(im)mobilità sociale e overeducation: il caso italiano
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(im)mobilità sociale e overeducation: il caso italiano
(Im)mobilità sociale e overeducation: il caso italiano di Marco Centra* Maurizio Curtarelli** Valentina Gualtieri*** Paper for the Espanet Conference “Innovare il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa” Milano, 29 Settembre — 1 Ottobre 2011 *Isfol, Area Analisi e Valutazione delle Politiche per l’Occupazione; [email protected] **Eurofound, Industrial Relations and Workplace Developments Unit; [email protected] ***Isfol, Area Analisi e Valutazione delle Politiche per l’Occupazione; v.gualtieri @isfol.it Le opinioni espresse dagli autori sono del tutto personali e non riflettono in alcun modo quelle dell’istituzione di appartenenza. 1 Introduzione L’Italia presenta degli evidenti deficit sui livelli di scolarizzazione terziaria e dei suoi rendimenti economici, soprattutto nel confronto con i principali paesi dell’Unione europea. La quota di persone con titoli di studio universitari è infatti in Italia nettamente inferiore alla media EU-27, con un divario che si amplia ulteriormente per la fascia di età più giovane, a indicare un certo peggioramento della situazione negli ultimi anni. Nel 2010, infatti, l’incidenza di persone di 25-64 anni con titolo universitario sul totale della popolazione era in Italia del 14.8%, quota nettamente inferiore alla media EU-27 (25.9%) e la metà di quella registrata in paesi quali il Regno Unito (35.0%), la Spagna (30.7%) la Francia (29.0%) (fonte: Eurostat). Anche in Italia, tuttavia, come nella media europea, le persone più istruite hanno maggiori possibilità di occupazione. Pur presentando tassi di occupazione complessivi inferiori alla media EU-27 (76.4% contro 82.3%, anno 2010, fonte: Eurostat), il nostro paese mostra infatti tassi di occupazione delle persone con istruzione terziaria superiori a quelli registrati per i possessori di livelli di istruzione più bassi, a conferma dell’importanza dell’investimento in istruzione in termini di spendibilità sul mercato del lavoro. A quote ridotte di persone altamente scolarizzate e a tassi d’occupazione delle persone con titolo universitario inferiori rispetto ai valori della media EU ci si aspetterebbe un maggior rendimento in termini di occupabilità degli occupati italiani con titolo universitario e dunque una collocazione lavorativa almeno coerente con il titolo posseduto. Invece, circa quattro occupati italiani su dieci svolgono un lavoro per il quale sarebbe richiesto un livello di istruzione più basso (Curtarelli e Gualtieri, 2010): al quadro delineato si associa dunque la presenza diffusa del fenomeno dell’overeducation. Come già sottolineato da diversi autori (Cipollone e Sestito, 2010; Visco, 2009) tutto ciò contribuisce a far sì che l’Italia si trovi attualmente in una situazione paradossale: alla scarsità relativa di alti livelli d’istruzione e alla connessa bassa offerta sul mercato del lavoro di persone altamente qualificate dovrebbe corrispondere un elevato rendimento dell’istruzione, sia in termini di occupabilità che in termini di qualità del lavoro (e relativa retribuzione). Si osserva al contrario una riduzione progressiva dei rendimenti dell’investimento in istruzione. Tale fenomeno sembra legato per molti versi a fattori di domanda (scarsità di domanda di lavoro qualificato, tessuto produttivo, ecc. ) e di incontro inefficiente tra domanda e offerta di lavoro (skill mismatch). Concentrandoci in particolare su quest’ultimo aspetto, va sottolineato come gli occupati in possesso di un titolo universitario che svolgono un lavoro per il quale sarebbe richiesto un livello di 2 istruzione più basso, si ritrovano a percepire retribuzioni inferiori rispetto a chi ha un’istruzione terziaria e svolge un lavoro coerente con il suo livello di istruzione. Tali retribuzioni non compensano l’investimento effettuato e dunque il rendimento del capitale umano è inferiore al necessario. La letteratura di riferimento fornisce diverse interpretazioni del fenomeno: tra di esse, quella delle “asimmetrie informative” esistenti sul mercato del lavoro appare la meno esplorata da un punto di vista teorico e la meno verificata da un punto di vista empirico. Secondo questo approccio, sarebbe la difficoltà di accesso alle informazioni sulle opportunità di lavoro a determinare il mancato allineamento (il mancato corretto incontro) tra domanda e offerta di lavoro e dunque sia il fenomeno della disoccupazione in presenza di vacancies disponibili e sia le situazioni di mismatch (Manacorda e Petrongiolo, 2000; Kucel e Byrne, 2008). Il problema delle asimmetrie informative, può essere tuttavia ovviato. Secondo la letteratura sul capitale sociale, infatti, i network sociali di cui dispone l’individuo sarebbero in grado di veicolare le informazioni sulle opportunità di lavoro disponibili e possono dunque favorire la collocazione degli individui sul mercato del lavoro. Inoltre, la “qualità” del network di cui gli individui dispongono determinerebbe la “qualità” dell’occupazione: in altre parole, il rendimento del capitale umano sarebbe fortemente influenzato dalla dotazione di capitale sociale. Da ciò discende l’ipotesi di lavoro che si vuole verificare con il presente contributo: in Italia, in un mercato del lavoro che non è in grado di allocare in maniera efficiente la forza lavoro qualificata, i soggetti che dispongono di una dotazione di capitale sociale più esigua degli altri incontrano maggiori difficoltà nell’avere una collocazione sul mercato del lavoro che in termini di professionalità e di retribuzione corrisponda al livello di istruzione posseduto. A partire da una rassegna della letteratura, e attraverso analisi descrittive e multivariate sui risultati dell’Indagine Isfol-Plus, il contributo analizza empiricamente il legame tra capitale sociale e rendimento del capitale umano, soprattutto in relazione ai fenomeni di overeducation. Si mostra così come, in assenza di politiche in grado di favorire il corretto incontro tra domanda e offerta di lavoro (soprattutto se qualificato), gli individui che non possono contare su una dotazione di capitale sociale di “qualità” (perché hanno un’origine sociale più modesta), sono, più degli altri, immobili nella gerarchia sociale. 1. Il quadro teorico di riferimento L’impianto teorico del presente contributo attinge a due filoni di ricerca principali, da un lato quello sul capitale umano (e sul mismatch, in particolare), e dall’altro quello sul capitale sociale. 3 L’obiettivo è quello di pervenire a un quadro teorico di riferimento maggiormente esaustivo, che permetta di indagare le cause del diverso rendimento di una medesima dotazione di capitale umano in un’ottica di dotazione di capitale sociale e dunque del suo rendimento anche in termini di mobilità sociale. 