NOTA A CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONI UNITE CIVILI

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NOTA A CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONI UNITE CIVILI
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NOTA A CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONI UNITE CIVILI –
SENTENZA 20 ottobre 2016, n. 21260
A cura di Giustino Valeriano AGOSTINONE
L’abuso del processo: la figura sintomatica dell’auto-eccezione in tema di giurisdizione
“L’attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel
merito non è legittimato a interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di
giurisdizione del giudice da lui prescelto”.
SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Il caso - 3. La questione - 4. Il divieto di venire contra factum
proprium e la buona fede: un dialogo giurisprudenziale “infinito” - 5. Il regime cronologico e
modale del difetto di giurisdizione - 6. Conclusioni parziali: tra regolamento preventivo e appello
per difetto di giurisdizione c’è di mezzo il “Principio”.
1. Premessa.
La recentissima pronuncia del Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nelle vesti di sentenza, chiarisce
due tematiche molto interessanti, collegate tra loro: l’abuso del processo amministrativo ed il
connesso divieto di venire contra factum proprium.
I giudici ermellini, nel caso de quo si trovano ad affrontare una tematica che è diventata ormai
oggetto di giudizio avanti i Tribunali Amministrativi nazionali, pertanto nella loro argomentazione
portano in rassegna le posizioni della giurisprudenza rilevando tra l’altro un’analisi sistematica delle
varie interpretazioni che si sono susseguite.
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2. Il Caso
In seguito al ricorso per cassazione volto alla cancellazione della sentenza emessa dal Consiglio di
Stato per difetto di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo, concernente il rigetto del ricorso
per l’annullamento della deliberazione in data 11 giugno 2007 della Giunta provinciale di XXX,
recante l’interruzione, a decorrere dal 1° luglio 2007, dei rapporti contrattuali con i laboratori
privati operanti per conto e a carico del Servizio sanitario provinciale, nonché la nota del 12 agosto
2007 con cui il direttore generale dell’Azienda sanitaria della Provincia XXX comunicava la
mancata proroga degli attuali accordi per prestazioni ambulatoriali di laboratorio con le strutture
private convenzionate, la Corte di Cassazione, nella composizione a Sezioni Unite, ha risolto la
questione relativa al difetto di giurisdizione eccepita dai ricorrenti.
Nel ricorso di primo grado, le richieste di parte ricorrente si sostanziavano nell’impugnazione della
deliberazione in data 11 giugno 2007, n. 1999, della Giunta provinciale XXX per i motivi suddetti.
In secondo grado avverso la sentenza di primo grado gli YYY proponevano appello, sollevando
censure in merito ma lamentando anche in via pregiudiziale la questione di giurisdizione in quanto
il rapporto non sarebbe qualificabile come di accreditamento, ai sensi degli artt. 8 e ss. del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma
dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), bensì come rapporto convenzionale, ai sensi
dell’art. 48 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale),
insistevano sulla devoluzione della controversia al giudice ordinario.
All’udienza pubblica la causa fu trattenuta in decisione. Con sentenza, il Consiglio di Stato
escludeva la censura degli appellanti rilevando che «integra abuso del processo la contestazione
della giurisdizione da parte del soggetto che abbia optato per quella giurisdizione e che, pur se
soccombente nel merito, sia risultato vittorioso, in forza di una pronuncia esplicita o di una
statuizione implicita, proprio sulla questione di giurisdizione». Secondo il Consiglio di Stato, la
sollevazione di tale sorta di auto eccezione in sede di appello integra trasgressione del divieto di
venire contra factum proprium, paralizzabile con l’exceptio doli generalis seu presentis, e arreca
un’irragionevole sacrificio alla controparte, costretta a difendersi nell’ambito del giudizio da
incardinare innanzi al nuovo giudice.
Avverso la sentenza n. XXX del Consiglio di Stato, gli appellanti hanno proposto ricorso per
cassazione per difetto di giurisdizione, udite le parti, la Corte ha trattenuto la decisione.
