Vai al Paper - Alpha Institute of Geopolitics and Intelligence

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Paper Difesa e Sicurezza – Febbraio 2017
The Alpha Institute of Geopolitics and Intelligence
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Paper Difesa e Sicurezza – Febbraio 2017
The Alpha Institute of Geopolitics and Intelligence
Paper Difesa e Sicurezza
Occupare spazi, logorare nemici: uno studio sulla geopolitica di Al-Shabaab
Luciano Pollicheni
Roma, febbraio 2017
The Alpha Institute of Geopolitics and Intelligence
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Paper Difesa e Sicurezza – Febbraio 2017
INDICE
Introduzione
La geopolitica interna di Al-Shabaab: mercati, risorse naturali e talassojihadimso
Internazionalisti ma non troppo: la (nuova) geopolitica esterna di Al-Shabaab
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Paper Difesa e Sicurezza – Febbraio 2017
Occupare spazi, logorare nemici: uno studio sulla
geopolitica di Al-Shabaab
Luciano Pollicheni
Introduzione
Nel variegato panorama dello jihadismo mondiale sono poche le organizzazioni che
hanno mostrato una resilienza pari a quella di Al-Shabaab. Nata come braccio armato
dell’Unione delle Corti Islamiche (UCI) nel 2008, nel 2013 l’organizzazione sembrava
prossima al collasso mentre ad oggi rappresenta uno degli attori più potenti della
Somalia. L’evoluzione strategica degli ultimi quattro anni, dall’arrivo al potere del nuovo
emiro Abu Ubaidah, non potrebbe essere spiegata alla luce della mera brutalità
mostrata dagli Shabaab, né tantomeno dalla crisi dell’AMISOM. È evidente che
un’organizzazione capace di attuare questo genere di riscossa ha una strategia, ma
soprattutto detiene una conoscenza del territorio in cui agisce superiore a quella dei
suoi oppositori. Sebbene molto sia stato scritto e detto sulla struttura e l’ideologia di AlShabaab ad oggi l’analisi del gruppo somalo da una prospettiva geopolitica, che valuti
cioè le relazioni che Al-Shabaab intrattiene con diversi poteri in un determinato spazio
geografico, è pressoché nulla. L’idea alla base di questo studio, è che una comprensione
di come Al-Shabaab gestisca le relazioni di potere può essere utile a definire in maniera
più nitida la natura dell’organizzazione (che non è solo un mero gruppo terroristico) oltre
che le sue strategie. Lo scopo di questo studio è cercare di fornire un’analisi quanto più
esaustiva possibile della geopolitica di Al-Shabaab. Con il termine “geopolitica”,
s’intende la capacità di gestire e sfruttare i conflitti di potere all’interno di uno spazio
geografico. Cominceremo prendendo in esame le relazioni di Al-Shabaab con i centri di
potere somali, come i clan, le comunità pastorali, e i mercati, nell’ambito della cosiddetta
geopolitica interna. Dedicheremo una parte di quest’analisi anche alla definizione del
talssojihadismo, ossia delle proiezioni del potere degli Shabaab a livello marittimo. La
seconda parte del presente studio si concentrerà invece sull’analisi delle relazioni tra
Al-Shabaab e gli attori del potere esterni alla Somalia. In questa parte analizzeremo le
variabili geopolitiche dei foreign fighters, dei rapporti con le Organizzazioni Non
Governative (ONG), e della nuova strategia di guerra implementata da Abu Ubaidah.
