negativo di tutte le ipotesi in cui la somministrazione sia realizzata fuori dalle forme previste dalla legge; in altri termini, il legislatore non
definisce esplicitamente la fattispecie della “interposizione illecita”, ma la ricostruisce a contrario definendo i casi e le condizioni che rendono lecita la somministrazione.
Il principio cardine del nuovo sistema è quello secondo cui la somministrazione di manodopera è effettuabile lecitamente soltanto da parte dei soggetti a ciò esplicitamente autorizzati dall’ente pubblico investito di tale funzione (vale a dire il Ministero del lavoro o, per la
sola intermediazione, anche le Regioni), ed alle condizioni previste dalla legge.
Fuori di questi casi, tutte le ipotesi in cui la messa a disposizione di prestazioni di lavoro in
favore di un terzo avvenga senza i requisiti e le forme previsti dalle discipline della somministrazione, dell’appalto o del distacco rifluiscono nell’apparato sanzionatorio disciplinato dagli
artt. 27 e 18 del D.Lgs. n. 276/2003.
La complessa opera di trasposizione del vecchio regime sanzionatorio all’interno del
nuovo contesto normativo determina un sistema graduale di fattispecie sanzionatorie, che
parte dalla somministrazione irregolare di cui all’art. 27, comma 1, passando per la somministrazione abusiva di cui all’art. 18, comma 1, fino alla fattispecie più grave di somministrazione fraudolenta.
La fattispecie della somministrazione irregolare (art. 27) ricorre nel caso in cui la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 20 e 21;
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 8 - Somministrazione di lavoro: aspetti sanzionatori
113
tale fattispecie diventa così il momento nel quale rifluiscono tutte le ipotesi di somministrazione realizzata senza i requisiti formali e sostanziali previsti dalla legge.
Il verificarsi della fattispecie comporta la facoltà per il lavoratore di chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha
utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione.
Una seconda fattispecie sanzionatoria è quella dell’esercizio non autorizzato (art. 18, comma 1), che si verifica in caso di svolgimento da parte di un soggetto non autorizzato delle attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale e supporto alla
ricollocazione professionale; la violazione trova inoltre un inevitabile corrispondente nella fattispecie di utilizzazione illecita (art. 18, comma 2), posta in essere da chi che utilizza la manodopera somministrata da un soggetto privo dei requisiti di legge; tale fattispecie mantiene una
sua autonomia dalla somministrazione abusiva, in quanto la sua realizzazione presuppone in
ogni caso il dolo dell’utilizzatore.
I soggetti che pongono in essere l’esercizio non autorizzato o l’utilizzazione illecita sono
puniti con una sanzione penale di tipo contravvenzionale, variabile in ragione della gravità
qualitativa e quantitativa delle violazioni. Inoltre, nei confronti di entrambi il lavoratore può
promuovere l’azione diretta a chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze
dell’utilizzatore.
La terza ed ultima fattispecie sanzionatoria è quella della somministrazione fraudolenta (art.
28), che si verifica quando la somministrazione posta in essere con la specifica finalità di eludere
norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore. Nel caso in cui si verifichi la fattispecie, il somministratore e l’utilizzatore, in aggiunta alle altre sanzioni civili e penali,
sono soggetti ad una ammenda variabile in ragione dell’entità della violazione commessa.
Le tre distinte fattispecie sono articolate secondo un ordine di gravità, dalla meno grave –
la somministrazione irregolare – a quella più grave – la somministrazione fraudolenta, passando per quella intermedia dell’esercizio non autorizzato; ciascuna di loro ha presupposto
autonomi e dà luogo a sanzioni di natura ed entità diversa, e pertanto è concepibile la loro
concorrenza.
8.2 Somministrazione irregolare
Nozione. La fattispecie della somministrazione irregolare ricorre ogni volta che il contratto venga stipulato al di fuori dei casi ammessi dalla legge (es. in mancanza delle esigenze
tecniche, organizzative e produttive, per la forma a tempo determinato, o in un settore non
previsto tra quelli individuati dalla legge, per la forma a tempo indeterminato) o comunque
senza il rispetto dei requisiti di forma da questa previsti (es. in assenza della forma scritta).
In particolare, la violazione si concretizza qualora la somministrazione sia realizzata in una
delle seguenti ipotesi:
• in mancanza di autorizzazione (ipotesi, questa, sanzionata anche penalmente ex art. 18);
• per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
114
Capitolo 8 - Somministrazione di lavoro: aspetti sanzionatori
- segue • salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi, che abbiano riguardato lavoratoriadibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione ovvero presso unità
produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario,
con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle stesse
mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione;
• da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi del D.lgs. n.
81/2008;
• in assenza di forma scritta;
Sanzioni. La somministrazione irregolare, al contrario dell’esercizio abusivo e della somministrazione fraudolenta, non è coperta da una sanzione penale, e produce effetti solo sul piano
dei rapporti tra le parti. In particolare, in tutte le ipotesi di somministrazione irregolare il lavoratore ha facoltà di chiedere, ex art. 414 c.p.c. e mediante ricorso giudiziale, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, “la costituzione di un rapporto di lavoro alle
dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione” (art. 27 comma 2).
Il riferimento alla necessità di proporre l’azione da parte del lavoratore ha posto alla dottrina il problema di qualificare il tipo di invalidità che affligge il contratto di somministrazione
nell’ipotesi in cui sia irregolare; se cioè questa si ponga in termini di nullità (come era pacifico
nel regime previgente) oppure in termini di annullabilità.
Secondo una parte della dottrina, la violazione della fattispecie della somministrazione irregolare costituisce violazione diretta di norme imperative, dalla cui violazione non può che
scaturire una ipotesi di nullità del negozio illecito, e cioè del contratto di somministrazione.
Secondo una diversa tesi, la necessità che l’azione sia promossa dal lavoratore deve essere
necessariamente intesa come indice di annullabilità.
Mancata o generica indicazione della causale. La mancata o generica indicazione della
causale è un vizio che può comportare conseguenze differenti, negli orientamenti della giurisprudenza. Secondo un primo orientamento, la mancata specificazione in forma scritta nel
contratto di lavoro delle ragioni giustificative è sanzionabile con la costituzione del rapporto
di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore.
Secondo un diverso orientamento, le norme del D.Lgs. n. 276/2003 puniscono la mancata
indicazione delle esigenze che l’utilizzatore intende soddisfare mediante la somministrazione
di manodopera (con una sanzione a carico dell’Agenzia), mentre non affrontano né sanzionano
in alcun modo il caso in cui tali ragioni siano indicate in maniera generica.
Per comprendere tale tesi è utile citare quanto affermato dal Tribunale di Bassano del Grappa che, con sentenza del 16 febbraio 2011 è arrivato a tale conclusione osservando che la legge
utilizza parole diverse per definire le modalità con cui devono essere redatte le causali dei contratti di lavoro atermine e di somministrazione. In particolare il Giudice ha sostenuto che “è vero
che il contratto di lavoro a tempo determinato e la somministrazione a termine sono consentiti
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 8 - Somministrazione di lavoro: aspetti sanzionatori
115
- segue in presenza di identici presupposti - le ragioni di carattere tecnico produttivo, organizzativo o sostitutivo
- e che per l’uno e per l’altro è prescritto che tali ragioni risultino dal contratto - rispettivamente di
lavoro e di somministrazione - tuttavia nell’un caso il legislatore ha richiesto la “specificazione” delle
predette ragioni e nell’altro che esse siano contenute nel contratto. Questa differenza terminologica
non appare priva di significato. Va infatti considerato che sotto il profilo strettamente letterale
“specificare” significa precisare per mezzo di dati specifici” e cioè mediante dati “determinati,
particolari, concreti”, mentre il disposto dell’art. 21, comma 1, del D.lgs n.276/2003 è meno rigoroso
e si presta ad essere soddisfatto anche da una mera «indicazione» - termine che seppur talora usato
come sinonimo di «specificazione» ha tuttavia un significato più ampio e meno cogente, potendo la
relativa attività consistere nel «rilevare, manifestare, lasciare intendere, far vedere”.
Questa lettura ha trovato un’importante conferma con la sentenza della Corte di Cassazione n. 2521 del 24 gennaio 2012, la quale ha riconosciuto la legittimità di un contratto di somministrazione che reca come causale l’esigenza di far fronte a “punte di intensa attività”, in
quanto questo tipo di esigenza è noto e sperimentato nella pratica contrattuale, ed è stato più
volte utilizzato anche dalla legge.
La Cassazione aveva già anticipato questa forma di ragionamento, seppure in maniera
meno netta rispetto all’odierna pronuncia, con la sentenza n 15610/2011. In tale pronuncia, era
stato osservato che l’art. 20, comma 4, D.L. n. 276/2003, nella parte in cui richiede l’indicazione delle c.d. causali, ha introdotto una causale ampia, non legata a specifiche situazioni tipizzate dal legislatore o dal contratto collettivo, sulla base della quale non deve essere verificata
la temporaneità o la eccezionalità delle esigenze organizzative richieste per la somministrazione a termine (ma, piuttosto, solo, la effettiva esistenza delle esigenze alle quali si ricollega
l’assunzione del singolo dipendente.
Litisconsorzio facoltativo. La norma specifica che il ricorso può essere notificato “anche
soltanto” all’utilizzatore; in tal modo, seguendo l’orientamento giurisprudenziale formatosi rispetto alla disciplina contenuta nella legge n. 1369/1960 (v. in particolare Cass. Sez. un. n.
14897/2002), si esclude il litisconsorzio necessario nei confronti del somministratore.
