Tesi di laurea del Dott. Amedeo Tumicelli

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Tesi di laurea del Dott. Amedeo Tumicelli
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO
FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
L’IMMAGINE DEL BENE CULTURALE:
LIMITI E CIRCOLAZIONE
Relatore
Dott. Antonio Cassatella
Laureando
Amedeo Tumicelli
Bene Culturale – Immagine – Riproduzione – Accessibilità - Prassi
Anno Accademico 2012/2013
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4
ABSTRACT
L’immagine del bene culturale: limiti e circolazione
Classificare un bene come “culturale” significa riconoscerne l’importanza storica ed artistica
che esso può ancora esercitare tramite la capacità di propagare alti contenuti valoriali presso i consociati: l’aspetto più immediato con cui si può giungere alla conoscenza del bene culturale è prendere visione della sua immagine. Per garantire la possibilità di accesso al bene culturale, esso deve essere configurato secondo una particolare disciplina che ne permetta una quanto più estesa valorizzazione a beneficio di chi ne fruisce. Nell’ordinamento italiano, tale disciplina è rappresentata dal Codice dei beni culturali, il quale determina anche le modalità di riproduzione del bene.
Il Codice dei beni culturali contiene delle norme che subordinano ogni riproduzione del bene
culturale ad un consenso amministrativo e, se la finalità non rientra tra quelle previste per le libere
utilizzazioni, ad un pagamento. Definendo e limitando in questa maniera le possibilità di riproduzione, si rischia di porre degli ostacoli alla diffusione dell’immagine del bene culturale, rendendo
più difficile la sua missione di propagazione di contenuti. Le motivazioni che possono essere addotte vanno dalla volontà amministrativa di controllare l’impiego dell’immagine del bene al fine di assicurarne un elevato livello qualitativo, a più concrete esigenze di stampo economico. Nell’uno e
nell’altro caso, è necessario domandarsi quale sia la portata e quali siano le ragioni nella mancanza
di una circolazione assolutamente libera dell’immagine del bene culturale.
Oltre alla comprensione dell’evoluzione normativa e dei contorni delle singole sfaccettature
della materia, sarà opportuno visualizzare come la prassi recepisce le previsioni sulla riproduzione
dei beni culturali, confrontando la situazione italiana con quella dell’ordinamento francese e dell’ordinamento dei Paesi anglosassoni di common law.
5
6
INDICE – SOMMARIO
INTRODUZIONE…………………………………………………………….……9
CAPITOLO I – IL BENE CULTURALE E LA SUA RIPRODUCIBILITÀ
1.
2.
3.
Sezione I – Il bene culturale
Nozione di bene culturale……….…….……..…………..………….13
L’accessibilità e la fruibilità….……….……..…………..………….16
La moltiplicazione dell’accesso...…….……..…………..………….20
1.
2.
3.
Sezione II – La riproduzione del bene culturale
Nozione di riproduzione……………….………….………………..22
Diritto di riproduzione e diritto d’autore….……….…...…………..25
Diritto di riproduzione ed altri diritti……….……….……………...32
1.
2.
3.
Sezione III – L’immagine
L’immagine dei beni e diritto di proprietà sul bene….….………….35
L’immagine del bene e la sua alterazione…………….….…………40
Libere utilizzazioni dell’immagine…………………….….………..42
CAPITOLO II – SFRUTTAMENTO E CIRCOLAZIONE
1.
2.
3.
Sezione I – La legislazione
Dalla legge Ronchey al Testo Unico……………………………….47
Dal Codice Urbani in poi…………………………………………...51
La competenza legislativa…………………………………………..53
1.
2.
3.
Sezione II – Il museo
Il museo come impresa………….………………………………….57
Il museo e i diritti d’autore e di proprietà…………………………..62
Il museo ed il web…………………………………………………..67
1.
2.
3.
Sezione III – La libertà di panorama
Nozione di libertà di panorama…..…………………………………72
Il tramonto del panorama freedom?...................................................75
Un caso italiano: Wikipedia………………………………………...78
CAPITOLO III – ESAME DELLE PRASSI
1.
2.
3.
Italia………………………………………………..……….………83
Francia……………………………………………..………………..93
Common Law……………………………………..……………….101
CONCLUSIONI………………………………………….………………………109
7
BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………….117
8
Introduzione
Tra i tanti modi con cui si potrebbe introdurre l’argomento che qui si va a trattare, “L’immagine del bene culturale: limiti e circolazione”, scelgo di partire da quello più profano, che più si allontana dai santi campi del Diritto.
In un film del 1961 diretto da Camillo Mastrocinque, Totòtruffa 62, è presente una delle scene più celebri del cinema italiano di tutti i tempi: quella in cui il protagonista, interpretato da Totò,
cerca di vendere ad un turista italo-americano, impersonato da Ugo D’Alessio, la Fontana di Trevi.
Per convincere il contraente della bontà dell’affare, Totò organizza uno stratagemma: avvicinandosi
ad una coppia di persone impegnate a fotografare la fontana, si fa dare 100 lire per una fantomatica
raccolta fondi per la Croce Rossa, per poi presentarle al turista come il frutto dei diritti di riproduzione spettanti al proprietario dell’opera.
La comicità della scena non esenta dal porsi un curioso interrogativo: è forse possibile che
sulla Fontana di Trevi possano gravare dei diritti di riproduzione? Sicuramente, a causa di sopraggiunti limiti temporali, non si tratta di una questione di diritto d’autore, essendo l’architetto Niccolò
Salvi passato già da diversi secoli al mondo dei più. Ma il proprietario dell’opera, che certo non è
Totò, può forse avanzare una simile pretesa per sfruttare economicamente il proprio bene?
La Fontana di Trevi è considerata un bene culturale, non solo per il suo pregio artistico, ma
per la rilevanza sociale che ha assunto assurgendo ad uno tra i molteplici simboli della città di
Roma e dell’Italia intera. Carichi di forte significato per il passato che rappresentano e per le suggestioni che offrono agli esseri umani che al presente ne vengono in contatto, i beni culturali hanno
una vocazione intrinsecamente comunitaria, come ha affermato Massimo Severo Giannini, o, se si
vuole, una dimensione di interesse pubblico tale da renderli oggetto di analisi da parte di quella particolare branca del Diritto che è il diritto amministrativo.
L’Italia è un Paese ad alto tasso di concentrazione di beni culturali. Impossibile fornire una
cifra percentuale sull’intero patrimonio culturale mondiale: quel che è certo, è che l’Italia è, al 2013,
lo stato con più siti iscritti nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO e, in tutto il globo, la
nostra penisola è considerata un sinonimo di arte, storia e cultura. In un periodo di difficoltà per lo
sviluppo del Paese, puntare sulle caratteristiche per cui si è maggiormente apprezzati e riconosciuti
risulta quasi doveroso, nonostante le croniche difficoltà strutturali italiane nel conservare e gestire al
meglio l’intero patrimonio culturale di cui si dispone. Anche non volendo citare quegli orribili luo9
ghi comuni (che solo un linguaggio politico tanto enfatico quanto volgare poteva coniare) secondo i
quali i beni culturali sarebbero il “petrolio” dell’Italia, è pur vero che le nostre opere d’arte sono conosciute in tutto il mondo: si può pensare di arrivare ad uno sfruttamento della loro immagine?
Coloro che ritenessero si tratti di un vaneggiamento, di un’ipotesi impraticabile, di null’altro
che un’idea degna al massimo di una gag da cinema, non hanno fatto i conti con la realtà. Il diritto
italiano già conosce infatti precise norme sulla riproduzione dei beni culturali. E, come il diritto italiano, in altri ordinamenti è previsto un controllo sulla diffusione dell’immagine di beni culturali anche se già entrati in pubblico dominio. Le perplessità che possono sorgere sono molteplici: innanzitutto, se sia possibile avanzare dei diritti sull’immagine di un bene; in secondo luogo, quale sia la
base giuridica per poter affermare una simile pretesa; infine, quale sia la reale portata di norme restrittive al contatto con una realtà in cui l’informazione e lo scambio di dati si muovono sempre più
velocemente su scala planetaria. Ma, soprattutto, occorre domandarsi se vi sia un contrasto tra la
previsione di una disciplina sulla riproduzione dei beni culturali e la natura stessa di tali beni, ai
quali ciascuno ha da poter accedere per poter trarre il beneficio che da essi si pretende promanare in
termini di arricchimento di stimoli intellettuali e sociali. Il conflitto che si sprigiona tra il libero accesso alla cultura e il vincolo dell’assolvimenti di determinati oneri per la diffusione dell’immagine
del bene culturale assume una rilevanza che si riverbera nella lettura dell’articolo 9 della Costituzione: si può sacrificare lo sviluppo della cultura in vista della tutela del patrimonio storico e artistico
della Nazione? Ma il controllo sulla riproduzione dei beni culturali è determinato da un’esigenza di
tutela e valorizzazione degli stessi o da meri fini economici?
Posto sul tavolo il peso di simili questioni, ci si aspetterebbe che il Diritto, uscendo dalla torre d’avorio di pretensiose elucubrazioni, incontri casi in cui si sia avuta la deflagrazione di questi
problemi nella realtà. In verità, invece, il fenomeno si presenta latente: poche sono le controversie
rintracciabili a livello giurisprudenziale, eppure è sufficiente un’approssimativa navigazione in Internet per accorgersi che il dubbio sussiste, che la situazione non è affatto chiara.
Il compito del giurista non si limita ad un atteggiamento passivo di attesa di quel che potrà
avvenire nelle aule di un tribunale; se il problema sussiste, come testimoniano le incertezze e le titubanze che anche i pratici del settore nutrono su questa particolare tematica, il giurista che ne ha colto la rilevanza ha il dovere di provare a fornire una risposta con gli strumenti che ha a disposizione
al fine di tentare di portare ordine.
Ho cercato di far trasparire nella strutturazione di questo scritto la necessità di un ordine.
L’elaborato si compone, oltre che delle conclusioni finali, di tre capitoli, ognuno di essi diviso in tre
sezioni divise a loro volta, eccetto l’ultimo capitolo, in tre paragrafi. Nel corso del primo capitolo,
dedicato al bene culturale ed alla sua riproducibilità, ci si concentrerà in termini generali sui concet10
ti che fungono da cardine in questa trattazione: quelli di bene culturale, di riproduzione e di immagine. Il secondo capitolo si occupa dello sfruttamento e della circolazione dell’immagine del bene
culturale, ripercorrendo l’evoluzione della legislazione italiana e trattando i due ambiti strutturalmente differenti del bene culturale posto in un contesto chiuso o aperto, con le loro diverse prerogative e modalità di controllo eppure accomunati da una normativa che non ne evidenzia le peculiarità. Il terzo capitolo sarà dedicato all’esame delle prassi, in particolar modo di quella italiana, francese e dei Paesi di common law: ho ritenuto necessario, dopo due capitoli di carattere analitico, visualizzare lo stato di fatto così come appare e come è, al di là di come dovrebbe essere. Ritengo che
questo sia necessario per poter operare una valutazione sincera e fondata.
Il titolo di questa tesi di laurea è: “L’immagine del bene culturale: limiti e circolazione”. I limiti e la circolazione sono determinati dall’applicazione della apposita normativa. L’elemento che
ritengo focale all’interno del titolo è, però, il riferimento all’immagine. Parlare di immagine anziché
di riproduzione parrebbe un allontanamento da uno status tecnico a favore di uno più estetico, percettivo. Forse è vero, ma l’azzardo è stato calcolato in considerazione dello specifico peso delle parole, che a volte rischia di perdersi nella trattazione ma che è necessario ponderare per dare incisività ad un titolo. Il concetto di immagine diventa di centrale importanza quale veicolo più immediato
dei valori che il bene culturale porta con sé, costituisce la prima impressione che si ha del bene e la
sua più facile modalità di richiamo e di circolazione. Quel che rileva, dal punto di vista degli utenti,
non è l’accesso ad una riproduzione, che è, di per se stessa, altra cosa rispetto al bene culturale originale; rileva l’accesso all’immagine del bene, immagine connaturata al bene e sua espressione, immagine che tramite la riproduzione può sviluppare la propria diffusione e fruibilità.
Molti argomenti lambiti da questa trattazione richiederebbero appositi spazi: cercherò di
mantenere la concentrazione sul tema principale, e mi scuso per ogni eventuale divagazione o mancata spiegazione. Mi scuso per ogni imprecisione, per ogni superficialità e per ogni errore: forse ve
ne saranno, ma ho il conforto che, nell’incertezza che regna sovrana nella materia che sarà oggetto
di trattazione, anche un passo fuori dalla retta via sarà un passo che prova ad uscire dalla nebbia che
avvolge queste tematiche.
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Capitolo I
Il bene culturale e sua riproducibilità
SOMMARIO: 1. Il bene culturale. 1.1 Nozione di bene culturale. 1.2 Accessibilità al bene culturale. 1.3 Moltiplicazione
dell’accesso. – 2. La riproduzione del bene culturale. 2.1 Nozione di riproduzione. 2.2 Diritto di riproduzione e diritto
d’autore. 2.3 Diritto di riproduzione ed altri diritti. – 3. L’immagine. 3.1 L’immagine dei beni e diritto di proprietà sul
bene. 3.2 L’immagine del bene e la sua alterazione. 3.3 Libere utilizzazioni dell’immagine.
1. Il bene culturale
1.1 Nozione di bene culturale
La nozione di bene culturale nell’ordinamento italiano è attualmente rintracciabile all’interno del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (da qui
in avanti: Codice). Sono definiti come beni culturali “le cose immobili e mobili che, ai sensi degli
articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico
e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi
valore di civiltà”1. Gli articoli 10 e 11 qui richiamati fungono da elencazioni, meramente esemplificative2, di ciò che costituisce oggetto della tutela secondo la disciplina del Codice3.
Questo tipo di definizione segue un cliché tipico delle legislazioni in questa materia. La formulazione attuale, infatti, ricalca fortemente una definizione che, pur con alcuni ondeggiamenti, si è
consolidata all’interno del nostro ordinamento nel corso dei decenni 4, ma non molto distanti sono
anche altre definizioni che si possono ritrovare esternamente ad esso5. Lungi dal potersi configurare
1
Art. 2, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).
MORBIDELLI, G., Art.10, in M. A. SANDULLI (a cura di), Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, Milano, 2012, p.
126.
3
Gli artt. 10 e 11 d.lgs. 42/04 indicano, rispettivamente, ciò che è bene culturale e ciò che è cosa oggetto di specifica
disposizione di tutela.
4
La legge 1 giugno 1939 n. 1089, Tutela delle cose d’interesse artistico e storico (c.d. legge Bottai) così principiava
all’articolo 1, comma 1: “Sono soggette alla presente legge le cose, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico”. Prima di essa, la legge 20 giugno 1909, n. 364, Norme per l’inalienabilità delle
antichità e delle belle arti (c.d. legge Rosadi) all’art. 1, comma 1, indicava come “soggette alle disposizioni della pre sente legge le cose immobili e mobili che abbiano interesse storico, archeologico, paletnologico o artistico”.
5
In ambito UNESCO, la Convenzione concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali, stipulata a Parigi il 14 novembre 1970 e in vigore in
Italia dal 1979, all’art. 1, comma 1, considera come beni culturali “i beni che, a titolo religioso o profano, sono designati
2
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come mera “identità tralatizia” 6, questa continuità ricavabile dai testi legislativi in materia testimonia la necessità di definire una determinata categoria di beni come culturali, secondo una convinzione che affonda nei secoli le proprie radici7.
La dicitura “bene culturale”8 è un’endiadi scomponibile in due diverse polarità rappresentate
dalle due parole che la compongono.
a) Bene. Secondo una definizione valida anche per l’ambito pubblicistico del nostro ordinamento9, “sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti” 10. I beni culturali, proprio in
quanto beni, anche se ne costituiscono una tipologia peculiare, non sono oggetto di un tipo di proprietà diversa da quella ordinaria 11. Affinché assumano rilevanza sotto il profilo giuridico, devono
essere riconosciuti come tali dall’ordinamento, avendo cura di distinguere beni appartenenti a soggetti pubblici o a persone giuridiche private senza fine di lucro o a soggetti privati 12. Inoltre, allo
stato attuale del diritto interno, sono beni necessariamente materiali.
b) Culturale. È evidente che, stante la neutralità del termine “bene”, spetta all’attributo “culturale” la determinazione della particolarità tipologica. Al di là di tutte le definizioni retoriche o tautologiche che è possibile elaborare, è necessario domandarsi la ratio che ha portato all’individuazione di questa categoria di beni. Bisogna, cioè, coglierne l’utilità, la quale non può ridursi ad una
mera e nostalgica esaltazione di quanto è stato prodotto di grande dall’uomo. Quel che vi è di culturale merita particolare riconoscimento perché, oltre a testimoniare i valori collettivi propri di un coda ciascuno Stato come importanti per l’archeologia, la preistoria, la storia, la letteratura, l’arte o la scienza”. Un altro
esempio si può rintracciare in Spagna, laddove la ley 25 giugno 1985, n. 16, Patrimonio Histórico Español, all’art. 1,
comma 2, prevede che “integran el Patrimonio Histórico Español los inmuebles y objetos muebles de interés artístico,
histórico, paleontológico, arqueológico, etnográfico, científico o técnico. También forman parte del mismo el
patrimonio documental y bibliográfico, los yacimientos y zonas arqueológicas, así como los sitios naturales, jardines y
parques, que tengan valor artístico, histórico o antropológico”.
6
Per identità tralatizia si intendono quei “precetti o istituti elaborati in quella [determinata] fase storica [che] vengano
conservati nel sistema attuale per inerzia o, comunque, in mero ossequio alla tradizione, senza che rispondano più ad
una effettiva esigenza o, peggio, si frappongano quale ostacolo ad interpretazioni frutto di nuove sensibilità”. Traggo la
definizione da SANTUCCI, G., Diritto romano e diritti europei. Continuità e discontinuità nelle figure giuridiche, Bologna, 2010, p. 38.
7
Il legame tra le legislazioni più recenti sul patrimonio culturale e le sue radici storiche sono ripercorse brevemente
ma autorevolmente in SETTIS, S., La tutela del patrimonio culturale e paesaggistico e l’art. 9 Cost., Napoli, 2008, pp. 21
ss. Più estesa, per quanto maggiormente improntata ad una visione storico-artistica limitata al caso emblematico della
città di Roma, l’indagine di CURZI, V., Bene culturale e pubblica utilità, Bologna, 2004; con riferimento ad altri territori
dell’Italia preunitaria, si veda CLEMENTE DI SAN LUCA, G. - SAVOIA, R., Manuale di diritto dei beni culturali, Napoli,
2008, pp. 1-9.
8
L’espressione “bene culturale” è relativamente recente per il nostro ordinamento, essendovi stata introdotta a seguito
delle elaborazioni della Commissione Franceschini (istituita nel 1964) sulla scia del diritto internazionale e, in particolare, della Convenzione de L’Aja del 14 maggio 1954 sulla Protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato; in
precedenza, la legislazione parlava genericamente di “cose”. Sulla nascita e fortuna dell’espressione “bene culturale”, si
veda MUSUMECI, S., Il concetto di bene culturale, Acireale, 1995, pp. 13 ss.
9
FALCON, G., Lineamenti di diritto pubblico, Padova, 2008, pp. 68-69.
10
Art. 810 Codice Civile.
11
CASSESE, S., I beni culturali: sviluppi recenti, in M. P. CHITI, Beni culturali e Comunità Europea, Milano, 1994, p.
344.
12
CASINI, L., Beni culturali (Dir. Amm.), in S. CASSESE (diretto da), Dizionario di Diritto Pubblico, Milano, 2006, p.
681.
14
mune patrimonio di memoria13, permette all’individuo un costante confronto con opere che alimentano il proprio desiderio di conoscenza14: le due anime della funzione del bene culturale emergono
dalle parole del legislatore del Codice, allorché viene affermato che “la tutela e la valorizzazione del
patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura”15.
L’attributo “culturale” determina una connotazione particolare che rende determinati beni
necessariamente d’interesse pubblico o di interesse per il pubblico16. Tra le due polarità dell’endiadi, è la seconda a determinare l’ambito di applicazione di questa materia rivolgendola verso il diritto
amministrativo17.
Quanto detto, è tanto più vero se si osserva anche la linea direttrice su cui si muovono le
frange più evolutive del diritto. Ci si riferisce, in particolare, ai risultati riportati dalla c.d. Commissione Rodotà, operante nel 2007 sul tema della modifica delle norme del Codice Civile in materia di
beni pubblici. Tra gli aspetti più rilevanti di questo lavoro, si ricorda l’elaborazione della nozione di
“bene comune”, indicante le “cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona”18: nella classificazione, rientrano espressamente
anche i beni culturali19. Secondo questa logica, i beni comuni - e, tra questi, i beni culturali – sono
beni, cose suscettibili di essere oggetto di diritti, proprio in quanto siano accessibili a tutti 20. Non necessariamente una simile concezione deve riscontrare sul piano de iure condito la propria validità21,
perché questo tipo di analisi riguarda, più che il contenuto del diritto o le modalità di gestione dell’interesse, la qualità dell’investitura del soggetto 22. Si tratta, in sostanza, di un ideale orientamento,
o forse anche di una consapevolezza che si va acquisendo all’interno della società, per cogliere la
motivazione dell’esistenza all’interno dell’ordinamento di determinate categorie di beni, quali i beni
13
In questo senso si parla di pubblica utilità del patrimonio culturale in SETTIS, S., Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto, Milano, 2005, p. 280.
14
Si veda, per incisività, MERRYMAN, J. H., The public interest in cultural property, in California Law Review, vol.
77, 1989, pp. 353 ss.
15
Art. 2, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).
16
CASSESE, S., I beni culturali: sviluppi recenti, in M. P. CHITI, Beni culturali e Comunità Europea, Milano, 1994, p.
341.
17
La finalità di natura pubblica del bene culturale ne determina la riconduzione al settore amministrativo anche in al tri ordinamenti, come testimonia, in ambito francese, CORNU, M., Droit des biens culturels et des archives, in
http://eduscol.education.fr , 2003, p. 4.
18
La proposta di articolato, all’articolo 3 lettera c), prosegue con le seguenti parole: “I beni comuni devono essere tutelati e salvaguardati dall’ordinamento giuridico, anche a beneficio delle generazioni future. Titolari di beni comuni
possono essere persone giuridiche pubbliche o privati. In ogni caso deve essere garantita la loro fruizione collettiva”.
Per consultare il testo della proposta, si può far riferimento all’apposita pagina all’interno del sito web del Ministero
della Giustizia, in http://www.giustizia.it.
19
Va dato merito che una prima intuizione di ideare una categoria di “beni collettivi”, né pubblici né privati, è da at tribuirsi a GIANNINI, M. S., I beni pubblici, Roma, 1963, in part. pp. 87 ss.
20
MATTEI, U., Beni comuni. Un manifesto, Roma-Bari, 2011, p. 83.
21
Sotto questo aspetto, aspre e severe sono le critiche all’applicabilità pratica del concetto di bene comune in VITALE,
E., Contro i beni comuni: una critica illuminista, Roma-Bari, 2013.
22
RODOTÀ, S., Il terribile diritto: studi sulla proprietà privata e i beni comuni, Bologna, 2013, p. 21.
15
culturali: la qualità che caratterizza il bene culturale risiede nel suo essere insieme testimonianza e
promozione di una funzione culturale, da intendersi come garanzia del godimento pubblico del valore espresso dai beni culturali 23. Un bene culturale non può non essere accessibile, a pena del proprio snaturamento.
1.2 L’accessibilità e la fruibilità
Solitamente, per accessibilità si intende la qualità di poter entrare fisicamente in un determinato luogo; per traslato, in una lettura non estranea al diritto, indica la possibilità di arrivare alla conoscenza di qualcosa24. Quando si parla di accessibilità del bene culturale, occorre capire se essa
vada garantita solo nella sua accezione più ristretta o se vada assunta nella sua portata più ampia.
Se si propendesse per la prima visione, il bene culturale verrebbe in gioco nella sua materialità. La garanzia di accessibilità di cui dovrebbe essere oggetto consisterebbe nel recarsi ove l’oggetto si trova per potervi prendere un diretto contatto sensoriale senza alcuna intermediazione.
Se si favorisse la seconda concezione, invece, ci si soffermerebbe con maggior rilievo sull’aspetto contenutistico del bene culturale, cogliendo nella conoscenza delle sue caratteristiche quel
che vi è di essenziale per configurarlo come tale.
Poiché il bene culturale nell’ordinamento italiano si configura solo in quanto materiale 25,
non si pone un problema di distinzione tra corpus mysticum (l’idea contenuta nell’opera) e corpus
mechanicum (il supporto materiale con cui l’opera è realizzata) sotto quest’ambito di interesse, a
differenza di quel che potrebbe riguardare la materia della proprietà intellettuale 26: l’ordinamento riconosce il bene culturale in quanto dotato di una materialità che porta inscindibilmente con sé il
proprio requisito culturale. Occorre però tener presente che è l’attributo “culturale”, che riempie di
23
FOÀ, S., La gestione dei beni culturali, Torino, 2001, p. 147.
Il nucleo semantico prettamente fisico del termine “accesso” si ritrova in disposizioni tipiche del diritto privato,
quale ad esempio l’art. 843 Codice Civile in materia di accesso al fondo; quando invece in ambito amministrativistico si
è arrivati a configurare un diritto all’accesso ai documenti, si intende con tale espressione “la possibilità di conoscere i
documenti in possesso della pubblica amministrazione e di ottenerne copia”, come riscontrabile in FALCON, G., Lineamenti di diritto pubblico, Padova, 2008, p. 426. Su come l’accesso all’informazione abbia assunto sempre maggiore im portanza rispetto all’accesso alla proprietà, si veda RIFKIN, J., L’era dell’accesso: la rivoluzione della new economy
(traduzione italiana da The age of access. The new culture of hypercapitalism, New York, 2000), Milano, 2000.
25
Il problema dei beni culturali immateriali è stato prepotentemente posto in ambito UNESCO, specialmente con la
Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, adottata a Parigi il 3 novembre 2003, ratificata
dall’Italia nel 2007, e che è stata richiamata da d.lgs 26 marzo 2008, n. 62, Ulteriori disposizioni integrative e correttive
del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 in relazione ai beni culturali, che ha inserito un articolo 7-bis al Codice
dei Beni Culturali, in cui però il nostro legislatore richiede ancora – con un certo paradosso - che tali espressioni culturali immateriali “siano rappresentate da testimonianze materiali”. Si rimanda a CROSETTI, A. - VAIANO, D., Beni culturali e paesaggistici, Torino, 2011, pp. 35 ss. Sulla Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, è possibile consultare OGGIANU, S., La disciplina pubblica delle attività artistiche e culturali nella prospettiva del federalismo, Torino, 2012, pp. 4 ss.
26
Per la fortuna che ha avuto la distinzione tra corpora nell’ambito del diritto industriale, cfr. SPADA, P., in P. AUTERI,
G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA , Diritto industriale – Proprietà intellettuale e concorrenza,
Torino, 2012, pp. 6 ss.
24
16
significato l’endiadi “bene culturale”, a rappresentare il senso logico che caratterizza la disciplina di
questa normativa. Si tutela, cioè, un determinato bene nella sua materialità in quanto culturale, quindi secondo un requisito legato ma non limitato alla materialità oggettuale; si noti, inoltre, che tale
contenuto culturale prescinde dall’idea che ha caratterizzato la realizzazione del bene da parte del
suo autore e finanche dal suo pregio artistico e si sostanzia invece in un concreto lascito spirituale
ed intellettuale27.
I beni culturali, secondo la visione emergente dal Codice, sono quindi “cose” 28 che abbiano
necessariamente un substrato materiale: solo saltando a piè pari il dato testuale diventerebbe possibile definirli tout court come beni immateriali29. È piuttosto da ritenere che immateriale sia non tanto il bene in sé, quanto la finalità cui il bene è destinato, ossia l’essere testimonianza e stimolo di
cultura30.
Avendo cura di tale finalità, è da ritenersi che l’accesso che deve essere garantito al bene
culturale sia da configurarsi come un accesso ai contenuti, più che alla struttura fisica. Alcuni esempi possono confermare quanto detto: oltre al caso lampante 31 dell’accesso agli archivi32, per i quali,
ove sia possibile farli rientrare nella apposita categoria, vale la disciplina dell’accesso ai documenti
amministrativi33, è possibile ricordare anche il caso delle biblioteche34, laddove l’accesso ai contenuti si possa manifestare in modo anche indipendente rispetto all’accesso alla struttura fisica, qualo27
Esemplarmente: “l’ordinamento giuridico prende in considerazione ed assoggetta al regime vincolistico di tutela
[determinati beni] non in quanto espressione, di per sé, di un interesse storico-artistico particolarmente importante, ma
per il legame, c.d. storico-relazionale, che li associa ad eventi della storia politica, militare e della cultura in genere”, in
CROSETTI, A. - VAIANO, D., Beni culturali e paesaggistici, Torino, 2011, p. 33. Conferme vengono anche dalla giurisprudenza, come, ad esempio, ritrovabile nella massima redazionale di Cons. Stato, sez. VI, 24 marzo 2003, n. 1496, secondo cui possono rientrare nella categoria dei beni culturali quei beni che, “pur non avendo in sé valore storico-artistico, siano ciò nondimeno di interesse particolarmente importante quale testimonianza storica”.
28
Con formula particolarmente incisiva, si parla di “coseità” del bene culturale per sottolinearne l’accezione giuridica
reale in CAMMELLI, M., Il Codice dei beni culturali e del paesaggio: dall’analisi all’applicazione, in http://www.aedon.mulino.it, 2004.
29
La tesi, forse più auspicata che sostenuta, dell’eliminazione del riferimento alla necessaria materialità dei beni culturali ha trovato molteplici adesioni nel corso del tempo, come in OGGIANU, S., Disciplina pubblica delle attività artistiche e culturali, Torino, 2004.
30
Secondo le parole, ancora attuali, del Consiglio di Stato (adunanza generale 11 marzo 1999) date nel parere, in ri spetto a quanto disposto dall’art. 1, comma 5, l. 8 ottobre 1997, n. 352, Disposizioni sui beni culturali, su quello che
sarà il d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali,
“il bene nella sua materialità deve costituire l’elemento centrale della fattispecie regolata dalla norma; ed il suo valore
culturale o ambientale deve improntare la ratio del contenuto dispositivo”. Per come il legislatore abbia mantenuto allora, nonostante dibattiti e critiche, l’impostazione qui ricordata e su cui si basa quella attualmente vigente -, si veda
PITRUZZELLA, G., La nozione di bene culturale, in http://www.aedon.mulino.it, 2000.
31
Come ricordato in CABIDDU, M. A. - GRASSO, N., Diritto dei beni culturali e del paesaggio, Torino, 2007, p. 270.
32
Il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani) ricorda che gli archivi sono beni culturali sia se pubblici, ai sensi dell’art. 10, comma 2, lett. b); sia se privati nei casi in cui rivestano una
particolare importanza storica, ai sensi dell’art. 10, comma 3, lett. b).
33
Ossia quanto previsto dagli artt. 22 ss., l. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.
34
Il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani) configura le raccolte
librarie delle biblioteche come beni culturali all’art. 10, comma 2, lett. c); mantenendo il parallelismo, il comma 3 del
medesimo articolo alla lett. c) indica come beni culturali le raccolte librarie private di eccezionale interesse culturale. È
facile notare come, analizzate le lettere b) e c), rispettivamente dedicate ad archivi e raccolte librarie, non si può ritenere
estranee a questa visione le altre tipologie di beni culturali.
17
ra l’utente sfrutti il servizio dato dalla biblioteca digitale 35. Numerosi progetti si sono sviluppati su
questo versante anche per quel che concerne i musei, non con l’obiettivo di sostituire alla visita fisica la visita virtuale, bensì proprio con l’intenzione di incentivare la diffusione della conoscenza e
del patrimonio culturale36. Del resto, non sempre la struttura fisica del bene culturale è accessibile:
si pensi all’annoso problema dei reperti racchiusi nei magazzini, spesso unicamente per mancanza
di spazi da esposizione o di personale. In casi come questi, un accesso al contenuto del bene avrebbe comunque da essere garantito, tanto più in un’epoca che dispone dei mezzi tecnologici per raggiungere tale scopo37.
Parallelamente all’idea di accessibilità, si sviluppa quella di fruibilità. Essa va garantita a
tutti i consociati. Se il pubblico interessato al bene culturale sia soltanto la comunità nazionale o sia,
in forma lata, l’intera umanità, è prospettiva che è stata oggetto di molteplici considerazioni 38: mentre pare corretto domandarsi a chi spettino la tutela e la conservazione di un bene culturale, nell’ottica dell’accesso il problema non sembra porsi, non discriminandosi concettualmente l’utenza in base
alla provenienza39; idem per quanto riguarda la fruizione del bene40.
Come il concetto di accesso si leghi a quello di fruizione emerge dalla collocazione che nel
Codice assumono le rispettive disposizioni. La Parte Seconda del Codice, dedicata ai beni culturali,
apre il proprio Titolo II (Fruizione e valorizzazione) con un Capo I sulla Fruizione dei beni culturali che, alla Sezione I, si inaugura con l’articolo 101, rubricato Istituti e luoghi della cultura, cui seguono tre articoli dalle significative rubriche: Fruizione degli istituti e dei luoghi della cultura di
appartenenza pubblica (art. 102); Accesso agli istituti ed ai luoghi della cultura (art. 103); Fruizione di beni culturali di proprietà privata (art. 104). Questi tre articoli consecutivi rappresentano, all’interno del Codice, gli unici in cui le rubriche riportano i termini “fruizione” ed “accesso”. Inca35
Per biblioteca digitale si intende “una biblioteca ‘immateriale’ in cui vengono conservati e resi disponibili esclusivamente documenti digitali (originali o convertiti da originali cartacei), gestiti e catalogati elettronicamente. Ogni operazione può essere effettuata via rete da casa, dallo studio, dall’aula”. La definizione è riscontrabile in METITIERI, F. RIDI, R., Biblioteche in rete: istruzioni per l’uso, Roma-Bari, 2003, p. 51.
36
Ricalco le parole con cui viene presentato il progetto DADDI (Digital Archive through Direct Digital Imaging) in
http://www.uniurb.it: questo progetto, che mira a creare un database visivo della Galleria degli Uffizi di Firenze, è solo
uno tra i tanti attivati a livello nazionale ed europeo. Il rapporto tra museo e web verrà maggiormente approfondito di
seguito in un apposito paragrafo.
37
Pur non sviluppando appieno questa intuizione, BERTUGLIA, C. S. - BERTUGLIA, F. - MAGNAGHI, A., Il museo tra
reale e virtuale, Roma, 1999, pp. 30 ss.
38
MERRYMAN, J. H., Two ways of thinking about cultural property, in The American Journal of International Law,
vol. 80, n. 4, 1986, pp. 831 ss.
39
Per meglio dire, se si ponesse il problema di quali soggetti godono del diritto d’accesso, esso avrebbe rilevanza pu ramente sul piano fisico e non concettuale come conoscenza del bene culturale. Il problema è stato oggetto di una sentenza della Corte di Giustizia (sentenza Commissione v. Italia del 16 gennaio 2003, causa C-388/01, in Raccolta della
giurisprudenza della Corte di Giustizia, p. I-00721) che ha condannato l’uso di tariffe discriminatorie per cittadinanza
all’accesso a complessi museali italiani.
40
Risulta maggiormente sociologica che giuridica l’osservazione che accesso e fruizione siano rivolti soprattutto al
pubblico nazionale, il quale in tal modo rinsalda la propria identità e senso di appartenenza nel patrimonio culturale. Si
veda CIMADORI, E., Rapporto fra bene culturale e i cittadini: i risultati della ricerca qualitativa, in AA. VV., Il bene
culturale è un valore per tutti?, Napoli, 2005, p.51
18
stonato in questo modo tra le normative sulla fruizione dei beni, pubblici e privati, l’accesso funge
da momento cardine nell’ambito della fruizione. Difatti, senza la possibilità di accedere al bene, è
impossibile trarne una fruizione: tale accesso va dunque interpretato in chiave contenutistica, dovendo da esso nascere la possibilità di una fruizione 41. Se ci si limitasse ad un mero accesso fisico,
svincolato dalla capacità di generare informazione, non si tutelerebbe appieno l’utente nella sua esigenza di fruizione del bene culturale.
Se nel concetto di accesso non ci sono difficoltà ad indirizzarsi sulla finalità contenutistica
dello stesso, il dettato normativo pone maggiori difficoltà in quello di fruizione. L’articolo 104 del
Codice, in materia di fruizione dei beni culturali che siano in proprietà di privati, valuta come proprio unico campo di interesse quello legato alla visita da parte del pubblico. Viene da chiedersi, in
mancanza di una definizione espressa del concetto di fruizione, se questa scelta vada a delimitare
l’ambito in cui essa agisca o se sia semplicemente un indice chiarificatore di una situazione non
escludente altre tipologie di fruizione. Intendendosi per fruizione, in via generale, la capacità di poter utilizzare un bene/servizio o di poterne godere, si potrebbe ritenere che l’ambito della visita circoscriva, nell’intenzione dell’articolo 104, il tipo di fruizione più invasivo e pregiudizievole (quello
legato all’accesso fisico) per il privato che sia proprietario di un bene culturale: di conseguenza, un
tipo di fruizione meno pregnante sarebbe concepibile ed andrebbe valutato secondo principi generali. Significativamente, non figura invece la parola “visita” e si parla di “fruizione” tout court nell’articolo 102 relativo alla fruizione dei beni culturali di proprietà pubblica.
Si tenga presente che da tempo la dottrina giuridica 42, più che preoccuparsi di definire il contenuto della fruizione in se43, ha elaborato una contrapposizione tra i concetti di fruizione ed uso: il
primo configura una forma di uso collettivo, operata da un pubblico indistinto di utenti; il secondo
indica l’uso individuale proprio di un determinato soggetto che tragga dal bene culturale una forma
particolare di utilità, ulteriore rispetto all’accrescimento spirituale/intellettuale. Sotto quest’ottica
andrebbero lette le norme strutturalmente successive agli articoli supra presentati, destinati ad una
fruizione collettiva; gli articoli che vanno dal 106 al 110, infatti, essendo racchiusi all’interno di una
41
Quanto detto comporta di conseguenza una concezione dinamica dell’accesso, spronando ad una continua evoluzione nella ricerca di rendere un contenuto in forme sempre più suscettibili ad essere colte dal pubblico, tanto da associare
il termine “accessibilità” a quello di “usabilità”: si veda PAOLETTI, G., L’accessibilità delle informazioni multimediali
nei e sui musei, in I. GAROFOLO – C. CONTI, Accessibilità e valorizzazione dei beni culturali: temi per la progettazione
di luoghi e spazi per tutti, Milano, 2012, pp. 115 ss.
42
Come riportato da VENTIMIGLIA, C., Art. 106, in M. A. SANDULLI (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2012, pp. 819 ss.
43
Tra le diverse tesi, si segnala che la fruizione è stata qualificata come attività di gestione del servizio pubblico culturale in senso stretto (in contrapposizione alla valorizzazione, intesa quale attività di regolazione e gestione di beni e
reti culturali) in DUGATO, M., Fruizione e valorizzazione dei beni culturali come servizio pubblico e servizio privato di
utilità pubblica, in http://www.aedon.mulino.it, 2007. Similmente, CLEMENTE DI SAN LUCA, G. - SAVOIA, R., Manuale di
diritto dei beni culturali, Napoli, 2008, p. 289. Addirittura depreca una nozione specifica di fruizione (“impropria sotto
il profilo teorico”) e lamenta la scissione dei concetti di fruizione e valorizzazione CASINI, L., Valorizzazione e fruizione
dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 5/2004, pp. 479 ss.
19
Sezione II dedicata all’Uso dei beni culturali, rappresenterebbero le modalità di uso individuale del
bene culturale. Caratteristica precipua dell’uso sarebbe la sua soggezione ad una preventiva attività
di delibazione e controllo su come il bene verrà impiegato, affidata all’amministrazione concedente44: riservando particolari forme d’uso ad un numero ristretto di utenti, si rischia di compromettere
la pubblica fruizione del bene culturale 45. D’altro canto, è pure possibile che lo sviluppo di certe forme d’uso possa, come effetto riflesso, portare ad un ampliamento della fruibilità del bene, rendendolo più facilmente accessibile o più qualitativamente godibile da parte del pubblico. In questi casi,
pur continuandosi a mantenere particolari oneri per l’utente in ragione del vantaggio individuale derivante dall’uso del bene culturale, occorre, allo stesso tempo, garantire e favorire la maggiore fruizione che si sviluppa parallelamente all’uso. Nulla vieta di ritenere questa eventualità come una di
quelle forme di sussidiarietà orizzontale favorite e sostenute dalla Repubblica nella valorizzazione
del patrimonio culturale46.
Il legislatore del Codice, tra le tipologie di uso, configura anche la riproduzione.
1.3 La moltiplicazione dell’accesso
Prima di focalizzare la questione della riproduzione, occorre tirare le somme di queste prime
considerazioni.
L’ordinamento italiano conosce un’apposita disciplina per i beni culturali. L’accesso costituisce il modus essendi del bene culturale, non tanto sul piano fisico quanto su quello contenutistico.
La fruizione che l’utente ha del bene culturale si misura in termini di accessibilità al bene.
Alimentare l’accesso ad un bene culturale permette la maggior espressività della sua natura.
Questo obiettivo si configura nel principio di valorizzazione, la cui funzione è diretta “a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e
fruizione pubblica del patrimonio stesso”47. La valorizzazione dei beni culturali non consiste, cioè,
in un accrescimento del loro valore, ma nella loro destinazione alla fruizione, attuando misure per
consentire, agevolare ed accrescere le possibilità d’accesso48. Tra le attività consone al perseguimento della valorizzazione del bene culturale, si ha la “organizzazione stabile di risorse, strutture o
reti”49. Da questi presupposti, si può essere portati a ritenere che le attività dirette ad una diffusione
capillare della conoscenza del bene culturale, oltre ad essere meritevoli di plauso sociale, siano in44
VENTIMIGLIA, C., Art. 106, in M. A. SANDULLI (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2012,
p. 821.
45
BROCCA, M., La disciplina d’uso dei beni culturali, in http://www.aedon.mulino.it, 2006.
46
Art. 6, comma 3, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).
47
Art. 6, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).
48
CASINI, L., Beni culturali (Dir. Amm.), in S. CASSESE (diretto da), Dizionario di Diritto Pubblico, Milano, 2006, pp.
687-688.
49
Art.111, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).
20
coraggiate dal legislatore stesso. In particolare, tramite stabili organizzazioni (che potrebbero essere, per esempio, anche in forma digitale), diventerebbe auspicabile una diffusione che metta a disposizione di una vasta platea il contenuto del bene culturale così da ampliarne l’accessibilità, anche
in considerazione del fatto che il contenuto culturale di un bene è di per sé inesauribile e non rivale
nel consumo50; viceversa, porre a monte una forma di privativa creerebbe un monopolio che potrebbe andare a ripercuotersi sul livello di qualità delle riproduzioni offerto agli utenti51.
Va aggiunto che il concetto di valorizzazione è stato talora interpretato come gestione imprenditoriale52, ossia come possibilità di sfruttare il bene culturale al fine di generare reddito, da
reimpiegarsi in una maggior cura del bene stesso 53. Se è pur vero che lo stesso legislatore delegante
aveva posto “l’incremento delle entrate”54 tra gli obiettivi per la redazione di quello che sarebbe
stato il futuro Codice Urbani, non sembra 55 che traspaia dalle disposizioni del Codice una concezione della valorizzazione finalizzata al conseguimento di maggiori entrate 56: semplicemente, senza
che l’attività culturale sia funzionale ad una visione economicistica, si constata che maggiori entrate
assicurano un miglior livello di fruizione e tutela57.
Resta da identificare quale modalità di diffusione del contenuto possa essere consona ad
un’ottimale fruizione da parte degli utenti. Assecondando la linea predisposta dal legislatore, la rappresentazione contenutistica deve essere quanto più possibile legata alla materialità del bene. Ciò
che può unire in sé tutte le caratteristiche che si sono finora sottolineate (idoneità alla diffusione;
veicolazione del contenuto; aderenza alla materialità) è l’immagine del bene culturale.
La riproduzione dell’immagine del bene può fungere da mezzo per propagare la cultura che
promana. L’incremento dell’attività di riproduzione va, in parallelo, ad aumentare i canali di accesso, rendendo sempre più conoscibile il bene e, di conseguenza, valorizzandolo tramite la garanzia di
50
Si rammenti che la disciplina dei beni culturali è inserita nel settore pubblicistico del nostro ordinamento: l’accesso
al bene culturale (non il bene culturale in sé) è da configurarsi come un bene pubblico, pertanto soggetto alle caratteristiche – come la non rivalità nel consumo - che l’analisi economica attribuisce a questo genere di beni. Si veda
KRUGMAN, P. - WELLS, R., Microeconomia (traduzione italiana da Microeconomics, New York-Basingstoke, 2005), Bologna, 2006, pp. 444 ss.