La geopolitica interna di Al-Shabaab: mercati, risorse naturali e talassojihadimso
Al-Shabaab è nata all’interno dell’Unione delle Corti Islamiche (UCI), un’alleanza
prevalentemente salafita al cui interno si trovavano islamisti moderati come Sheikh
Sherif Ahmed accanto a estremisti wahabiti come Sheikh Hassan Dahir Aweys e Aden
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Hashi Farah Ayro. Secondo alcuni autori1, l’organizzazione venne fondata nel 2002 da 4
persone, Ahmed Abdi Godane (alias Mukhtar Abu Zubayr) Ibrahim Haji Jamaa AlAfghani, Mukhtar Robow Ali (alias Abu Mansur) e Aden Hashi Farah Ayro (alias Abu
Muhsen Al-Ansari). Gli Shabaab si misero in luce come l’ala militarmente più preparata
delle corti islamiche, guidando l’UCI alla conquista di Mogadiscio nel 2006 e all’assedio
della città di Baidoa, sede del Governo Federale di Transizione (GFT). Preoccupato dagli
sviluppi della crisi somala, il governo etiope decise di intervenire nel paese riuscendo a
scacciare gli Shabaab dalla capitale. L’intervento di Addis Abeba fu al tempo stesso
croce e delizia per i militanti di Al-Shabaab. Da una parte l’invasione delle truppe
“crociate” rafforzava l’attrazione ideologica del gruppo, ma al tempo stesso, mostrava le
profonde divisioni al suo interno. Quando la missione etiope si ritirò lasciando spazio
all’AMISOM, la missione dell’Unione Africana per la Somalia, gli Shabaab persero, in un
certo qual modo, la loro principale ragion d’essere, cioè difendere l’Islam dalle orde dei
cristiani. In questo contesto alcuni membri dell’UCI2 entrato all’interno del GFT,
sancendo la scissione all’interno dell’alleanza. Di avviso diverso era l’ala “oltranzista”
degli Shabaab, capeggiata da Mokhtar Ali Zubayr più noto con il nome di “Godane”.
Questa fazione era più incline al proseguimento di un jihad internazionalista. Nel 2009,
Godane prese ufficialmente la guida del gruppo, uscendo vittorioso da una serie di faide
interne e spingendo gli esponenti della vecchia guardia ai margini della leadership
dell’organizzazione, ed è proprio nell’alternanza tra localisti e internazionalisti che si
possono cogliere due costanti fondamentali per la geopolitica interna di Al-Shabaab. In
primo luogo la suddivisione clanica. Fino all’ascesa di Godane il movimento era
composto principalmente da somali del sud, provenienti dallo Juba e dall’oltre Juba.
Questa composizione facilitò la presa del potere da parte di Robow, esponente dei
Leysan, sub-clan degli Rahanweyn dominante a sud3, mentre Godane (esponente del
clan Isaaq del Somaliland, ovvero del nord) dovette essere relegato in una posizione
subalterna. La seconda variabile è quella della strumentalizzazione dei foreign fighters.
Una volta giunto al potere Godane decise di incoraggiare l’afflusso dei combattenti
stranieri tra le fila di Al-Shabaab per modificare la composizione demografica del
gruppo, bilanciando la predominanza dei clan del sud. Dal 2009, un gran numero di
yemeniti, sauditi, e keniani cominciarono a unirsi all’organizzazione. In questo periodo, in
Somalia cominciarono ad aggirarsi figure come quella di Fua’d Shongole, capo di un
gruppo di fuoco degli Shabaab oltre che titolare di un passaporto sudanese e imam di
una moschea a Stoccolma. E’ sempre durante la reggenza di Godane che si delinearono
in maniera più chiara le relazioni di potere tra Al-Shabaab e il territorio. Queste sono
costituite da attività prevalentemente di tipo predatorio, ma non per questo sprovviste
di un pensiero strategico di fondo. Al-Shabaab ha occupato i principali punti per
l’approvvigionamento delle risorse naturali. Questo riguarda ovviamente l’accesso
all’acqua ma anche lo sfruttamento delle foreste dalle quali si ricava il carbone, definito
anche come “l’oro nero”. Il contrabbando di questo materiale infatti, riveste una notevole
G. Turbiville, J. Meservey e J. Forest. “Countering the Al-Shabaab Insurgency in Somalia: Lessons for U.S.
Special Operation Forces” Joint Special Operation University (JSOU) (2014).
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J. Fergusson. “The World’s most dangerous place”. Black Swan edition (2014).
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J. Fergusson. “The World’s most dangerous place”. Black Swan edition (2014).
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importanza per le casse del gruppo. Secondo alcune stime4, Al-Shabaab può riuscire a
guadagnare circa 25 milioni di dollari l’anno solo da questa attività. Il contrabbando di
carbone è gestito da figure chiave del potere degli Shabaab. Una di queste è Sheik
Ahmed Ali Nur Jimale, vero e proprio contabile ed esperto di riciclaggio degli Shabaab.