3. La questione
Nel caso di specie, i ricorrenti affermano che il rapporto instaurato tra i laboratori ed i loro
professionisti, da una parte, ed il Servizio sanitario nazionale, dall’altro, è di tipo convenzionale ex
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art. 48 della legge n. 833 del 1978, i ricorrenti infatti non esercitano una professione sanitaria e non
sono annoverabili tra le strutture. La natura del rapporto darebbe origine, secondo i deducenti, alla
giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria e il potere della stessa di disapplicare, ai sensi
dell’art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, l’atto impugnato, anche quando il sanitario
intenda conseguire l’accertamento della illegittimità del mancato conferimento dell’incarico, in
violazione del proprio diritto, ed ottenere il risarcimento del danno sofferto
A ben vedere, la disamina non può essere limitata a questo ma è necessario considerare anche il
fatto che i ricorrenti denunciano l’insufficiente, contraddittorietà ed illogicità della motivazione
della sentenza in riferimento alla applicabilità dell’art. 48 della legge n. 833 del 1978 ed alla
inapplicabilità al caso di specie del d.lgs. n. 502 del 1992.
In realtà la questione è se la parte che abbia incardinato la causa presso un plesso giurisdizionale
risultando poi soccombente nel merito, possa appellare sostenendo che il giudice avrebbe dovuto
rilevare il proprio difetto di giurisdizione, e ricercare così, attraverso la proposizione
dell’impugnazione, la sostituzione di una sentenza sfavorevole nel merito con una sentenza
sfavorevole in punto di rito.
4. Il divieto di venire contra factum proprium e la buona fede: un dialogo giurisprudenziale
“infinito”
Il caso in commento ha evidenziato un connubio tra il divieto di venire contra factum proprium e
applicazione del principio di buona fede.
Nei primi mesi del 2016 i giudici amministrativi hanno fatto applicazione, anche nel processo
amministrativo, del principio generale del divieto di abuso di ogni posizione soggettiva, che, come
già affermato dalla Corte di cassazione, in ossequio alla regola della correttezza e della buona fede
nello svolgimento della vicenda negoziale sancita dall’art. 1175 c.c. e al dovere di solidarietà
sociale garantito dall’art. 2 Cost., permea le condotte sostanziali, al pari dei comportamenti
processuali.
L’evoluzione giurisprudenziale già richiamata in sentenza e in precedenza da altre pronunce ha
rilevato che avendo il primo giudice risolto nel merito la controversia (così rigettando l’eccezione di
giurisdizione formulata dinanzi a lui), si forma il giudicato sulla questione ove la parte non abbia
impugnato la sentenza per difetto di giurisdizione del primo giudice. A tal riguardo è emerso un
primo ridimensionamento dell’art. 37 c.p.c., come se nella disposizione vi sia una salvezza qualora
sulla questione si sia formato il giudicato (G. Verde).
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Secondo il Consiglio di Stato, «integra un abuso del processo la contestazione della giurisdizione
da parte del soggetto che abbia optato per quella giurisdizione e che, pur se soccombente nel
merito, sia risultato vittorioso, in forza di una pronuncia esplicita o di una statuizione implicita,
proprio sulla questione di giurisdizione».
A parer di chi scrive nella sentenza che ha dato avvio a tale indirizzo si afferma che il sollevare, per
la prima volta in sede di appello, l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo
da parte dell’originario ricorrente che si era rivolto a quel giudice, ma ne disconosce la giurisdizione
visto l’esito negativo, nel merito della controversia, integra un abuso del processo.
Inoltre la tesi dell’inammissibilità dell’appello per motivi di abuso da contraddittorietà discendente
dal contrasto tra due atti processuali non ha trovato riscontro per i giudici della Corte di cassazione.
