Viaggio semiserio

Transcript

Viaggio semiserio
DAL ROMANZO DI
alessandro manzoni
Riduzione di Claudio Nizzi - Tavole di Paolo Piffarerio - Approfondimenti di Stefano Motta
I
promessi
sposi
a
fumetti
viaggio semiserio
dalle vignette al romanzo
E’ il 7 novembre
DELL’ANNO 1628,
in un paese alle
porte di lecco sta
scendendo la sera.
Il vecchio curato rientra
dalla consueta passeggiata,
ma il suo passo tradisce
un’insolita agitazione...
ve lo diro’, ma solo se
mi giurate di non fare
pettegolezzi...
questa volta ne va
della vita!
La Vita?!
misericordia!
oHime’! oHime’! a ripensarci
mi sento mancare... vedete, stavo
tornando tutto tranquillo dalla
mia passeggiata, quando, giunto
all’altezza del tabernacolo
del purgatorio...
due bravi, capite?
due bravacci armati
fino ai denti!
EH, SJd!
sembrava
proprio che
DON ABBONDIO
avesse visto
il diavolo.
perpetua!
perpetua!
AHI!
AHI! quei due
hanno l’aria di
aspettare
proprio me!
vengo...
vengo...
Misericordia!
cos’ha signor
padrone?
niente, niente.
datemi un bicchiere del mio
vino, presto!
ecco... e adesso
mi dica quello che
le e’ capitato!
signor curato, lei ha
intenzione di maritar
domani renzo tramaglino E lucia
mondella?
lor signori sanno benissimo come vanno
queste faccende.
il povero curato non
c’entra... noi siamo
servitori...
orbene, questo
matrimonio non
s’ha da fare,
ne’ domani, ne’
mai!
cioe’...
4
5
... AL ROMANZO
Dal 1961, per l’Editoriale Corno di Milano, crea Maschera Nera, Atomik, El Gringo e Milord.
Il suo personaggio più popolare è Alan Ford del quale, a partire dal n. 76, diviene il disegnatore
ufficiale, realizzando quasi un centinaio di album. Nel 1973 illustra il dettagliatissimo Fouché,
fumetto storico sulla Rivoluzione Francese pubblicato su Eureka. Seguono La storia d’Italia
a fumetti, scritta da Enzo Biagi, e altre riduzioni di famose opere letterarie sempre per Il Giornalino. Nel 2007, in occasione dei festeggiamenti per il quarantennale del Comandante Mark,
illustra il racconto Un americano a Versailles.
La parola a Paolo Piffarerio
Per tradurre graficamente la riduzione a fumetti dei Promessi sposi ho ritenuto opportuno
non allontanarmi troppo dall’iconografia tradizionale. Per la costruzione dei personaggi mi
sono riferito alle vecchie incisioni che corredavano le edizioni più vicine all’epoca in cui il romanzo è stato scritto [di Gonin, Gallieni, ecc.] operando alcune variazioni per renderli più realistici e meno oleografici. Così Lucia, pur mantenendo il suo aspetto malinconico di giovane
tormentata dalla sventura, veste in modo più pratico e, con qualche spillone in meno in testa,
si muove in maniera più naturale. Il carattere “esplosivo” di Renzo mi ha invece invogliato ad
esaltarne la dinamicità di giovane impaziente e impulsivo. Per Agnese e Perpetua ho cercato
di evidenziare un contrasto fisico che rispecchiasse quello morale: una buona massaia, grassoccia e rassicurante, la prima; un’acida zitellona, segaligna e brontolona, la seconda. Alla
calma e al buon senso dell’una si contrappone l’irascibilità e la frenesia dell’altra. Don Abbondio è quello che è: la semplicità del personaggio dominato dalla paura non genera equivoci ed è stata la figura più facile da tradurre graficamente.
Anche i protagonisti “aristocratici” hanno avuto un’interpretazione un po’ diversa dalla figurinistica ufficiale: di don Rodrigo e dell’innominato ho cercato soprattutto di evidenziarne il
contrasto, attraverso un aspetto fisico che ne rispecchiasse il differente carattere. È questa
una regola dalla quale non si può prescindere quando si disegna un fumetto che, non potendosi avvalere della voce dei personaggi né di sfumature dinamiche che ne evidenzino il temperamento, deve far trasparire le loro caratteristiche psicologiche solo e unicamente grazie
al disegno. Così don Rodrigo risulta, nella mia versione, visivamente antipatico e vagamente
diabolico, mentre l’innominato, fin dal suo primo apparire, esprime con il suo atteggiamento
una caratura superiore.
Al cardinale Federigo ho cercato di togliere negli atteggiamenti l’enfasi un po’ retorica che lo
accompagna quasi sempre nell’iconografia tradizionale, dimensionando i suoi gesti a una
semplicità non priva di solennità. L’ultima figura importante, forse la più significativa, è padre
Cristoforo. Per lui si potrebbe parlare addirittura di due figure: la prima, una specie di eroe
di cappa e spada; la seconda, il simbolo della fede consapevole e dell’abnegazione assoluta.
88
Per trovare una continuità tra il giovane cavaliere e il vecchio frate, ho cercato di mantenere
nei due lo stesso atteggiamento fermo e lo stesso cipiglio di chi, in qualsiasi circostanza, non
scende a compromessi.