Jimale nel corso degli anni è stato il principale responsabile del finanziamento di AlShabaab grazie al contrabbando e alla gestione di diverse reti di hawaladar. Dopo aver
aperto una struttura di riciclaggio a Gibuti, che si basava anche su alcune industre dello
zucchero, è stato posto nella black list del Consiglio di Sicurezza dell’Onu5. Il rapporto
tra Al-Shabaab e le realtà rurali somale è un altro nodo cruciale della geopolitica interna
del gruppo. I villaggi e le città dell’entroterra, infatti, forniscono la “carne da cannone”
per l’organizzazione, ma rappresentano anche una forma di sostentamento finanziario
in virtù dell’imposizione di tasse da parte del gruppo. Secondo alcune stime la tassa
imposta da Al-Shabaab è di 2 dollari per ogni sacco di riso che passa attraverso i suoi
check points e di 500$ all’anno per ogni fattoria e campo coltivato presente nei territorii
occupati6. Questo sistema di tassazione può arrivare a produrre tra i 70 e 100 milioni di
dollari d’introiti ogni anno7. Un altro snodo cruciale della geopolitica di Al-Shabaab è
rappresentato dal controllo dei mercati, compresi quelli della capitale. Secondo le
Nazioni Unite8, prima del ritiro da Mogadiscio nel 2008, Al Shabaab ha guadagnato circa
60 milioni di dollari dalle estorsioni perpetrate nel celebre mercato Bakara e in quello di
Suuq Baad. Recentemente, anche gli allevatori e la pastorizia stanno tornando ad avere
una certa rilevanza per le strategie dell’organizzazione. Negli ultimi anni si è registrato
un aumento dei furti di bestiame9 che da un parte forniscono agli Shabaab cibo e latte
ma dall’altra possono essere strumentalizzati a scopo di estorsione. E’ evidente come le
modalità d’imposizione di Al-Shabaab nei microcosmi geopolitici rurali non sono poi così
diverse da quelle attuate dalle mafie italiane ai loro albori10. L’ultimo aspetto rilevante
della geopolitica interna di Al-Shabaab è il suo rapporto con le attività marittime, cruciali
per aumentare il potere dell’organizzazione sul territorio. Possiamo definire questo
particolare fenomeno come “talassojihadismo”. Nel corso degli anni, Al-Shabaab ha
intessuto ottimi rapporti con “l’industria” della pirateria e sebbene sia ancora argomento
di discussione la militanza di alcuni pirati in al-Shabaab, i rapporti tra l’organizzazione e i
protagonisti di questo business sono invece comprovati. I pirati sono tassati dagli
Shabaab che in caso di disaccordi sui pagamenti non esitano a risolvere il problema
anche in maniera violenta. Nel 2011 ad esempio, alcuni Shabaab sequestrarono i capi dei
pirati operanti nella roccaforte di Haradhere. Questi ultimi vennero rilasciati solo dietro
4
J. Gettlemen e N. Kulish. “Somali militants mixing business and terror”. New York Times (2013).
Consiglio di Sicurezza dell’ONU. “Security Council RES 751 and 1907”. Jimale è stato successivamente
rimosso dalla black list nel 2014, benché il Consiglio di Sicurezza abbia ribadito la sua responsabilità in
attività di riciclaggio e finanziamento per Al-Shabaab, si veda “Committee on Somalia and Eritrea deletes
Ali Ahmed Nur Jim’ale from its sanction list” (2014).
6
J. Gettlemen e N.Kulish, ibidem.
7
G. Turbiville, J. Meservey e J. Forest, ibidem.
8
ONU Consiglio di Sicurezza, Rapporto del gruppo di monitoraggio sulla Somalia e l’Eritrea, Annesso 3,
(2011).
9
H. Maruf. “Al-Shabaab seizes Somali herders’ livestock” VOA News (2016).
10
E. Ciconte. “Storia criminale: la resistibile ascesa di ‘ndrangheta, e camorra dall’Ottocento ai giorni nostri.”
Rubettino (2008).
