Art. 27 della Costituzione federale – Libertà economica - Cc-Ti

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Art. 27 della Costituzione federale – Libertà economica - Cc-Ti
Nr. 8
Ottobre
2015
Art. 27
della Costituzione federale –
Libertà economica
1 La libertà economica è garantita.
2 Essa include (…) il libero accesso
a un'attività economica privata
e il suo libero esercizio.
Nr. 8 - Ottobre 2015
EDITORE:
Camera di commercio, dell’industria,
dell’artigianato e dei servizi
del Cantone Ticino, Lugano
REDATTRICE RESPONSABILE:
Lisa Pantini
COMITATO REDAZIONALE:
Franco Ambrosetti, Luca Albertoni,
Lisa Pantini, Gianluca Pagani,
Stefania Micheletti e Cassia Casagrande
Strong opinion
4 In merito al rigore…
Editoriale
6 Le libertà dimenticate
Contromano
8 Internet veloce e la politica lenta
Tema
10 Come si distrugge la libertà d’impresa
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FREQUENZA:
Ticino Business è pubblicato
in 10 numeri annui
Ospite
14 La Svizzera e la libera circolazione delle persone: a che punto siamo?
16 Caro imprenditore, ma chi te lo fa fare?
Biblioteca liberale
18 Un altro futuro è possibile per l’Europa
Sì al risanamento del San Gottardo
20 Il secondo tubo al San Gottardo più economico delle stazioni di trasbordo
Attualità
21 Il Gottardo serve soprattutto (a) noi! 22 La mobilità fiscale è sopravvalutata
24 Interview à l’ambassadeur de Suisse en Russie, Pierre Helg
25 Alla scoperta del Kazakistan
26 Il mandato di spedizione: utile strumento per le imprese
Eventi
28 98esima Assemblea Generale Ordinaria della Cc-Ti, Castione, il 23.10.2015
30 Responsabilità civile degli organi societari, il 12.10.2015
31 AEO e procedure elettroniche doganali da diversi punti di vista, il 15.10.2015
32 Save the date - Agiamo Insieme 2015, il 10.11.2015
33 Previdenza 2020, rischi, sfide ed opportunità
Formazione
36 Corsi proposti dalla Cc-Ti
Commercio estero
37 Switzerland Global Enterprise
41 Ripartono i corsi di formazione sull’«ABC dell’export»
Fiere internazionali e missioni economiche
42 I prossimi appuntamenti
Nr. 8
Ottobre
2015
Art. 27
della Costituzione federale –
Libertà economica
1 La libertà economica è garantita.
2 Essa include (…) il libero accesso
a un'attività economica privata
e il suo libero esercizio.
Vita dei soci
43 Ticino Impiantistica
44 Ticinowine
45 Luisoni Consulenze SA
46 Swiss Applied Software Research Sagl
48 Gruppo Sicurezza SA
49 Formamentis Sagl
50 Forcontact Europe SA
52 Exclusive Travel Consulting - ETC SA
54 Frigerio SA
55 Deloitte SA
56 Coiffure Suisse
57 Fratelli Roda SA
58 von Rundstedt & Partner Lugano Sagl
Strong opinion
In merito al rigore…
Lettera a Fabio Pontiggia e Lino Terlizzi
di Franco Ambrosetti,
Presidente Cc-Ti
Cari Fabio e caro Lino,
è con attenzione ed interesse che ho letto i vostri
articoli apparsi nel mese di agosto sulla questione
del rigore e della crescita a proposito della questione greca. La tesi fondamentale di entrambi gli
scritti è che il rigore o austerità debba far seguito
alla concessione di crediti volti ad evitare l’insolvenza di uno Stato con un debito estero eccessivo, perché creerà nel medio periodo la crescita
economica necessaria e sufficiente atta a rimborsare i creditori. E che i debiti vadano comunque
rimborsati.
Uno Stato la cui gestione finanziaria rispetti
la cultura del rigore, della misura, della
prudenza lungimirante, mantenendo una
socialità generosa e diffusa, non scivolerà
mai nel baratro del sovra indebitamento.
Continuerà a crescere proprio perché
rigoroso. In sintesi, prima il rigore,
poi la crescita
Per chiunque segua i principi del libero mercato,
sono affermazioni ovvie la cui applicazione pratica
richiede tuttavia qualche distinguo. La teoria dei
conti in ordine per stimolare e sostenere la crescita è
valida per i Paesi con attività economiche saldamente ancorate nei principali settori, il cui debito non
superi il 50-60% del PIL come Svizzera, Germania o
Svezia. Tenere sotto stretto controllo le finanze è un
compito fondamentale di qualsiasi famiglia, figuriamoci di un Governo. Uno Stato la cui gestione finanziaria rispetti la cultura del rigore, della misura,
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della prudenza lungimirante, mantenendo una socialità generosa e diffusa, non scivolerà mai nel
baratro del sovra indebitamento. Continuerà a crescere proprio perché rigoroso. In sintesi, prima il
rigore, poi la crescita.