51
RESTA, G., L’immagine dei beni, in G. RESTA (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2011, p.
577.
52
CASSESE, S., Beni culturali: dalla tutela alla valorizzazione, in Giorn. dir. amm., 7/1998, pp. 673 ss.
53
CROSETTI, A. - VAIANO, D., Beni culturali e paesaggistici, Torino, 2011, pp. 123 ss.
54
Art. 10, comma 2, lettera d), l. 6 luglio 2002, n. 137, Delega per la riforma dell’organizzazione del Governo e della
Presidenza del Consiglio dei ministri, nonché di enti pubblici.
55
Ripercorre esaurientemente quest’aspetto, supportato dall’analisi della prassi legislativa e giurisprudenziale,
CASINI, L., Valorizzazione e fruizione dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 5/2004, pp. 469 ss. La valorizzazione è da
intendersi non tanto come forma di profitto finanziario quanto piuttosto come economicità di gestione volta al pareggio
di bilancio secondo CARPENTIERI, R., Artt. 115-116-117, in R. TAMIOZZO (a cura di), Il codice dei beni culturali e del
paesaggio, Milano, 2005, p. 510.
56
Probabilmente un approccio alla cultura secondo l’ottica del profitto è rispecchiato, più che da un singolo costrutto
normativo, da una serie di politiche perpetuate nel tempo, come denunciato da SETTIS, S., Battaglie senza eroi. I beni
culturali tra istituzioni e profitto, Milano, 2005, passim.
57
CASSESE, S., Beni culturali: dalla tutela alla valorizzazione, in Giorn. dir. amm., 7/1998, p. 674.
21
una vasta fruibilità58. Il Codice Urbani, invece, va a limitare la facoltà di riproduzione del bene culturale59. Sono, in particolar modo, gli articoli 107 e seguenti del Codice quelli che maggiormente
frenano la libera riproducibilità: tali disposizioni sono configurate all’interno della sezione dedicata
all’uso, presupponendo che la riproduzione del bene culturale sia un’attività a beneficio di un singolo operatore più che della collettività.
Una parziale giustificazione a questa limitazione potrebbe essere ricercata nell’esigenza di
controllare una duplicazione confondibile del bene culturale: l’articolo 178 del Codice configura
come passibile di reato “chiunque, al fine di trarne profitto, contraffà, altera o riproduce un’opera di
pittura, scultura o grafica, ovvero un oggetto di antichità o di interesse storico od archeologico” 60. In
questo contesto, la riproduzione integra una fattispecie di falso d’arte, al pari della contraffazione e
dell’alterazione61. È tuttavia evidente come questo rappresenti un caso delittuoso e sicuramente non
esaustivo delle modalità di attuazione della riproduzione. Eppure, dal dato testuale del Codice, pare
che la riproduzione dell’immagine di un bene culturale sia soggetta a limitazioni anche nella sua
normalità, fuori dalla fattispecie penalistica: è quel che emerge dagli articoli 107 e 108, che rispettivamente rimettono la riproduzione ad una mera possibilità data dall’autorità pubblica e ad una previa corresponsione qualora si fuoriesca da un uso personale o per motivi di studio o attuato da soggetti pubblici per finalità di valorizzazione.
È pertanto da comprendere che portata abbiano questi limiti che il legislatore ha posto alla
riproducibilità del bene culturale, come vadano situati all’interno del nostro ordinamento e come
nella prassi si attuino o possano attuarsi.
2. La riproduzione del bene culturale
2.1 Nozione di riproduzione
58
Tale considerazione non è estranea neppure alla giurisprudenza, visto che si può leggere che certe “tecniche di riproduzione, che incrementano la diffusione della conoscenza dell'opera d'arte, stimolano l'interesse a vedere il capola voro riprodotto, ma non intaccano, anzi piuttosto esaltano, l'unicum dell'opera d'arte”, in TAR Reggio Calabria, Calabria, 10 ottobre 2003, n. 1285, in Foro Amm. TAR, 2003, p. 3355.
59
L’elemento di contraddizione tra la “vocazione comunitaria” dei beni culturali ed il tentativo di subordinarne la di vulgazione ad un’autorizzazione ed al pagamento di un corrispettivo è stato evidenziato da molti autori, come RESTA,
G., L’appropriazione dell’immateriale: quali limiti?, disponibile in http://www.estig.ipbeja.pt, 2003, p. 14.
60
Art.178, comma 1, lettera a), d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice
Urbani).
61
Le tre fattispecie sono distinguibili in questo modo: “la contraffazione, ossia la creazione dell’opera d’arte da parte
di chi non sia autorizzato; l’alterazione, nel senso di modifica di un’opera originale in modo che vengano in essa inseri te caratteristiche che non aveva; la riproduzione, ovvero la creazione di una copia o imitazione pedissequa dell’opera
autentica, in modo da creare confusione con l’esemplare originale ed idonea in astratto a trarre in inganno il pubblico”.
Ricavo le definizioni da RONCO, M. - ARDIZZONE, S., Codice penale ipertestuale. Leggi complementari, Torino, 2007, p.
483.
22
Il concetto di riproduzione potrebbe apparire di non necessaria definizione, legandosi all’uso
che comunemente si fa di questo sostantivo. Il legislatore, a scanso di equivoci, ha comunque provveduto ad indicarne il contenuto nella “moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o
permanente, in tutto o in parte dell’opera, in qualunque modo o forma” 62. Non si hanno nell’ordinamento italiano altre definizioni generali del concetto di riproduzione, tantomeno nella disciplina dei
beni culturali.
Parlare di riproduzione in senso lato coglie tutta quella serie di ipotesi in cui si va a moltiplicare l’esistenza di un oggetto, non necessariamente ripetendolo nella medesima configurazione originale, ma anche tramite formati in qualunque modo idonei a renderne trasmissibili le sue qualità
principali. Pertanto, rappresenta una riproduzione non solo la produzione di una copia pedissequa
dell’originale, ma anche immortalare l’immagine di un bene fisico63. Nell’ambito dei beni culturali,
quest’ultimo tipo di riproduzione, non invasivo, renderebbe percepibili in forma immediata le più
risaltanti caratteristiche del bene, prestandosi allo stesso tempo alla possibilità di una rapida diffusione della conoscenza (e, conseguentemente, di un accesso fruibile) del bene stesso.
La riproduzione può configurarsi come una libera facoltà esercitabile da qualunque soggetto,
ma, in taluni casi, può essere limitata dallo svilupparsi di peculiari posizioni giuridiche. Si ha un diritto di riproduzione quando, nonostante un interesse altrui a limitarne il fenomeno, è ammessa la
possibilità di procedere ad una riproduzione da esercitarsi secondo modalità che non vadano a pregiudicare diritti di privativa di altri soggetti.
Originariamente, il rilievo della riproduzione nell’ottica giuridica ha riguardato la sfera della
proprietà intellettuale (dove, non per niente, s’è stabilmente mutuata dal mondo anglosassone l’espressione copyright, diritto di copia), ma anche altri settori del Diritto possono essere interessati
agli effetti conseguenti al fenomeno della riproduzione. Un’analisi sulla riproduzione dei beni culturali deve quindi saper cogliere più ottiche differenti.
Nel Codice, con esclusione dell’articolo 178 che prevede la fattispecie delittuosa della contraffazione, la parola “riproduzione” è riscontrabile unicamente nel mezzo tra gli articoli 107 e 110,
ossia nel pieno di quella sezione dedicata all’Uso dei beni culturali.
Come si richiamava in precedenza, con il termine “uso” si suole configurare un uso individuale, diverso da quello generale, il quale rientra invece nell’ambito della fruizione. Tre sono le forme di uso individuate tradizionalmente dalla dottrina: una forma di uso eccezionale, che esclude la
62
Art. 13, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
63
Come confermato da costante giurisprudenza: si veda Cass. Civ., sez. I, 19 dicembre 1996, n. 11343, in Giur. It., I,
1, 1997, p. 1194. Dottrina minoritaria sostiene, al contrario, che per copia abbia da intendersi solamente la riproduzione
che permetta al fruitore di provare le medesime o analoghe sensazioni che avrebbe di fronte all’opera originale. Così
ALBERTINI, L., La riproduzione fotografica in cataloghi delle opere dell’arte figurativa, in Giust. Civ., 1997, pp. 1603
ss.
23
fruizione pubblica e che non è conforme alla destinazione culturale del bene; un uso particolare, che
pure esclude la fruizione pubblica ma rimane conforme alla destinazione primaria del bene; infine,
un uso speciale, individuale ma non esclusivo64. La riproduzione dell’immagine di un bene culturale
rientra generalmente in quest’ultima tipologia: fare una fotografia non preclude che altri possa liberamente accedere al bene. Non è escluso che, tuttavia, il contesto della riproduzione possa toccare le
altre forme d’uso: ad esempio, per operare delle riprese in un museo potrebbe essere necessario impedire in via momentanea l’accesso del pubblico. Può anche darsi il caso che sia l’amministrazione
a conferire tramite concessione a terzi un diritto allo sfruttamento dell’immagine duraturo nel tempo
La riproduzione è quindi una forma d’uso, operata da un singolo, presumibilmente per una
propria utilità, e pertanto va soggetta ad una misura autorizzatoria da parte dell’autorità competente,
nonché, normalmente, all’onere di un corrispettivo pecuniario, secondo la disciplina tratteggiata
dalle disposizioni della sezione sull’Uso dei beni culturali, di seguito richiamate.
L’articolo 107 è composto da due commi: nel primo si indica la possibilità da parte degli
enti pubblici di consentire la riproduzione dei beni culturali in loro consegna, fatte salve le disposizioni in materia di diritto d’autore e quelle del successivo comma secondo, in cui si dice di regola
vietata la riproduzione tramite calchi dagli originali di sculture o di opere a rilievo.
L’articolo 108 prevede il pagamento di un corrispettivo per la riproduzione, determinato dall’autorità che ha in consegna il bene in considerazione di modi e finalità della riproduzione: l’importo minimo è comunque fissato per provvedimento dall’amministrazione concedente. La riproduzione per uso personale, per motivi di studio o richiesta da soggetti pubblici per finalità di valorizzazione non dà luogo a pagamento.
L’articolo 109 stabilisce che alla riproduzione per fini di raccolta e catalogo di immagini fotografiche e di riprese consegua il deposito del doppio originale di ogni ripresa e fotografia, nonché
la restituzione del fotocolor originale dopo l’uso.
Infine, l’articolo 110 riporta che i corrispettivi per la riproduzione sono versati ai soggetti
pubblici che hanno in consegna il bene.
Di “riproduzioni” si parla inoltre anche nell’articolo 117, per specificare che tra i servizi di
assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico rientrano anche quelli per la vendita e fornitura di
riproduzioni di beni culturali.
La serie di disposizioni qui ricordate evidenzia in pochi passaggi la soggezione della disciplina sulla riproduzione dei beni culturali a regole che vanno a limitarne la portata. In particolar
modo, sono previste in via esclusiva quali possono essere le forme di riproduzione da considerarsi
64
CARPENTIERI, R., Art. 106, in R. TAMIOZZO (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2005, p.
463.
24
“libere”65, seppur non svincolate da un’autorizzazione dell’autorità competente, ritenendosi, in via
residuale, ogni altra forma soggetta perlomeno a pagamento di un corrispettivo. Il problema si presenta di non scarso rilievo soprattutto in un’epoca come quella odierna, in cui grande importanza ha
lo scambio e la condivisione di dati: si può forse ritenere che la pubblicazione su Internet della fotografia raffigurante un bene culturale vada oltre la sfera dell’uso personale, qualora tale riproduzione
divenga accessibile ad un numero più o meno limitato di utenti 66? La mancanza di una finalità lucrativa non traspare come fonte di esenzione rispetto alla disciplina generale e, al contempo, la dizione
di “uso personale” implica una forma d’uso che non possa compromettere in alcun modo i diritti di
chi è titolare della possibilità di ottenere uno sfruttamento economico dalla riproduzione del bene67.
Questa considerazione dimostra di cogliere nel segno quando si osserva che il legislatore ha provveduto68 a disciplinare appositamente la diffusione delle immagini tramite la rete Internet, consentendone la libera pubblicazione solo se soddisfacenti una serie cumulativa di condizioni: che siano a titolo gratuito, che siano a bassa risoluzione o degradate, che siano per uso didattico o scientifico, che
l’utilizzo non sia a scopo di lucro69.
Si può osservare come un confine generale alla riproduzione sia posto dalla materia del diritto d’autore70, tema su cui dunque diventa necessario soffermarsi.
2.2 Diritto di riproduzione e diritto d’autore
Il collegamento tra diritto di riproduzione dei beni culturali e diritto d’autore ha innanzitutto
da stornare alcuni dubbi che possono porsi nella relazione tra questi due ambiti giuridici.
La zona di interesse del diritto d’autore copre molteplici aspetti, sommariamente raggruppabili in diritti morali e diritti di utilizzazione economica. I primi consistono nella possibilità per l’autore di rivendicare la paternità dell’opera e di evitarne la mutilazione o altra modificazione pregiudizievole71; i secondi concernono i diritti di pubblicazione, riproduzione ed ogni altra forma di utilizzazione dell’opera72. I diritti morali hanno una durata potenzialmente illimitata, potendo anche esse65
Art. 108, comma 3, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).
Il problema che si pone nella diffusione via Internet dell’immagine dei beni culturali è oggetto di analisi già da prima dell’introduzione del Codice, come testimonia lo studio di STABILE, S., Beni culturali e proprietà intellettuale dei
musei: nuovi scenari, in Dir. ind., 3/2002, pp. 299 ss.
67
Le modalità di riproduzione privata “non devono essere in contrasto con lo sfruttamento normale delle opere o degli
altri materiali, né arrecare un ingiustificato pregiudizio agli interessi dei titolari”, a mente dell’art. 71-nonies, d.lgs. 22
aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
68
Tramite l’art 2, l. 9 gennaio 2008, n. 2, Disposizioni concernenti la Società Italiana degli Autori ed Editori.
69
Art. 70, comma 1-bis, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo
esercizio.
70
Art. 107, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).
71
Art. 20, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
72
Artt. 12 ss., d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
66
25
re fatti valere senza limiti di tempo dai discendenti diretti dell’autore, nonché dai discendenti dei
fratelli e delle sorelle73; i diritti di utilizzazione economica durano tutta la vita dell’autore e fino a
settant’anni dopo la sua morte 74: essi sono trasferibili, seppur non automaticamente con l’eventuale
alienazione dell’opera.
Il lasso di tempo in cui si sviluppa l’efficacia del diritto patrimoniale, pur esteso, potrebbe
apparire generalmente non sufficiente per caratterizzare un’opera come bene culturale, ossia come
testimonianza di una cultura, qualificazione ben diversa rispetto al valore artistico. Sennonché occorre ricordare che il Codice prevede che rientrino nella categoria dei beni culturali, per esempio, le
raccolte di musei, pinacoteche, gallerie ed altri luoghi espositivi appartenenti ad enti pubblici 75. È
tuttavia da ritenersi che una simile classificazione valorizzi più la sostanza dell’intera collezione che
la singola opera76. Stante un’apposita clausola di esclusione per le opere singolarmente considerate,
secondo la quale non rientrano tra i beni culturali opere di autore vivente o la cui esecuzione non ri salga ad oltre cinquant’anni77, si dovrebbe ritenere che diritto d’autore e diritto dei beni culturali
non corrano molti rischi di invasioni di campo.
Il problema della riproduzione di singole opere su cui ancora non si sono esauriti i diritti
d’autore si risolve a prescindere dall’eventuale interesse culturale, il quale non costituisce esimente
del rispetto dei diritti patrimoniali dell’autore78. Simile considerazione varrà anche per quei casi lasciati scoperti dalla clausola di esclusione dell’articolo 10, ossia per le opere la cui esecuzione risalga in un periodo compreso tra i cinquanta anni dall’esecuzione ed i settanta anni dalla morte dell’autore. L’autore, pertanto, in mancanza di espressa cessione dei propri diritti di utilizzazione economica, rimane titolare del diritto di riproduzione, lato sensu inteso: infatti, non solo può opporsi
alla formazione di repliche confondibili con l’originale, ma anche ad altre forme di riproduzione
quali l’utilizzazione di immagini fotografiche in un catalogo 79, specialmente dove tale riproduzione
fotografica interessi l’intera opera figurativa e non un mero particolare di essa e non si riscontri una
precisa finalità critico-didattica e la non concorrenza nell’utilizzazione economica 80. Questa soluzio-
73
Art. 23, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
74
Art. 25, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
75
Art. 10, comma 2, lett. a), d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).
76
FAMIGLIETTI, G. – CARLETTI, D., Art. 10, in R. TAMIOZZO (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio,
Milano, 2005, p. 41.
77
Art. 10, comma 5, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).
78
App. Milano, 25 febbraio 1997, in Diritto d’Autore, 3/1998, p. 346.
79
Trib. Verona, 13 ottobre 1989, in Foro Italiano, I, 1990, p. 2626.
80
App. Roma, 23 dicembre 1992, in Diritto d’Autore, 3/1994, p. 440.
26
ne è ormai saldamente accolta, avendo prevalso sulla tesi che avallava il diritto di riproduzione quale conseguenza del diritto di esposizione come accessorio al diritto di proprietà81.
L’esercizio di un diritto morale d’autore potrebbe contrastare con il diritto dei beni culturali
quando mini la protezione che lo Stato intende accordare al bene: tra i casi plausibili 82, si ha la possibilità che, sulla base del mancato esercizio del diritto morale, possano venire consentiti la mutilazione, deformazione, modificazione dell’opera ed atti pregiudizievoli all’onore e alla reputazione
dell’autore; più discusso è se anche nel nostro ordinamento possa essere considerata come diritto
morale la facoltà di riconoscere o meno un’opera come autentica 83. Non sembra rintracciabile nel
diritto italiano vigente una norma simile a quanto previsto in Francia, dove l’abuso del diritto morale da parte dei soggetti legittimati ad esercitarlo a seguito della morte dell’autore 84 può condurre all’intervento – in particolare su azione del Ministero preposto alla cultura – da parte del tribunale,
che determinerà le misure più idonee 85. Vale comunque la misura di protezione verso gli interventi
vietati sui beni culturali, i quali non possono essere distrutti, deteriorati o danneggiati 86. La prevenzione della deformazione dell’opera al fine di tutelare la reputazione dell’artista incide anche sui
casi in cui vi sia stata cessione dei diritti di riproduzione e può coinvolgere la raffigurazione su oggetti di uso comune e souvenir, nonché quelle riproduzioni che possono comportare un travisamento
dell’originale per l’alterazione dei colori o della dimensione del formato 87. Inoltre, la previsione che
l’uso del bene possa essere consentito solo per finalità compatibili con la sua destinazione culturale88 dovrebbe fungere da sufficiente garanzia che va a rafforzare il diritto morale ad evitare pregiudizi all’onore o alla reputazione dell’autore.
A scanso di complicazioni, un precedente giurisprudenziale89 ha affermato che, a fronte del
potere pubblicistico dell’amministrazione, l’autore (e, di conseguenza ed a maggior ragione, pure il
soggetto legittimato alla morte di questi) non preserverebbe un proprio diritto morale ma verserebbe
in una situazione di interesse legittimo: è da notare, tuttavia, che una simile soluzione si basa sulla
opinabile, ma frequentemente seguita in giurisprudenza 90, teoria della degradazione del diritto soggettivo in interesse legittimo a seguito del carattere di autoritatività del provvedimento amministrativo, anziché considerare diritti soggettivi ed interessi legittimi come due posizioni soggettive quali81
Sul percorso di quest’evoluzione, si segnala MOTTI, C., Opere protette e diritti dell’autore e del museo, in AIDA,
1999, pp. 94 ss.
82
DE WERRA, J., Droit de l’art et des biens culturels et droit d’auteur: quel(s) lien(s)?, in AA.VV., Propriété intellectuelle: entre l'art et l'argent, Montréal, 2006, pp. 51 ss.
83
FREZZA, G., Opera d’arte e diritto all’autenticazione, in Dir. Famiglia, 4/2011, p. 1734.
84
Ad autore vivente, rimane pertanto in capo a lui un esercizio pieno ed assoluto del proprio diritto morale.
85
Art. L 121-3, loi 1 luglio 1992, n. 597, Code de la propriété intellectuelle.
86
Art. 20, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).
87
MOTTI, C., Opere protette e diritti dell’autore e del museo, in AIDA, 1999, pp. 107 ss.
88
Art. 106, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).
89
Trib. Napoli, 14 maggio 1997, in Dir. ind., 1997, p. 989.
90
Ex multis, si segnala, tra le pronunce amministrative più recenti, Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1540, non ché la costante giurisprudenza del giudice ordinario discendente da Cass., SS.UU., 18 ottobre 1993, n. 10295.
27
tativamente, e non quantitativamente, differenti 91. Perplessità su una simile soluzione erano state
avanzate sin dai primi commenti alla sentenza 92, rilevando che il diritto morale, quale espressione
della personalità dell’autore, non può essere compresso da parte dello Stato neppure in caso di esercizio di un potere amministrativo; tuttavia, è la legge stessa a prevedere che lo Stato possa farsi garante di tale diritto personalissimo nell’interesse non solo dell’artista ma dell’intera collettività, ai
fini della difesa delle opere e della loro corretta conoscenza 93. Infatti, il Presidente del Consiglio dei
Ministri può, qualora finalità pubbliche lo esigano, esercitare l’azione per rivendicare il diritto morale dell’autore94. Sulla base di quest’ultimo rilievo, si può forse maggiormente comprendere la ragione che ha portato a ritenere competente il giudice amministrativo a fronte di un contrasto tra il
diritto morale e l’interesse pubblico: non tanto di affievolimento o degradazione di un diritto si tratta, quanto di una situazione soggettiva che già in origine si trovava condizionata da un interesse
pubblico ed in cui il subentrare di una situazione giuridica formalmente nuova a seguito del potere
dell’Amministrazione risulta “da quell’unico e medesimo interesse che dava luogo prima al diritto
soggettivo e dopo all’interesse legittimo”95.
Molto spinoso rischia di presentarsi il caso di un’altra tipologia di possibile cortocircuito con
il diritto d’autore: si tratta del caso in cui l’oggetto del diritto d’autore non sia quel che è stato rappresentato all’interno della riproduzione, ma sia la riproduzione stessa. In particolar modo, la forma
più tipica di riproduzione di un’immagine è costituita dalla fotografia.
La fotografia rappresenta materia di interesse per il diritto d’autore in una duplice ottica: il
legislatore scinde96, infatti, tra quelle che sono considerate opere fotografiche, di carattere creativo e
per le quali vale la generale disciplina sulle opere protette, e quelle che invece sono semplici fotografie, raffiguranti persone o aspetti della vita e che sono oggetto di speciali disposizioni 97, che generalmente offrono, in qualità di diritti connessi al diritto d’autore, minore tutela rispetto alle opere
fotografiche98. Inoltre, le fotografie che abbiano unicamente un fine documentativo non sono ritenu91
TRAVI, A., Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2013, pp. 75 ss.; prescinde dalla ricerca di una validità teorica alla teoria della degradazione, soffermandosi sui lati pratici di questo escamotage per garantire al giudice amministrativo competenza nelle controversie di diritto pubblico MAZZAMUTO, M., A cosa serve l’interesse legittimo?, in Dir.
Proc. Amm., 1/2012, pp. 46 ss.
92
BEDUSCHI, P. G., nota a Trib. Napoli, 14 maggio 1997, in Dir. ind., 1997, pp. 991-992.
93
SESSA, V. M., La tutela degli interessi pubblici e privati nella riproduzione delle opere d’arte, in Foro Amm.,
4/2001, pp. 1022 ss.
94
Art. 23, comma 2, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
95
Secondo le parole di una risalente ma sempre autorevole voce della dottrina quale POTOTSCHNIG, U., Atti amministrativi e “affievolimento” di diritti soggettivi, in Jus, 1953, pp. 220 ss., ora in Scritti scelti, Padova, 1999, pp. 39 ss., in
part. p. 42.
96
Art. 2, comma 1, n. 7), d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo
esercizio.
97
Art. 87, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
98
Ad esempio, se la tutela dei diritti patrimoniali sulle opere fotografiche dura per tutta la vita dell’autore e fino a set tant’anni dopo la sua morte, per le fotografie semplici la tutela non va oltre il ventesimo anno dalla produzione, come
28
te oggetto di diritto d’autore e, di conseguenza, sono sprovviste di protezione99. Ora, spettando al fotografo un proprio diritto di riproduzione, esso come va coordinato accavallandosi con il diritto di
riproduzione sul bene culturale? Salendo più a monte, occorre inoltre ancora riflettere se e come
possa essere tutelata un’opera dell’ingegno laddove possa non aver rispettato le peculiari norme sulla riproduzione dei beni culturali.
Innanzitutto, è necessario individuare in quale categoria possano rientrare le fotografie aventi ad oggetto i beni culturali. Per prima cosa, va osservato che la distinzione tra opere fotografiche e
semplici fotografie non riguarda l’oggetto ritratto, bensì la particolare capacità del fotografo nel rappresentarlo100: essa consiste non in una semplice idea originale, ma nell’elevato grado di creatività
che caratterizza la realizzazione fotografica101.
Il contenuto della riproduzione pare invece indispensabile per poter definire se la semplice
fotografia rientri nell’ambito di tutela del diritto d’autore. Ad esempio, non sono comprese all’interno di questa disciplina le fotografie di scritti, documenti ed oggetti materiali, dicitura quest’ultima
tanto ampia da risultare pressoché onnicomprensiva; come contrappeso, si possono evidenziare dei
contenuti necessariamente oggetto di applicazione della disciplina sul diritto d’autore, osservando
che in essa rientrano “le immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale […] comprese le riproduzioni di opere dell’arte figurativa e i fotogrammi delle pellicole cinematografiche”102. Sarebbe affrettato ritenere sufficiente la menzione delle “opere dell’arte figurativa”
per far rientrare tout court i beni culturali in questa categorizzazione. A rigore di definizione, se si
intendesse l’arte figurativa nella accezione più propria del suo campo di applicazione (ossia qualsiasi arte basata su figure, restando indifferente la loro immediata riconoscibilità rispetto al mondo
concreto), ne verrebbero escluse non solo le forme di ricerca artistica più estrema sviluppatasi nell’età contemporanea, ma pure manifestazioni artistiche ben più risalenti quali l’arte neolitica 103.
Inoltre, non bisogna dimenticare che la nozione di “bene culturale” non coincide affatto con quella
di “opera d’arte”104, essendo slegata la portata culturale di un bene dal suo pregio artistico. In aggiunta a questo, si rammenta che tra i beni culturali possono figurare anche gli archivi, i quali, se
ben difficilmente possono essere considerati opere d’arte, senza sforzo possono invece essere ricolindica l’art. 92, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
99
Art. 87, comma 2, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
100
SAVINI, A., L’immagine e la fotografia nella disciplina giuridica, Padova, 1989, p.126.
101
BOCCA, R., La tutela della fotografia tra diritto d’autore, diritti connessi e nuove tecnologie, in AIDA, 2002, pp.
376 ss.
102
Art. 87, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo
esercizio.
103
Faccio riferimento alla definizione della speculare voce Arte Non Figurativa nell’edizione online dell’Enciclopedia Treccani, ossia http://www.treccani.it.
104
Sulla mancanza di una definizione univoca della nozione “opera d’arte” in diritto, si veda GATT, L., Le utilizzazioni libere: di opere d’arte, in AIDA, 2002, pp. 194 ss.
29
legati alla tipologia di documenti e scritti, per la cui riproduzione la protezione del diritto d’autore è
esclusa. Si accennava in precedenza al fatto che la protezione del diritto d’autore non vige neppure
per altri casi in cui si esclude vi sia un benché minimo apporto di creatività 105, e ciò vale anche per
le riproduzioni di oggetti materiali: tale riferimento va interpretato cum grano salis, non interessando ogni fotografia raffigurante un oggetto materiale, bensì verificandone il fine solamente documentale, senza ulteriori funzioni106. Di conseguenza, ulteriori funzioni, quali quelle editoriali o promozionali, comportanti la riproduzione di oggetti materiali farebbero rientrare comunque la fotografia all’interno della disciplina del diritto d’autore107.
Da quanto riportato, è ammissibile la possibilità che il diritto d’autore sulle fotografie possa
intrecciarsi con il diritto sui beni culturali: in simili situazioni, andranno applicate congiuntamente
le disposizioni che regolano le due materie 108. Tutto ciò comporta, ad esempio, che la riproduzione
di beni culturali in consegna al Ministero debba contenere la descrizione delle caratteristiche degli
stessi, la loro ubicazione, tecnica e materiale di riproduzione, la menzione della concessione da parte del Ministero e l’avvertenza che ogni ulteriore riproduzione è vietata 109. In realtà, se ci si limitasse a rimanere all’interno della legislazione sui beni culturali, tale disposizione rappresenterebbe una
lex imperfecta110, non contenendo né previsioni di nullità né sanzioni in caso di trasgressione, così
come, in via più generale, non è possibile rintracciare specifiche conseguenze alla mancata richiesta
di autorizzazione alla riproduzione dei beni culturali. Diversamente, è sanzionato penalmente colui
che li destina ad un uso illecito, incompatibile con il loro contenuto 111: il relativo atto giuridico che
autorizza un simile uso è da considerarsi nullo 112. Per poter godere di una forma di tutela, simili
eventi possono invece ricondursi alla casistica civilistica dei fatti illeciti, similmente a quanto avviene per il mancato consenso da parte del soggetto ritratto, sebbene questa fattispecie sia oggetto di
apposite disposizioni113. Di conseguenza, sarebbero configurabili 114 sia rimedi cautelari (quali il se105
Il requisito della creatività fotografica per il diritto d’autore è analizzato anche da un punto di vista comparato in
MUSSO, A., Opere fotografiche e fotografie documentarie nella disciplina dei diritti di autore o connessi: un paralleli smo sistematico con la tutela dei beni culturali, in http://www.aedon.mulino.it, 2010.
106
Cass. Civ., sez. I, 21 giugno 2000, n. 8425, in Massimario della Giurisprudenza Italiana, 2000, p. 1361.
107
BOCCA, R., La tutela della fotografia tra diritto d’autore, diritti connessi e nuove tecnologie, in AIDA, 2002, p.
386.
108
FINOCCHIARO, G., La valorizzazione delle opere d’arte on-line e in particolare la diffusione on-line di fotografie di
opere d’arte. Profili giuridici, in http://www.aedon.mulino.it, 2009.
109
Art. 4, d.m. 8 aprile 1994, Tariffario per la determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per le concessioni
relative all’uso strumentale e precario dei beni in consegna al Ministero.
110
Definizione dal sapore antico, essendo tratta dall’Epitome Ulpiani, 1, 1. Nell’ottica del più rigoroso positivismo
kelseniano, una norma che non contiene una sanzione non potrebbe neppure essere considerata come norma giuridica: si
veda VILLA, V., Il positivismo giuridico: metodi, teorie e giudizi di valore, Torino, 2004, p. 53.
111
Art. 170, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).
112
Art. 164, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).
113
Art. 10, Codice Civile; nonché art. 96, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti
connessi al suo esercizio.
114
La breve tipologia di rimedi è analoga a quella descritta in tutela dell’abuso dell’immagine altrui da SAVINI, A.,
L’immagine e la fotografia nella disciplina giuridica, Padova, 1989, pp. 91 ss.
30
questro giudiziario o la richiesta di un provvedimento d’urgenza), sia rimedi ordinari (quali il risarcimento del danno o la reintegrazione in forma specifica tramite l’esecuzione forzata degli obblighi
di non fare, con cui è possibile ottenere l’eliminazione dei mezzi che hanno diffuso l’immagine). Si
possono sollevare dubbi su questa soluzione, dato che è una evidente forzatura testuale adattare ad
un bene culturale disposizioni specificamente riferite ad un ritratto di persona. Osare pensare a questo sbocco era inimmaginabile per la giurisprudenza, che ha per lungo tempo considerato l’articolo
10 del Codice Civile come riferibile unicamente all’immagine di persone fisiche: tuttavia, la Corte
di Cassazione115 pare avere ultimamente mutato indirizzo, riconoscendo che l’immagine delle persone giuridiche sia riscontrabile negli oggetti che ne rappresentano qualificazione ed esternalizzazione.
Nel caso in cui sia stata l’Amministrazione a commissionare la fotografia di un bene culturale in propria consegna, le spetteranno i diritti patrimoniali sulle opere create e pubblicate sotto il suo
nome e a propri conto e spese116. La trasmissione dei diritti dell’autore non avviene però in via diretta (salvo diverso atto scritto), ma all’accettazione da parte del committente117.
Se la fotografia rappresenta il caso emblematico di come l’immagine possa essere oggetto
del diritto d’autore, sono pure immaginabili anche altri strumenti tramite cui può avvenire la riproduzione. In particolare, le raccolte di fotografie possono costituire banche dati ed opere multimediali. Si ricordi invece che la disciplina sui filmati è oggetto di espresso rimando a quella sulle fotografie, escluso il caso di opere cinematografiche 118: anche per queste ultime, tuttavia, sul tema oggetto
di trattazione non sembrano porsi problemi differenti.
L’opera multimediale è composta dalla combinazione di contenuti diversi oltre alla fotografia, quali testi, musiche, etc. I singoli componenti dell’opera sono tutelabili secondo la loro propria
disciplina sul diritto d’autore, mentre l’opera multimediale nel suo complesso potrà essere protetta
se soddisfa il generale requisito di creatività119.
La disciplina sulla banca dati è oggetto di apposite disposizioni: esse prevedono che la sua
riproduzione avvenga solo previa autorizzazione del suo autore 120, anche qualora l’accesso o la consultazione siano liberi121.
115
Cass. Civ., sez. I, 11 agosto 2009, n. 18218, in Riv. Dir. Ind., 2/2010, p. 147: il tema verrà ripreso in seguito.
Art. 11, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo
esercizio.
117
BOCCA, R., La tutela della fotografia tra diritto d’autore, diritti connessi e nuove tecnologie, in AIDA, 2002, pp.
421 ss.
118
Art. 2, comma 1, nn. 6) - 7), d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi
al suo esercizio.
119
FINOCCHIARO, G., La valorizzazione delle opere d’arte on-line e in particolare la diffusione on-line di fotografie di
opere d’arte. Profili giuridici, in http://www.aedon.mulino.it, 2009.
120
Art. 64-quinquies, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo
esercizio.
121
Art. 64-sexies, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo eserci zio.
116
31
In entrambi questi casi, le ulteriori problematiche che possono verificarsi risulterebbero di
analogo svolgimento rispetto a quanto già presentato in merito alla disciplina sulla fotografia.
2.3 Diritto di riproduzione ed altri diritti
Se il settore del diritto d’autore è quello a cui immediatamente si fa richiamo nel trattare di
riproduzione, anche in altri ambiti giuridici può essere oggetto d’interesse capire in che modo sia
consentita l’utilizzazione e diffusione delle immagini dei beni culturali.
La raffigurazione di un bene culturale potrebbe risultare un fattore economico di successo
per le caratteristiche intrinseche di valori e, spesso, di notorietà che accompagnano il bene in questione. Per questi motivi, non è per niente assurdo ipotizzare un impiego dell’immagine del bene
culturale all’interno della materia dei segni distintivi di impresa e, in particolar modo, del segno distintivo che ha la funzione di rendere identificabile un prodotto presso il pubblico acquirente: il
marchio.
In principio, è necessario valutare se un qualunque operatore economico possa graficamente
riprodurre l’immagine di un bene culturale all’interno del proprio marchio o come proprio marchio.
Anche in tal caso, non potrebbe non applicarsi la disciplina sull’uso dei beni culturali, in evidente
considerazione del vantaggio economico che l’utente trarrebbe dalla riproduzione. Colui che volesse far uso dell’immagine del bene culturale nel proprio marchio con il consenso della Amministrazione concedente avrebbe però da rispettare il contenuto espresso con tale simbologia, dandovi una
finalità compatibile con la destinazione culturale 122. In altri termini, qualora si dovesse ritenere che
il prodotto su cui vada a cadere l’effigie del bene culturale sia vile o di contenuti estranei alla cultura, l’Amministrazione non potrebbe ammetterne l’uso 123; se invece lo si ammettesse, nei casi più
estremi si potrebbe arrivare ad ipotizzare un danno all’immagine della Pubblica Amministrazione,
derivante dall’abbruttimento del contenuto del bene culturale124.
Colui che volesse procedere alla registrazione nazionale del marchio raffigurante un bene
culturale indipendentemente dall’assenso dell’Amministrazione che l’ha in consegna, avrebbe da
domandarsi se ricorrono tutti i presupposti di validità per la registrazione 125: ciò che potrebbe susci122
Art. 106, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).
Il concetto di “compatibilità” non va limitato alla dimensione fisica ma si amplia al contenuto espresso dal bene
culturale, e pur tuttavia sembra essere destinato ad una lettura sempre più liberalizzante secondo una interpretazione lata
di cultura. Si veda VENTIMIGLIA, C., Art. 106, in M. A. SANDULLI (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio,
Milano, 2012, pp. 822 ss.
124
Su come si sia evoluta una nozione di danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, si veda CANGELOSI, G.,
L’immagine della pubblica Amministrazione, ovvero il valore dell’esteriorità, in http://www.giureta.unipa.it, 2009: più
avanti si verificherà se sia possibile applicare in via giudiziaria tale fattispecie al contesto dei beni culturali.
125
Tali presupposti, riassumibili in idoneità alla registrazione, capacità distintiva, estraneità alla forma, liceità, novità
e mancanza di contrasto con diritti anteriori di terzi, sono espressi dagli artt. 7 ss., d. lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, Codice della proprietà industriale.
123
32
tare maggiori dubbi è se sussistano impedimenti relativi legati al conflitto con altri diritti di terzi.
Nulla quaestio su quel che riguarda l’impedimento derivante dalla notorietà di quel che si va a registrare, poiché la norma prevede che oggetto di tale notorietà, oltre ai nomi di persona, possano essere segni, denominazioni, sigle ed emblemi, anche in campo artistico 126: in questa categorizzazione
non rientra il bene culturale nella sua immagine. Sembra invece configurabile una fonte di conflitto
laddove si considerasse che la registrazione della raffigurazione del bene culturale vada a violare un
diritto di esclusiva altrui 127: nel caso di specie, in mancanza di apposite autorizzazioni sulla riproduzione del bene culturale, unicamente all’Amministrazione spetterebbe l’uso della riproduzione, dandosi un impedimento relativo alla registrazione 128 che altri operasse in assenza di consenso. In questo caso, tuttavia, il titolare del diritto anteriore non ha la possibilità di intervenire con un’opposizione ad impedire la registrazione129 ma può solamente adire la via giurisdizionale.
La registrazione di un marchio comunitario non prevede tra gli impedimenti relativi la titolarità di generici diritti anteriori di esclusiva 130, con la conseguenza che non si avrà in capo all’UAMI
(Ufficio di Armonizzazione del Mercato Interno) l’onere di comunicare l’accoglimento dell’istanza
di registrazione ai soggetti potenzialmente interessati ad opporsi alla richiesta 131. Il titolare di un diritto anteriore, come può essere l’Amministrazione rispetto all’uso dell’immagine del bene culturale, è però autorizzato a presentare domanda o a proporre domanda riconvenzionale in un’azione per
contraffazione, così da far vietare la utilizzazione del marchio in ragione della sua nullità relativa 132,
la quale, se dichiarata, ha efficacia retroattiva.
Nel caso in cui si possa ipotizzare un rapporto di concorrenzialità, colui che utilizzasse la
raffigurazione del bene culturale senza autorizzazione all’interno della propria attività commerciale
andrebbe sottoposto alla disciplina in merito alla concorrenza sleale 133. Gli stessi enti che hanno in
consegna il bene culturale possono, infatti, avvalersene come marchio e registrarlo134, sia per contraddistinguere le proprie attività culturali, sia per apporlo su oggetti destinati alla commercializza126
Art. 8, comma 3, d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, Codice della proprietà industriale.
Art. 14, comma 1, lett. c), d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, Codice della proprietà industriale.
128
Nonostante il posizionamento all’interno di un articolo dedicato all’impedimento assoluto della liceità, la violazio ne di diritti di esclusiva altrui rappresenta a tutti gli effetti un impedimento relativo, come giustamente osserva RICOLFI,
M., in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA , Diritto industriale – Proprietà intellettuale e concorrenza, Torino, 2012, p. 114.
129
Art. 177, d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, Codice della proprietà industriale.
130
Art. 8, Reg. (CE) n. 40/1994 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, Sul marchio comunitario, in GU L 011 del 14
gennaio 1994.
131
Sul procedimento di registrazione del marchio comunitario, si confronti CASSATELLA, A., Procedimenti amministrativi europei: il caso del marchio comunitario, in Riv. It. Dir. Pubbl. Comunit., 3-4/2008, pp. 835 ss.
132
Art. 52, comma 2, Reg. (CE) n. 40/1994 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario, in GU L
011 del 14 gennaio 1994.
133
Artt. 2598-2601 Codice Civile: in un rapido sunto, si ricorda che sono sanzionati con l’inibizione dalla continuazione e con i provvedimenti opportuni ad eliminarne gli effetti, nonché con il risarcimento se il danno è compiuto con
dolo o colpa, gli atti idonei a generare confusione, a gettare discredito sulla concorrenza, ad appropriarsi dei pregi del
concorrente e gli atti non conformi alla correttezza professionale che possono danneggiare l’altrui azienda.
134
Artt. 19 e 20, d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, Codice della proprietà industriale.
127
33
zione135: un simile uso non andrebbe a compromettere la fruibilità del bene culturale, ma anzi garantirebbe una sua maggiore visibilità ampliata dalla diffusione del logo, anche se non è prevista alcuna
correlazione necessaria tra bene venduto ed espressione culturale. En passant, si fa presente che è
stato istituito136 un logo dei beni culturali la cui utilizzazione, in quei casi in cui venga abbinato all’uso o alla riproduzione del bene culturale, è concessa a titolo oneroso dal Ministero nella persona
del capo dell’istituto che ha in consegna il bene.
Un altro caso in cui un bene culturale diventa oggetto di riproduzione è quando la sua immagine intervenga all’interno della cronaca. L’informazione, per come è concepita oggigiorno, non si
limita a far sapere, ma richiede anche di far vedere. Che il diritto di cronaca possa esercitarsi senza
essere limitato in ciò che si propone di far conoscere è quasi insito all’interno del proprio stesso
contenuto: se non altro, deve esserne garantito il libero esercizio nell’assolvere al proprio scopo informativo137. Il diritto di cronaca deve, per essere tale, basarsi sulla verità della notizia, sull’interesse pubblico alla conoscenza del fatto e sulla correttezza formale dell’esposizione 138. Sussistendo
questi presupposti, dovrà ammettersi la riproduzione del bene culturale, sia esso scenario accidentale od oggetto centrale all’interno della notizia. In tal modo viene garantito un diritto tutelato sia a livello costituzionale, sia a livello internazionale139.
Diverso tipo di scopo informativo ha invece la pubblicità, tant’è vero che è ancora discussa
la sua riconducibilità al principio costituzionale del diritto alla libertà di manifestazione del proprio
pensiero o, piuttosto, di iniziativa economica 140. Nelle diverse forme secondo cui può essere sviluppato visivamente un messaggio pubblicitario, è possibile che esso vada a raffigurare altro oltre al
prodotto reclamizzato. Nel caso in cui andasse a riprodurre un bene culturale, si configurerebbe sicuramente un caso di uso per finalità commerciali, per il quale va richiesta autorizzazione all’ente
preposto a pena di illiceità. È infatti evidente come l’associazione di un prodotto commerciale ad un
bene culturale difficilmente possa essere giustificata con scopi culturali, didattici o scientifici: più
facilmente, essa è stata creata per generare un’impressione positiva nel pubblico, a scapito di chi sarebbe stato legittimato all’utilizzo dell’immagine.
135
OLIVIERI, G. - STELLA RICHTER, M., I marchi dei musei, in AIDA, 1999, p. 229.
Art. 10, d.m. 24 marzo 1997, n. 139, Regolamento recante norme sugli indirizzi, criteri e modalità di istruzione e
gestione dei servizi aggiuntivi nei musei e negli altri istituti del Ministero per i beni culturali e ambientali.
137
Analogamente a quanto previsto per il diritto d’autore all’art. 65, comma 2, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
138
CATALISANO, G., Il ruolo del diritto di cronaca e di critica nell’attività giornalistica: profili di diritto dell’informazione, Milano, 2013, p. 17.
139
Oltre nell’art. 21 Costituzione, si ricorda che il diritto di cronaca trova fondamento nella libertà di espressione prevista dall’art. 10, Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, firmata a Roma
il 4 novembre 1950.