1.1. Capitale umano, skill mismatch e overeducation Per quanto riguarda il primo filone di ricerca, la letteratura sul capitale umano può essere raggruppata in due categorie: da un lato quella che analizza il contributo del capitale umano alle dinamiche dello sviluppo dell’economia (livello macro), dall’altro quella che considera il capitale umano in termini di rendimento economico (livello micro). Riguardo al primo dei due aspetti, la letteratura di riferimento sottolinea il nesso tra investimento in istruzione e formazione per accrescere la dotazione collettiva di capitale umano di un determinato contesto economico e l’attivazione di processi virtuosi di crescita: in tal senso, il capitale umano viene considerato un fattore produttivo vero e proprio (De la Fuente e Ciccone, 2002), al pari di quello fisico o di quello finanziario. Per quanto riguarda il secondo aspetto su indicato, il rendimento economico del capitale umano, misurato dalla retribuzione percepita dall’individuo al lavoro, questo dovrebbe almeno compensare il costo sostenuto per l’investimento in istruzione o in formazione effettuato (Centra e Tronti, 2011). La letteratura sul tema dello skill o dell’educational mismatch – ovvero la mancata corrispondenza tra le competenze o il livello d’istruzione degli individui e quelli richiesti dal mondo del lavoro – s’inserisce in quella sul capitale umano, e considera il mismatch tra skill o livello d’istruzione posseduti da un individuo e quelli richiesti per lo svolgimento di un dato lavoro, un fenomeno in grado di ripercuotersi negativamente su entrambi gli aspetti sopra indicati, con una perdita complessiva per il sistema economico. A livello macro il mismatch si tradurrebbe infatti in un’allocazione sub-ottimale della risorsa produttiva capitale umano e dunque in una perdita di efficienza del sistema economico e in minori tassi di crescita (Centra e Tronti, 2011). A livello micro si tradurrebbe invece, nel caso di individui inseriti in lavori che richiedono livelli di istruzione o competenze inferiori a quelli realmente posseduti, in ritorni insoddisfacenti dell’investimento effettuato, con delle ricadute sulla produttività del singolo. Scendendo poi a un livello di maggior dettaglio, la letteratura sull’argomento traccia alcune fondamentali distinzioni tra tipi di mismatch. Tra queste, quelle maggiormente rilevanti anche ai fini degli obiettivi del presente lavoro, sono quelle tra educational mismatch e skill mismatch e tra mismatch orizzontale e mismatch verticale. 4 Con l’espressione educational mismatch si fa riferimento alla mancata corrispondenza tra il titolo di studio posseduto da un individuo e quello richiesto per la posizione organizzativa che ricopre in un’impresa. Si è in presenza di skill mismatch, invece, quando si assiste alla mancata corrispondenza tra le competenze e le abilità di cui è dotato un individuo e quelle richieste dall’impresa per il lavoro che svolge1. L’altra distinzione rilevante, che tiene conto dei due tipi di mismatch appena segnalati, è quella tra mismatch orizzontale e mismatch verticale (Cedefop, 2010). Si è in presenza di un mismatch orizzontale quando il livello di istruzione o di competenza possedute dall’individuo coincidono con quelli richiesti dal lavoro che svolge, ma il tipo di istruzione o di competenze possedute sono inappropriati al lavoro. Si è invece in presenza di un mismatch verticale quando un individuo è assunto per svolgere un lavoro per il quale si richiede un livello di istruzione inferiore a quello che l’individuo possiede (overeducation) oppure un livello di istruzione superiore a quello che l’individuo possiede (undereducation). Analogamente, si ha un mismatch verticale anche in presenza di livelli di qualificazione o di competenza superiori (overqualification od overskilling, rispettivamente) o inferiori (underqualification o underskilling, rispettivamente) a quelli richiesti per lo svolgimento del lavoro. Tuttavia, tra i vari tipi di mismatch, quello che ha ricevuto maggior attenzione in letteratura è il fenomeno dell’overeducation, come mostra l’ampia produzione di studi e analisi empiriche relative a numerose realtà nazionali (Cedefop, 2010: pagg.18-20). Il motivo di tale interesse per suddetto fenomeno può essere addotto da un lato all’elevata diffusione che esso ha nella maggior parte dei Paesi a economia avanzata, e dall’altro alle ricadute negative che il mismatch tra i contenuti del lavoro svolto e l’investimento effettuato in istruzione può avere sulla qualità del lavoro e sulla soddisfazione e motivazione del lavoratore e di conseguenza sulla sua produttività e capacità di generare ricchezza (Curtarelli e Gualtieri, 2010), ma anche sul rischio di compromettere a livello macro il livello di efficienza dell’intero sistema. Per quanto riguarda le cause del mismatch tra domanda e offerta di capitale umano va detto che la letteratura sull’argomento tende a considerare il mismatch un fenomeno complesso, difficile da demarcare e altrettanto difficile da misurare, e potenzialmente attribuibile a diverse cause, non sempre classificabili come patologie (Ferrante, 2010). Ciononostante, nella letteratura di riferimento è possibile rinvenire alcune cause a cui sarebbe possibile ascrivere il fenomeno. 1 Si noti che le due espressioni non possono essere usate come sinonimi: secondo la teoria delle competenze eterogenee (Green e McIntosh, 2007) esiste infatti un legame debole tra i due tipi di mismatch, giacché a un medesimo livello di istruzione possono corrispondere molte diverse dotazioni di skill e viceversa, una certa dotazione di competenze può essere associata a diversi livelli di istruzione. 5 Tra di esse, la questione del cambiamento tecnologico skill-biased è considerata rilevante nel contribuire a generare skill mismatch. L’idea sottesa è che l’innovazione tecnologica favorisce l’assorbimento di persone con elevato livello di istruzione, giacché genera posti di lavoro a maggior contenuto di competenze, mentre l’assenza di innovazione tecnologica e dunque il permanere di attività produttive di carattere più tradizionale fa sì che le persone con livelli di istruzione più elevati siano assorbite in posti di lavoro che richiedono skill più ridotti o se non altro meno specialistici (Acemoglu, 2002; Krueger, 1993). Facendo invece riferimento in particolare al fenomeno dell’overeducation, si segnalano alcuni dei processi esplicativi sottesi al fenomeno. In primo luogo il cosiddetto “effetto coorte”: in periodi in cui si affaccia sul mercato del lavoro un elevato numero di persone altamente qualificate, e dunque si verifica un eccesso di offerta di lavoro qualificato, il mercato assorbe queste persone in posti di lavoro che richiedono minori skill. Ma se tali persone accettano un lavoro sottoqualificato in vista di ottenerne poi un altro corrispondente al proprio percorso di studio, il fenomeno dell’overeducation assume un