Difatti secondo un diverso orientamento delle Sezioni Unite «l’altalenante condotta della parte non
invalida l’atto e non è fonte di effetti preclusivi dell’impugnazione per motivi di giurisdizione». A
ben vedere, il pentimento secundum eventum litis è dichiarato ammissibile quale esercizio del diritto
di avere torto, tant’è che si richiamano, al riguardo, la natura oggettiva dell’interesse sotteso
all’universalità della legittimazione a proporre ricorso per regolamento preventivo ex art. 41 c.p.c.,
la sufficienza di un interesse impugnatorio connesso alla posizione di merito e l’irrilevanza della
rinuncia nella materia indisponibile della giurisdizione.
In realtà un altro orientamento rileva un’ammissibilità condizionata alla giustificazione della parte
istante, infatti la Corte non ha negato in generale la forza preclusiva dell’abuso, ma ha escluso in
concreto l’abuso del ricorrente, in quanto, se per un verso, l’eccezione sollevata dal resistente aveva
giustificato il ripensamento e la necessità di chiarimento sulla questione di giurisdizione, per l’altro
verso, la complessità della materia del contendere che dava corpo al ricorso iniziale avrebbe
impedito di addebitare il successivo ripensamento in sede di appello a una manifestazione di abuso
del processo.
Orientamento prevalente nella giurisprudenza ha ammesso che l’attore soccombente nel merito, può
proporre appello contestando la giurisdizione da lui stesso prescelta per richiedere una diminuzione
della propria soccombenza, perché la decisione negativa in punto di giurisdizione, rispetto alla
pronuncia negativa di merito comporta un vantaggio giuridicamente rilevante che si concreta nella
possibilità di proporre nuovamente la domanda dinanzi ad un giudice appartenente ad un diverso
plesso giurisdizionale.
5. Il regime cronologico e modale del difetto di giurisdizione
Merita attenzione il regime cronologico e modale del difetto di giurisdizione che può essere
eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 38 c.p.c., fino a quando la
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causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; la sentenza di primo grado di merito può
sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione. La sentenza di appello è impugnabile per
difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito,
operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; il giudice può rilevare anche
d’ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando al riguardo non si sia formato il giudicato esplicito
o implicito.
Come rilevato dalla dottrina (G. Tropea) ma anche dalla giurisprudenza, «il diritto vivente formatosi
sull’art. 37 c.p.c. è stato recepito dal codice del processo amministrativo. Ai sensi dell’art. 9, il
difetto di giurisdizione è rilevato in primo grado anche d’ufficio. Nei giudizi di impugnazione è
rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo
implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione». A parer dello scrivente, trattasi di un aspetto
non nuovo nel processo civile, ma che presenta elementi di continuità con l’esperienza delle
sentenze non definite su questioni, nelle quali come la dottrina non ha mancato di rilevare (F.
Figorilli), è isolabile una singola questione come contenuto di pronuncia, in esse infatti, il “capo”
non è corrispondente ad una domanda, ma si identifica, appunto, nella soluzione di una questione.
A tal riguardo, l’attore non sarà pertanto legittimato a contestare il capo sulla giurisdizione e a
sostenere che la potestas iudicandi spetta ad un giudice diverso, appartenente ad un altro plesso
giurisdizionale, rispetto al capo sulla giurisdizione è configurabile esclusivamente la soccombenza
del convenuto sempre che a sua volta non abbia chiesto al giudice di dichiararsi munito di
giurisdizione.
Inoltre la soluzione dell’inammissibilità dell’appello proposto dall’attore soccombente nel merito
del quale sostenga che la sentenza è stata emanata da un giudice privo di giurisdizione, non si pone
in contrasto con la garanzia del giudice naturale precostituito per legge o in contraddizione con
l’attinenza del riparto di giurisdizione all’ordine pubblico processuale.
A beneficio della soluzione prospettata dalla Corte non appare decisiva l’obiezione circa la
disarmonia sistematica che deriverebbe dal fatto che l’art. 41 c.p.c. permette a ciascuna parte, e
quindi anche all’attore, di rivolgersi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, quando né il
convenuto né il giudice abbiano sollevato la relativa questione.