140
La Corte Costituzionale, con sentenza dell’11 ottobre 1985, n. 231, ha asserito che la legittimità costituzionale della pubblicità può ricondursi all’art. 41 Costituzione, come forma di iniziativa economica. Contra, ZACCARIA, R. VALASTRO, A. - ALBANESI, E., Diritto dell’informazione e della comunicazione, Padova, 2013, p. 8.
136
34
Va segnalato come il coinvolgimento di altre cose all’interno del messaggio pubblicitario
debba essere valutato secondo un criterio di intensità: se pertanto il bene culturale non solo non appare come elemento centrale, ma nemmeno possa considerarsi associabile al prodotto reclamizzato,
costituendo un oggetto di sfondo o, comunque, risultando non ben distinguibile, è da ritenersi che
non sia prospettabile una tutela verso simile riproduzione141.
Indubbiamente, oggigiorno l’immagine va a porsi sempre più come elemento di marketing,
imprimendosi visivamente nello sguardo dello spettatore. Diventa pertanto interessante esaminare
in che cosa consista l’immagine secondo il linguaggio giuridico.
3. L’immagine
3.1 L’immagine dei beni e diritto di proprietà sul bene
Per immagine si intende “la rappresentazione esteriore di una certa realtà” 142. La nozione di
immagine del bene non coincide con quella di riproduzione né ne costituisce un semplice aspetto.
Di più: rischia di diventarne una complicazione 143. Se infatti parlare di riproduzione suggerisce necessariamente un’idea di attività legata alla replicazione di un bene, il concetto di immagine appare
cristallizzato in una propria forma. Si è arrivati a configurare la seguente situazione: la riproduzione
è un’utilità, l’immagine è un bene.
Forse può parere contraddittorio ritenere che l’immagine possa avere un destino proprio rispetto all’oggetto da cui prende origine144, ma il distacco s’è consumato definitivamente nell’odierna società dell’informazione e della diffusione dei dati.
Incatenare l’immagine al bene è una concezione tipicamente dominicale. Questa sembra essere la soluzione più semplice ed immediata su chi abbia diritto ad impiegare l’immagine di un
bene, in linea con il diritto del proprietario di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo145: se egli può trarre dal proprio bene ogni utilità, allora spetta a lui pure il monopolio sull’imma141
FUSI, M., Sulla riproduzione non autorizzata di cose altrui in pubblicità, in Riv. Dir. Ind., 3/2006, pp. 109 ss.
Cfr. BAVETTA, G., Immagine (diritto alla), in Enc. Dir., XX, 1970, p. 144.
143
Come osserva ZENATI, F., Du droit de reproduire les biens, in Dalloz, 2004, Chron., p. 963. Preannuncio che, sul
tema dell’immagine dei beni, mi servirò ampiamente delle ricerche effettuate dai giuristi francesi, per il motivo che im mediatamente si vedrà.
144
“L’immagine era apparenza talvolta ingannevole, offerta preliminare, invito alla scoperta, all’incontro; dietro di
essa, il soggetto, la cosa, l’essere attendevano impassibili. Il reale non aveva niente da temere dalla sua ombra ed imponeva la sua legge: rimaneva il riferimento, il principio della rappresentazione che si calava su di lui. L’immagine si è li berata: si modifica, si deforma, si trasferisce, si riproduce. Non ha più un suo signore. Ha un proprio destino, un proprio
commercio. Si interpone come una realtà di un altro ordine e ha smesso di limitarsi a seguire”. Mi sono permesso di tra durre dal testo originale francese il vezzoso ma suggestivo preambolo di ATIAS, C., Les biens en propre et au figuré:
destitution du propriétaire et disqualification de la propriété, in Dalloz, 2004, Chron., p. 1459.
145
Cfr. art. 832 Codice Civile.
142
35
gine che dal bene si promana. Un simile ragionamento, applicato al settore dei beni culturali, permette di comprendere le norme che prevedono un corrispettivo per la riproduzione di beni di appartenenza di enti pubblici, a mente dell’articolo 108 del Codice. Analogamente, per i beni di appartenenza privata, tanto più avrebbe da ammettersi la possibilità per il proprietario di chiedere un corrispettivo. Nulla però dice la legislazione in proposito: dal momento che l’articolo 104 del Codice,
dedicato alla fruizione di beni culturali di proprietà privata, è costruito unicamente sulle modalità
della visita, nulla impone che il proprietario, che usa ed abusa del proprio diritto, abbia da consenti re un impiego che altri possa fare dell’immagine del proprio bene, ricordando che anche le modalità
di libera utilizzazione della riproduzione, previste dall’articolo 108, sono costruite come conseguenza delle autorizzazioni effettuate dagli enti pubblici sui beni in loro consegna. Una simile concezione potrebbe arrivare ad impedire qualsiasi diffusione dell’immagine del bene culturale, contrastando
quindi l’essenza stessa del bene in questione nella sua caratteristica di accessibilità.
L’aver legato il diritto all’immagine con il diritto di proprietà è una posizione su cui, per un
certo periodo, s’è assestato il diritto francese. Questo ha prodotto a cascata delle conseguenze anche
sul settore dei beni culturali, costringendo a distinguere situazioni in cui il proprietario può esercitare un controllo sull’immagine e situazioni in cui si ha l’esistenza di fatti giustificativi a favore dell’utilizzatore146. Il proprietario può contrastare l’uso che altri fa dell’immagine del proprio bene nelle seguenti ipotesi: quando si violi la propria vita privata; quando subisca un pregiudizio in un altro
diritto della propria personalità (in particolar modo: il proprio onore e la propria reputazione); quando questo impedisca il sereno uso e godimento del proprio bene, sia in termini economici che non
economici.
Come è immediato notare, con l’eccezione dell’ultima categoria menzionata, su cui la giurisprudenza francese più recente ha pure mostrato alcuni segni di ripensamento 147, più che di situazioni afferenti al campo del diritto della proprietà, si tratta in realtà di situazioni collegate alla sfera dei
diritti della personalità e, in particolar modo, del diritto all’immagine personale: si tende, cioè, a
concepire il bene come prolungamento della propria persona. Di conseguenza, la riproduzione non
autorizzata dell’immagine rappresenta un pregiudizio non tanto patrimoniale quanto morale.
Del resto, se è pur vero che non esiste immagine senza un bene che la promana, è altrettanto
vero che il bene è dotato di una propria materialità, tendenzialmente diversa da quella dell’immagine impressa e fissata: è lampante la differenza che corre tra i pixel di una fotografia digitale ed un
146
Basandosi sulla giurisprudenza fino ad allora prodotta dalle corti d’oltralpe, CORNU, M., Droit des biens culturels
et des archives, in http://eduscol.education.fr, 2003, p. 21.
147
Se infatti nella decisione della Cour de Cassation, 1ère, sentenza c.d. “Gondrée” del 10 marzo 1999, n. 96-18.699,
si diceva che solo il proprietario ha il diritto di sfruttare il suo bene in qualsiasi forma esso sia, nella decisione del 7
maggio 2004, n. 02-10450, la Cour de Cassation, in formazione plenaria, asseriva che il proprietario di una cosa non dispone del diritto esclusivo sull’immagine di questa. Ripercorre il cammino giurisprudenziale francese, all’interno della
sua Mémoire de D.E.A. presso l’Université di Aix-Marseille, DEFFAUX, A.-S., L’histoire du droit sur l’image des choses, disponibile in http://junon.u-3mrs.fr, 2004.
36
monumento. La riproduzione di un’immagine è intrinsecamente differente dalla riproduzione sostanziale di un’opera: la proiezione incorporale che si promana da un bene diventa allora difficilmente inquadrabile all’interno del diritto di proprietà. Si può distinguere un’immagine che appare al
senso della vista e, in contrapposizione, un’immagine che è cristallizzata su un supporto. Se quest’ultima sia la mera cattura di un’apparenza visiva od una vera e propria creazione, è tema già discusso e risolto dal diritto d’autore. Come si è già evidenziato, la riproduzione che si ha dell’imma gine cristallizzata rappresenta una delle forme di utilizzazione economica del diritto d’autore: sostanzialmente, essa è costruita come un diritto di proprietà, considerando l’opera dell’autore similmente al prodotto confezionato da un artigiano 148. Ma questo resta un problema legato alla riproduzione, e non risolve la questione sulla natura dell’immagine del bene e della ragione per la quale
vada tutelata, con particolare riferimento, ai fini di quest’analisi, al settore dei beni culturali.
Nel diritto italiano s’è raramente posta attenzione sul problema dell’immagine delle cose,
ma generalmente viene percepita come estranea la riconduzione di questa tematica al diritto proprietario149. Solo nell’obiter dictum di un unico precedente giurisprudenziale, oltre che in un altro
remoto caso150, risulta che si sia prospettato tra le facoltà del proprietario lo sfruttamento economico
del proprio bene anche tramite il diniego ad altri della “riproduzione fotografica dei quadri senza
preventiva autorizzazione e senza adeguato compenso” 151. Stornando l’immagine dei beni dal campo del diritto della proprietà, questa tematica può essere ricondotta – anche in considerazione delle
tipologie potenzialmente dannose per chi abbia cura del bene – alla sfera del diritto all’immagine.
Ricordando che l’articolo 10 del Codice Civile è stato per decenni interpretato ad esclusiva protezione dell’immagine raffigurante le fattezze delle persone fisiche 152, ora si sono aperti spiragli giurisprudenziali per poter arrivare a tutelare anche l’immagine delle cose.
Nei pochi casi che la giurisprudenza italiana ha affrontato su questo tema, si segnala come,
in una risalente vicenda sulla riproduzione fotografica di un palazzo di interesse artistico, il giudice
di merito non abbia ravvisato né un danno per violazione dell’immagine né abbia ritenuto sussistente un’ipotesi di arricchimento senza causa in mancanza di un danno alieno 153. Più recentemente, il
148
La tutela del diritto d’autore, come si ricorderà, richiede un tasso di creatività per quanto minimo: voler sminuire
le qualità dell’uomo ritenendo che una riproduzione meccanica quale una fotografia non sia altro che una “sovra-appro priazione del reale” è, forse anche nelle intenzioni dell’autore, più una preoccupazione per l’evoluzione di un diritto
sempre più protezionista che un’immediata esigenza in EDELMAN, B., Ownership of the Image. Elements for a Marxist
Theory of Law, (traduzione inglese da Le Droit saisi par la photographie, Parigi, 1973), Londra-Boston-Henley, 1979.
149
Come chiarisce anche SERRA, A., Patrimonio culturale e nuove tecnologie: la fruizione virtuale, in L. CASINI (a
cura di), La globalizzazione dei beni culturali, Bologna, 2010, p. 237, e ricapitola pure FUSI, M., Sulla riproduzione non
autorizzata di cose altrui in pubblicità, in Riv. Dir. Ind., 3/2006, pp. 89 ss.
150
App. Trani, 15 marzo 1904, in La Legge, 1904, p. 2027, citata da FUSI, M., Sulla riproduzione non autorizzata di
cose altrui in pubblicità, in Riv. Dir. Ind., 3/2006, p. 91.
151
Trib. Roma, 27 maggio 1987, inedita, citata da RESTA, G., L’immagine dei beni, in G. RESTA (a cura di), Diritti
esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2011, p. 567.
152
Cfr. BAVETTA, G., Immagine (diritto alla), in Enc. Dir., XX, 1970 p. 144.
153
Trib. Napoli, 25 luglio 1958, in Giust. Civ., 1959, p. 389: pur condividendo la decisione, ritiene che tale sentenza
“abbia una costruzione logica troppo sommaria ed insoddisfacente se si pensa alla singolarità della situazione che il Tri-
37
caso di una raffigurazione non autorizzata dell’immagine di un famoso teatro milanese all’interno di
un marchio ha indotto il giudice a ribadire che la tutela del diritto all’immagine è riservata alle sole
persone fisiche154.
In ultimo, però, la Cassazione155 ha ammesso la possibilità di tutelare l’immagine delle
cose. Potendo essere titolari di diritti della personalità anche persone giuridiche, il loro diritto all’immagine, in assenza di una propria fisicità, si incentra sui beni che le caratterizzano facenti parte
del loro patrimonio: è questo un segno del passaggio, ormai da tempo assuefatto dalla giurisprudenza, della tutela dell’immagine dalle sembianze fisiche alla individualizzazione del soggetto tramite
connotati e qualificazioni156. Nel caso di specie, l’immagine di una barca a vela era stata utilizzata
senza consenso all’interno di un calendario promozionale: la Suprema Corte, innovando in materia
e ribaltando l’esito della sentenza d’appello che confermava quella di primo grado, valutò un pregiudizio per la società titolare della barca, riscontrabile non solo nell’uso che si era fatto della fotografia, modificata in modo tale che sulla vela comparisse il nome della società cartiera distributrice
del calendario così da poter suscitare un improprio accostamento tra le due società, ma pure nel
semplice “svilimento dell’immagine, ove soggetta ad una diffusione non controllata”. Pochi anni
prima, la Cassazione157, ventilando l’ipotesi della tutela dell’immagine di persone giuridiche 158, aveva stabilito come rimedio a quest’eventualità la risarcibilità sia del danno patrimoniale sia di quello
non patrimoniale costituito dalla diminuita considerazione - anche a livello di percezione da parte
dei consociati - della persona giuridica (o dell’ente) di cui l’immagine è espressione.
Le persone giuridiche degli enti territoriali potrebbero avvalersi degli esiti di questo filone
giurisprudenziale per tutelarsi rispetto ad una diffusione incontrollata delle immagini dei beni culturali quali beni che più connotano l’appartenenza di una popolazione ad un territorio ed alla sua cultura? Necessariamente, una simile configurazione del danno all’immagine è differente rispetto a
quella che, già da alcuni anni159, è stata ritenuta ammissibile all’interno della giurisdizione della
Corte dei Conti. Finora, infatti, per danno all’immagine della Pubblica Amministrazione si è inteso
quel danno morale derivante da eventi che pregiudicano od alterano la fiducia dei cittadini, in situabunale era stato chiamato ad esaminare” il commentatore DELLA ROCCA, F., In tema di diritti cinematografici, ibidem, p.
389.
154
Trib. Milano, 28 gennaio 1993, in AIDA, 1994, p. 325: illustrando la sentenza, reputa “difficile condividere le conclusioni della pronuncia in commento, poiché il riconoscimento di un diritto economico allo sfruttamento della notorietà
acquisita non può valere in modo diverso per le persone fisiche e quelle giuridiche” MAYR, C. E., La registrazione come
marchio del nome di un teatro, ibidem, p. 331.
155
Cass. Civ., sez. I, 11 agosto 2009, n. 18218, in Riv. Dir. Ind., 2/2010, p. 147, con nota di R OMANATO, N., Sullo
sfruttamento dell’immagine di un bene nella disponibilità di una persona giuridica, ibidem, pp. 160 ss.
156
Pret. Roma, 15 novembre 1986, in Dir. informatica, 1987, p. 249.
157
Cass. Civ., sez. III, 4 giugno 2007, n. 12929, in Giur. it., 2008, p. 276.
158
“Anche nei confronti della persona giuridica ed in genere dell'ente collettivo è configurabile la risarcibilità del danno non patrimoniale allorquando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell'ente che
sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione, e fra tali diritti rientra l'immagi ne della persona giuridica o dell'ente”.
159
Perlomeno da C. conti, sez. Lombardia, 24 marzo 1994, n. 31, in Foro amm., 1994, p. 2573.
38
zioni di particolare gravità integranti gli estremi di reato ed operate internamente all’Amministrazione; il legislatore160 ha posto un limite all’estendersi dell’evoluzione della giurisprudenza della
Corte dei Conti su questo tema, ammettendo l’azione per il risarcimento del danno d’immagine nei
soli casi di condanne definitive per i delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione. Con la sentenza 18218/2009 della Cassazione, si può aprire una strada per individuare una nuova ed ulteriore evoluzione del concetto di danno all’immagine delle persone pubbliche, sulla cui
base si possa spiegare il motivo per il quale l’immagine dei beni culturali possa essere oggetto di
controlli sulla sua diffusione, nella prospettiva del mantenimento di un delicato equilibrio tra accessibilità alla cultura e cura nell’evitarne la banalizzazione.
Per i beni culturali di proprietà di persone fisiche il riferimento al riconoscimento della tutela dell’immagine delle persone giuridiche non risolve alcuna questione. Bisogna tuttavia ricordare
che i limiti alla riproduzione di beni culturali previsti dal Codice Urbani riguardano i beni in consegna alle Amministrazioni: nessuna disposizione accorda un corrispettivo verso il privato (nel caso
in cui questo sia una persona fisica) proprietario di un bene culturale, il cui godimento non è pregiudicato. Nel rispetto del principio di accessibilità ai beni culturali, il privato non potrebbe impedirne
la diffusione se non qualora ciò gli causasse un danno. Qualora il privato sia una persona giuridica,
bisognerebbe verificare se essa possa vedere nel bene culturale il riflesso della propria attività; se
invece il bene culturale si trovasse, per così dire, in sua proprietà per accidens, allo stato attuale del
diritto non troverebbe applicazione la disciplina che si è sviluppata sulla scia della sentenza
18218/2009 della Cassazione. Il riflesso della propria personalità sulle cose di cui si è proprietari
andrebbe visto come una proiezione della propria immagine, creando una personificazione della
cosa. Ancora la giurisprudenza francese aveva esplorato questa strada: l’impiego all’interno di un
romanzo scandalistico dell’immagine della dimora di una signora dalla condotta irreprensibile è stato condannato dal giudice perché incompatibile con la personalità della proprietaria161.
Un caso a sé stante è costituito dai beni culturali di proprietà ecclesiastica 162. Per essi valgono, oltre alla disciplina generale sui beni culturali, anche norme proprie 163, incentrate sul promovimento di un uso corretto delle immagini nel rispetto del valore che esse rappresentano per la religio160
Il riferimento è all’art. 17, comma 30-ter, d.l. 1 luglio 2009, n. 78, Provvedimenti anticrisi nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali, convertito nella l. 3 agosto 2009, n. 102, Conversione in
legge con modificazioni del decreto legge 1° luglio 2009 n. 78, e poi (sic!) modificato con il d.l. 3 agosto 2009, n. 103,
Disposizioni correttive del decreto legge anticrisi n. 78 del 2009, convertito a sua volta nella l. 3 ottobre 2009, n. 141,
Conversione in legge con modificazioni del decreto legge 3 agosto 2009 n. 103: al di là dei tanti travagli in così breve
tempo, la Corte Costituzionale ha avallato la legittimità costituzionale della disposizione in esame con la sentenza del
15 dicembre 2010, n. 355.
161
TGI Seine, 1 aprile 1965, in JCP, 2/1966, p. 14572.
162
Sulle seguenti considerazioni, si veda STELLA FAGGIONI, L., La libertà di panorama in Italia, in Dir. ind., 6/2011,
pp. 535 ss.
163
In materia di beni culturali, collaborazione ed accordo tra Repubblica ed istituzioni religiose sono richiamati pure
dall’art 9, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).
39
ne. L’autorizzazione per l’uso delle immagini dovrà essere inoltrata al competente Ufficio della
Diocesi: la riproduzione potrà essere utilizzata solo secondo l’uso concordato ed ogni ulteriore impiego avrà da essere nuovamente autorizzato. Sono previste diverse procedure a seconda del fine
della riproduzione, se esso sia commerciale, o per motivi di studio, o per scopo divulgativo.
3.2 L’immagine del bene e la sua alterazione
La decisione della Corte di Cassazione164 che ha aperto la strada al riconoscimento della tutela dell’immagine delle persone giuridiche negli oggetti a loro disposizione è stata agevolata, per
quanto non esclusivamente determinata, anche dagli avvenimenti che hanno caratterizzato il caso
concreto, nel quale colui che aveva utilizzato l’immagine l’aveva modificata inserendovi il marchio
della propria impresa, con chiari vantaggi commerciali senza nulla aver dato in cambio a chi deteneva l’oggetto raffigurato. L’alterazione dell’immagine del bene culturale è, rispetto all’obiettivo dell’Amministrazione di assicurare una corretta diffusione del valore culturale del bene 165, uno dei risvolti che maggiormente si presentano sensibili e rischiosi.
Occorre chiarire in quale scenario si svolga l’alterazione dell’immagine del bene avendo
cura delle finalità della modificazione: se la modificazione sia stata attuata per piegare la rappresentazione del bene a finalità commerciali, laddove possibile sarà applicabile la disciplina sulla concorrenza sleale.
Pare poi necessario individuare se si spacci per conforme alla realtà un’immagine modificata
o se si affermi e riconosca l’estraneità della nuova immagine rispetto al bene culturale originario.
La prima ipotesi comporta la perseguibilità penale: l’alterazione, sulla base dell’articolo 178
del Codice, rappresenta una forma di reato i cui soggetti attivi sono coloro che la compiono al fine
di trarne profitto, coloro che pongono l’opera in commercio o in circolazione e coloro che autenticano o in ogni altro modo contribuiscono a far ritenere autentico il bene alterato166.
Nella seconda ipotesi, l’autore dell’alterazione riconosce egli stesso di aver proceduto alla
realizzazione di un’opera che, pur presentando i connotati di base del bene culturale originario, costituisce una novità rispetto a quanto preesisteva. In tali casi, sussistendo un requisito minimo di
creatività, si potrà configurare l’alterazione come un’opera soggetta al regime del diritto d’autore,
con la cura di evitare pregiudizi per i diritti esistenti sull’opera originaria 167. Questa ricostruzione è
164
Cass. Civ., sez. I, 11 agosto 2009, n. 18218, in Riv. Dir. Ind., 2/2010, p. 147.
In rispetto dell’art. 9 Costituzione, che affida alla Repubblica il compito di promuovere la cultura e di tutelare il patrimonio storico ed artistico della Nazione.
166
Art. 178, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani): la
pena prevista è la reclusione da tre mesi a quattro anni e la multa da euro 103 a euro 3099.
167
Art. 4, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
165
40
confermata anche dalla giurisprudenza: nello specifico, si fa riferimento ad un caso 168 in cui il Ministero per i beni e le attività culturali aveva contestato ad una società la messa in vendita di riproduzioni di beni del demanio archeologico, demanio di cui fa parte la Grotta di Lamalunga, contenente
i resti scheletrici di un ominide noto come “Uomo di Altamura”. La società in questione aveva proceduto alla riproduzione del teschio di questo ominide, integrandolo secondo rilevazioni peritali
nella parte in cui esso non risultava visibile, essendo il cranio incastrato nella roccia: ritenendo sussistente una forma di riproduzione mancante di una previa concessione onerosa, il Ministero richiedeva la cessazione della commercializzazione ed il risarcimento dei danni. La Suprema Corte ha invece smentito la tesi del Ministero ed ha osservato che la ricostruzione della parte nascosta si configura come autonoma attività creatrice di carattere intellettuale e non come riproduzione. Molteplici
possono essere, secondo l’analisi della Cassazione, le modalità con cui si esprime creatività: da una
medesima idea possono essere tratte differenti forme espressive o interpretazioni soggettive; un’opera può trarre ispirazione da un’opera antecedente pur mediante una diversa forma di espressione
con cui viene rappresentata; un particolare parziale o non significativo di un’opera può essere ripreso, inserito e trasformato in un altro contesto del tutto diverso. Nei casi appena elencati il minimo di
creatività utilizzato per scostarsi dall’oggetto originale dà vita ad opere protette dal diritto d’autore:
non si ritiene possa soddisfare questo minimum il mero fotoritocco, consistente nell’eliminare le imperfezioni della fotografia originaria o nel dare maggior risalto ai colori 169. Più specificamente, la
forma di tutela derivante dal diritto d’autore dovrebbe essere ricavata dalla norma sulle opere collettive, le quali sono costituite dalla riunione di opere o di parti di opere, con carattere di creazione autonoma170; manca, nel diritto italiano, un puntuale riferimento a caricatura, parodia e pastiche, nonostante queste forme creative di alterazione siano esplicitamente richiamate anche all’interno del diritto comunitario quali espressioni meritevoli di tutela 171. Se la trasposizione comica, o comunque
parodistica, di un bene culturale permette di evidenziarne la differenza e quindi di escludere un rischio di contraffazione, il timore che tale forma espressiva vada a compromettere il carattere culturale del bene è limitato dai confini che sono posti al diritto costituzionalmente garantito di libera
manifestazione del proprio pensiero dall’esigenza, ugualmente espressa dalla Costituzione, di tutelare il patrimonio storico ed artistico 172. Come giustamente è stato osservato 173, l’innumerevole numero di caricature a cui è stata sottoposta la Gioconda di Leonardo da Vinci non pregiudica l’ammi168
169
Cass. Civ., sez. VI, 23 aprile 2013, n. 9757.
BOCCA, R., La tutela della fotografia tra diritto d’autore, diritti connessi e nuove tecnologie, in AIDA, 2002, p.
414.
170
Art. 3, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
In particolare, il riferimento è all’art. 5, comma 3, lett. k), della Direttiva del 22 maggio 2001 del Parlamento Europeo e del Consiglio, n. 2001/29/CE, Sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella
società dell’informazione.
172
Rispettivamente, artt. 21 e 9 Costituzione.
173
HAMMA, K., Public Domain Art in an Age of Easier Mechanical Reproducibility, in http://www.dlib.org, 2005.
171
41
razione che l’opera originaria suscita negli osservatori: caratteristica precipua della parodia, a differenza del plagio, è l’intenzione di presentarsi come opera diversa agli occhi del pubblico, frutto di
un’intersezione tra creazione, invenzione e critica 174. Il fenomeno della appropriazione artistica, tramite cui un’opera cita o compie una parodia di altre opere, dal momento che non si pone in confusione o concorrenza con queste ultime, avrebbe da considerarsi una forma di libera utilizzazione175.
La libertà nella rappresentazione dei beni culturali è segnatamente ammessa in alcuni contesti che si provvederà ad esaminare.
3.3 Libere utilizzazioni dell’immagine
Espressamente, l’articolo 108 del Codice contempla tre forme di riproduzione del bene culturale per le quali non è dovuto alcun corrispettivo: l’uso personale; l’uso per motivi di studio; l’uso
effettuato da soggetti pubblici per finalità di valorizzazione. Le spese sostenute dall’amministrazione concedente dovranno essere comunque rimborsate 176. È fatto salvo da queste limitazioni il diritto
di cronaca, il quale è liberamente esercitabile177.
Il Codice Urbani ha mantenuto lo schema sulle libere utilizzazioni figurante nel previgente
Testo Unico178, aggiungendovi la previsione che nessun pagamento è dovuto dalle amministrazioni
che hanno intenti di valorizzazione. I lavori preparatori per il Testo Unico prevedevano pure la gratuità per le riproduzioni effettuate a scopo artistico e culturale, tanto da indurre ad elaborare una nozione di “unitarietà dello scopo culturale o artistico” che avrebbe potuto fungere da clausola che liberalizzasse una serie di utilizzazioni connesse alla divulgazione dell’immagine del bene, come la
pubblicizzazione di un evento culturale179: la mancata conseguenza che il legislatore ha dato a questa previsione, in seguito non più richiamata, induce a ritenere che questa ipotesi di libera utilizzazione sia da considerarsi abbandonata e solo parzialmente compensata dall’uso gratuito concesso ai
soggetti pubblici con fini valorizzatori. In questi casi, il carattere gratuito della riproduzione può essere indice di come l’ente debba di norma autorizzare la riproduzione, a meno che non vi sia rischio
di un pregiudizio per il bene180.
174
STOKES, S., Art and copyright, Oxford, 2012, p. 173.
GATT, L., Le utilizzazioni libere: di opere d’arte, in AIDA, 2002, pp. 214 ss.
176
Art. 108, comma 3, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).
177
Art. 8, d.m. 8 aprile 1994, Tariffario per la determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per le concessioni
relative all’uso strumentale e precario dei beni in consegna al Ministero.
178
Art. 115, comma 4, d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali.
179
Su queste premesse aveva elaborato il suo contributo MUSSO, A., Impresa museale e libere utilizzazioni delle opere
d’arte, in AIDA, 1999, pp. 200 ss.
180
CORTESE, W., Art. 107, in M. CAMMELLI (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, 2007, p.
424.
175
42
Le previsioni di gratuità indicate dal Codice sono, in una certa misura, raffrontabili ad alcune delle norme contenute all’interno della legislazione sul diritto d’autore, laddove sono previste apposite eccezioni e limitazioni per consentire un libero utilizzo delle opere 181. Come nel caso del concetto di “riproduzione”, sarà necessario tener presente anche le elaborazioni sviluppatesi sulla materia del diritto d’autore in mancanza, all’interno del Codice dei beni culturali, di definizioni di cosa
rappresentino queste fattispecie.
L’uso personale è definito come l’uso effettuato unicamente per sé ed inidoneo a diffondersi
al pubblico, senza alcun fine lucrativo o, più o meno direttamente, commerciale 182. Il combinarsi di
queste esigenze ha portato a dare una lettura severa e stringente sui casi in cui sia ammissibile un
uso personale. Non potrà ritenersi esentato l’uso che, per quanto fedele ad una espressione culturale,
sia collocato all’interno di una attività di impresa, che è potenzialmente lucrativa; non può considerarsi libera l’utilizzazione che si diffonda o possa diffondersi presso un pubblico indistinto 183: per
questo motivo, non può ritenersi come uso personale l’immissione sulla rete Internet di immagini
che, così facendo, possono diventare alla portata di tutti da qualunque luogo ed in qualunque momento; pure l’invio a mezzo e-mail può suscitare il dubbio che si dia origine ad una diffusione incontrollata dell’immagine, ancorché l’e-mail fosse inviata ad un unico destinatario 184. La libera pubblicazione su Internet di immagini degradate o a bassa risoluzione è consentita se è a titolo gratuito,
per uso didattico o scientifico e nel caso in cui l’utilizzo non sia a scopo di lucro: i limiti all’uso didattico o scientifico sono, in questo caso, da definirsi con decreto185.
L’uso per motivi di studio è un’ulteriore previsione di libera utilizzazione della riproduzione
secondo il Codice Urbani. La legge sul diritto d’autore parla, senza porre definizioni atte a distinguere, di uso didattico, uso scientifico, uso scolastico, scopo di ricerca, scopo di attività privata di
studio, studio personale: la varietà di espressioni trova comunque una radice comune nello scopo illustrativo, di critica o di discussione, tramite cui si può essere istruiti od informati. È da intendersi
che i motivi di studio devono mantenersi puri, senza contaminarsi con finalità lucrative o commerciali o in qualunque altro modo contrastanti con il normale sfruttamento delle opere o con gli interessi dei titolari di diritti su di esse186.
181
Il riferimento è agli artt. da 65 a 71-decies, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri
diritti connessi al suo esercizio, così come sostituiti dall’art. 9, d.lgs. 9 aprile 2003, n. 68, Attuazione della direttiva
2001/29/CE sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione.
182
Art. 68, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
183
Su queste problematiche, si veda MUSSO, A., Impresa museale e libere utilizzazioni delle opere d’arte, in AIDA,
1999, pp. 206 ss.
184
BOCCA, R., La tutela della fotografia tra diritto d’autore, diritti connessi e nuove tecnologie, in AIDA, 2002, pp.
402 ss.
185
Art. 70, comma 1-bis, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo
esercizio.
186
Art. 71-nonies, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
43
L’ultima previsione espressa, contemplata dal Codice, di libera utilizzazione della riproduzione è data dall’uso di soggetti pubblici con finalità di valorizzazione. Rispetto al concetto di promozione culturale, rintracciabile pure nella legge sul diritto d’autore 187, la valorizzazione richiede
non solo la diffusione di una conoscenza ma anche l’assicurazione di migliori condizioni di utilizzazione e fruizione con fini di sviluppo culturale188. Pare quindi da ritenersi che il soggetto pubblico
non possa accedere all’utilizzazione gratuita della riproduzione del bene culturale per semplici fini
pubblicitari o propagandistici, slegati da un contesto culturale: occorreranno scopi idonei ad incrementare il contenuto valoriale del bene, come può esserlo l’associazione dell’immagine ad un particolare evento culturale, una mostra od un’esposizione.
Occorre ricordare che il Codice prevede che per l’accesso a biblioteche ed archivi pubblici,
al contrario di quanto concerne gli altri luoghi della cultura, sia privilegiato il principio della gratuità189. Questo aspetto non intende riverberarsi oltre il mero servizio di consultazione, lasciando che la
riproduzione sia comunque soggetta a pagamento190.
La previsione di un numero limitato di libere utilizzazioni della riproduzione del bene culturale comporta, di conseguenza, che la generalità dei casi in cui si impiega l’immagine di un bene
culturale richieda la previa autorizzazione della preposta autorità e il pagamento di un corrispettivo.
La situazione sulle libere utilizzazioni non è uniforme in tutti gli ordinamenti, nemmeno in
quelli dell’Unione Europea nonostante l’ispirazione comune data dalla Direttiva 2001/29/CE sull’armonizzazione di aspetti importanti del diritto d’autore. In Germania, per esempio, impiegare
l’immagine per pubblicizzare nella misura necessaria un’esposizione al pubblico o una vendita all’asta di opere d’arte è considerato libero utilizzo, senza che siano poste limitazioni in relazione ad
un uso commerciale191. Qualora alcuni Paesi godessero di maggiori possibilità nel procedere alla libera riproduzione di opere, questa situazione andrebbe a determinare non solo vantaggi economici,
per esempio nel campo dell’editoria, ma anche una maggiore diffusione della cultura di certe zone
del mondo a scapito di quelle dove si continuasse a privilegiare una visione protezionistica192.
Una diffusione dell’immagine quale portatrice del messaggio contenuto nel bene culturale
alimenta l’essenza del bene stesso sulla base del principio di accesso. Con elegante ironia, si è osservato che, mentre in Italia è proibito fotografare un grazioso castello abruzzese sperso tra le mon187
Art. 69, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo
esercizio.
188
Art. 6, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).
189
Art. 103, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. codice Urbani).
190
CABIDDU, M. A. - GRASSO, N., Diritto dei beni culturali e del paesaggio, Torino, 2007, p. 269.
191
§58, comma 1, Urheberrechtsgesetz del 9 settembre 1965, BGBl., I, p. 1273, dove non si riprende la formula
“escludendo qualsiasi altro uso commerciale” proposta dell’art. 5, comma 3, lett. j), della Direttiva del 22 maggio 2001
del Parlamento Europeo e del Consiglio, n. 2001/29/CE, Sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei
diritti connessi nella società dell’informazione.
192
GATT, L., Le utilizzazioni libere: di opere d’arte, in AIDA, 2002, pp. 209 ss.
44
tagne e che non richiama più di una decina visitatori al mese, davanti al museo francese del Louvre
sono in vendita macchine fotografiche 193. E sarebbe assurdo, a questo punto, imputare al caso il fatto che nel 2012 lo stesso Louvre abbia contato un numero di visitatori solo di poco inferiore alla
somma di quelli di tutti i musei statali italiani194.
193
L’aneddoto è raccontato in forma personale da DAVERIO, P., Conclusioni, in AA. VV., Il bene culturale è un valore per tutti?, Napoli, 2005, p. 99.
194
Cfr. ANSA, 13 maggio 2013, Louvre senza rivali, è il re dei musei, in http://www.ansa.it: per la precisione, pur
con le dovute cautele nel maneggiare simili dati, nel 2012 il Louvre avrebbe totalizzato 9720260 visitatori, mentre i musei statali italiani (dal cui conteggio sono escluse aree archeologiche e monumenti) 10072267, ossia circa 350mila visitatori in più. Il conteggio effettuato dall’Ufficio di Statistica del Ministero dei beni culturali risulta ancora più penaliz zante, avendo registrato per il 2012 un’affluenza ai musei statali di appena 10053271 unità: http://www.statistica.beniculturali.it.
45
Capitolo II
Sfruttamento e circolazione
SOMMARIO: 1. La legislazione. 1.1 Dalla legge Ronchey al Testo Unico. 1.2 Dal Codice Urbani in poi. 1.3 La competenza legislativa. – 2. Il museo. 2.1 Il museo come impresa. 2.2 Il museo e i diritti d’autore e di proprietà. 2.3 Il museo ed il
web. – 3. La libertà di panorama. 3.1 Nozione di libertà di panorama. 3.2 Il tramonto del panorama freedom? 3.3 Un
caso italiano: Wikipedia.
1. La legislazione
1.1 Dalla legge Ronchey al Testo Unico
Il cammino che ha portato la disciplina italiana sui beni culturali a prevedere che la riproduzione della loro immagine vada soggetta a richiesta ed a pagamento non è di lungo corso. Fino in
tempi recenti, la legislazione sui beni culturali è stata improntata sulla conservazione: solo ultimamente s’è passati da una concezione statica ad una dinamica, imperniata sul concetto di valorizzazione. All’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, ha incominciato ad affacciarsi all’interno
della legislazione italiana una disciplina concreta sulla gestione dei beni culturali, con la quale si intendeva principalmente regolare l’intervento dei privati in alcuni ambiti relativi a fruizione e valorizzazione195. Complici le esigenze economiche di alleviare la spesa pubblica, si pensò di far partecipare i privati a quel business culturale che per le amministrazioni pubbliche rappresentava invece
una voce in perdita, nonostante si intravvedessero già possibilità di caratterizzare la produttività ita195
46
CLEMENTE DI SAN LUCA, G. - SAVOIA, R., Manuale di diritto dei beni culturali, Napoli, 2008, p. 308.
liana a partire dalla tradizione storica del nostro Paese. La necessità di trovare la soluzione a questo
problema portò all’adozione di un decreto legge 196 che, una volta convertito, avrebbe dato origine
alla c.d. “legge Ronchey” 197, dal nome dell’allora Ministro per i beni culturali e ambientali. Questo
atto normativo segna il punto di svolta nel coinvolgimento dei privati in questo settore, in particolar
modo prevedendo, per quanto concerne l’utilizzo dell’immagine del bene culturale, il servizio aggiuntivo editoriale e di vendita riguardante riproduzioni, cataloghi ed ogni altro materiale informativo198. È a seguito di questo intervento legislativo che venne adottato un tariffario 199 in cui furono determinati canoni e corrispettivi per le varie tipologie di uso e riproduzione: l’importo dovuto per
ciascun utilizzo venne stabilito in misura fissa, applicandosi nella stessa maniera a realtà culturali
pur differenti tra loro. Il regolamento in questione, oltre al tariffario, conteneva una serie di disposizioni che andavano a definire i contorni delle modalità di riproduzione del bene culturale.
In verità, la previsione di un canone nel caso di uso dei beni culturali, anche sotto il profilo
della loro immagine, era già prevista nella legislazione italiana: pur non facendosi esplicito riferimento all’impiego derivante da forme di riproduzione, era stabilito il pagamento di un canone per
riprese cinematografiche e televisive, fuorché a scopo illustrativo, nonché per le riprese fotografiche
a scopo di lucro; per riprese fotografiche a scopo artistico o culturale era escluso il pagamento, ma,
in ogni caso, per qualunque tipo di ripresa occorreva un permesso 200. Un regolamento successivo201
confermò la regola generale di gratuità per le riprese fotografiche: solo in alcuni casi, come per fotografie svolte in ambito di attività professionale o fuori dell’orario di apertura degli istituti, era necessaria, oltre al semplice permesso, l’apposita autorizzazione del soprintendente e l’eventuale versamento di un canone sussistendo uno scopo di lucro.
Quel che di decisivo ha apportato il tariffario susseguente alla legge Ronchey è la generalizzazione della fattispecie. Da questo momento, si inizia a considerare la riproduzione tout court quale facoltà non più a libera disposizione dell’utente. Essa è 202, difatti, oggetto di concessione, soggetta a pagamento di canoni e corrispettivi, richiesta tramite un apposito procedimento in cui dovrà essere indicato al responsabile amministrativo ogni particolare su modi e fini dell’utilizzo. La conces196
D.l. 14 novembre 1992, n. 433, Misure urgenti per il funzionamento dei musei statali. Disposizioni in materia di
biblioteche statali e di archivi di stato.
197
L. 14 gennaio 1993, n. 4, Conversione in legge con modificazioni del decreto legge 14 novembre 1992, n. 433 (c.d.
legge Ronchey).
198
Art. 4, comma 1, lett. a), l. 14 gennaio 1993, n. 4, Conversione in legge con modificazioni del decreto legge 14 novembre 1992, n. 433 (c.d. legge Ronchey).
199
D.m. 8 aprile 1994, Tariffario per la determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per le concessioni relative
all'uso strumentale e precario dei beni in consegna al Ministero.
200
Artt. 3 e 5, l. 30 marzo 1965, n. 340, Norme concernenti taluni servizi di competenza dell’Amministrazione statale
delle antichità e belle arti.
201
D.P.R. 2 settembre 1971, n. 1249, Regolamento di esecuzione della l. 30 marzo 1965, n. 340, concernente taluni
servizi di competenza dell’Amministrazione statale delle antichità e belle arti.
202
Quanto segue rappresenta il combinato disposto emergente dagli artt. 1-2-3 del d.m. 8 aprile 1994, Tariffario per
la determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per le concessioni relative all'uso strumentale e precario dei beni
in consegna al Ministero.
47
sione è incedibile e viene rilasciata in via non esclusiva, previo esame dei requisiti e versamento del
corrispettivo. Prima della diffusione, dovrà essere consegnato un esemplare di ogni riproduzione all’Amministrazione per ricevere il nulla osta. Per quanto l’uso strettamente personale o per motivi di
studio non preveda un pagamento, salvo il rimborso delle spese sostenute dall’Amministrazione, il
richiedente deve comunque sottoscrivere un impegno per non divulgare al pubblico le copie ottenute. Ai sensi del tariffario, non sono soggette al pagamento le riproduzioni e riprese con fini istituzionali della ricerca con carattere tecnico scientifico, nonché le concessioni in uso degli spazi secondo i
fini istituzionali dell’Amministrazione. Oltre alle garanzie del mantenimento dell’integrità del bene,
sono fatti salvi i diritti degli autori.
L’anello di congiunzione tra quanto stabilito con questo decreto e la legge Ronchey è costituito da un altro regolamento 203, di pochi mesi precedente rispetto al tariffario. Con quest’atto normativo, il Ministero non solo ha stabilito le modalità di gara e di concessione dei servizi aggiuntivi,
ma ha pure ridefinito alcuni aspetti delle concessioni d’uso e riproduzione. Pur rimandando al successivo tariffario le indicazioni su richieste e determinazione di canoni e corrispettivi, si ha cura di
specificare che il rilascio della concessione per la riproduzione deve essere preceduto da passaggi
circostanziati che fungano da garanzia sul corretto impiego dell’immagine; l’uso strettamente personale o per motivi di studio è improntato alla gratuità purché sia eseguito con mezzi inidonei alla diffusione presso il pubblico204. Con disposizioni particolari sono regolate le riproduzioni di opere, manoscritti e documenti soggetti a particolari rischi e delle immagini fotografiche e riprese contenute
nel servizio di fototeca205.
Osservando la denominazione dell’atto in relazione al contenuto ivi proposto, pare di comprendere che si sia avuta l’intenzione, nel prevedere la partecipazione di privati alla gestione di servizi aggiuntivi al settore culturale, di predisporre con gli atti che sono seguiti alla legge Ronchey
una situazione favorevole ai concessionari. Si è consumato il capovolgimento della prospettiva sulla
riproduzione dell’immagine dei beni culturali: dalla previsione di un pagamento connesso all’uso in
situazioni particolari, si è passati ad un generalizzato obbligo di richiesta di concessione previo versamento di un corrispettivo, con l’esclusione di delimitati casi di utilizzazioni libere. Questo mutamento serve a garantire ai concessionari dei servizi di riproduzione la possibilità di agire all’interno
203
Si tratta del d.m. 31 gennaio 1994, n. 171, Regolamento recante determinazione di indirizzi, criteri e modalità per
la gestione del servizio editoriale e di vendita riguardante le riproduzioni di beni culturali e la realizzazione di cataloghi ed altro materiale informativo, dei servizi riguardanti i beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e
il recapito nell'ambito del prestito bibliotecario, nonché dei servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba e di
vendita di altri beni correlati all'informazione museale presso i musei, le gallerie, gli scavi archeologici, le biblioteche
e gli archivi di Stato e gli altri istituti dello Stato consegnatari di beni culturali, da qui in poi: Regolamento sui servizi
aggiuntivi.
204
Combinato disposto degli artt. 18-19-20, d.m. 31 gennaio 1994, n. 171, Regolamento sui servizi aggiuntivi.
205
Rispettivamente, artt. 23 e 21, d.m. 31 gennaio 1994, n. 171, Regolamento sui servizi aggiuntivi.
48
della loro nicchia di mercato senza timore che le riproduzioni di immagini possano liberamente diffondersi a dismisura pregiudicando la loro attività.