carattere soltanto transitorio (Gautier, 2000). In secondo luogo l’overeducation può essere considerata, secondo alcuni autori, conseguenza di un processo decisionale. Per quanto riguarda il lavoratore, questi può decidere di accettare un impiego a minor qualificazione in alternativa alla disoccupazione specialmente nei sistemi dove la disoccupazione è strutturalmente elevata, mentre invece il datore di lavoro può dover affrontare una situazione di difficile reperimento delle figure professionali più adatte ai posti vacanti che ha messo a disposizione, ricorrendo a figure non del tutto adeguate (Büchel, 2001). Infine, l’overeducation (e più in generale l’educational mismatch) secondo altri autori, sarebbe frutto delle asimmetrie informative esistenti sul mercato del lavoro, soprattutto nella fase di accesso al primo impiego. Più nello specifico, la carenza di informazioni sulle opportunità di lavoro maggiormente corrispondenti al percorso di studi effettuato, e in grado di massimizzarne il rendimento, sembrerebbe legato al livello e al tipo di istruzione di cui si è in possesso. Infatti, ambiti di studio più circoscritti e specifici sarebbero associati a un maggior accesso alle informazioni sui posti di lavoro coerenti con le abilità acquisite dall’individuo, riducendo così le probabilità di incorrere in un mismatch. Viceversa, ad ambiti di istruzione più generalistici sarebbero associate minori probabilità di accedere alle informazioni sulle opportunità di lavoro più interessanti, generando così mismatch (Kucel e Byrne, 2008). Rifacendoci a quest’ultimo approccio (l’overeducation come risultato delle asimmetrie informative esistenti sul mercato del lavoro), è possibile individuare nella letteratura sul capitale sociale alcuni elementi concettuali che permettono di pervenite a un quadro teorico di riferimento maggiormente 6 comprensivo, e al contempo di accedere a chiavi interpretative “altre” delle cause del fenomeno dell’overeducation. In particolare, il concetto di network sociale - centrale nella definizione del capitale sociale -, e soprattutto le sue caratteristiche, permetterebbe di spiegare da un lato in che modo l’informazione su posti di lavoro disponibili, pur in presenza di asimmetrie informative, viene veicolata agli individui in cerca di occupazione favorendone l’inserimento lavorativo, e dall’altro l’esito di tale inserimento, ovvero le caratteristiche del lavoro ottenuto. 1.2. Capitale sociale, social network e ricerca di lavoro Il concetto di capitale sociale trova origine, secondo la letteratura, nel lavoro di Granovetter sulla “forza dei legami deboli” e sull’idea di “network sociale” (Granovetter, 1973) e negli sviluppi successivi di Loury (1977), che volle ampliare il concetto troppo restrittivo di capitale umano così come elaborato nella teoria economica neo-classica (Matějů and Vitásková, 2006). Tuttavia è solo in seguito che il concetto di capitale sociale inizia ad affermarsi, grazie ai lavori di Bourdieu (1985) e Coleman (1988). Nell’ambito delle scienze sociali non esiste a oggi una definizione pienamente condivisa di capitale sociale, sebbene quella data da Matějů e Vitásková (2006) appaia quella maggiormente completa. Secondo tali autori, infatti, il capitale sociale può essere definito come un network di relazioni sociali basate su diverse forme di “fiducia” e “reciprocità”, che possono permettere il perseguimento di diversi interessi privati e pubblici” (Matějů and Vitásková, 2006: 494; traduzione nostra). In generale è possibile affermare che: il concetto di capitale sociale si basa su network di relazioni sociali che possono essere formali e non; tali relazioni sono basate su norme di fiducia, reciprocità e partecipazione tra i membri del network (Matějů and Vitásková, 2006); infine, la disponibilità di capitale sociale assicura dei benefici (in termini di raggiungimento di determinati obiettivi) ai singoli o a gruppi di individui in virtù della loro appartenenza a network di relazioni (Portes, 1998; Yang, 2007). Una classificazione abbastanza comune nella letteratura sul capitale sociale, è quella che si basa sul tipo e sulla vicinanza della relazione tra individui del network, che tiene conto della struttura e della qualità del network: questi due aspetti sono importanti perché impattano sulla dotazione (e sulla consistenza) del capitale sociale dell’individuo. Tale classificazione, inizialmente proposta da Gittel e Vidal (1998) e successivamente sviluppata da Narayan (1999) e Woolcock (2000), e adottata poi da numerosi altri autori (cfr. Brook, 2005; Harper, 2002; Stone et al., 2003), distingue il capitale 7 sociale bonding, dal capitale sociale bridging e, infine, da quello linking. Nel primo caso, si tratta del capitale sociale che si regge su reti dense o di vicinanza, caratterizzate da legami forti (per esempio tra membri di una famiglia o tra amici intimi), che aiutano le persone ad affrontare la vita di tutti i giorni. Nel secondo caso, invece, la rete sociale sottesa è fatta di legami deboli, meno intensi ma trasversali (conoscenti, rapporti di lavoro) che possono avere la funzione di far fare dei passi avanti. Nell’ultimo caso, infine, la rete è fatta di legami istituzionali, ovvero di connessioni tra un individuo e le organizzazioni o istituzioni utili a fornire un supporto per una contingenza precisa (per esempio per la ricerca di lavoro presso un Centro per l’impiego). Per quanto riguarda la relazione tra capitale sociale e partecipazione al mercato del lavoro, diversi autori segnalano che il capitale sociale è in grado di orientare l’esito occupazionale di un individuo principalmente perché permette di avere accesso a informazioni su opportunità specifiche di lavoro. Brook (2005) per esempio, ritiene che il “capitale sociale, insieme al capitale umano o personale di un individuo, è in grado di orientare e assistere quanti sono disoccupati o inattivi a trovare un lavoro oppure, se già occupati, a cambiare il proprio lavoro o a fare carriera nel proprio posto di lavoro” (Brook, 2005: 2): esso può insomma apportare un utile contributo in termini di conoscenza delle opportunità lavorative disponibili. I network personali possono dare accesso ad informazioni su opportunità lavorative altrimenti indisponibili tramite altri network (Uzzi, 1999) o difficili da reperire pur vivendo in una certa regione e partecipando al mercato del lavoro locale per un certo periodo di tempo (Bernabé Aguilera, 2002). Inoltre, le informazioni ottenute tramite i network sociali sono meno costose e più veloci, e possono eliminare o almeno ridurre i periodi di trial and error (Bernabé Aguilera, 2002). Da quanto detto sin qui ne consegue che le persone che non possono contare su un network sociale o dispongono di un network molto ridotto - hanno cioè una scarsa dotazione di capitale sociale -, hanno informazioni carenti o incomplete sulle opportunità