6. Conclusioni parziali: tra regolamento preventivo e appello per difetto di giurisdizione c’è di
mezzo il “Principio”
Nel giudizio in esame in forza del quale l’odierno appellante ha eccepito il difetto di giurisdizione
nonostante avesse con il ricorso in primo e secondo grado esso stesso adito il giudice
amministrativo, i giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto che «l’attore che abbia incardinato la
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causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato a interporre
appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto».
In realtà questo principio ha concluso un ragionamento intricato da parte della Corte che
inizialmente ha prospettato il c.d. regolamento preventivo consentito in ragione della posizione
istituzionale della Suprema Corte, della forza esterna della sua pronuncia e dello specifico impatto
che essa esercita sulla ragionevole durata del processo, una facoltà all’attore è data non ad libitum,
ma solo in presenza di ragionevoli dubbi sui limiti esterni della giurisdizione del giudice adito,
quindi di un interesse concreto ed immediato ad una risoluzione della quaestio da parte delle
Sezioni Unite. Questo per evitare che la sua risoluzione in sede di merito possa incorrere in
successive modifiche nel corso del giudizio, ritardando la definizione della causa, anche al fine di
ottenere un giusto processo di durata ragionevole (Cass., Sez. U., 21 settembre 2006, n. 20504;
Cass., ez. U., 27 gennaio 2011, n. 1876; Cass., Sez. U., 12 luglio 2011, n. 15237; Cass., Sez. U., 16
dicembre 2013, n. 27990; Cass., Sez. U., 2 febbraio 2016, n. 1918).
Un’ulteriore strada rilevata dagli ermellini consta nel c.d. appello per difetto di giurisdizione, anche
se preclusa in quanto l’ordinamento processuale non permette all’attore, una volta che la causa sia
stata decisa nel merito, la contraddittorietà rispetto all’originaria scelta di giurisdizione, e gli
impedisce, attraverso la dichiarazione di inammissibilità del motivo di giurisdizione sollevato con il
gravame di conseguire l’utilità discendente dal ripensamento secundum eventum.
A ben vedere, rileva il Collegio, che la giurisdizione costituisce una risorsa a disposizione della
collettività e che proprio per tale ragione deve essere impiegata in maniera razionale, sì da
preservare la possibilità di consentirne l’utilizzo anche alle parti nelle altre cause pendenti e agli
utenti che in futuro indirizzeranno le loro controversie alla cognizione del giudice statale. Tale
assunto richiama il principio di autoresponsabilità.
Come autorevole dottrina (S. Pugliatti) ha rilevato, pur se la categoria dell’autoresponsabilità ha a
che fare con il concetto di onere più che di facoltà, pare difficilmente applicabile a quelli che sono i
poteri dell’attore, che si estrinsecano nell’individuazione del giudice avente potestas iudicandi e
successivamente nella possibilità, ove paventi dubbi sulla scelta operata, di esperire il regolamento
di giurisdizione, a sua volta costituente una facoltà, e non un onere a pena di preclusione. Ma, se è
così (G. Tropea), il ricorso all’abuso del processo, come unico argomento per incidere, de iure
conditio, sul regime descritto, si presenta per più versi problematico, e non può essere legittimato da
riflessioni che, seppure con molti caveat, rinviino a vaghi aspetti di giustizia (M.A. Sandulli), o se si
vuole, evochino l’importanza del fattore economico e della crisi della giustizia civile.
Si potrebbe concludere che tramite un argomento si forzi quello che, in tema di giurisdizione,
costituisce un compromesso fra diverse esigenze costituzionali, da un lato la ragionevole durata del
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processo, che peraltro deve essere assicurata dalla legge, dall’altro i principi della pienezza ed
effettività della tutela giurisdizionale e del giudice naturale precostituito per legge (la c.d. riserva di
legge processuale).
Come già in precedenza rilevato, pare opportuno sostenere che è in gioco la certezza del diritto, che
soprattutto in ambito processuale è valore determinante e la garanzia dell’uguaglianza dei cittadini
di fronte alla legge. Ma queste appaiono “soltanto” delle mere conclusioni parziali di un viaggio che
al momento sembra non avere punto di arrivo.
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