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Commentary,11luglio2013
GEOSTRATEGIA DEL JIHADISMO AFRICANO
BENIAMINO FRANCESCHINI
L
a conquista di Chisimaio nel settembre 2012 da
parte del contingente internazionale a sostegno
del Governo di Mogadiscio ha innescato una
serie di dinamiche che, paradossalmente, potrebbero destabilizzare l’Africa orientale, rendendola una porta
aperta nell’arco di tensione che unisce l’Asia al Sahel, un
corridoio privilegiato del jihadismo compreso idealmente
tra i territori di al-Shabaab, Boko Haram e della galassia
dell’Islam combattente sahelo-sahariano.
©ISPI2013 Sconfitti militarmente, infatti, gli islamisti somali furono
costretti alla ritirata in aree rurali e semidesertiche al confine con Kenya ed Etiopia, nelle quali, secondo i vertici
kenioti e di AMISOM, una loro riorganizzazione sarebbe
stata difficile, sia per il territorio geomorfologicamente
impervio, sia per la tradizionale diffidenza della popolazione locale. La valutazione del contingente internazionale, condizionata dalla volontà di affermare prioritariamente
il controllo di Chisimaio, si è dimostrata pragmatica, ma
errata già nel breve periodo: a fronte di alcuni miliziani di
al-Shabaab che sono riusciti a ricreare cellule operative,
altri hanno mutato obiettivi e modus operandi, rifugiandosi
soprattutto in Etiopia, Kenya, Uganda e Tanzania.
La distinzione tra i combattenti rimasti in patria e quelli
trasferitisi all’estero è fondamentale, poiché i primi
stanno continuando la resistenza contro il Governo di
Mogadiscio, mentre i secondi si stanno assestando nel resto dell’Africa orientale, abbandonando l’ottica nazionalistica tipica del jihadismo somalo per costituire una rete di
livello regionale. La diaspora di al-Shabaab, con forti basi
nell’Ogaden etiope e nelle Province Nordorientali keniote,
cioè due aree la cui popolazione è per gran parte composta
da musulmani d’etnia somala, sono contesti ideali per la
costruzione di legami che incrementeranno notevolmente
la minaccia alla stabilità dell’Africa orientale. Oltretutto,
gli uomini di al-Shabaab possono adesso contare realmente sul sostegno di al-Qaeda, nella quale il gruppo è
inserito dal febbraio 2012.
L’ampliamento degli obiettivi di al-Shabaab in ottica
regionale è del tutto funzionale al progetto di al-Zawahiri,
per il quale l’Africa è la nuova frontiera del jihad, con
paesi come la Nigeria destinati a divenire il cuore pulsante della rinascita musulmana. La rete somala consente
da un lato di porre sotto costante pressione gli attori del
Corno d’Africa, dall’altro di garantire una porta
d’accesso dall’Asia al continente nero a ridosso delle
regioni centrali, caratterizzate da instabilità politica e
vuoti di potere. Lo scopo è realizzare un coordinamento
stabile tra i maggiori gruppi jihadisti africani, un vasto
Beniamino Franceschini, dottore magistrale in Studi Internazionali e analista politico dell’Africa subsahariana presso Il Caffè Geopolitico.
L’articolo è stato pubblicato in versione completa su Caffè Geopolitico, http://www.ilcaffegeopolitico.net/8448/geostrategia-del-jihadismo-africano2
Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI. Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. 1 commentary
sicurezza dell’intero Mediterraneo e il controllo dei flussi
migratori. Il Sahel, però, è anche il campo di battaglia
primario per l’Islam combattente africano, con reduci di
altri teatri jihadisti impegnati direttamente contro una
potenza occidentale (la Francia) fortemente avversata per
il suo spirito laicista e il passato coloniale. Nel Sahel i
protagonisti sono soprattutto AQIM e il MUJAO, gruppi
che hanno tratto un vantaggio netto dalla caduta di
Gheddafi e dalle “Primavere arabe”, nelle quali sono
riemerse formalmente profonde istanze islamiste. A
preoccupare, inoltre, è la trasformazione in senso delinquenziale che stanno affrontando queste organizzazioni,
restando in bilico sulla sottile linea tra banditismo e terrorismo al fine di recuperare fondi per il jihad tramite
contrabbando, traffico di droga e rapimenti.
triangolo che abbia per vertici, oltre ad al-Shabaab, anche
Boko Haram e le formazioni sahelo-sahariane.