Atti di gestione del rapporto. La legge prevede inoltre (art. 27, comma 2), facendo chiarezza su un aspetto che ha dato luogo a diverse pronunce giurisprudenziali, che “nell’ipotesi di cui
al comma 1, tutti i pagamenti effettuati dal somministratore a titolo retributivo o di contribuzione
previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal
debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata”. Si aggiunge che
“tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione”.
In virtù di questa disposizione, gli atti compiuti dal somministratore apparente, una volta
accertata retroattivamente la costituzione del rapporto in capo all’utilizzatore, conservano efficacia a favore dell’utilizzatore, sia per quanto concerne gli adempimenti degli obblighi retributivi sia per quanto concerne la contribuzione previdenziale e gli oneri assistenziali.
La disposizione vale anche in senso inverso, attribuendo cioè in capo all’utilizzatore riconosciuto come datore di lavoro effettivo anche la responsabilità degli atti pregiudizievoli al lavoratore compiuti dal somministratore.
Allo stesso modo, mantengono efficacia gli atti di costituzione e gestione del rapporto compiuti da entrambe le parti.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
116
Capitolo 8 - Somministrazione di lavoro: aspetti sanzionatori
Appalto e distacco illecito. La corretta utilizzazione del contratto di appalto o somministrazione è decisiva per ritenere lecita o meno un’ipotesi di messa a disposizione di prestazioni di
lavoro in favore di un terzo, in quanto l’utilizzo di tali tipologie contrattuali fuori dei canoni legali prescritti o senza le forme previste dalle rispettive discipline comporta l’applicazione
dell’apparato sanzionatorio disciplinato dagli art. 27 e 18 del D.lgs. n. 276/2003 (come modificati dal D.lgs. n. 251/2004).
Analoga conseguenza si verifica per il caso del distacco illecito, cioè utilizzato senza che
sussista un interesse del distaccante (art. 30 D.lgs. n. 27/2003); la fattispecie viene trattata
come una forma di somministrazione irregolare, con tutte le relative conseguenze.
SOMMINISTRAZIONE IRREGOLARE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
La somministrazione a tempo determinato costituisce una delle poche fattispecie disciplinate dal D.lgs.
n. 276/2003 che, per espressa previsione del medesimo (art. 86, co. 9), risulta applicabile nei confronti
della Pubblica Amministrazione; tuttavia, come previsto dall’art. 36, comma 2, del D.lgs. n. 165/2001 e
confermato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 89/2003) la sanzione della
trasformazione del rapporto di lavoro non può operare nei confronti del datore di lavoro pubblico.
Coerentemente con questi principi, l’art. 86, comma 9, del D.lgs. n. 276/2003 esclude la trasformazione del rapporto in capo alla PA., prevedendo in alternativa a questo rimedio il diritto del
lavoratore ad ottenere il risarcimento del danno “…derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative” (di cui potrà essere chiamato a rispondere, come chiarito dalla
giurisprudenza, il dirigente che ha dato luogo con dolo o colpa grave alla violazione di legge).
Il comma 3 precisa infine che il controllo giudiziale sulle ragioni addotte per il ricorso alla somministrazione è limitato ad un accertamento c.d. di legittimità, ossia limitato all’effettiva esistenza
delle ragioni giustificatrici, e non esteso al merito delle scelte imprenditoriali sottese.
8.3 Esercizio abusivo ed utilizzazione illecita
Esercizio abusivo. Ricorre la fattispecie di esercizio abusivo di attività autorizzata ogni volta che un soggetto, senza il possesso del titolo abilitativo dell’autorizzazione, realizzi una delle attività per le quali l’autorizzazione è obbligatoria (somministrazione, ma anche intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale), senza che
assumano alcun rilievo le forme con cui la violazione stessa sia realizzata; anche il caso di un
distacco di personale realizzato senza i requisiti di legge finisce per concretizzarsi una fornitura di personale la quale o è autorizzata, oppure costituisce esercizio abusivo dell’attività di
somministrazione.
La fattispecie viene configurata come un reato di tipo contravvenzionale (allo stesso modo
della vecchia interposizione illecita di manodopera), a struttura unitaria, in quanto non si commettono tanti reati quanti sono i lavoratori coinvolti ma l’illecito penale resta unico (varia solo
la sanzione pecuniaria); il reato si configura inoltre come una contravvenzione di pericolo, nel
senso che la sua commissione non richiede l’esistenza di un danno specifico, ma è completa
nel momento stesso in cui l’attività sia realizzata senza le autorizzazioni ministeriali.
Sanzioni per l’esercizio abusivo. L’art. 18 punisce con la pena dell’ammenda, variabile in
relazione alla tipologia di attività posta in essere, i casi di esercizio abusivo di una o più delle
attività per le quali è richiesta, ai sensi degli artt. 4 e 6 del D.Lgs. n. 276/2003, l’autorizzazione
ministeriale o regionali (pertanto, la somministrazione, l’intermediazione, la ricerca e selezione del personale, il supporto alla ricollocazione professionale).
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 8 - Somministrazione di lavoro: aspetti sanzionatori
117
L’esercizio abusivo è, in particolare, punito con la pena dell’arresto fino a sei mesi, e l’ammenda variabile da euro 1.500 a euro 7.500. In caso il reato sia stato commesso senza scopo
di lucro, l’ammenda è ridotta ad un importo variabile tra euro 500 ed euro 2.500.
Se il reato è commesso con sfruttamento dei minori, la norma prevede l’arresto fino a 18
mesi, e l’ammenda è aumentata fino al sestuplo.
La legge prevede una sanzione ulteriore per il caso di utilizzo di mezzi di trasporto (ipotesi
molto ricorrente nei casi del c.d. caporalato); il veicolo utilizzato per la commissione del reato
è soggetta a confisca.
Utilizzazione illecita. Il D.Lgs. n. 251/2004, novellando l’art. 18, ha distinto dalla fattispecie dell’esercizio abusivo il reato di utilizzazione illecita (art. 18, comma 2, D.lgs. n. 276/2003);
tale reato è commesso dal soggetto che utilizza manodopera fornita da somministratori non
autorizzati. Il regime sanzionatorio per l’utilizzazione illecita è disciplinato dall’art. 18, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003 per il quale l’utilizzatore è punito con l’ammenda di euro 5 per ogni
lavoratore occupato, moltiplicata per ogni giorno di lavoro da questo svolto. Se vi è sfruttamento di minori, la pena prevista è l’arresto fino a 18 mesi e l’ammenda è aumentata sino
al sestuplo.
8.4 Somministrazione fraudolenta
Nozione. Ricorre la fattispecie della somministrazione fraudolenta (art. 28) allorquando la
somministrazione di lavoro sia posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore; viene così severamente sanzionata una condotta caratterizzata dal dolo specifico, finalizzato all’utilizzazione illecita della
somministrazione.
La legge configura la violazione come un reato che esige la sussistenza di un dolo specifico,
contraddistinto dalla preventiva rappresentazione e volizione della condotta vietata.
In particolare, non viene in considerazione la sola intenzionalità del reato, ma anche la
specifica finalità cui esso deve essere diretto; questa dovrà quindi risultare da un accordo specifico tra il somministratore e l’utilizzatore, o comunque dalla consapevolezza della condotta
illecita.
Anche questo reato, come quello di esercizio non autorizzato, si configura come reato “di
pericolo”, nel senso che esso si concretizza nel momento in cui viene perseguita la finalità
elusiva, senza che venga in rilievo la sua effettiva riuscita.
Differenze con la somministrazione irregolare. La somministrazione fraudolenta costituisce una fattispecie sanzionatoria distinta ed autonoma da quelle precedenti, finalizzata a reprimere tutte le ipotesi di somministrazione, tanto regolare quanto irregolare, nelle quali sia
possibile rinvenire l’esistenza di una specifica finalità fraudolenta, e quindi ben può coesistere
con le altre ipotesi di violazione.
È stata posta in dubbio la distinzione concettuale tra l’ipotesi di esercizio non autorizzato
della somministrazione, e quella della somministrazione fraudolenta, in quanto nei casi in cui
si ponga in essere anche una somministrazione irregolare la sanzione dovrebbe applicarsi
nella generalità dei casi, in quanto la violazione del divieto di dissociazione, fuori dai casi previsti dalla legge, tra datore di lavoro formale ed effettivo utilizzatore già costituisce una elusione di norme inderogabili di legge.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
118
Capitolo 8 - Somministrazione di lavoro: aspetti sanzionatori
Sanzioni. Nel caso in cui si verifichi la fattispecie, il somministratore e l’utilizzatore, in aggiunta alle altre sanzioni civili e penali, sono soggetti ad una ammenda variabile in ragione
dell’entità della violazione commessa: il somministratore e l’utilizzatore sono puniti con una
ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto, moltiplicato per ciascun giorno di somministrazione fraudolenta.
Intermediazione illecita. L’art. 12 della legge n. 128/2011 ha introdotto una specifica ipotesi di reato per i soggetti che svolgono attività si intermediazione e reclutamento di manodopera mediante sfruttamento, violenza, minaccia o intimidazione dei lavoratori. Viene considerata
indice di sfruttamento la violazione sistematica delle norme di tutela del lavoro (contratti collettivi, orario di lavoro, ferie, sicurezza sul lavoro). La sanzione prevista è la reclusione da 5 a
8 anni e una sanzione pecuniaria variabile da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore coinvolto. Se i lavoratori coinvolti sono più di 3 oppure ci sono minori, il reato è aggravato.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 9
LAVORO INTERMITTENTE
Il contratto di lavoro intermittente, conosciuto anche come contratto “a chiamata”, è un contratto di lavoro subordinato mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di
lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa, secondo particolari modalità e nel rispetto
di alcuni limiti. Si caratterizza per il fatto che associa alla subordinazione la discontinuità della
prestazione lavorativa, che deve essere resa solo nei casi in cui sia richiesta dal datore di lavoro.