lavorative disponibili, e hanno dunque possibilità più ridotte di trovare lavoro. Su tali aspetti sono utili i lavori di Fernández-Kelly (1995) e Caspi et al. (1998), che hanno dimostrato il precedente assunto nei loro studi sulla disoccupazione giovanile degli afroamericani. Al fine di ridurre quest’effetto negativo (e pertanto indesiderato) del capitale sociale, sarebbe opportuno, come segnalato da Burt (1992), creare opportunità di accesso alle informazioni relative ai posti vacanti, rivolte soprattutto a persone che non dispongono di una rete sociale in grado di fornire loro tali informazioni. Di qui la necessità di creare servizi all’impiego efficienti nel raccordare domanda e offerta potenziali di lavoro e dunque ridurre le asimmetrie informative. Dal lato della domanda di lavoro, Holzer (1988) e successivamente Brook (2002), indicano che il capitale sociale può influenzare il processo di reclutamento di nuovo personale. Il datore di lavoro 8 può infatti preferire di assumere nuovo personale attraverso quello già in servizio presso l’azienda, sia chiedendo di indicare amici o conoscenti, sia accogliendo le loro segnalazioni, perché in tal modo è possibile ridurre il costo del reclutamento e costruire rapporti di fiducia con i candidati potenziali: viene dunque in tal modo sfruttato il capitale sociale dei dipendenti (in termini di network e fiducia) per assicurarsi nuovo personale la cui performance difficilmente metterà in cattiva luce nell’organizzazione chi ha fatto da tramite per l’assunzione (Brook, 2002). Riguardo poi al tipo di capitale sociale maggiormente utile per la ricerca di lavoro, la letteratura di riferimento tende a considerare i network sociali caratterizzati da “legami deboli” più efficaci nel supportare gli individui nella ricerca di lavoro. Questa è l’argomentazione del lavoro pionieristico di Granovetter (1973, 1974), conosciuto per la tesi della “forza dei legami deboli”. Granovetter ritiene che i legami deboli che uniscono chi è in cerca di lavoro ai loro conoscenti più distanti sono di maggior utilità per la ricerca di lavoro rispetto ai legami forti che uniscono la persona che cerca lavoro ai suoi parenti o amici più stretti, dal momento che i legami deboli agevolerebbero la circolazione di informazioni non ridondanti, mentre i legami forti quella di informazioni ridondanti. Ciò significa che le persone che possono disporre di un network esteso, che include contatti afferenti a diversi ambiti sociali, possono accedere a informazioni più tempestive e utili per la ricerca di lavoro, che non sono disponibili nel proprio intorno più immediato. Facendo riferimento ai tipi di capitale sociale precedentemente descritti, è possibile affermare che il capitale sociale bridging è più utile di quello bonding per la ricerca di lavoro. Ad ogni modo, Lin et al. (1981a e 1981b) hanno invece dimostrato la tesi della “forza dei legami forti”, secondo la quale lo status sociale del contatto e la forza dei legami tra il contatto e l’impresa che esprime le opportunità di lavoro sono di cruciale importanza per ottenere lavori di rango più elevato o dalle caratteristiche migliori. Come ha argomentato Bernabé Aguilera (2002), alcuni studi recenti hanno confermato l’importanza della “qualità del network”, in termini non soltanto di esiti occupazionali, ma anche della qualità del lavoro ottenuto. Usando le sue parole, “esattamente come una persona povera non è in grado di fornire risorse finanziarie per supportare il business di un amico, gli individui che svolgono lavori low-skill difficilmente potranno far circolare informazione su lavori high-skill. I network possono fornire soltanto le risorse che essi posseggono’ (Bernabé Aguilera, 2002: 856). In conclusione, il capitale sociale risulta importante nella ricerca (e ottenimento) di un posto di lavoro, dal momento che permette di ridurre le asimmetrie informative favorendo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Tuttavia, come mostrano gli studi più recenti, il tipo di rete di cui i soggetti dispongono influenza il tipo di lavoro a cui si riesce ad accedere attraverso di essa: i soggetti occupati in lavori a bassa qualificazione faranno circolare informazioni relative a 9 opportunità di lavoro a bassa qualificazione; viceversa, quanti ricadono in occupazioni di rango più elevato faranno circolare informazioni su opportunità lavorative ad alta qualificazione. Ciò, inoltre, sembra particolarmente vero nel caso in cui si tratti di legami forti, maggiormente inclini a far circolare le informazioni sulle opportunità lavorative migliori. 2. Le analisi empiriche Le analisi sono state condotte utilizzando i dati provenienti dall’indagine Isfol - Plus 20082, selezionando la popolazione in età compresa tra 25 e 55 anni. La scelta di tale data-set è dovuta essenzialmente alle informazioni in esso contenute, che permettono di analizzare non soltanto le caratteristiche individuali dell’occupato quali il titolo di studio posseduto e la professione svolta (con il reddito percepito), e dunque di identificare le situazioni di incoerenza tra il titolo posseduto e l’inquadramento professionale3, ma anche quelle relative al background familiare di origine4, attraverso le quali è possibile costruire una proxy della dotazione di capitale sociale dell’individuo secondo la metodologia indicata nell’appendice. 2 La rilevazione Isfol PLUS, che attualmente è alla sua quarta edizione, è un’indagine con cadenza periodica già condotta negli anni 2005, 2006, 2008. La rilevazione è di tipo campionario e coinvolge in ogni occasione circa 40.000 individui. Il campo d’osservazione è rappresentato dalla popolazione residente in Italia con età compresa tra 18 e 64 anni. In particolare le seguenti fasce di popolazione non vengono incluse nella popolazione di riferimento: gli uomini inattivi (esclusi studenti e pensionati da lavoro) tra i 18 e i 64 anni, le donne inattive tra i 40 e i 64 anni (esclusi studenti e pensionati da lavoro), gli studenti uomini con più di 29 anni, le studentesse con più di 39 anni, i pensionati da lavoro con meno di 50 anni. La rilevazione è effettuata attraverso la somministrazione di un questionario strutturato con tecnica di tipo Cati. Il dettaglio massimo delle stime è la regione. Per una descrizione puntuale della metodologia dell’indagine si rimanda a Giammatteo (2009). I dati utilizzati per questa analisi fanno riferimento al 2008 ed il Codice Utilizzo Dati è Isfol PLUS/470. 3 Nell’indagine ISFOL-PLUS le professioni sono identificate a partire dai 9 macro-gruppi della classificazione ISCO-88 proposta dall’ILO, che segue un approccio gerarchico. I 9 macro-gruppi della ISCO-88 sono i seguenti: legislatori dirigenti e imprenditori; professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione; professioni tecniche; impiegati; professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi; artigiani, operai specializzati e agricoltori; conduttori di impianti e operai semiqualificati; professioni non qualificate; forze armate. 