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Fuochi e cuochi
Itinerario gastronomico di un
adulto viziato
Salvino A. Salvaggio, PhD
Vignette
Rocco Pelusi
ESTRATTO
Thaleia Publishing
Copyright ©2015 Salvino A. Salvaggio per i testi
Copyright ©2015 Rocco Pelusi per le vignette
Copyright ©2015 Monica Vignale per la Prefazione
Tutti i diritti riservati.
ISBN paperback: 978-09964044-02
Prima pubblicazione: giugno 2015
ISBN eBook: 978-09964044-19
Versione eBook (pdf) disponibile da http://is.gd/FuochieCuochi
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"Invitare qualcuno a pranzo vuol dire incaricarsi della
felicità di questa persona durante le ore che egli
passa sotto il vostro tetto."
Anthelme Brillat-Savarin, Fisiologia del gusto, 1825
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Indice
Prefazione
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Introduzione
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La tivù delle illusioni
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Vado pazzo per i carciofini molisani
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Tirannia del parmigiano o debolezza del caciocavallo ?
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Pasta integrale per tutti
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Odio lo zucchero a velo
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Non sopporto più cuochi e pasticcieri sgrammaticati
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All'insegna della leggerezza: la Pavlova
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Presi per i fondelli
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Al bando la bollitura
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Gusti, disgusti e genetica
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Alla scoperta dell'umami
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Il mare in montagna
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Lo zucchero, un dolce veleno
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Cibo 3D, o come stamparsi un hamburger
93
L'Italia, paese della birra
97
Cos'è il piccante ?
103
Il mistero dell'acqua calda
109
Prosciutto o carne cruda
115
L'addio al coniglio
119
Bullismo ai fornelli
125
Lo yogurt in cucina
129
E se fosse tutto una bugia ?
135
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Prefazione
Prefazione
di Monica Vignale, direttrice, primonumero.it
Maggio 2015
Quando, reduce da una splendida settimana di vacanza in Qatar,
dove vive e lavora Salvino A. Salvaggio (che io chiamo e continuerò
a chiamare Thony), mi sono sorpresa a provare una strana
nostalgia per la cucina sperimentata in quei giorni, sono stata
fulminata da una verità banalissima che, pure nella mia confusione
alimentare innescata da una insana passione per (quasi) tutti i
sapori del mondo, non avevo mai avuto occasione di elaborare.
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E cioè questa: la migliore alimentazione possibile, sia in termini di gusto che di corretto
apporto nutrizionale, è la risultante di una mescolanza di cibi che rappresentano il meglio di
quanto il ventaglio gastronomico internazionale abbia da offrici. Osservando Thony ai fornelli, la
sua disinvoltura nello scegliere gli ingredienti e nel mescolarli in ricette sorprendenti, la sua cura
nella ricerca delle materie prime, mi sono definitivamente convinta, trovando piena conferma ai
precedenti sospetti, che il segreto di una buona tavola risiede nell’esperienza. E’ un atto di
ottusità e una grande occasione persa dunque affidarsi al luogo comune che vorrebbe che il
"buono", inteso sia come gusto che come genuinità, coincida sempre e comunque con una
alimentazione tradizionale che si ripete uguale a se stessa.
Date queste premesse ho trovato naturale, e perfino scontato, proporre all’autore di questo
divertente e stimolante volume di trasformare, in una rubrica a puntate per Primonumero.it, il
giornale che dirigo da molto anni, i brevi interventi che mi inviava quasi per gioco su cucina e
dintorni, corredati da riflessioni maturate da una conoscenza approfondita della materia. Questo
libro nasce così, da un viaggio a puntate, a cadenza settimanale, nell’universo delle papille
gustative di Salvino A. Salvaggio, il businessman che è stato capace di cuocere biscotti italiani sul
cruscotto della sua auto in un torrido pomeriggio mediorientale, il manager che nella sua second
life è un intrepido sperimentatore di ristoranti (con grande gioia della sottoscritta nel ruolo di
festosa accompagnatrice) e un instancabile organizzatore di brunch che non mancano di stupire,
ogni volta, i numerosi ospiti per quantità e qualità delle pietanze offerte.
Passioni e odi, intolleranze e simpatie di Thony mi sono sembrati singolari esperienze da
condividere con i lettori e, in generale, i cittadini della regione dove mi ostino a vivere. Che, dal
canto loro, hanno apprezzato moltissimo pietanza e somministrazione, affezionandosi a questa
rubrica intitolata efficacemente "mi brontola lo stomaco". Ringrazio Thony anche per questo, e
per aver arricchito un’altra volta il ventaglio dell’informazione molisana —come già accaduto con
il suo precedente libro Tavoli del Molise— attraverso le curiosità raccolte nel corso della sua
esperienza di assaggiatore, chef e scienziato del gusto. Ma lo ringrazio soprattutto per non aver
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lesinato una bella dose di sana insofferenza verso tutte le degenerazioni tecniche e di costume
che gravitano, a vario titolo, attorno all’universo della cucina.