Il contratto di lavoro intermittente può essere stipulato a tempo indeterminato ovvero a
tempo determinato.
9.1 Lavoro intermittente a tempo determinato
Il contratto di lavoro intermittente può essere concluso, come sopra detto, anche a tempo
determinato, ma a questa particolare tipologia contrattuale non è applicabile la disciplina in
materia di contratti a termine contenuta nel D.Lgs n. 368/2001. Ciò significa, per esempio, che
anche in assenza delle ragioni di carattere sostitutivo, produttivo, organizzativo e tecnico è
possibile procedere ad un’assunzione a tempo determinato di un lavoratore a chiamata. Ed
ancora, in caso di riassunzione dello stesso lavoratore per effetto di una successione di rapporti di lavoro intermittenti, ma a tempo determinato, non è necessario rispettare gli intervalli di 60 ovvero 90 giorni (come modificati dalla “Riforma Fornero”), previsti invece nei casi di
riassunzione di un “ordinario” tempo determinato.
In generale, pertanto, qualsiasi riassunzione di un lavoratore intermittente con contratti di
lavoro anche diversi (part-time non intermittente, tempo determinato non intermittente, ecc.)
possono essere stipulati in modo successivo senza il rispetto dei cosiddetti “intervalli minimi”
vigenti invece nel normale contratto a termine (si veda in merito la risposta ad interpello n.
72/2009 e la circolare n. 34/2010).
9.2 Caratteristiche
Dal 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della cosiddetta “Riforma Fornero” contenuta
nella legge n. 92/2012, il contratto di lavoro intermittente, a tempo determinato ovvero a tempo indeterminato, può essere concluso:
• in relazione alle esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro;
• in ogni caso con soggetti con più di 55 anni di età e con soggetti con meno di 24 anni di età,
fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno (da intendersi fino a 24 anni e 364 giorni come precisato dal Ministero del
Lavoro nella circolare n. 18/2012) di età;
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 9 - Lavoro intermittente
120
• in assenza di una specifica disciplina contrattuale, nelle attività discontinue di cui al D.M.
23.10.2004 con rimando alla tabella delle attività contenuta nel R.D. 2657/1923 (da intendersi come parametro di riferimento ai sensi di quanto precisato dal Ministero del Lavoro nella
circolare n. 4/2005).
LAVORO
INTERMITTENTE
DAL 18 LUGLIO 2012
A tempo determinato ovvero
a tempo indeterminato
In relazione alle esigenze
individuate dai CCNL
In tutti i casi, con soggetti
con meno di 24 anni
o più di 55 anni
In assenza di disciplina
contrattuale, per attività
discontinue di cui
al R.D. n. 2657/1923
Applicabilità del lavoro a chiamata: recente intervento ministeriale
Con la risposta ad interpello n. 28 del 14 settembre 2012 il Ministero del Lavoro, alla luce
della tabella delle attività contenuta nel RD n. 2657/1923, ha precisato come il contratto di lavoro intermittente possa essere utilizzato anche per l’assunzione di lavoratori addetti a servizi
di live streaming, webcasting ovvero a servizi prestati su internet, di natura discontinua ed
intermittente nel rispetto delle condizioni in precedenza illustrate.
A tale conclusione il ministero giunge in considerazione che:
… tra le attività elencate nella predetta tabella, al n. 43 sono indicate le attività espletate dagli
“operai addetti agli spettacoli (…) televisivi”;
… a seguito dell’emanazione del D.Lgs n. 144/2010 (cosiddetto “Decreto Romani”), la disciplina dell’intero settore televisivo ha subito notevoli modifiche, in particolare con l’ampliamento dell’ambito di applicazione oggettivo del T.U. della radiotelevisione e la cristallizzazione del concetto di servizio di media audiovisivo;
… dalla lettura delle disposizioni contenute nel T.U., emerge come in tale settore trovino
applicazione “i principi generali per le prestazioni di servizi di media audiovisivi e radiofonici, tenendo conto del processo di convergenza fra le diverse forme di comunicazioni,
quali le comunicazioni elettroniche, l’editoria, anche elettronica ed internet in tutte le sue
applicazioni”;
… per servizio di media audiovisivo si intende oggi “(…) la radiodiffusione televisiva (…) e in
particolare la televisione analogica e digitale, la trasmissione continua in diretta quale il
live streaming, la trasmissione televisiva su internet quale il web casting (…)”.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 9 - Lavoro intermittente
121
Previgente disciplina - Fino al 17 luglio 2012 il contratto di lavoro intermittente poteva
essere stipulato, per lo svolgimento di prestazioni a carattere discontinuo:
• in relazione alle esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro;
• con soggetti di età inferiore a 25 anni ovvero superiore a 45 anni, anche se pensionati;
• in specifici periodi dell’anno. Con riferimento a quest’ultima ipotesi, poteva essere concluso
per prestazioni da rendere:
• nei fine settimana, cioè dalle ore 13.00 del venerdì pomeriggio alle ore 06.00 del lunedì mattina;
• nei periodi delle ferie estive, cioè tra il 1° giugno ed il 30 settembre;
• durante le vacanze natalizie, cioè dal 1° dicembre al 10 gennaio;
• durante le vacanze pasquali, cioè dalla domenica delle Palme al martedì successivo al Lunedì dell’Angelo;
• in ulteriori periodi predeterminati previsti dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei
datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o
territoriale;
• in assenza di una specifica disciplina contrattuale, nelle attività discontinue di cui al D.M.
23.10.2004 con rimando alla tabella delle attività contenuta nel R.D. 2657/1923 (da intendersi come parametro di riferimento ai sensi di quanto precisato dal Ministero del Lavoro nella
circolare n. 4/2005).
LAVORO INTERMITTENTE
FINO AL 17 LUGLIO 2012
A tempo determinato ovvero
a tempo indeterminato
In relazione alle esigenze
individuate dai CCNL
In tutti i casi, con soggetti con meno di
25 anni o più di 55 anni
In specifici periodi dell’anno
In assenza di disciplina contrattuale,
attività discontinue di cui al R.D. n.
2657/1923
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 9 - Lavoro intermittente
122
CONTRATTI IN ESSERE
Il comma 22, articolo 1 della legge n. 92/2012 – Riforma Fornero precisa come i contratti di lavoro
intermittente, già sottoscritti al 18 luglio 2012 e non compatibili con la nuova disciplina, cessino
di produrre effetti decorsi 12 mesi dalla data di entrata in vigore della Riforma Fornero (quindi
dal 18 luglio 2013). Ne consegue, a titolo di esempio, che da tale data cesserà di produrre effetti il
contratto di lavoro a chiamata stipulato con il lavoratore ultraquarantacinquenne (che comunque
non abbia superato i 55 anni di età).
Come precisato dal Ministero del Lavoro nella circolare n. 18/2012, l’eventuale prestazione resa in
violazione di tale divieto è da considerarsi “lavoro nero”.
9.3 Tipologie di contratti a chiamata
Il contratto di lavoro a chiamata può assumere due forme diverse:
• con obbligo di risposta;
• senza obbligo di risposta.
Nel primo caso il lavoratore si obbliga contrattualmente a rispondere alla “chiamata” al
lavoro del datore e, come controprestazione, ha diritto ad un’indennità di disponibilità mensile,
in aggiunta alla retribuzione maturata per le ore di lavoro effettivamente prestato.
In caso di malattia o altro evento che renda temporaneamente impossibile rispondere alla
chiamata, il lavoratore è tenuto ad informare tempestivamente il datore di lavoro, specificando la
durata dell’impedimento; in questo periodo egli non matura il diritto all’indennità di disponibilità.
Qualora il lavoratore non adempia a tale obbligo, perde il diritto all’indennità di disponibilità per un periodo di 15 giorni.
L’indennità è divisibile in quote orarie, nella misura stabilita dai contratti collettivi, e comunque in misura non inferiore al 20% della retribuzione prevista dal CCNL applicato.
Sull’indennità di disponibilità devono essere versati i contributi previdenziali per il loro effettivo ammontare, anche in deroga alla vigente normativa in materia di minimale contributivo.
Nel caso in cui, invece, non sia pattuito l’obbligo di risposta, al lavoratore non spetta l’indennità di disponibilità e, correlativamente, egli non è obbligato a rispondere alla chiamata del
datore di lavoro.
LAVORO INTERMITTENTE
Con indennità di disponibilità
Senza indennità di disponibilità
Nel periodo in cui resta a disposizione del datore di lavoro senza essere chiamato, il lavoratore a chiamata non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati, né matura alcun trattamento economico e normativo, ad eccezione dell’eventuale indennità di disponibilità.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 9 - Lavoro intermittente
123
9.4 Ruolo della contrattazione collettiva
La legge rimette alla contrattazione collettiva o, in mancanza, al contratto individuale la
definizione dei seguenti principali aspetti:
• indicazione della durata e delle ipotesi, oggettive o soggettive, che consentono la stipulazione
del contratto;
• luogo e modalità della disponibilità eventualmente garantita dal lavoratore e del relativo preavviso di chiamata;
• trattamento economico e normativo spettante per la prestazione eseguita e l’eventuale relativa
indennità di disponibilità;
• indicazione delle forme, tempi e modalità, con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere
l’esecuzione della prestazione di lavoro (articolo 36 del D.Lgs n. 276/2003).
Il Ministero ha in passato precisato – tale precisazione vale anche per i contratti stipulati a
decorrere dal 18 luglio 2012 - come i contratti collettivi non possano escludere l’applicabilità
del lavoro intermittente a determinati comparti produttivi: il lavoro intermittente, infatti, è
sempre ammesso nelle ipotesi soggettive previste dall’articolo 34 (il contratto di lavoro intermittente può, in ogni caso, essere concluso con riferimento a prestazioni rese da soggetti con
meno di 24 anni di età ovvero da lavoratori con più di 55 anni di età, anche pensionati).