Per inciso: la scelta politica di concentrare sui servizi aggiuntivi le possibilità di introiti derivanti dal settore culturale è stata sviluppata, tramite apposite disposizioni normative, in parallelo
con la progressiva attenuazione della volontà di generare ricavi dall’ingresso. La tassa d’ingresso ai
musei statali, risalente al XIX secolo, è stata soppressa 206, lasciando ai sovrintendenti la possibilità
di stipulare convenzioni per il servizio di biglietteria, i cui oneri sono inclusi nel prezzo del biglietto. Si deve notare inoltre come, da norme molto restrittive sul libero ingresso ai luoghi della cultura,
si è passati attraverso diciture per le quali il pagamento di un biglietto era la modalità di accesso che
avveniva di regola, fino all’attuale formulazione di indifferenza sul fatto che l’accesso sia a pagamento o gratuito, con l’assicurazione di gratuità per l’accesso con fini di studio e ricerca a biblioteche ed archivi pubblici207.
Un ulteriore passaggio sulla disciplina dei beni culturali è segnato dall’approdo ad un Testo
Unico208 con funzioni di riordinare la materia. Furono rielaborate anche le norme relative alla riproduzione: viene previsto che sia il capo dell’istituto ad avere la possibilità di concedere la riproduzione dei beni in consegna al Ministero ed a determinare canoni di concessione e corrispettivi connessi
alle riproduzioni secondo una serie di parametri quali il carattere delle attività cui si riferiscono le
concessioni d’uso, i mezzi e le modalità d’esecuzione, il tipo ed il tempo di utilizzazione degli spazi
e dei beni e le utilizzazioni e le destinazioni delle riproduzioni medesime anche con riferimento al
beneficio economico del destinatario; si prescrive il deposito del doppio originale di ogni fotografia
e la restituzione del fotocolor originale con relativo codice; l’uso personale e per motivi di studio rimane esentato dal pagamento209. È opportuno osservare che la disciplina sulla riproduzione, a partire dal Testo Unico, non è più accostata ai servizi aggiuntivi (definiti ora come “servizi di assistenza
culturale e di ospitalità”, denominazione che mantengono anche attualmente nel Codice): mentre la
disciplina di questi è inserita in un’apposita sezione sulla fruizione, le disposizioni riguardanti la ri206
Istituita con la l. 27 maggio 1875, n. 2554, Sulla tassa di entrata nei musei, nelle gallerie e negli scavi archeologici, poi ripresa ed aggiornata dal r.d. 11 novembre 1885, n. 3191, Regolamento generale per la riscossione e pel conteggio della tassa d’ingresso nei Musei, nelle Gallerie, negli Scavi e nei Monumenti nazionali , la tassa è stata soppressa
con la l. 25 marzo 1997, n. 78, Soppressione della tassa d’ingresso ai musei statali: per la prima evoluzione della tassa
sull’ingresso ai musei, si può confrontare il contributo di RICCO, A., Tasse e tessere d’ingresso in musei, gallerie, scavi
e monumenti governativi del Regno d’Italia (1875-1939), in http://www.aedon.mulino.it, 2011.
207
L’evoluzione è tracciabile attraverso l’art. 4, l. 23 luglio 1980, n. 502, Istituzione del comitato per il coordinamento e la disciplina della tassa d’ingresso ai monumenti, musei, gallerie e scavi di antichità dello Stato ; l’art. 1, comma 2,
l. 25 marzo 1997, n. 78, Soppressione della tassa d’ingresso ai musei statali; art. 103, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004,
n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani). Si confronti altresì CABIDDU, M. A. - GRASSO, N.,
Diritto dei beni culturali e del paesaggio, Torino, 2007, p. 249, nonché CARPENTIERI, R., Art. 103, in R. TAMIOZZO (a
cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2005, p. 457.
208
D.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a
norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997 n. 352.
209
Artt. 115 e 116, d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997 n. 352.
49
produzione vengono collocate nella sezione sull’uso individuale. Le due sezioni, su fruizione ed uso
individuale, sono contigue ed entrambe inserite nel capo dedicato a valorizzazione e godimento
pubblico, ma rimangono pur sempre sezioni distinte. Se originariamente la previsione generalizzata
del versamento di un corrispettivo per la riproduzione di un bene culturale era giustificata dalla volontà di evitare una forma di concorrenza per l’impresa aggiudicatrice del servizio aggiuntivo di riproduzione editoriale, la separazione tra i due ambiti diventa segno non della superficialità del legislatore ma di una indirizzata strategia politica che, di conseguenza, determina anche la necessità di
inquadrare in una nuova ottica simili previsioni.
1.2 Dal Codice Urbani in poi
Cinque anni dopo l’emanazione del Testo Unico, fu emanato il Codice dei beni culturali e
del paesaggio. Riprendendo ampiamente il dettato del Testo Unico, le disposizioni sulla riproduzione di beni culturali risultano essere pressoché identiche. Alcune sfumature permettono tuttavia di rilevare i sentieri su cui intende indirizzarsi il legislatore. A livello di struttura, si conferma e si evi denzia quello che già iniziava a risaltare dal Testo Unico: questa volta, la disciplina sui servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico, per quanto non distante se si leggessero in modo
continuato le disposizioni del Codice, transita addirittura in un capo diverso rispetto a quello in cui
si regola la riproduzione210. Anche a livello lessicale, le piccole variazioni apportate contribuiscono
ad alimentare l’idea che la riproduzione dei beni culturali sia diventata un ambito di controllo da
parte dell’Amministrazione a prescindere dall’esistenza o meno di un apposito servizio di riproduzione in concessione. Un esempio è costituito dal cambiamento operato sul verbo, portato da “concedere” a “consentire”: non è dunque più previsto che l’atto di assenso sia di tipo concessorio 211.
Affermare, sic et simpliciter, che gli enti pubblici possono consentire la riproduzione dei beni culturali212, è ulteriore testimonianza dell’allontanamento concettuale rispetto alla disciplina che inizialmente era stata prevista in parallelo alle esternalizzazioni dei servizi aggiuntivi verso i privati.
Infatti, mentre la concessione è caratteristica di una situazione in cui l’amministrazione attribuisce
ad un numero necessariamente ristretto di privati un beneficio dato dalla possibilità di usare certe risorse, il limitare tout court la riproduzione a prescindere dall’esistenza o meno di un servizio editoriale comporta anche il conseguente passaggio da una forma concessoria ad una forma autorizzatoria: esiste, cioè, una limitazione all’esercizio di una libertà del cittadino a causa di un divieto generale, il quale, a seguito di richiesta del privato, può essere rimosso con un provvedimento dell’auto210
L’art. 117, rubricato Servizi per il pubblico, è infatti situato nel Capo II, Principi della valorizzazione dei beni culturali, laddove gli articoli che vanno dal 101 al 110 si trovano nel Capo I, Fruizione dei beni culturali.
211
Come osserva BROCCA, M., La disciplina d’uso dei beni culturali, in http://www.aedon.mulino.it, 2006.
212
Art. 107, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
50
rità competente qualora l’esercizio del diritto non contrasti con l’interesse pubblico 213. Anche nei
casi in cui l’autorizzazione venga ammessa, si ha comunque per l’utente un dispendio di tempo e di
oneri derivanti dalla burocrazia tali da non agevolarlo.
Altro cambiamento rispetto al Testo Unico è l’inversione logica operata sulle forme di impiego del bene: se prima si poteva concedere “l’uso strumentale e precario nonché la riproduzione”,
ora si può consentire “la riproduzione nonché l’uso strumentale e precario” 214. Questo mutamento,
per quanto non sembri comportare grossi sconvolgimenti nella prassi, trasforma concettualmente la
riproduzione da peculiare species d’uso a principale modalità di come possa essere impiegato il
bene culturale.
Oltre alle modifiche più sottili, è possibile rintracciare nel Codice cambiamenti più evidenti:
vi è una maggior razionalizzazione della disciplina rispetto al Testo Unico, essendosi disposti in articoli differenti (il 107 ed il 108) il profilo della riproduzione e quello inerente alla determinazione
di canoni e corrispettivi215. Il pagamento in forma anticipata è considerato non più un obbligo, ma
semplice regolarità216. Tra le maggiori innovazioni esplicite, va considerata la previsione che gli importi minimi di canoni e corrispettivi siano determinati dall’amministrazione concedente con provvedimento217: in tal modo, è da ritenersi superato il carattere vincolante degli importi stabilito dal tariffario del 1994, il quale, peraltro, rimane vigente, anche se con un valore meramente orientativo.
Nell’anno successivo all’entrata in vigore del Codice, l’ordinamento italiano ha visto nuove
disposizioni che sono andate a specificarne i contenuti. Con una circolare 218, si sono date indicazioni su come gli studiosi potessero accedere al materiale archivistico e riprodurlo: ogni riproduzione
veniva indicata come soggetta a richiesta di autorizzazione, a precise regole nella modalità di esecuzione ed al versamento di un importo e di copia delle immagini ottenute. In modo più incisivo, pochi mesi prima un decreto219 aveva invece provveduto a stabilire le norme tecniche sulla riproduzione. L’autorizzazione del responsabile deve avvenire previa determinazione dei corrispettivi e valutando finalità, quantitativi e tollerabilità della riproduzione. Riprendendo quanto stabilito dal tariffario, è poi rammentato che la richiesta di riproduzione deve esprimere dettagliatamente contenuti e
213
Per la distinzione tra autorizzazione e concessione, si vedano le voci Autorizzazioni Amministrative e Concessioni
Amministrative, rispettivamente di FRACCHIA, F. e MAMELI, B., in Dizionario di Diritto Pubblico, diretto da S. CASSESE,
Milano, 2006, specialmente pp. 604 e 1118.
214
Il confronto è tra l’art. 115, comma 1, d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in
materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997 n. 352, e l’art. 107, comma 1,
d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
215
Come osserva VENTIMIGLIA, C., Art. 107, in M. A. SANDULLI (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio,
Milano, 2012, p. 830.
216
Art. 108, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
217
Art. 108, comma 6, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
218
Circ. Direzione generale per gli archivi, Servizio II, 17 giugno 2005, n. 21, Disposizioni per l’esecuzione di riproduzioni con propria fotocamera digitale.
219
D.m. 20 aprile 2005, Indirizzi, criteri e modalità per la riproduzione di beni culturali, ai sensi dell’articolo 107 del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
51
modi di utilizzo e che è necessario presentare un esemplare di riproduzione presso l’amministrazione così da ricevere il nulla osta per procedere alla diffusione al pubblico; poiché l’uso diverso da
quello dichiarato deve essere autorizzato, è da ritenersi che l’uso successivo, ulteriore rispetto a
quello originariamente previsto, debba prevedere la richiesta di un nuovo consenso da parte dell’Amministrazione. Ogni esemplare di riproduzione deve riportare l’indicazione delle caratteristiche
sia dell’opera originale sia di tecnica e materiale della riproduzione stessa. L’amministrazione si
considera esente da responsabilità per danni derivanti dalla riproduzione 220. Queste disposizioni sui
principi generali per la riproduzione dei beni culturali sono precedute da due articoli che trattano
della riproduzione mediante calchi di sculture ed opere a rilievo: questa forma particolarmente invasiva di riproduzione, che il Codice Urbani ha espressamente ripreso dopo il silenzio del Testo Unico
su quest’argomento, è generalmente vietata, ma l’evolversi della tecnologia ha portato ad ampliare
la normativa sui casi consentiti, non più limitati solo ai calchi di copie degli originali, ma anche a
quelli ottenuti con tecniche escludenti il contatto diretto con l’originale221. Queste ultime limitate
aperture rimangono peraltro sottoposte alla disciplina generale sulla riproduzione e, di conseguenza,
soggette a preventiva autorizzazione e versamento di corrispettivo.
Non pare, quindi, che sia possibile rintracciare dalla littera legis aperture nell’atteggiamento
del legislatore verso una generale libertà di riproduzione dei beni culturali, nemmeno nelle occasioni in cui non v’è rischio di arrecare alcun danno al bene 222: occorrerà pur sempre un’attenta valutazione delle modalità e delle tecniche adoperate, nonché delle motivazioni dell’istanza.
1.3 La competenza legislativa
Tra le innovazioni più macroscopiche che il Codice ha apportato nell’ambito della riproduzione dei beni culturali, v’è senz’altro il mutamento del soggetto esprimente la sua valutazione sulla
destinazione del bene. Secondo il Testo Unico, l’uso strumentale e precario e la riproduzione dei
beni in consegna al Ministero erano concessi dal capo dell’istituto; la previsione del Codice Urbani
enuncia che tale forma di impiego può essere consentita da Ministero, regioni ed altri enti pubblici
territoriali per i beni che abbiano in consegna 223. È opportuno notare che la formulazione dell’artico220
Quanto precede, è il combinato disposto degli artt. 3-4-5, d.m. 20 aprile 2005, Indirizzi, criteri e modalità per la
riproduzione di beni culturali, ai sensi dell’articolo 107 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
221
Art. 107, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani),
così come modificato dall’art. 2, lett. ttt), d.lgs. 26 marzo 2008, n. 62, Ulteriori disposizioni integrative e correttive del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali.
222
Sulla base di questa giustificazione, ritiene invece che l’Amministrazione non debba essere particolarmente severa
nell’autorizzare le riproduzioni CORTESE, W., Art. 107, in M. CAMMELLI (a cura di), Il codice dei beni culturali e del
paesaggio, Bologna, 2007, p. 424.
223
Nuovamente, il confronto è tra l’art. 107, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del
paesaggio (c.d. Codice Urbani) e l’art. 115, comma 1, d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997 n. 352.
52
lo 107 del Codice risulta diversa da quella attuale 224 dell’articolo 106, dove è menzionato “lo Stato”
in luogo del “Ministero”: la modifica di quest’ultimo articolo era stata suggerita per accogliere a sé
tutti i beni culturali di appartenenza statale anche al di fuori della disponibilità dell’apposito Ministero225, ma tale soluzione non è stata proposta per l’articolo 107, nonostante non vi sia visibile motivo di diverso trattamento per le due norme nella scelta di distinguere due diversi procedimenti per
la concessione di uso individuale e per la riproduzione a seconda che i beni siano in consegna al Ministero o no. In entrambi i casi, la dizione è comunque esplicita nell’escludere un ruolo non solo ai
privati, ma anche alle cosiddette autonomie funzionali (come l’università) ed agli altri enti pubblici
non territoriali226.
L’espresso riconoscimento di un ruolo per regioni ed enti locali nella determinazione della
fruizione dei beni culturali nasce sulla scia della riforma costituzionale che nel 2001 ha riscritto il
riparto di competenze legislative227. Prima della riforma, tra le competenze esclusive riservate alla
legislazione regionale erano compresi anche musei e biblioteche di enti locali; ora il quadro s’è fatto
più composito. Infatti, mentre la tutela dei beni culturali rientra nella legislazione esclusiva statale,
tra le materie di legislazione concorrente ne figura la valorizzazione: alla luce di questa categorizzazione, la potestà legislativa in materia spetta alle Regioni, mentre lo Stato ne determina i principi
fondamentali228. Il Codice stesso, che rappresenta l’atto che fissa quei principi, ricorda che l’attività
di valorizzazione deve svolgersi in forma di coordinamento, armonizzazione ed integrazione tra enti
pubblici229: in questo modo, infatti, tramite una cooperazione tra i diversi livelli di governo in uno
sforzo congiunto, si auspica la creazione e l’incentivo di modalità di fruizione che possano ampia mente coinvolgere il pubblico fruente230. In particolare, è disciplinata mediante legislazione regionale la fruizione dei beni presenti in luoghi della cultura ed istituti non appartenenti allo Stato o di cui
lo Stato abbia trasferito la disponibilità231. Le funzioni amministrative, seguendo quanto previsto
dalla riforma costituzionale, sono normalmente attribuite ai Comuni: forme di intesa e coordinamento sono infatti espressamente richieste in materia di tutela dei beni culturali, ma non sotto l’aspetto della valorizzazione232. La limitazione alla riproduzione del bene culturale può assolvere anche a finalità di tutela dello stesso, sia in forma di mantenimento di un elevato standard comunicativo di valori, sia, in taluni casi, anche a livello materiale per preservarlo dall’usura; tuttavia, questo
224
In base alle modifiche apportate dall’art. 2, lett. dd), n. 1, d.lgs. 24 marzo 2006, n. 156, Disposizioni correttive ed
integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali.
225
BROCCA, M., La disciplina d’uso dei beni culturali, in http://www.aedon.mulino.it, 2006.
226
CABIDDU, M. A. - GRASSO, N., Diritto dei beni culturali e del paesaggio, Torino, 2007, p. 236.
227
L.cost. 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.
228
Art. 117, comma 3, Costituzione.
229
Art. 7, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
230
CROSETTI, A. - VAIANO, D., Beni culturali e paesaggistici, Torino, 2011, pp. 121 ss.
231
Art. 102, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
232
Art. 118, commi 1 e 3, Costituzione.
53
aspetto della disciplina dei beni culturali è primariamente attinente a fruizione e valorizzazione, non
fosse altro che è questo il posizionamento che è stato assegnato dal legislatore che ha redatto il Codice. È comunque da escludersi che i Comuni possano esercitare la loro potestà amministrativa sui
beni culturali di cui siano stati mantenuti sotto il controllo di Stato e Regioni compiti di fruizione e
valorizzazione per esigenze di unitarietà233.
Gli atti amministrativi possono assumere una rilevanza giuridica non solamente locale ma
sopranazionale qualora siano configurati all’interno di Piani di gestione 234, adottati con funzioni
programmatiche e coordinative da quei siti che aspirano all’iscrizione, o siano già iscritti, alla
World Heritage List della UNESCO235: tra gli standard fissati da questa organizzazione internazionale, i quali inevitabilmente finiscono per condizionare l’attività amministrativa del luogo ove il sito
si trova, non si stabiliscono ulteriori livelli di limitazione alla riproduzione dell’immagine del bene.
Tuttavia, tra le linee guida, l’uso dell’immagine viene menzionato allorché si lascia allo Stato la
possibilità di approvare il contenuto (in testo ed immagini) dei prodotti distribuiti con l’emblema
World Heritage; gli Stati vengono caldeggiati a consentire all’UNESCO l’uso delle immagini che
accompagnano la richiesta di iscrizione alla lista, in termini di comunicazione, diffusione, pubblicazione, riproduzione e sfruttamento in ogni forma di supporto, lasciando che gli eventuali profitti derivanti vadano al Fondo per i Patrimoni dell’Umanità236.
A livello internazionale, non si riscontrano convenzioni che, nel settore dei beni culturali,
pongano delle regole sull’impiego dell’immagine. È giusto segnalare, tuttavia, come esistano documenti che garantiscono all’essere umano un accesso alla cultura: nella Dichiarazione universale dei
diritti umani è previsto che ogni individuo abbia il diritto di partecipare liberamente alla vita culturale della comunità e di godere delle arti237, con la conseguenza che non si possono porre ostacoli
tanto gravosi da precludere la fruizione del patrimonio culturale. Nessun ulteriore problema è posto
dal diritto dell’Unione Europea, la quale, pur riconoscendo l’esistenza di un patrimonio culturale di
importanza europea238, s’è interessata all’argomento dei beni culturali quasi esclusivamente per regolarne la circolazione materiale239; più incisivi sono stati gli interventi comunitari che, in tema di
233
CLEMENTE DI SAN LUCA, G. - SAVOIA, R., Manuale di diritto dei beni culturali, Napoli, 2008, p. 94.
Si confronti CASSATELLA, A., Tutela e conservazione dei beni culturali nei Piani di gestione Unesco: i casi di Vicenza e Verona, in http://www.aedon.mulino.it, 2011.
235
Al 2013, l’Italia è, tra tutti i Paesi, quello che conta il maggior numero (49) di siti iscritti come patrimonio dell’umanità, come consultabile all’apposita pagina del sito internet ufficiale http://whc.unesco.org.
236
WORLD HERITAGE CENTRE, Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention,
luglio 2012, in http://whc.unesco.org.
237
Art. 27, comma 1, Dichiarazione universale dei diritti umani.
238
Art. 167, comma 2, Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.
239
Ad esempio, con il Reg. (CE) n. 116/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, Relativo all’esportazione di beni
culturali, in GU L 39 del 10 febbraio 2009.
234
54
copyright, hanno fornito indicazioni per una quanto maggior circolazione della conoscenza, con
particolare attenzione per l’ambito digitale240.
Se poco è intervenuto il diritto ultranazionale su questo particolare settore, anche a livello
interno alla Repubblica, nonostante le aperture della Costituzione e del Codice, non si sono segnalate prese di posizione particolarmente eclatanti. Le regioni, generalmente, non hanno portato mutamenti di disciplina negli spazi loro concessi: laddove si è proceduto, si è in linea di massima confermato l’impianto codicistico. La Regione siciliana 241, per esempio, ricorda che la riproduzione di
beni culturali in possesso dell’Amministrazione non protetti dal diritto d’autore ricade nella fattispecie prevista dall’articolo 108 del Codice; in più, si limita ad aggiungere che è sempre dovuto il canone di concessione nei casi di utilizzo economico dei beni culturali e che è previsto un tariffario
sostitutivo rispetto a quello emanato a seguito della legge Ronchey.
Il consenso alla riproduzione avviene per mezzo del soprintendente, intendendosi genericamente con esso l’organo periferico dell’amministrazione: a livello regionale, tale competenza, stante l’attuale mancanza di apposite soprintendenze, è di tipo delegato al soprintendente di settore da
parte del direttore regionale242. Il Ministero ha la possibilità di esperire un controllo preventivo all’autorizzazione all’uso per valutarne la compatibilità: si ritiene che questo valga anche verso i beni
di appartenenza privata243, per i quali, a differenza delle amministrazioni statali e degli enti morali244, non è previsto alcun onere informativo al Ministero sulla destinazione d’uso del bene culturale.
Lo stesso privato può chiedere preventivamente alla soprintendenza un giudizio se l’uso ipotizzato
possa essere compatibile, per quanto sia da considerarsi che il vincolo sui beni culturali riguardi
esclusivamente l’oggetto materiale con i suoi contenuti valoriali e non l’uso, il quale è mero strumento di conservazione245.
Il contesto spaziale in cui può situarsi il bene culturale può generare una sommaria distinzione tra beni situati in un ambiente chiuso ed idealmente sottratto alla vista altrui se non a quella dei
visitatori, e beni esposti alla pubblica vista e collocati in una posizione che li rende visibili a chiunque. Queste due diverse situazioni non sono distinte dal Codice in tema di riproduzione del bene
culturale, ma, per la loro profonda differenza, costituiscono due ambiti in cui la circolazione dell’immagine del bene assume una rilevanza sua propria. In un ambiente chiuso, è relativamente faci240
Particolarmente importante è, sotto questo aspetto, il Libro Verde del 16 luglio 2008 della Commissione Europea,
Il diritto d’autore nell’economia della conoscenza.
241
Circ. reg. Sicilia 18 marzo 2005, n. 7, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
242
CARPENTIERI, R., Art. 106, in R. TAMIOZZO (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2005, p.
467.
243
CARPENTIERI, R., Art. 106, in R. TAMIOZZO (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2005,
pp. 466-467.
244
Per essi vale ancora, in conformità anche all’art. 130 del Codice, il disposto dell’art. 51, r.d. 30 gennaio 1913, n.
363, Che approva il regolamento per l’esecuzione delle leggi 20 giugno 1909, n. 364, e 23 giugno 1912, n. 688, relative
alle antichità e belle arti.
245
BROCCA, M., La disciplina d’uso dei beni culturali, in http://www.aedon.mulino.it, 2006.
55
le mantenere un controllo sull’immagine di quanto esposto, con il rischio di frenare la conoscenza
del bene culturale e la diffusione del suo contenuto valoriale se non nella ristretta cerchia dei visitatori; viceversa, in un ambiente aperto, l’immagine alla mercé di tutti rischia di produrre una visione
banalizzata del bene e del suo aspetto contenutistico. Per rispondere a queste esigenze differenti, occorre trattare separatamente le vicende che riguardano uno spazio chiuso, di cui il museo rappresenta l’esempio più evidente246, e quelle che riguardano uno spazio aperto, con il conseguente problema
dell’estensibilità della libertà di panorama.
2. Il museo
2.1 Il museo come impresa
Il museo, di per sé, non è un bene culturale, a differenza dei singoli oggetti e finanche delle
raccolte che esso potrebbe contenere. È tuttavia un ambiente in cui si svolge attività culturale, atto
ad accogliere beni culturali. Il museo figura al primo posto tra gli istituti e luoghi della cultura non
solo per la lettera del Codice ma anche, probabilmente, nell’immaginario collettivo: con esso si intende una “struttura permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed espone beni culturali
per finalità di educazione e di studio”, destinata alla pubblica fruizione ed espletante un servizio
pubblico se appartenente a soggetti pubblici, costituente un servizio privato di utilità sociale se appartenente a privati247. Una simile definizione, per quanto dettagliata, appare più asettica di quella
fornita a livello internazionale dall’ICOM (International Council of Museums, organismo associato
all’UNESCO con funzioni di consulenza), secondo la quale “il museo è un’istituzione permanente,
senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico e che acquisisce,
conserva, ricerca, comunica ed espone le testimonianze materiali ed immateriali dell’umanità e del
suo ambiente con finalità di educazione, studio e diletto” 248. Tra le interessanti divergenze fra le due
definizioni, ci si può focalizzare sull’assenza della finalità lucrativa, puntualizzazione non presente
nel testo normativo italiano. Forse ritenuto di non necessario inserimento da parte del nostro legislatore, data la cronica risultanza in forte perdita economica delle strutture museali pubbliche italiane,
il mancato inserimento della assenza dello scopo di lucro, ossia della ricerca di un incremento patrimoniale positivo, tra le caratteristiche del museo può ipoteticamente dar origine a tentativi di rendere profittevole economicamente il bene culturale a scapito della sua diffusione e fruibilità?
246
È giusto ricordare come esistano anche esperienze di musei all’aria aperta. Si veda LEMME, G., Gli Open Air Museums come risorsa economica, in http://www.aedon.mulino.it, 2010.
247
Art. 101, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
248
Art. 3, Statuto ICOM, approvato in Vienna, 24 agosto 2007.
56
Il museo è ritenuto un’istituzione senza fini di lucro anche laddove sono più ampiamente
diffuse le istituzioni museali private, come negli Stati Uniti, dove, per l’appunto, il museo è considerato un ente non profit249. È subito da rilevare come anche in Italia siano certamente presenti musei privati, ma le loro raccolte non rientrano tra i beni culturali secondo la categorizzazione del Codice, a meno che non si tratti di collezioni di particolare fama e rilevanza 250: quanto detto non preclude che i singoli oggetti conservati possano essere considerati beni culturali nella loro individualità, ma in tal caso verrebbe meno il concepire l’ambiente museale come caratterizzante.
Difficilmente, anche quando gestito al meglio, un museo può pensare di ripianare la maggior
parte delle spese per mezzo di entrate proprie: credere di poter raggiungere una soglia di guadagno
non solo non collima con lo scopo primario del museo, ossia la diffusione di valori culturali, ma,
alla luce della realtà dei fatti, è quasi un’utopia. Per questa ragione, trovare modalità per reperire entrate proprie in grado perlomeno di coprire parte delle esigenze economiche del museo non è da
considerarsi una degenerazione per un luogo di cultura, ma un’esigenza per garantire la continuazione del servizio offerto. La previsione di un corrispettivo per la riproduzione di beni culturali siti
in un museo è un mezzo rispondente a queste esigenze? Già la previsione del pagamento all’entrata
aveva intaccato il principio di assoluta gratuità nel godimento della cultura, principio ispirato dall’illuminismo e caratterizzante i primi anni di vita del museo moderno, quando peraltro il tasso di
alfabetizzazione era talmente scarso tra la popolazione da far dubitare che un gran numero di persone potesse trarre giovamento dalla frequentazione di luoghi culturali: ad una simile previsione, la
dottrina italiana ha dato una spiegazione dapprima come condizione per l’ammissione all’uso del
bene pubblico, poi, con il passaggio dalla tassa d’ingresso al biglietto, come contributo per coprire i
costi di una prestazione pubblica 251. Medesima natura potrebbe rintracciarsi anche per spiegare la
ragione del versamento di un corrispettivo alla riproduzione di un bene culturale.
In ambito museale, la necessità di trovare simili spiegazioni viene meno se si volesse dar retta ad una tendenza secondo cui la gestione di un museo andrebbe considerata alla stregua di un’impresa commerciale252: in tal caso, nel voler trattare come merci i beni ivi contenuti, l’imprenditore
avrebbe sufficiente potere per volerne impedire imitazioni e controllare l’immagine, facendo anzi di
essa un contenuto economico di non disprezzabile potenziale. Ampio è il dibattito sul punto: è pur
vero che, nel rispetto di una sana gestione delle risorse, anche il museo deve puntare alla maggior
efficienza possibile, ma la tesi che assimila il museo ad un’impresa non può essere ritenuta applica249
BENHAMOU, F., L’economia della cultura (traduzione italiana da L’économie de la culture, Parigi, 2011). Bologna,
2012, p. 79.
250
Art. 10, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
251
Si confronti RICCO, A., Tasse e tessere d’ingresso in musei, gallerie, scavi e monumenti governativi del Regno d’Italia (1875-1939), in http://www.aedon.mulino.it, 2011.
252
Aleggia questa preoccupazione, espressa significativamente in un capitolo intitolato Può il Museo diventare impresa?, in SETTIS, S., Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto, Milano, 2005, pp. 70 ss., passim.
57
bile fino in fondo per una serie di ragioni 253, al cui fondamento sta il principio secondo cui è il valore culturale che precede e guida il valore economico, e non viceversa 254. Non si disconosce al bene
culturale un valore economico, ma esso va colto solo in subordine rispetto alla tutela e valorizzazione culturale255.
Il paragone tra museo ed impresa è stato più volte ripreso nel tempo, a partire dalle aperture
alla gestione di servizi aggiuntivi da parte dei privati, previste dalla legge Ronchey. Da questo punto di partenza, si è talvolta tentato di arrivare ad una lettura indirizzata verso una gestione imprenditoriale del museo tout court. Si arriva ad ammettere che il museo abbia una natura ed uno scopo peculiari, ma questo non pregiudica la doverosità di una gestione condotta secondo i principi della
scienza economico-aziendale256. Si tratterebbe, tuttavia, più di una gestione manageriale che imprenditoriale: l’autonomia gestionale del museo, più che a realizzare ardui utili di bilancio, traguardo che pure in casi eccezionali è stato sporadicamente raggiunto da qualche raro ente museale, mira
ad una responsabilità finalizzata a contenere il passivo secondo parametri di economicità, efficienza
ed efficacia, così da raggiungere una miglior gestione di risorse e contributi 257. A livello locale, per
evitare inutili dispersioni, le legislazioni regionali hanno spesso intrapreso strade volte a condurre a
forme di collaborazione tra musei, quali i sistemi museali, dove la cooperazione tra istituti genera
economie di scala e favorisce una migliore fruizione: mentre i musei statali risentono di immobilismo ed incapacità di iniziativa, i musei locali divengono, se non altro, poli di attrazione a livello divulgativo e di ricerca258. Non è un caso che una delle rare gestioni museali italiane ad avere, in
qualche annata, ottenuto un bilancio attivo sia stato il sistema dei Musei Civici di Venezia 259, ma occorre considerare che la maggior parte delle entrate che hanno permesso un simile risultato è derivata da contributi pubblici260. Solo un cambiamento di finalità, con il posizionamento al primo posto
253
Ragioni valevoli tanto per i musei pubblici, quanto per quelli privati: lo fa notare, con molteplici argomenti (man canza di eadem ratio rispetto alle vicende dell’azienda; qualificazione di servizio pubblico soggettivo derivante dal vincolo di destinazione delle cose; consapevolezza dell’impossibilità di coprire i costi con i ricavi, tale da precludere qual siasi aspettativa di risultato economico), SEVERINI, G., Musei pubblici e musei privati: un genere, due specie, in
http://www.aedon.mulino.it, 2003.
254
Corte Costituzionale, 27 giugno 1986, n. 151.
255
È la stessa UNESCO ad osservare come “senza lasciarsi sfuggire il grande valore economico e sociale del patrimonio culturale e naturale, devono essere prese misure per promuovere e rinforzare l’eminente valore culturale ed educativo di questo patrimonio”, così come è possibile leggere nell’art. 62, Raccomandazione concernente la protezione, a livello nazionale, del patrimonio culturale e nazionale, approvata a Parigi il 16 novembre 1972.
256
GAMPAGLIA, G., L’azienda Museo: profili economici e gestionali, in Impresa commerciale e industriale, vol. 26,
3/2004, pp. 436 ss.
257
TARASCO, A. L., La gestione dei beni culturali degli enti locali: profili di diritto dell’economia, in Foro Amm.
CDS, 2006, pp. 2392 ss.
258
BARBATI, C., L’impresa museale: la prospettiva giuridica, in http://www.aedon.mulino.it, 2010.
259
TARASCO, A. L., La gestione dei beni culturali degli enti locali: profili di diritto dell’economia, in Foro Amm.
CDS, 2006, pp. 2396 ss.
260
La Corte dei Conti, con la delibera n. 8/2005/AUT, ha approvato la Relazione sul controllo Musei degli Enti locali, 2005, disponibile su http://www.corteconti.it: tale indagine ha evidenziato come, negli anni 2001-2002, più del 50%
delle entrate del sistema museale veneziano siano state di provenienza statale; le entrate derivanti dalla biglietteria e dai
servizi, ossia quelle su cui andrebbe valutata l’economicità della gestione imprenditoriale, raggiungono a stento il 30%,
dato comunque superiore rispetto ad una media nazionale che si aggira intorno al 25%.
58
del criterio di economicità, porterebbe ad integrare una fattispecie d’impresa 261, che, viceversa, è in
linea di principio da escludere qualora il museo tragga una cospicua parte delle proprie entrate non
dalla propria attività ma da sussidi pubblici o privati 262. Allo stato attuale della situazione, è pertanto
arduo poter ritenere configurabile una caratterizzazione imprenditoriale dei musei italiani.
Il risultato veneziano è derivato principalmente da una gestione più severa della biglietteria,
con la diminuzione delle fasce gratuite e l’aumento del costo del biglietto: queste iniziative non
hanno portato ad una contrazione delle visite, tanto che il Palazzo Ducale rappresenta il secondo
museo più visitato d’Italia263. Pare dunque che condizioni più restrittive all’entrata, riscontrabili nel
maggior pagamento di un biglietto, non abbiano influenzato il grado di accessibilità al bene culturale264. Parallelamente, una restrizione delle possibilità di libera e gratuita riproduzione dell’immagine
del bene culturale potrebbe essere un fattore neutro all’utenza e non pregiudicare il grado di fruibilità dello stesso? Diventa difficile valutare la portata degli effetti di questo interrogativo alla luce della prassi, in mancanza di dati specifici.
Se l’attività complessiva del museo non può considerarsi imprenditoriale, possono d’altro
canto esserlo le attività ad esso connesse singolarmente considerate. La gestione del servizio di riproduzione è da considerarsi di natura privatistica e commerciale, in quanto esso è accessorio e facoltativo rispetto allo scopo del museo: questo vale per i concessionari, ma non per gli enti pubblici
che vendono pubblicazioni265. Secondo rilevazioni statistiche riferite ad oltre dieci anni dopo l’entrata in vigore della legge Ronchey, solo un terzo dei musei locali aveva organizzato un servizio
editoriale, facendo in gran parte ancora leva su una gestione diretta anziché esternalizzare mediante
affidamento ai privati: in aggiunta a questo, i musei pubblici tendono a non avere una contabilità distinta rispetto all’ente di appartenenza, rendendo difficile stabilire quantitativamente non solo la misurazione dei costi, ma anche una chiara percezione delle voci in entrata, tra cui quella relativa ai
corrispettivi per la riproduzione del bene culturale266.
L’autonomia organizzativa che ha da essere riconosciuta al museo pubblico perché esso possa indirizzarsi verso una migliore definizione delle proprie attività e finalità 267 non è affatto un pun261
Come osserva che possa avvenire per le collezioni d’arte LEOZAPPA, A. M., Le collezioni d’arte contemporanea tra
diritto di autore e diritto di impresa, in Giur. Comm., 5/2005, pp. 658 ss.
262
OLIVIERI, G. - STELLA RICHTER, M., I marchi dei musei, in AIDA, 1999, p. 225.
263
Secondo la classifica per il 2012 di The Art Newspaper, in http://www.theartnewspaper.com.
264
In effetti, indagini sulla elasticità della domanda museale sembrano testimoniare che l’agire sul prezzo del biglietto
non comporta grosse variazioni nell’affluenza di pubblico: la domanda si presenta quindi sostanzialmente anelastica. Si
veda FREY, B. S. – MEIER, S., The Economics of Museums, in GINSBURGH, V. - THROSBY, C. D. (a cura di), Handbook of
the Economics of Art and Culture, Amsterdam, 2006, p. 1021.
265
Cons. Stato, sez. V, 8 novembre 1995, n. 1532, in Foro Amm., 1995, p. 2586, fondando l’esclusione degli enti pubblici sulla base dell’art. 61, comma 12, lett. l), d.m. 4 agosto 1988, n. 375, Norme di esecuzione della legge 11 giugno
1971, n. 426, sulla disciplina del commercio.
266
TARASCO, A. L., La gestione dei beni culturali degli enti locali: profili di diritto dell’economia, in Foro Amm.
CDS, 2006, pp. 2392 ss.
267
Lo sviluppo di una politica che tuteli e valorizzi queste istanze autonomistiche culturali dei musei trova ragion
d’essere negli articoli 9 e 33 della Costituzione secondo AINIS, M., Lo statuto giuridico dei musei, in Riv. Trim. Dir.
59
to fermo nello sviluppo del settore, sia per i musei statali, vincolati in una rigida rete istituzionale,
sia per i musei locali, frenati talvolta dalle restie politiche dei governi territoriali 268. Su questo versante, si è cercato di passare da un museo-oggetto, concepito come semplice ufficio dell’amministrazione, ad un museo-soggetto, tramite il conferimento di personalità giuridica di diritto privato,
secondo il modello di fondazioni ed associazioni, ossia di organizzazioni a finalità non economiche269, avvicinando il museo pubblico al museo privato, che si autodetermina ed è autoresponsabile.
Naturalmente, la trasformazione nella soggettività giuridica del museo non determina un mutamento
nelle finalità dell’istituto museale, che rimangono orientate al promovimento della cultura, e nemmeno nello status del bene culturale eventualmente ivi contenuto: il cambiamento del regime del
museo non determina a cascata un diverso tipo di proprietà degli oggetti che esso raccoglie, per cui
è ben possibile immaginare raccolte di appartenenza pubblica contenute in musei a gestione privata270. Le raccolte dei musei, se appartenenti allo Stato, alle province o ai comuni, fanno parte del demanio pubblico e, per questa ragione, sono inalienabili 271. Il bene culturale, pertanto, per quanto
possa essere detenuto in una struttura a gestione privata, rimane di appartenenza dell’ente pubblico
e, di conseguenza, resta la necessità di versamento di un corrispettivo per la riproduzione. Il Codice
prevede espressamente che i corrispettivi per la riproduzione dei beni culturali siano versati ai soggetti pubblici cui gli istituti, i luoghi o i singoli beni appartengono o sono in consegna 272: da un simile dettato normativo deriva che all’ente pubblico spetta il corrispettivo per la riproduzione di un
bene culturale di sua appartenenza, fosse anche sito in una struttura non direttamente afferente all’amministrazione. Non necessariamente, tuttavia, la creazione di una fondazione comporta il conferimento in uso dei beni da parte del Ministero. Occorre notare che l’articolo 107 prevede il consenso dell’amministrazione per i soli beni che abbia in consegna: se la gestione materiale è di un ente
privato, spetterà ad esso, e non ad un responsabile pubblico, vagliare le richieste per porre il proprio
consenso.
Un’autonomia organizzativa non implica l’approdo alla dimensione dell’impresa commerciale273, ma è il primo passo per la creazione di un sistema culturale pluralista, in cui il confronto tra
le diverse offerte museali può essere svolto in primo luogo tramite la distinzione operata da un se-
Pubbl., 1998, pp. 396 ss.
268
BARBATI, C., L’impresa museale: la prospettiva giuridica, in http://www.aedon.mulino.it, 2010.
269
Sulle nozioni base di associazioni e fondazioni, si veda, TORRENTE, A. - SCHLESINGER, P., Manuale di diritto privato, Milano, 2007, pp. 147 ss.
270
SEVERINI, G., Musei pubblici e musei privati: un genere, due specie, in http://www.aedon.mulino.it, 2003.
271
Combinato disposto degli artt. 822, comma 2; 823, comma 1; 824, comma 1, Codice Civile. Il medesimo regime è
ripreso e specificato negli artt. 53 ss. d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
272
Art. 110, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
273
Evidenzia i rischi di questo fraintendimento ZAN, L., La trasformazione delle organizzazioni culturali in fondazione: la prospettiva manageriale, in http://www.aedon.mulino.it, 2003.
60
gno distintivo quale il marchio 274. Il marchio non ha l’unica funzione di distinguere un prodotto all’interno del mercato: esso, in casi come questo, permette la caratterizzazione di un territorio e di un
ambito culturale. In quest’ottica, l’impresa risulta idealmente formata dai soggetti che operano nell’ambito di quel territorio avvantaggiandosi del suo marchio275. Un museo ha interesse ad adottare
un marchio perché con esso va a caratterizzare la propria offerta culturale, rendendo i beni culturali
l’oggetto di un’impresa consistente nel servizio pubblico della fruizione, visiva e culturale, delle
opere esposte276. In particolar modo, a questo punto l’immagine del bene culturale verrebbe a rilevare sotto il profilo della concorrenza sleale qualora altri utilizzasse l’immagine. Le restrizioni a cui è
sottoposta la riproduzione dei beni culturali potrebbero essere giustificate dalla volontà di impedire
un uso scorretto della loro immagine a danno della comunità territoriale per la conseguente possibilità di creare confusione, determinare discredito ed anche danneggiare la reputazione dei beni culturali stessi277. Si tratta di una suggestione difficilmente ancorabile al diritto positivo, ma che, astrattamente elaborata, si pone come alternativa economicistica alla giustificazione della limitazione alla
riproduzione dei beni culturali tramite la soluzione del danno all’immagine. In entrambi i casi, la
ratio del controllo sull’immagine del bene culturale a discapito della sua accessibilità può essere
rintracciata nella volontà di evitare un danno alla comunità. A ben vedere, è questa la dimensione
più consona a rintracciare un profilo economicamente interessante a partire dal museo, il quale non
crea profitto in sé e per sé, ma, oltre a generare un indotto turistico a vantaggio del luogo circostante, qualifica culturalmente le attività che trovano sede in quella comunità, aumentandone l’apprezzamento ed il valore. E allo stesso modo con cui un prodotto, nell’intenzione dell’imprenditore,
deve essere conosciuto senza essere svilito, così anche per il bene culturale occorre trovare un giusto compromesso tra il suo grado di accessibilità e la preservazione del suo alto contenuto, nell’interesse non solo degli utenti ma anche della comunità di provenienza.
2.2 Il museo e i diritti d’autore e di proprietà
Sembrerà banale rilevarlo, ma l’accesso alle immagini dell’arte è essenziale per studio, ricerca e diffusione della cultura, ragion per cui è fondamentale capire come un museo gestisca simili
immagini278. Sull’altro piatto della bilancia, occorre considerare che il controllo sull’immagine dei
beni del museo rappresenta un’occasione per l’ottenimento di corrispettivi dalla riproduzione di immagini dei beni ivi contenuti ed una garanzia di corretta diffusione fungendo da ostacolo a riprodu274
OLIVIERI, G. - STELLA RICHTER, M., I marchi dei musei, in AIDA, 1999, p. 222.
LEMME, G., Gli Open Air Museums come risorsa economica, in http://www.aedon.mulino.it, 2010.
276
Così secondo SCOGNAMIGLIO, C., Proprietà museale ed usi non autorizzati di terzi, in AIDA, 1999, p. 67.
277
In parallelismo con il disposto dell’art. 2598, Codice Civile.
278
È a partire da questa riflessione che si muove l’indagine di CREWS, K. D., Copyright, museums, and licensing of
art images, in http://www.kressfoundation.org, 2011.
