programma di sala - Società del Quartetto di Milano
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programma di sala - Società del Quartetto di Milano
Stagione 2009-10 Il concerto è registrato da Domenica 21 febbraio 2010, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Leif Ove Andsnes pianoforte 12 Consiglieri di turno Direttore Artistico Marco Bisceglia Luciano Martini Paolo Arcà Con il contributo di Aiutiamo il Quartetto Rinnoviamo l’invito ad aiutare il Quartetto sostenendo il costo dei programmi di sala con un contributo di 500 Euro, detraibile dall’IRPEF. Alcuni Consiglieri e Soci hanno già generosamente aderito. Confidiamo che l’esempio ne sia seguito, sicché si possa coprire il costo totale di 25.000 Euro, così da consentirci di mantenere ampia e gratuita la distribuzione del programma di sala la sera del concerto. Ringraziamo: Socio anonimo, Alberto Conti, Alberta Deiure, NdT, CG, SG, GFG, Mario Lampertico, Federico Magnifico, Giovanni Scalori, M.D. Watts, Ruth Westen Pavese, Sergio Dragoni in memoriam, Maria Teresa Bazzi in memoriam, Paola Amman in memoriam, Annamaria La Rotonda in memoriam, Associazione Amici di Edoardo Onlus. Con il patrocinio di Sponsor istituzionali È vietato, senza il consenso dell’artista, fare fotografie e registrazioni, audio o video, anche con il cellulare.Iniziato il concerto, si può entrare in sala solo alla fine di ogni composizione. Anche per rispetto degli artisti e del pubblico, si raccomanda di: • spegnere i telefoni e ogni altro apparecchio con dispositivi acustici; • evitare colpi di tosse, fruscii del programma e ogni altro rumore; • non lasciare la sala fino al congedo dell’artista. Robert Schumann (Zwickau 1810 – Endenich 1856) 3 Romanzen op. 28 (1839) (ca. 15’) I. Sehr markiert II. Einfach III. Sehr markiert da 8 Novelletten op. 21 (1838) (ca. 8’) V. Rauschend und festlich György Kurtág (Lugoj 1926) da Játékok (ca. 8’) III/26 - Hommage à Farkas Ferenc (3) (Evocazione di Petruska) (1979) III/14 - Hempergõs (1979) V/6 - Aus der Ferne II (Hommage à Alfred Schlee 80) (1981) III/12 - Bogáncs (1979) VI/25 - Les Adieux (in Janáčeks Manier) (1992) VI/6 - Vízözön-szirénák (Waiting for Noah) (1990) VI/7 - Apokrif himnusz (II versione) (1985) III/25 - Hommage à Farkas Ferenc (2) (foszlányok egy kolinda emlékképébõl) (1979) Robert Schumann Kinderscenen op.15 (1838) (ca. 17’) I. Von fremden Ländern und Menschen II. Curiose Geschichte III. Hasche-Mann IV. Bittendes Kind V. Glückes genug VI. Wichtige Begebenheit VII. Träumerei VIII. Am Camin IX. Ritter vom Steckenpferd X. Fast zu ernst XI. Fürchtenmachen XII. Kind im Einschlummern XIII. Der Dichter spricht Intervallo Frédéric Chopin (Zelazowa Wola 1810 – Parigi 1849) Ballata n. 3 in la bemolle maggiore op. 47 (1841) (ca. 7’) Valzer in re bemolle maggiore op. 70 n. 3 (1829) (ca. 3’) Valzer in do diesis minore op. 64 n. 2 (1831) (ca. 3’) Valzer in sol bemolle maggiore op. 70 n. 1 (1833) (ca. 2’) Valzer in la bemolle maggiore op. 42 (1840) (ca. 4’) Notturno in si maggiore op. 62 n. 1 (1846) (ca. 6’) Ballata in sol minore op. 23 (probabilmente 1833; I ed. 1836) (ca. 10’) Sponsor Pianisti al Quartetto Nell’ambito del pianoforte Schumann ha trasformato i processi compositivi in maniera forse più radicale di quanto non abbiano fatti musicisti considerati rivoluzionari come Chopin e Liszt. Liszt aveva dichiarato che occorrevano “fiaschi nuovi per il vino novello”, alludendo alla necessità di trovare forme nuove per esprimere la sensibilità musicale dei tempi moderni. Schumann aveva invece una visione più controversa del rapporto con la tradizione. Queste tensioni risultano particolarmente evidenti nella produzione degli anni Trenta. La musica di quel decennio riguarda esclusivamente il pianoforte e