Altra cosa sono i Paesi con un debito astronomico
come Italia, Francia o Grecia che da anni hanno perso completamente il controllo delle finanze statali e
sguazzano in un mare di debiti. Qui il discorso si fa
diverso, il rigore va calibrato attentamente. I crediti concessi come bailout (salvataggio) andrebbero
impiegati innanzitutto per investimenti produttivi
urgenti, per ridurre l’apparato statale, gli sprechi,
incrementare l’efficienza delle entrate cui devono seguire privatizzazioni, liberalizzazioni, abbattimento
di monopoli, corporazioni e degli innumerevoli paletti inibitori della libera concorrenza e dell’accesso al mondo del lavoro. Quando si registreranno i
primi segnali di crescita grazie alle misure descritte, allora inizia il rimborso sistematico del debito in
proporzione alla crescita realizzata. Quindi prima
la crescita e poi rigore che instaurerà un circolo virtuoso crescita-rigore-crescita. Questo in Grecia non
è avvenuto per l’esposizione esagerata delle banche,
soprattutto tedesche e francesi verso la Grecia cui si
sommò la devastante crisi del 2008 costringendo i
Governi a usare i rimborsi di Atene per salvare dal
crollo il sistema finanziario europeo e l’euro. E questo ci sta, i soldi pubblici non sono pensati per far
regali a Paesi spendaccioni con i conti in dissesto.
Però nel 2008 il debito greco era di 350 miliardi.
Oggi dopo 7 anni è rimasto uguale, 350 miliardi.
Il problema greco non si risolve con le dichiarazioni altisonanti dei tromboni europei. Men che meno con l’ipocrisia. È indispensabile dichiarare in
modo inequivocabile che la Grecia non sarà mai in
grado di ripagare interamente il suo debito se non
in 50 anni con interessi annuali di 0,5%. Forse.
Il nuovo piano, come quello vecchio non cura la
malattia e non farà ripartire la crescita necessaria
per ripagare i debiti.
Considerare gli asfittici progressi compiuti in
5 lunghi anni da Portogallo e Irlanda come una
vittoria del rigore è come voler definire la lunga
recessione in Italia e l’inerzia del PIL francese
un successo del fiscal compact. Il relativo miglioramento della Spagna che possiede una potenza
industriale ben al di sopra di quella greca o portoghese è piuttosto un’eccezione. La norma è che la
rigorosa Germania cresce, ma il restante dell’eurozona dopo oltre un quinquennio di sacrifici pesantissimi continua a soffrire. I Paesi messi meglio
sono quelli fuori dall’eurozona.
Mi domando, se gli USA avessero applicato in questo stesso periodo le politiche europee, avrebbero
una disoccupazione del 5,3% (dato di luglio) e una
crescita del 2,4%?
Forse il rigore tout court, non è sempre e ovunque
la panacea di tutti i mali.
I debiti sono debiti. Vanno pagati. Questo è giusto,
in teoria. In pratica gli esempi di chi non l’ha fatto
Forse il rigore tout court, non è sempre
e ovunque la panacea di tutti i mali
sono innumerevoli a cominciare da Filippo II, re
di Spagna (1557). Solo dall’indipendenza al 2008,
ho contato 13 Stati europei (tralascio il resto del
mondo) che hanno dichiarato default verso creditori esteri per ben 74 volte (cfr. Rogoff-Reinhart,
This time is different, Princeton 2009). Tra questi
Austria (7), Germania (8), Francia (9), Grecia (5). Il
default non è una novità.
Concludendo, la Grecia spendacciona e incosciente merita di essere aiutata? Certamente no. La
Germania bismarckiana ed egemonica i cui debiti
enormi furono condonati nel 1953, meritava di essere aiutata? No e per motivi ben più gravi. Definire
chi merita e chi no è una faccenda complessa. La
domanda non è se la Grecia, come la Germania meriti oppure no, bensì se necessiti di una riduzione
del debito e se i creditori siano disposti a concederla. Oggi l’eurozona può andare verso un accordo costruttivo di riduzione del debito o verso un disastro
politico le cui conseguenze sarebbero ben più ampie della piccola Grecia. La riduzione del debito non
risolverà i problemi dell’economia greca. Ma apre
la porta alla loro soluzione. Come il passato storico
ampiamente ci dimostra.
