327 André Derain - Fondazione Internazionale Menarini

Transcript

327 André Derain - Fondazione Internazionale Menarini
n° 327 - ottobre 2006
© Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie
Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
André Derain, il maestro ritrovato
Se il termine “classico”
designa non soltanto un
periodo storico preciso,
ma un’arte pura e fondata
sull’ordine e la semplicità,
allora esso si confà
all’arte di Derain più che
a quella di chiunque altro.
Non vi è nessuno cui meglio
convenga la famose frase di
Winckelmann
“La complessiva
raffinatezza di quest’arte
deriva dalla sua nobile
semplicità e dalla sua
quieta grandezza”
D. Kahnweiler, 1920
Al pittore francese André
Derain, il Palazzo dei Diamanti di Ferrara dedica una
rassegna monografica in
corso dal 24 settembre prossimo al 7 gennaio 2007,
realizzata in collaborazione
con lo Statens Museum for
Kunst di Copenhagen, dove
verrà poi presentata dal 10
febbraio al 13 maggio 2007.
La rassegna ferrarese prende
le mosse dalle prime esperienze artistiche di Derain,
risalenti gli anni 1900-04,
nelle quali l’artista, che era
nato nel 1880, mostra fino
dagli inizi grandi doti di
potenza e libertà espressiva; Le rive della Senna a
Pecq, del 1904, è una delle
tele più emblematiche di
questo periodo: con un semplice gioco di linee e colori
giustapposti, Derain rende
l’atmosfera malinconica e
solitaria della banlieue parigina, quella periferia che
segna un indistinto territorio di confine tra metropoli e campagna circostante.
Derain assimilava rapidamente le conquiste delle
ultime generazioni per approdare a quella rivoluzione
nell’arte moderna che prese
il nome di fauvisme: il termine fu coniato dal critico
Louis Vauxcelles, che al Salon del 1905 battezzò fauves (belve) il gruppo di artisti, fra cui Matisse e Derain, che esponevano opere
caratterizzate dall’uso di
colori puri accostati con
forti contrasti. Nelle tele
eseguite l’anno seguente a
Londra per il mercante Ambroise Vollard, il panorama
si trasforma in una fantasmagoria di colori immaginari: i cieli rosa acceso,
le acque del Tamigi gialle
e verdi, i ponti e gli edifici
azzurro intenso. Il soggiorno
londinese significò anche
l’incontro con i dipinti di
Turner alla National Gallery, che Derain studiò su
consiglio di Matisse.
Accanto ai paesaggi eseguiti a Londra, figura in
mostra una serie di ritratti
fauves, tra i quali il capolavoro Donna in camicia del
1906, vero manifesto di
una pittura che si serviva
di colori dissonanti e deformazioni espressionistiche per mettere in luce
ed esaltare i caratteri dei
personaggi rappresentati.
In questo periodo, Derain
è tra i primi a subire il fascino delle maschere tribali e a collezionarle, ed è
uno dei più acuti osservatori dell’arte africana e oceanica e della statuaria arcaica, avvertendo le potenzialità della conoscenza dell’arte primitiva per la creazione di un linguaggio artistico moderrno. L’attrazione per il primitivismo
e l’esempio di Gauguin e
di Cézanne lo inducono ad
affiancare alla pittura la
sopra André Derain:
Il ponte di Waterloo
Madrid,
Museo Thyssen-Bornemisza
a lato André Derain:
Lucien Gilbert
New York, The Metropolitan
Museum of Art.
sperimentazione di tecniche diverse, come la xilografia, la scultura in pietra, la ceramica, e a concentrare la propria attenzione sulla figura umana,
sulla costruzione dei volumi, sulla riduzione dei
corpi a forme simbolicamente sintetizzate, come
certi idoli primitivi. A testimoniare il suo contributo alla nascita della scultura moderna è il bellissimo Nudo in piedi (1907),
dai volumi tondeggianti
appena sbozzati e dal pro-
pag. 2
filo fluido e sinuoso, al quale
si affianca una serie di incisioni sul tema del nudo,
che mostrano la stessa essenzialità nella descrizione
delle membra e dei profili.