Completato il capitolo dei personaggi con le caratterizzazioni di Azzecca-garbugli, figura minore ma non marginale, di don Ferrante e donna Prassede, della Monaca di Monza, del Griso
ecc., si è presentato il problema dell’ambientazione. La visita ai luoghi manzoniani di Lecco
mi ha aiutato a intravedere, tra le pieghe degli edifici che l’hanno trasformata nel tempo, l’antica cittadina e mi è stato possibile ricostruire il paese di Renzo e Lucia, incorniciato da quei
“monti sorgenti dall’acque ed elevati al cielo” che per fortuna sono tra le poche cose immutabili nei secoli. Per Milano il compito è stato facilitato dalla dovizia di documenti pittorici che,
anche se non coevi al periodo storico del romanzo, presentano ancora vie, angoli e piazze di
quella città “spagnola” che Renzo vede sconvolta dalla sommossa popolare e dalla peste.
Stefano
Motta
Stefano Motta [Desio, 3 febbraio 1975], compie gli studi letterari all’Università Cattolica di Milano. Insegna lettere
presso il Collegio Arcivescovile Castelli di Saronno [Va] e
poi nel prestigioso liceo del Collegio Villoresi San Giuseppe
di Monza. Saggista e romanziere [suoi alcuni titoli di narrativa di grande successo per le scuole secondarie, pubblicati con Alfa Edizioni], studioso del mondo religioso del
Seicento e di Manzoni, nel 2009 ha curato un’innovativa
edizione integrale dei Promessi sposi in adozione presso
molti licei e istituti superiori, e la mostra Guardare i Promessi sposi [Saronno, 2012] con Cattaneo Editore [Oggiono - Lc]. Tra i lavori più recenti è di Effatà Editrice il delicato
Vola alta, parola. Pregare con i poeti [2012]; con Emiliano
Bertin ha pubblicato il manuale universitario Poesia italiana delle Origini, Studio e didattica dei testi dal Notaro a
Petrarca [Loescher 2013]; per Alfa Edizioni è uscito il romanzo Volo di vele sull’Eneide di Virgilio [2014].
La parola a Stefano Motta
“Leggere” i Promessi sposi, “studiare” i Promessi sposi, ma anche “analizzare”, “spiegare”,
“capire”, “giocare” [alcune pagine della seconda parte di questo nostro libro lanciano qualche
sfida “enigmistica”!] persino “odiare” i Promessi sposi: piaccia o no, è destino di chiunque
imbattersi prima o poi nel romanzo manzoniano e appiccicarvi il proprio verbo.
89
2 giugno
La famiglia Manzoni si trasferisce definitivamente a
Brusuglio. Assistente spirituale di casa diventa il canonico milanese Luigi Tosi. Dall’aprile 1812 Manzoni inizierà la stesura degli Inni Sacri. Ne porterà a termine
cinque [e mezzo] sui dodici previsti [La Resurrezione, Il
nome di Maria, Il Natale, La Passione, La Pentecoste,
più l’incompiuto Ognissanti].
Vita di Alessandro
1785
. 7 marzo
Nasce a Milano dal conte Pietro [1739-1807] e da Giulia
Beccaria [1762-1841]. Il piccolo viene subito affidato alla
balia Caterina Panzeri, della cascina Costa, sopra Galbiate [Lc].
1791
Ritratto di Manzoni
a diciassette anni, disegno
di Benedetto Bordiga,
Milano, Centro Nazionale
di Studi Manzoniani
. Viene mandato nel collegio dei padri Somaschi di Merate
fino al 1796, quando passerà al collegio di Lugano.
1792
. 23 febbraio
Villa Manzoni
[già Villa Imbonati]
a Cormano-Brusuglio,
Milano
1816
1805
1817
. 15 marzo
1808
. 6 febbraio
A Milano Manzoni sposa Henriette Blondel. La cerimonia
viene officiata in casa della sposa secondo il rito calvinista. Il 23 dicembre dello stesso anno nasce la prima figlia,
Maria Giulia Claudina Elisabetta, che verrà battezzata
l’agosto seguente secondo il rito cattolico, padrino l’amico Claude Fauriel.
[elab. graf.]
1810
1820
. 15 febbraio
. Pubblica Il conte di Carmagnola; scrive la Lettre à M.
Chauvet [sull’unità di tempo e spazio nella tragedia]; inizia l’Adelchi e il Discorso su alcuni punti della storia longobardica in Italia.
. 18 marzo
Muore il conte Pietro. Alessandro ne è erede universale,
ma non partecipa ai funerali.
. Lavora alle Osservazioni sulla morale cattolica [ne pubblicherà la prima parte due anni dopo].
Muore Carlo Imbonati. Nel mese di luglio Alessandro
raggiunge la madre a Parigi e scrive l’ode In morte di
Carlo Imbonati. Giulia eredita Villa Imbonati di Brusuglio,
dove farà tumulare la salma imbalsamata di Carlo.
1807
. Manzoni acquista la casa milanese di via Morone.
. Inizia a lavorare alla tragedia storica Il conte di Carmagnola.
Separazione tra Pietro e Giulia che, tre anni dopo, andrà
a vivere a Parigi con Carlo Imbonati.
[elab. graf.]