275
61
zioni inaccurate279. Paradossalmente, i musei stessi, nel loro tentativo di arginare la proliferazione di
riproduzioni, talvolta danno origine alla diffusione di immagini che non rispecchiano l’opera: se per
evitare che un’immagine rappresentativa venga utilizzata ad libitum si fornisce alle pubblicazioni o
sulle pagine multimediali una raffigurazione a risoluzione degradata od a colori alterati, non si rischia di ottenere un risultato peggiore tale da compromettere addirittura la conoscenza dell’opera
stessa da parte del pubblico? Ricordando d’altra parte che scarsità non è sempre sinonimo di migliore qualità, l’istituto museale può ottenere il risultato di restringere il diffondersi delle immagini delle opere in esso custodite impedendo, con un apposito divieto, la possibilità ai visitatori di scattare
fotografie: ragionamento, questo, che va a soffocare anche quelle possibilità in cui sono state confinate le libere utilizzazioni e che si pone in contrasto con la “natura comunitaria” del bene culturale,
che dovrebbe essere considerato un patrimonio di tutti. Ovviamente, un bene culturale non può rimanere ignoto al pubblico e quindi una sua conoscenza, anche tramite la rappresentazione visiva,
deve essere in qualche modo assicurata. Che ciò avvenga anche solo tramite poche fonti a questo
appositamente autorizzate, è sufficiente per aprire falle nel sistema di controllo sull’immagine, dato
che con la tecnologia simili raffigurazioni possono trovare modo di essere replicate, a pregiudizio di
quegli operatori economici che fanno di tali riproduzioni un potente contenuto del loro giro d’affari.
Tali operatori, di solito, sono scelti dal museo in base alle garanzie di professionalità nel gestire la
diffusione delle immagini: in particolar modo, si avrà cura di specificare il contenuto dei diritti di
proprietà, le tematiche sullo sviluppo delle immagini, gli standard di qualità delle immagini, i corrispettivi dovuti, le garanzie e le responsabilità nella corretta esecuzione del contratto280.
Il museo può avere un diritto di riproduzione in base alla legge sul diritto d’autore se lo ha
esplicitamente acquisito in via definitiva o temporanea, altrimenti ne è titolare l’autore stesso 281: raramente tuttavia il museo si assicura tale diritto. Sulla tematica del diritto d’autore, valga quanto si è
già detto in precedenza: qui è possibile aggiungere un’ulteriore postilla su come anche la riproduzione nelle antologie ad uso scolastico, e quindi all’interno di mezzi che per principio sono funzionali alla diffusione della cultura, sia vincolata al rispetto di determinate misure ed a pagamento mediante equo compenso282. Bisogna ricordare che, tuttavia, solo minima parte dei beni culturali ricade
nella sfera del diritto d’autore e, per di più, è appositamente specificato che la riproduzione dei beni
culturali è oggetto di particolare regime al di fuori del diritto d’autore283, il quale, come già ricordato, ha presupposti e ragioni totalmente differenti. Analizzando le forme con cui i musei statunitensi
279
Sono queste le ragioni che porta a proprio sostegno il Museum Copyright Group, come è possibile leggere all’interno della sua pagina web all’URL http://museumscopyright.org.uk.
280
STABILE, S., Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, in Dir. ind., 3/2002, p. 303.
281
Art. 109, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo
esercizio.
282
Art. 70, comma 2, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo
esercizio.
283
Art. 107, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
62
reclamano un controllo sulla diffusione delle opere in essi contenute, è stato osservato che spesso
v’è un richiamo improprio alla tutela della proprietà intellettuale mediante diversi espedienti: rivendicazione di falsi copyright; affermazione di copyright non posseduti dal museo; rivendicazione di
ulteriori diritti rispetto al copyright; affermazione di diritti di stampo morale 284. Simili giustificazioni risultano labili se non addirittura inappropriate, mascherando il tentativo di frenare una incontrollata diffusione di riproduzioni in pubblico dominio che l’istituto museale ritiene sfruttabili in termini economici. Tutt’altro discorso è, naturalmente, quel che riguarda le riproduzioni di proprietà del
museo, per le quali si applicherà, ove possibile, la disciplina del diritto d’autore sulla riproduzione
stessa.
Tipicamente, il ruolo di intermediario tra l’opera e la diffusione al pubblico mediante riproduzione dell’opera è svolto dagli editori, che con le loro pubblicazioni agevolano conoscenze e flusso di informazioni, ma la cui funzione risulta ultimamente come schiacciata tra un’incudine ed un
martello. Da un lato, gli editori hanno da concordare l’accesso e l’utilizzazione dell’immagine del
bene culturale con l’autorità di riferimento, non valendo a nulla l’invocazione della libera utilizzazione per finalità culturali o per la parzialità della riproduzione o per l’assenza di finalità lucrative
in presenza di prezzi fissati a livello più basso rispetto ai costi di riproduzione 285; dall’altro lato,
essi rischiano di non vedersi riconosciuti diritti d’autore sulle riproduzioni meramente rappresentative e prive di una minima creatività, come può avvenire nell’illustrare un bene culturale qualora si
abbia un fine meramente documentale286. A quest’ultimo riguardo, ha fatto molto discutere oltreoceano un caso risolto dalla Corte del Distretto Meridionale di New York: pur non essendo una decisione derivante da una corte superiore, il caso c.d. Bridgeman 287 ha avuto molta eco, ispirando anche corti di altri stati federati. Esso è andato a frustrare le aspettative di un editore che, anziché riuscire a frenare l’uso che un’altra impresa faceva delle immagini di sua proprietà raffiguranti opere
d’arte, s’è visto disconoscere il requisito di tutela secondo copyright di quelle fotografie in quanto
ritenute copie servili senza un minimo di originalità rispetto alle opere d’arte riprodotte. Si può invece osservare come nelle riproduzioni operate manualmente si ritrovi generalmente quel requisito
di abilità sufficiente a rendere la riproduzione oggetto di tutela288.
284
CREWS, K. D., Museum policies and art images: conflicting objectives and copyright overreaching, in Fordham
Intell. Prop. Media & Ent. L. J., vol. 22, 2012, pp. 821 ss.
285
Con richiamo anche ai casi giurisprudenziali in cui si è vanamente cercato di far valere simili motivazioni, si veda
MOTTI, C., Opere protette e diritti dell’autore e del museo, in AIDA, 1999, p. 104.
286
Si ricorda che il riferimento per le fotografie raffiguranti oggetti materiali è l’art. 87, comma 2, d.lgs. 22 aprile
1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio. Si ricorda che il comma 1 del
suddetto articolo fa salve le riproduzioni di opere dell’arte figurativa, proprio per assicurare una maggior tutela alle in dustrie editoriali secondo BOCCA, R., La tutela della fotografia tra diritto d’autore, diritti connessi e nuove tecnologie,
in AIDA, 2002, p. 384.
287
Bridgeman Art Library, Ltd. v. Corel Corp., 36 F. Supp. 2d 191 (S.D.N.Y. 1999).
288
Sempre in ambito statunitense, il riferimento è al caso Alfred Bell & Co. v. Catalda Fine Arts, Inc. 191 F.2d 99 (2d
Cir. 1951), in cui le acqueforti raffiguranti opere artistiche in pubblico dominio sono state ritenute meritevoli della tutela del copyright in quanto forme di interpretazione artistica.
63
Spesso i musei si affidano ad apposite società per la vendita e la gestione dei diritti di riproduzione delle loro opere. In ambito italiano, il Ministero preposto ai beni culturali ha stipulato accordi con società in possesso di notevoli archivi fotografici: mentre il Ministero potrà ottenere in
uso a condizioni agevolate le fotografie di tali archivi, le suddette società potranno utilizzare le fotografie raffiguranti beni culturali a fronte del pagamento di una ridotta somma forfetaria e rispettando precise condizioni su modalità e qualità delle riproduzioni289.
Il tipo di controllo che l’istituto museale esercita sul bene culturale non nasce ispirandosi
tanto al campo del diritto d’autore quanto a quello della proprietà. Occorre sempre tenere presente
che il potere del proprietario del bene museale non consiste tanto nella possibilità di escludere i terzi
dal godimento del bene, quanto nell’interesse a controllare e determinare l’utilizzazione economica290. L’immagine in sé non rientra fra le tipiche attività di controllo del proprietario sul suo bene,
anche perché l’immagine è esterna al bene, formandosi mediante l’impressione su un supporto, sia
esso la retina oculare o la carta da fotografia. Il proprietario può però impedire che la diffusione dell’immagine pregiudichi le modalità di utilizzo del bene, la qual cosa varrebbe a dire, nel caso dei
musei, che si va ad esercitare un controllo sulla conformità della riproduzione secondo un interesse
che riguarda più l’intera comunità che il singolo museo in cui si trova il bene culturale. Simile pregiudizio può svilupparsi sotto aspetti diversi. Oltre alle ragioni prettamente economiche per ottenere
ricavi funzionali al sostenimento del museo ed ai più nobili motivi di controllo di un adeguato standard qualitativo sulla circolazione dei contenuti del bene culturale, sono state rintracciate altre giustificazioni per spiegare come mai un museo avrebbe da limitare la diffusione delle immagini delle
opere in esso conservate: v’è infatti la possibilità che tali limiti siano stati posti come clausola al
momento dell’acquisizione del bene da parte del museo, specialmente in caso di donazione; inoltre,
un’ulteriore spiegazione consiste nella volontà del museo di assicurarsi una tale reputazione da arrivare a censurare usi non consoni al raggiungimento di questo obiettivo 291; infine, possono sussistere
esigenze di preservazione del bene e di garanzia della sicurezza pubblica. Sono valide motivazioni
per ritenere che, in loro mancanza, venga pregiudicata la funzione del bene culturale innanzi alla
comunità? La valutazione non può che essere fatta caso per caso. In effetti, se ben si considera, questo ragionamento non spiega le restrizioni poste anticipatamente alla riproduzione in sé, ma, semmai, pone le basi per una maggior razionalizzazione dell’uso che verrà fatto della riproduzione: con
ciò, si torna a considerare che difficilmente possono spiegarsi gli ostacoli alla libera riproduzione di
289
All’URL http://www.unsabeniculturali.it è disponibile il rinnovo dell’accordo tra il Ministero e le società Fratelli
Alinari I.D.E.A. e Scala Group stipulato nel 2006 secondo una prassi costante già dai primi anni successivi alla legge
Ronchey.
290
SCOGNAMIGLIO, C., Proprietà museale ed usi non autorizzati di terzi, in AIDA, 1999, p. 74.
291
CREWS, K. D., Museum policies and art images: conflicting objectives and copyright overreaching, in Fordham
Intell. Prop. Media & Ent. L. J., vol. 22, 2012, pp. 812 ss.
64
beni culturali sulla base del diritto di proprietà 292. Del resto, s’è notato che i modi differenti di connotarsi della titolarità della proprietà museale sul piano soggettivo non comportano diversità nei rimedi, specialmente risarcitori293, nonostante le peculiarità con cui si manifestano le modalità e la natura del pregiudizio in un contesto di collettività pubblica rispetto ad una dimensione privata294.
Occorre valutare a quale parametro commisurarsi: oltre alla strada del risarcimento del danno, si possono avanzare altre ipotesi. Si può, per esempio, ritenere sussistente il conseguimento di
un ingiusto arricchimento295, ma è incerto se da una simile fattispecie sia possibile ricavare un generale principio che porti a versare al titolare dell’interesse stesso quanto ricavato, e non soltanto la
correlativa diminuzione patrimoniale verificatasi. Il danno risarcibile derivante dall’illecita utilizzazione delle riproduzioni del bene culturale può stabilirsi in base al valore di mercato delle riproduzioni ed alle conseguenze dell’utilizzazione che abbiano comportato una compromissione della funzionalità per il museo, quale, per esempio, lo scioglimento di un contratto di sponsorizzazione a
causa del diminuito prestigio dell’opera 296. Sennonché, è immediatamente rilevabile come l’ipotesi
dell’ingiusto arricchimento richieda – e come potrebbe essere altrimenti? – un altrui arricchimento.
Non potrebbe rientrare nella fattispecie l’impiego improprio dell’immagine del bene culturale che
non comporti un fine di profitto per l’utente, come nel caso di una diffusione dell’immagine per
scopi puramente ludici o di intrattenimento. Per quanto una simile configurazione sia ragionevole,
le norme del Codice, prevedendo un regime specifico di libere utilizzazioni, rende tout court soggetto ad autorizzazione ed a corrispettivo ogni altro uso.
Il risarcimento del danno si presenta come la strada preferibile per configurare la possibilità
per il museo di far valere i propri diritti violati. A monte, la previsione di un corrispettivo a priori
non può trovare giustificazione in un danno non ancora avvenuto. Solo successivamente all’uso non
consentito si potrà proporre domanda di risarcimento in base al danno causato per lo svilimento del
bene culturale. La previsione di un corrispettivo anticipato dovuto per la riproduzione dei beni culturali in consegna all’autorità pubblica, senza che sia remissivamente considerato un dato di fatto,
va spiegata in altro modo. A fidarsi della terminologia adoperata dal legislatore, l’onere pecuniario
previsto non è configurato come una tassa, bensì come un corrispettivo 297. Ne consegue che il pagamento è dovuto in risposta ad un servizio ricevuto, presumibilmente consistente nella effettiva ed
292
STÉRIN, A.-L., Un musée peut-il interdire de photographier?, in http://www.adbs.fr, 2011.
SCOGNAMIGLIO, C., Proprietà museale ed usi non autorizzati di terzi, in AIDA, 1999, pp. 70 ss.
294
In base a quest’osservazione, mostra alcune perplessità nell’ipotizzare una fattispecie di danno all’immagine per
beni culturali di proprietà pubblica CORNU, M., Droit des biens culturels et des archives, in http://eduscol.education.fr,
2003, p. 25.
295
Art. 2041, Codice Civile.
296
SCOGNAMIGLIO, C., Proprietà museale ed usi non autorizzati di terzi, in AIDA, 1999, pp. 79 ss.
297
La distinzione tra tasse e corrispettivi di pubblici servizi è riconosciuta ardua dagli stessi tributaristi, ma, in via ge nerale, si può configurare un corrispettivo se la fonte del rapporto sia un contratto o, in mancanza di esso, il procedimento acquisitivo non è di stampo esclusivamente coattivo. Si veda FALSITTA, G., Corso istituzionale di diritto tributario, Padova, 2012, pp. 15-16.
293
65
efficace messa a disposizione del bene culturale. È questa però la missione stessa del museo, che rischia di essere tradita dalla restrizione nella diffusione della cultura in luogo del suo promovimento.
Già in molti casi è previsto il pagamento di un biglietto all’ingresso: rispetto ad esso, il corrispettivo
per la riproduzione si affianca per coprire un servizio ulteriore 298. La previsione di simili limiti sull’accesso alla cultura corre il rischio di apparire beffarda e, talvolta, paradossale: mentre la riproduzione effettuata dall’utente ha da valicare il consenso dell’autorità ed eventualmente il pagamento di
un corrispettivo, il museo stesso può aver messo a libera disposizione sul web una galleria fotografica delle opere esposte.
La ricostruzione di gallerie multimediali è una pratica che sta avendo notevole diffusione.
Numerosi sono i progetti che vedono coinvolta una grande quantità di istituti museali. Per la larga
propensione alla diffusione che caratterizza il web, si ritiene opportuno dedicare un apposito paragrafo a questa tematica.
2.3 Il museo ed il web
Tra le misure annunciate all’inizio dell’agosto 2013 per valorizzare la cultura secondo un
progetto normativo che, a detta dei proponenti, rappresenterebbe il più importante intervento nel
settore culturale in Italia dopo decenni, è specificamente presente la previsione di una massiccia digitalizzazione del patrimonio culturale al fine di facilitarne l’accesso e la fruizione da parte del pubblico299. In precedenza, già nel 2010 il Ministero per i beni e le attività culturali aveva sottoscritto
un accordo con una nota impresa di servizi online per la digitalizzazione e messa in rete di circa un
milione di pregiati volumi custoditi nelle biblioteche nazionali, per renderli reperibili gratuitamente
in rete con facilità nel giro di pochi anni. Limitandosi all’analisi di quanto è stato già fatto al momento della redazione di questa scrittura, si può osservare come il percorso verso la multimedialità,
dopo le diffidenze iniziali, è stato decisamente riconsiderato da parte degli istituti museali. Si è portati a ritenere la rete Internet la forma probabilmente più idonea, per caratteristiche tecniche e sociali, a diffondere in modo rapido contenuti culturali presso un’ampia parte della popolazione mondiale. Allo stesso tempo, però, l’immissione sul web di immagini di beni culturali comporta il rischio
di una loro diffusione incontrollata, con i conseguenti interrogativi in tema di libera riproduzione
delle immagini, di protezione contro riproduzioni o alterazioni non autorizzate, di commercializza-
298
CARPENTIERI, R., Artt. 107-108-109, in R. TAMIOZZO (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2005, p. 472.
299
Tale annuncio s’è poi concretato nell’art. 2, comma 1, d.l. 8 agosto 2013, n. 91, Disposizioni urgenti per la tutela,
la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo, convertito in legge 7 ottobre 2013, n. 112,
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, recante disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo.
66
zione abusiva300, nonché di lesione della fede pubblica, di superficialità e confusione nella fruizione301.
Per evitare di incorrere in simili rischi, si è assistito ad una proliferazione di progetti di digitalizzazione che garantiscano qualità e sicurezza sulla provenienza dell’informazione, tanto ad opera dei singoli musei (una delle prime notevoli esperienze è stata quella operata dal Rijksmuseum di
Amsterdam) quanto in forma coordinata tra reti culturali, sia a livello nazionale sia a livello comunitario ed internazionale302. La via verso la digitalizzazione è stata tracciata a livello globale: l’UNESCO303 ha riconosciuto che il patrimonio digitale va sviluppato e preservato per le sue importanti
funzioni, in primis culturali; l’Unione Europea304, ritenendo che le conoscenze culturali e scientifiche europee formino un patrimonio di pubblico valore, ha stabilito dei princìpi pratici ed orientativi
per garantire una digitalizzazione di contenuti culturali funzionale al cittadino. Non solo: la digitalizzazione delle opere dei musei è stata incoraggiata anche dall’OMPI (Organizzazione Mondiale
della Proprietà Intellettuale), che ha avviato studi per definire procedure tipo e modelli contrattuali
adeguati in tema di licenze, e dall’IIPI (International Intellectual Property Institute), che ha attivato
un progetto per formare professionalità che assistano i musei nella digitalizzazione delle immagini e
nella gestione successiva a tale processo. Tra le cause che hanno in alcuni casi frenato le procedure
di digitalizzazione da parte dei musei, soprattutto riguardo ai repertori più vasti, oltre alla lamentata
carenza di fondi e di tecnologie adeguate a loro disposizione, c’è infatti anche la mancanza di apposite competenze nel personale305. Il procedimento di digitalizzazione consiste nella creazione di copie virtuali mediante l’acquisizione di molteplici fotografie così da ottenere una riproduzione fedele
ai minimi particolari: sostanzialmente, quindi, la disciplina applicabile rimane quella legata alle fotografie306, avendo costantemente la cura di ricordarne le conseguenze in tema di diritto d’autore.
Diverse sono le possibilità con cui un museo può utilizzare il proprio web-space: può semplicemente fornire informazioni e notizie ed un limitato e parziale assaggio delle immagini dei beni
ivi contenuti, ma può anche costituire una vera e propria galleria multimediale delle opere che espone e delle mostre che ospita, così da formare una sorta di museo virtuale in corrispondenza al museo
300
STABILE, S., Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, in Dir. ind., 3/2002, pp. 299 ss.
SESSA, V. M., La tutela degli interessi pubblici e privati nella riproduzione delle opere d’arte, in Foro Amm.,
4/2001, pp. 1019 ss.
302
Per avere una rapida impressione di come sia divenuta di preponderante importanza la questione della diffusione
on-line del patrimonio culturale, è sufficiente scorrere il sommario del testo monografico, presentato al Forum della
Pubblica Amministrazione tenutosi a Roma il 16-19 maggio 2012, Il MIBAC a servizio dei cittadini, reperibile in
http://www.beniculturali.it.
303
Con la Carta sulla conservazione del patrimonio digitale, adottata a Parigi il 17 ottobre 2003.
304
In particolar modo, si segnalano i risultati conseguiti dalla riunione di esperti a Lund, il 4 aprile 2001, che hanno
fissato i punti fondamentali per poter dare origine al progetto MINERVA (MInsterial NEtwoRk for Valorising Activities
in digitisation), che ha funzioni di supporto e coordinamento a livello europeo tra i Ministri della Cultura.
305
ZORICH, D., Transitioning to a Digital World: Art History, Its Research Centers, and Digital Scholarship, consultabile all’URL http://www.kressfoundation.org, 2012, pp. 18 ss.
306
SESSA, V. M., La tutela degli interessi pubblici e privati nella riproduzione delle opere d’arte, in Foro Amm.,
4/2001, pp. 1046 ss.
301
67
reale307. Tendenzialmente, non ci dovrebbe essere il rischio di una sovrapposizione tra i due ambienti: finora non si è verificato il timore che la virtualità erodesse la realtà. Certo si può ben capire che
difficilmente un soggetto potenzialmente interessato alla visita di un museo possa accontentarsi di
un’immagine digitale308: per quanto già dalla riproduzione dell’immagine in alta risoluzione possa
avvenire una prima trasmissione di contenuti, la decisione di visitare un museo raramente viene
meno per la soddisfazione nell’aver preso visione dell’immagine dell’opera, mentre è più vero il discorso inverso, e cioè che la conoscenza dell’opera può indurre alla visita colui che altrimenti non
si sarebbe interessato a quell’ambito culturale. La riproduzione dell’immagine non è neutra rispetto
all’utente, ma nemmeno sostitutiva in toto: fornisce una prima serie di informazioni e veicola quella
parte di contenuti più immediata309.
Seguendo questo presupposto, i musei, nell’organizzare gallerie digitali delle opere che
espongono, non solo svolgono appieno la loro missione culturale al servizio della società, ma anche
pubblicizzano le loro esposizioni in modo da attirare più visitatori: anziché affannarsi nella ricerca
di dispendiosi mezzi legali e tecnologici per difendere il proprio controllo sui beni, i musei traggono
un’indubbia pubblicità da una libera circolazione delle immagini di quanto contengono310.
Per garantire un corretto impiego delle immagini messe a disposizione del pubblico, si può
ricorrere ad un sistema di Digital Rights Management, come può esserlo la marchiatura elettronica
(digital watermarking), la quale prevede l’inserimento all’interno del bene di informazioni utili a
definirne i contorni di proprietà intellettuale. Inoltre, si può ricorrere a forme di tracing, ossia avere
la possibilità di rintracciare la copia distribuita in rete; a meccanismi che controllino se vi siano le
dovute autorizzazioni; a sistemi automatici di pagamento per la visualizzazione del file311. In caso di
mancata autorizzazione, la responsabilità della diffusione illecita mediante Internet è del singolo
utente che l’ha causata, salvo casi di siti web che indicizzano le informazioni degli utenti o di diretta
responsabilità del provider, il quale, comunque, dovrà procedere prontamente alla rimozione dei
contenuti dal momento in cui è venuto a conoscenza della violazione312. Colui che, autorizzato a farlo, immette l’immagine in rete accetta ed anzi presuppone l’ipotesi che tale immagine venga visualizzata da terzi necessariamente tramite una forma di riproduzione, perlomeno in via temporanea
307
BERTUGLIA, C. S. - BERTUGLIA, F. - MAGNAGHI, A., Il museo tra reale e virtuale, Roma, 1999, p. 148.
Non esclude a priori quest’eventualità PINNA, A., Problemi relativi alla riproduzione on line di opere museali protette dal diritto d’autore, in Nuova Museologia, 1/2001, p. 12.
309
Si vedano le riflessioni di BERTUGLIA, C. S. - BERTUGLIA, F. - MAGNAGHI, A., Il museo tra reale e virtuale, Roma,
1999, pp. 149 ss.
310
BALLON, H. - WESTERMANN, M., Art History and its publications in the Electronic Age, disponibile in
http://cnx.org, 2006, pp. 30 ss.
311
SESSA, V. M., La tutela degli interessi pubblici e privati nella riproduzione delle opere d’arte, in Foro Amm.,
4/2001, pp. 1054 ss.
312
Il riferimento legislativo legato alla responsabilità del provider (ossia del fornitore di servizi Internet) è il d.lgs. 9
aprile 2003, n. 70, Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società del l’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico. Data l’esponenziale diffusione del web, la giurisprudenza che ne è seguita è copiosa.
308
68
sullo schermo del computer nel momento della visualizzazione. Quel che non si accetta è che, a partire da questo punto, possa prodursi un’ulteriore diffusione fuori dal controllo del sito di provenienza, con la produzione di altre copie non autorizzate. Si tratta di un fenomeno particolarmente caratteristico del mondo digitale, dove la mancanza di un supporto fisico implica che la circolazione dei
contenuti avvenga mediante copia313. Per questo motivo, si suole distinguere dalla riproduzione tout
court la comunicazione al pubblico, la quale è contraddistinta dall’immissione di un’opera nella rete
telematica senza che ciò comporti la cessione del diritto di riproduzione ma soltanto quello di comunicazione314.
Certamente anche le fotografie su supporto materiale possono venire duplicate, ma, in aggiunta al fatto che la copia conseguente risulta di qualità visibilmente inferiore, il museo può esercitare su questo tipo di riproduzioni una forma più agevole di controllo, non essendovi una tale capillarità di canali di distribuzione come invece avviene nel mondo digitale, dove un’immagine può essere copiata e messa in circolazione nel giro di pochi secondi 315. Inoltre, la disponibilità di copie in
formato digitale consente di avere immagini in alta risoluzione, in grado di poter essere ingrandite,
non suscettibili al deterioramento operato dal tempo, cumulabili in database di grandi dimensioni e
facilmente accessibili: queste caratteristiche sono particolarmente appetibili soprattutto per la schiera di operatori professionali del settore, quali gli studiosi della storia dell’arte. D’altro canto, il passaggio dal formato analogico a quello digitale ha comportato effetti positivi anche per il business
museale: i musei più piccoli, con budget ridotto, che difficilmente potevano sostenere i costi di un
servizio di riproduzione specialmente di stampe in alta qualità, a fronte dei prezzi teoricamente inferiori delle immagini digitali possono essere incentivati ad aprirsi a questo settore secondo la modalità virtuale, per quanto, più che dall’offrire la riproduzione in sé, una maggior rimuneratività derivi
dalla gestione dei diritti legati all’immagine 316. In realtà, si verifica talvolta che il prezzo al pubblico
dell’immagine digitale offerta dal museo sia più elevato del corrispondente analogico, vuoi per la titubanza nello scindere online prezzi distinti per uso professionale o personale data la difficoltà di
scoprire le intenzioni di chi si cela dietro uno schermo 317, vuoi per la meticolosità del procedimento
di digitalizzazione ed il conseguente innalzamento del livello qualitativo offerto 318. Inoltre, spesso la
previsione del pagamento è riferita ad una licenza temporale: scaduto quel periodo d’utilizzo (soli313
SESSA, V. M., La tutela degli interessi pubblici e privati nella riproduzione delle opere d’arte, in Foro Amm.,
4/2001, pp. 1048 ss.
314
Art. 16, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
315
HAMMA, K., Public Domain Art in an Age of Easier Mechanical Reproducibility, in http://www.dlib.org, 2005.
316
TANNER, S. – DEEGAN, M.,
Exploring
Charging
Models for Digital Cultural Heritage in Europe, in
http://www.dlib.org, 2003.
317
BALLON, H. - WESTERMANN, M., Art History and its publications in the Electronic Age, disponibile in
http://cnx.org, 2006, p. 26.
318
SESSA, V. M., La tutela degli interessi pubblici e privati nella riproduzione delle opere d’arte, in Foro Amm.,
4/2001, p. 1048.
69
tamente ristretto, da uno a cinque anni), se la licenza non è rinnovata si viene privati della disponibilità dell’immagine319.
Spesso, i musei si rivolgono ad apposite società per la creazione e lo sviluppo di prodotti online: generalmente, tali società forniscono ai musei anche servizi di web hosting e di registrazione
dei nomi di dominio, secondo contratti redatti sulla base di prototipi definiti Museum Web Site Development Agreements. Le società interessate ad acquisire e gestire il portafoglio immagini sono
dette agency: possono poi cedere a terzi la licenza ove non sia altrimenti espressamente escluso.
L’accesso può richiedere una previa registrazione, non necessariamente ristretta a determinate classi
di utenti, per l’accettazione di policy del sito e licenza d’uso320. La banca dati delle immagini, al pari
delle fotografie, può soggiacere al regime del diritto d’autore ove ciò sia possibile in virtù del suo
carattere creativo321: nel caso di raccolte di opere d’arte, il carattere della creatività nella selezione
ed organizzazione dei dati si ritiene raggiunto nella quasi totalità dei casi322.
Le esperienze virtuali offrono altre prospettive per allargare gli orizzonti della diffusione del
bene culturale. Per alimentare l’accessibilità e la fruibilità di chi difficilmente riesce a godere appieno della visita al museo, si può sostenere la creazione di società che possano proporre sul mercato la
sottoscrizione a servizi di ausilio per l’utente, come, per esempio, un’applicazione che funga da guida al museo per i non vedenti 323. Con l’applicazione delle nuove tecnologie, il futuro dei musei può
essere radioso324. Necessariamente, questo può avvenire se si privilegia la maggior disponibilità ed
accessibilità dell’opera a scapito dei tentativi di volerne controllare la diffusione. Lo sviluppo tecnologico difficilmente può essere arrestato con prese di posizione restrittive; può, però, essere indirizzato verso le finalità più consone al raggiungimento degli obiettivi che caratterizzano le finalità degli istituti museali e dei beni culturali.
3. La libertà di panorama
3.1 Nozione di libertà di panorama
319
ZORICH, D., Transitioning to a Digital World: Art History, Its Research Centers, and Digital Scholarship , consultabile all’URL http://www.kressfoundation.org, 2012, p. 33.
320
GUERZONI, G. – STABILE, S., I diritti dei musei: la valorizzazione dei beni culturali nella prospettiva del rights ma nagement, Milano, 2003, pp. 233 ss.
321
Si ricorda che le disposizioni espressamente previste sulle banche di dati sono gli artt. 64-quinquies e 64-sexies,
d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
322
MANSANI, L., Musei, esposizioni e banche dati, in AIDA, 1999, p. 190.
323
ABRAMO, A. – SIAGRI, R., Le tecnologie dell’informazione e i servizi per l’accessibilità, in I. GAROFOLO – C. CONTI,
Accessibilità e valorizzazione dei beni culturali: temi per la progettazione di luoghi e spazi per tutti, Milano, 2012, pp.
91 ss.
324
“The digital future is bright for museums”: con queste parole introduce il proprio studio SHAPIRO, M. S., Museums
and the Digital Future, in http://www.wipo.int, 2000.
70
Nulla pare più spontaneo che osservare il mondo che ci circonda. Poter guardare l’ambiente
circostante è una facoltà tanto banale e connaturata all’uomo, come a molteplici altri esseri viventi,
da non essere mai stata messa in discussione. Un paesaggio, infatti, appartiene a tutti, ciascuno può
contemplarlo liberamente; allo stesso modo, ciascuno può disegnarlo o fotografarlo e riprodurre il
suo disegno o il suo scatto325. Ma fin dove possono spingersi i nostri occhi? Certi luoghi sono preclusi da barriere fisiche che ostacolano la vista: tipicamente, si tratta di ambienti racchiusi dentro un
perimetro artificiale di muri. La possibilità di superare questi confini e di accedere alla visione di
quanto è posto al loro interno dipende dalla tipologia di ambiente: se per vedere l’interno di un’abi tazione privata occorrerà il consenso del proprietario a pena della violazione della sua privacy, per
accedere ad un museo sarà sufficiente presentarsi durante l’orario in cui esso è aperto al pubblico e,
in taluni casi, pagare un biglietto di ingresso. Per la natura preclusa alla pubblica vista (perlomeno
in un momento iniziale superabile successivamente) di questi luoghi, potrebbe non stupire il fatto
che sia posto un controllo sulla diffusione delle immagini di quanto contengono. Un panorama che
invece è pienamente godibile da tutti non dovrebbe porre questi problemi: ci si aspetta che ciò che è
liberamente visibile sia anche liberamente riproducibile. Questa situazione è nota al diritto con il
concetto di libertà di panorama (Panoramafreiheit secondo la terminologia tedesca, da dove trova
origine, ossia panorama freedom nella traduzione inglese): su queste basi, ciascuno è libero di fare
riproduzioni di spazi pubblici ed utilizzarle tanto per fini personali quanto per fini commerciali.
Nell’epoca contemporanea, caratterizzata da mezzi di riproduzione sempre più sofisticati e
da una sempre maggiore velocità nella circolazione delle informazioni, il pubblico in grado di accedere alla vista di quanto non è precluso da alcuna barriera fisica è oramai identificabile con qualsiasi
cittadino del mondo. Emblematico è il servizio offerto da svariati siti e programmi informatici che
permettono ovunque e a chiunque la visualizzazione di ogni angolo del globo tramite immagini realizzate principalmente per via aerea o via satellite, ma non solo. D’altronde, ben diverso è escludere
l’accesso fisico alla proprietà rispetto all’inibire la divulgazione di quanto si può cogliere dall’esterno326.
Diversi ordinamenti conoscono espresse previsioni relative alla libertà di panorama. Tra tutti, alcuni testi particolarmente significativi meritano di essere ricordati. In Germania, è consentito riprodurre, diffondere e rendere pubblicamente fruibili le opere che si trovano esposte permanentemente in vie, strade o piazze pubbliche, con la precisazione che tale autorizzazione vale, nel caso
325
Quest’affermazione è l’esatta traduzione della riflessione giuridica di ROUAST, A., nota a CA Grenoble, 15 luglio
1919, in Dalloz Périodique, 2/1920, p. 9.
326
RESTA, G., L’immagine dei beni, in G. RESTA (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2011,
pp. 552 ss.
71
degli edifici, soltanto per il loro aspetto esterno 327. In Spagna, le opere situate permanentemente in
parchi, strade, piazze o altre vie pubbliche possono essere riprodotte, distribuite e comunicate liberamente328. In Brasile, le opere situate permanentemente in luoghi pubblici possono essere liberamente riprodotte in pitture, disegni, fotografie e processi audiovisivi 329. In Danimarca, si ha la cura
di distinguere la sorte degli edifici, sempre liberamente riproducibili, da quella delle opere d’arte
permanentemente situate in un luogo pubblico, per le quali la libera riproduzione non è consentita
unicamente nel caso in cui l’opera sia il soggetto principale di una riproduzione che abbia scopi
commerciali330. In Svizzera, le opere permanentemente situate in luogo pubblico o accessibile al
pubblico sono liberamente riproducibili, purché le immagini riprodotte non siano in formato tridimensionale né siano utilizzate per lo stesso scopo dell’originale 331. In sede di diritto dell’Unione Europea, occorre ricordare che, nell’armonizzare le discipline nazionali sul diritto d’autore, è possibile
che opere realizzate per essere collocate stabilmente in luoghi pubblici, come quelle architettoniche
o scultoree, siano oggetto di deroga rispetto al diritto di riproduzione 332: concettualmente, la soluzione apportata dal diritto europeo rischia di presentarsi come un’arma a doppio taglio perché, se da
un lato offre agli stati membri l’opportunità di non applicare il regime del diritto d’autore a quanto
si trova esposto alla pubblica vista, dall’altro presenta questa eventualità quale una possibile deroga
al diritto d’autore e non come una situazione naturaliter data. Nel common law statunitense, il concetto di panorama freedom difatti viaggia separatamente rispetto a quello di fair use333, anche se,
come si vedrà nell’esame della prassi, possono presentarsi dei punti di contatto.
In Italia, non c’è un’apposita previsione legislativa in merito alla libertà di panorama. In seguito alla legge Ronchey, una circolare del Ministero dei Beni Culturali indicava che le eventuali riprese di esterno eseguite fuori dai confini del monumento interessato non fossero soggette a concessione né tantomeno ad alcun pagamento 334. Non di vera ammissione di libertà di panorama si tratta:
pare piuttosto una deroga a quella disciplina generale che limita la riproduzione del bene culturale,
deroga dettata dall’impossibilità materiale di controllare tutto ciò che avviene nel flusso esterno del
327
§ 59, Urheberrechtsgesetz del 9 settembre 1965, BGBl., I, p. 1273.
Art. 35, Real Decreto legislativo, 12 aprile 1996, n. 1, Por el que se aprueba el texto refundido de la Ley de la
Propiedad Intelectual regularizando, aclarando y armonizando las disposiciones legales vigentes sobre la materia, così
come modificato dalla ley 6 marzo 1998, n. 5, Incorporaciόn al Derecho español de la Directiva 96/9/CE del
Parlamento Europeo y del Consejo, de 11 de marzo de 1996, sobre la protecciόn juridica de las bases de datos.
329
Art. 48, lei 19 febbraio 1998, n. 9610, Altera, atualiza e consolida a legislação sobre direitos autorais e dá outras
providências.
330
§ 24, LBK 27 febbraio 2010, n. 202, Ophavsretsloven.
331
Art. 27, legge 9 ottobre 1992, n. 231.1, Legge federale sul diritto d’autore e sui diritti di protezione affini.
332
Art. 5, comma 3, lett. h), della Direttiva del 22 maggio 2001 del Parlamento Europeo e del Consiglio, n.
2001/29/CE, Sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informa zione.
333
Ricordando che per fair use si intende l’insieme di casi in cui l’uso di un’opera protetta da copyright è libero e legittimo, chiarisce fin dalle prime battute della sua analisi la differenza che intercorre tra questo concetto e quello di panorama freedom NEWELL, B. C., Freedom of Panorama: a Comparative Look at International Restrictions on Public
Photography, in Creighton Law Review, vol. 44, 2011, p. 405.
334
Circ. Ministero per i beni culturali e ambientali, Gabinetto, Servizi Aggiuntivi, 7 giugno 1995, n. 50.
328
72
mondo. La formulazione stessa della norma rischia di creare effetti paradossali: forse che salire i
primi gradini della scalinata di un monumento significa penetrare nei suoi confini, e pertanto le fotografie scattate da quella posizione, a differenza di quelle scattate da coloro che stanno appena
qualche metro più distanti, fuori dal perimetro del bene culturale, non avrebbero potuto godere dell’apposita esenzione? Ciononostante, l’espresso richiamo a questa normativa è presente in taluni regolamenti locali a fini chiarificatori: occorre infatti ricordare che le modalità di fruizione del bene
da parte del pubblico sono determinate dai singoli enti territoriali.
La legislazione tedesca appositamente riconosce la sostanziale differenza in termini di escludibilità che intercorre tra un bene posto in un luogo chiuso e quello situato in un luogo aperto, lasciando, in quest’ultimo caso, piena libertà di impiego della riproduzione da parte dell’utente, considerando l’immagine oggetto di pubblico dominio335. Nel Codice Urbani manca tale distinzione e
non si riconosce un’espressa libertà di panorama. La disciplina legata alla riproduzione dei beni culturali sembra pertanto applicarsi indistintamente tanto a quei beni situati in un contesto chiuso quanto a quelli esposti alla pubblica vista. La portata di questa mancata distinzione diventa notevole se si
ricorda che, nell’elencare i beni culturali, in questa categoria rientrano, ad esempio, anche ville, parchi, giardini, pubbliche piazze, vie, strade ed altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico336, cioè un notevole numero di ambienti pubblicamente visibili. Quando un bene è esposto alla
pubblica vista, pare pretenzioso voler porre una riserva sulla fruizione dell’immagine, non fosse altro che l’esposizione, anche senza volersi considerare un atto di rinuncia ad un diritto esclusivo di
riproduzione del bene, ne rende in concreto impossibile l’esercizio337.
In realtà non è così. Sulla libertà di riprodurre il panorama circostante si sono spesso concentrati attenzione e dibattiti, a causa di tentativi di espansione sia delle prerogative personalistiche
private sia del controllo pubblico sulla valorizzazione del proprio patrimonio 338. Una valutazione a
livello comparato non si imbatte solo in enunciati legislativi, come quelli sopra riportati, che riconoscono espressamente la libertà di panorama. Sono presenti anche casi in cui tale libertà è negata, anche in riferimento a quei beni che, tra tutti, dovrebbero godere del massimo grado di diffusibilità: i
beni culturali. C’è la possibilità che gli articoli 107 e seguenti del Codice vadano a consentire una
lettura che avalli questa tendenza.
3.2 Il tramonto del panorama freedom?
335
RESTA, G., L’immagine dei beni, in G. RESTA (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2011, p.
579.
336
Art. 10, comma 4, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
FUSI, M., Sulla riproduzione non autorizzata di cose altrui in pubblicità, in Riv. Dir. Ind., 3/2006, pp. 101 ss.
338
RESTA, G., L’immagine dei beni, in G. RESTA (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2011,
pp. 553 ss.
337
73
I motivi per cui si può avere una ragione per impedire la riproduzione di un luogo esposto
alla pubblica vista sono molteplici. All’utente si richiede un arduo compito non solo nella capacità
di cogliere quali ambienti sono soggetti ad un limitato regime di riproduzione, ma anche nel comprendere l’autorità a cui rivolgersi nell’espletamento delle necessarie pratiche burocratiche per l’eventuale autorizzazione.
Vi possono essere ragioni legate alla pubblica sicurezza, nel proibire fotografie di luoghi
“sensibili” per ragioni politiche o militari: fino al 2010, era in vigore in Italia una normativa 339 sulla
cui base si impediva la divulgazione di notizie e di immagini non solo relative a siti prettamente militari, ma anche di ferrovie ed altri luoghi a cui garantire massima sicurezza.
Vi possono essere ragioni di stampo commerciale, qualora il proprietario tema un possibile
utilizzo sotto forma di concorrenza sleale, specialmente, ma non necessariamente, qualora la raffigurazione dell’edificio sia utilizzata come segno connotante un’attività di impresa. La giurisprudenza straniera fornisce spunti interessanti su questo versante: la Cour de Cassation francese ha ritenuto che costituisse un danno sufficientemente grave da suscitare un risarcimento l’impiego, da parte
di un’impresa vitivinicola, dell’immagine di un castello caratterizzante la zona di produzione ma di
proprietà di un’impresa concorrente340; di converso, in un celebre caso deciso da una Corte statunitense, si è ritenuto che l’impiego costante su prodotti commerciali dell’immagine dell’edificio di un
museo non fosse sufficiente per caratterizzarsi come emblema commerciale tale da meritare tutela a
fronte dell’impiego dell’immagine da parte di un fotografo all’interno di un poster, osservando che
l’oggetto dell’opera del fotografo non fosse un marchio bensì il bene stesso341.
Principalmente, però, le limitazioni più evidenti sorgono al confine con il diritto d’autore,
dove occorre contemperare la previsione di una remunerazione per l’autore con l’esigenza di garantire la fruizione, l’informazione e la condivisione dell’opera da parte della collettività342.
Alcune celebri installazioni non vedono ancora esauriti i diritti patrimoniali d’autore che si
possono rivendicare su di esse. Una particolare querelle ha riguardato l’immagine dell’Atomium,
costruzione tra le più caratterizzanti della città di Bruxelles 343: i diritti di riproduzione su quest’opera si esauriranno al 1 gennaio 2076, ossia al settantesimo anniversario della morte di André Waterkeyn, il suo ideatore, e la gestione di tali diritti è garantita dalla SABAM, la società belga degli autori, e dalla società senza fini di lucro Atomium, la quale ha soprattutto cura di evitare che l’immagine dell’opera sia impiegata in modo sconveniente rispetto al suo valore simbolico. Attualmente, nell’apposita pagina web, è possibile leggere sia che è considerato libero l’uso dell’immagine da parte
339
Il r.d. 11 luglio 1941, n. 1161, Norme relative al segreto militare, è stato abrogato dall’art. 2268, comma 1, d.lgs.
15 marzo 2010, n. 66, Codice dell’ordinamento militare.
340
Cour de Cassation, 1ère , 28 giugno 2012, n. 10-28.716, in Recueil Dalloz, 2012, p. 2218.
341
Rock & Roll Hall of Fame & Museum v. Gentile Prods., 71 F. Supp. 2d 755, 765 (N.D. Ohio 1999).
342
STELLA FAGGIONI, L., La libertà di panorama in Italia, in Dir. ind., 6/2011, p. 535.
343
Le informazioni sulla riproduzione dell’Atomium sono contenute nel sito web ufficiale http://www.atomium.be.
74
di privati che per scopi non commerciali inseriscano fotografie all’interno dei propri siti Internet
personali, sia che le tariffe per l’uso dell’immagine dipendono a seconda del fine culturale, educativo o commerciale: a quanto pare, non si ritiene che la libertà concessa allo scopo informativo possa
stridere con la previsione di un pagamento per quello culturale o educativo.
Negli Stati Uniti d’America, gli edifici sono protetti da copyright solo se costruiti dopo il
primo dicembre 1990, ma l’esclusiva sulla riproduzione non riguarda quelle costruzioni situate in
luogo pubblico o visibili da un luogo pubblico 344: per i monumenti e le altre opere creative non si
applica questa disciplina, ma quella più generale di tutela del copyright. In quest’ambito, il caso c.d.