©ISPI2013 In questo senso, pur non essendo all’interno di al-Qaeda,
ad avere un’importanza strategica fondamentale è Boko
Haram, tanto che alcuni suoi elementi sono stati individuati sia in campi d’addestramento in Somalia, sia in
combattimento in Mali al fianco di AQIM e del MUJAO.
L’organizzazione nigeriana opera per la sconfitta dello
Stato e il raggiungimento della totale anarchia violenta,
situazioni preliminari all’imposizione della legge shariatica. Il modus operandi di Boko Haram ha subìto
un’evidente trasformazione negli ultimi anni, assumendo
connotati ideologici simili a quelli dei talebani, impiegando tattiche di origine afghana, ma probabilmente apprese in Somalia, e migliorando in efficienza e pervasività politica. Per di più, Boko Haram sta aumentando il
numero dei propri sostenitori anche all’estero, richiamando toni sempre più simili alla propaganda di
al-Qaeda riguardo alla necessità di distruggere innanzitutto gli ordinamenti statali di origine occidentale. Recentemente potrebbe aver espanso il raggio d’azione
permanente anche in Camerun e Niger, sebbene non sia
ancora chiaro se ad agire fuori dalla Nigeria siano membri effettivi del gruppo o miliziani di formazioni affini. Il
rischio reale – e la comunità internazionale è del tutto
impreparata ad affrontare la minaccia – è che il modello
Boko Haram possa espandersi in Africa occidentale
laddove esistano situazioni analoghe a quella nigeriana,
ossia in paesi con conflitti etnici interni, rilevanti infiltrazioni estremistiche nelle comunità musulmane, difficoltà economiche e istituzioni deboli: un profilo molto
simile, con le rispettive differenze, a Burkina Faso, Camerun, Niger e allo stesso Senegal. In sostanza, la percezione è che Boko Haram possa divenire una sorta di
al-Qaeda africana.
Tuttavia, di fronte al rinsaldarsi dell’arco di tensione tra
lo Yemen e il Sahel, la comunità internazionale sembra
inerme, quando non del tutto preda di una sindrome da
sottovalutazione della capacità di coordinamento tra gli
attori del terrorismo islamico africano. L’attenzione è
rivolta costantemente al fronte asiatico, tutt’al più – solo
negli ultimi tempi – al Sahel occidentale. La priorità,
però, in particolar modo per l’Europa, dovrebbe essere la
stabilizzazione delle regioni centro-africane e il contrasto
alle reti jihadiste nel continente nero: provocatoriamente,
si dovrebbe cominciare a ragionare come se la guerra
contro il terrorismo in Asia fosse terminata e quella in
Africa potesse essere persa da un momento all’altro.
Il corridoio jihadista è un caso teorico in via di realizzazione, poiché tra i vari gruppi la cooperazione è parziale,
non formalizzata e condizionata dalle reciproche diffidenze, ma è uno scenario che potrebbe verificarsi già nel
breve periodo, considerato che un combattente proveniente dallo Yemen potrebbe sbarcare in Somalia e raggiungere il Mali traversando aree prive di controllo, quali
la Repubblica centrafricana o le regioni orientali della
Repubblica democratica del Congo. La comunità internazionale, inoltre, dovrebbe tenere presente che, secondo
al-Zawahiri, spetta ai musulmani d’Africa il compito di
insorgere e sostenere il maggiore sforzo nel jihad globale.
Il punto d’arrivo del corridoio del jihadismo nel continente nero è il Sahel, regione che attualmente è il fronte
principale della lotta europea al terrorismo, sia per gli
interessi economici di alcuni membri dell’UE, sia perché
dalla stabilità dell’area dipenderà già nel breve periodo la
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lo-sahariani potranno sfruttare la permeabilità delle frontiere tracciate nel deserto: un eventuale collasso dello
scacchiere africano avrà dirette ripercussioni sulla stabilità e la sicurezza europee.
©ISPI2013 La sconfitta di al-Shabaab è stata puramente militare e
limitata alla Somalia; Boko Haram amplierà il proprio
raggio d’azione contando sulla connivenza dei potentati
locali e su un’ideologia accattivante; i miliziani sahe-
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