4 Le informazioni relative al background familiare di origine si riferiscono ai genitori dell’intervistato e sono relative al titolo di studio, alla condizione occupazionale e alla professione prevalente. Il titolo di studio è classificato come: nessun titolo; elementari; medie inferiori; diploma; laurea. La condizione occupazionale e la professione prevalente sono identificate in un’unica variabile con le seguenti modalità: dirigente; imprenditore; titolare di attività; professione intellettuale, scientifica; insegnante; professione tecnica; impiegato; commerciante o addetto ai servizi; artigiano; operaio specializzato; agricoltore; operaio e conduttore di macchinari; professione non qualificata; forze armate; non occupato. Da tale variabile è possibile ricostruire i 9 macro-gruppi professionali della classificazione ISCO-88. 10 È stato così possibile studiare le interazioni tra capitale umano e capitale sociale e pertanto verificare le ipotesi di ricerca relative al rendimento dei due tipi di capitale, in termini di professione svolta e di reddito percepito. La decisione di utilizzare le informazioni relative alla famiglia di origine (livello d’istruzione dei genitori e condizione professionale e/o professione prevalente dei genitori) è scaturita da alcune considerazioni. La prima è che esiste un’oggettiva difficoltà nella misurazione del capitale sociale, come segnalato da numerosi autori: essa si riflette nella carenza di dati sulla dotazione e sulla qualità del capitale sociale, ma può essere superata predisponendo delle indagini ad hoc che operativizzano adeguatamente il concetto di capitale sociale (si veda per esempio Bernabé Aguilera, 2002; Brook, 2005; Harper, 2003; Li et al., 2003, Yang, 2007). Un’ulteriore considerazione è che in Italia non esistono indagini specifiche, quantomeno recenti, mirate ad analizzare la dotazione di capitale sociale dell’individuo occupato, o almeno la disponibilità di un network di sostegno, dando la possibilità di studiare il legame con i rendimenti in termini professionali o salariali. Sono altresì poche anche le indagini che rilevano - tra le altre informazioni sull’origine sociale degli individui (un esempio per tutte è l’indagine Multiscopo Famiglia e Soggetti Sociali dell’Istat, ferma come diffusione dei dati al 2003, che rileva informazioni su vari ambiti inerenti il capitale sociale ma non rileva informazioni sui redditi da lavoro). Pur nella consapevolezza dei limiti che può presentare tale operativizzazione del concetto di capitale sociale, dal momento che si analizza soltanto un tipo di capitale sociale, il capitale “bonding”, e dunque si considerano soltanto i network basati sui legami forti, e inoltre non si analizzano le modalità di funzionamento della rete stessa nel determinare l’esito occupazionale dell’individuo, la letteratura di riferimento sembra giustificare tale scelta. Come precedentemente segnalato, infatti, i lavori di Lin et al. (1981a e 1981b) o di Bernabé Aguilera (2002) hanno dimostrato che per i lavori skilled funzionano in maniera più efficiente le reti di legami forti. Di conseguenza la scelta di considerare l’origine sociale come proxy della dotazione di capitale sociale appare giustificata. 2.1 Background familiare e rendimento del capitale umano Le analisi descrittive evidenziano una forte influenza del background familiare nel determinare l’esito occupazionale dell’individuo. In particolare, l’ipotesi che una dotazione elevata di capitale sociale bonding possa veicolare all’individuo informazioni utili ad accedere a lavori di rango elevato appare confermata. 11 Quasi cinque occupati su dieci ricadenti nelle professioni di rango elevato5 hanno infatti un background familiare alto, contro i circa tre su dieci di quelli con background medio alto, e i circa 1,2 e 1,4 di quelli con un background medio basso o basso. Viceversa, guardando invece all’estremo opposto della scala di dotazione di capitale sociale e agli esiti occupazionali correlati, l’analisi evidenzia come a un background familiare basso sia più frequentemente associata una professione non qualificata dell’individuo (11,3% dei casi), mentre al crescere della dotazione di capitale sociale si riduce drasticamente la quota di occupati ricadente nelle professioni non qualificate, fino a raggiungere lo 0,7% nel caso di quanti hanno un background familiare alto (Tabella 1). Ciò è ancor più vero se si analizza l’effetto combinato della dotazione di capitale sociale con quella di capitale umano: gli individui con un elevato livello di capitale umano (in possesso di titolo di studio universitario) e un’elevata dotazione di capitale sociale (scaturente da un background familiare alto) sono occupati nelle professioni alte con maggior frequenza rispetto a tutti gli altri. Inoltre, a ulteriore conferma di quanto sin qui visto, si può osservare che i possessori di titolo universitario ricadono nelle professioni non qualificate con maggior frequenza se hanno una scarsa dotazione di capitale sociale (Tabella 2). Se si considerano poi i dati relativi alla dotazione di capitale sociale in base alla coerenza tra titolo di studio posseduto e professione svolta6, con l’obiettivo di verificare l’esistenza di una correlazione 5 Nel seguito i 9 macro-gruppi della classificazione ISCO-88 sono stati raggruppati nel modo seguente: le professioni alte comprendono i legislatori, i dirigenti, gli imprenditori, le professioni intellettuali, scientifiche e ad elevata specializzazione; le professioni tecniche comprendono le professioni tecniche; le professioni medie comprendono gli impiegati, le professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi, gli artigiani,gli operai specializzati, gli agricoltori, i conduttori di impianti e gli operai semiqualificati; le professioni non qualificate comprendono le professioni non qualificate. Dall’analisi sono stai esclusi i lavoratori delle forze armate. 