9.5 Divieti
Il ricorso al lavoro intermittente è vietato nei casi di:
– sostituzione di lavoratori in sciopero;
– assunzione presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, nei 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi, o sia operante una sospensione dei rapporti di lavoro oppure una riduzione di orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale; il divieto è tuttavia circoscritto alle mansioni cui sono adibiti i lavoratori interessati alle predette procedure e può
essere derogato mediante accordo collettivo;
– imprese che non abbiano redatto la valutazione dei rischi richiesta dal D.Lgs n. 81/2008. (art.
34, co. 3, D.Lgs. 276/2003).
LAVORO
INTERMITTENTE
DIVIETI
Sostituzione di lavoratori
in sciopero
In unità produttive “in crisi”
In assenza di valutazione
dei rischi
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 9 - Lavoro intermittente
124
9.6 Adempimenti del datore di lavoro
Così come per la generalità dei rapporti di lavoro subordinato il datore di lavoro è tenuto:
– alla consegna al lavoratore, prima dell’inizio della prima chiamata, del contratto individuale
e della comunicazione di assunzione (ovvero fornire i riferimenti della stessa);
– all’emissione del Libro Unico del Lavoro che è unica e su base mensile indipendentemente
dal numero delle chiamate effettuate nel corso del periodo di paga;
– alla comunicazione preventiva introdotta con Legge n. 92/2012, a decorrere dal 18 luglio
2012.
Inoltre, con cadenza annuale - fatte salve le eventuale diverse tempistiche previste dai
CCNL - il datore di lavoro è tenuto ad informare le RSA, qualora presenti, in merito all’andamento aziendale di questa tipologia contrattuale (circolare del Ministero del Lavoro n.
34/2010).
LAVORO
INTERMITTENTE
ADEMPIMENTI
Consegna del contratto di
lavoro e della comunicazione
di assunzione
Elaborazione mensile
del Libro Unico del Lavoro
Invio della comunicazione
preventiva
DAL 18 LUGLIO 2012
Comunicazione preventiva - A decorrere dal 18 luglio 2012, prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni, il datore di lavoro è tenuto a comunicarne la durata alla Direzione territoriale del lavoro competente per territorio, mediante sms, fax o posta elettronica.
In caso di violazione degli obblighi di cui sopra si applica la sanzione amministrativa da
euro 400,00 ad euro 2.400,00 in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione; non risulta applicabile la procedura di diffida di cui all’articolo 13 del D.Lgs n.
124/2004, come previsto dal comma 3-bis, articolo 35 del D.Lgs. n. 276/2003, modificato dalla
Legge n. 92/2012 - Riforma Fornero.
Il Ministero del Lavoro (circ. 18/2012) ha fornito alcune precisazioni in merito:
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 9 - Lavoro intermittente
125
CONTRATTI IN ESSERE
• non è necessario comunicare anche l’orario in cui il lavoratore sarà occupato nell’ambito della
singola giornata;
• una sola comunicazione può indicare la chiamata anche di più lavoratori;
• la comunicazione può essere effettuata anche nello stesso giorno di inizio della prestazione purché antecedentemente all’effettivo impiego;
• la comunicazione può essere modificata o annullata in qualunque momento attraverso l’invio di
una successiva comunicazione, da effettuarsi tuttavia sempre prima dell’inizio della prestazione
di lavoro.
• in assenza di modifica o annullamento della comunicazione già inoltrata è da ritenersi comunque
effettuata la prestazione lavorativa per i giorni indicati, con le relative conseguenze di natura
retributiva e contributiva;
• a fronte della comunicazione di una singola prestazione o di un ciclo di prestazioni, l’eventuale
chiamata del lavoratore in giorni non coincidenti con quelli inizialmente comunicati (anche solo
per la diversa collocazione temporale degli stessi) comporta la sanzione per la mancata comunicazione preventiva di cui all’art. 35, comma 3 bis, del D.Lgs. n. 276/2003 (da euro 400,00 ad euro
2.400,00).
Tempi e modalità di comunicazione - Con la nota 9 agosto 2012 il Ministero del Lavoro ha
illustrato le diverse modalità (tra loro alternative) con cui il datore di lavoro è tenuto ad effettuare la predetta comunicazione:
Modalità
di comunicazione
Fax al numero
848800131
Decorrenza
Specifiche
Avvertenza
Dal 13 agosto 2012
Per utilizzare questa modalità, il datore di lavoro
deve scaricare il modello,
creato ad hoc e disponibile all’indirizzo www.lavoro.
gov.it e www.cliclavoro.gov.
it, compilarlo in ogni sua
parte ed inviarlo al numero
848800131.
Questa modalità può
essere utilizzata per
comunicare esclusivamente la chiamata
relativa ad un solo lavoratore.
Il datore di lavoro deve conservare il rapporto di consegna del proprio sistema fax,
come ricevuta dell’avvenuta
comunicazione
SMS al numero
3399942256
Dal 17 agosto 2012
L’sms deve contenere i seguenti dati:
• indirizzo e-mail del datore
di lavoro;
• codice di comunicazione
della CO, indicando il codice della comunicazione/i
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
126
Capitolo 9 - Lavoro intermittente
- segue obbligatoria/i corrispondente al lavoratore/i per il
quale si sta effettuando la
chiamata. Tale codice può
essere recuperato dalla ricevuta che viene rilasciata
dai servizi informatici regionali al termine dell’invio del modello UniLav.
Qualora il rapporto di lavoro sia stato attivato precedentemente al 1° marzo 2008 (e solo in questo
caso) questa informazione
non deve essere fornita;
• codice fiscale del datore
di lavoro (nel caso in cui il
rapporto di lavoro sia stato
attivato prima del 1° marzo 2008);
• codice fiscale del/i lavorato-re/i che effettuerà la
prestazione oggetto della
chiamata (nel caso in cui il
rapporto di lavoro sia stato
attivato prima del 1° marzo 2008);
• data inizio e data fine della
prestazione; queste informazioni possono essere
fornite in modalità multipla, ovvero possono essere
comunicati più periodi di
lavoro.
Nel caso in cui il lavoratore
sia chiamato a rendere la
prestazione per un singolo
giorno è sufficiente inserire la data di inizio della
prestazione.
Nel caso in cui si intenda
comunicare, per il medesimo lavoratore, diverse singole giornate (ad esempio,
tutti i sabati del mese) le
date della prestazione dovranno essere separate da
un asterisco (*).
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 9 - Lavoro intermittente
127
- segue Mail all’indirizzo
[email protected]
Dal 17 agosto 2012
Invio di un modulo
on line
Dal 1° ottobre 2012 Tale modalità prevede la
compilazione di un modulo on line, resa disponibile sul portale cliclavoro
(www.cliclavoro.qov.it),
accessibile agli utenti registrati.
Per utilizzare questa modalità, il datore di lavoro deve
scaricare il modello, creato
ad hoc e disponibile all’indirizzo
www.lavoro.gov.it
e www.cliclavoro.qov.it, e
compilarlo in ogni sua parte.
Una volta compilato, tale
modello deve essere:
• allegato ad una mail che
avrà come oggetto “Comunicazione chiamata lavoro
intermittente”;
• inviato all’indirizzo [email protected]; non
appena ricevuta la mail, il
sistema invierà un messaggio di conferma di avvenuta
ricezione.
Possono essere comunicati, con un singolo
modello, fino ad un
massimo di 6 lavoratori per il medesimo
periodo di chiamata
ovvero, per un lavoratore, fino ad un massimo di 10 periodi
Il datore di lavoro dovrà compilare tutti i dati richiesti.
Anche per questa tipologia
di comunicazione, il sistema rilascerà una ricevuta
di avvenuta comunicazione
che il datore di lavoro potrà stampare e conservare.
Il ministero evidenzia come in una successiva evoluzione tecnologica, l’applicazione potrà
esser disponibile anche attraverso gli strumenti mobile (iphone, Ipad, android) in modo tale da
agevolare il datore di lavoro che potrà adempiere anche fuori dalla sede dell’ufficio.
Nota bene: Nota bene: per effetto di quanto previsto dalla nota del Ministero del Lavoro del 14
settembre 2012, la comunicazione può continuare ad essere inviata ai recapiti istituzionali della
Direzione del Lavoro competente per territorio (quindi al numero di fax ovvero all’indirizzo e-mail
utilizzati in precedenza), in attesa – precisa il Ministero – di definire la semplificazione di tale nuovo adempimento.
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
128
Capitolo 9 - Lavoro intermittente
- segue Dal tenore della nota ministeriale, sembra però che l’apertura all’utilizzo delle modalità transitorie anche oltre la data del 15 settembre, sia rivolta unicamente alla possibilità di inviare le comunicazioni ai recapiti delle Direzioni del Lavoro territoriali, ma non anche all’utilizzo della precedente
modulistica in uso ovvero delle precedenti modalità.
In attesa di ulteriori chiarimenti ministeriali, pare dunque opportuno – anche alla luce del pesante
sistema sanzionatorio in vigore - che le chiamate del lavoratore intermittente, ancorchè inviate ai
recapiti in uso a livello territoriale – siano redatte sulla nuova modulistica predisposta dallo stesso
Ministero ed univoca per l’intero territorio nazionale.
Analogamente, in caso di invio tramite mail, si ritiene prudente che il messaggio contenga tutte le
informazioni richieste e riportate sulla nota ministeriale dello scorso 9 agosto.
