STORIA DELLA FONDAZIONE AD OFFIDA DELLA CHIESA E

Transcript

STORIA DELLA FONDAZIONE AD OFFIDA DELLA CHIESA E
STORIA DELLA FONDAZIONE AD OFFIDA
DELLA CHIESA E DELLA CANONICA
DEI SS. FILIPPO E BASSO
NEL CONTESTO DEGLI ANNI A CAVALLO DEI
SECOLI XVIII E XIX
Storia desunta dalla memoria scritta dopo l’inaugurazione
della Chiesa di S. Filippo e Basso in Contrada Ciafone ad Offida (10 settembre 1805)
da Don Nicola Capriotti Cappellano Vicario della Cura di S. Basso.
Trascrizione del manoscritto e rielaborazione del testo originale
a cura di Don Elio Nevigari e Corrado Speranza
Supporto e collaborazione di Don Giuseppe Capecci
per il reperimento della documentazione originale.
Maggio 2013
2
Il documento che si presenta è stato generato dall’affioramento nell’archivio della
parrocchia della Madonna del Rosario di Offida di un manoscritto risalente ai primi anni del
secolo XIX redatto dal cappellano don Nicola Capriotti.
L’attuale parrocchia della Madonna del Rosario sorta negli ultimi decenni nella frazione di
Borgo Miriam è l’erede della storica parrocchia dei SS. Filippo e Basso nella Contrada
Ciafone.
Per le caratteristiche che il manoscritto di don Capriotti presenta esso appare essere una
sorta di appunto stilato nella probabile intenzione del suo autore di una successiva
revisione atta a produrre una pubblicazione illustrante le vicende che nell’ultimo decennio
del XVIII secolo si svilupparono nell’area di Offida per la costruzione di una nuova chiesa
(appunto la suddetta chiesa dei SS. Filippo e Basso) in sostituzione della antica piccola
chiesa, dedicata a San Basso (ora ridotta ad un rudere – v. figg. 1 e 2).
Questa revisione in realtà non fu poi mai operata né da don Capriotti né da altri ed il
documento che ora si presenta va pertanto visto in linea da una parte con la primitiva
lodevole intenzione dell’autore e dall’altra con la esigenza di inquadrare le problematiche
locali nel complesso scenario dei cambiamenti globali che in quegli anni stava subendo
l’intera Europa.
3
Sommario
Introduzione
Il contesto storico del Piceno nel ventennio
a cavallo della fine del XVIII secolo
pag. 7
Parte prima
Manoscritto di don Capriotti nella
versione originale fedelmente trascritta
pag. 34
Parte seconda
Manoscritto di don Capriotti rielaborato
al fine di una più agevole lettura
pag. 94
Appendice
pag.128
 La figura del cardinale Giovanni Andrea Archetti
 La delegazione apostolica di Ascoli
 La insorgenza nelle Marche
 Cappellani vicari e primo parroco nella cura di S.Basso
 Problematiche economiche connesse con la costruzione del nuovo
complesso nella Contrada Ciafone ad Offida
 Note esplicative
4
Introduzione
Il contesto storico del Piceno nel ventennio a cavallo della fine
del XVIII secolo
Lo scenario europeo del ventennio a cavallo della fine del XVIII secolo in cui va inserita la
storia della costruzione del Complesso dei SS. Filippo e Basso nella contrada Ciafone del
territorio di Offida non sembra in alcun modo avvertito dall’autore del manoscritto ritrovato
nell’archivio della attuale Parrocchia della Madonna del Rosario di Borgo Miriam. Esso
risulta preso totalmente dalla narrazione delle difficoltà economiche e da quella delle
polemiche locali che nacquero una volta deciso lo spostamento della cura a sud del fosso
Fiobbo dall’originario sito posto a settentrione
dello stesso fosso ma ciò non deve
meravigliare tenuto conto dell’orizzonte culturale molto circoscritto della società rurale del
Piceno di quel tempo. Questa caratteristica del documento di don Capriotti ha costituito il
naturale spunto per predisporre la presente introduzione di tale documento finalizzata a
dare, sia pure in termini sintetici, il quadro generale dell’Italia (ed in particolare dell’area
dello Stato Pontificio) di quel periodo. Va anche detto che le caratteristiche sintattiche e
linguistiche del documento in questione hanno suggerito dopo una sua trascrizione
letterale (Parte prima) una sua rielaborazione linguistica (Parte seconda) atta a renderne
agevole la lettura nella nostra epoca. E’ da rimarcare che nella memoria storica della
popolazione si è forse già perso il quadro della società locale della fine del ‘700 pur
mostrando la stessa popolazione una toccante affezione alla Chiesa dei SS. Filippo e
Basso ora restaurata, recuperata al culto, vincolata dallo Stato Italiano in base alla legge
1089/39 per il suo valore storico-artistico e resa disponibile dalla attuale proprietà alla
diocesi di Ascoli Piceno e quindi alla parrocchia della Madonna del Rosario.