Questo libro però non parla di cucina in senso stretto. Non ci troverete, tranne poche
eccezioni, ricette, dosi, indirizzi di ristoranti o di trattorie. Questo libro è una ispirazione, e come
tutte le ispirazioni ha una impronta personalissima, e per questo motivo doppiamente prezioso.
Le vignette di Rocco Pelusi, che hanno il merito di raccontare in un magistrale colpo di colore e
ironia un "tema", lo rendono delizioso da leggere e da sfogliare.
C’è una frase, adottata da svariati ristoranti italiani e stranieri come motto della casa, che mi
diverte poter citare in questa circostanza se non altro perché, una volta tanto, non è usata a
sproposito. Appartiene allo scrittore spagnolo José Manuel Fajardo, l’autore de Il sapore perfetto, e
dice così: "Il più bel successo in cucina è riuscire a riempire lo stomaco con l’immaginazione". Una
frase fin troppo abusata, ripeto. Ma, nel caso di questo libro, è deliziosamente vera.
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Capitolo 1
La
tivù delle illusioni
La tivù delle illusioni
Capitolo 1
La fase finale di quest'ultima stagione di MasterChef Italia
(Cielo TV, marzo 2015) si è conclusa sulla scia di una
polemica spicciola e irrilevante innescata dalla
trasmissione di Canale 5, Striscia la Notizia, che ha rivelato
il vincitore della finale una settimana prima della messa in
onda della trasmissione. E’ seguita a ruota una seconda
polemica, dai risvolti legali, sul passato professionale del
vincitore e, quindi, la sua vera esperienza ai fornelli.
Polemiche, a mio parere, insignificanti per una
trasmissione che lo è altrettanto, se non di più.
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Chi, compreso il sottoscritto (anzi, il sottoscritto per primo), pensava, negli anni 1990, che la
televisione degli anni 2010 avrebbe proposto prevalentemente contenuti spazzatura, tutto sesso,
violenza e predicazioni, ha clamorosamente sbagliato.
La tivù degli anni 2010 affonda invece le proprie radici in un terriccio monotematico fatto di
continuo spadellamento. Anzi: più che fondarsi sullo spadellamento, la tivù vive proprio di pentole,
forni e padelle, ne trae la sua linfa. I programmi enogastronomici, veri o presunti tali, sono
diventati l'alfa e l'omega delle reti televisive, italiane e non solo. Da mattina a notte fonda, i reality
di cucina imperversano, le trasmissioni falsamente culinarie abbondano, i giochi a sfondo
alimentare straripano, i format dedicati all'enogastronomia regionale o internazionale infuriano.
Su questo canale, concorrenti galvanizzati, estasiati di fronte ai loro giudici-idoli come santa
Teresa d'Avila davanti all'angelo, si affrontano in una competizione irreale mentre su quell'altra
rete un globe-trotter da salotto perbene ci spiega tutto della cucina vietnamita dopo aver
trascorso ben 24 ore a Hanoi. MasterChef USA, Australia, Italia, Canada, Spagna, MasterChef Junior,
MasterChef All Stars, Bake Off, Il Mago del Barbecue, Top Chef, I Re della Griglia, Re del Cioccolato,
Cucine da Incubo, i Menù di Benedetta, Mangiamo Strano, Molto Bene, Boss delle Torte, Hell's Kitchen,
Cucina con Simone, con Ale, con Buddy, con Ramsey, canale Alice, La Prova del Diavolo, Gambero
Rosso Channel, Prova del Cuoco, Orrori da Mangiare, La Scuola: Cucina di Classe, Com'è Fatto il Cibo,
Fritti e Strafritti, e tanti, ma veramente tanti altri, ci inseguono e forse perseguitano a qualsiasi ora
del giorno e della notte, su qualsiasi canale. E non basta una volta sola, ci propinano pure le
repliche a ruota libera, seguite dalle repliche delle repliche e così via fino a fine stagione, per poi
riprendere.
Più che una indigestione da troppo cibo, è un collasso cerebrale da troppe stupidaggini
televisive, molte costruite secondo un unico copione di massima e radicate nella medesima
favoletta secondo cui basta un volenteroso dilettante, di qualsiasi età o origine, pronto a
trascorrere una stagione in uno studio televisivo a fare, suo malgrado, il pagliaccio dietro a fornelli
fasulli per diventare cuoco o pasticciere di talento. Visto uno, visti tutti.
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Aldilà del fatto che per un "eletto", un vincitore, queste trasmissioni lasciano centinaia di
delusi sui bordi della strada, anche al vincitore andrebbe detto che il mestiere di cuoco o
pasticciere non lo si impara in uno studio televisivo bensì spendendo anni sui banchi e nei
laboratori di scuole specializzate dove insegnanti coraggiosi e appassionati trasmettono il loro
sapere, oppure nelle cucine di ristoranti dove pazienti apprendisti si incamminano lungo il duro
percorso dell'acquisizione dei saperi necessari a queste nobili professioni. Chiedete a qualsiasi
allievo del giustamente rinomato Istituto Alberghiero "Federico II di Svevia" di Termoli (CB) se per
imparare l'arte culinaria sono più importanti le lezioni seguite in cinque anni di studi oppure
poche master class con vip televisivi assenti dalle loro cucine da una eternità.