Aspetti previdenziali - Per quanto attiene:
• la determinazione della base imponibile;
• il rispetto dei minimali di retribuzione;
• l’entità della contribuzione dovuta,
anche per i lavoratori a chiamata valgono le stesse norme previste per la generalità dei lavoratori dipendenti.
Per quanto attiene invece le prestazioni rese dall’Istituto agli stessi lavoratori, queste sono
riproporzionate in base all’entità della prestazione svolta dal lavoratore a chiamata.
La ricostruzione del valore orario utile per la quantificazione delle prestazioni previdenziali è effettuata dividendo la retribuzione dovuta per il numero di ore contrattualmente individuate nel periodo di riferimento.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 9 - Lavoro intermittente
129
Il numero delle settimane di contribuzione riconoscibile al lavoratore intermittente, è rapportato alla durata della prestazione di lavoro.
Le settimane utili infatti, sono determinate con gli stessi criteri adottati per i lavoratori a
tempo parziale, ancorché siano esposte nell’estratto conto come settimane normali e non
part-time.
Poiché per sua natura, il rapporto di lavoro intermittente non assume la stessa veste giuridica del rapporto di lavoro a tempo parziale, al lavoratore intermittente non è estesa la possibilità (concessa invece ai lavoratori a tempo parziale), di integrare in modo volontario i periodi
di inattività, rientranti nel contratto di lavoro intermittente e come tali non coperti da contribuzione obbligatoria. È invece ammessa l’integrazione della contribuzione obbligatoria, fino al
limite minimo settimanale previsto per l’accredito dei contributi obbligatori e figurativi, pari
per l’anno 2012 ad euro 192,40 (INPS, circ. 21/2012).
Come chiarito dall’INPS con la circolare n. 17/2006, il contratto di lavoro intermittente non
consente di accedere ai benefici agevolativi previsti per gli ordinari rapporti di lavoro.
Il Ministero del Lavoro (nota 22 dicembre 2005), da parte sua, ha ribadito tale posizione
evidenziando come in tale tipologia contrattuale non siano rinvenibili i riferimenti all’applicabilità di specifiche ipotesi agevolative già vigenti nel nostro ordinamento, proprio in quanto per tale tipologia contrattuale è previsto un apposito regime contributivo, almeno nelle
ipotesi di lavoro intermittente che comportano la corresponsione della indennità di disponibilità.
Esposizione nell’Uniemens - L’utilizzo di lavoratori con contratto a chiamata determina la
necessità di compilare specifici elementi del flusso Uniemens.
In particolare i lavoratori intermittenti sono indicati nell’elemento <TipoContribuzione>
con i seguenti codici tipo contribuzione:
G0, in caso di lavoratore con contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato;
H0, in caso di lavoratore con contratto di lavoro a tempo pieno e determinato.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
130
Capitolo 9 - Lavoro intermittente
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 9 - Lavoro intermittente
131
Nell’elemento <SettimaneUtili> va indicato il numero delle settimane utili ai fini della misura
delle prestazioni pensionistiche determinate dividendo il numero di ore complessivamente retribuite nel mese per l’orario contrattuale settimanale del corrispettivo lavoratore a tempo pieno.
Il valore va espresso in centesimi (1 settimana = 100) e deve essere compreso tra 0 e 460.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
132
Capitolo 9 - Lavoro intermittente
Nell’elemento <DispIntermittenti> vanno fornite invece le informazioni relative ai periodi
di disponibilità dei lavoratori intermittenti indicando:
in <ImportoDisp>, l’importo relativo alla sola indennità di disponibilità, già totalizzato
nell’imponibile mensile;
in <NumSettimaneDisp>, il numero delle settimane in cui è stata corrisposta l’indennità
di disponibilità nel mese e che hanno contribuito a determinare la copertura settimanale indicata negli elementi <Settimana> di <DatiRetributivi>;
in <SettimaneUtiliDisp>, il numero delle settimane indennizzate utili ai fini della misura
delle prestazioni pensionistiche, determinato dividendo il numero delle sole ore indennizzate
nel mese per l’orario contrattuale del corrispettivo lavoratore a tempo pieno. Il valore va
espresso in centesimi (1 settimana = 100) e deve essere compreso tra 1 e 600.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 9 - Lavoro intermittente
133
9.7 Tutele fondamentali e gestione delle assenze
Nella tabelle seguente si riepilogano gli aspetti caratterizzanti le tutele fondamentali e la
gestione delle assenze per i lavoratori intermittenti:
Casistica
Regole di gestione
Malattia professionale Trovano applicazione le disposizioni per il lavoro subordinato, se questi
e infortunio sul lavoro
eventi si verificano in ragione del rapporto di lavoro (durante la chiamata).
ANF
L’assegno spetta per i periodi in cui il lavoratore presta attività lavorativa. Non spetta invece per i periodi in cui il lavoratore intermittente con
obbligo di risposta alla chiamata percepisce l’indennità di disponibilità
Malattia
Senza indennità di disponibilità: durante la prestazione lavorativa spetta
l’indennità tenendo conto che le singole chiamate devono considerarsi
come singoli rapporti a tempo determinato (conseguentemente si applicano i limiti di indennizzabilità previsti per i contratti a termine - il
diritto all’indennità si estingue al momento della cessazione dell’attività
lavorativa).
La retribuzione giornaliera utile per la determinazione dell’indennità
viene calcolata dividendo la retribuzione percepita negli ultimi 12 mesi
(computando anche i ratei delle mensilità aggiuntive) per 360, in caso di
impiegati, ovvero per 312, in caso di operai.
Con indennità di disponibilità: durante la prestazione lavorativa spetta
l’indennità, utilizzando la retribuzione giornaliera relativa alla media
della retribuzione percepita per la prestazione resa prima dell’evento,
per tutta la durata in cui era prevista la prestazione lavorativa.
Se la malattia va oltre la durata prevista della prestazione lavorativa, la
restante indennità sarà calcolata utilizzando l’indennità di disponibilità.
Se il contratto è a termine le prestazioni di malattia possono essere corrisposte entro i limiti previsti per tale tipologia contrattuale, tra i quali
l’erogabilità non oltre la data di prevista scadenza del contratto.
Maternità
Vale quanto detto sopra per l’indennità di malattia, tenendo presente
quanto segue:
per il congedo di maternità, l’indennità è corrisposta per tutta la durata
dell’evento, purché lo stesso abbia inizio durante la fase di svolgimento
dell’attività, ovvero entro 60 giorni dall’ultimo lavorato;
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
134
Capitolo 9 - Lavoro intermittente
- segue per il congedo parentale l’INPS ha precisato che valgono le disposizioni
previste per il part time verticale, vale a dire che vanno indennizzate
(nella misura del 30% della retribuzione senza riproporzionamenti che
la lavoratrice/lavoratore percepirebbe qualora non si astenesse) soltanto le giornate di previsto svolgimento dell’attività lavorativa (comprese
le festività cadenti nel periodo di congedo parentale richiesti).
CIG/CIGS
Si possono verificare due casistiche:
la risposta alla chiamata è precedente al verificarsi della causa che determina il ricorso alla cassa integrazione. In questo caso la retribuzione
persa dal lavoratore intermittente è integrabile;
la causa della cassa integrazione è intercedente alla chiamata: la retribuzione persa non è integrabile.
Disoccupazione
La circolare INPS 41/2006 e le successive precisazione del Ministero del
Lavoro (nota prot. n. 13419 del 3.10.2008) hanno stabilito quanto segue:
il lavoratore intermittente con obbligo di risposta (con indennità di disponibilità) è escluso dalla disoccupazione durante il periodo in cui non
presta l’attività lavorativa;
il lavoratore intermittente senza l’obbligo di risposta (senza indennità
di disponibilità), indipendentemente dalla durata del contratto (tempo
determinato o indeterminato), può aver diritto, per i periodi di mancato
lavoro, alla disoccupazione, indennizzabile con le relative indennità, ordinaria o con requisiti ridotti (INPS, msg. 6577/2010).
In tutti i casi, la disoccupazione è riconosciuta alla cessazione involontaria del rapporto così come è riconosciuta ai lavoratori somministrati.
Mobilità
L’INPS ritiene che gli intermittenti siano esclusi, in caso di licenziamento, dall’indennità di mobilità
Trattamenti speciali in L’INPS ritiene compatibile, nel settore edile, l’indennità speciale di diedilizia
soccupazione con il contratto di lavoro intermittente
Indennità di mobilità - Per quanto attiene la compatibilità tra l’indennità di mobilità e il
contratto di lavoro intermittente è stato precisato che (messaggio INPS n. 7401/2011):
• in caso di rapporto di lavoro a chiamata con obbligo di risposta (con indennità di disponibilità), la prestazione rimane sospesa per tutto il periodo di vigenza contrattuale ai sensi dei
commi 6 e 7, articolo 8 della Legge 223/91;
• in caso di rapporto di lavoro a chiamata senza obbligo di risposta (senza indennità di disponibilità), l’indennità di mobilità, in applicazione delle disposizioni vigenti in materia di disoccupazione, può essere riconosciuta limitatamente ai periodi di non lavoro tra una chiamata e l’altra, restando la prestazione sospesa durante i periodi di risposta alla chiamata da
parte del lavoratore.
CASISTICHE PARTICOLARI E PRECISAZIONI MINISTERIALI
In passato il Ministero del Lavoro è intervenuto per fornire alcuni chiarimenti in merito all’ambito
applicativo del contratto di lavoro intermittente. Tali interventi, che si ritiene siano validi anche con
riferimento ai contratti stipulati dal 18 luglio 2012, possono essere così sintetizzati:
– continua –
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 9 - Lavoro intermittente
135
- segue • la qualifica di “addetto alle vendite” è equiparabile a quella di “commesso di negozio” prevista al n.