Ritratto di Alessandro
Manzoni ventenne,
di anonimo pittore inglese,
già attribuito a Maria
Cecilia Cosway,1805 ca,
Milano, Centro Nazionale
di Studi Manzoniani
1813
1821
. Sull’onda dell’entusiasmo per i moti piemontesi, scrive
[ma non pubblica] Marzo 1821. Compie ricerche per la
progettata tragedia Spartaco.
Casa di via Morone,
Milano, oggi sede
del Centro Nazionale
di Studi Manzoniani
www.casadelmanzoni.it
24 aprile
Inizia il romanzo.
18-20 luglio
Compone il Cinque Maggio a Brusuglio [la tradizione
segnala ancora nel parco della villa il castagno sotto il
quale si sarebbe seduto Manzoni].
1823
. 17 settembre
Termina la stesura del romanzo che, dal titolo foggiato da
Ermes Visconti in una lettera a Cattaneo, prende il nome
di Fermo e Lucia. Il manoscritto passa tra le mani degli
amici [Fauriel soprattutto, per i primi capitoli, e Visconti] e
da loro viene ampiamente postillato. Manzoni nel frattempo ne lima la lingua, servendosi del Vocabolario della
Crusca e del Vocabolario milanese-italiano del Cherubini.
Viene celebrato il matrimonio con Enrichetta secondo il
rito cattolico.
Chiesa di San Rocco,
Parigi
94
2 aprile
A Parigi, nel corso dei festeggiamenti per le nozze di Napoleone, pressato dalla folla, Alessandro viene colto
dall’ansia, smarrisce la moglie e trova rifugio nella chiesa
di San Rocco. L’episodio è raccontato con varianti diverse,
ma viene preso come momento simbolico per la “conversione” di Manzoni. Il 22 maggio Henriette si converte
al cattolicesimo.
1827
.
Prima edizione del romanzo, in tre tomi, col titolo I Promessi sposi, presso l’editore Ferrario di Milano. A metà
luglio Manzoni parte con la famiglia per un lungo viaggio
in Toscana.
95
Benché rechi le date 1825-1826, la prima edizione dei Promessi Sposi fu dunque in realtà terminata nel giugno 1827 a causa delle continue correzioni dell’autore, che pressoché ogni giorno
si recava in tipografia a controllare e modificare le bozze di stampa. Il successo fu immediato:
le 2.000 copie della tiratura comune e le poche altre in carta velina andarono esaurite in meno
di due mesi e già a partire dal dicembre del ’27, con grande disperazione dell’autore, apparvero
sul mercato bel 8 edizioni più o meno “pirata”: Batelli di Firenze, Baudry di Parigi, Pomba di
Torino [2], Pozzolini di Livorno, Tramater di Napoli [2] e Veladini di Lugano.
1829 - Veladini: l’editore ticinese in 10
anni stampa 5 diverse edizioni utilizzando, a partire dal 1829,le illustrazioni
stampate dalla Casa Ricordi per l’editio
princeps.
1838: Tipografia della Minerva,
Mendrisio [edizione scadente,
su disegni del Falcini].
Finire il bucato: due “lavandaie”
e una governante per la “quarantana”
RE
BUS
REBUS [12,2,4]
FINIRE IL BUCATO DEI “SETTANTUN LENZUOLO”
15 gennaio 1827: si conclude, per i tipi del
milanese Vincenzo Ferrario, la diffusione
del tre volumi della Ventisettana
LUGANO
1827 - Zucoli: [forse prestanome della casa
editrice Ricordi] serie di 12 litografie a matita
grassa nel formato dell’edizione originale
alla quale potevano essere aggiunte [nelle
tavole si legge Lit. Ricordi o Lit. Gio. Ricordi].
1828-30: serie di stampa
litografiche [alcune anche
a colori] per opera di Gallo
Gallina e Roberto Focosi.
RI
MILANO
1827 - Batelli: ristampa del romanzo [3
tomi/6 volumi] con incisioni non firmate in rame, inserite all’inizio di ogni
volume dopo l’occhietto. Manzoni ne
scrive in una lettera a Grossi: «Qui se
ne fa un’altra edizione in sei volumetti,
uno per settimana, e ne son venuti
fuori due: avrà anche sei rametti. Facciano un po’ quel che vogliono, ch’io
intanto sto preparando la mia seconda
corretta e accresciuta».
[Lettera del 17 settembre 1827]
IN
3 settembre 1828: villa medicea di Poggio a Caiano. In occasione della sua festa di compleanno, il granduca Leopoldo di
Toscana fa allestire dei quadri animati ispirati a episodi e personaggi del romanzo. Ne furono ricavate delle incisioni, raccolte
poi in un album-ricordo di notevole interesse bibliografico. L’illustratore fu probabilmente Nicola Cianfanelli.
FIRENZE
1833-34: Tipografia della
Speranza, [edizione scadente, su disegni del Falcini].
1832-33: i disegni del Falcini ebbero
molta fortuna, tanto che l’editore fiorentino cedette i rami al tipografo
Viarchi di Macarata che ne pubblicò
un’edizione popolarissima.
MACERATA
1827 - Ducci: Manzoni ne poteva sapere qualcosa, poiché il suo soggiorno
fiorentino con la famiglia si concluse l’1
ottobre.