Di strada, la professione ne ha fatta tanta in questi ultimi decenni, dimostrando una
rimarchevole capacità di rinnovamento, un vigore imprenditoriale di rara intensità, un forte
impegno ad educare i clienti e spesso una volontà di soddisfare al meglio questa clientela più
esigente, con molti e lodabili risvolti positivi. Cinquant’anni fa, non solo il cuoco anonimo ma
anche lo chef premiato venivano considerati, nel miglior dei casi, come operai specializzati, lungi
dallo spostare folle di fans di ogni età. All’epoca, il cuoco, il pasticciere, e pure il grande chef, non
erano di certo ritenuti il genero ideale; e i genitori vivevano più come una iettatura che un motivo
di fierezza quei loro figli che preferivano la scuola alberghiera agli studi universitari. Va
riconosciuto e apprezzato che la popolarità dei recenti show televisivi di cucina ha cambiato
questa percezione e contribuito non poco a creare nella popolazione un'immagine positiva del
mestiere di cuoco. Ma a che prezzo ? L'idealizzazione di un mondo che non esiste ? Veramente ci
sono giovani convinti che partecipare a un paio di master class e preparare ricette di fronte alle
telecamere e sotto gli occhi di sedicenti giudici nell'arco di pochi mesi basti per diventare chef ?
Questi reality creano solo illusioni e danno una rappresentazione distorta e fuorviante della
realtà. Nel miglior dei casi forniscono una temporanea notorietà ai vincitori che diventano celebri
perché noti e vice versa. L’aforisma di Andy Warhol sembra prendere qui un’incredibile
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consistenza, un po’ come se questi reality culinari fossero solo delle fabbriche di effimera, fugace
notorietà televisiva che svanisce nell’arco di poche settimane o mesi.
Ma a guardarci bene, si vede il doppio inganno. Primo: a trarre maggior beneficio di questi
divertimenti televisivi sono proprio i simili-giudici (senza parlare di produttori, canali televisivi e
pubblicitari), chef imbalsamati che trascorrono più tempo in tivù che ai fornelli dei loro ristoranti,
chef sardonici che incassano più soldi dai diritti televisivi che dalle loro cucine, chef bramosi che
usano la reputazione televisiva per aprire o rilanciare ristoranti di poco interesse
enogastronomico, chef presuntuosi che fanno del disprezzo un canone pedagogico. Secondo: i
protagonisti non sono concorrenti incidentalmente aiutati dai giudici; loro, i concorrenti, vanno,
vengono, passano, tolgono il disturbo, fanno da contorno e una volta usciti di scena li si
dimentica in fretta e lo spettacolo continua. I veri protagonisti sono coloro che conferiscono allo
spettacolo la sua identità stabile, ovvero proprio i giudici-cuochi che vendono speranza ma si
tengono sempre per loro il ruolo principale di questa nuova telenovela.
Ci vuole poco, un pizzico di distacco e mezzo cucchiaino di senso critico, per ritrovarsi lontani
miglia dalla fiaba mielosa che fa scintillare questi show sotto le mille luci della ribalta: cuochi lo si
diventa sudando, non bighellonando in tivù.
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Questo libro, sebbene totalmente dedicato alla gastronomia, non parla, tranne poche eccezioni, di ricette, di
dosaggi, di ristoranti, né tantomeno di storia alimentare o di costumi da tavola. A meno che tratti proprio tutti
questi argomenti insieme, in un gran calderone di curiosità a trecentosessanta gradi. Insomma, un libro di
gastronomia a contro-piede che adotta un punto di vista personale e poliedrico, reso effervescente dagli odi
(furibondi) e le passioni (soavi) che l’autore racconta senza mezzi termini.
Salvino A. Salvaggio, PhD, esperto in business delle
nuove tecnologie e investimenti, lavora nel Medio
Oriente dal 2003 successivamente a una carriera da
consulente. Scrive di argomenti gastronomici da diversi
anni (bensì esasperato dagli innumerevoli reality di
cucina su tutti i canali televisivi). Il suo precedente libro
di enogastronomia: Tavoli del Molise (2011). Ha anche
pubblicato numerosi articoli e libri scientifici.
Rocco Pelusi, vive e lavora in Molise. Disegnatore per
passione, autodidatta nell'illustrazione digitale, coltiva
da anni il suo hobby nel tempo libero. Dopo aver
conosciuto l'autore del libro, coglie al volo la proposta di
contribuire, dando sfogo alla sua fantasia, in modo
ironico e colorato. Attualmente collabora con
Primonumero.it, sul quale pubblica periodicamente le
sue brevi storie a fumetti.
ISBN eBook: 978-09964044-19
Prezzo eBook: 5,99 EUR
Thaleia Publishing
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