6 Per verificare la coerenza tra titolo di studio e professione svolta è stata creata una variabile che assume tre possibili modalità: matching, under education e overeducation. Nello specifico per la generazione della variabile si è proceduto nel modo seguente. La variabile che identificano il titolo di studio è stata ricodificata in tre modalità: in titolo alto (possessori di titolo universitario), titolo medio (possessori di diploma), titolo basso (possessori di al massimo la licenza media). Questa nuova variabile è stata incrociata con l’informazione riguardante la professione (ricodificata come esplicitato nella nota precedente). Da tale incrocio ne è scaturito che gli individui si trovano in una condizione di matching se: hanno un titolo universitario e svolgono una professione alta, hanno un diploma e svolgono una professione tecnica o media, hanno un titolo di studio al massimo pari alla licenza media e svolgono una professione media o non qualificata; al contrario sono in overeducation se: hanno un titolo di studio universitario e svolgono una professione tecnica, media o non qualificata; hanno un diploma e svolgono una professione non qualificata; invece sono in undereducation quanti hanno un diploma e svolgono una professione alta o quanti hanno al massimo la licenza media e svolgono una professione tecnica o alta. 12 tra il mismatch e la dotazione (alta o bassa) di capitale sociale, è possibile verificare che i possessori di titoli universitari hanno maggiori probabilità di svolgere una professione coerente con il proprio livello di istruzione se hanno un background familiare elevato rispetto agli altri. Se infatti la percentuale dei laureati con una dotazione di capitale sociale elevata e che svolgono un lavoro coerente con il titolo posseduto è del 53% circa, tale percentuale è di appena il 40% per tutti gli altri. Le probabilità di essere interessati dal fenomeno dell’overeducation, in altre parole, e dunque di avere un rendimento del proprio investimento in istruzione più basso rispetto a chi è invece collocato in lavori coerenti con il proprio titolo universitario, è molto più elevata se non si dispone di un network sociale in grado di veicolare informazioni utili a ottenere lavori di rango più alto e dunque meglio retribuiti. Tabella 1. Occupati di 25-55 anni (sono escluse le forze armate) per professione e background familiare Background familiare Professioni Alte 46.9 Alta 27.7 Medio Alta 11.5 Medio Bassa 13.6 Bassa Totale 15.1 Fonte: Isfol - Plus 2008 Professione del figlio Professioni Professioni Professioni tecniche Medie non qualificate 23.8 28.6 0.7 23.2 47.1 2.0 18.6 64.2 5.6 13.0 62.1 11.3 19.1 60.5 5.3 Totale 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 Distribuzione background familiare 4.0 12.7 77.6 5.7 100.0 Tabella 2. Occupati di 25-55 anni (sono escluse le forze armate) con titolo universitario per professione e background familiare Background familiare Professioni Alte 63.2 Alto 46.4 Medio Alta 38.9 Medio Bassa 54.1 Bassa Totale 44.7 Fonte: Isfol - Plus 2008 Professione del figlio Professioni Professioni Professioni non tecniche Medie qualificate 15.8 20.3 0.6 26.5 26.9 0.2 33.7 27.1 0.3 25.6 18.4 2.0 29.2 25.7 0.4 Totale 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 Distribuzione background familiare 14.4 23.1 58.6 3.9 100.0 Tabella 3. Occupati di 25-55 anni (sono escluse le forze armate) per titolo di studio, tipo di matching e background familiare Fino alla licenza media Qualifica professionale o diploma Titolo universitario underunderoverovermatching education Totale matching education education Totale matching education Totale 90.8 9.2 100.0 87.2 9.3 3.5 100.0 39.9 60.1 100.0 Basso 77.3 22.7 100.0 79.9 18.1 2.0 100.0 52.9 47.1 100.0 Alto 89.9 10.1 100.0 86.0 10.8 3.3 100.0 44.7 55.3 100.0 Totale Fonte: Isfol - Plus 2008 Background familiare 13 2.2 Background familiare e redditi da lavoro La possibile relazione tra dotazione di capitale sociale e redditi è studiate tramite una serie di regressioni (OLS) che utilizzano come variabile dipendente il logaritmo dei redditi da lavoro lordi annui degli individui nella classe di età 25-55 anni7. È possibile valutare così l’effetto medio del background familiare, oltre che dei livelli di istruzione e di altre caratteristiche degli individui occupati, sui redditi da lavoro. Le stime sono prodotte generando una serie di modelli, via via sempre più ricchi di informazioni in modo da verificare come i coefficienti associati alle due variabili esplicative principali (background familiare e titolo di studio) si modificano all’aumentare delle caratteristiche individuali inserite nel modello. Entrando maggiormente nel dettaglio della procedura adottata le stime sono prodotte nel modo seguente: 1) Il primo passo prevede la stima di un modello che studia l’impatto dei differenti livelli di istruzione sui redditi da lavoro dipendente, autonomo e parasubordinato, senza considerare il background familiare e controllando per le principale caratteristiche individuali. Il primo modello è quindi un classico modello minceriano che valuta i rendimenti in termini reddituali dell’investimento in istruzione (Mincer 1958,1974) e che permette di verificare l’intensità dell’effetto delle variabili “titolo di studio” e “formazione”, e dunque della dotazione di capitale umano, sui redditi da lavoro. 2) Nel secondo passo si costruisce un modello che valuta l’effetto dell’indicatore composito di background familiare sui redditi da lavoro dipendente, autonomo e parasubordinato a parità di caratteristiche quali la ripartizione territoriale di residenza, il genere, la cittadinanza e l’esperienza lavorativa. Nell’equazione non si prende in considerazione l’istruzione e la formazione in modo tale da verificare l’intensità dell’effetto dell’indicatore composito non depurandolo dal livello di “capitale umano”. 3) Nel terzo modello vengono inserite tutte le informazioni menzionate nei modelli precedenti. Tramite questa equazione è possibile quindi studiare l’effetto sui redditi da lavoro dipendente, autonomo e parasubordinato della scolarità e della formazione a parità di 7 Nell’indagine ISFOL-PLUS le remunerazioni annue sono rilevate per la totalità degli occupati, dipendenti, autonomi e parasubordinati. Tuttavia in molti casi i redditi degli autonomi sono ricostruiti mediante procedure di imputazione (Giammateo, 2009). Al fine di verificare eventuali effetti indesiderati l’ultimo dei modelli di regressione proposto è stato riprodotto per il solo sotto-campione dei lavoratori dipendenti. 14 background familiare e viceversa l’effetto del background familiare a parità di istruzione e formazione. 4) Nel quarto passo vengono inseriti altri predittori caratterizzanti il lavoro (tipologia contrattuale, orario di lavoro e professione) in modo tale da verificare il cambiamento nell’intensità dell’effetto dell’indicatore composito di background familiare e dell’istruzione di sul reddito da lavoro. 