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la promessa di versare al gruppo il 20% dei riscatti percepiti in futuro11. Sempre ad
Haradhere, secondo alcune testimonianze12, i pirati pagavano tra i 200.000 e 300.000
dollari per ogni imbarcazione ancorata e usata per le sortite in mare aperto. Anche le
relazioni tra pirateria ed Al-Shabaab sono curati da figure chiave, una su tutte quella di
Sheik Hassan Afrah, il più noto intermediario di questa “alleanza”. La recente decrescita13
del numero di attacchi lungo le coste della Somalia ha sicuramente ridimensionato gli
introiti derivanti dalla relazione tra Shabaab e pirati, ma questa mantiene comunque una
certa rilevanza per il gruppo sia in termini economici sia in termini di relazione di potere.
Il talassojihadismo è anche finalizzato al garantire gli approvvigionamenti necessari per
le attività dell’organizzazione. In quest’ottica il cuore del talassojihadismo è
rappresentato dal porto di Chisimaio. Già da tempo uno degli scali più importanti della
regione, la città fu al centro di alcuni scontri intestini ad Al-Shabaab nel 2008. In seguito
all’ascesa di Godane, i jihadisti riuscirono ad occupare stabilmente questo centro
portuale riuscendo a trasformarlo in un’area dual use dal punto di vista geopolitico. A
Chisimaio arrivavano armi e mezzi per i jihadisti, insieme a beni di prima necessità, ma fu
la politica finanziaria adottata rispetto al porto ad evidenziare una buona dose di genio
da parte degli Shabaab. L’organizzazione trasformò il porto in una specie di free trade
area, imponendo una tassazione molto più bassa rispetto agli altri scali nella regione. La
conseguenza di questa scelta fu che tutti i principali commercianti del Corno d’Africa
decisero di importare le proprie merci dal porto di Chisimaio, pagando di conseguenza
i muajaheddin. Per quanto riguarda le attività illecite invece, Chisimaio divenne cruciale
per il traffico del qat, la droga più consumata nel Corno d’Africa che è coltivata
prevalentemente nel vicino Yemen. La collocazione del porto di Chisimaio, facilitò
notevolmente, almeno in una prima fase, la comunicazione con i vertici di Al Qa’ida e i
sostenitori del Golfo, che potevano tranquillamente attraccare in città. Il
talassojihadismo è funzionale anche per dispiegamento delle truppe lungo la costa
garantendo così la possibilità di colpire facilmente aree di importanza strategica come
ad esempio la regione di Lamu in Kenya, località turistica attaccata da Al-Shabaab nel
201414. La valenza del fenomeno del talassojihadismo in termini offensivi, è dimostrata
anche dal recente attentato al porto di Mogadiscio del dicembre 2016.15A riconferma
dell’importanza strategica per il gruppo delle infrastrutture portuali, pochi giorni prima,
gli Shabaab avevano invece occupato il porto di El-Wak, al confine con il Kenya, in
seguito al ritiro delle truppe di Nairobi dalla città, ed è probabile che da lì sia partito
l’esplosivo utilizzato nel porto di Mogadiscio. Sarebbe ancora prematuro affermare che
il talassojihadismo stia progressivamente diventando una vera e propria strategia di
guerra ma vista l’importanza data da Al-Shabaab alle vie marittime non è una possibilità
da escludere.
11
R. Lough “Piracy random cash ends up with somali militants”. Reuters (2011).
J. Fergusson, ibidem.
13
Washington Post “Sea piracy plunges to 18-year low but kidnappings rise” (2017).
14
Jeune Afrique. “Les Shabaab revendiquent une nouvelle attaque meurtrière sur la côte du Kenya”
(2014).
15
H. Maruf. “20 killed in blast near Mogadishu Port.” VOA News (2016).
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Internazionalisti ma non troppo: la (nuova) geopolitica esterna di Al-Shabaab
La proiezione della forza all’esterno della Somalia, è stata oggetto di diverse faide
interne in Al-Shabaab, come detto in precedenza, già nel 2008, dopo l’intervento Etiope,
il comando dell’organizzazione appariva frammentato tra localisti (la fazione dei clan del
Sud capeggiata da Robow) e gli internazionalisti (i clan del nord guidati da Godane).