comprende sia forme classiche come le Sonate, sia pagine di varia origine riconducibili all’espressione “pezzi di carattere”. A differenza dei lavori di Liszt, che dichiarava apertamente l’intenzione di collegare la musica a un testo, quelli di Schumann manifestavano nel complesso una sorta di sfiducia verso la parola, anche laddove la fonte letteraria era chiaramente espressa, come per esempio in Kreisleriana. Da questo punto di vista Schumann sembrava un musicista conservatore, ma in concreto le sue scelte musicali andavano in direzioni mai esplorate in precedenza. In risposta alla crisi della sonata classica, Schumann reagì immaginando un altro genere di forme, che in musica significa sentire il tempo in modo nuovo. I cicli pianistici degli anni Trenta rivelano il desiderio di trasportare sul pianoforte l’intuizione folgorante di Schubert nell’ambito del Lied. Questo nuovo genere di scrittura pianistica, nato da una sensibilità profondamente romantica, tocca una prima vetta con Carnaval (1834-35), per poi distendersi negli anni successivi in una serie di lavori dettati dalle impressioni più fantastiche del suo spirito. L’idea di ciclo implica anche quella di narrazione. I frammenti di ciascuna raccolta formano il racconto di una molteplice storia, che ha sempre come protagonista più o meno esplicita la figura di Clara. «Carissima – recita una lettera del 1839 – nelle Novelletten tu appari in tutte le possibili situazioni e circostanze». Nel loro insieme questi racconti formano il ciclo pianistico più ampio di Schumann, che scrisse Novelletten all’inizio del 1838. Il carattere autobiografico della raccolta, nella quale vengono riversate con spirito diremmo oggi jazzistico le più svariate sensazioni, emerge molto bene nella quinta in re maggiore. Scritta sul modello di una polonaise, la Novelletta esprime gli umori contrastanti degli alter ego immaginari di Schumann, Eusebio e Florestano, ora melanconici, ora passionali, con una sconcertante libertà di fraseggio, che ignora l’articolazione tradizionale. La successiva raccolta del 1838, intitolata Kinderscenen [sic], è in stretto rapporto con Novelletten, tanto che Schumann aveva immaginato di pubblicarle assieme. Il mondo dell’infanzia rappresentava per i primi scrittori romantici come Novalis e Jean Paul una condizione emblematica dell’artista. Schumann, raccogliendo un’espressione di Clara, che lo rimproverava di comportarsi a volte “come un bambino”, riprendeva l’idea per raccontare se stesso in modo autobiografico. Le tredici scenette formano infatti una rappresentazione per gli adulti del mondo infantile, non una raccolta musicale per bambini. Sono piccoli pezzi amabili e gioiosi, che vorrebbero esprimere il lato più nascosto della personalità di Schumann. La voce dell’autore si sovrappone infine a quella del poeta, nell’ultimo episodio, rivelandosi nella petite phrase che compare in molti lavori come una sorta di firma personale. Clara è al centro anche dell’ultimo lavoro di questa lunga fase pianistica di Schumann, che tornerà a scrivere un ciclo per il suo strumento solo una decina d’anni dopo con l’Album per la gioventù. Le 3 Romanzen op. 28 erano la risposta a un analogo ciclo di composizioni di Clara dedicato a Schumann. Il titolo indica non solo il carattere narrativo, ma anche l’espressione cantabile di queste pagine, preludio forse alla svolta clamorosa verso la musica vocale dell’anno successivo. Tuttavia la scrittura delle Romanzen è piuttosto densa e concentrata nella zona centrale della tastiera, che esprime in maniera perfetta lo stile declamato tipico della sua musica. György Kurtág non ha mai cessato di scrivere una musica profondamente lirica, benché le principali tendenze del suo tempo fossero orientate verso forme