5) L’ultimo passo riproduce il modello di cui al precedente punto 4) ma per la sola sottopopolazione dei dipendenti. Le regressioni dei redditi annui in tutti i modelli confermano i risultati già ottenuti e noti in letteratura sul profilo dell’occupazione nel nostro Paese.. Il livello medio della remunerazione è infatti significativamente minore per le donne, confermando il divario di genere che caratterizza il nostro paese. Nel primo modello si osserva che in media un uomo, ceteris paribus, ha un reddito annuo del 35% superiore a quello di una donna; l’intensità dell’effetto si riduce quando nel modello sono inserite le caratteristiche del lavoro, restando tuttavia molto elevato. Le remunerazioni sono inferiori anche per gli occupati residenti nel Mezzogiorno, per chi ha una bassa anzianità di servizio e una ridotta durata del rapporto di lavoro (con effetto concavo evidenziato dal segno negativo della durata al quadrato). Il livello di istruzione gioca un ruolo fondamentale nella determinazione dei livelli retributivi: nel primo modello si stima che un individuo in possesso di un titolo di studio universitario, a parità delle altre caratteristiche incluse nel modello, ha un reddito del 19% superiore a chi possiede un diploma di scuola secondaria di secondo grado. Sempre nello stesso modello si osserva l’importanza in termini reddituali della formazione: per chi negli ultimi tre anni (rispetto al momento dell’intervista) ha avuto accesso a formazione si osserva un incremento del reddito di 13 punti in termini percentuali rispetto agli altri. L’intensità dell’effetto per il livello di istruzione e per la formazione si riduce, mantenendo una forte rilevanza, all’aumentare della complessità del modello, ossia quando il reddito annuale da lavoro viene depurato dall’effetto del background familiare e delle caratteristiche del lavoro. Quando si passa a valutare l’impatto del background familiare sui redditi da lavoro, a parità di area geografica, genere, cittadinanza ed esperienza lavorativa, e senza tener conto del livello di istruzione degli occupati, si osservano dei forti differenziali. Dal secondo modello si stima che il background familiare, variabile inserita nei modelli come continua con quattro possibili valori (1=basso, 2=medio basso, 3=medio alto, 4=alto), fa incrementare il reddito dell’11% quando si passa da una classe a quella successiva. Una vota inseriti fra i regressori il titolo di studio e la formazione, i coefficienti stimati del background familiare si riducono notevolmente restando 15 comunque statisticamente significativi e di rilevante importanza: l’incremento del reddito nel passaggio da una classe di background familiare a quella successiva, si attesta al 4%, ciò a significare che un occupato con una dotazione di capitale sociale “alta” ha un reddito annuo da lavoro del 12% superiore a chi dispone di una dotazione di capitale sociale “bassa”. Se nel modello sono inserite le caratteristiche dell’occupazione quali la tipologia contrattuale, la professione e l’orario di lavoro (modello 4), l’intensità dell’effetto del background familiare sulle retribuzioni rimane costante mentre quella del livello di istruzione e della formazione si abbassa leggermente. L’informazione sulla tipologia di occupazione ha una elevata capacità predittiva e conferma quanto riscontrato in letteratura sull’argomento. Dal quarto modello risulta infatti che le retribuzioni lorde da lavoro, depurate dall’effetto di tutte le caratteristiche inserite nel modello, differiscono per le diverse classi di background familiare del 4% , mentre il differenziale retributivo di un laureato rispetto ad un diplomato è del 17% in più. Se si analizza infine la sottopopolazione composta dalle sole persone occupate con contratto alle dipendenze (modello 5), il vantaggio retributivo per gli appartenenti a famiglie con elevato background familiare si riduce nell’intensità restando comunque significativo. In generale, si osserva che l’analisi condotta sui soli dipendenti, conferma la medesima direzione dell’effetto dei predittori sul reddito osservata nel modello precedente. Ciò che differisce tra i due modelli è principalmente l’intensità degli effetti, che nel modello sui soli dipendenti risulta generalmente più bassa. Tale risultato riproduce la minore variabilità dei redditi da lavoro dipendente. Il parametro relativo alla tenure dimostra invece la maggiore rilevanza di tale caratteristica nel lavoro subordinato, e riproduce la progressioni di reddito previste dai contratti collettivi. Per quanto attiene alle caratteristiche del lavoro si osserva una maggior rilevanza per le professioni, la formazione on the job e le ore lavorate. 16 Tabella 4. Regressione OLS dei redditi annuali lordi degli occupati di 25-55 anni Modello 1 β SE Modello 2 SE β Ripartizione territoriale (Base = Mezzogiorno) Nord 0.15*** 0.01 0.14*** 0.01 Centro 0.04** 0.02 0.05* 0.02 Genere (Base = Donna) Uomo 0.35*** 0.01 0.32*** 0.01 Cittadinanza (Base = Italiano) Straniero -0.06 0.06 0.05 0.06 Anzianità di servizio (Base = <10 anni) tenure (>10 anni) 0.10*** 0.01 0.14*** 0.01 0.03*** 0.00 0.02*** 0.00 Durata del rapporto di lavoro in anni -0.00*** 0.00 -0.00*** 0.00 Durata del rapporto di lavoro al quadrato Titolo di studio (Base = Diploma) Al massimo la licenza media -0.19*** 0.01 Titolo universitario 0.19*** 0.02 Attività formative (ultimi 3 anni) Si 0.13*** 0.01 0.11*** 0.01 Indicatore composito di background familiare Tipologia contrattuale (Base = Collaboratori; modello 5 Base = Tempo indeterminato) Dipendenti a tempo indeterminato Dipendenti a tempo determinato Autonomi Professione (Base =Alta) Tecnica Media Non qualificata Orario di lavoro settimanale (Base = più di 45 ore) Meno di 21 ore Da 21 a 35 ore Da 36 a 45 ore 9.19*** 0.06 8.99*** 0.07 Intercetta β Modello 3 SE β Modello 4 SE Modello 5 (solo dipendenti) β SE 0.15*** 0.04* 0.01 0.02 0.11*** 0.02 0.01 0.02 0.07*** 0.05*** 0.01 0.01 0.35*** 0.01 0.23*** 0.01 0.19*** 0.01 -0.05 0.06 -0.08 0.06 -0.08** 0.03 0.10*** 0.01 0.03*** 0.00 -0.00*** 0.00 0.06*** 0.02*** -0.00*** 0.01 0.00 0.00 0.10*** 0.02*** -0.00*** 0.01 0.00 0.00 -0.18*** 0.01 0.18*** 0.02 -0.13*** 0.17*** 0.01 0.02 -0.15*** 0.15*** 0.01 0.01 0.13* 0.04* 0.07*** 0.04*** 0.01 0.01 0.08*** 0.02** 0.01 0.01 0.49*** 0.36*** 0.36*** 0.02 0.03 0.03 -0.15*** 0.01 0.00 -0.12*** -0.28*** 0.02 0.02 0.03 -0.06*** -0.13*** -0.32*** 0.02 0.01 0.02 -0.42*** -0.14*** -0.01 9.07*** 0.02 0.02 0.02 0.07 -0.50*** -0.17*** -0.08*** 9.75*** 0.02 0.02 0.01 0.05 9.09*** 0.01 0.01 0.07 <.0001 <.0001 <.0001 <.0001 <.0001 Prob.> F 0.16 0.12 0.1634 0.2521 0.407 R-Square 0.16 0.12 0.1625 0.2507 0.4058 Adj R-Sq *** significativo al livello di probabilità del 99%; **significativo al livello di probabilità del 95%;*significativo al livello di probabilità del 90% Dati pesati con persi normalizzati: w1*N/n Fonte: Isfol - Plus 2008 17 Conclusioni L’analisi empirica ha permesso di verificare l’ipotesi di lavoro: il rendimento del capitale umano è fortemente influenzato dalla dotazione di capitale sociale. Nonostante i limiti segnalati, relativi alla misurazione della dotazione di capitale sociale, l’analisi ha prodotto dei risultati di sicuro interesse, che permettono di avere un quadro più articolato delle cause dell’overeducation nel nostro paese. Considerando il background familiare come indicatore della dotazione di capitale sociale dell’individuo occupato, infatti, si è considerato solo il network basato sui “legami forti”, ovvero il capitale sociale bonding degli individui. Ciononostante, gli studi di alcuni ricercatori (cfr. Lin et al., 1981 e Bernabé Aguilera, 2002) supportano questo approccio, giacché