14 della tabella allegata al R.D. 2657/1923 (nota del Ministero del Lavoro n. 46/2011);
• fino all’emanazione di una diversa disciplina dettata dal contratto collettivo nazionale, è sempre
possibile ricorrere al contratto di lavoro intermittente ex art. 33 e ss. del D.Lgs. 276/2003 per ciò
che attiene l’attività di pulizia di stabilimenti industriali (nota del Ministero del Lavoro n. 3252/2006);
• il contratto di lavoro intermittente non è applicabile, in forza del D.M. 23.10.2004 e della Tabella di
cui al R.D. 2657/1923, ai lavoratori da occupare nell’ambito delle strutture residenziali-assistenziali per anziani (nota del Ministero del Lavoro n. 1566/2006);
• ferma la necessaria sussistenza dei requisiti di liceità dell’appalto, è possibile il ricorso alla tipologia contrattuale del lavoro intermittente con riferimento agli operatori socio sanitari impiegati
presso strutture o aziende ospedaliere in esecuzione di un contratto di appalto di servizi (risposta
ad interpello n. 38/2011);
• le società organizzatrici di partite ufficiali delle squadre di calcio professionistiche sono responsabili dei servizi finalizzati al controllo dei titoli di accesso, all’instradamento degli spettatori ed
alla verifica del rispetto del regolamento d’uso dell’impianto, attraverso propri assistenti di stadio,
denominati “steward” (co. 1, art. 2, D.M. 8.8.2007). Tali servizi sono assicurati dalle società direttamente ovvero mediante contratto di appalto o di somministrazione di lavoro, anche avvalendosi
di istituti di sicurezza privata. Per lo svolgimento di tali servizi le società organizzatrici, gli istituti
di sicurezza privata autorizzati, le agenzie di somministrazione e le altre società appaltatrici dei
servizi possono ricorrere a tutte le forme di lavoro subordinato, compreso il lavoro intermittente, e
a prestazioni di lavoro occasionale accessorio di cui al D.Lgs 276/2003 (co. 2, art. 2, D.M. 8.8.2007);
• per effetto delle attività elencate nel R.D. 2657/1923, nel settore del turismo è ammesso il ricorso al lavoro intermittente per le seguenti funzioni: custodi, guardiani diurni e notturni, portinai,
uscieri e inservienti, cameriere e personale di servizio e di cucina, personale addetto ai trasporti
di persone e merci, addetti ai centralini telefonici privati, commessi di negozio nelle città con meno
di 50.000 abitanti (a meno che la prestazione non sia dichiarata non discontinua con ordinanza del
Prefetto), personale addetto agli stabilimenti balneari, impiegati di bureau senza rapporti con la
clientela, interpreti anche alle dipendenze di agenzie di viaggio (circolare del Ministero del Lavoro
n. 34/2010).
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 10
LAVORO ACCESSORIO
Le prestazioni di lavoro accessorio sono attività lavorative di natura occasionale svolte senza l’instaurazione di un rapporto di lavoro (artt. 70-73 D.Lgs. 276/2003).
Come precisato dall’INPS nella circolare n. 17/2010, si tratta di attività lavorative di natura
meramente occasionale e accessoria, non riconducibili a tipologie contrattuali tipiche di lavoro subordinato o di lavoro autonomo che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei
committenti, a compensi superiori a euro 5.000,00 nel corso di un anno solare, annualmente
rivalutati sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie
degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente (comma 1, articolo 70, D.Lgs n.
276/2003 come modificato dalla Legge 92/2012 – Riforma Fornero).
Tali attività devono inoltre essere svolte direttamente a favore dell’utilizzatore della prestazione e senza il tramite di intermediari (INPS, circ. 88/2009).
10.1 Limite reddituale
In seguito alle novità introdotte dalla Legge n. 92/2012 (“Riforma Fornero”), dalla lettura
del primo periodo dell’articolo 70 del D.Lgs n. 276/2003 emerge come oggi sia sempre possibile attivare rapporti di lavoro accessorio nel rispetto esclusivamente di un limite di carattere
economico (si veda in merito anche la circolare del Ministero del Lavoro n. 18/2012).
Come già evidenziato infatti le prestazioni di lavoro accessorio non possono dare luogo, con
riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a euro 5.000,00 nel corso di un
anno solare, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al
consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente.
Fermo restando nel corso di un anno solare il limite complessivo predetto, nei confronti dei
committenti imprenditori commerciali o professionisti, tali attività lavorative possono essere
svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a euro 2.000,00,
anche questi rivalutati annualmente (comma 1, articolo 70, D.Lgs n. 276/2003 come modificato dalla Legge 92/2012 – Riforma Fornero).
Occorre pertanto verificare se il committente sia o meno un “imprenditore commerciale o
professionista”, intendendo con tale formulazione qualsiasi soggetto, persona fisica o giuridica, che operi su un determinato mercato.
Come precisato dal Ministero del Lavoro nella circolare n. 18/2012, l’aggettivo “commerciale” non circoscrive infatti l’ambito settoriale dell’attività di impresa alle attività di intermediazione nella circolazione di beni.
Nel primo caso la prestazione nei suoi confronti non può dar luogo a compensi superiori ad
euro 2.000,00 di voucher, mentre nel secondo caso, vige esclusivamente il limite complessivo
annuale di euro 5.000,00.
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 10 - Lavoro accessorio
138
10.2 Ambito applicativo
Dal 18 luglio 2012 possono essere rese “attività lavorative di natura meramente occasionale” nella generalità dei settori produttivi.
Per quanto attiene il settore agricolo è prevista l’applicazione del lavoro accessorio:
• per le attività lavorative di natura occasionale rese nell’ambito delle attività agricole di carattere
stagionale effettuate da pensionati e da giovani con meno di 25 anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con
gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti a un ciclo
di studi presso l’università;
• a prescindere da chi è il lavoratore accessorio, per le attività agricole svolte a favore di soggetti di
cui al comma 6, articolo 34 del DPR n. 633/1972, che non possono, tuttavia, essere svolte da soggetti iscritti l’anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli (comma 2, articolo
70, D.Lgs n. 276/2003 come modificato dalla Legge 92/2012 – Riforma Fornero).
Possono svolgere prestazioni di natura occasionale secondo quanto sopra delineato fermi
restando, per i lavoratori del pubblico impiego, i limiti di cui all’articolo 53 del D.Lgs n. 165/2001
anche i lavoratori con contratto di tipo subordinato a tempo pieno (Ministero del Lavoro, interpello 46/2010).
LAVORO ACCESSORIO
DAL 18 LUGLIO 2012
Limite reddituale
Limite di euro 2.000,00 per
singolo committente se
“imprenditore commerciale
o professionista”
Limite complessivo di euro
5.000,00 nell’anno solare
Ambito applicativo
Generalità dei settori
produttivi
In agricoltura con limiti più
stringenti
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 10 - Lavoro accessorio
139
Nota bene: il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio da parte di un committente pubblico è
consentito nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle
spese di personale e, ove previsto, dal patto di stabilità interno (comma 3, articolo 70, D.Lgs n.
276/2003 come modificato dalla Legge 92/2012 – Riforma Fornero).
Percettori di prestazioni integrative del reddito - L’articolo 46 bis della Legge 134/2012 –
Decreto Sviluppo ha prorogato, al 31 dicembre 2013, la possibilità di svolgere lavoro occasionale in tutti i settori produttivi e nel limite massimo di euro 3.000,00 per anno solare, da parte
di percettori di prestazioni integrative del salario o con sostegno al reddito. Tra le prestazioni
di sostegno al reddito rientrano le indennità direttamente connesse ad uno stato di disoccupazione come:
• le prestazioni di disoccupazione ordinaria;
• le prestazioni di mobilità;
• i trattamenti speciali di disoccupazione edili.
Non rientrano invece le prestazioni pagate “a consuntivo” come l’indennità di disoccupazione in agricoltura e l’indennità di disoccupazione non agricola con requisiti ridotti.
Il limite dei euro 3.000,00 è riferito al singolo lavoratore e va computato in relazione ai compensi da lavoro accessorio che lo stesso percepisce complessivamente nel corso dell’anno
solare (anche per prestazioni effettuate nei confronti di diversi datori di lavoro).
Attenzione: i soggetti che, durante il periodo di percezione dell’integrazione svolgono attività lavorativa, era tenuti (fino alla pubblicazione dell’interpello del Ministero del Lavoro n. 19/2012) ad
informare preventivamente l’INPS ai sensi di quanto previsto dal comma 5, articolo 8 della Legge
n. 160/1988.
Per il solo caso di emolumenti da lavoro accessorio che rientrano nel limite di euro 3.000,00, l’interessato non era tenuto a dare alcuna comunicazione all’Istituto. Le remunerazioni di lavoro accessorio che superavano il predetto limite non erano integralmente cumulabili con la prestazione
e il lavoratore era tenuto a fornire la preventiva comunicazione all’Istituto. Nel caso di più contratti di lavoro accessorio stipulati nel corso dell’anno e retribuiti singolarmente per meno di euro
3.000,00 per anno solare, la comunicazione andava resa prima che il compenso determinasse il
superamento del predetto limite se sommato agli altri redditi per lavoro accessorio.
Si ritiene che, in considerazione del principio di “pluriefficacia della comunicazione” e alla luce dei
chiarimenti ministeriali contenuti nell’interpello 19/2012, non trovi più applicazione l’obbligo imposto al prestatore di lavoro di comunicare all’INPS lo svolgimento di attività di lavoro accessorio
in caso di superamento della predetta soglia di euro 3.000,00.