musicali di carattere astratto. La sua musica invece rappresenta una delle espressioni più poetiche e intense della nostra epoca. I materiali di Kurtág appaiono spesso semplici ed elementari, come quelli adoperati nel più sorprendente ciclo per pianoforte a due e quattro mani forse mai concepito, Játékok. In ungherese il titolo significa “giochi”, con un evidente riferimento all’infanzia. Kurtág ha iniziato a scrivere i primi pezzi, spesso pagine brevissime e tutte provviste di un titolo, nel 1973 e in pratica non ha mai considerato concluso il lavoro. Il settimo volume è stato pubblicato nel 2007, ma nulla lascia prevedere che sia l’ultimo. L’origine di questa straordinaria “opera aperta” è raccontata dall’autore nella prefazione del primo fascicolo: «L’idea di comporre Játékok è stata suggerita dalla maniera spontanea di suonare dei bambini, per i quali il pianoforte significa ancora un giocattolo». Kurtág rivendicava, sotto le apparenze dimesse di un lavoro didattico, il diritto di esplorare liberamente le possibilità della tastiera, senza timore di esprimere la propria autentica personalità artistica. La forza della sua musica consiste infatti ancora oggi nella fiducia del linguaggio come mezzo di comunicazione. Nella scrittura di Kurtág la musica del passato rivive continuamente, non solo come fonte d’ispirazione, ma anche come dimensione del ricordo. Spesso la memoria musicale si sgretola nella visione tragica della vita o si deforma in quella grottesca della morte. La poetica del frammento, così connaturata allo stile peculiare dei suoi processi compositivi, avvicina il nome di Kurtág a quello di Schumann, uno dei musicisti amati con più lucida coscienza. La musica di Kurtág si abbandona alle intermittenze della memoria, di volta in volta bruciante e ingannevole. Le quattro Ballate di Chopin incarnano in maniera esemplare lo spirito della generazione romantica. Il legame tra musica e poesia venne rinsaldato in forme nuove dai compositori romantici, come Loewe, che videro nella ballata un mezzo per conferire al Lied maggior respiro narrativo. Chopin trasferì quel sentimento poetico nell’ambito della musica strumentale, scrivendo per il pianoforte delle composizioni intitolate semplicemente Ballate, senza riferimenti a un testo specifico. In questo genere di composizioni, Chopin ha riversato ogni aspetto della sua arte: espressione lirica, senso della forma, drammaticità e delicatezza estrema, poesia del suono. La Ballata in sol minore op. 23 risale agli anni 183435, quando l’originalità del suo stile stava cominciando ad affermarsi. Uno dei primi ad apprezzare il nuovo lavoro fu proprio Schumann, che ascoltò la Ballata nel settembre del 1836, in occasione di una visita di Chopin a Lipsia. La sua acuta sensibilità critica percepì la novità del lavoro, che si sforzava di tracciare un percorso narrativo all’interno della struttura tradizionale della sonata. Oltre all’originalità della forma, la Ballata mostrava un’espressione profondamente tragica, sebbene a volte un po’ troppo plateale, che non manca di suscitare nel pubblico una profonda impressione. La Ballata in la bemolle maggiore op. 47 fu completata e rifinita nell’estate del 1841. Chopin suonò la Ballata nel concerto tenuto alla Salle Pleyel il 21 febbraio 1842, riscuotendo un clamoroso successo. Le analisi dei musicologi tendono a individuare nella prima parte della Ballata due temi principali, ma forse sarebbe più opportuno parlare di libera proliferazione tematica. Per quanto la struttura della Ballata somigli a quella di una forma sonata, infatti, l’architettura musicale viene diluita in una sorta di percorso emotivo interiore, che si muove da un mondo di grazia e di dolcezza lirica verso un clima più drammatico e cupo. La musica