ROMA
1828-32: la tipografia Passigli, Borghi e C. edita il romanzo
in 6 volumetti con 6 litografie dell’incisore Marco Zignani,
che morì nel corso dell’allestimento. Continuò il suo allievo
milanese, Amilcare Daverio su disegni di Facilini. Segue
una seconda edizione in un solo volume e una terza, nel
1832, nel volume delle Opere [David Passigli e soci].
1830-31: tavole del celebre illustratore romano Bartolomeo Pinelli che
tradiscono il romanzo adottando
modelli popolareggianti [Renzo vestito da toreador, l’Azzecca-garbugli
con in testa una cuffia da balia, ecc.]
1835-36: Costantino Mezzana,
[edizione scadente, sempre su
disegni del Falcini].
1834-37: Leopoldo II commissiona a Cianfanelli la decorazione ad affresco con 11 episodi
dei Promessi sposi, oltre che
con i ritratti di Alessandro Manzoni e del cardinale Federigo
Borromeo, del soffitto di una
sala degli appartamenti reali
della Meridiana a Palazzo Pitti.
Il romanzo diventa grande
Il romanzo deve diventare adulto: la sua maturazione passa ancora una volta dalla lingua.
Manzoni, infatti, è rimasto insoddisfatto da una revisione linguistica dei Promessi sposi mediata solamente dai libri.
È dunque necessario immergersi nel fiorentino parlato per trovare una soluzione definitiva.
Don Alessandro si sposta a Firenze il 29 agosto 1827 e lì resta fino all’1 ottobre per risciacquare i suoi “settantun lenzuolo”, cioè i fogli tipografici dell’edizione Ferrario, nell’Arno, con
l’assistenza di due “lavandaie”, cioè i dotti Gaetano Cioni e Giovan Battista Niccolini. La curiosa esplorazione del fiorentino viene eseguita attraverso colloqui a tutti i livelli, a partire
da quelli con il cameriere dell’albergo di Pietrasanta, che svela il nome toscano dei “fagiolini”
divenendo pertanto meritevole del titolo di “accademico dal tovagliolo sotto il braccio” [lettera a Tommaso Grossi, 15 agosto 1827].
Il faticoso e chirurgico esercizio di Manzoni, iniziato con grande entusiasmo, dura più di dieci
anni, costellati da due gravi lutti [muoiono la moglie Enrichetta e la figlia Giulia] e dalle seconde nozze con Teresa Borri. Questo lavoro produrrà ugualmente “una lingua più naturale,
più diretta, più oggettiva, meno vistosa e meno colorata”; il processo avviene attraverso pratiche distruttive e di rinuncia, prima che instaurative.
Soluzione: RISCIACQUARE IN ARNO
102
103
Che bravo, il nostro Renzo…
«Fate i bravi!»
La cosa curiosa è che anche il protagonista del nostro romanzo, Renzo Tramaglino, quando
si deve vestire “della festa” per andare a celebrare le nozze, si veste un po’ da “bravo”!
APPRO
FONDI
MENTO
cap. II
«Bravo!» dice la mamma al bambino che si è comportato bene. Ma sa di dargli del “poco di buono”?
... comparve, davanti a don Abbondio, in gran gala, con penne di vario colore al cappello, col
suo pugnale del manico bello, nel taschino de’ calzoni, con una cert’aria di festa e nello stesso
tempo di braverìa, comune allora anche agli uomini più quieti.
Dal fumetto al dizionario
L’etimologia della parola “bravo” è controversa. Alcuni la fanno risalire all’aggettivo latino pravus
[nell’Inferno dantesco Caronte apostrofava così i
dannati: “Guai a voi, anime prave!”], che significa
“malvagi”, “disonesti”, “violenti”. Altri invece risalgono al francese brave, che sarebbe la contrazione
del latino “barbarus,” nel senso di “straniero” “zotico” e “insolente”, spesso violento e fuorilegge. I
bravi di cui parla Manzoni erano, perlopiù, uomini
che si mettevano al servizio dei signorotti locali
come tirapiedi mercenari, pronti ad eseguire le scelleratezze comandate dal padrone.
… che è andato dal parrucchiere!
Quando poi è a consulto con il dottor Azzecca-garbugli, questi, che ha scambiato Renzo per
un bravo, si complimenta con lui per la furbizia che Renzo avrebbe messo in atto per non
farsi riconoscere. [cfr. p. 117]
cap. III
“Che sia matricolato costui”, pensava tra sé. - Ah! ah! - gli disse poi: - vi siete però fatto tagliare
il ciuffo. Avete avuto prudenza: però, volendo mettervi nelle mie mani, non faceva bisogno.
Poliziotto buono - poliziotto cattivo
Manzoni racconta il loro approccio con don Abbondio in modo molto sapiente, perché i due
giocano a interpretare ruoli differenti: uno impreca, minaccia, bestemmia apposta, per intimorire il povero curato; l’altro appare più mellifluo e suadente, ma non meno efficace. Eppure,
prima ancora di sentire cosa volevano, don Abbondio aveva già capito chi fossero. Quali indizi
fanno capire a don Abbondio che si tratta di “brave” persone?
cap. I
Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull’omero sinistro, terminata
in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi
arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno
ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava
fuori d’un taschino degli ampi e gonfi calzoni: uno spadone, con una gran guardia traforata a
lamine d’ottone, congegnate come in cifra, forbite e lucenti: a prima vista si davano a conoscere
per individui della specie de’ bravi.