Estromettendo progressivamente i localisti dalle posizioni di comando, e favorendo
l’afflusso dei foreign fighters tra le fila dell’organizzazione, Godane divenne ufficialmente
il capo di Al-Shabaab nel 2009. Nel febbraio del 2010, il nuovo emiro del gruppo emise
un comunicato nel quale dichiarava esplicitamente: “vogliamo congiungere il Corno
d’Africa al jihad dello sceicco Osama Bin Laden”16. Nel Luglio dello stesso anno si
assistette al primo attacco di Al-Shabaab al di fuori della Somalia, quando un commando
di guerriglieri attaccò Kampala, capitale dell’Uganda. Quest’attentato era il frutto della
congiunzione di una serie di “fattori esterni”. In primo luogo, i foreign fighters presero
posizioni di maggior rilievo nella gerarchia dell’organizzazione. Il caso più evidente è
quello di Omar Hammami (alias Abu Mansur al-Amriki) guerrigliero americano che
implementò notevolmente le capacità di reclutamento del gruppo traducendo i suoi
messaggi anche in inglese. La principale conseguenza dell’attacco di Kampala fu
l’ingresso di Al-Shabaab in Al Qa’ida nel 2012. Sotto la guida di Godane, s’implementò
uno degli aspetti più importanti aspetti della geopolitica esterna di Al-Shabaab, il
rapporto con la diaspora somala. Lo sfruttamento di quest’ultima da parte
dell’organizzazione ha due scopi principali: aumentare le opportunità sia di
finanziamento sia di reclutamento. I luoghi emblematici della penetrazione di AlShabaab nella diaspora sono due: la città americana di Minneapolis, e il quartiere di
Eastleigh a Nariobi. L’analisi di queste due realtà mette meglio in evidenza le capacità di
adattamento di Al-Shabaab in due contesti completamente diversis. Minneapolis, è il
fulcro di quella che potremmo definire la Minnesota connection. Secondo quanto
emerso da alcuni studi17 in cinque anni, tra il 2007 e il 2012, più di venti persone partirono
dalle “città gemelle” per unirsi ad Al-Shabaab. Nell’ambito della Minnesota connection
cominciarono a fiorire i primi messaggi degli Shabaab finalizzati al reclutamento della
parte americana della diaspora, questi erano prevalentemente video e audio basati sul
comunitarismo e sull’illustrazione della “dolce vita” che si conduceva combattendo con
i mujaheddin in Somalia18. Per l’implementazione del reclutamento della diaspora
somala negli USA rivestì un ruolo importante la figura di Mohammed Said Omar.
Quest’ultimo fu uno dei primi foreign fighters a lasciare gli Stati Uniti per combattere con
le Corti Islamiche e fino al 2012 ha fatto spola tra le “città gemelle” e il Corno d’Africa per
reclutare i nuovi adepti di Al-Shabaab. Dopo una prima fase di crisi, dovuta alle rivolte
della popolazione locale contro gli Shabaab e all’ingresso del Kenya nell’AMISOM, la
Minnesota connection tornò in grande spolvero a partire dal 2012. La relazione tra AlShabaab ed Eastleigh aspira a soddisfare le stesse esigenze (fondi e combattenti) ma
adattandosi a una realtà completamente diversa da quella di Minneapolis. Questo
quartiere di Nairobi, ad oggi noto con il nome di “piccola Mogadiscio”, è il luogo dove si