Il 29 febbraio dell’anno bisestile 1792 su meditata disposizione del vescovo mons.
Leonardi (che decedeva nel giugno successivo) veniva dunque posta la prima pietra della
nuova chiesa su un colle della Contrada Ciafone ad oriente dell’abitato di Offida (colle
allora denominato Monte Cocci e che ha successivamente assunto il motivato toponimo di
S.Filippo – v. fig. 3).
L’avvio della costruzione, sulla base di un progetto dell’architetto Pietro Maggi, si imbatté
subito peraltro nella opposizione di quanti avevano la loro dimora in prossimità della
chiesetta di S. Basso fino ad allora sede della cura omonima e tradizionale luogo di
sepoltura. La decisione di monsignor Leonardi nasceva peraltro dall’essere quella antica
5
chiesa troppo piccola e troppo decentrata per la maggioranza della popolazione che
coltivando la campagna abitava la vasta contrada.
Le diatribe locali si estesero nel tempo fino a sovrapporsi, senza che il fatto fosse
ovviamente rilevabile in loco, ad altri avvenimenti di ben diversa scala. Sei mesi dopo
l’ordine di mons Leonardi infatti, il 20 settembre 1792, ad una apparente siderale distanza
dal Piceno, veniva a Valmy combattuta vittoriosamente dalla Francia la battaglia che con il
suo intrinseco significato politico più che militare avrebbe modificato l’atteggiamento della
Francia stessa nei confronti della coalizione di tutti gli altri stati d’Europa ad essa ostili
dopo l’esplodere nel 1789 della sua rivoluzione ed avrebbe avviato il processo di
espansione delle idee della società moderna in tutta Europa.
Sia pure con gravissime problematiche interne connesse alla reazione in alcune aree del
Paese (Vandea, Lione) ed ai conseguenti spietati provvedimenti assunti da Parigi per
arginare ogni possibile tentativo di recupero del passato (periodo del Terrore), può dirsi
che dopo la battaglia di Valmy fermo restando il fatto che per Parigi il fronte principale
dell’assedio che stava subendo appariva essere quello del Reno, una serie di fatti portò
nella seconda metà degli anni ‘90 del secolo XVIII a far assurgere a primaria importanza il
fronte italiano con conseguenze che si vissero in tutta la penisola ivi compresa l’area del
Piceno nello Stato Pontificio.
Come già detto nel manoscritto Capriotti le sopraddette vicende della Francia non paiono
essere percepite dalla società locale essendo questa immersa nel torpore della sua
ruralità. La mancata immediata nomina del successore di mons. Leonardi tuttavia
suggerisce l’ipotesi dell’affioramento di preoccupazioni nella curia romana il cui livello di
informazione su quanto stava accadendo in Europa non era ovviamente paragonabile a
quello di un’area periferica (come quella picena). Il vicariato che sopravvenne non fu
pertanto breve e fu affidato al canonico Antonio Lenti, di nobile famiglia di Ascoli, il quale,
secondo lo stesso don Capriotti, appariva essere più portato alla meditazione che alla
gestione dei problemi della diocesi. Accadde così che esso, indubbiamente sollecitato da
qualche personaggio di Offida, il 4 agosto 1792 dispose la interruzione dei lavori di
costruzione della nuova chiesa.
L’apertura nel 1793 del fronte italiano da parte della Francia con l’impiego di una armata di
ridotte dimensioni (poco più di 30.000 uomini, pochissimi in confronto ai 300.000 del fronte
del Reno contrapposti alle truppe
austriache e prussiane) doveva avere nel disegno
strategico del Direttorio a Parigi solo una funzione di disturbo a supporto indiretto delle
armate del Reno. Il destino volle però che il comando dell’armata del fronte italiano
passasse nel 1796 al giovane generale Bonaparte il quale, nonostante l’inferiorità
6
numerica delle forze di cui disponeva, sbaragliò prima i piemontesi e poi ripetutamente gli
austriaci avviando un terremoto politico esteso a tutta la penisola.