118
F. Gonin, illustrazione per p. 13 della Quarantana [cap. I]: Fino dall’otto aprile dell’anno 1583,
l’lllustrissimo ed Eccellentissimo Signor Don Carlo d’Aragon […] pubblica un bando contro di essi…
119
descritto come quello di un cavallo bizzarro tenuto a freno da energici strattoni alle briglie]
e innalza toni e contenuti del suo discorso: «Ho compassione di questa casa: la maledizione
le sta sopra sospesa! E in quanto a voi, sentite quel ch’io vi prometto: verrà un giorno…”.
Manzoni non chiude questa frase [come del resto non chiude tutte le altre battute precedenti
di fra Cristoforo, un po’ perché don Rodrigo lo interrompe sempre, un po’ perché il tono del
frate scivolava ogni volta verso accenti decisamente troppo retorici], ma don Rodrigo ne è
spaventatissimo e tronca le parole del frate, temendo che gli stesse lanciando una vera maledizione, quella che poi gli rimbomberà dentro insistentemente fino all’incubo finale.
Perciò caccia fra Cristoforo, coprendolo di insulti: “villano temerario”, “villano rincivilito”,
insistendo per ben due volte sulle origini plebee di fra Cristoforo [che non era un nobile] e
sulla sfrontatezza con cui avrebbe osato trattare con chi gli era superiore di rango. E poi ne
aggiunge un altro, efficacissimo, che salda insieme la stereotipata accusa spesso rivolta ai
religiosi di essere degli scansafatiche con l’allusione - questa sì molto sottile e personale di aver preso i voti ed essere divenuto frate cappuccino per sfuggire alle proprie responsabilità. L’insulto di don Rodrigo è la soluzione di questo rebus:
I CAPITOLI LECCHESI
2
1
3
LINO
TIPIA
4
5
6
7
8
9
REBUS [18,13]
INSULTI D’ALTRI TEMPI
10
11
P
12
13
note
Soluzione: POLTRONE INCAPPUCCIATO
134
Orizzontali
1. L’accrescitivo/dispregiativo con cui è indicata la residenza di don Rodrigo
4. Il santo patrono di Como
6. Don Abbondio li cita a uno a uno in faccia
a Renzo per motivare l’impossibilità di
celebrare il matrimonio
7. Oggi è un complimento, all’epoca era un
tipo losco, un tirapiedi dei potenti
8. La località sulla riva sinistra dell’Adda dove
sorgeva il convento di fra Cristoforo
11. La particolare acconciatura di Lucia per
il giorno delle nozze
12. L’offesa con cui reagisce don Rodrigo,
spaventato dalle parole di fra Cristoforo
nelle quali credeva di cogliere una maledizione
13. Il suo nome è ormai divenuto un’antonomasia
Verticali
2. Il nome di fra Cristoforo quando non era
ancora frate
3. Lo “sproposito” che Renzo vorrebbe compiere per risolvere una volta per tutte la
questione
5. Il cugino con cui don Rodrigo lancia la
scommessa che è all’origine delle sofferenze di Lucia
9. Suonate dal sagrestano Ambrogio, danno
il via al fuggi fuggi generale
10. La legge che l’Azzecca-garbugli mostra a
Renzo
135
Lasciate Lucia e Agnese a Monza, Renzo giunge a Milano
• dalla strada di Sesto San Giovanni,
• passando dalla cascina Pelucca, da Greco,
• “tagliando” verso il lazzaretto per una scorciatoia suggeritagli da un viandante1
• e sbucando direttamente a porta Orientale .
Un campagnolo in città:
RENZO A MILANO PER LA Prima VoLTA
APPRO
FONDI
MENTI
Via
le
Tu
nis
ia
Via
Man
in
158
DUOMO
Lazzaretto
Porta Orientale
Convento dei Cappuccini
Forno delle grucce
Casa del Vicario
di Provvisione
[CO
rs Cor
o d so
i P Ve
or ne
ta zi
Or a
ien
tal
e]
PALAZZO
REALE
Corso Porta Vittoria
Via
F.
Sfo
rza
ga
ar
L
a
Vi
Il vortice della folla
• lo trascina in piazza Duomo verso la piazzetta dei Mercanti e oltre,
• fino a piazza Cordusio, nella zona della quale probabilmente è da collocare la casa del
vicario di provvisione [Ludovico Melzi d’Eril, che fu storicamente vicario negli anni del romanzo, risiedeva nella contrada di Santa Maria Segreta ].
Qui, nel momento più drammatico del tumulto di San Martino,
• arriva Ferrer [da Palazzo Reale?] in soccorso del vicario
• e lo mette in salvo al Castello.
Via Mazzini
Via
To
rin
o
A
aria
Viale Bianca M
te
an
aD
Vi
B
Santa Maria Segreta
Osteria della luna piena
Palazzo di Giustizia
Croce di San Protasio
Casa di Cecilia
Casa di don Ferrante
Renzo caracolla in giro finché non si lascia abbordare dal falso spadaio Ambrogio Fusella,
• e insieme entrano all’osteria della Luna Piena [forse in via Armorari].