Disciplina previgente - Fino al 17 luglio 2012, tramite questa tipologia contrattuale potevano essere rese le seguenti “attività lavorative di natura meramente occasionale” (art. 70, D.Lgs
276/2003, come modificato dal D.L. 112/2008):
• lavori domestici per esigenze solo temporanee;
• lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti anche
nel caso in cui il committente sia un ente locale;
• insegnamento privato supplementare;
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
140
Capitolo 10 - Lavoro accessorio
• manifestazioni sportive, culturali, fieristiche o caritatevoli e di lavori di emergenza o di solidarietà anche in caso di committente pubblico;
• di qualsiasi settore produttivo, compresi gli enti locali, le scuole e le università, il sabato e la
domenica e durante i periodi di vacanza da parte di giovani con meno di 25 anni di età se
regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e
grado, compatibilmente con gli impegni scolastici. Per “periodi di vacanza” si intendono le:
º vacanze natalizie (periodo dall’1.12. al 10.1. dell’anno successivo);
º vacanze pasquali (periodo dalla Domenica delle Palme al martedì successivo il Lunedì
dell’Angelo);
º vacanze estive (periodo dall’1.6. al 30.09.);
• in qualsiasi settore produttivo e in qualunque periodo dell’anno, se regolarmente iscritti a un
ciclo di studi presso l’università;
• attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati, casalinghe e giovani (co. 12,
art. 7-ter, L. 33/2009). In via sperimentale e in accordo con l’”Avviso comune in materia di
lavoro e previdenza in agricoltura” del 26 giugno 2009, con il termine “casalinga” va inteso
un soggetto che, al di là dell’accezione di genere, non abbia prestato lavoro subordinato in
agricoltura nell’anno in corso e in quello precedente;
• attività agricole svolte da qualsiasi soggetto a favore dei soggetti di cui al comma 6, articolo
34 del DPR n. 633/1972;
• impresa familiare di cui all’art. 230-bis c.c., indipendentemente dalla forma giuridica assunta dall’imprenditore e dalla gestione previdenziale (artigiani e commercianti) cui sono iscritti i titolari e/o soci dell’impresa familiare stessa;
• consegna porta a porta e vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica. In tale ambito
rientrano i distributori ambulanti di stampa quotidiana e periodica, i dimostratori/promotori
ambulanti di prodotti o iniziative editoriali collegate a stampa quotidiana o periodica e i distributori ambulanti di volantini pubblicitari o fogli informativi relativi a prodotti o iniziative
editoriali collegate alla stampa quotidiana o periodica;
• qualsiasi tipologia di attività (compresi gli enti locali), se svolta da pensionati;
• attività di lavoro svolte nei maneggi e nelle scuderie;
• in via sperimentale, in tutti i settori produttivi (compresi gli enti locali) e nel limite massimo
di euro 3.000,00 per anno solare, da percettori di prestazioni integrative del salario o con
sostegno al reddito (integrazioni salariali, disoccupazione ordinaria, mobilità, trattamento
speciale di disoccupazione edile);
• in via sperimentale per l’anno 2010 (termine prorogato al 31 dicembre 2012), le attività lavorative di natura occasionale rese nell’ambito di qualsiasi settore produttivo (compreso il settore agricolo) da parte di prestatori di lavoro titolari di contratti di lavoro a tempo parziale,
con esclusione della possibilità di utilizzare i buoni lavoro presso il datore di lavoro titolare
del contratto a tempo parziale.
DIVIETI
Il ricorso ai buoni lavoro è limitato al rapporto diretto tra prestatore e utilizzatore finale, mentre è
escluso che un’impresa possa reclutare e retribuire lavoratori per svolgere prestazioni a favore di
terzi come nel caso dell’appalto e della somministrazione (circolare INPS n. 88/2009).
L’utilizzo del lavoro accessorio nell’ambito degli appalti è esplicitamente previsto solo con riferimento al servizio di stewarting negli stadi di calcio (nota del Ministero del Lavoro n. 21/2010).
Somministrazione di lavoro, lavoro intermittente e lavoro accessorio
Capitolo 10 - Lavoro accessorio
141
10.3 Adempimenti dei committenti
10.3.1 Contenuti della comunicazione obbligatoria
I committenti di prestazioni occasionali di tipo accessorio hanno l’obbligo di comunicare
all’INAIL, prima dell’inizio della prestazione,:
• i propri dati anagrafici e codice fiscale;
• l’anagrafica di ogni prestatore ed il relativo codice fiscale;
• il luogo dove si svolgerà la prestazione;
• le date presunte di inizio e di fine dell’attività lavorativa. Come precisato dall’INAIL con la
nota n. 6464/2010, la comunicazione deve indicare l’intero arco temporale in cui si intende
ricorrere al lavoro occasionale accessorio del prestatore, anche se esteso a più fine settimana, giorni alterni della settimana o settimane alterne nell’arco di più mesi.
Nota bene: in un primo momento l’INAIL aveva precisato come i committenti di lavoro occasionale
accessorio avessero l’obbligo di indicare nella comunicazione preventiva prestazioni di durata non
superiore a 30 giorni di calendario (date presunte di inizio e fine prestazione).
Lo stesso istituto ha poi corretto tale impostazione precisando che la comunicazione che il committente deve effettuare prima dell’inizio della prestazione può ricomprendere l’intero arco temporale nel quale s’intende fare ricorso al lavoro accessorio del prestatore considerato, senza limitazioni a 30 giorni.
In caso di spostamento delle suddette date deve essere effettuata una comunicazione di variazione
all’INAIL.
COMUNICAZIONE
OBBLIGATORIA
Codice fiscale e dati
anagrafici del committente
Codice fiscale e dati
anagrafici del lavoratore
Luogo di svolgimento della
prestazione lavorativa
Data di inizio e fine della
prestazione lavorativa
Modalità di comunicazione - La comunicazione preventiva di lavoro accessorio può essere
presentata con le seguenti modalità (alternative tra loro):
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Capitolo 10 - Lavoro accessorio
142
Modalità di comunicazione
Fax al numero 800.657.657
Specifiche
Deve essere utilizzato l’apposito modello reperibile nel sito Internet dell’Istituto www.inail.it/
Assicurazione/modulistica/Download
Contact center INPS/INAIL al numero 803164
Invio comunicazione telematica
Deve essere utilizzata la procedura telematica
disponibile sul sito www.inail.it, nella sezione
Punto Cliente
Tale comunicazione deve essere presentata anche nel caso di variazione dei dati relativi
alle prestazioni occasionali di lavoro accessorio.
10.3.2 Pagamento delle prestazioni
Il pagamento delle prestazioni avviene tramite la consegna da parte del committente di
buoni (voucher) di valore predeterminato, orari, numerati progressivamente e datati (comma
1, articolo 72, D.Lgs n. 276/2003 come modificato dalla Legge 92/2012 – Riforma Fornero) che
devono essere riscossi autonomamente dal lavoratore presso un qualsiasi ufficio postale.
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Capitolo 10 - Lavoro accessorio
143
VOUCHER
Committente
Prestatore
di lavoro accessorio
Ufficio postale
€
Nota bene: prima dell’entrata in vigore della Legge n. 92/2012 (“Riforma Fornero”) non esisteva,
dal punto di vista retributivo, alcun riferimento normativo che correlasse il valore dei buoni (euro
10,00) ad un parametro orario e, pertanto, la determinazione del compenso era lasciata all’autonomia delle parti che potevano rapportarlo ad una unità temporale ovvero al raggiungimento di
un risultato.
Ciascun committente deve acquistare (con modalità diverse a seconda che si tratti di voucher
telematici ovvero cartacei) uno o più carnet di buoni; il valore nominale di questi buoni (euro 10,00)
è stato fissato con D.M. 30.9.2005 tenendo conto della media delle retribuzioni rilevate per le attività
lavorative affini a quelle oggetto del lavoro accessorio, nonché del costo di gestione del servizio.
Il compenso è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio.
Come chiarito dall’INPS con circolari n. 104/2008 e n. 76/2009, le attività di lavoro occasionale di tipo accessorio non danno titolo a prestazioni di malattia, di maternità, di disoccupazione né ad assegno per il nucleo familiare.
Il voucher non è integrabile con somme di denaro, neanche a titolo di rimborso spese forfetarie (INAIL, nota 6464/2010).
Voucher - Il valore nominale di ogni singolo voucher è pari a euro 10,00, con la possibilità
di usufruire anche di voucher “multipli” del valore di euro 20,00 e euro 50,00.
Il voucher singolo e quello “multiplo”, acquistabili su tutto il territorio nazionale presso le
sedi provinciali INPS, possono essere usati anche in combinazione tra di loro per determinare
l’esatto importo del corrispettivo della prestazione di lavoro occasionale.
Nota bene: dal 27 febbraio 2012 è possibile acquistare e riscuotere i voucher anche presso
tutti gli uffici postali del territorio nazionale.
Il valore nominale è comprensivo di:
• contribuzione a favore della Gestione Separata INPS (aliquota convenzionale pari al 13%). La
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Capitolo 10 - Lavoro accessorio
144
percentuale relativa al versamento dei contributi previdenziali è rideterminata con apposito
decreto in funzione degli incrementi delle aliquote contributive per gli iscritti alla Gestione
Separata dell’INPS (comma 4, articolo 72, D.Lgs n. 276/2003 come modificato dalla Legge
92/2012 – Riforma Fornero);
• contribuzione a favore dell’ INAIL (7%);
• quota per la gestione del servizio (5%).
Valore nominale
del voucher
Contribuzione dovuta alla
Gestione Separata INPS
Contribuzione dovuta alla
Gestione Separata INPS
Contribuzione dovuta alla
Gestione Separata INPS
Il valore netto del voucher singolo risulta dunque pari a euro 7,50 (euro 10,00 - 25%), mentre il valore netto del voucher multiplo è pari a euro 37,50 (euro 50,00 - 25%).