hanno mostrato l’importanza della “qualità” del network nel veicolare informazioni su opportunità di lavoro di “qualità”. E infatti l’analisi svolta ha messo in luce che gli individui riescono ad accedere a lavori di rango più elevato con maggior frequenza se dispongono di una dotazione elevata di capitale sociale. Facendo poi riferimento in particolare a quanti hanno una dotazione elevata di capitale umano, l’analisi ha potuto evidenziare che esso rende in maggior misura agli individui che dispongono di una elevata dotazione di capitale sociale. Il rendimento del capitale umano, in altre parole, in termini sia di retribuzioni che di coerenza tra titolo posseduto e lavoro svolto (o in caso di incoerenza, di collocazione in un lavoro per il quale sarebbe richiesto un titolo più elevato), appare fortemente correlato alla dotazione di capitale sociale bonding degli individui. Questo risultato, letto in una chiave di mobilità sociale, permette di affermare che l’investimento in capitale umano non sempre permette agli individui di avanzare nella gerarchia sociale intergenerazionale, e anzi si può affermare che l’origine sociale diventa per loro spesso una trappola. Tuttavia, i risultati raggiunti permettono di suggerire delle generiche indicazioni di politica del lavoro: se le informazioni per i lavori di “qualità” sono disponibili soprattutto agli individui che dispongono di un network di “qualità”, è possibile agire proprio sulle “asimmetrie informative” e fornire informazioni di “qualità” anche agli individui che non dispongono di una dotazione elevata di capitale sociale. Si potrebbe in tal modo agevolare il corretto incontro tra domanda e offerta di lavoro, aumentare il rendimento del capitale umano e favorire pertanto i processi di mobilità sociale, aumentando contestualmente l’efficienza dell’intero sistema. 18 Riferimenti Bibliografici Acemoglu D. (2002), Technical Change, Inequality, and the Labor Market, Journal of Economic Literature, 40, pp.7-72. Barbagli M. (1988), Sotto lo stesso tetto: mutamenti della famiglia in Italia dal 15° al 20° secolo, 2. ed., Il Mulino, Bologna Becker, G.S. (1975). Human Capital. 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La maggior parte degli studi sulla mobilità sociale – su cui ci si è basati per la costruzione dell’indice di background familiare - suggerisce invece che le informazioni relative alla famiglia di origine debbano essere analizzate in maniera disgiunta, con una maggior propensione nell’utilizzare la professione come unico indicatore di background familiare (Cobalti e Schizzerotto, 1994; Barbagli, 1988). Inoltre, se i genitori hanno, o hanno avuto nella vita attiva, condizioni occupazionali e professioni diverse esistono tre orientamenti in letteratura sui quali basarsi per la costruzione dell’indicatore di background familiare: a) Goldthorpe sostiene l’opportunità di considerare il ruolo occupazionale del marito perché la partecipazione maschile al mondo del lavoro è maggiore di quella femminile (Goldthorpe 1980, 1983). b) Secondo altri autori sarebbe necessario “attribuire a entrambi i coniugi una posizione di classe composita, corrispondente alla combinazione delle rispettive classi occupazionali” (Britten e Healt 1983,1984; Barbagli 1988). c) Erikson propone invece il principio di dominanza: assegnare al nucleo familiare l’appartenenza di classe relativa all’occupazione più elevata (Erikson, 1994). Considerando sia il progressivo incremento della quota femminile nel mercato del lavoro, anche per mogli e madri, che renderebbe distorta l’elaborazione proposta nel punto a), sia il numero troppo elevato di posizioni di classi e di tassi di mobilità che risulterebbe adottando l’orientamento al punto b), si è ritenuto di utilizzare il principio di dominanza di Erikson (1994), ossia si è utilizzata l’informazione di entrambi i genitori, sia per ciò che concerne il titolo di studio che per la condizione occupazionale. In particolare, per ogni individuo è stato calcolato il titolo di studio più alto conseguito dai genitori e la professione di rango più elevato svolta. La procedura di costruzione dell’indicatore composito di background familiare ha previsto alcuni steps: 22 1. la ricodifica del titolo di studio dei genitori in tre categorie (fino alla licenza media, qualifica professionale o diploma, titolo universitario); 2. la ricodifica della condizione occupazionale e della professione dei genitori in cinque categorie (alta, tecnica, media, bassa, non occupato); 3. il calcolo del livello di istruzione e della professione più elevati tra i due genitori (Schema1, col.1 e col.4); 4. l’assegnazione di punteggi ai differenti livelli di istruzione e alle differenti condizioni/professioni (Schema 1, col.2, col.3 e col.5); 5. il calcolo dei differenti valori associati alle combinazioni ottenibili tra titolo di studio e professione tramite una media aritmetica (Schema1, col.6); 6. l’ utilizzo dei valori risultanti ottenuti dai punti precedenti come indicatore composito di background familiare (Schema1, col.7). Nell’applicazione dell’indicatore composito di background familiare dal campione Isfol- Plus sono stati esclusi tutti gli individui che non hanno dichiarato una o più delle informazioni concernenti il titolo di studio o la condizione e professione dei genitori8. 8 Il campione complessivo Isfol-Plus 2008 comprende 33930 individui. Il sotto-campione utilizzato nel lavoro, persone di 25-55 anni, ha una numerosità pari a 18163. L’operazione di eliminazione dei record con informazioni mancanti sul 23 titolo di studio e/o la condizione e professione dei genitori ha ridotto la numerosità campionaria a 17198 unità. Schema 1: Costruzione dell’indicatore composito di background familiare Massimo titolo di studio conseguito dai genitori Fino alla licenza media Fino alla licenza media Fino alla licenza media Fino alla licenza media Fino alla licenza media Qualifica professionale o diploma Qualifica professionale o diploma Qualifica professionale o diploma Qualifica professionale o diploma Qualifica professionale o diploma Titolo universitario Titolo universitario Titolo universitario Titolo universitario Titolo universitario Punteggio Punteggio riproporzionato Massima professione dei genitori 1 1.3 Professioni Alte 1 1.3 Professioni tecniche 1 1.3 Professioni Medie 1 1.3 Professioni non qualificate 1 1.3 Non occupato 2 2. 7 Professioni Alte 2 2. 7 Professioni tecniche 2 2. 7 Professioni Medie 2 2.7 Professioni non qualificate 2 2. 7 Non occupato 3 4.0 Professioni Alte 3 4.0 Professioni tecniche 3 4.0 Professioni Medie 3 4.0 Professioni non qualificate 3 4.0 Non occupato Punteggio 4 3 2 1 0 4 3 2 1 0 4 3 2 1 0 Media dei punteggi 3 2 2 1 1 3 3 2 2 1 4 4 3 3 2 background familiare Medio Alta Medio Bassa Medio Bassa Bassa Bassa Medio Alta Medio Alta Medio Bassa Medio Bassa Bassa Alta Alta Medio Alta Medio Alta Medio Bassa 24