Cnes/Spot Image, DigitalGlob, Google
CASA DI
MANZONI
Inghiottito dal tumulto dei rivoltosi,
• prosegue lungo lo stradone di porta Orientale fin oltre piazza San Babila, lunga la corsia
de’ Servi [oggi corso Vittorio Emanuele],
• e giunge a quello che Manzoni chiama - con un fraintendimento - “forno delle grucce”.2 Viale Maino
era
Via Br
o
at
en
aS
Vi
BRERA
Via
Ma
nz
on
i
Via Fa
teben
efrate
lli
Il convento dei Cappuccini si trovava poco oltre, dove oggi sorge il palazzo Rocca Saporiti, ma Renzo non vi si fermerà.
Via Mo
scova
TEATRO
ALLA SCALA
Da lì Renzo entra in città,
• imbocca il corso omonimo [oggi corso Venezia] fino alla colonna di san Dionigi [nei pressi
dell’incrocio con via Borghetto], ai piedi della quale trova “i pani della cuccagna”.
Qui l’indomani
• Renzo viene prelevato per essere condotto al palazzo di giustizia [nell’attuale piazza Fontana, dietro il Duomo],
• ma riesce a liberarsi e fugge, ripassando per porta Orientale
• e poi via, con un girovagare cauto e affannato, verso l’Adda.
1
Prendete per questa viottola a mancina: è una scorciatoia: in pochi minuti arriverete a una cantonata d’una
fabbrica lunga e bassa: è il lazzeretto; costeggiate il fossato che lo circonda, e riuscirete a porta orientale.
Entrate, e, dopo tre o quattrocento passi, vedrete una piazzetta con de’ begli olmi: là è il convento: non potete
sbagliare. Dio v’assista, bravo giovine -. E, accompagnando l’ultime parole con un gesto grazioso della mano,
se n’andò. Renzo rimase stupefatto e edificato della buona maniera de’ cittadini verso la gente di campagna;
e non sapeva ch’era un giorno fuor dell’ordinario, un giorno in cui le cappe s’inchinavano ai farsetti [cap. XI].
L’impressione di squisitezza cittadina è in realtà mitigata dall’ultima, cinica, considerazione di Manzoni. L’atteggiamento dell’agiato faccendiere milanese non è cortese, è prudente: a Milano tirava già una brutta aria
di rivolta, e per i ricchi [che vestivano con le “cappe”] era prudente mostrarsi più accondiscendenti del solito
con i popolani [i “farsetti”].
2
Manzoni traduce in toscano l’espressione milanese “prestin di scansc”, dove “scansc” sarebbero l’attrezzo
usato per rigirare i pani nel forno. Tuttavia è più probabile che la denominazione derivasse dall’originaria
“pristinum Scanciorum”, che segnalava l’antica appartenenza alla famiglia degli Scansi.
A Biblioteca e Pinacoteca
Ambrosiana
B Palazzo Marino, residenza
della famiglia De Leyva
159
CURIOSITÀ
Punto e a capo
APPRO
FONDI
MENTI
Sapersi fermare
Tra le espressioni che tutti - anche chi non
ha letto i Promessi sposi - ricordano e citano, c’è senza dubbio questa frase secca di
sole tre parole, isolata dai punti fermi a chiusura del capoverso che segna l’irreparabile
caduta di Gertrude:
cap. X
Costui [Egidio, nella realtà storica Gian
Paolo Osio], da una sua finestrina che dominava un cortiletto di quel quartiere, avendo
veduta Gertrude qualche volta passare o girandolar lì, per ozio, allettato anzi che atterrito dai pericoli e dall’empietà dell’impresa,
un giorno osò rivolgerle il discorso. La sventurata rispose....
Quel che avvenne dopo era raccontato in modo ben più analitico nel Fermo e Lucia ma viene
censurato, su consiglio degli amici, nell’edizione definitiva [cfr. Scancella per amor di Dio, p.
98]. Troppo “gotico”, troppo “immorale” o semplicemente troppo lungo come excursus per
non influenzare l’intero equilibrio del romanzo: qui, come scrive bene Romano Luperini, “le
ragioni del pudore e dell’orrore e quelle dell’arte si conciliano perfettamente” [I promessi
sposi, Einaudi, Torino 1998, p. 217].
Ecco perciò che al posto del racconto minuzioso della tresca amorosa che vide complici e
vittime altre consorelle, dei delitti, dell’occultamento dei cadaveri e di tutte le conseguenti
altre scelleratezze [che Manzoni derivava dalle pagine del Ripamonti], nella versione definitiva
c’è solo il verbo “rispose”, e tutto il resto viene eliminato [o lasciato all’immaginazione del
lettore]. Che però non è un verbo neutro: già l’atto in sé della risposta costituisce una violazione
della disciplina monastica, quantomeno alla regola implicita, e costituisce l’innesco di una
serie di atti che Gertrude non riuscirà più a gestire. Così come non è neutro l’epiteto “sventurata” [altrove infatti, quando vuol essere più comprensivo con la stessa Gertrude, Manzoni
usa “infelice”], che mescola nella sua ambivalenza semantica compassione e condanna
[“sventurato” è chi è vittima degli avvenimenti e della mentalità del suo tempo, ma anche chi
si comporta in modo avventato e fallace o - come nel caso di Gertrude - moralmente fiacco].