16
R. Wise “Al-Shabaab”. Center for Strategic and International Studies (2011).
A. Varvelli. “Jihadi hotbeds”. ISPI (2016).
18
A. Varvelli, ibidem.
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è instaurata la comunità dei rifugiati somali, scappati dal paese dopo il collasso del
regime di Siad Barre. A partire dal 2009 è diventato uno degli punti focali del
reclutamento di Al-Shabaab, che avvicina i rifugiati più giovani con la promessa di
guadagni facili e la possibilità di conseguire uno status sociale più elevato tramite l’uso
della violenza. Anche in questo caso, le tattiche di reclutamento di Al-Shabaab non
differiscono molto da quelli delle mafie propriamente dette19. A differenza però di
quanto successo con la Minnesota connection, dove le iniziative adottate dal governo
americano hanno marginalmente disturbato le attività di reclutamento, le politiche del
Kenya contro i rifugiati somali non hanno fatto altro che aumentare il seguito di cui
godevano gli Shabaab. Sempre più abitanti di Eastleigh volevano unirsi al gruppo per
vendicarsi dei torti subiti da parte delle autorità locali20. Le relazioni tra la diaspora e AlShabaab hanno anche, occasionalmente, facilitato la commissione di attentati al di fuori
della Somalia. Il famoso attacco al Westgate Mall di Nairobi nel 2013 per esempio,
avvenne anche grazie al reclutamento di alcuni giovani del campo profughi di Dabdaab,
situato all’interno della città. Nel corso dell’attacco vennero ricostruite anche alcune
telefonate effettuate da un membro del commando verso la Norvegia, questo a riprova
dell’importanza della diaspora nella strategia internazionalista di Al-Shabaab. La
geopolitica esterna di Al-Shabaab tuttavia, presuppone anche l’esistenza di contatti con
attori stranieri operanti sul territorio somalo. In questo senso, un ruolo importante è
rivestito dal rapporto con le Organizzazioni Non Governative (ONG) attive nell’assistenza
umanitaria in Somalia. La relazione di Al-Shabaab rispetto alle ONG è di natura
prevalentemente strumentale. Invece di attaccare tali organizzazioni, gli Shabaab hanno
deciso di approfittare della loro presenza nell’area per aumentare le opportunità di
finanziamento. Le organizzazioni umanitarie sono divenute quindi oggetto di estorsione
da parte dei mujaheddin che arrivarono anche a guadagnare 10.000 dollari l’anno da
questo tipo di attività21. Gli aiuti umanitari forniti dalle ONG inoltre, vengono spesso
inseriti all’interno delle reti di contrabbando dell’organizzazione, che può così
appropriarsi facilmente di cibo, medicinali e altri tipi di beni. Dopo la morte di Godane,
ucciso nel 2014 da un attacco aereo americano, la geopolitica esterna di Al-Shabaab è
stato oggetto di revisione da parte del nuovo emiro del gruppo, Ahmad Umar (alias Abu
Ubaidah). L’ascesa di quest’ultimo, sancì di fatto la definitiva presa del potere da parte
dei servizi segreti di Al-Shabaab, l’amniyat22, la polizia segreta dell’organizzazione,
capace di raccogliere informazioni in ogni zona del Corno d’Africa, nonché vero cuore
dell’intellighenzia degli Shabaab. La nomina di Abu Ubaidah, a suo tempo capo
dell’amniyat, rappresenta anche l’ascesa di una nuova generazione di mujaheddin
all’interno del gruppo. Conscio dei limiti dimostrati dalla strategia di Godane, che aveva
attirato contro di se l’ira della popolazione locale insieme all’attenzione della comunità
internazionale, Abu Ubaidah ha stravolto, con ottimi risultati, il modus operandi del
gruppo, sostituendo la strategia di guerra convenzionale con quella di guerra
d’insorgenza. Anche il focus geografico della lotta di Al-Shabaab è cambiato
radicalmente, privilegiando gli attacchi nelle regioni centro-meridionali della Somalia
19
I. Sales. “La camorre, le camorre”. Editori Riuniti (1993).
Isma’il Kushkush. “Kenya’s wide net against terror sweeps up refugees”. New York Times (2014).
21
Gettlemen e N.Kulish, ibidem.