Nelle tele dipinte nel 1907
a Cassis e l’anno seguente
a Martigues, nel periodo
in cui Derain frequentava
Picasso e Braque, l’influenza
dei due pittori, che stavano
elaborando la rivoluzione
cubista, appare evidente
nella progressiva semplificazione delle masse delle
rocce, degli alberi e delle
case, giungendo ad assimilarli a puri volumi geometrici, nell’intento di creare
un ritmo compositivo piuttosto che rappresentare il
paesaggio in senso descrittivo, come in Paesaggio a
Martigues.
A partire dal 1908 Derain
intensifica la sua riflessione
su Cézanne. Nelle nature
morte e nei paesaggi si osserva una riduzione in senso
geometrico delle forme, un
ridursi della gamma cromatica e l’adozione di una
prospettiva “ribaltata” che
offre una visione dall’alto,
riducendo o annullando
l’effetto di profondità. Mai
Derain è stato più vicino
al maestro d’Aix come nella
grande Natura morta sul tavolo del 1910. La scelta degli oggetti quotidiani disposti sul tavolo da cucina
e il trattamento del colore,
steso a larghe pennellate
con sottili variazioni di
tono, donano un’intonazione lirica a questo dipinto
che appare in tutto un appassionato omaggio al maestro, scomparso l’anno precedente; nella stessa chiave
di meditazione su Cézanne
vanno interpretati gli studi
sul tema delle Bagnanti,
eseguiti tra il 1908 e il
1912, un soggetto al quale
Cézanne si era dedicato negli ultimi anni della sua
vita.
Nel periodo 1912-14 la
pittura di Derain si volge
a modelli classici, precorrendo quella rivisitazione
dell’arte dei secoli passati
che verrà definita del “ritorno all’ordine”. Tra le
opere più rappresentative
di questa nuova fase figurano la Natura morta con tavolozza del 1914 e il Ritratto di Lucie Kahnweiler,
moglie del celebre mercante d’arte, nel quale il richiamo alla ritrattistica
neoclassica di Ingres si fonde
con una minuziosa resa dei
dettagli che sembra rievocare dipinti di ambiente
nordico (Cranach, Holbein):
Derain appare qui l’antesignano di quel fenomeno
di portata europea, destinato a svilupparsi nel dopoguerra, che vide una parte
significativa dell’avanguardia abbandonare la sperimentazione per volgersi al
passato, puntando su un
recupero delle tecniche artistiche tradizionali. La partenza per la guerra insieme
a Braque, nell’agosto del
1914, segnò per Derain un
lungo periodo di silenzio
e di assenza dalla scena artistica. Al suo ritorno a Parigi riuscì però a ristabilire
rapidamente i contatti con
l’ambiente, e ad allargare
la sua attività al teatro e all’illustrazione di libri; allontanandosi dalla cerchia
di amici degli anni precedenti, iniziava a frequentare una nuova avanguardia intellettuale appena
comparsa sulla scena, quella
dei surrealisti. Il successo
lo colse impreparato, procurandogli uno stato di ansia. Scriveva nel 1919 a
Kahnweiler: «Al momento
ho un successo smisurato.
Come potrete comprendere, questo mi spaventa
più del totale disconoscimento, perché mi impedi-
sce di fare il tipo di pittura
che vorrei».
Negli anni Venti, Derain
fu il capofila del “ritorno
all’ordine” che portò tanti
artisti delle avanguardie a
un ripensamento del proprio linguaggio espressivo
in senso figurativo, segno
di un bisogno di recupero
di certezze dopo la tempesta della guerra; questo momento meditativo si tradusse per Derain in un recupero della grande tradizione artistica, con rimandi
a Tiziano e alla pittura cinquecentesca nei quadri di
figura, e alle nature morte
del Seicento olandese. Nello
stesso tempo Derain suscitava l’interesse della nuova
generazione di poeti e di
pittori surrealisti, da Breton ad Aragon; in seguito,
artisti come Miró, Giacometti e l’allievo prediletto
Balthus saranno affascinati
dalla sua sconfinata cultura
pittorica e letteraria.