da ballo, entrata nel repertorio del pianoforte con Schubert, accompagnò l’intera parabola creativa di Chopin. Nel valzer Chopin esprimeva il lato più brillante e salottiero della sua musica, ma in maniera niente affatto uniforme. Si passa dal carattere leggermente sentimentale del giovanile Valzer in re bemolle maggiore op. 70 n. 3 alla melanconica serietà di quello in do diesis minore op. 64 n. 2, dalla sfrenata sensualità del Valzer in sol bemolle maggiore op. 70 n. 1 al virtuosismo concertante di quello in la bemolle maggiore op. 42. Il Notturno in si maggiore op. 62 n. 1 fa parte di una raccolta di due, scritti e pubblicati nel 1846. Sono gli ultimi esempi di un genere legato in maniera indissolubile al nome di Chopin. Il carattere di questo Notturno, in armonia con i lavori dell’ultimo periodo, sembra tendere verso un’espressione quasi astratta, grazie al perfetto equilibrio tra la forma e la densità sempre più rarefatta del materiale. Gli elementi decorativi si appoggiano con estrema delicatezza sulla linea melodica, mentre la scrittura estremamente ariosa conferisce una serena luminosità lunare al suono del pianoforte. Oreste Bossini LEIF OVE ANDSNES Leif Ove Andsnes è nato nel 1970 a Karmøy, in Norvegia. Si è diplomato nel 1986 al Conservatorio di Bergen sotto la guida di Jiri Hlinka e si è perfezionato con Jaques de Tiège. Il debutto negli Stati Uniti nel 1989 ha dato il via alla carriera internazionale che lo ha portato ad esibirsi con le maggiori orchestre del mondo. Nel 1992 ha debuttato con i Berliner Philharmoniker e nel 1993 a Londra con la BBC Philharmonic Orchestra. Ospite in recital di sale da concerto e di festival in tutto il mondo, nella stagione 2004/2005 è stato protagonista di “Perspectives”, una serie di sette concerti alla Carnegie Hall di New York. È co-direttore artistico del festival di Risør, che ogni anno porta in Norvegia musicisti quali Emanuel Ax, Ian Bostridge, Matthias Goerne, Barbara Hendricks, Gidon Kremer e Maxim Vengerov. Le sue numerose registrazioni discografiche, in esclusiva per EMI Classics, hanno meritato numerosi premi quali l’“Editor’s Choice” della rivista Gramophone e il Gramophone Award. Recente è la pubblicazione di Ballad for Edvard Grieg, un CD dedicato al compositore norvegese nel centenario della morte e dei Concerti di Dalbavie (eseguito nel 2006 in prima mondiale ai BBC Proms) e Lutoslawski. È stato inoltre protagonista di alcuni programmi televisivi, tra i quali il South Bank Show in Inghilterra. Leif Ove Andsnes è stato nominato Capitano dell’Ordine Reale Norvegese di St. Olav, il più alto riconoscimento dello Stato norvegese. Nel 2007 ha ricevuto il Premio “Peer Gynt”, riconosciuto dai membri del Parlamento alle più alte personalità norvegesi della politica, dello sport e della cultura. Ha inoltre meritato il “Royal Philharmonic Society’s Instrumentalist Award”. È docente all’Accademia Norvegese di Musica di Oslo. È stato ospite della nostra Società nel 1999 e 2008. Prossimo concerto: Martedì 9 marzo 2010, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Quartetto di Cremona Torna a suonare per la nostra Società la formazione più promettente tra i quartetti italiani. Il programma del concerto culmina nell’esecuzione dello sconvolgente Quartetto in sol maggiore D 887 di Schubert, una delle testimonianze più impressionanti della capacità del musicista di scandagliare le “cime abissali” dell’animo umano. Nella prima parte i giovani musicisti propongono invece un’interessante pagina della produzione giovanile di Anton Webern e un capolavoro enigmatico come il Quartetto Dissonanzen KV 465 di Mozart. Società del Quartetto di Milano - via Durini 24 - 20122 Milano - tel. 02.795.393 www.quartettomilano.it - e-mail: [email protected]