22
K. Menkhaus. “Al-Shabab’s capabilities post-Westgate”. CTC Sentinel (2014).
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rispetto a quelli all’estero. La strategia di logoramento nei confronti dell’AMISOM voluta
da Abu Ubaidah ha ottenuto i risultati sperati soprattutto grazie al progressivo
sfaldamento23 dell’alleanza africana impegnata in Somalia. Negli ultimi mesi del 2016,
gli Shabaab hanno approfittato del ritiro delle forze etiopi, ugandesi e keniote per
occupare di volta in volta le diverse postazioni sguarnite, come successo nelle città di
Afgoi24 e Moqokori25. La nuova strategia di guerra ovviamente non esita ad assestare
attacchi anche a Mogadiscio, l’ultimo dei quali è avvenuto nella notte precedente le
elezioni presidenziali, quando alcuni colpi di mortaio sono stati sparati verso il centro
della città26. Nella nuova geopolitica di Al-Shabaab tuttavia, non sono assenti gli attentati
all’estero, che rimangono però incentrati in teatri di rilevanza strategica, uno su tutti il
Kenya. L’attacco di Garissa del 2015 oltre a rappresentare un importante colpo nei
confronti di uno dei paesi più attivi nel contrasto ad Al-Shabaab, era anche una sorta di
messaggio volto a rassicurare la nomenklatura di Al Qa’ida rispetto a una forma di
continuità con la linea internazionalista di Godane. Tale ipotesi appare rafforzata anche
da una serie di assalti contro le forze keniote nel sud della Somalia, tra questi il più noto
è avvenuto ad el-Ade, dove gli Shabaab hanno rivendicato l’uccisione di 187 soldati di
Nairobi. L’ultimo aspetto da considerare nella trattazione della geopolitica esterna di AlShabaab è quello della relazione con lo Stato Islamico (IS). Nell’aprile del 2016 fu
annunciata la fondazione di una nuova branca somala del califfato chiamata Jabhat East
Africa27. Tralasciando alcune considerazioni sulla nascita di questo gruppo, possiamo
dire che s’ipotizzò addirittura il passaggio dell’intera Al-Shabaab tra le fila del “califfato”.
Questa eventualità venne smentita da un comunicato ufficiale del gruppo, in cui i capi
degli Shabaab invitavano letteralmente a “tagliare la gola”28 a chiunque provasse ad
unirsi al califfato. Gli attacchi della filiale somala dello Stato Islamico ha investito
principalmente il nord del paese, specialmente la regione del Puntland, dove nel
dicembre 201629 si sono affrontate direttamente le truppe del GFT e quelle del califfato.
Sul confronto tra IS e Al-Shabaab in Somalia occorre a questo punto fare due
considerazioni. La prima, il rilancio dell’azione del califfato nel nord del paese potrebbe
essere considerato come un effetto collaterale del rinnovamento portato avanti da Abu
Ubaidah. I clan del nord, progressivamente messi in ombra rispetto a quelli del sud,
potrebbero aver deciso di unirsi allo Stato Islamico uscendo da Al-Shabaab. La seconda
è che stiamo assistendo negli ultimi mesi ad una progressiva emulazione dell’IS da parte
di Al-Shabaab sia a livello retorico che a livello tattico. Nel primo caso sono sintomatici i
recenti comunicati che rivendicavano l’esecuzione di alcuni omosessuali30. A livello
tattico invece, va notato il progressivo aumento dell’uso dei VBIED (vehicle-borne
improvised explosive device), “marchio di fabbrica” di Al Qa’ida in Iraq prima e dell’IS poi,
23
J. Hervey e K. Lilley. “Is the coalition fighting Al-Shabaab falling apart?”. War On the Rocks (2016).
M.O. Hassan “Six killed in attack on Somalia town”. VOA news (2016).
25
Shabelle News. “Al-Shabaab takes control of Moqokori district from SNA” (2016).
26
Koaci. “Somalie: tirs d’obus de mortiers à Mogadiscio à la veille des élections” (2017).
27
L. Dearden. “ISIS: new terror group Jabha East Africa pledge allegiance to Islamic State in Somalia.” The
Independent (2016).
28
Naharnet Newsdesk. “Somalia’s Al-Qaeda Branch warns members against join the IS (2015).
29
H. Maruf. “Somalia Security Forces and IS fighters directly clash for the first time.” VOA news (2016).
30
Associated Press. “Al-Shabab militants in Somalia announce public execution of homosexuals” CBS
News (2017).
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utilizzati per la prima volta dagli Shabaab nel novembre del 2016 in un mercato di
Mogadiscio31. Per comprendere se questa “convivenza” tra IS e Al Qa’ida in Somalia
degenererà in uno scontro aperto e chi vincerà un eventuale confronto lo si capirà solo
seguendo le evoluzioni future del conflitto nel Corno d’Africa. Tuttavia è chiaro, e
demoralizzante, come nonostante gli sforzi compiuti dalla comunità internazionale lo
Stato Islamico rappresenti l’unico vero contropotere attivo rispetto al predominio degli
Shabaab.
31
BBC. “Somalia car bomb: Blast rips through Mogadishu market” (2016).
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