140
Manzoni ricavò la storia della monaca di Monza dalle Historiae patriae del Ripamonti,
dove erano raccontate le vicende delittuose di una monaca del convento di Santa Margherita di Monza, vissuta un cinquantennio prima rispetto ai fatti narrati nel romanzo.
Questa tale suor Virginia Maria de Leyva [1575-1650] intrattenne effettivamente una relazione con un giovane scapestrato, Gian Paolo Osio, ebbe da lui una figlia, complottò per
l’eliminazione di alcune suore che minacciavano di smascherarla, venne processata e
condannata. Ma quando iniziò a stendere il romanzo, Manzoni nemmeno sospettava che
nell’arcivescovado di Milano fossero conservate le carte del processo a Marianna de
Leyva, poi suor Maria Virginia presso il monastero delle Umiliate di Monza. Ne ebbe tardiva notizia tra il 1835 e il 1840, e ottenne dall’allora arcivescovo di Milano Gaisruck il permesso di tenere per dieci giorni il prezioso incartamento. Possiamo immaginare con
quanta curiosità Manzoni abbia divorato quelle pagine seduto allo scrittoio della sua casa
di via Morone. Le deposizioni rese in sede processuale da Virginia gettano luce, infatti,
sui molti aspetti interiori che le pagine del Ripamonti da cui Manzoni aveva preso spunto,
non conoscevano. Leggendo ora gli atti di quel processo [Vita e processo di suor Virginia
Maria de Leyva monaca di Monza, Milano, Garzanti, 1985] ci si stupisce rendendosi conto
di come Manzoni, nel suo romanzo, abbia quasi indovinato e “previsto” non pochi passaggi
del testo processuale [soprattutto per quel che riguarda le pulsioni interiori dei personaggi], che il documento ha poi rivelato.
UNA DONNA UN MISTERO
La Monaca
di Monza
L’amore
sventurato
di Gertrude
Il personaggio descritto nei Promessi
sposi si chiamava in realtà Virginia Maria
de Leyva. Fu murata per anni in una cella
di penitenza. Venne processata nel 1607
per la sua relazione con Egidio e per una
serie di delitti. Aborti, violenze, assassinii,
prostituzione: nella vicenda furono coinvolti altre suore e un prete. Sotto interrogatorio confessò la tresca, ma sostenne di
essere stata vittima di un maleficio.
Su Gertrude dei Promessi sposi, cioè sulla
Monaca di Monza, si sono scritti fiumi di parole. Ebbe un grande successo una vita romanzata di Mario Mazzucchelli, giunta nel
1961 alla XVI edizione. Ma larga eco ebbe
anche, una quindicina di anni fa, un ponderoso volume di quasi mille pagine su Vita e
processo di suor Virginia Maria de Leyva,
scritto da un’équipe di storici, filologi, critici
e giuristi, coordinati da Umberto Colombo.
F. Gonin, illustr. per p. 199 della Quarantana [cap. X]: Son qui a chiedere di essere ammessa a vestir l’abito religioso...
141
1628
. domenica 5 novembre
Nel mese di marzo era iniziata la guerra tra la Francia e
gli Asburgo per la successione nel Monferrato.
Il filo della storia
APPRO
FONDI
MENTI
II tempo nei Promessi sposi assomiglia allo scorrere di un fiume: in alcuni punti si restringe
e corre, in altri si allarga e si sofferma sui fatti e le persone, spezzettando il racconto in mille
rivoli che si intrecciano tra loro.
Terza e ultima “pubblicazione” [l’esposizione dell’avviso
delle imminenti nozze, per consentire a chi fosse a conoscenza di qualche elemento impediente, di comunicarlo alle autorità] delle nozze tra Renzo e Lucia.
. martedì 7 novembre
• I primi 17 capitoli raccontano per filo e per segno i primi cinque giorni [Renzo arriva da
Bortolo il 13 di quel mese ed è la mattina del 13 anche nel paese quando Manzoni ritorna lì
con la narrazione mentre arriva l’ordine della polizia di perquisire la casa di tale Lorenzo Tramaglino, agitatore della folla durante i tumulti milanesi di San Martino]
tardo pomeriggio [cap. I]
Don Abbondio incontra i bravi; poi corre trafelato alla canonica.
• L’11 novembre, festività di San Martino, coincideva anche con la scadenza della scellerata
scommessa che don Rodrigo aveva fatto con il cugino Attilio. A quest’epoca don Rodrigo sembra già averne abbastanza di tutta la storia, ma il Griso ritorna con la notizia che Lucia sarebbe
a Monza, nel convento della Signora. Così don Rodrigo decide di chiedere l’aiuto dell’innominato mentre Attilio si dà da fare con lo zio per far sloggiare da Pescarenico fra Cristoforo.
notte [cap. II]
Notte agitata per don Abbondio
• Le indicazioni cronologiche nel romanzo si fanno adesso più rade e molto meno precise.
Di sicuro sappiamo - dai passaggi periodici del pesciaiolo di Pescarenico - che trascorrono
almeno quattro settimane prima che fra Cristoforo sia costretto a partire per Rimini.
• Agli inizi del dicembre 1628 Lucia viene rapita, e qui il tempo si dilata di nuovo e diviene più
preciso: la conversione dell’innominato e la liberazione di Lucia avvengono nello spazio di
24 ore, ma occupano ben quattro capitoli.
