Allegato `B` - Sinossi
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Allegato `B` - Sinossi
Allegato B Sinossi La tradizione storiografica basata sugli studi dello storico locale Pietro Gioja (1801-1865), vuole che le origini della cittadina pugliese siano da ricondurre presumibilmente alla seconda metà del VI secolo d.C. quando, per volere del capitano Conone e su mandato dell’imperatore Giustino II, sulla collina dove attualmente sorge Noci, fu eretta una cittadella di carattere militare (Castellum Nucum). La notizia sarebbe confermata, secondo il Gioja, dalla testimonianza del vescovo di Bisceglie, Pompeo Sarnelli il quale, in un documento del 1680 specifica che «In questo tempo il duce Tulliano [...] edificò (cioè nel 5919) [...] ne’ Monti Appennini del Castello delle Noci la Badia di Barsento de’ Monaci di S. Equizio». È molto verosimile, nondimeno, che la fondazione della città sia da ascrivere ai tempi della dominazione normanna. Volendo accampare una documentazione probante sulla costituita città, è opportuno risalire al 1188, anno in cui l’arcivescovo Rainaldo di Bari, per incarico di papa Alessandro III riconosce e giudizialmente definisce soggetta alla giurisdizione del vescovo Cafisio di Conversano la città di Rutigliano; contestualmente l’episcopo enumera propriis vocabulis le singole località sottopostegli, tra cui Sanctam Mariam de Nucibus. Il primo documento a testimonianza di un primevo nucleo urbano risale invece al periodo svevo, precisamente al 1240, anno in cui l’imperatore Federico II di Svevia ingiunge agli uomini del Casale di Santa Maria delle Noci di partecipare alla manutenzione del castello di Ruvo. Castrum Rubi [reparari potest] per homines Rubi, Biticti, Binetti, S. Nicandri, Monturoni, Lusicii, Canniti, Pali et S. Marie de Nocibus. All’ingrandimento del castello originario contribuirono, secondo una vecchia tradizione storiografica, la migrazione degli abitanti dei vicini borghi di Barsento e Casaboli, antichi centri abitati, che appaiono completamente disabitati nel XV secolo (come risulterebbe in un documento del 1481, in cui si allude a “locis inhabitatis Casabolae”) e, secondo una versione ormai smentita dallo storico Pasquale Gentile, distrutti nel 1040 per iniziativa del duca Rainero de Fumis, signore di Mottola, per punire i due centri di aver tentato di rendersi indipendenti. In realtà il fatto che Casaboli esistesse ancora (e fosse florido) in quegli anni è attestato dalla donazione da parte del conte normanno Goffredo ai Benedettini di Santo Stefano di Monopoli e, un secolo dopo, da un diploma del 1169 che registra la donazione feudale di Roberto Altavilla conte di Loretello all’abate del medesimo monastero. Le Cedole Angioine attestano che nel 1340 il Casale Sancte Marie de Nucibus è sottoposto a tassazione. Sotto il dominio angioino la comunità conosce un decisivo sviluppo. All’interno del processo di appropriamento del demanio da parte dei casali, Noci ottiene il riconoscimento di Universitas, che nel gergo curialesco del tempo indicava l’istituzione comunale. Nel 1407 re Ladislao I concede alla comunità che si era ribellata al dominio della contessa di Conversano Margherita del Balzo lo scioglimento dai vincoli feudali (tuttavia ristabiliti un secolo dopo). Successivamente, pretesa del principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini Del Balzo, finì tra i possedimenti di quest’ultimo per poi essere ceduta in dote alla figlia Caterina nel 1456. Il matrimonio di Caterina Orsini Del Balzo (figlia di Giannantonio) con Giulio Antonio I Acquaviva d’Aragona, segnò il trasferimento di Noci tra i possedimenti facenti parte della Contea di Conversano. Da allora rimase fino alla soppressione della feudalità nel 1806 sotto la giurisdizione dei duchi d’Atri della famiglia Acquaviva d’Aragona. Nel 1739 a Napoli tra l’Università di Noci, il Duca di Martina, il Conte di Conversano e l’Università di Mottola venne stipulato un accordo (Instrumento di partaggio) che garantiva alla comunità nocese gli usi civici e i diritti di parata e fida. Il patto attribuiva lo Ius comunale patrimoniale alla comunità cittadina sull’intero territorio comunale, garantendo alla stessa elevati vantaggi economici e oltretutto risolvendo una lunga contesa storica con il signore di Mottola (salvo poi i diritti di parata venire inibiti nei decenni successivi). Durante la rivoluzione partenopea del 1799 Noci, che aveva dato i natali a uno degli artefici della stessa, Giuseppe Leonardo Albanese, membro del governo provvisorio della Repubblica, dapprima rifiutando l’imposizione dell’“infame albero” delle libertà repubblicano, poi, minacciata dai recenti massacri di lealisti operati dai francesi nei pressi di Bari, si sottomise alla sua imposizione, pur non essendovi mai state nella popolazione simpatie giacobine (ed anzi essendo rimasta l’adesione alla rivoluzione un fatto dapprima esclusivamente circoscritto al notabilato locale). Durante l’occupazione francese del regno di Napoli, sotto il regno di Giuseppe Bonaparte, la legge del 2 agosto 1806 sopprime la feudalità colpendo duramente i feudatari delle campagne nocesi. Con la legge di soppressione degli ordini religiosi l’antico convento dei padri Domenicani è soppresso e sono confiscati i suoi beni e assegnati al demanio statale. Il convento dei frati Cappuccini fondanto nel 1588 è invece abolito durante il periodo unitario. Dopo la restaurazione anche il paese è coinvolto nell’associazionismo segreto volto a combattere l’ordine seguito al Congresso di Vienna e a diffondere le idee liberali. Sulle diverse associazioni che si formano spicca la Vendita carbonara cui nel 1820 (anno in cui Ferdinando I concesse la Costituzione) aderiscono 78 nocesi.