Gaylord345 si presenta come uno dei più discussi all’interno della recente giurisprudenza statunitense. Nella fattispecie, lo scultore Frank Gaylord lamentava l’impiego, da lui non consentito, dell’immagine di una sua opera, installata in un parco nazionale, in un francobollo emesso dal Servizio Postale: la Corte non solo ha sentenziato, contro la tesi sostenuta dall’Amministrazione, che ai monumenti resta applicabile la disciplina del copyright, ma pure non ha riconosciuto al Governo alcun
tipo di fair use, sebbene la scultura fosse stata realizzata tramite l’autorizzazione ed i fondi del Congresso.
Anche se su di essa si sono già esauriti i diritti di riproduzione, la Tour Eiffel non costituisce
il tipico paesaggio immortalabile secondo la libertà di panorama. Difatti, la SETE (Société d’Exploitation de la Tour Eiffel) ha cura di specificare 346 che, a differenza delle riprese diurne, la diffusione di riproduzioni aventi ad oggetto la Tour Eiffel illuminata di notte va a violare il diritto d’autore. Il motivo di questo divergente trattamento è rintracciabile nel riconoscimento di opera creativa
all’impianto luminoso installato sul monumento in occasione del festeggiamento del suo centenario:
per l’utilizzazione dell’immagine del celebre monumento in versione notturna occorrerà fare domanda all’apposita società, la quale proporrà, a seconda del tipo di progetto presentato, una consona
tariffa. Similmente, monumenti che sono stati temporaneamente caratterizzati in forme particolari
godono della tutela del diritto d’autore: rinomati sono i casi aventi ad oggetto l’imballaggio di luoghi quali il Pont-Neuf o il Reichstag secondo una scenografia artistica347.
Alla luce di questa sommaria carrellata casistica internazionale, le limitazioni poste alla libertà di panorama, nonostante vadano ad impedire un’assoluta godibilità del bene in questione anche se particolarmente celebre, trovano una ragion d’essere in un diritto più ampio che possa giustificarle. Nessun vincolo alla riproduzione su quanto è esposto alla pubblica vista dovrebbe essere riscontrabile appositamente per limitare la circolazione dell’immagine di quei beni che più caratteriz344
§120(a), Title 17, United States Code, così come modificato dall’Architectural Works Copyright Protection Act del
1 dicembre 1990.
345
Gaylord v. United States, 595 F.3d 1364, 1368 (Fed. Cir. 2010).
346
Si confronti l’apposita pagina web ufficiale http://www.tour-eiffel.fr.
347
Rispettivamente: CA Paris, 13 marzo 1986, in Gaz. Pal., 1/1986, p. 238 e BGH, 24 gennaio 2002, Verhüllter Reichstag, in Gewerbücher Rechtsschutz und Urheberrecht, 2002, p. 605.
75
zano una cultura. Un certo clamore destò pertanto l’intento (forse più una boutade, non concretizzatasi in alcun atto legislativo) di porre un copyright da parte dell’Egitto sui propri monumenti ed antichità, quali le Piramidi, al fine di destinare i proventi degli usi autorizzati alla conservazione ed al
restauro348. L’ipotetica adozione di un simile accorgimento rappresenterebbe l’estensione ai beni
esposti alla pubblica vista di quella strategia di valorizzazione economica già adottata dallo Stato
per limitare la riproduzione dei beni culturali ed artistici conservati all’interno di strutture ad accesso regolamentato349. Il Codice Urbani, non dimostrando di cogliere la differente natura in termini di
godibilità tra i beni culturali posti all’esterno rispetto a quelli contenuti in luoghi chiusi, non prevede un differente trattamento tra le due situazioni. Questo stato di fatto può indurre a ritenere che le
previsioni in materia di riproduzione dei beni culturali si estendano anche a quei beni culturali esposti alla pubblica vista.
La disciplina italiana sulla riproduzione dei beni culturali è ritenuta particolarmente garantista, forse più ancora che per le persone fisiche, la cui immagine può essere riprodotta anche senza il
consenso delle stesse in casi di pubblico interesse350: interesse collettivo che, se non fosse per le restrittive norme del Codice indirizzate in senso opposto, si avrebbe da ritenere presente nella quanto
più ampia diffusibilità di contenuti culturali351. Tuttavia, ritenere applicabile ai beni culturali esposti
in luogo pubblico la disciplina prevista per la riproduzione dal Codice Urbani rischia di portare alle
estreme conseguenze una situazione già di per sé gestibile soltanto a fatica all’interno della società
dell’informazione. La legge Ronchey, da cui è scaturito il processo che ha portato all’attuale assetto
della disciplina, era espressamente dedicata al funzionamento di musei, biblioteche ed archivi statali, non ai monumenti o all’intera categoria dei beni culturali; da allora, però, molti passi sono stati
fatti, definendo la riproduzione dei beni culturali secondo contorni diversi da quelli originariamente
previsti. Il Codice infatti fa soggiacere tutti i beni culturali alle medesime norme sulla riproduzione,
rendendo legittima anche una possibile lettura estensiva verso i beni esposti alla pubblica vista352.
Una prima soluzione al problema consiste nel distinguere le immagini prettamente panoramiche da quelle che ritraggono l’opera in sé. In tal modo, il rispetto delle prerogative volte a limitare una libera riproduzione verrebbe garantito dalla graduazione tipologica di immagini, lasciando liberamente fruibili quelle in cui l’opera oggetto di privativa non è decontestualizzata rispetto al pa348
La proposta era stata avanzata da un archeologo di fama internazionale, Zahi Hawass, Segretario generale del Con siglio Supremo delle Antichità Egizie: la notizia è stata riportata, tra gli altri, in data 25 dicembre 2007 in un articolo in titolato Egypt ‘to copyright antiquities’ sul sito http://news.bbc.co.uk.
349
RESTA, G., L’immagine dei beni, in G. RESTA (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2011, p.
554.
350
Art. 97, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo
esercizio.
351
STELLA FAGGIONI, L., La libertà di panorama in Italia, in Dir. ind., 6/2011, pp. 541-542.
352
RESTA, G., L’immagine dei beni, in G. RESTA (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2011,
pp. 580 ss.
76
norama circostante, ma ne costituisce un elemento353: mancano tuttavia sicuri appigli al testo normativo per poter giungere a questa conclusione.
Diverso tipo di soluzione è stato prospettato in un’occasione che in Italia si è avuta per porre
la pubblica attenzione sulla tematica della libertà di panorama, a seguito di alcune vicissitudini che
hanno accompagnato lo sviluppo di Wikipedia, la ben nota enciclopedia telematica.
3.3 Un caso italiano: Wikipedia
“Wikipedia, l’enciclopedia libera” è un’enciclopedia online, le cui caratteristiche principali
sono la gratuità nell’accesso e la natura collaborativa che consente a qualsiasi internauta di partecipare alla composizione di una voce ritenuta di interesse enciclopedico, mediante la scrittura di un
testo o l’inserimento di file multimediali di supporto. È gestita da Wikimedia Foundation, una fondazione statunitense senza fini di lucro, ma conosce edizioni in molteplici lingue, compresa quella
italiana.
All’inizio del gennaio 2007, l’edizione italiana di Wikipedia ricevette, da parte della Soprintendenza ai beni culturali di Firenze, una diffida a mezzo email dall’utilizzare immagini dei beni
culturali in consegna alla suddetta autorità prive del consenso richiesto dalla normativa del Codice
Urbani354. Onde evitare conseguenze, gli utenti dell’edizione italiana iniziarono a provvedere alla rimozione delle immagini caricate sui database di Wikipedia e di Wikimedia Commons (una raccolta
di file liberamente utilizzabili) riguardanti le opere in consegna alla Soprintendenza del polo museale fiorentino, come quadri di Raffaello o Botticelli; della diffida furono informati anche gli altri progetti collegati a Wikimedia, al fine di evitare di incorrere in un illecito contro un’amministrazione
pubblica italiana. Presa coscienza della legislazione vigente, gli internauti si posero il dubbio di fin
dove potesse estendersi la loro possibilità di pubblicare su un sito ad accesso pubblico ed a licenza
libera immagini di beni culturali, dibattendo se le limitazioni fatte presenti dal polo museale fiorentino e, in seguito, da quello romano si estendessero anche alle riprese in ambienti esterni. Mentre
con le soprintendenze interessate si tentava di raggiungere un accordo per la pubblicazione di immagini in bassa risoluzione, l’eco mediatica della vicenda giungeva in Parlamento tramite una lettera aperta sottoscritta da numerosi utenti di Wikipedia. Una prima soluzione si trovò con l’approvazione di una legge355 che introdusse, modificando la legge sul diritto d’autore, una libertà di pubblicazione delle immagini su Internet modellata sul format che nel frattempo Wikipedia stava adottando: la pubblicazione su Internet diventò libera per le immagini immesse a titolo gratuito, con risolu353
STELLA FAGGIONI, L., La libertà di panorama in Italia, in Dir. ind., 6/2011, pp. 540-541.
La ricostruzione del “caso Wikipedia” è ottenibile dalla lettura delle svariate pagine web create all’interno di
http://it.wikipedia.org dalla comunità stessa di utenti a fini di discussione.
355
L. 9 gennaio 2008, n. 2, Disposizioni concernenti la Società Italiana degli Autori ed Editori.
354
77
zione bassa o degradata, per uso didattico o scientifico e solo nel caso di non utilizzo per scopo di
lucro356, lasciando a successivi decreti ministeriali il compito di precisare le clausole aperte di tale
formulazione, in particolar modo la definizione dei limiti dell’uso didattico o scientifico e dei concetti di bassa risoluzione e degrado.
L’innovazione legislativa permise la ripresa della pubblicazione di immagini sulle pagine
dell’enciclopedia telematica, seppur mediante l’adozione di versioni in bassa risoluzione; tuttavia,
al di là del rimedio trovato, il problema in termini generali restava insoluto, sia per quel che concerneva la libertà di panorama, sia per quel che riguardava i beni culturali non sottoposti alla disciplina
del diritto d’autore. A seguito di alcune interrogazioni scritte da parlamentari bi-partisan della XV
legislatura357, il Governo fu costretto a rispondere sull’esistenza o meno di una forma di libertà di
panorama in Italia rispetto ai beni culturali. Le risposte provenienti dai sottosegretari 358 furono sostanzialmente concordi: fatta salva l’eventuale applicazione del diritto d’autore, che non conosce
esenzioni per le opere esposte alla pubblica vista, gli articoli 107 e 108 del Codice Urbani non sono
applicati alle opere collocate in luogo pubblico, in virtù del fatto che, non essendo previsto uno specifico limite di libertà di panorama in Italia, deve intendersi che è lecito ciò che non è vietato; i succitati articoli sono pertanto destinati a trovare applicazione unicamente per i beni culturali in consegna nei musei o negli altri luoghi della cultura. Non rileva il fatto che tra i luoghi della cultura figurano anche ambienti visibili dall’esterno quali i complessi monumentali 359, poiché la ratio testimoniata dalla linea adottata dall’esecutivo volge verso un’applicazione della disciplina della riproduzione secondo il Codice Urbani unicamente a quei beni culturali internamente custoditi e quindi tali
da poter essere esclusi dalla pubblica vista.
Le risposte provenienti dalle più alte sfere dell’Amministrazione garantirono l’incanalamento del problema sull’esistenza o meno della libertà di panorama in Italia verso una soluzione affermativa. Tuttavia, la risonanza che ebbe la vicenda, data dalla popolarità dell’enciclopedia online,
aveva lasciato dubbi e perplessità che riemersero in occasione di un evento collegato a Wikipedia: il
concorso fotografico annuale “Wiki Loves Monuments”, un progetto internazionale diretto a coinvolgere cittadini di ogni nazione nella documentazione del proprio patrimonio culturale 360. La comunità italiana di Wikipedia aderì al concorso soltanto a partire dal 2012: l’anno precedente, la sua
356
Si tratta del già richiamato art. 70, comma 1-bis, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di
altri diritti connessi al suo esercizio.
357
Interrogazioni dell’onorevole Mancuso e degli onorevoli Grillini e Dato, rispettivamente n. 4-04417 presentata il
18 luglio 2007 e n. 4-05031 presentata il 1 ottobre 2007; si segnala anche la lettera aperta dell’onorevole Muscardini,
parlamentare europea, all’allora Ministro dei beni e delle attività culturali Rutelli.
358
Rispettivamente, risposta del Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali Marcucci del 12 novembre
2007 e del Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali Mazzonis del 19 febbraio 2008.
359
Art. 101, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
360
Il sito web della versione italiana è http://www.wikilovesmonuments.it, da cui è possibile ricavare la storia della rassegna.
78
partecipazione era stata frenata dal timore di incorrere in violazioni non solo della legge sul diritto
d’autore, ma anche della legge sui beni culturali. È comprensibile come, in un concorso fotografico,
non ci si possa accontentare di diffondere immagini in bassa risoluzione di opere ancora soggette al
diritto d’autore, dovendo inoltre palesare che l’uso sia didattico o scientifico 361. Anche sui beni culturali il discorso però non pareva ancora chiuso: nonostante le risposte ricevute alcuni anni prima
dal Governo ed in mancanza di ulteriori interventi normativi chiarificatori in quel lasso di tempo, gli
organizzatori del concorso temevano che una lettura estensiva degli articoli 107 e 108 del Codice
Urbani potesse comportare l’impossibilità di fare fotografie ai monumenti e licenziarle con licenza
d’uso Creative Commons CC-BY-SA (ossia in forma copyleft, purché venga riconosciuta la paternità dell’autore e all’opera derivata sia attribuita la medesima licenza dell’originale) in mancanza di
una specifica autorizzazione dell’ente consegnatario del bene. Per questa ragione, si cercò previamente di accordarsi con gli enti territoriali potenzialmente interessati, nonché con il Ministero dei
beni e delle attività culturali stesso. Laddove l’accordo venne raggiunto, i partecipanti al concorso si
sentirono liberi di poter scattare le fotografie con cui avrebbero partecipato al concorso; con il Ministero si raggiunse un accordo di validità annuale, in seguito rinnovato per l’edizione dell’anno successivo, per il nulla osta alla riproduzione di beni culturali, purché il fotografo fosse in possesso di
un apposito documento di riconoscimento che certificasse la sua partecipazione al concorso362.
Anche a seguito della partecipazione italiana a due edizioni di “Wiki Loves Monuments”,
sulle pagine di Wikipedia si è continuato a considerare l’Italia come un Paese in cui non è ammessa
la libertà di panorama363. D’altronde, non solo la disciplina del diritto d’autore, ma anche il fatto che
si sia sentita la necessità di giungere ad un previo accordo con le competenti autorità per riprodurre
l’immagine di beni culturali visibili dall’esterno, sono testimonianza di come, nell’ordinamento italiano, non sia ancora percepita con fermezza la sussistenza di una libertà di panorama sui beni culturali. Nell’accordo con il Ministero, è stata la stessa istituzione pubblica a richiedere l’apposito inserimento della clausola sul beneficio accordato nella libera riproduzione dei beni culturali, disconoscendo la formulazione abbozzata da Wikimedia che dava per acquisita la libertà di panorama in
Italia. Molto dipende da come gli enti territoriali stessi procedono all’applicazione delle norme che
sono loro fornite: le linee direttrici date dall’Amministrazione, che in linea di massima parrebbero
possibiliste sull’ammissibilità della libertà di panorama, potrebbero capovolgersi ad una interpretazione più rigorosa. Un’analisi della prassi italiana può fornire delle interessanti chiavi di lettura,
361
Secondo i requisiti richiesti dall’art. 70, comma 1-bis, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore
e di altri diritti connessi al suo esercizio.
362
La notizia è riportata sul sito web di entrambe le parti dell’accordo, in http://www.beniculturali.it e http://www.wikilovesmonuments.it.
363
Non solo nella versione italiana di Wikipedia, ma anche in quella inglese: i link sono http://it.wikipedia.org e
http://en.wikipedia.org.
79
specialmente se confrontata con quella che si riscontra in altri ordinamenti giuridici, in particolar
modo in quello francese ed in quello di common law.
80
Capitolo III
Esame delle prassi
SOMMARIO: 1. Italia – 2. Francia – 3. Common Law.
1. Italia
L’analisi della prassi italiana risulta frammentata non solo per le differenze intercorrenti tra i
vari enti locali, ma anche per il diverso grado di impegno che gli istituti profondono nel far rispettare le norme comuni date dalla legislazione nazionale.
La vicenda analizzata nel capitolo precedente, riferita alle vicissitudini che hanno visto come
protagonista Wikipedia in relazione al riconoscimento ed alla effettività di una libertà di panorama
sui beni culturali in Italia, non è che un lampante segnale della confusione che avvolge gran parte
della materia della riproduzione dei beni culturali nella sua reale applicazione.
Per agevolare la partecipazione degli utenti al proprio concorso fotografico, all’interno delle
pagine web di “Wiki Loves Monuments”364 è stato inserito un modello di e-mail con cui poter rivolgersi all’ente pubblico territoriale interessato per ottenere il consenso al libero utilizzo delle immagini dei monumenti. Il prototipo a cui potersi riferire è indicato nella apposita delibera 365 del Comune di Pavia, tra i più celeri ad accogliere le istanze degli organizzatori di “Wiki Loves Monuments”.
Indicando un elenco di beni a carattere storico-monumentale (non comprensivo di tutti i beni del
Comune), la Giunta Comunale, valutando favorevolmente tale iniziativa in grado di poter dare visibilità internazionale alla città di Pavia, ha concesso l’immagine in uso dei beni presenti nella propria
lista con licenza libera Creative Commons nella versione CC-0, ossia a copyleft totale.
364
365
http://wlm.wikimedia.it.
Direttiva della Giunta Comunale di Pavia, 4 maggio 2012, n. 214, consultabile in http://wlm.wikimedia.it.
81
Tale previsione non riguarda unicamente “Wiki Loves Monuments” ed i progetti ruotanti intorno alla Wikimedia Foundation, ma si estende erga omnes: in altre parole, con questa delibera il
Comune pavese ha indicato su quali, tra i beni in proprio possesso, eviterà di creare un contenzioso
sull’uso dell’immagine, lasciando la stessa a libera disponibilità di chiunque per qualsiasi tipologia
di uso. Così facendo, perlomeno, si crea una certezza del diritto non facilmente riscontrabile altrove
in questo particolare settore dell’ordinamento italiano, se non laddove, viceversa, vi sono espresse
indicazioni in senso restrittivo366. In aggiunta a questo, in taluni comuni è prevista un’apposita autorizzazione per effettuare riprese della città, specialmente se esse riguardano luoghi del centro storico, indipendentemente dall’occupazione del suolo pubblico, bensì rifacendosi ad un controllo che
l’Amministrazione intende riservarsi sulle riprese367.
Non infrequenti sono le richieste rilanciate dagli operatori nel settore ad una maggior chiarificazione della materia.
Tra le ultime in ordine di tempo 368, emergono le esigenze di una più agevole libertà di utilizzazione per fini scientifici e di una maggiore semplificazione burocratica: sotto quest’ultimo aspetto, viene evidenziato come una riconsiderazione della procedura di autorizzazione in una versione
maggiormente liberale porterebbe anche ad uno snellimento delle attività dell’Amministrazione,
con conseguenti risparmi di costi in apertura di pratiche. L’individuazione dell’origine del problema
è rintracciata nelle evoluzioni della disciplina originariamente fissata dalla legge Ronchey, con la
previsione di servizi aggiuntivi che, per quanto riguarda il servizio di riproduzione, talvolta con
l’andare del tempo sono stati affidati in outsourcing con stringenti clausole di esclusività. L’aspirazione dei richiedenti è infine rivolta ai principi di gratuità che avrebbero da caratterizzare un servizio pubblico essenziale, come dovrebbe essere ritenuto quello culturale.
Secondo dati riferibili nell’anno 2000 agli istituti statali 369, il Ministero dei beni culturali e
ambientali ha ricavato 4,4 milioni di euro dai canoni fissi di locazione e dalle royalty sui fatturati
dei concessionari, per cui, in mancanza di un’analisi disaggregata delle entrate, è ipotizzabile stimare che le concessioni dei diritti di riproduzione ed uso abbiano generato entrate totali per 4,5 milioni, cifra che arriva a sfiorare i 5 milioni considerando gli introiti della Fototeca e Discoteca naziona-
366
Un esempio può essere dato da quanto previsto dal Comune di Livorno, Disciplinare per la riproduzione dei beni
culturali di proprietà dell’Amministrazione Comunale di Livorno, dove, all’art.1, è possibile leggere che “non è permesso fotografare, filmare o riprodurre in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo le opere di proprietà del Comune di Livorno senza autorizzazione espressa”. Il testo è reperibile al link http://sdp.comune.livorno.it.
367
Ne è esempio il comune di Roma, con la delibera della Giunta Comunale n. 4724/1996, come riportato da STELLA
FAGGIONI, L., La libertà di panorama in Italia, in Dir. ind., 6/2011, p. 537.
368
In particolare, il riferimento è all’appello a firma BRUGNOLI, A. – GARDINI, S., Appello a Massimo Bray, Ministro
dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo per la semplificazione amministrativa e la liberalizzazione nella riproduzione di beni culturali, visualizzabile in http://www.roars.it.
369
L’analisi, con le conseguenti considerazioni, è compiuta da GUERZONI, G. – STABILE, S., I diritti dei musei: la valorizzazione dei beni culturali nella prospettiva del rights management, Milano, 2003, pp. 11 ss.
82
li e le royalty sui fatturati degli archivi fotografici privati che hanno raggiunto una convenzione con
il Ministero.
A questa somma dovrebbero essere sottratte una serie di voci, che vanno dall’acquisto di
macchinari e materiale d’uso all’istituzione delle pratiche di selezione e gestione dei rapporti con i
concessionari, nonché quanto è stato versato dagli enti locali per acquisire diritti dagli istituti statali;
se non altro, dal Codice è previsto che i richiedenti procedano al rimborso delle spese sostenute dall’Amministrazione concedente la specifica riproduzione, nonché al versamento di una cauzione per
le attività potenzialmente pregiudizievoli370.
In confronto a gran parte delle esperienze straniere, un simile giro d’affari è di dimensioni
molto ridotte (rappresenta il 60% di quanto la francese RMN, Réunion des Museés Nationaux, ha
incassato dalla vendita del solo cd-rom ufficiale del Louvre) e questo a dispetto della straordinaria
offerta che può garantire il patrimonio culturale italiano. Le norme sulla riproduzione dei beni culturali, all’apparenza tanto restrittive, rappresentano dunque un bluff mal riuscito?
In realtà, occorre considerare come la disciplina della riproduzione dei beni culturali trovi
applicazione nella prassi. La grande maggioranza del merchandising avente ad oggetto beni culturali italiani avviene senza essere stato sottoposto ad alcuna autorizzazione. Un certo lassismo nel far
rispettare le norme è stato agevolato dalla mancanza di mezzi per operare efficaci controlli e, talvolta, dalla mancanza di salde linee politiche degli enti di riferimento.
Purtroppo, c’è il rischio che simili situazioni siano influenzate dai rapporti di forza dei soggetti interessati: se una grande impresa utilizza l’immagine di un bene culturale senza alcuna autorizzazione, l’Amministrazione interessata, specialmente se periferica, potrebbe essere scoraggiata
nel far valere i propri diritti e, anzi, per propria volontà politica potrebbe scegliere una precisa strategia di non belligeranza per non inimicarsi il privato; viceversa, un istituto culturale importante
avrà più forza (per numero e qualificazione di addetti competenti, per costanti contatti con uffici legali, per fama, per disponibilità finanziarie o interessi economici) nel far valere i propri diritti sulla
riproduzione rispetto ad uno meno conosciuto 371. La Soprintendenza fiorentina, diffidando Wikipedia dall’utilizzo di immagini di beni culturali ad essa in consegna, aveva tra l’altro inteso dar senso
al dispendioso progetto di watermarking delle fotografie digitali adottato nella costruzione del proprio sito web372.
Paradossalmente, una maggiore scrupolosità nella richiesta del necessario consenso per la riproduzione del bene culturale potrebbe essere dimostrata da chi è destinato a farne un uso limitato.
Si ponga il caso della seguente ipotesi: è facile che un piccolo imprenditore che volesse adoperare
370
Art. 108, comma 3, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
Informazioni ricavate da colloqui con responsabili del settore.
372
Si rimanda alle vicende trattate nel paragrafo 3.3 del capitolo II.
371
83
l’immagine di un bene culturale invii, per quieto vivere, un’apposita richiesta all’ente interessato, il
quale, a quel punto, si troverà quasi costretto ad esigere il versamento di un corrispettivo, a meno
che non lasci libertà d’utilizzo per omogeneità di trattamento rispetto a tutti i casi in cui l’Amministrazione non è intervenuta; se esistono spazi di manovra, è pure possibile ritenere che al richiedente
venga domandato il pagamento di un corrispettivo per la riproduzione di immagini di esterni, disattendendo nel singolo caso quello che in via generale gli organi governativi hanno ripetutamente affermato riguardo all’esistenza della libertà di panorama in Italia373.
Anche altre tipologie di utenti possono rientrare in queste categorizzazioni: il Dipartimento
di Civiltà e Forme del sapere dell’Università di Pisa, nella realizzazione di un progetto sul potenziale archeologico della città pisana con conseguente pubblicazione degli elaborati su un portale online, ha ritenuto necessario, prima di procedere alla pubblicazione di riproduzioni di beni culturali,
munirsi delle autorizzazioni degli enti presso cui i beni potenzialmente interessati dal progetto erano
in custodia374.
Naturalmente, i soggetti più direttamente interessati dalle norme sulla riproduzione risultano
essere gli editori. Essi, tuttavia, in gran misura sfruttano ancora gli archivi cumulati nella situazione
previgente alla legge Ronchey, quando le lacune legislative permettevano l’inserimento di clausole
che lasciavano libere le case editrici e le agenzie fotografiche di riutilizzare liberamente le riproduzioni autorizzate375; oggi, invece, l’ente pubblico continua a mantenere un controllo sugli usi successivi dell’immagine, senza che si compia alcun esaurimento delle proprie prerogative a seguito
della prima riproduzione376. È stato calcolato377 che, nel solo settore editoriale, le istituzioni italiane
mancano di incassare diverse decine di milioni di euro tra royalty e canoni di concessione non versati. È possibile che, in base all’attuale legislazione sui beni culturali, grazie alle norme sulla remunerazione si vadano ad incamerare i diritti utilizzati illegalmente da editori, agenzie, archivi fotografici e fotografi378?
Una risposta affermativa viene da una sentenza del giudice amministrativo 379: la vicenda oggetto di controversia era scaturita da una comunicazione di richiesta di pagamento in merito alla riproduzione di immagini di beni culturali di proprietà dell’Amministrazione che il Comune di Mila373
Informazioni ricavate da colloqui con responsabili del settore.
In riferimento a questa vicenda, online è possibile leggere CIURCINA, M., Parere legale sul portale Mappa Open
Data, in http://mappaproject.arch.unipi.it.
375
GUERZONI, G. – STABILE, S., I diritti dei musei: la valorizzazione dei beni culturali nella prospettiva del rights ma nagement, Milano, 2003, p. 22.
376
In base all’art. 4, d.m. 20 aprile 2005, Indirizzi, criteri e modalità per la riproduzione di beni culturali, ai sensi
dell’articolo 107 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
377
I dati, riferiti ai primi anni 2000, provengono sempre da GUERZONI, G. – STABILE, S., I diritti dei musei: la valorizzazione dei beni culturali nella prospettiva del rights management, Milano, 2003, p. 54.
378
L’auspicio è di SERRA, A., Patrimonio culturale e nuove tecnologie: la fruizione virtuale, in L. CASINI (a cura di),
La globalizzazione dei beni culturali, Bologna, 2010, p. 243.
379
TAR Milano, Lombardia, sez. I, 23 novembre 2012, n. 2858, in Foro Amm. TAR, 2012, p. 3427.
374
84
no aveva rivolto ad una società gestrice di un ampio archivio fotografico. La società ricorrente deduceva che il possesso delle fotografie oggetto della controversia risaliva fin agli anni Sessanta, ma
il giudice ha ritenuto di respingere il ricorso in merito sulla scorta di due osservazioni: in primo luogo, tali fotografie non potevano essere tutelate in base alla disciplina del diritto d’autore, non potendo neppure annoverarsi tra le riproduzioni di opere dell’arte figurativa 380 a causa del mancato rispetto delle necessarie indicazioni di origine della fotografia 381; in secondo luogo, doveva ritenersi da
essere soddisfatto l’obbligo di conseguire l’autorizzazione alla riproduzione e di pagare i correlati
corrispettivi, dal momento che in giudizio è stato risultato provato che la società ricorrente non aveva mai ottenuto autorizzazione di sorta e smentendosi la pretesa di irretroattività della normativa del
Codice Urbani. Del resto, se l’applicazione della legge non riguardasse quelle imprese già in possesso da anni di archivi fotografici, si creerebbe una forte disparità di trattamento a vantaggio di
queste rispetto a quelle appena entrate sul mercato della riproduzione di beni culturali382.
I rapporti di concessione rientrano nella giurisdizione amministrativa tranne che per le questioni concernenti indennità, pagamenti e corrispettivi. Così stante il testo della disposizione 383, non
sotto questo aspetto rileva la distinzione 384 che il Codice pone tra canone e corrispettivo, riferibili, in
linea di massima, rispettivamente l’uno all’uso individuale in concessione che è volto a limitare una
fruizione generale, l’altro a quell’uso di carattere temporaneo e non esclusivo che non entra in conflitto con una pubblica fruizione385. Senza dubbio rilevante è invece la differenza tra le due tipologie
che danno accesso all’uso, la concessione e l’autorizzazione. La concessione segna infatti una tipologia di rapporto duraturo a struttura prevalentemente contrattuale tra l’Amministrazione ed il privato: quest’ultimo riceve un beneficio, consistente nell’origine di un diritto all’uso di beni pubblici o
di gestione di pubblici servizi, di cui controparte è la stessa pubblica amministrazione, la quale peraltro mantiene una forma di controllo sul concessionario386. Nell’evoluzione del settore dei beni
culturali a seguito della legge Ronchey, ai fini di quel che è oggetto d’interesse in questa sede, occorre ricordare che tra i servizi per il pubblico affidabili in concessione è pure presente il servizio
editoriale e di vendita riguardante anche la riproduzione di beni culturali 387, il quale, anche se non
380
Art. 87, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo
esercizio.
381
Art. 90, comma 1, d.lgs. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo
esercizio.
382
MUSSO, A., Impresa museale e libere utilizzazioni delle opere d’arte, in AIDA, 1999, p. 215.
383
Il riferimento è l’art. 133, lett. b) – c), d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, allegato 1, Codice del processo amministrativo.
384
Art. 108, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
385
Con precisazione accolta anche da dottrina successiva, CARPENTIERI, R., Artt. 107-108-109, in R. TAMIOZZO (a cura
di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2005, p. 472.
386
Ex multis, D’ALBERTI, M., Le concessioni amministrative: aspetti della contrattualità delle pubbliche amministrazioni, Napoli, 1981, in part. pp. 315 ss.; FALCON, G., Lineamenti di diritto pubblico, Padova, 2008, pp. 406 ss.;
GIANNINI, M. S., I beni pubblici, Roma, 1963, pp. 112 ss.
387
Art. 117, comma 2, lett. a), d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice
Urbani).
85
configurabile come bisogno essenziale, è pur sempre un servizio pubblico in forma latamente intesa, la cui attività di utilità per gli utenti è andata progressivamente liberalizzandosi, anche se pur
nella limitativa accezione di apertura ai privati più che nel ricercare una vera concorrenzialità nel
settore388: il servizio pubblico di offerta del bene culturale rappresenta l’esplicazione della modalità
di fruizione dello stesso389, così da permettere l’erogazione di una prestazione che soddisfi, all’interno del contesto sociale, il bisogno collettivo di cultura 390. È dalla legge Ronchey, lo si ricorda, che
ha avuto origine una generalizzata previsione di limitazione della circolazione dell’immagine del
bene culturale, al fine di garantire al concessionario, il quale appositamente paga un canone determinato dal soprintendente391 in cambio del diritto di gestire il servizio, una salda attività sul mercato
delle riproduzioni392, in modo da ottenere una remunerazione dall’attività svolta.
Sommariamente, è possibile ritenere che la riproduzione delle immagini di beni culturali sia
oggetto di concessione quando la riproduzione sia destinata ad un uso costante e prolungato, mentre
sia oggetto di autorizzazione in caso d’uso legato ad una situazione contingente. Entrambi i provvedimenti si riferiscono ad una valutazione preventiva rispetto all’uso della riproduzione effettuata
dall’utente. Nel caso in cui l’immagine sia fornita direttamente dal repertorio fotografico dell’Amministrazione, non si avrà né concessione né autorizzazione, bensì un noleggio 393, anch’esso previa
richiesta394. La previsione di un istituto di natura privatistica anziché provvedimentale per la riproduzione di fotocolor nella disponibilità dell’Amministrazione deriva dalla tipologia stessa dell’atto:
in questo caso, non è incisa la facoltà individuale alla libera riproduzione, ma si ricerca un accordo
di stampo contrattuale nell’utilizzo di risorse già esistenti. Naturalmente, essendo le fotografie del
388
Nell’enorme bibliografia disponibile sui servizi pubblici, mi limito a segnalare i testi consultati ai fini di questa
trattazione: ALLA, L., La concessione amministrativa nel diritto comunitario, Milano, 2005, in part. pp. 37 ss.; ARENA,
A., La nozione di servizio pubblico nel diritto dell’integrazione economica, Napoli, 2011, in part. pp. 200 ss.; FALCON,
G., Lezioni di diritto amministrativo, Padova, 2009, pp. 191 ss.; FLORENZANO, D., I servizi pubblici locali tra liberalizzazione ed efficienza gestionale nella disciplina statale, in A. CASSATELLA – M. COZZIO, Appalti pubblici e servizi: temi
di diritto europeo e nazionale, Torriana, 2013, pp. 141 ss.; RINALDI, R., La posizione giuridica soggettiva dell’utente di
servizi pubblici, Padova, 2011; VOLPE, C., Servizi pubblici, concessione, risoluzione e giurisdizione: certezze e incertezze del sistema, in http://www.giustizia-amministrativa.it, 2005.
389
CLEMENTE DI SAN LUCA, G. - SAVOIA, R., Manuale di diritto dei beni culturali, Napoli, 2008, p. 289.
390
“Per pubblico servizio deve intendersi un'attività economica esercitata per erogare prestazioni volte a soddisfare bisogni collettivi ritenuti indispensabili in un determinato contesto sociale” secondo TAR Milano, Lombardia, sez. III, 20
dicembre 2005, n. 5633. Che i servizi di cui all’art. 117, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani), siano servizi pubblici è giurisprudenza unanime sia del Consiglio di Stato
(Consiglio di Stato, ad. plen., 6 agosto 2013, n. 19) sia della Corte di Cassazione (Cass., SS. UU., 27 maggio 2009, n.
12252).
391
Art. 106, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
392
Che la garanzia di una certa area di monopolio possa essere caratteristica della concessione di servizi pubblici è
notato anche da FALCON, G., Lezioni di diritto amministrativo, Padova, 2009, p. 200.
393
Le difficoltà nel ricostruire una generale fattispecie di noleggio a partire da una troppo generica definizione di
“ogni ipotesi in cui si attribuisca, dietro corrispettivo, il godimento (in senso lato) di un bene mobile” sono evidenziate
da MOSCATI, E., Noleggio (dir. priv.), in Enc. Dir., XXVIII, 1978, pp. 228 ss.; nel caso di riproduzioni di beni culturali,
più opportuno sembra parlare di “locazione”, ex artt. 1571 ss., Codice Civile.
394
A definire come “noleggio” tale eventualità è l’art. 7, d.m. 8 aprile 1994, Tariffario per la determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per le concessioni relative all'uso strumentale e precario dei beni in consegna al Ministero.
86
bene culturale cosa diversa dal bene culturale in sé, ad esse non si applica la disciplina sull’uso individuale di beni culturali395.
Il tipo di concessione alla riproduzione di beni culturali è quello tipico delle imprese di servizi: il servizio in questione è la garanzia verso il pubblico nell’effettuazione di assistenza culturale
e di ospitalità396. Il fatto che il concessionario eserciti un’attività definibile come commerciale, contribuendo il servizio di riproduzione alla maggiore redditività della attività di valorizzazione 397, non
incide sulla natura del servizio398, che resta rivolto al pubblico, sussistendo, oltre ad una finalità di
valorizzazione, la destinazione del servizio a soddisfare le esigenze della collettività e l’imputabilità
e la titolarità del servizio in capo alla pubblica amministrazione, la quale predispone anche un piano
di gestione e mantiene poteri di indirizzo, vigilanza ed intervento 399. Il Codice400 prevede che le attività di valorizzazione dei beni culturali ad appartenenza pubblica possano avvenire mediante gestione diretta (con strutture organizzative interne alle amministrazioni) o con gestione indiretta: quest’ultima è indicata quale migliore modalità per assicurare un adeguato livello di valorizzazione dei
beni culturali. Essa può concretizzarsi o in un affidamento a soggetti costituiti dalla stessa amministrazione pubblica o tramite una concessione a terzi; la procedura di evidenza pubblica, finalizzata
ad individuare il privato contraente, va svolta sulla base della valutazione comparativa di specifici
progetti, compiendo la scelta più adeguata al perseguimento dell’interesse pubblico 401. La scelta del
concessionario deve ovviamente avvenire secondo i principi del diritto amministrativo 402. Infatti,
pur avendo avuto origine come atti contrattuali403, le concessioni furono ben presto inquadrate all’interno del diritto amministrativo404: testimonianza ne è la devoluzione esclusiva al giudice amministrativo di questa materia405, fuorché per controversie su canoni, indennità ed altri corrispettivi.
Alla luce della disamina precedente, si possono comprendere le ragioni dei caratteri, tipici della
concessione, di doverosità nell’attività da parte del concessionario e di controllo da parte dell’Amministrazione: la doverosità nasce dalla predisposizione a garantire che vi sia un servizio di riproduzione del bene culturale al fine di diffonderne i contenuti; il controllo sorge dalla necessità di assi395
Art. 106, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
Art. 117, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
397
PIEMONTE, S., Art. 117, in A. ANGIULI – V. CAPUTI JAMBRENGHI (a cura di), Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, Torino, 2005, p. 295.
398
Il perseguimento di uno scopo pubblico non è incompatibile con un fine lucrativo secondo Cons. Stato, sez. VI, 28
ottobre 1998, n. 1478, come da massima in Riv. giur. edilizia, I/1999, p. 334.
399
Cass. Civ., SS. UU., 27 maggio 2009, n. 12252, in Giust. Civ., 5/2010, p. 1179.
400
Art. 115, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
401
SANDULLI, A., Il procedimento, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2000, p. 1130.
402
In particolare, si faccia riferimento all’art. 30, comma 3, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.
403
Si ripercorra l’intero sviluppo storico dell’istituto tracciato da D’ALBERTI, M., Le concessioni amministrative:
aspetti della contrattualità delle pubbliche amministrazioni, Napoli, 1981.
404
Riferendosi agli studi compiuti alla fine del XIX secolo da O. RANELLETTI, definisce le concessioni come la prima
figura elaborata dalla giuspubblicistica italiana FRACCHIA, F., Concessione amministrativa, in Enc. Dir., Annali, I/2007,
p. 250.
405
Art. 133, comma 1, lett. b)-c), d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, allegato 1, Codice del processo amministrativo.
396
87
curare che tale servizio si svolga su livelli qualitativi consoni alla propagazione del modello culturale proposto.
Il controllo che l’Amministrazione mantiene sull’immagine, non permettendo utilizzazioni
successive a quella accordata se non dopo una nuova valutazione, potrebbe indurre a categorizzare
come concessione qualsiasi atto che accordi la possibilità di riprodurre un bene culturale. Avendo
cura di non utilizzare impropriamente in modo massiccio la nozione di concessione 406, l’uso occasionale può ritenersi oggetto non di concessione ma di autorizzazione non solo sulla scorta di già rilevate considerazioni linguistiche (l’utilizzazione del verbo “consentire” anziché “concedere”; la distinzione tra canoni e corrispettivi tracciata dalla dottrina; la precisa menzione di un’autorizzazione
del soprintendente all’interno dell’articolo 107), ma anche per la funzionalità stessa del diverso tipo
di provvedimento. L’autorizzazione occorrerà quando l’utente non si prefigura un’attività d’uso duraturo e continuo dell’immagine che andrà a riprodurre, a differenza del concessionario. Ciò determina altresì che l’autorizzato non abbia un obbligo di svolgere l’attività 407, ma semplicemente si trovi nella condizione di poter procedere ad un atto (quello della riproduzione del bene culturale) che,
in assenza di apposita richiesta, gli era precluso. Mentre la concessione determina l’ammissione del
privato in un ambito pubblicistico, l’autorizzazione lo fa accedere ad una situazione che appartiene
alla sua sfera giuridica soggettiva e che egli potrebbe comunque attivare408. Il controllo che l’Amministrazione continuerà ad esercitare sulla riproduzione oggetto di autorizzazione sarà circoscritto all’accertamento che l’attività non sia dannosa per l’interesse pubblico409.
Come il canone è riferibile alla concessione, il corrispettivo lo è alla autorizzazione. In verità, nonostante il Codice Urbani abbia separato le due differenti situazioni di chi mantenga un rapporto duraturo con l’Amministrazione e chi, invece, ne venga in contatto una tantum, il testo legislativo non sempre segue linearmente questa via: per esempio, alla luce della lettura della apposita
disposizione410, il deposito del doppio originale di ogni ripresa o fotografia e la restituzione, dopo
l’uso, del fotocolor originale con relativo codice si riferiscono espressamente alla sola concessione,
e non all’autorizzazione che, tecnicamente, parrebbe quindi non essere interessata da questa norma.
Di conseguenza, anche la prassi ancora fatica a delineare un linguaggio formale ed utilizza disinvoltamente termini quali autorizzazione, concessione, canone e corrispettivo, senza, per questo, che gli
effetti ne risultino compromessi411. L’autorizzazione “si limita a rendere lecito per l’interessato un
406
Seguendo la raccomandazione di GIANNINI, M. S., I beni pubblici, Roma, 1963, p. 113.
Considera questo un tratto saliente nella distinzione tra autorizzazione e concessione D’ALBERTI, M., Le concessioni amministrative: aspetti della contrattualità delle pubbliche amministrazioni, Napoli, 1981, p. 341.
408
È quanto evidenziato da FRACCHIA, F., Concessione amministrativa, in Enc. Dir., Annali, I/2007, p. 265.
409
Tratto caratteristico dell’autorizzazione nell’analisi di SILVESTRI, E., Concessione amministrativa, in Enc. Dir.,
VIII, 1961, p. 371.
410
Art. 109, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
411
Leggasi, per esempio, il regolamento riguardante Criteri e direttive per l’accesso e la fruizione dell’archivio fotografico del Castello del Buonconsiglio di Trento, disponibile in http://www.buonconsiglio.it.
407
88
comportamento che altrimenti gli sarebbe interdetto […] senza però che venga ad esistenza un rapporto giuridico di durata tra l’autorizzato e l’amministrazione” 412. Infatti, l’utente che occasionalmente si troverà interessato a riprodurre l’immagine di un bene culturale avrà da ottenere il consenso dell’Amministrazione e, se il suo uso non rientra tra quelli liberi per cui non è dovuto alcun canone (rectius: corrispettivo), procedere ad un pagamento. Il provento di canoni e corrispettivi è versato, anche su conto corrente postale o bancario, ai soggetti pubblici cui gli istituti, i luoghi o i singoli beni appartengono o sono in consegna, al fine di finanziare la valorizzazione, la conservazione
e l’incremento del patrimonio culturale; qualora il soggetto pubblico interessato sia lo Stato, i proventi verranno versati alla sezione di tesoreria provinciale dello Stato 413. Ne consegue che le entrate
si riversano nelle casse dell’ente territoriale di riferimento: solo per i proventi di luoghi e beni ad
appartenenza statale si ha la previsione di una separazione rispetto a tutte le altre risorse economi che di bilancio, ma la ridestinazione degli introiti è comunque valutata liberamente, anche nell’ottica di assicurare una maggiore equità tra le strutture più conosciute e quelle minori 414. La previsione
dell’imposizione IVA sul versamento 415 è conferma del non poter classificare il pagamento del canone o corrispettivo come tributo416.
Canoni e corrispettivi sono determinati in base a diversi parametri: carattere dell’attività;
mezzi e modalità di esecuzione; tipo e tempo di utilizzazione; uso, destinazione e benefici economici417. In questa valutazione solitamente risulta rilevante la quantità di copie su cui attuare la riproduzione. Le quote di pagamento che erano state previste dal tariffario 418 della legge Ronchey variavano a seconda della loro riconducibilità alle seguenti categorie: riproduzioni eseguite dall’Amministrazione; noleggio di fotocolor e diapositive; riprese fotografiche non eseguite dall’Amministrazione; riprese cinematografiche e televisive; riproduzioni in facsimile, copie e prodotti derivati; edizioni a stampa e pubblicazioni. Ognuna di queste categorie era stata a sua volta oggetto di particolari
distinzioni interne, a seconda, per esempio, del formato, o di una riproduzione in bianco e nero o a
colori, o della sua già esistenza o meno, o della previsione di una riutilizzazione.