Può essere di interesse ricordare che il 2 febbraio del 1797 le truppe francesi e quelle
della Repubblica Cispadana (creata da Bonaparte nel 1796), da tempo raccolte nelle
Legazioni pontificie (Bologna, Ferrara, Ravenna, Imola e Faenza), ebbero a Faenza,
presso il fiume Senio, uno scontro che durò poche ore con un corpo armato pontificio che
si sbandò rapidamente (per cui la presa di centri urbani importanti delle Marche
settentrionali, compresa Ancona, fu assai semplice per i francesi ed i cispadani). Subito
dopo il 19 febbraio 1797 Bonaparte firmò a Tolentino un trattato con i rappresentanti del
Papa in cui oltre al pagamento di una elevata penalità in danaro, lo Stato Pontificio
perdeva il territorio di Avignone (peraltro già acquisito dalla Repubblica Francese) e
doveva accettare lo stabilirsi di un presidio militare francese e cispadano ad Ancona. Al
trattato di Tolentino nell’area marchigiana seguirono disordini popolari con caratteristiche
che anticipavano la cosiddetta “insorgenza” degli anni successivi (1798 e 1799) estesi a
buona parte dello Stato Pontificio. Va comunque detto che molti dei disordini popolari della
successiva “insorgenza” furono determinati da una caratteristica dominante delle truppe
della Repubblica Francese e della Repubblica Cispadana (divenuta poi Repubblica
Cisalpina): queste erano nel complesso poco numerose e con caratteristiche tipiche “da
combattimento” e non “di occupazione”. Ciò ebbe come conseguenza che il dare seguito
da una parte alle direttive di Parigi in merito alla requisizione di opere d’arte e dall’altra
all’invito rivolto ai militari da Bonaparte all’inizio della campagna a non avere eccessivi
scrupoli nel prelevare il prelevabile dalle popolazioni locali portò al fatto che piccoli gruppi
di soldati si trovarono spesso senza il controllo di ufficiali ad autogestirsi in centri urbani
piccoli o piccolissimi dello Stato Pontificio. Questo fatto portò a superare spesso il limite
ragionevole delle appropriazioni da parte dei singoli e ad offendere, in termini che la
presenza di ufficiali non avrebbe consentito, i sentimenti religiosi popolari in profanazioni
che potevano essere evitate. Questi ultimi comportamenti si univano di norma ad altri
come le erezioni degli “alberi della libertà”, l’abbattimento dei simboli pontifici, l’obbligo
della coccarda che fanno pensare quanto meno ad un non perfetto collegamento con il
comando di Bonaparte che, a parte la lucidità delle decisioni in campo militare, aveva già
dato dimostrazione di un intelligente atteggiamento “politico” nelle problematiche generate
dalla campagna d’Italia. In ogni caso essi alimentarono il malcontento degli strati più
semplici della popolazione spingendo questi a reazioni spesso irrazionali comunque non
sufficienti a determinare una diversa gestione delle truppe di occupazione che si
7
muovevano secondo l’ordine di Parigi, in gravi difficoltà economiche, di requisire il
requisibile (in particolare oggetti di valore ed opere d’arte) considerate le difficoltà
economiche del Direttorio per le quali può essere illuminante la vendita in quel periodo di
tutto il mobilio della reggia di Versailles.
Nell’ottobre 1797 si giungeva comunque alla firma di un trattato di pace tra Repubblica
Francese e coalizione ad essa avversaria (Pace di Campoformio) che regolava la
situazione a cui si era giunti. Alla Francia veniva riconosciuto il possesso dei territori in riva
sinistra del Reno e, per quanto riguarda il territorio italiano, veniva istituzionalizzata
l’esistenza della Repubblica Cisalpina (inglobante le Legazioni pontificie della Romagna)
che l’Arciducato di Austria riconosceva ufficialmente acquisendo in cambio il territorio della
soppressa Repubblica di Venezia. Successivamente ad Ancona (dove permaneva il
presidio franco-cisalpino) il 19 novembre 1797 nasceva la Repubblica Anconetana che il 7
marzo del successivo 1798 veniva assorbita dalla Repubblica Romana costituita il 17
febbraio dello stesso anno a seguito dell’intervento delle truppe francesi a Roma dopo
alcuni incidenti intorno all’ambasciata di Francia a Palazzo Corsini. Tali truppe erano
comandate dal generale Berthier succeduto in Italia a Bonaparte rientrato nel frattempo in
Francia in vista della campagna antinglese in Egitto.