• Dopo questi fatti, Manzoni ritorna vago: sappiamo che il cardinal Federigo visita la parrocchia di don Abbondio e che don Rodrigo - per non incontrarlo e per evitare lo scorno del fallimento dei suoi soprusi - lascia il paese e va a Milano. Sappiamo che Lucia si reca presso la
casa milanese di donna Prassede e saluta così la madre: “Tra otto o nove mesi ci rivedremo”.
• In realtà, anche a causa della peste, madre e figlia si rincontreranno solo nell’ottobre 1630,
pochi giorni prima della celebrazione delle nozze che avvengono ai primi di novembre.
In sé non è importante ricostruire con precisione il calendario dei fatti, ma la cronologia aiuta
a rendersi conto delle libertà che Manzoni si è preso nello strutturare il romanzo, con un uso
sapiente e dosato delle ellissi [i “salti” temporali], delle analessi [i flashback] e delle digressioni [gli excursus di natura storico-erudita] per far procedere più lento o più veloce il “fiume”
del racconto [la storia di Gertrude, la vicenda di Lodovico-Cristoforo, la biografia del cardinal
Federigo, i capitoli sulla peste].
L. Riccardi, illustr. per p. 30 Quarantana [cap. I]
F. Gonin, illustr. per p. 32 Quarantana [cap. II]
. mercoledì 8 novembre
mattina [cap. II-III]
È il giorno previsto per il matrimonio: Renzo va da don
Abbondio e poi parla con Perpetua. “Strappa” al curato
il nome di don Rodrigo; torna a casa di Agnese.
F. Gonin, illustr. per p. 38 Quarantana [cap. II]
pomeriggio [cap. III]
Renzo a Lecco dall’Azzecca-garbugli; a casa di Agnese
arriva fa Galdino per la cerca delle noci.
F. Gonin, illustr. per p. 59 Quarantana [cap. III]
. giovedì 9 novembre
poco dopo l’alba [cap. IV]
Fra Cristoforo sale da Pescarenico a casa di Agnese.
Segue l’excursus sulla vicenda di Lodovico-Cristoforo [a
riempire il tempo necessario del tragitto a piedi dal convento a Olate/Acquate]
F. Gonin, illustr. per il capolettera a p. 83 Quarantana [cap. V]
primo pomeriggio [cap. V-VI-VII]
Fra Cristoforo al palazzotto di don Rodrigo [ne esce verso
le 16], poi torna da Agnese, Lucia e Renzo, che stanno
tramando per il matrimonio “a sorpresa”.
F. Gonin, illustr. per p. 108 Quarantana [cap. VI]
190
191
INDICE
208
• Il fumetto
pag.
3
• Viaggio semiserio dalle vignette
• ...al romanzo
»
»
87
89
• Il vero nome di Alessandro Manzoni
• 24 aprile 1821: la data di nascita
• «Scancella per amor di dio»:
verso la “Ventisettana”
• Finire il bucato: due “lavandaie”
e una governante per la “Quarantana”
• La moglie lo fa lavorare
• «Giù quel lapis, giù sul bosso!»:
Manzoni direttore dei lavori
• 7 novembre 1628, “sulla sera…”
• «Fate i bravi!»
• “Tanaglie” o “tenaglie”? una deviazione
filologica alla ricerca del testo ideale
• «Ah! ecco, ecco…»: l’idea per il romanzo
• Come si chiama l’Azzecca-garbugli?
• Due case per Lucia, due chiese per don Abbondio
• La finzione del manoscritto ritrovato
• Insulti da don Rodrigo
• I capitoli lecchesi
• Punto e a capo
• Il nido dell’aquila
• Un tranello per Lucia
• I nickname dei bravi
• Un attimo prima
• Un campagnolo in città:
Renzo a Milano per la prima volta
• Alla ricerca della “sua” Lucia:
Renzo a Milano per la seconda volta
• Cecilia
• Qualcosa di più di un’appendice:
“La storia della colonna infame”
• Renzo non sta mai “fermo”
• “La destra vicino al cuore”:
ovvero quando non esisteva la grafica digitale
• La “sprezzatura” di Manzoni
• Quante fini? [e quanti fini?]
• Il filo della storia
»
»
»
92
97
100
»
103
»
»
106
109
»
»
»
114
118
• Compagni di viaggio [bibliografia]
• Indice dei nomi
» 200
» 206
»
»
»
»
»
»
»
»
»
»
»
»
120
123
124
125
129
133
135
140
147
151
153
156
158
»
161
» 163
» 168
»
»
170
175
»
»
»
177
181
190
C’è di che riconciliarsi con i Promessi sposi. Quel
signore era forse poco simpatico […] ma il libro
di quel signore, che bello! Leggetelo e rileggetelo,
ragazzi, sotto il banco, mentre il professore parla
d’altro. Vi invito a una lettura clandestina di Manzoni,
come se fosse un libro proibito. Forse lo amerete.
Umberto Eco, Panoramica con carrellata,
“l’Espresso”, 24 febbraio 1985
Questo genere di romanzi si conviene anche
all’Italia […]. Che poi questo modo di narrare
liricamente una avventura offenderà gli italiani,
non credo.
tekaedizioni.it
Giovanni Berchet, Lettera semiseria
di Grisostomo al suo figliolo, 1816
210
€ 22,00