412
Con chiare parole, FALCON, G., Lineamenti di diritto pubblico, Padova, 2008, p. 405; si veda altresì CORSO, G.,
Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2010, pp. 205 ss., e D’ALBERTI, M., Le concessioni amministrative: aspetti
della contrattualità delle pubbliche amministrazioni, Napoli, 1981, pp. 341 ss.
413
Art. 110, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
414
SERRA, A., Patrimonio culturale e nuove tecnologie: la fruizione virtuale, in L. CASINI (a cura di), La globalizzazione dei beni culturali, Bologna, 2010, pp. 240-241.
415
Come viene esplicitato, ad esempio, all’interno del modulo di Richiesta di autorizzazione all’utilizzo e riproduzione di immagini di beni culturali di spettanza dei Musei Civici Palazzo Buonaccorsi di Macerata, disponibile in
http://www.maceratamusei.it.
416
Le tasse, a differenza dei corrispettivi, non sono assoggettabili ad imposta: si veda FALSITTA, G., Corso istituzionale di diritto tributario, Padova, 2012, p. 15.
417
Art. 108, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani).
418
D.m. 8 aprile 1994, Tariffario per la determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per le concessioni relative
all’uso strumentale e precario dei beni in consegna al Ministero.
89
L’autorizzazione andrà richiesta all’autorità competente: per i beni in consegna al Ministero,
al soprintendente; altrimenti, all’ente territoriale interessato 419. L’accoglimento della richiesta, per
luoghi della cultura quali musei o archivi, spesso viene ancora direttamente valutata dal direttore o
dal responsabile dell’istituto420, nonostante il Codice Urbani abbia espressamente eliminato l’attribuzione di tale prerogativa al capo dell’istituto 421. Basandosi su un consenso potenziale dell’Amministrazione, è possibile, sebbene si tratti di un’eventualità estremamente rara, che la richiesta venga
rifiutata: in mancanza di indicazioni contrarie, si deve ritenere che in tal caso occorra apportare una
motivazione al provvedimento422; trattandosi di una forma ampia di discrezionalità tecnica 423, in cui
oggetto di valutazione non è solo la prospettiva di ottimale conservazione del bene riprodotto ma
anche la salvaguardia della sua dignità culturale, il ricorso andrà proposto al giudice amministrativo.
Il procedimento per l’autorizzazione all’uso strumentale e precario nonché alla riproduzione
di beni culturali prevede un termine massimo di novanta giorni 424, a partire dal giorno successivo al
ricevimento dell’istanza: sarà necessario attendere un preciso consenso espresso dell’autorità richiesta425, che impedisce strumenti quali la dichiarazione di inizio attività (ora: segnalazione certificata
di inizio attività) o il silenzio assenso426. Se l’Amministrazione omette di provvedere, si deve ritenere che sia esperibile azione avverso il suo silenzio427.
L’autorizzazione avrà generalmente da essere richiesta con un certo anticipo in caso di riprese professionali; la successiva pubblicazione comporta la precisazione di quale Amministrazione
419
Un esempio è dato da quanto previsto nei moduli predisposti dal Polo Museale Fiorentino, reperibili all’indirizzo
http://www.uffizi.firenze.it.
420
È il caso, per esempio, di quanto previsto dal Comune di Bassano del Grappa nel Regolamento per la riproduzione
e uso del patrimonio storico artistico bibliotecario archivistico del Museo Biblioteca Archivio, disponibile in
http://www.bassanodelgrappa.gov.it.
421
Prevista dall’art. 115, comma 1, d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in materia
di beni culturali e ambientali.
422
Art. 3, l. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi.
423
FANIZZA, A., Artt. 106-107-108-109, in A. ANGIULI – V. CAPUTI JAMBRENGHI (a cura di), Commentario al codice
dei beni culturali e del paesaggio, Torino, 2005, p. 272
424
D.P.C.M. 22 dicembre 2010, n. 271, all. 1, Regolamento di attuazione dell'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n.
241, riguardante i termini dei procedimenti amministrativi del Ministero per i beni e le attività culturali aventi durata
non superiore a novanta giorni.
425
Art. 107, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani): semplicemente ripropositivi di quanto espressamente previsto dalla norma del Codice sono atti di più chiara lettura quali la Deli bera della Giunta Provinciale di Trento, 28 dicembre 2007, n. 3064, all. D, Dichiarazione di inizio attività e silenzio assenso - attuazione degli articoli 9, 23 e 23-bis della legge provinciale 30 novembre 1992, n. 23.
426
Rispettivamente artt. 19 e 20, l. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e
di diritto di accesso ai documenti amministrativi.
427
Art. 31, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, allegato 1, Codice del processo amministrativo.
90
abbia consentito all’utilizzazione e la consegna di copia del prodotto realizzato 428, in linea con la disciplina del tariffario seguito alla legge Ronchey429.
Il modus operandi che caratterizza la prassi italiana è sintomatico di forme che non si attagliano alla sostanza: tanto la normativa sulla riproduzione prevista dal Codice Urbani comporta potenzialità di restrizione alla circolazione dell’immagine del bene culturale ed una limitazione alla
possibilità di accedere alla sua rappresentazione visiva, tanto la realtà dei fatti dimostra come le amministrazioni trattino tendenzialmente con superficialità questo problema, come dimostra la rarità di
casi giurisprudenziali o di controversie di un certo rilievo a caratterizzare il panorama italiano.
Le ragioni per cui si ha un manifestarsi di così poche controversie in questo settore può derivare da diverse cause: il mancato adattamento dei regolamenti locali alla disciplina legislativa più
recente, la volontà da parte delle amministrazioni di mantenere un profilo maggiormente aperto alla
diffusione dei loro contenuti culturali, il tentativo di risolvere in via transattiva l’insorgenza di eventuali contrasti… Questo stato di fatto non preclude ovviamente che l’indirizzo interpretativo possa
cambiare e volgersi, entro l’applicazione consentita dalla legge, in un senso più severo e stringente.
Un vivace teatro di casi giurisprudenziali in materia di riproduzione dell’immagine dei beni
(tra cui quelli culturali) è rappresentato, invece, dalla Francia. Se questo dipenda semplicemente da
una connaturata attenzione che quella cultura giuridica ha riservato all’aspetto esteriore delle cose 430
o se invece derivi da una precisa predisposizione ordinamentale ha da essere oggetto di un’apposita
riflessione.
2. Francia
Sul finire del 2006, il Ministero francese dell’Economia ricevette il frutto di mesi di lavoro
di una apposita commissione, presieduta da Maurice Lévy e Jean-Pierre Jouyet e dedicata a delucidare sul modo in cui la Francia avrebbe affrontato le opportunità offerte dall’economia dell’immateriale, definito come fattore chiave della crescita e del successo delle economie sviluppate 431. Seriamente considerato ed anche dibattuto 432, tale rapporto ha portato all’istituzione di un’Agenzia per il
428
Vedasi, per esempio, il Regolamento e tariffario per l’uso e la riproduzione di beni culturali della Soprintendenza
delle province di Cagliari ed Oristano, disponibile al link http://www.archeocaor.beniculturali.it.
429
Artt. 1 e 3, d.m. 8 aprile 1994, Tariffario per la determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per le concessioni relative all’uso strumentale e precario dei beni in consegna al Ministero.
430
Così ipotizza FUSI, M., Sulla riproduzione non autorizzata di cose altrui in pubblicità, in Riv. Dir. Ind., 3/2006, pp.
92-93.
431
LÉVY, M. – JOUYET, J.-P., L’économie de l’immatériel: la croissance de demain, Parigi, 2006.
432
In particolare, tale rapporto è stato considerato il frutto di un malsano modo di vivere il capitalismo, improntato
alla deregolazione e privatizzazione anche di un bene dell’umanità quale la cultura, da MUSSO, P., Une critique de “l’économie de l’immatériel” vue par le rapport Jouyet-Lévy, in Quaderni, 1/2007, pp. 81 ss.
91
patrimonio immateriale dello Stato ed alla approvazione di regolamenti per la valorizzazione del patrimonio pubblico immateriale, compresa l’immagine dei beni pubblici, in modo da far partecipare
la pubblica amministrazione ai vantaggi ottenuti dai privati tramite lo sfruttamento dell’immagine
del patrimonio culturale nazionale433. Già in una legge434 di qualche anno precedente, in effetti, veniva invitato il Governo ad esaminare all’interno di un rapporto il diritto all’immagine ed i mezzi per
renderne beneficiarie le amministrazioni pubbliche relativamente alle opere d’arte di cui esse avevano la proprietà o la gestione.
Quest’indirizzo politico non ha ottenuto molto successo all’interno di uno dei primi casi in
cui avrebbe dovuto trovare riscontro435. L’immagine del castello di Chambord, bene facente parte
del demanio nazionale francese, era stata utilizzata all’interno della pubblicità di una birra. Affermando che ogni occupazione od utilizzo del demanio pubblico dà luogo a pagamento d’un canone436, l’Amministrazione aveva richiesto il pagamento di quanto riteneva dovuto. Il giudice, invece,
negò che l’immagine della cosa potesse essere assimilata alla cosa stessa o ai diritti di proprietà su
di essa: la fotografia di un bene del demanio non è destinata né all’uso diretto del pubblico né ad un
servizio pubblico né costituisce un indissociabile accessorio del bene, pertanto, in mancanza di specifiche disposizioni che vietano la riproduzione del bene, non poteva considerarsi illecito l’uso che
si sarebbe fatto della sua immagine. Alla libertà di fotografare i beni culturali, deve essere aggiunta
quella di pubblicarne le immagini anche con fini di sfruttamento437.
L’evoluzione di questo settore è giovata da un dibattito frutto di ampie discussioni nella giurisprudenza transalpina: se ora le amministrazioni pubbliche francesi studiano le possibilità di far riconoscere un diritto sull’immagine dei beni, è perché spiragli su questo fronte sono stati aperti in
passato nella mentalità giuridica francese, soprattutto in ambito civilistico. Fin dalla metà del XIX
secolo, i giudici francesi si sono trovati a considerare ipotesi di riproduzione dell’immagine di beni,
adottando, in primo luogo, una visione permissivista 438: significativa è una sentenza del 1889, in cui
si escludeva che lo Stato avesse inteso riservare all’autore l’esclusiva nella riproduzione della Tour
Eiffel perché sarebbe stato assurdo privare il pubblico del diritto di procurarsi liberamente l’immagine439. Si era in un’epoca in cui le riproduzioni avvenivano tramite pittura o con apparecchiature
fotografiche di non comune diffusione e questa considerazione può aver determinato l’indirizzo dei
433
Con maggiori dettagli, il filo conduttore di queste vicende è delineato da RESTA, G., L’immagine dei beni, in G.
RESTA (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2011, pp. 580 ss.
434
Art. 20, loi 4 gennaio 2002, n. 5, Relative aux musées de France.
435
TA Orléans, 6 marzo 2012, n. 1102187, in Recueil Dalloz, 2012, p. 2222, confermato sostanzialmente in Cour administrative d’appel di Nantes, 2ème, 28 dicembre 2012, n. 12NT00754.
436
Art. L. 2125-1, ordonnance 21 aprile 2006, Relative à la partie législative du code général de la propriété des
personnes publiques.
437
Secondo quel che già affermava KAYSER, P., L’image des biens, in Dalloz, 1995, Chron., pp. 291 ss.
438
CA Paris, 5 giugno 1855, in D. P., 2/1857, p. 29; Tribunal de commerce Seine, 7 marzo 1861, in D. P., 3/1861, p.
32.
439
Tribunal civil Seine, 18 aprile 1889, in Ann., 1893, p. 221.
92
giudici e la non preoccupazione riguardo la circolazione dell’immagine, anche a scapito dei diritti di
proprietà intellettuale degli architetti440.
I primi dubbi furono instillati solo nel corso del XX secolo, quando, in una sentenza 441, fu ritenuta illecita l’utilizzazione commerciale di una fotografia d’un luogo di pellegrinaggio per la denaturazione che si apportava alla sacralità del sito. Pochi anni prima 442, era stata valutata come illecita l’utilizzazione di una fotografia scattata nel corso dell’apertura al pubblico di un castello, in
quanto, essendo stata destinata a fini commerciali all’interno di una cartolina postale, risultava una
potenziale fattispecie di concorrenza sleale rispetto all’impiego che il proprietario poteva fare del
proprio bene.
Nel corso degli anni, la tutela dell’immagine dei beni oscillò in alterne fortune. Nel caso c.d.
Buffet443, fu interdetta la commercializzazione della raffigurazione di un castello dipinto a memoria
da un’artista, stante la dicitura sul biglietto d’ingresso dello stesso castello che ogni riproduzione
era vietata: potendo il proprietario impedire l’accesso alla sua proprietà, a fortiori poteva subordinare l’autorizzazione all’accesso al rispetto di determinate clausole. Al contrario, fu consentita, a scapito del diritto d’autore, la riproduzione dell’immagine d’una statua colta nell’occasione pubblica
della sua inaugurazione444.
Molto s’è discusso intorno alla riconoscibilità e caratterizzazione dell’opera all’interno dell’immagine: riproduzioni troppo imprecise inadatte a comunicare al pubblico le caratteristiche principali dell’opera445 o in cui l’opera figurasse come mero elemento paesaggistico senza funzione di
valorizzazione o decoro446 non sono state ritenute oggetto di protezione. Un piccolo cammeo sull’Italia: in un caso riguardante l’indebita utilizzazione della fotografia scattata ad una coppia di turisti
francesi dinnanzi alla Torre di Pisa, si è ritenuto che l’elemento centrale dell’immagine fosse costituito non dal monumento ma dai due individui, con conseguente violazione, nella fattispecie concreta, del diritto di personalità447.
L’approdo di simili controversie sembrava essere segnato dalla sentenza c.d. Gondrée 448, la
quale recepì un cambiamento di interpretazione che s’era andato sviluppando nel corso degli anni
Novanta449, ossia l’inquadramento del controllo sull’immagine dei beni all’interno del diritto di pro440
Come in Tribunal civil Seine, 28 ottobre 1903, in Ann., 1903, p. 314.
CA Grenoble,15 luglio 1919, in Dalloz, 2/1920, p. 9.
442
Tribunal civil Meaux, 7 marzo 1905, in Ann. Prop. Ind., 1907, p. 17.
443
CA Paris, 18 febbraio 1972, in RIDA, 1972, p. 214.
444
TGI Seine, 24 novembre 1965, in JCP, 2/1966, p. 14521.
445
TGI Paris, 28 maggio 1997, in Gaz. Pal., 17 maggio 1998, p. 15.
446
CA Paris, 14 settembre 1999, Legipresse, 3/2000, p. 33; Cour de Cassation, 1ère, 4 luglio 1995, in Recueil Dalloz,
1996, Jur., p. 4.
447
Tribunal commercial Seine, 26 febbraio 1963, in JCP, 2/1963, p. 13364.
448
Cour de Cassation, 1ère, 10 marzo 1999, in Dalloz, 1999, Jur., p. 319.
449
CA Metz, 26 novembre 1992, in Dalloz, 1994, Somm., p. 161; CA Paris, 12 aprile 1995, in JCP G., 2/1997, p.
22806.
441
93
prietà, sennonché, pochi anni dopo, tale interpretazione venne sconfessata dalla Cassazione stessa,
ritenendo che tale tutela potesse accordarsi al proprietario solo in combinazione di ulteriori elementi, ossia un’utilizzazione a carattere commerciale segnata da una anormale turbativa 450. Pertanto, un
soggetto non ha un diritto assoluto di impedire la riproduzione del castello di sua proprietà all’interno di un’opera finalizzata alla pubblicizzazione del patrimonio culturale francese, in ragione degli
scopi pedagogici dell’utilizzazione riconducibili al principio di libertà d’espressione451: d’altronde,
la libertà d’espressione e la libertà di riprodurre non sono formalmente contrastate in alcun testo legislativo da un presunto diritto sull’immagine dei beni452.
La libertà di riprodurre ha valicato la disciplina del diritto d’autore nel seguente caso 453: la
Place des Terraux di Lione era da sempre oggetto di riproduzioni ad uso commerciale in virtù della
sua ambientazione a carattere turistico; quando due autori installarono le loro opere nella suddetta
piazza, reclamarono il proprio diritto di riproduzione sulle immagini circolanti della piazza così
come appariva in quel momento. I giudici, valutando che le riproduzioni in questione non coglievano le opere singolarmente considerate ma il complesso scenografico, respinsero la domanda poiché
risultava impossibile distinguere, a causa della loro correlazione, patrimonio storico e strutture moderne a tal punto che, in caso di accoglimento, si sarebbe avuta l’assurda situazione per cui gli autori avrebbero tratto giovamento dalla riproduzione di monumenti storici pubblici: l’esito della sentenza venne poi confermata nei gradi successivi di giudizio, in considerazione della natura accessoria delle opere moderne rispetto all’intera ambientazione454.
La particolare caratterizzazione paesaggistica, in un caso riguardante delle riprese aeree della città di Port Grimaud, portò i giudici ad asserire che “è la totalità della città di Port Grimaud, considerata come un’opera d’arte, che beneficia della protezione della legge, e non questo o quel determinato edificio”455.
Il patrimonio culturale francese è costituito dall’insieme di beni, immobili o mobili, di proprietà pubblica o privata, che presenta un interesse storico, artistico, archeologico, estetico, scientifico o tecnico456. Indubbiamente, le amministrazioni pubbliche si trovano a possedere anche in Francia un patrimonio che sono tenute a gestire nel modo migliore per la collettività secondo l’interesse
generale457. Il diritto stesso di riproduzione dei monumenti pubblici viene generalmente gestito dallo
Stato, ma se una volta questo accadeva per l’autorità del potere pubblico, ora avviene dietro ingenti
450
Cour de Cassation, Ass. plén., 7 maggio 2004. in Dalloz, 2004, Jur., p. 1545.
CA Paris, 31 marzo 2000, in Dalloz, 2001, Jur., p. 770.
452
DUCREY, G. – LANCRENON, T., Dessine-moi une maison!, in Rec. Gaz. Pal., 11-12/2000, p. 2236.
453
TGI Lyon, 4 aprile 2001, JCP G, 2/2001, p. 10563.
454
Cour de Cassation, 1ère, 15 marzo 2005, n. 567.
455
TGI Draguignan, 16 maggio 1972, in Gaz. Pal. 2/1972, p. 568.
456
Art. L. 1, ordonnance 24 febbraio 2004, n. 178, Relative à la partie législative du code du patrimoine.
457
RAVANAS, J., L’image d’un bien saisie par le droit, in Recueil Dalloz, 2000, pp. 19 ss.
451
94
compensi forfettari agli autori458, la qual cosa aiuta a comprendere come, nel giro di un secolo, si sia
capovolto il paradigma sulla libertà di riproduzione delle opere monumentali. Abbandonato l’altruismo del XIX secolo, lo Stato ricerca un interesse finanziario nel coltivare un controllo sull’immagine dei beni, come, in un certo qual modo, già avviene con le opere contenute nei musei anche se cadute in pubblico dominio459.
La riproduzione di immobili di proprietà pubblica può essere impedita da esigenze legate ad
un interesse per la sicurezza nazionale, ma tali da non arrecare ingiustificati pregiudizi ai cittadini.
In particolar modo, sui monumenti storici e sul patrimonio culturale in genere, dovrebbe ritenersi
garantita una libera riproduzione, come avvenuto nella seguente vicenda 460. Un architetto stava fotografando l’esterno delle cattedrale di Chartres, quando un agente di polizia lo portò al commissariato dove, senza alcuna spiegazione, le fotografie furono confiscate; qualche settimana più tardi, il
medesimo architetto si vide negare l’accesso alla cattedrale di Chartres da parte dell’Amministrazione di Belle Arti. Il Consiglio di Stato valutò come l’operato dell’Amministrazione nel corso dell’intera vicenda non fosse stato corretto: la preoccupazione di adottare misure che garantissero protezione dei beni storico-artistici non poteva scontrarsi con la facoltà d’utilizzo dei beni del demanio
pubblico in conformità alla loro destinazione. Per la medesima ragione, il Consiglio di Stato ha pure
annullato quelle deliberazioni municipali che stabilivano un divieto di ripresa in pubblico, anche
temporanea, se non previa autorizzazione 461. Allo stesso modo, il giudice amministrativo 462 aveva
annullato, in ragione della libertà d’impresa, il divieto che era stato posto dall’amministrazione di
Tours ad un fotografo professionista nello scattare fotografie all’interno del museo di Belle Arti,
laddove fosse stata garantita la sicurezza e la conservazione delle opere: tuttavia, sulla stessa vicenda, il Consiglio di Stato463 rilevò che, posto che per l’utilizzazione del demanio pubblico bisognava
pur sempre richiedere un’autorizzazione, la tutela della libertà d’impresa non fosse una ragione sufficiente a piegare il rifiuto dell’Amministrazione, a meno di violazioni del principio di uguaglianza.
Per le opere conservate nei musei delle pubbliche amministrazioni vigono apposite regole.
La Direzione museale francese ha stabilito mediante un regolamento interno 464 una libertà di riproduzione per le riprese private, comunque subordinata ad un’autorizzazione del capo dell’istituto.
Molto tempo addietro, ma con effetti validi ancora oggi, era stato previsto 465 che il diritto di dipin458
EDELMAN, B., La rue et le droit d’auteur, in Dalloz, 1992, Chron.¸ pp. 91 ss.
DUCREY, G. – LANCRENON, T., Dessine-moi une maison!, in Rec. Gaz. Pal., 11-12/2000, p. 2238.
460
CE, 18 novembre 1949, in RDP, 1950, p. 172
461
CE, 22 giugno 1951, in Dalloz, 1951, Jur., p. 589.
462
Cour administrative d'appel di Nantes, 2ème, 4 maggio 2010, n. 09NT00705.
463
CE, 29 ottobre 2012, n. 341173: il ragionamento del giudice s’è basato sugli artt. L. 2112-1, L. 2121-1, L. 2122-1,
ordonnance 21 aprile 2006, Relative à la partie législative du code général de la propriété des personnes publiques.
464
Arrêté del ministro della Cultura e della Comunicazione, 13 marzo 1979, Règlement intérieur des musées de France.
465
Art. 119, loi 31 dicembre 1921, Loi de finances pour 1922.
459
95
gere, disegnare, fotografare e riprendere in musei, collezioni e monumenti avrebbe dato luogo alla
percezione di una tassa speciale, il cui ammontare sarebbe stato stabilito da un successivo regolamento. È da notare come un simile onere sia richiesto a prescindere da modi e finalità per cui la riproduzione verrà diffusa, ma al suo semplice effettuarsi. Trattandosi d’una tassa per servizio reso,
l’ammontare del pagamento dovrebbe essere calcolato solamente sulle spese sostenute dall’ente e
non, come invece accade nella prassi, in considerazione del formato dell’immagine riprodotta, del
tipo di supporto o dell’utilizzazione: sotto questo aspetto, l’uso a fini scientifici non dovrebbe godere di tariffe preferenziali rispetto a quello a scopo commerciale 466. Per questa ragione, il Consiglio
Costituzionale467 ha escluso il carattere fiscale o parafiscale di questa tassa, tant’è vero che su di
essa si applica l’imposta sul valore aggiunto 468. Deve trattarsi di un servizio reso in termini effettivi,
mediante l’apposita messa a disposizione degli oggetti e l’impiego di personale: il semplice visitatore, che già ha pagato un biglietto d’ingresso, non ha da pagare la tassa poiché non ha bisogno dei
servizi del museo per effettuare le sue riproduzioni fotografiche 469; per il medesimo motivo, era stata espressamente470 esclusa la percezione della tassa in caso di fotografie ottenute con il solo ausilio
della luce della stanza mediante apparecchi tenuti a mano.
Originariamente la devoluzione di una simile tassa era indirizzata alle casse dell’istituto a
cui i beni appartenevano od erano in consegna; in seguito471, il provento per le tasse speciali sulle riprese fotografiche e cinematografiche venne destinato alla RMN (Réunion des Musées Nationaux,
attualmente Réunion des Musées Nationaux et du Grand Palais des Champs-Élisées), la quale l’avrebbe ripartito in parti uguali tra la cassa nazionale dei monumenti storici e dei siti e la RMN stessa. Istituita472 nel 1895, la RMN è un ente pubblico autonomo sotto la tutela del Ministero della Cultura avente diversi compiti: acquisizione di opere d’arte per tutti i musei statali francesi; gestione
del servizio di biglietteria, di cui stabilisce le tariffe; organizzazione di mostre e conferenze; pubblicazione e diffusione di libri ed oggetti. Pur non detenendo l’esclusiva delle pubblicazioni dei musei
nazionali francesi, la RMN è un importante editore di riferimento per quanto concerne cataloghi,
guide ai musei, documenti di divulgazione, libri per ragazzi, pubblicazioni scientifiche, prodotti
multimediali; gestisce inoltre l’archivio fotografico dei musei statali ed un settore-immagini destinato alla produzione di cartoline e manifesti473.
466
CORNU, M., Droit des biens culturels et des archives, in http://eduscol.education.fr , 2003, p. 24.
Conseil Constitutionnel, 10 marzo 1966, n. 38.
468
Si veda, ad esempio, il tariffario applicato dal Museo Delacroix in http://www.musee-delacroix.fr.
469
STÉRIN, A.-L., Un musée peut-il interdire de photographier?, in http://www.adbs.fr, 2011.
470
Art. 2, arrêté 20 febbraio 1959, Taxe spéciale de photographie dans les musées nationaux, leurs cours, jardins et
dépendances extérieurs.
471
Art. 7, loi 22 dicembre 1962, n. 1529, Loi de finances pour 1963.
472
Art. 52, loi 16 aprile 1895, Loi de finances pour 1896.
473
RONCACCIOLI, A., L’azienda museo: problemi economici, gestionali e organizzativi, Padova, 1996, pp. 188 ss.
467
96
Al di là dei compiti della RMN, i musei statali francesi vivono in forma indipendente tra
loro, non essendo prevista una struttura amministrativa di coordinamento come la soprintendenza in
Italia: la politica francese nel settore culturale non conosce diversi livelli di potere 474. La Direzione
museale statale controlla in via diretta i musei nazionali e, per apposita disposizione legislativa o
per prassi, alcuni altri musei; può esercitare inoltre un controllo tecnico sui musei locali 475. Ciò determina delle diversità nelle modalità di gestione, che si riflettono anche nel controllo sulle riproduzioni dei beni culturali in essi contenuti. Le divergenze non riguardano solo musei gestiti privatamente476, ma anche gli stessi musei pubblici. Il Louvre, dopo aver tentato una virata restrittiva prontamente abbandonata, lascia libertà di fotografia salvo in aree in cui sia espressamente proibito, ma
altri istituti, come il Museo d’Orsay, esigono un’apposita richiesta per la riproduzione delle opere in
loro possesso477. Non manca, anche in Francia, chi critica una simile situazione: dopo il susseguirsi
di lettere aperte478 ed altre iniziative, il Ministero stesso è intervenuto per organizzare incontri chiarificatori sul tema. Da questo sostrato, la Direzione Generale del Patrimonio ha indirizzato ai direttori di musei e monumenti nazionali una carta di buone pratiche fotografiche 479, in cui si richiede
collaborazione sia da parte del visitatore (disattivazione del flash, uso strettamente privato della riproduzione…), sia da parte dell’istituto (disponibilità gratuita sul proprio sito Internet di riproduzioni in alta risoluzione, chiarezza nelle indicazioni e nella segnaletica…).
Il panorama che offre l’ordinamento francese sulla riproduzione di beni culturali si presenta
quindi per ora formalmente di libertà, ma più torbido alla luce della realtà e nei suoi presupposti
evolutivi. Il racconto di un’ulteriore vicenda480 servirà a verificare come anche la prassi francese
mostri incertezze nell’affrontare questa tematica.
Nel 2008, uno scultore francese fu scelto da un museo asiatico per eseguire la copia di una
scultura del XVII secolo presente all’interno del parco di Versailles. Per compiere il suo lavoro,
l’artista richiese l’autorizzazione per effettuare delle misure sull’opera originaria mediante raggio
laser: dal responsabile gli fu risposto che doveva essere versata a titolo di diritto di riproduzione
una cifra di oltre un milione di euro all’ente pubblico che gestisce Reggia, museo e demanio nazionale di Versailles, richiesta poi scesa ad un milione di euro con la fissazione di ulteriori condizioni.
474
BENHAMOU, F., L’economia della cultura (traduzione italiana da L’économie de la culture, Parigi, 2011). Bologna,
2012, pp. 136 ss.
475
FOÀ, S., La gestione dei beni culturali, Torino, 2001, pp. 375 ss.
476
Tra cui il Museo Unterlinden di Colmar, come è possibile visualizzare nell’apposita pagina web http://www.musee-unterlinden.com.
477
Si veda l’apposita pagina web http://www.musee-orsay.fr.
478
Come la lettera aperta datata 20 febbraio 2012 a firma CHAUMIER, S., ed altri, Lettre collective adressée à Frédéric
Mitterrand pour demander que soient organisées, sous l’égide du ministère de la Culture, des réunions de réflexion sur
la pratique photographique au musée, disponibile in http://www.louvrepourtous.fr.
479
Datata 14 giugno 2013, la Charte des bonnes pratiques photographiques dans les musées et monuments nationaux
è reperibile in http://www.louvrepourtous.fr.
480
La vicenda è narrata in un articolo dal titolo Le droit de reproduction des oeuvres domaniales appartenant aux
Musées de France datato 10 gennaio 2012 sul blog del giornalista PERRAULT, G., in http://www.gillesperrault.com.
97
Alle rimostranze dello scultore di non comprendere su che ragione fosse fondata quella richiesta di
pagamento, fu risposto che tale versamento era conseguenza della previsione di una convenzione di
mecenatismo481, che però non era conforme all’intenzione dell’artista, il quale non era mosso da alcuno spirito di conservazione del patrimonio culturale bensì dalla volontà di divulgare l’opera originaria.
Ulteriore mossa dell’amministrazione demaniale fu la decisione che l’ente pubblico di Versailles (établissement public a carattere amministrativo dotato di autonomia di gestione amministrativa e finanziaria) non avrebbe concorso alla realizzazione dell’opera, in considerazione della presa
di posizione dello scultore e dalla mancata associazione allo studio del progetto. Le insistenze del
richiedente portarono l’Amministrazione ad elaborare un’ulteriore opinione: la copia avrebbe comportato delle differenze notevoli rispetto all’originale, la qual cosa contrastava con la missione di
protezione che l’ente aveva sulle collezioni della Reggia di Versailles. In realtà, sulla base di questa
argomentazione non si poteva evincere la possibilità di interdire una riproduzione o di controllarne
la qualità, ma la sola applicabilità della disciplina delle copie, con la previsione di una esplicita
menzione dell’originale482. Lo scultore minacciò il ricorso alle vie legali: ricordando di aver semplicemente richiesto l’autorizzazione all’effettuazione della misurazione di una statua, riteneva il conseguente rifiuto dell’Amministrazione come un atto privo di valida motivazione, caratterizzato da
abuso di diritto ed eccesso di potere, contro cui sarebbe stato possibile ricorrere innanzi al giudice
amministrativo. Dopo aver chiesto una proroga per riconsiderare la vicenda, l’ente preposto autorizzò lo scultore a procedere alla realizzazione della copia; solo successivamente fu data l’autorizzazione alla misurazione della statua originaria.
Le difficoltà in cui è incorso il protagonista di questa vicenda e, d’altra parte, la necessità
per gli enti preposti alla cura di beni culturali di reperire fondi mai sufficienti anche tramite vie traverse testimoniano la confusione in cui versa la situazione della riproduzione dei beni culturali anche in Francia. Questa sfasatura si riversa di conseguenza da un lato nello smarrimento del pubblico
fruente e dall’altro nell’incapacità del settore pubblico di attuare politiche coerenti incentrate sulla
valorizzazione del patrimonio culturale. “Nobili palazzi, magnifiche ville, grandi collezioni di libri,
di statue, di pitture e di altri oggetti di curiosità sono spesso un ornamento e un onore non solamente
dei luoghi ove si trovano, ma ancora dell’intiero Paese cui appartengono: Versailles è un ornamento
ed un onore alla Francia, Stowe e Wilton per l’Inghilterra”. Così scriveva Adam Smith in La ric-
481
La convenzione di mecenatismo consiste nell’apportare sostegni materiali al settore culturale senza alcuna contropartita ma con la possibilità di ottenere vantaggi fiscali: in Francia è disciplinato dalla loi 1 agosto 2003, n. 709, Relative au mécénat, aux associations et aux fondations.
482
Art. 8, décret 3 marzo 1981, n. 255, Sur le répression des fraudes en matière de transactions d’oeuvres d’art et
d’objects de collection.
98
chezza delle nazioni483, dimostrando di cogliere il valore aggiunto e le esternalità positive degli investimenti culturali484. Alla luce dei fatti, si potrebbero ancor oggi affermare con sicurezza le stesse
cose per Versailles? E l’Inghilterra, con l’intero mondo del common law, in che situazione versa?
3. Common Law
Quando si parla di common law, ci si riferisce ad ordinamenti sì accomunati nella matrice e
nel modo di concepire il diritto, ma pur sempre differenti ed autonomi tra loro. Per questi motivi, se
pur sarà possibile sviluppare alcune riflessioni di portata generale, bisogna considerare le peculiarità
che si sono formate nelle diverse legislazioni. Infatti, mentre negli Stati Uniti, come si è già avuto
modo di osservare nel trattare il caso c.d. Gaylord, non è riconosciuta una libertà di panorama sulle
opere artistiche e sculture su cui vigono diritti d’autore anche se installate in luoghi pubblici, nel resto del mondo di common law non si ha la medesima percezione: nel Regno Unito485, è sempre consentita la riproduzione, oltre che di edifici, di sculture, modelli per edifici ed opere di artigianato artistico, similmente a quanto vale per Australia, Canada ed altri Paesi di comune cultura anglofona.
Di primo acchito, parrebbe che la tradizionale caratterizzazione liberale di questi ordinamenti valga anche e soprattutto nel settore culturale, anche se ciò comporta conseguenze talvolta deleterie: nel periodo tra il secondo dopoguerra e gli anni Settanta, in Gran Bretagna sono state abbattute
dai proprietari oltre 700 ville storiche486, nonostante i tentativi del legislatore di arginare il fenomeno487; all’inizio degli anni Novanta, suscitò ampio dibattito anche sulla stampa la vendita di un pregiato mobile di raffinata manifattura da parte di un duca inglese ad una ereditiera americana per
svariati milioni di sterline488. Il tipico approccio del mondo anglosassone ai beni culturali è indirizzato al riconoscimento di una forma di proprietà diversa da quella ordinaria e propriamente culturale489. Nel Regno Unito, la classificazione dei beni culturali (cultural property o, per quanto la distinzione sia molto labile490, cultural heritage se ci si riferisce ad un concetto più astratto) non è basata
infatti sulla dicotomia pubblico-privato, perché la forma con cui generalmente si concretizza la loro
483
SMITH, A., Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni (traduzione italiana da The wealth of
nations, Londra, 1776), Torino, 1851, p. 239.
484
BENHAMOU, F., L’economia della cultura (traduzione italiana da L’économie de la culture, Parigi, 2011). Bologna,
2012, pp. 132 ss.
485
Section 62, Act 15 novembre 1988, Copyright, Designs and Patents Act.
486
Dato riportato da SETTIS, S., Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto, Milano, 2005, p. 280.
487
Come l’Act 31 luglio 1953, Historic Buildings and Ancient Monuments Act.
488
Il travagliato destino del Badminton Cabinet è stato descritto da GILLMAN, D., The idea of cultural heritage, New
York, 2010, pp.65 ss.
489
CASSESE, S., I beni culturali: sviluppi recenti, in M. P. CHITI, Beni culturali e Comunità Europea, Milano, 1994, p.
344.
490
Si veda FRIGO, M., Cultural property v. cultural heritage: a “battle of concepts” in international law?, in International Review of the Red Cross, vol. 86, 2004, pp. 367 ss.
99
gestione è il trust, strumento che consente l’amministrazione di beni secondo disposizioni impartite
dal costituente per l’interesse di un terzo o il raggiungimento di uno specifico fine491: indubbiamente, questo istituto si confà al caso dei beni culturali, la cui gestione secondo quanto previsto dalla
pubblica amministrazione va a riversare i propri benefici sulla generalità dei consociati, ed è questa
la ragione per cui il regime dominicale del bene culturale assume una connotazione differente dagli
altri casi di property rights492, rendendosi assimilabile ad un lascito ereditario trasmesso di generazione in generazione493.
Questo approccio determina anche che l’intervento pubblico nel settore culturale sia tendenzialmente limitato. Negli Stati Uniti, è stilata dal NEA (National Endowment for the Arts) una lista
di istituzioni soggette a sovvenzione, ma il versamento pubblico potrà essere accordato solo se il sostegno privato ammonti ad una cifra almeno equivalente: nel 2007, il Metropolitan Museum di New
York ha ricevuto per sovvenzione una somma costituente solo il 12% del suo intero budget494. Da
tale situazione deriva la necessità per gli enti culturali di garantirsi autonomamente entrate finanziarie, obiettivo raggiungibile in buona misura tramite donazioni private ed appositi investimenti, ma
che può essere agevolato dallo sfruttamento delle risorse stesse che sono offerte dall’istituto culturale, in primis l’immagine dei suoi beni. Una simile idea è soggetta a modalità differenti di realizzarsi
in rapporto a quel che si va a riprodurre, anche in considerazione del fatto che le opere moderne
vengono generalmente acquisite dai musei senza assicurarsi il diritto di riproduzione dall’autore.
All’interno del sito web dell’Opera House di Sydney495 (opera che, nonostante sia stata costruita appena negli anni Cinquanta del XX secolo, è già stata iscritta nel 2005 nel patrimonio culturale australiano e nel 2007 in quello dell’UNESCO) viene dettagliatamente analizzata la questione
delle riprese fotografiche e filmiche. Tali riproduzioni non sono affatto proibite se destinate ad un
uso personale o comunque dissociato da finalità commerciali: per scopo commerciale si intende la
vendita di beni o servizi non correlati all’Opera House ma che suggeriscono in terzi, mediante l’utilizzo dell’immagine dell’edificio, l’impressione che un simile collegamento esista, creando un danno al marchio ed all’esclusività che il trust di gestione offre ai propri sponsor finanziatori. Particolari autorizzazioni vanno richieste pure qualora l’Opera House costituisca un mero elemento del panorama cittadino o della baia o nei casi di riprese televisive o documentaristiche. Le limitazioni po-
491
Ricalco la definizione fornita da TORRENTE, A. - SCHLESINGER, P., Manuale di diritto privato, Milano, 2007, p. 585.
Che “nella concezione di common law l’oggetto della proprietà non sia mai la cosa materiale, ma un diritto ben definito” è l’icastica considerazione di GAMBARO, A. – SACCO, R., Sistemi giuridici comparati, Milano, 2009, p.122.
493
PELLIZZARI, S., Il ruolo dei privati e la tutela del patrimonio culturale nell’ordinamento giuridico inglese: un modello esportabile?, in http://www.aedon.mulino.it, 2010; si veda anche MEER, Y., The legal dimension of Cultural Property ownership: taking away the right to destroy, in http://www.aedon.mulino.it, 2011.
494
BENHAMOU, F., L’economia della cultura (traduzione italiana da L’économie de la culture, Parigi, 2011). Bologna,
2012, pp. 80 ss. e pp. 136 ss.
495
http://www.sydneyoperahouse.com.
492
100
ste alla riproduzione di quest’opera architettonica nascono dal desiderio di evitare un pregiudizio
commerciale.
Per quanto posizionate in altro contesto, non dissimili sono le condizioni poste dai musei
nell’utilizzo delle immagini delle opere in essi contenute: forse a maggior ragione, essendo esse situate in un contesto chiuso e senza altra funzionalità di utilizzo che quella di ammirazione culturale.
In ambito statunitense, sono state oggetto di osservazione 496 le modalità con cui i musei d’oltreoceano presentano la loro offerta culturale sui propri siti Internet. Le riproduzioni delle opere sono, in linea di massima, sempre soggette a limitazioni, in ragione di formule che riportano: asserzioni di diritti di copyright; proibizioni nella riproduzione o distribuzione; delimitazione degli usi permessi; limitazioni dell’uso ad un’unica occasione; restrizioni degli usi delle immagini da altre fonti; affermazioni di Digital Rights Management e relativo controllo sull’immagine digitale; restrizioni temporali o di formato; discrezionalità nell’accordare il permesso alla riproduzione. La dissuasione dall’utilizzazione delle immagini messe a disposizione dai musei passa attraverso: informazione sulla
possibile esistenza di diritti di terzi; affermazione della responsabilità dell’utente in caso di violazione di diritti di terzi; inserimento di disclaimer; l’invito a richiedere il permesso a terzi; clausole
di indennizzo; impossibilità di rendere disponibile l’immagine. Ulteriormente, le immagini per cui è
stata consentita l’utilizzazione devono rispettare certi modi di utilizzazione: divieto di modificazioni; uso del dettaglio solo se autorizzato; rispetto della composizione cromatica; dimensione dell’immagine; risoluzione; margini e bordi; posizionamento in copertine. È spontaneo osservare che un simile regime di tutele ha come formale oggetto di riferimento la riproduzione fotografica, ma come
terminale sostanziale l’opera d’arte riprodotta, di cui si limita la circolazione. La logica conseguenza è un forte controllo su questo settore di mercato da parte dell’ente museale, o, spesso, dell’editore che si è assicurato i diritti di riproduzione e distribuzione, frequentemente in forma di lunga durata e limitando le possibilità di impiego da parte del museo stesso497.
Questo interesse al controllo del settore si mantiene anche in seguito alla già richiamata sentenza498 di una corte statunitense che ha disconosciuto alle riproduzioni fotografiche di opere d’arte
il minimo requisito di originalità necessario per accedere alla protezione del copyright. Il caso c.d.
Bridgeman era stato preconizzato dall’opinione espressa in un giudizio precedentemente deciso dal
Privy Council britannico499: nel valutare un caso di tutela del copyright, fu preso come termine di
paragone la copia artistica mediante pittura o fotografia, ed il giudice commentò che, nonostante
l’abilità ed il lavoro richiesti per l’effettuazione della riproduzione, essa, da copia, non poteva esse496
L’indagine è stata condotta da BROWN, M. A. - CREWS, K. D., Art image Copyright and Licensing, in http://academiccommons.columbia.edu, 2010.
497
PESSACH, G., Museums, Digitization and Copyright Law: Taking Stock and Looking Ahead, in The Journal of International Media and Entertainment Law, 2007, pp. 253 ss.
498
Bridgeman Art Library, Ltd. v. Corel Corp., 36 F. Supp. 2d 191 (S.D.N.Y. 1999).
499
Interlego AG v. Tyco Industries Inc., 1 A.C. 217, Privy Council, 1988.
101
re rivendicata come prodotto originale su cui affermare un copyright. Tuttavia, successivamente, la
giurisprudenza britannica500 meglio precisò il suo punto di vista, riconoscendo una sufficiente creatività alle riproduzioni richiedenti una certa abilità nel posizionamento, nell’angolazione, nella scelta della luce, in particolar modo per gli oggetti tridimensionali, ma è da ritenersi anche per quelli bidimensionali, poiché sarebbe assurdo creare una sfasatura nella riproduzione, ad esempio, di sculture e dipinti: in entrambi la riproduzione arriva a cogliere solo una porzione dell’opera d’arte e non
l’intera essenza dell’originale501. Non vi è quindi alcuna scollatura con quanto previsto dalla legge
britannica, la quale riconosce la fotografia come oggetto di copyright se qualificabile come opera
artistica502, tutelabile fino a un periodo di settant’anni a seguito della morte dell’autore 503. Ma la riproduzione di un’opera d’arte può arrivare a configurarsi come un’opera artistica?
La prassi insegna che gli enti che forniscono immagini dei beni culturali che hanno in gestione danno per implicitamente assodato questo requisito, anche correndo il rischio di ritenere oggetto di copyright fotografie che non accedono a tale tutela 504. In questa maniera, si va a creare un
processo di privatizzazione dei depositi di memoria degli enti culturali505.
Per la riproduzione delle opere d’arte contenute nel Palazzo di Westminster506, occorrerà normalmente compilare un apposito modulo per ricevere immagini di alta qualità contenute nelle raccolte dell’Amministrazione: l’uso commerciale, in ogni caso, deve essere espressamente autorizzato; vanno assicurate specifiche condizioni sull’uso, quali la non modificazione, la non ulteriore diffusione, la consegna di due copie del prodotto ottenuto. Le tariffe dipendono, oltre che dalla tipologia di uso, dalla copertura dei costi amministrativi.
