Non è caccia al tesoro

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Non è caccia al tesoro
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l’Adige
sabato 30 giugno 2012
Tra i nomi illustri della
paleontologia umana,
Broglio ha condotto
importanti campagne
di scavo nelle Alpi
Il riparo di Plan de
Frea durante gli scavi:
i massi crollati erano
ottimi rifugi (foto
archivio Mtsn)
«Non è caccia al tesoro»
N
Cacciatori fra le vette
A sinistra, la punta di freccia a lama trasversale in selce
lattea trovata a Plan de Frea (Museo archeologico di
Bolzano). Accanto, l’area del ritrovamento e, sopra, il Museo
di Ortisei, ricco di reperti. In alto, Sassolungo e Sassopiatto
dominano tutta la zona attorno a Passo Gardena
on si può parlare
di paleontologia
senza nominare il
professor Alberto
Broglio, tra i
maggiori esperti italiani di
questa materia e tra gli
studiosi che maggiormente
si sono occupati di scavi
nella zona delle Alpi.
Cos’ha di particolare Plan
de Frea?
«Si tratta di ripari costruiti
accanto a grandi massi.
Questi macigni erano crollati
in seguito al ritiro dei
ghiacciai causati dal termine
dell’ultima glaciazione: in
questi casi si verifica un
fenomeno di distensione
delle rocce, che non sono
più compresse dal gelo e
tendono a crollare. Eventi di
questo genere sono comuni
nelle Alpi: uno dei luoghi più
famosi è la Città dei Sassi ai
piedi del Sassolungo. Quelli
di Pian de Frea erano
accampamenti temporanei
che servivano ai cacciatori.»
Ma perché questi cacciatori
salivano di quota?
«A causa delle mutate
condizioni climatiche il
limite della prateria era più
in alto: non è un caso che
quasi tutti i siti mesolitici si
trovino tra 1900 e 2400 metri
di altezza. Quello che i
cacciatori volevano era
accamparsi in un luogo
comodo e riparato da cui
partire facilmente per
andare a caccia negli
ambienti più diversi. E così
potevano andare a cercare
stambecchi, marmotte e
camosci nelle praterie; nei
boschi, anche se radi,
potevano invece catturare
cervi, caprioli e megaceri
(un tipo di cervi dalle grandi
APPROFONDIMENTI
Il nome di
Alberto Broglio
è tra i più
illustri nel
campo della
paleontologia
umana:
professore a
Ferrara è
membro di
numerosi
comitati
scientifici
internazionali
Le sue ricerche
hanno
interessato la
preistoria nelle
zone alpine
LA SCHEDA
쐢 Il
caldo di Allerød
Alcune migliaia di anni
prima che i cacciatori
mesolitici cacciassero
sulle Dolomiti, il clima ha
iniziato a diventare meno
freddo, e questa viene
chiamata variazione di
Allerød, un mutamento
che ha profondamente
alterato l’ambiente
쐢 Una
dieta variata
Oltre alla caccia, gli
uomini dell’età della pietra
si arrangiavano con la
pesca, la raccolta di
molluschi di acqua dolce
(Unio) e di uova, e la
caccia a tartarughe, lontre,
castori, uccelli.
쐢 Campeggiatori
dimensioni, ndr), e anche
urogalli e galli cedroni.»
Come conservavano il cibo?
«Questo è un argomento sul
quale si fanno molte
supposizioni, ed è di grande
importanza. Ma si pensa che
sapessero usare molto bene
e tecniche di affumicatura.»
Vivevano in clan?
«È una domanda da un
milione di dollari: di sicuro si
trattava di gruppi
estremamente piccoli, e
questo è stato confermato
anche da siti meno
importanti come quelli in val
d’Adige.»
Quanti sono i siti mesolitici
in regione?
«Moltissimi, sicuramente più
di 500. È relativamente facile
trovarli perché sono molte le
indicazioni ricorrenti: chi
vuole portare avanti
un’esplorazione di questo
genere in genere va a colpo
sicuro. Il problema vero
invece sorge dopo: una volta
individuato un sito grazie ai
manufatti caratteristici
realizzati soprattutto in
selce, sono richieste
persone che sappiano cosa
fare ed i mezzi per portare
avanti le campagne di scavo.