La passione per la cultura
classica, che spinse Derain
a visitare l’Italia all’inizio
degli anni Venti, alimenta
un rinnovato interesse per
i soggetti mediterranei,
come l’Arlecchino del 1923,
tema affrontato negli stessi
anni anche da Severini e De
Chirico, e L’italiana (192122), un dipinto che testimonia il dialogo con quest’ultimo maestro, conosciuto nel 1913 grazie ad
Apollinaire, e con il quale
Derain coltivò un lungo
rapporto di amicizia.
Negli anni Trenta la pittura di Derain approda ad
una formula personale, un
classicismo apparentemente
freddo e distaccato ma animato da una sottile inquietudine che serpeggia nelle
opere di due dei generi prediletti dal maestro, il nudo
e il ritratto. Il Ritratto di
Alice Derain appare una
chiara esemplificazione del-
André Derain: Ritratto di Lucie Kahnweiler
Parigi, Centre Georges Pompidou
André Derain: Nudo in piedi
Parigi, Centre Georges Pompidou
pag. 3
l’equilibrio tra emozione
e oggettività distaccata, di
quella trasposizione dell’
immaginazione dell’artista nella realtà del quadro a cui aspirava, e che vedeva vivere di vita propria:
«solo allora essa veramente
è, l’avete creata, esiste persino più dell’altra, quella
concreta che credete di conoscere», scriveva Derain
in una lettera a Kahnweiler del 1921.
Nella galleria di ritratti un
posto privilegiato è riservato alla serie dedicata alla
nipote Geneviève, che Derain segue nel passaggio
tra l’infanzia e l’adolescenza,
dedicandole una ventina
di ritratti nell’arco degli
anni tra il 1931 e il 1938.
Nel Boa nero, del 1935, la
fanciulla indossa un abito
di foggia antica, in un’atmosfera che richiama la pittura di Courbet e Renoir,
ma modernissima nell’espressione trasognata dei
grandi occhi che immerge
il dipinto in un clima “magico”, vicino a quello della
Tazza di tè, dello stesso anno,
in cui la sobrietà dei colori,
l’essenzialità dei volumi
e l’atteggiamento misteriosamente riflessivo del
soggetto richiamano la contemporanea pittura di artisti come Casorati; queste
tele avranno anche un’influenza determinante sulla
pittura di Balthus, che ne
ammirerà il raffinato luminismo e l’atmosfera sospesa, riflessa dall’espressione assorta della protagonista.
Alla stessa spoglia essenzialità di forme e colori appare improntata la Natura
morta del 1938-43, in cui
il pittore dispone gli strumenti da disegno secondo
una composizione nitidamente geometrica. Come
spesso accade nelle opere
di questi anni, la luce riveste un ruolo fondamentale
nell’opera, evocando dalla
penombra oggetti apparentemente incorporei che
assumono così il valore di
simboli.
La mostra si chiude con
le grandi composizioni decorative eseguite tra il 1935
e gli anni Cinquanta, spettacolari “messinscene” teatrali, come nel Ritorno di
Ulisse, rappresentato come
un Banchetto alla maniera
di Veronese. Sono scene di
caccia, rievocazioni di poemi
antichi, nature morte che
confermano l’omaggio resogli da Picasso, all’inizio
degli anni Trenta: «Derain
è il solo fra noi che sia in
grado di dipingere quadri
di grandissime dimensioni.
Egli può misurarsi con un
Tintoretto o un Vélasquez».
Durante la seconda guerra
mondiale, il viaggio in Germania compiuto nel 1941
insieme ad un gruppo di
artisti francesi e organizzato dall’ambasciatore tedesco nella Parigi occupata,
venne aspramente criticato
e segnò a lungo la figura
dell’artista, che dopo questo episodio rimase emarginato e si ritirò nella sua
dimora di campagna fino
alla morte, avvenuta nel
1954. Per molto tempo,
dopo la sua scomparsa, pesò
su Derain il silenzio della
critica, che lo lascio nell’ombra e quasi dimenticato per quaranta anni. La
retrospettiva presentata nel
1994 al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris
ha riacceso l’interesse per
questa straordinaria personalità artistica, ricollocando
Derain fra i grandi maestri
del Novecento.
donata brugioni
André Derain: Ritratto di Alice Derain
Parigi, Musée national d’art moderne