Il British Museum, tra i termini e le condizioni per l’utilizzazione editoriale di riproduzioni
fotografiche fornite dal museo507, precisa che, nel procedere unicamente all’uso accordato dalla licenza, sono proibiti impieghi in promozione di attività commerciali in concorrenza con il museo o
che ne compromettono o svalorizzano il buon nome, la reputazione, l’immagine. La medesima istituzione prevede, con apposite indicazioni per i casi in cui l’impiego è gratuito (uso privato, didattico o di ricerca), delle condizioni generali per l’utilizzazione del materiale messo a disposizione on500
Antiquesportfolio.com plc v. Rodney Fitch & Co. Ltd, FSR 23, 2001.
ALLAN, R. J., After Bridgeman: copyright, museums, and public domain works of art, in University of
Pennsylvania Law Review, vol. 155, 2007, p. 978.
502
Section 4, Act 15 novembre 1988, Copyright, Designs and Patents Act.
503
Section 12, Act 15 novembre 1988, Copyright, Designs and Patents Act; identico termine per le opere create a partire dal 1978 è previsto negli Stati Uniti da §302, Title 17, United States Code.
504
Si ricorda che, ai sensi di §506, lett. c), Title 17, United States Code, la fraudolenta indicazione dell’esistenza di un
copyright comporta una multa fino a 2500 dollari di importo, ma si tratta di una norma che, non avendo mai trovato ri scontro pratico, “abbaia ma non morde” secondo l’ironica osservazione di MAZZONE, J., Copyfraud, in New York University Law Review, vol. 81, 2006, p. 1036.
505
È il tema centrale dell’analisi di PESSACH, G., [Networked] Memory Institutions: Social Remembering, Privatization and its Discontents, in Cardozo Arts & Entertainment Law Journal, vol. 26, 2008.
506
http://www.parliament.uk.
507
http://www.bmimages.com.
501
102
line508: uso ristretto ad un’unica occasione; divieto di modificazioni; limitazione del formato; inserimento della dicitura di provenienza dal trust del British Museum.
Il mancato rispetto di condizioni come queste, riscontrabili in molti altri regolamenti in merito alla riproduzione di opere d’arte del mondo anglosassone, rischia di comportare delle conseguenze legali.
Un caso emblematico ha riguardato nuovamente Wikipedia, questa volta nella sua edizione
inglese509. L’internauta statunitense Derrick Coetzee, nel marzo 2009, aveva caricato sul database
di Wikimedia Commons alcune migliaia di immagini in alta risoluzione di opere d’arte, tratte dal
sito Internet della National Portrait Gallery di Londra, e le aveva inserite nelle correlate pagine divulgative di Wikipedia. Dopo aver vanamente richiesto alla Wikimedia Foundation di rimuovere le
immagini, proponendo di sostituirle con altre a bassa risoluzione, la National Portrait Gallery prospettò di ricorrere alle vie legali contro lo stesso Coetzee, reclamando la violazione del copyright
che deteneva sulle fotografie oggetto della contesa, le cui condizioni di utilizzo erano ben visibili all’interno del sito; l’aver destinato le immagini ad un uso su Wikipedia, ad opinione della pinacoteca,
avrebbe autorizzato qualsiasi utente a produrre ulteriori copie in alta risoluzione. Il sito web dell’ente culturale proteggeva, mediante un apposito software, da un’incontrollata diffusione al grande
pubblico le immagini in alta risoluzione delle proprie opere, essendo stato investito oltre un milione
di sterline per il progetto di digitalizzazione. La National Portrait Gallery avrebbe adito il giudice
britannico essendo il proprio server violato nel Regno Unito e sostenendo che i contenuti delle pagine di Wikipedia fossero rivolti ad un pubblico britannico; la scelta del giudice sarebbe stata contestata dalla difesa, la quale sosteneva che Coetzee ed i server della Wikimedia Foundation erano domiciliati oltreoceano, con la conseguente applicazione del diritto statunitense, diritto in cui si poteva
rinvenire un precedente favorevole: il caso c.d. Bridgeman 510, di cui la parte attrice arrivò a prospettare il capovolgimento concettuale, ossia la rilevanza artistica di una copia pedissequa proprio in ragione della difficile resa dell’aderenza all’originale. Tuttavia, a causa della pubblicità negativa che
stava ricevendo dal protrarsi della vicenda, la National Portrait Gallery abbandonò la contesa; Wikimedia comunque provvide a far accompagnare le immagini inserite da Coetzee dall’avviso che, a
seconda delle giurisdizioni di riferimento, simili riproduzioni potevano essere oggetto di contestazione. In una nota511, la sezione britannica di Wikimedia ha preso posizione contro le ambiguità del-
508
http://www.britishmuseum.org.
Sulla ricostruzione di questa vicenda, si veda STOKES, S., Art and copyright, Oxford, 2012, pp. 156 ss.
510
Curioso è ricordare come, prima della definitiva sentenza Bridgeman II, 36 F. Supp. 2d 191 (S.D.N.Y. 1999), si
ebbe la decisione di Bridgeman I, 25 F. Supp. 2d 421(S.D.N.Y. 1998), in cui il giudice, ritenendo di applicare il diritto
inglese in ragione della sede della parte attrice, giungeva alle medesime conclusioni in tema di assoluta mancanza di
originalità delle immagini.
511
http://upload.wikimedia.org.
509
103
la situazione di accessibilità alle opere d’arte in pubblico dominio causate dalle incertezze sulla riconoscibilità di un copyright sulle fotografie di opere bidimensionali.
In precedenza, era pure stato risolto fuori dalle aule del tribunale un caso 512 in cui si contestava la copia di fotografie d’archivio cadute in pubblico dominio fornite da un’istituzione con la
precisa condizione che non fossero oggetto di riproduzione, clausola che l’utente riteneva inapplicabile: il caso c.d. Schwartz provocò un primo dibattito sul ruolo delle istituzioni nel loro controllo sui
beni a loro disposizione tra chi asseriva una libera fruizione della cultura e chi paventava un’anarchia nel settore dannosa per le istituzioni stesse513.
Il controllo del copyright della riproduzione fotografica è presentato come il principale ostacolo alla diffusione dell’immagine dei beni culturali; anche quando non si pone un simile problema
come nel caso in cui, ad esempio, l’immagine sia liberamente licenziata online, l’ente che ha in cura
il bene avrà spesso interesse ad evitarne un impiego commerciale che possa risultare pregiudizievole alla propria reputazione o fuorviante per il pubblico. Si spiega così il successo ed il giro d’affari
di alcuni siti web specializzati nella raccolta di archivi iconografici, i quali, avendo compiuto acquisti nell’ordine di milioni e milioni di originali fotografici, si sono garantiti un’importante posizione
di mercato a livello globale per contrattare le utilizzazioni delle immagini con la più vasta gamma di
utenti interessati: a seconda della destinazione, varia il prezzo, che può arrivare a toccare centinaia
di migliaia di euro, per un giro totale di affari di diversi miliardi di dollari con costanti margini di
crescita514. Accanto a queste raccolte, ne sono disponibili altre in forma gratuita seppur di qualità
minore.
L’utilizzazione gratuita potrebbe essere invocata in due casi515: l’esenzione per la riproduzione con fini di preservazione di biblioteche ed archivi516 e quella prevista dalla disciplina di fair use
che consente un legittimo utilizzo dell’opera nonostante la previsione di un copyright su di essa. A
differenza del concetto restrittivo di fair dealing del Regno Unito517 e di altri Paesi del Commonwealth, i casi di fair use negli Stati Uniti sono stati spesso flessibilmente coniati da situazioni affrontate dalla giurisprudenza e dalla dottrina e poi codificati all’interno di un’apposita legislazione518: tra questi, sono espressamente previsti l’insegnamento, lo studio e la ricerca. Tuttavia, le pubblicazioni degli studiosi, oltre ad avere un fine di acculturamento, comportano anche un ritorno eco512
Schwartz v. Berkeley Historical Society, No. C05-01551 JCS (N.D. Cal. 2005).
Si veda CORBETT, S. – BODDINGTON, M., Copyright law and the digitisation of cultural heritage, in Centre for Accounting, Governance & Taxation Research Working Paper Series, vol. 77, 2011.
514
GUERZONI, G. – STABILE, S., I diritti dei musei: la valorizzazione dei beni culturali nella prospettiva del rights ma nagement, Milano, 2003, pp. 37 ss.
515
L’osservazione è di PESSACH, G., Museums, Digitization and Copyright Law: Taking Stock and Looking Ahead, in
The Journal of International Media and Entertainment Law, 2007, pp. 253 ss.
516
§108, Title 17, United States Code.
517
Section 29-30, Act 15 novembre 1988, Copyright, Designs and Patents Act.
518
§107, Title 17, United States Code.
513
104
nomico per gli autori: raramente, però, vi sono sufficienti ragioni economiche per adire le vie legali
in riferimento ad usi non autorizzati all’interno di articoli a diffusione universitaria o presso stampa
specialistica, ma la situazione è destinata ad evolversi anche in seguito alle nuove opportunità offerte dal mondo telematico; la pubblicazione di monografie ad ampia diffusione presso il pubblico può
invece arrivare a comportare un esborso complessivo per l’autore di decine di migliaia di dollari 519.
La possibilità di invocare il fair use è determinata dall’esistenza di un copyright: qualora, seguendo
la giurisprudenza c.d. Bridgeman, si disconoscesse tale regime alle immagini che riproducono opere
d’arte, si rischierebbe che i musei, per mantenere un controllo sulla diffusione delle loro opere, vadano a ricorrere a particolari clausole limitative di stampo contrattuale, in cui il fair use, a meno di
un’evoluzione della materia nel particolare settore degli enti culturali 520, non sarebbe rivendicabile
dagli utenti521. Quest’eventualità risulterebbe ancora più preclusiva per la circolazione dell’informazione culturale, rappresentando un forte sbarramento all’accesso che mal si concilia con quanto solitamente concepito dalla mentalità anglosassone, favorevole ad una libera e gratuita disposizione
della cultura: nel Regno Unito l’ingresso alle collezioni permanenti statali è gratuito, mentre il Metropolitan Museum di New York si limita a richiedere un contributo volontario522.
Pare difficile coordinare due spinte propulsive entrambe caratteristiche della cultura anglosassone: il dovere di garantire la libertà della conoscenza e la necessità di ricorrere alla protezione
del copyright. Con alcune notevoli eccezioni523, le istituzioni culturali degli ordinamenti di common
law pongono, spesso per necessità economiche, restrizioni nella libera circolazione dei beni culturali nell’intenzione di monetizzare quanto più possibile, giustificando la propria pretesa con il richiamo mediato alle norme sulla riproduzione di opere coperte da copyright quali potrebbero essere le
fotografie. Non uniformemente tale giustificazione è stata percepita come valida, per cui, anche in
questi ordinamenti, v’è la sensazione che la disciplina sulla riproduzione dei beni culturali debba
fronteggiare incertezze e rivisitazioni rese ancora più urgenti dalla raggiunta portata globale dell’informazione.
519
BALLON, H. - WESTERMANN, M., Art History and its publications in the Electronic Age, disponibile in
http://cnx.org, 2006, pp. 24 ss.
520
È quanto auspica, promuovendo anche proposte di riforma, PESSACH, G., [Networked] Memory Institutions: Social
Remembering, Privatization and its Discontents, in Cardozo Arts & Entertainment Law Journal, vol. 26, 2008, pp. 126
ss.
521
ALLAN, R. J., After Bridgeman: copyright, museums, and public domain works of art, in University of
Pennsylvania Law Review, vol. 155, 2007, pp. 984 ss.
522
BENHAMOU, F., L’economia della cultura (traduzione italiana da L’économie de la culture, Parigi, 2011). Bologna,
2012, p. 85.
523
Per esempio, l’Università di Yale ha posto in pubblico dominio migliaia di immagini delle proprie collezioni mu seali, archivistiche e bibliotecarie, come riferito in http://ydc2.yale.edu; sono open access anche le collezioni digitali
della National Gallery of Art di Washington, come riportato in https://images.nga.gov.
105
Conclusioni
La disciplina sulla riproduzione dei beni culturali prevista dal Codice Urbani rappresenta il
punto di riferimento normativo su questa tematica in Italia, ma non segna l’arrivo ad una salda e
106
condivisa valutazione in materia. Quand’anche il panorama legislativo non dovesse mutare, la situazione può essere oggetto di evoluzioni nel comportamento degli enti e nella percezione degli utenti.
Una maggior consapevolezza del ruolo di entrambi altro non può che giovare ad un miglior godimento pubblico del bene culturale.
Ripercorrendo succintamente quanto è stato scritto, si ha un sufficiente quadro di valutazione per compiere alcune considerazioni. Il bene culturale è oggetto di una particolare disciplina nel
nostro ordinamento per l’attributo da cui è caratterizzato, che lo destina ad essere oggetto d’ammirazione per quanta più gente possibile. Perché questo possa avverarsi, è necessario assicurarne l’accessibilità, affinché, accedendo ai contenuti di cui il bene fisico s’è fatto carico, si possa averne una
fruizione tale da poter portare giovamento agli individui che ne entrano in contatto. La diffusione
dell’immagine, quale specchio del bene culturale, è la via più immediata per ampliare le possibilità
di accedere al significato del bene culturale.
La diffusione dell’immagine avviene mediante il processo di riproduzione, il quale è concepito come replica di qualsiasi genere, anche in formato diverso rispetto all’originale. Di diritto di riproduzione si parla solitamente nella disciplina del diritto d’autore: fotografie, opere multimediali,
banche dati o le stesse opere classificabili come beni culturali possono essere tutelate da tale disciplina, generalmente considerata preminente rispetto a quella sui beni culturali. Il diritto di riproduzione può però comparire anche in altri contesti: tra i segni d’impresa, nella cronaca, nella pubblicità. Quando oggetto della riproduzione è un bene culturale, occorrerà valutare l’incidenza che tale
immagine avrà nella riproduzione.
Il concetto di immagine, se riferito ad un bene, non riconduce ad una chiara situazione giuridica: sembra da escludersi la sua qualificazione come accessorio del diritto di proprietà, mentre più
feconda pare la tesi, in via di evoluzione, che ne fa un prolungamento del diritto all’immagine delle
persone. Il rispetto per l’immagine delle cose passa anche attraverso le cautele con cui si accettano
sue alterazioni, che possono portare alla creazione di nuove opere o a forme di parodia. La libera
utilizzazione dell’immagine del bene culturale è ammessa in un limitato numero di casi: l’uso personale, l’uso per motivi di studio, l’uso effettuato da soggetti pubblici con finalità di valorizzazione.
In Italia, lo sviluppo di una disciplina sulla riproduzione dei beni culturali è solitamente ricondotto ad una legge del 1994, la legge Ronchey, la quale prevedeva l’entrata dei privati nella gestione di alcuni servizi quale quello editoriale e di riproduzione. Da quel momento, ogni lieve mutamento delle disposizioni ha spostato il baricentro verso una generalizzata situazione consolidatasi
indipendentemente da un riferimento a servizi per il pubblico. L’attuale normativa di riferimento è
quella elaborata nel Codice Urbani, ma alcune forme di influenza si possono avere anche ad altri livelli territoriali ed istituzionali.
107
La legislazione non distingue tra le modalità di riproduzione di beni culturali contenuti in un
ambiente che li racchiude e beni culturali esposti alla pubblica vista. Sotto il primo aspetto, è paradigmatica la trattazione di quello che è l’istituto della cultura per eccellenza: il museo. Esso non può
essere configurato nel suo complesso come un’impresa, non avendone i requisiti, e deve rispettare il
suo ruolo di diffusore di cultura: non può rivendicare sull’immagine dei propri beni diritti di esclusiva dominicale; raramente avrà occasione di far valere diritti d’autore; esigenze di evitare pratiche
di concorrenza sleale si avranno soltanto limitatamente ai servizi destinati al pubblico. Un canale
per sviluppare una maggiore fruibilità delle risorse culturali è il web, che permette un facile accesso
da qualunque luogo del mondo. Nonostante gli impegni profusi nella digitalizzazione di beni contenuti nei musei, è presente una opposta pretesa di controllare il diffondersi delle immagini e le modalità con cui verranno utilizzate.
Fosse anche possibile controllare la diffusione di riproduzioni di opere contenute in luoghi
chiusi, difficile è comprendere come possano attuarsi previsioni restrittive in riferimento a beni culturali collocati in un contesto aperto alla vista di tutti. Vi sono ordinamenti che appositamente riconoscono, in forma più o meno estesa, una libertà di panorama, nozione che in Italia fatica a trovar
strada, corrispondente alla libertà di ripresa di quanto è pubblicamente visibile. Il concetto di libertà
di panorama non è affatto scontato: esso è ristretto da esigenze di tutela della sicurezza, della concorrenza, del diritto d’autore. Arrivare da qui a considerare la possibilità di estendere tali limitazioni
ai beni culturali manca di salde ed evidenti ragioni, eppure le norme lasciano aperti spiragli per poter giungere a simili conclusioni, al punto da riverberarsi in una prassi altalenante. Un primo dibattito su questi temi si è acceso sulle immagini pubblicate all’interno di una nota enciclopedia online:
Wikipedia.
A questa presentazione di tematiche generali, è seguito un capitolo appositamente dedicato
all’esame delle prassi sulla riproduzione dei beni culturali in diversi ordinamenti. In Italia, al di là
delle norme generali previste dal Codice Urbani, le valutazioni sulle autorizzazioni e l’applicazione
di tariffe sono lasciate alle politiche delle singole amministrazioni. Pur in mancanza di consolidate
pronunce giurisprudenziali, si possono ricostruire i caratteri del procedimento in base alle comuni
disposizioni sugli atti e sul processo amministrativo.
In Francia non c’è una esplicita disciplina preclusiva come quella italiana, ma, anche in
mancanza di apposite norme, c’è una similarità di risultati. Nel corso dei decenni, oltralpe s’è sviluppato un serrato dibattito sulla riconoscibilità di un diritto sull’immagine dei beni, dibattito che
s’è riversato anche nella materia dei beni culturali ed è destinato a comportarne sviluppi: molto dipenderà dalle precise politiche adottate da ciascun ente.
108
Nei Paesi anglosassoni, i cosiddetti ordinamenti di common law, v’è incertezza principalmente sull’accesso alle immagini dei beni contenuti nei musei. La prospettiva adottata è diversa: il
meccanismo con cui si concretizza il controllo sull’immagine dei beni è il riconoscimento di un copyright sulle riproduzioni, le quali costituiscono il mezzo per garantirne la diffusione.
Fin qui la ricapitolazione di quello che già è stato scritto, ma qualcos’altro può ancora essere
aggiunto.
L’esame delle prassi permette di osservare come, in diversi ordinamenti, gli enti culturali
siano arrivati, mediante strade profondamente diverse tra loro, ad avere un controllo sulla riproduzione dei beni culturali. Il percorso scelto dall’ordinamento italiano non rappresenta un unicum nel
panorama globale. La previsione di una apposita disciplina sulla riproduzione dei beni culturali si
ritrova in altri Paesi: è il caso della Grecia524, la quale prevede che le riproduzioni dei propri monumenti siano oggetto di permessi e tariffe non solo per utilizzazioni commerciali, ma anche per finalità artistiche, scientifiche o didattiche; una legge turca 525 dispone che ogni tipologia di riproduzione
dei beni culturali dei siti archeologici e dei musei del Ministero vada soggetta ad autorizzazione del
Ministero stesso per qualsiasi scopo.
L’effettuazione di una riproduzione non dà adito ad un uso che comporta un rischio di conservazione per il bene culturale o un’escludente occupazione fisica. Piuttosto, la logica sottesa a
queste normative è data, formalmente, dall’esigenza di assicurare una corretta diffusione dell’immagine dei beni culturali, così da garantire la tutela dei loro contenuti valoriali nella cura che si ha nell’evitarne lo svilimento. Se è questa la ragione che fa da sfondo a simili previsioni, occorre trarne la
conseguenza che una loro violazione comporta un danno alla figura del bene culturale e, di rimbalzo, all’Amministrazione gerente. In mancanza di apposite disposizioni per dirimere quest’eventualità, l’Amministrazione potrà richiedere all’utente il rispetto di quanto previsto dagli articoli 107 e
108 del Codice Urbani, ma con la consapevolezza che il richiamo al dato legislativo è basato sul
presupposto del danno creato con l’uso improprio della riproduzione.
Questa è l’unica spiegazione attualmente plausibile per trovare una motivazione alle previsioni degli articoli 107 e 108 del Codice. Non si può trovare giustificazione sulla base del puro diritto di proprietà: oltre alla mancanza di conferme dalla giurisprudenza, il proprietario non ha una
esclusiva di utilizzo dell’immagine, entità autonoma rispetto al bene, e non ne ha neppure un’utilità.
Chi potrebbe avere un’utilità nel controllo sulla diffusione dell’immagine di un bene è invece colui
che potesse soffrire di fattispecie di concorrenza sleale. Tuttavia, non sussistono i requisiti per definire la totalità dei beni culturali in senso imprenditoriale: in particolare, s’è riflettuto sulla possibili524
Art. 46, Νόμος 28 giugno 2002, n. 3028, Για την προστασία των Αρχαιοτήτων και εν γένει της Πολιστικής
Κληρονομιάς.
525
Art. 34, Kanun 21 luglio 1983, n. 2863, sayılı Kültür ve Tabiat Varlıklarını Koruma Kanunu.
109
tà di qualificare il museo come impresa, ma ne mancano i presupposti normativi, specialmente con
riferimento alla possibilità di prospettarsi un risultato economico. Solo ad una visione più generale
si potrebbe cogliere una valutazione economica del bene culturale all’interno di una comunità, come
qualificatore della stessa. In tal caso, però, diventa più opportuno e maggiormente consono al diritto
attuale riscontrare nel bene culturale un elemento di qualificazione dell’ente pubblico di riferimento, il quale ha interesse a non vedere svilita l’immagine del bene culturale in riproduzioni che ne
possono danneggiare la sua portata contenutistica, essendo il bene culturale emblema della cultura
che quel luogo rappresenta.
Sennonché, in che modo una riproduzione può danneggiare un bene culturale? Il rischio verrà non tanto da una sua alterazione, quanto dalla sua associazione ad usi che tradiscano un inesistente collegamento con il bene culturale o, semplicemente, la possibilità che simili ipotesi possano conseguire da una diffusione che sia incontrollabile per l’amministrazione di riferimento. Occorre però
domandarsi fin dove possano spingersi simili esigenze di tutela, temperandole con le dinamiche del
principio di valorizzazione, che pretende che i beni culturali siano fruiti e conosciuti. Le limitazioni
ad una libera riproduzione non sono forse eccessive, specialmente in riferimento a quegli usi divulgativi ma non commerciali quale il servizio di enciclopedia online offerto da Wikipedia?
Non sono molti gli ordinamenti al mondo che sanciscono una tutela costituzionale per la cultura526. La Costituzione italiana, all’articolo 9, prevede che la Repubblica tuteli il patrimonio storico
ed artistico della Nazione; sempre la Costituzione, all’articolo 33, asserisce che l’arte e la scienza
sono libere e libero ne è l’insegnamento. È legittimo l’intervento pubblico nel settore culturale per
definirne modalità e contorni, ma non può arrivare a spingersi al punto da negare una libertà all’arte
ed alla cultura527, anche perché, se un bene culturale non fosse destinato ad un beneficio per il pubblico, perderebbe la sua stessa connotazione e funzione caratteristica. La natura comunitaria dei
beni culturali o, se si vuole, il loro annoverarsi tra i beni comuni comportano che, idealmente, la
loro proprietà non sia circoscritta ma venga percepita a beneficio di tutti. Beninteso, non sussiste alcun divieto assoluto di riproduzione ma una semplice esigenza di rispetto delle regole, regole che
però rischiano di presentarsi come oscure o misconosciute, come la prassi stessa provvede a dimostrare, e fanno sorgere perplessità nella loro portata operativa. Focalizzandosi sulla prassi italiana,
risulta evidente come vi sia uno scollamento tra il dato normativo e l’applicazione della disciplina
sulla riproduzione dei beni culturali: questa situazione rappresenta una grande questione che il settore culturale deve affrontare per dirimere i dubbi interpretativi o per procedere ad un maggior rigorismo.
526
Un elenco è fornito da SETTIS, S., Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto, Milano, 2005, p.
283.
527
Seppur con implicazioni diverse, CLEMENTE
Napoli, 2008, pp. 45 ss.
110
DI
SAN LUCA, G. - SAVOIA, R., Manuale di diritto dei beni culturali,
È pur vero che l’interesse che procura il bene culturale può essere veicolato solo parzialmente dalla riproduzione, non tanto per imperfezioni visive che la sempre maggior evoluzione tecnologica riduce, quanto perché anche una riproduzione estremamente perfetta di un’opera d’arte manca
di un elemento: la sua presenza nel tempo e nello spazio, la sua esistenza unica nel posto dove si
trova528. Una riproduzione non sostituisce l’originale, ma, tramite la rappresentazione visiva, può
fornire un primo flusso delle informazioni del bene culturale e delle sue caratteristiche più evidenti.
L’immagine è la forma più immediata di manifestazione del bene culturale, ma mentre il bene culturale è quel che è solamente nella sua irripetibile fisicità, l’immagine resta immagine anche se fissata altrove che sulla retina oculare. Essa è messaggera di contenuti e pare un’impresa improba tentare di controllarne la diffusione, specialmente in un’epoca in cui, anche per il contributo della digitalizzazione, lo scambio di contenuti e di informazioni rappresenta un tratto caratterizzante della società globale.
Un’ulteriore soluzione può essere trovata per spiegare gli articoli 107 e 108 del Codice. Più
prosaicamente, forse proprio a causa della consapevolezza della rilevanza che hanno le informazioni nell’epoca moderna si è assistito ad un fenomeno di enclosure529 di contenuti culturali: gli stessi
enti pubblici che dovrebbero curare la propagazione della cultura hanno poche remore a tentare di
vendere pezzetti di quel che è già in pubblico dominio 530. A questo, essi sono stati legittimati dalle
norme giuridiche e necessitati dai bisogni economici. Mentre i bisogni economici sono sempre presenti in un istituto culturale per gli ingenti costi di ricerca e conservazione, le norme giuridiche sui
beni culturali non dappertutto autorizzano il verificarsi di un simile fenomeno, ma, come è emerso
dall’esame delle prassi, si può trasferire il meccanismo di protezione dal bene al supporto che ne
cattura l’immagine, oppure imporre limitazioni a prescindere dall’esistenza di una specifica disciplina legislativa, facendo semplicemente valere la propria autorità sulla cosa oggetto di riproduzione.
L’evoluzione degli ultimi anni s’è incamminata verso un controllo sempre più stringente531.
La possibilità che gli enti che hanno a disposizione beni culturali facciano commercio delle
immagini di opere in pubblico dominio anziché lasciarle alla libera riproducibilità può forse diventare una scelta non legata a considerazioni giuridiche, ma solamente al business532? Aver ripercorso
528
BENJAMIN, W., The work of art in the age of its technological reproducibility, and other writings on media
(traduzione inglese da Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, Francoforte sul Meno, 1955),
Cambridge, 2008, p. 21.
529
Non esita a definirlo così PESSACH, G., [Networked] Memory Institutions: Social Remembering, Privatization and
its Discontents, in Cardozo Arts & Entertainment Law Journal, vol. 26, 2008, p. 117.
530
“A publisher would be crazy not to try to sell off pieces of the public domain” è la sarcastica considerazione di
MAZZONE, J., Copyfraud, in New York University Law Review, vol. 81, 2006, p. 1038.
531
Sia in Francia sia nel Regno Unito, i casi di libera utilizzazione di opere d’arte sono stati ritenuti limitati da un’in terpretazione restrittiva della direttiva del 22 maggio 2001 del Parlamento Europeo e del Consiglio, n. 2001/29/CE, Sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione , secondo
GATT, L., Le utilizzazioni libere: di opere d’arte, in AIDA, 2002, pp. 211 ss.
532
Dà risposta affermativa HAMMA, K., Public Domain Art in an Age of Easier Mechanical Reproducibility, in
http://www.dlib.org, 2005.
111
l’evoluzione della disciplina italiana nel tempo ha permesso di denotare come un approccio restrittivo sia stato sviluppato a partire dall’esigenza di attirare l’entrata di privati nel servizio di riproduzione. Che poi, a partire da quel punto, la disciplina sia andata evolvendosi fino ad assurgere a norma valevole anche se sganciata dal settore dei servizi al pubblico, va a giovare alla possibilità di immissione nel mercato delle riproduzioni di beni culturali. Ma un bene culturale non è un bene d’azienda: il fatto che la gestione del bene sia valorizzata da servizi aggiuntivi a fini economici non
muta la sua complessiva natura non economica, improntata alla predisposizione verso un godimento
ed un beneficio per la collettività 533. Neppure potrebbe obiettarsi che la prospettiva di un pagamento
vada a coprire i costi di un servizio reso, perché la generale previsione di restrizioni alla riproduzio ne prescinde dall’attivazione dell’Amministrazione ad una predisposizione d’ambiente verso l’utenza. Semplicemente, si potrebbe giungere al punto di ritenere le norme sulla riproduzione dei beni
culturali come schiette imposizioni iure imperii, senza motivazione di sorta.
Le soluzioni che in passato sono state proposte 534 prevedono o l’abolizione tout court della
disciplina in materia di riproduzioni dei beni culturali, o un’armonizzazione operata a livello europeo, o un graduale passaggio verso un regime meno restrittivo. In quest’ultimo caso, gli accorgimenti da apportare comprendono: la semplificazione del processo di autorizzazione; l’assicurazione
di eccezioni agli usi non-commerciali e di meccanismi di attribuzione; l’uso di soft law; la specificazione del concetto di uso personale; l’esaurimento alla prima autorizzazione del controllo sull’immagine; la distinzione tra il rilascio delle immagini di opere culturali e il permesso di creare nuove
immagini; la previsione di una maggior protezione del pubblico dominio e di un maggior uso di licenze libere anche all’interno della legislazione sui beni culturali.
Alla luce dei fatti, le previsioni normative di autorizzazioni e pagamenti per l’utilizzo dell’immagine dei beni culturali dimostrano solamente di creare confusione senza andare realmente a
cogliere quelle utilità economiche che restano appannaggio degli editori professionisti. Sicuramente, un miglior chiarimento nel settore sarà necessario, perché se i singoli istituti e le singole amministrazioni non possono usare efficacemente o non conoscono appieno le potenzialità che riserva la
gestione dell’immagine di beni culturali, soprattutto in un Paese come l’Italia, ciò significa che la
legislazione necessita di maggiori sviluppi. Se è stata una mera esigenza economica ad aver indotto
il legislatore a mantenere le norme restrittive sulla riproduzione dei beni culturali previste dal Codice Urbani, essa non ha certo portato i frutti sperati e rischia, più che altro, di creare timori ed incomprensioni negli utenti. Se tali norme sono state invece ispirate dal meritevole intento di assicurare un
533
Si veda CARPENTIERI, R., Artt. 115-116-117, in R. TAMIOZZO (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2005, pp. 527 ss.
534
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uso corretto dell’immagine dei beni culturali come presidio del loro alto contenuto storico ed artistico evitandone ogni tentativo di svilimento, più efficaci devono dimostrarsi le politiche che mirano a
proteggere i beni culturali, ma con la cura di non esacerbarsi in eccessive restrizioni tali da precludere il libero accesso all’immagine dei beni culturali quale mezzo più immediato in grado di portarne il significato.
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Circ. reg. Sicilia 18 marzo 2005, n. 7, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al
suo esercizio
D.M. 20 aprile 2005, Indirizzi, criteri e modalità per la riproduzione di beni culturali, ai sensi
dell’articolo 107 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Circ. Direzione generale per gli archivi, Servizio II, 17 giugno 2005, n. 21, Disposizioni per l’esecuzione di riproduzioni con propria fotocamera digitale.
D.lgs. 24 marzo 2006, n. 156, Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali
D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE
Delibera della Giunta Provinciale di Trento, 28 dicembre 2007, n. 3064, all. D, Dichiarazione di
inizio attività e silenzio assenso - attuazione degli articoli 9, 23 e 23-bis della legge provinciale
30 novembre 1992, n. 23
Legge 9 gennaio 2008, n. 2, Disposizioni concernenti la Società Italiana degli Autori ed Editori
D.lgs 26 marzo 2008, n. 62, Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo
22 gennaio 2004 n. 42 in relazione ai beni culturali
D.L. 1 luglio 2009, n. 78, Provvedimenti anticrisi nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali
Legge 3 agosto 2009, n. 102, Conversione in legge con modificazioni del decreto legge 1° luglio
2009 n. 78
D.L. 3 agosto 2009, n. 103, Disposizioni correttive del decreto legge anticrisi n. 78 del 2009
Legge 3 ottobre 2009, n. 141, Conversione in legge con modificazioni del decreto legge 3 agosto
2009 n. 103
D.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, Codice dell’ordinamento militare
D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, allegato 1, Codice del processo amministrativo
D.P.C.M. 22 dicembre 2010, n. 271, all. 1, Regolamento di attuazione dell'articolo 2 della legge
7 agosto 1990, n. 241, riguardante i termini dei procedimenti amministrativi del Ministero per i
beni e le attività culturali aventi durata non superiore a novanta giorni.
D.L. 8 agosto 2013, n. 91, Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei
beni e delle attività culturali e del turismo
Legge 7 ottobre 2013, n. 112, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, recante disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni
e delle attività culturali e del turismo
Normativa estera
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Francia
Loi 16 aprile 1895, Loi de finances pour 1896
Loi 31 dicembre 1921, Loi de finances pour 1922
Arrêté 20 febbraio 1959, Taxe spéciale de photographie dans les musées nationaux, leurs cours,
jardins et dépendances extérieurs
Loi 22 dicembre 1962, n. 1529, Loi de finances pour 1963
Arrêté del ministro della Cultura e della Comunicazione, 13 marzo 1979, Règlement intérieur des
musées de France
Décret 3 marzo 1981, n. 255, Sur le répression des fraudes en matière de transactions d’oeuvres
d’art et d’objects de collection
Loi 1 luglio 1992, n. 597, Code de la propriété intellectuelle
Loi 4 gennaio 2002, n. 5, Relative aux musées de France
Loi 1 agosto 2003, n. 709, Relative au mécénat, aux associations et aux fondations
Ordonnance 24 febbraio 2004, n. 178, Relative à la partie législative du code du patrimoine
Ordonnance 21 aprile 2006, Relative à la partie législative du code général de la propriété des
personnes publiques
Stati Uniti d’America
United States Code
Architectural Works Copyright Protection Act del 1 dicembre 1990
Regno Unito
Act 15 novembre 1988, Copyright, Designs and Patents Act
Act 31 luglio 1953, Historic Buildings and Ancient Monuments Act
Altri Stati esteri
Urheberrechtsgesetz del 9 settembre 1965, BGBl [D]
Kanun 21 luglio 1983, n. 2863, sayılı Kültür ve Tabiat Varlıklarını Koruma Kanunu [TR]
Ley 25 giugno 1985, n. 16, Patrimonio Histórico Español [E]
Legge 9 ottobre 1992, n. 231, Legge federale sul diritto d’autore e sui diritti di protezione affini
[CH]
124
Real Decreto legislativo, 12 aprile 1996, n. 1, Por el que se aprueba el texto refundido de la Ley
de la Propiedad Intelectual regularizando, aclarando y armonizando las disposiciones legales
vigentes sobre la materia [E]
Lei 19 febbraio 1998, n. 9610, Altera, atualiza e consolida a legislação sobre direitos autorais e
dá outras providências [BR]
Ley 6 marzo 1998, n. 5, Incorporaciόn al Derecho español de la Directiva 96/9/CE del
Parlamento Europeo y del Consejo, de 11 de marzo de 1996, sobre la protecciόn juridica de las
bases de datos [E]
Νόμος 28 giugno 2002, n. 3028, Για την προστασία των Αρχαιοτήτων και εν γένει της Πολιστικής
Κληρονομιάς [GR]
LBK 27 febbraio 2010, n. 202, Ophavsretsloven [DK]
Normativa internazionale
Dichiarazione universale dei diritti umani, stipulata a New York il 9 dicembre 1948
Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, stipulata a
Roma il 4 novembre 1950
Convenzione sulla protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, stipulata a L’Aja il 14
maggio 1954
Convenzione concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione,
esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali, stipulata a Parigi il 14 novembre
1970
Raccomandazione concernente la protezione, a livello nazionale, del patrimonio culturale e nazionale, approvata a Parigi il 16 novembre 1972
Regolamento (CE) n. 40/1994 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, Sul marchio comunitario
Direttiva del 22 maggio 2001 del Parlamento Europeo e del Consiglio, n. 2001/29/CE, Sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione
Carta sulla conservazione del patrimonio digitale, adottata a Parigi il 17 ottobre 2003
Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, adottata a Parigi il 3 novembre 2003
Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, così come sottoscritto il 13 dicembre 2007
quale Trattato di Lisbona che modifica il trattato sull’Unione europea e il trattato che istituisce
la Comunità europea
Libro Verde del 16 luglio 2008 della Commissione Europea, Il diritto d’autore nell’economia
della conoscenza
Regolamento (CE) n. 116/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, Relativo all’esportazione di
beni culturali
125
World Heritage Centre, Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage
Convention, 2012
Decisioni giudiziarie
Giurisprudenza italiana
App. Trani, 15 marzo 1904, in La Legge, 1904
Trib. Napoli, 25 luglio 1958, in Dir. Aut., 1959
Corte Costituzionale, 11 ottobre 1985, n. 231
Corte Costituzionale, 27 giugno 1986, n. 151
Pret. Roma, 15 novembre 1986, in Dir. informatica, 1987
Trib. Roma, 27 maggio 1987
Trib. Verona, 13 ottobre 1989, in Foro Italiano, I, 1990
App. Roma, 23 dicembre 1992, in Diritto d’Autore, 3/1994
Trib. Milano, 28 gennaio 1993, in AIDA, 1994
Cass., SS.UU., 18 ottobre 1993, n. 10295
C. conti, sez. Lombardia, 24 marzo 1994, n. 31, in Foro amm., 1994
Cons. Stato, sez. V, 8 novembre 1995, n. 1532, in Foro Amm., 1995
Cass. Civ., sez. I, 19 dicembre 1996, n. 11343, in Giur. It., I, 1, 1997
App. Milano, 25 febbraio 1997, in Diritto d’Autore, 3/1998
Trib. Napoli, 14 maggio 1997, in Dir. Ind., 1997
Cons. Stato, sez. VI, 28 ottobre 1998, n. 1478, in Riv. giur. edilizia, 1/1999
Cass. Civ., Sez. I, 21 giugno 2000, n. 8425, in Massimario della Giurisprudenza Italiana, 2000
Cons. Stato, Sez. VI, 24 marzo 2003, n. 1496
TAR Reggio Calabria, Calabria, 10 ottobre 2003, n. 1285, in Foro Amm. TAR, 2003
TAR Milano, Lombardia, sez. III, 20 dicembre 2005, n. 5633
Cass. Civ., sez. III, 4 giugno 2007, n. 12929, in Giur. it., 2008
Cass., SS. UU., 27 maggio 2009, n. 12252, in Giust. Civ., 5/2010
Cass. Civ., sez. I, 11 agosto 2009, n. 18218, in Riv. Dir. Ind., 2/2010
Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1540
126
Corte Costituzionale, 15 dicembre 2010, n. 355
TAR Milano, Lombardia, sez. I, 23 novembre 2012, n. 2858, in Foro Amm. TAR, 2012, p. 3427
Cass. Civ., sez. VI, 23 aprile 2013, n. 9757
Cons. Stato, ad. plen., 6 agosto 2013, n. 19
Giurisprudenza francese
CA Paris, 5 giugno 1855, in D. P., 2/1857
Tribunal de commerce Seine, 7 marzo 1861, in D. P., 3/1861
Tribunal civil Seine, 18 aprile 1889, in Ann. 1893
Tribunal civil Seine, 28 ottobre 1903, in Ann. 1903
Tribunal civil Meaux, 7 marzo 1905, in Ann. Prop. Ind., 1907
CA Grenoble,15 luglio 1919, in Dalloz, 2/1920
CE, 18 novembre 1949, in RDP, 1950
CE, 22 giugno 1951, in Dalloz, Jur.,1951
Tribunal commercial Seine, 26 febbraio 1963, in JCP, 2/1963
TGI Seine, 1 aprile 1965, in JCP, 2/1966
TGI Seine, 24 novembre 1965, in JCP, 2/1966
Conseil Constitutionnel, 10 marzo 1966, n. 38
CA Paris, 18 febbraio 1972, in RIDA, 1972
TGI Draguignan, 16 maggio 1972, in Gaz. Pal. 2/1972
CA Paris, 13 marzo 1986, in Gaz. Pal., 1/1986
CA Metz, 26 novembre 1992, in Dalloz, Somm.,1994
CA Paris, 12 aprile 1995, in JCP G., 2/1997
Cour de Cassation, 1ère, 4 luglio 1995, in Recueil Dalloz, Jur., 1996
TGI Paris, 28 maggio 1997, in Gaz. Pal., 17 maggio 1998
Cour de Cassation, 1ère, 10 marzo 1999, in Dalloz, Jur.,1999
CA Paris, 14 settembre 1999, Legipresse, 3/2000
CA Paris, 31 marzo 2000, in Dalloz, Jur., 2001
TGI Lyon, 4 aprile 2001, JCP G, 2/2001
Cour de Cassation, plen., 7 maggio 2004, in Dalloz, Jur., 2004
Cour de Cassation, 1ère, 15 marzo 2005, n. 567
127
Cour administrative d'appel di Nantes, 2ème, 4 maggio 2010, n. 09NT00705
TA Orléans, 6 marzo 2012, n. 1102187, in Recueil Dalloz, 2012
Cour de Cassation, 1ère , 28 giugno 2012, n. 10-28.716, in Recueil Dalloz, 2012
CE, 29 ottobre 2012, n. 341173
Cour administrative d’appel di Nantes, 2ème, 28 dicembre 2012, n. 12NT00754
Giurisprudenza statunitense
Alfred Bell & Co. v. Catalda Fine Arts, Inc. 191 F.2d 99 (2d Cir. 1951)
Bridgeman Art Library, Ltd. v. Corel Corp., 25 F. Supp. 2d 421(S.D.N.Y. 1998)
Bridgeman Art Library, Ltd. v. Corel Corp., 36 F. Supp. 2d 191 (S.D.N.Y. 1999)
Rock & Roll Hall of Fame & Museum v. Gentile Prods., 71 F. Supp. 2d 755, 765 (N.D. Ohio
1999)
Schwartz v. Berkeley Historical Society, No. C05-01551 JCS (N.D. Cal. 2005)
Gaylord v. United States, 595 F.3d 1364, 1368 (Fed. Cir. 2010)
Altra giurisprudenza
Interlego AG v. Tyco Industries Inc., 1 A.C. 217, Privy Council, 1988
Antiquesportfolio.com plc v. Rodney Fitch & Co. Ltd, FSR 23, 2001
BGH, 24 gennaio 2002, Verhüllter Reichstag, in Gewerbücher Rechtsschutz und Urheberrecht,
2002
CdG, Commissione v. Italia del 16 gennaio 2003, causa C-388/01, in Raccolta della giurisprudenza
della Corte di Giustizia
Sitografia* pratica degli istituti
* tutti i link di questo elaborato sono risultati attivi nell’anno 2013
Atomium: http://www.atomium.be
Tour Eiffel: http://www.tour-eiffel.fr
Disciplinare per la riproduzione dei beni culturali di proprietà dell’Amministrazione Comunale di
Livorno, in http://sdp.comune.livorno.it
Criteri e direttive per l’accesso e la fruizione dell’archivio fotografico del Castello del Buonconsiglio di Trento, in http://www.buonconsiglio.it
Richiesta di autorizzazione all’utilizzo e riproduzione di immagini di beni culturali di spettanza dei
Musei Civici Palazzo Buonaccorsi di Macerata, in http://www.maceratamusei.it
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Polo museale fiorentino: http://www.uffizi.firenze.it
Regolamento per la riproduzione e uso del patrimonio storico artistico bibliotecario archivistico
del Museo Biblioteca Archivio, in http://www.bassanodelgrappa.gov.it
Regolamento e tariffario per l’uso e la riproduzione di beni culturali della Soprintendenza delle
province di Cagliari ed Oristano, in http://www.archeocaor.beniculturali.it
Museo Delacroix: http://www.musee-delacroix.fr
Museo Unterlinden: http://www.musee-unterlinden.com
Museo d’Orsay: http://www.musee-orsay.fr
Sydney Opera House: http://www.sydneyoperahouse.com
Westminster: http://www.parliament.uk
British Museum: http://www.britishmuseum.org
Università di Yale: http://ydc2.yale.edu
National Gallery di Washington: https://images.nga.gov
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