Non è una caccia al tesoro
ma un’indagine scientifica
per scoprire quali erano il
modo di vita, le strutture
abitative, le industrie di
questi lontani antenati. E per
fare questo ci vogliono soldi,
competenza e
organizzazione. Purtroppo al
giorno d’oggi la situazione
dei beni culturali in Italia è
piuttosto difficile».
B. G.
esperti
Questi cacciatori si
muovevano molto, sempre
alla ricerca di nuovi e
comodi terreni di caccia:
per questo dovevano
essere veloci a montare e
smontare i ripari che
spesso venivano costruiti
con pelli e graticci di
legno, materiali facilmente
reperibili. Erano dei veri
boy scout degli albori
della storia dell’uomo.
쐢 Esperienza
diretta
Chi vuole provare come si
viveva allora può visitare
l’archeopark della Valle
Camonica, zona
frequentata tra i 13.000 e i
7.500 anni fa. Vicino a
Boario Terme, tel: 0364
529552
Karl e Nandi Maria Kompatscher raccontano
come venivano scelti i siti in alta montagna
Dove piantare il campo base
Sui sentieri in quota, percorsi già 10 mila anni fa
INTO THE WILD
Il protagonista del film muore di
fame perché non riesce a
conservare la carne di un cervo
ucciso: i nostri progenitori, che
vivevano di caccia, dovevano
invece saperla molto lunga e usare
tecniche come l’affumicatura.
C
acciatori, raccoglitori e
pescatori, gli uomini
che fra il 9.000 e il 5.000
a. C. frequentavano il
territorio dell’attuale
Trentino-Alto Adige si
spingevano anche alle quote
più alte. Le prede erano
diversificate: dallo
stambecco al capriolo, dal
cervo al cinghiale, alla volpe,
alla lontra, al tasso, martora
e donnola. A partire dal 1971,
quando la scoperta di
manufatti in selce ai laghi di
Colbricon ha dato il via a
ricerche sistematiche,
moltissime montagne della
regione si sono rivelate
territori di caccia e di
accampamento degli uomini
del Mesolitico: oltre alle
Dolomiti, ad esempio, le
Maddalene in Valle di Non.
Ma come sceglievano, i
nomadi della caccia
stagionale, il luogo del loro
campo base? E come si
muovevano poi? A queste e
ad altre domande hanno
cercato di dare risposta Klaus
e Nandi Maria Kompatscher,
che hanno messo a frutto
decenni di lavoro
archeologico comparando
dati e ricostruendo una
«rete» dei percorsi mesolitici
sulla base dei siti identificati.
Lo studio, Dove piantare il
campo: modelli insediativi e di
mobilità nel Mesolitico in
ambiente alpino, è stato
pubblicato nel 2007 su
Preistoria Alpina (n. 42,
Museo tridentino di scienze
naturali) e pone in evidenza
la probabilità di una
permanenza prolungata in
alta quota, sia per la distanza
fra la gran parte dei siti e il
fondovalle, sia perché quasi
tutti i siti di alta montagna «si
allineano lungo distinti
percorsi di collegamento
nella fascia tra bosco e
prateria alpina», si trovano
«sempre in posizione
privilegiata» e hanno in
comune «l’adattamento a
specifiche situazioni
topografiche; si snodano
quanto più possibile
costantemente alla
medesima altitudine e su un
tracciato equilibrato, che
rappresenta inoltre il miglior
collegamento fra le varie aree
di caccia». Gli autori rilevano
che i campi base sono di
rado posizionati presso una
risorsa idrica, ma su terreno
asciutto sempre nelle
vicinanze (20-80 metri di
norma). Considerando una
distanza massima di 1500
metri per l’avvistamento di
branchi di ungulati,
dall’analisi di 329 siti emerge
l’assenza comune di siti
senza visibilità e il numero
elevato di siti ad alta e medie
visibilità. Un’alta densità di
siti è stata accertata a Passo
Pampeago, Passo Sella,
sull’Alpe di Siusi e a Passo
Pennes. Dalla densità della
selvaggina e dalla
dimensione del territorio
dipendeva verosimilmente il
tempo di frequentazione. F. T.
Sottoroccia
Due immagini
del sito mesolitico
di Plan de Frea
durante le ricerche
degli archeologi
(foto archivio Mtsn):
i territori in quota
furono frequentati
per cacce stagionali