In caso di applicazione della normale disciplina contributiva e assicurativa del lavoro subordinato, ossia nel caso di impresa familiare (co. 4-bis, art. 72, D.Lgs. 276/2003) il valore nominale è comprensivo di:
contribuzione a favore del FPLD (33%);
contribuzione a favore dell’INAIL (4%);
quota per la gestione del servizio (5%).
In questo caso il valore netto del voucher singolo risulta dunque pari a euro 5,80 (euro 10,00
- 42%), mentre il valore netto del voucher multiplo è pari a euro 29,00 (euro 50,00 - 42%).
10.3.3 Voucher telematici e voucher cartacei
Sono previsti voucher telematici e voucher cartacei. Il voucher telematico utilizza una carta
magnetica – tipo “bancomat”; i buoni cartacei possono essere acquistati presso le sedi provinciali INPS.
Tipologie di voucher
Voucher telematici
Voucher cartacei
Voucher telematici - L’utilizzo dei voucher telematici richiede alcune operazioni preliminari. Innanzitutto i prestatori di lavoro sono tenuti ad effettuare l’ accreditamento anagrafico
presso l’INPS al fine della corretta gestione delle posizioni contributive individuali.
L’accreditamento può avvenire tramite vari canali:
• contact center INPS/INAIL (numero gratuito 803.164);
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Capitolo 10 - Lavoro accessorio
145
• via Internet (sito http://www.inps.it/ nella sezione Servizi Online - per il cittadino - Lavoro
Occasionale Accessorio);
• presso le sedi INPS;
• presso i Centri per l’Impiego.
A seguito dell’accreditamento anagrafico, Poste Italiane invia al prestatore/lavoratore una
carta magnetica (INPS Card), con la quale il lavoratore può accreditare e riscuotere gli importi delle prestazioni eseguite.
Anche i committenti che intendono avvalersi del lavoro occasionale di tipo accessorio sono
tenuti ad effettuare la registrazione che può avvenire:
• tramite contact center INPS/INAIL (numero gratuito 803.164), se risultano già presenti sugli
archivi ARCA dell’INPS;
• via Internet (www.inps.it nella sezione Servizi Online - per il cittadino - Lavoro Occasionale
Accessorio), se sono già presenti negli archivi INPS e già provvisti di PIN;
• presso le sedi INPS (canale obbligatorio se non risultano ancora presenti negli archivi INPS);
• tramite le associazioni di categoria dei datori di lavoro.
Il committente, utilizzando i canali sopra indicati e una volta individuati i prestatori/lavoratori disponibili, invia all’INPS la richiesta dei voucher che deve contenere:
l’anagrafica di ogni prestatore e il relativo codice fiscale;
la data di inizio e di fine presunta dell’attività lavorativa;
il luogo dove si svolge la prestazione;
il numero di buoni presunti per ogni prestatore.
Tale comunicazione assolve contestualmente agli obblighi di comunicazione preventiva
all’INAIL e di intestazione (provvisoria) dei buoni lavoro.
In caso di variazioni rispetto alla comunicazione telematica i committenti devono effettuare
la comunicazione preventiva all’INAIL, attraverso il contact center INPS/INAIL (numero gratuito 803.164) ovvero il numero di fax gratuito INAIL 800.657657, indicando, oltre ai propri dati
anagrafici e codici fiscali:
• l’anagrafica di ogni prestatore ed il relativo codice fiscale;
• il luogo dove si svolgerà la prestazione;
• la date presunte di inizio e di fine dell’attività lavorativa. In caso di spostamento delle suddette date, deve essere effettuata, con le stesse modalità, nuova comunicazione di variazione
all’INAIL.
Il valore complessivo dei buoni effettivamente utilizzati deve essere versato dai committenti prima dell’inizio della prestazione:
• tramite Modello F24 (modalità di pagamento possibile solo per l’acquisto di voucher telematici) indicando, nella sezione INPS del modello, il codice sede, il codice fiscale, la causale
LACC e il periodo di riferimento della prestazione;
• tramite versamento sul conto corrente postale 89778229 intestato ad INPS DG LAVORO OCCASIONALE ACC;
• tramite pagamento on line (attraverso il sito www.inps.it nella sezione Servizi Online - per il
cittadino - Lavoro Occasionale Accessorio) con addebito su cc postale BPIOL/BPOL o su Postepay o carta di credito VISA-Mastercard.
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Capitolo 10 - Lavoro accessorio
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Accreditamento del
prestatore e del committente
Invio di richiesta voucher
Pagamento dei voucher
richiesti
Al termine della prestazione lavorativa il committente è chiamato a dichiarare (confermando o variando i dati indicati con la richiesta dei voucher), per ciascun prestatore, l’entità della
prestazione svolta.
Il prestatore di lavoro riceve, via sms, email o per posta, una comunicazione contenente i
dati di sintesi (nome, cognome, voucher utilizzati, importo corrisposto e modalità di pagamento adottata e istruzioni per la riscossione in caso di bonifico domiciliato). Il committente riceve
a sua volta un rendiconto finale.
Voucher cartacei - In alternativa ai voucher telematici è possibile compensare le prestazioni di lavoro accessorio con voucher cartacei. In questo caso il committente deve in primo luogo
effettuare il versamento dell’importo relativo ai buoni che intende acquistare sul conto corrente postale 89778229 intestato ad INPS DG LAVORO OCCASIONALE ACC.
Con la ricevuta dell’avvenuto pagamento può ritirare (anche per il tramite delle associazioni di categoria) i buoni (voucher) e/o i carnet presso le sedi provinciali INPS.
Prima dell’inizio delle attività i committenti devono effettuare la comunicazione preventiva
all’INAIL tramite:
• contact center INPS/INAIL (numero gratuito 803.164);
• numero di fax gratuito INAIL 800.657657 indicando, oltre ai propri dati anagrafici e codici fiscali, l’anagrafica di ogni prestatore e il relativo codice fiscale, il luogo dove si svolge la
prestazione, la date presunte di inizio e di fine dell’attività lavorativa.
Tale comunicazione deve essere presentata anche nel caso di variazioni sopravvenute del
periodo di lavoro (cessazione/nuova assunzione, con conseguente modifica del periodo di attività); l’invio deve essere preventivo rispetto all’inizio della variazione.
Il committente, prima di consegnare al prestatore i buoni a titolo di corrispettivo della prestazione resa, deve provvedere ad intestarli, scrivendo su ciascun buono, negli appositi spazi,
il proprio codice fiscale, il codice fiscale del prestatore destinatario, la data della relativa prestazione e convalidando il buono con la propria firma.
Il prestatore riscuote il corrispettivo dei buoni ricevuti, dopo averli convalidati con la propria firma, presso qualsiasi ufficio postale.
Acquisto e ritiro dei voucher
presso l’INPS
Invio della comunicazione
preventiva
Consegna dei voucher
e riscossione
Rimborso voucher non utilizzati - In caso di buoni cartacei inutilizzati è possibile richiederne il rimborso esclusivamente presso le Sedi provinciali INPS.
Il datore di lavoro che abbia acquistato e non utilizzato dei buoni cartacei deve consegnarli
alla Sede provinciale INPS, che rilascia un’apposita ricevuta e dispone un bonifico per il loro
controvalore a favore del datore di lavoro (INPS, circ. 81/2008).
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Capitolo 10 - Lavoro accessorio
147
Il committente è inoltre tenuto a presentare, anche per via postale, la richiesta di rimborso
utilizzando l’apposito modulo Rimb. Lav. Occ. COD. SC52.
Il controvalore effettivo dei voucher ai fini del rimborso ai committenti, che viene determinato al netto della quota di gestione del 5%, è pari a:
• euro 9,50, per il buono lavoro da euro 10,00;
• euro 19,00, per il buono lavoro “multiplo” da euro 20,00;
• euro 47,50, per il buono lavoro “multiplo” da euro 50,00.
Una volta terminata la procedura di controllo, la sede INPS emette un bonifico domiciliato
o effettua un accredito sul c/c a favore del committente per il controvalore dei buoni non utilizzati (INPS, msg. 12082/2010).
La richiesta di rimborso può essere presentata anche in caso di voucher acquistati tramite
procedura telematica (INPS, msg. 10500/2011).
Voucher già richiesti - Resta fermo l’utilizzo, secondo la previgente disciplina, dei buoni
per prestazioni di lavoro accessorio già richiesti al 18 luglio 2012 e comunque non oltre il 31
maggio 2013 (comma 33, articolo 1, Legge 92/2012 – Riforma Fornero).
Come precisato dal Ministero del Lavoro nella circolare n. 18/2012, i buoni già acquistati
potranno quindi essere spesi entro il 31 maggio 2013 rispettando la precedente disciplina anche e soprattutto in relazione al campo di applicazione del lavoro accessorio; resta comunque
ferma la possibilità di accedere alle consuete procedure di rimborso.
Smarrimento o furto dei voucher - In caso di smarrimento o furto dei voucher il committente ovvero il prestatore sono tenuti innanzitutto a presentare denuncia alla competente autorità.
In caso di furto o smarrimento occorso ad un prestatore di lavoro:
• il prestatore comunica alla sede il furto o lo smarrimento dei voucher, consegnando copia
della denuncia alle autorità competenti;
• la sede annulla i voucher in questione;
• la sede, terminato l’iter procedurale, emette un bonifico domiciliato a favore del prestatore.
In caso di furto o smarrimento occorso ad un committente:
• il committente comunica alla sede il furto o lo smarrimento dei voucher, consegnando copia
della denuncia alle autorità competenti;
• la sede annulla i voucher in questione;
• la sede, terminato l’iter procedurale, consegna al committente dei nuovi voucher (INPS,
msg. 12082/2010).
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