© John Kehly / Shutterstock.com
Ticino Business | 5
Editoriale
Le libertà dimenticate
di Luca Albertoni,
Direttore Cc-Ti
Nella
cacofonia imperante alle nostre latitudini, con un Paese perennemente
in campagna elettorale, è purtroppo inevitabile che si
perdano di vista molti principi fondamentali della nostra struttura istituzionale, giuridica e sociale. Non è
del resto raro che la Costituzione federale sia spesso
citata a sproposito da chi probabilmente non l’ha mai
nemmeno aperta in vita sua. In un contesto del genere, sono ovviamente le libertà a essere particolarmente minacciate. Vuoi perché le si dà per scontate, vuoi
perché la liberta va bene finché è la mia ma dà fastidio quando è quella degli altri. Oppure, come nel caso specifico della libertà imprenditoriale, perché essa
è utilizzata come sinonimo di abuso e sfruttamento.
Che equivale a uccidere l’impresa, forse nell’illusione
che lo Stato possa sostituirsi a tutto e tutti perché è
per definizione buono e neutrale. Dimenticando che
l’origine delle libertà fondamentali è proprio quella
di proteggere l’individuo dagli abusi del potere statale. È evidente che le libertà non sono illimitate e
devono e possono essere limitate, tenendo conto dei
vari interessi in gioco, con un’attenta ponderazione
fatta anche di sfumature. Celebre è la frase che disse
Martin Luther King secondo cui “la mia libertà finisce dove inizia la vostra”, che ben descrive la necessità di curare con attenzione le fragili piante delle varie
libertà che, spesso, entrano in conflitto fra di loro.
Intervenire con la scimitarra, come purtroppo sempre più spesso avviene nella discussione politica, è
pertanto totalmente fuori luogo. Dicevo della libertà
imprenditoriale, oggi compresa nel concetto più ampio della libertà economica, sancito dall’articolo 27
della Costituzione federale, che recita quanto segue:
Art. 27 Libertà economica
1 La libertà economica è garantita.
2 Essa include in particolare la libera scelta della
professione, il libero accesso a un'attività economica privata e il suo libero esercizio.
Orbene, sarebbe buon cosa che chi considera gli imprenditori delinquenti a prescindere, tenga conto di
questa norma costituzionale, perché la libertà d’impresa non è un privilegio inconfessabile concesso
a pochi furfanti, ma è la spina dorsale dell’attività
economica e quindi, di riflesso, anche della prosperità dello Stato. Poi per chi sbaglia ci sono le conseguenze civili e penali, come è giusto che sia per
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tutte le cittadine e i cittadini, ma negare questa libertà fondamentale significa abbattere uno dei pilastri
fondamentali della Svizzera moderna. Vale la pena,
a questo proposito, ricordare anche alcune parti del
decalogo di Abramo Lincoln:
Non puoi portare prosperità scoraggiando la
parsimonia,
non puoi rafforzare i deboli indebolendo i forti,
non puoi aiutare il piccolo abbattendo il grande
non puoi aiutare il povero distruggendo il ricconon puoi aiutare i lavoratori se colpisci i datori di
lavoro,
non puoi restare fuori dai guai spendendo più di
quanto guadagni,
non puoi incoraggiare la fratellanza incoraggiando l'odio di classe,
non si può stabilire solida sicurezza sociale sulla
base di denaro preso a prestito
non puoi costruire il carattere e il coraggio privando l'uomo dell'iniziativa e dell'indipendenza,
non puoi aiutare gli uomini facendo sempre in loro vece ciò che dovrebbero fare da soli.
Buonsenso si potrebbe dire. Assolutamente sì, ma
non per questo affermazioni meno valide o superate. Indebolire i forti per rafforzare i deboli è
purtroppo un tema di grande attualità pure oggi,
perché alcune forze (si fa per dire) politiche adorano il principio punitivo nei confronti dei più agiati,
cullandosi nell’illusione che facendo sparire i ricchi
vi saranno meno poveri. In tutto questo le aziende,
e quindi la libertà imprenditoriale, sono ormai additate come la causa di tutti i mali, dalla devastazione del territorio, all’inquinamento, dal dumping
salariale alla disoccupazione, ecc.. Senza tenere
conto che la stragrande maggioranza delle imprese
lavora in silenzio a favore del Paese. Punto e basta. I
furfanti ci sono in ogni categoria, nessuna esclusa
e da qui occorrerebbe ripartire. Senza dimenticare
che molte distorsioni del mercato poggiano su decisioni politiche avventate. Insomma, ce n’è per tutti e
tutti dovrebbero farsi un esame di coscienza. Certo
che pensando anche a quanto sia sotto pressione
la proprietà privata (non solo in termini di balzelli
vari, ma anche per le forti limitazioni di esercitarla
introdotte a furor di popolo un paio di anni fa con
la revisione della legge federale sulla pianificazione
del territorio), c’è poco da stare allegri.
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