Precedentemente agli avvenimenti del 1797 e 1798 ora accennati e probabilmente in
verosimile previsione degli stessi, il 28 maggio 1795 la curia romana, dopo il vicariato
Lenti, nominò vescovo della diocesi ascolana Giovanni Andrea Archetti, porporato di
grandissimo prestigio (fig. 4). Questi aveva avuto in precedenza un’attività diplomatica di
alto livello sia in Polonia come Nunzio presso la corte polacca sia, successivamente, come
Nunzio Speciale, a Pietroburgo dove, in un rapporto diretto con Caterina di Russia (fig. 5),
dovette risolvere alcuni delicati problemi (riguardanti l’Ordine dei Gesuiti e l’istituzione di
una diocesi cattolica a Mohylew). Su tali problemi la zarina aveva in precedenza avuto
ingerenze che l’Archetti cercò di smorzare in modo intelligente acquisendo una particolare
stima nella sovrana che richiese per lui con un suo personale appello al papa il cappello
cardinalizio (impostogli poi nel 1784 dal re di Polonia Stanislao Poniatowski).
L’Archetti giunse ad Ascoli ai primi di ottobre del 1795 iniziando un mandato vescovile per
il quale gli avvenimenti politici non gli consentirono peraltro né un governo tranquillo né
una presenza continua nella diocesi (nell’Appendice del presente documento è delineata
la figura di questo cardinale che ha costituito l’oggetto della tesi di laurea presso la
Pontificia Università Gregoriana di don Elio Nevigari responsabile dell’archivio della
8
Diocesi di Ascoli Piceno e docente dell’ISR). Nel giugno del 1795 il cardinale Archetti visitò
Offida rendendosi conto della precaria situazione della Cura di S. Basso e dando quindi
ordine, con atteggiamento totalmente diverso da quello del vicario Lenti, di riprendere la
costruzione della chiesa sul monte Cocci. Nel successivo periodo 1797-1799 (quindi a
campagna d’Italia conclusa) il cardinale Archetti ebbe come vicario nella diocesi di Ascoli
monsignor Francesco Saverio Castiglioni (il futuro Pio VIII), prevosto della cattedrale di
Cingoli. La costituzione di tale vicariato si spiega con il fatto che il 18 marzo 1798 il
comando francese dell’area marchigiana (insediato ad Ancona) fece trasferire Archetti a
Roma per spostarlo poi insieme ad altri cardinali, in una sorta di sequestro, a Civitavecchia
in un convento di domenicani.
La presenza delle truppe di Berthier a Roma suscitava allarme nei sovrani di Napoli (in
particolare nella regina Maria Carolina sorella di Maria Antonietta di Francia) che nel
successivo maggio 1798 si affrettavano a stipulare una alleanza con Russia ed Inghilterra.
L’impero austriaco da parte sua inviava a Napoli il generale Mack che assumeva il
comando delle truppe del Regno muovendo poi nel novembre 1798 verso Roma nel
frattempo evacuata dai francesi.
A Civitavecchia Archetti rimase per poco tempo dato che, tenendo conto dell’abbandono di
Roma ora detto da parte dei francesi, egli si spostò prima a Gaeta, poi a Napoli, al cui
Regno apparteneva, fra l’altro, una parte della diocesi ascolana.
La reazione dei francesi non si fece peraltro attendere e nel successivo dicembre 1798
truppe al comando del generale Championnet rientravano a Roma abbandonata
velocemente dai napoletani marciando poi su Napoli mentre nel Piceno reparti francesi e
cisalpini cercavano di riprendere il controllo della situazione. Ad Ascoli veniva rialzato
l’albero della libertà, in precedenza abbattuto dai napoletani a piazza Arringo, nell’angolo a
sud-ovest della piazza del popolo in cui dal XVI secolo era la statua bronzea del pontefice
Gregorio XIII che venne abbattuta (il basamento del monumento è ora conservato nel
cortile del municipio in piazza Arringo – v. fig. 6).
Nel disordine globale, per quello che può riguardare le Marche, truppe
napoletane
sconfinavano varcando il Tronto insieme a bande di briganti capeggiate da un popolano
analfabeta (tale Giuseppe Costantini) soprannominato “Sciabolone” che già da tempo
alimentavano il caos dell’area del Piceno. Per inquadrare il livello di tale caos può giovare
ricordare l’episodio verificatosi nel gennaio 1799 in un centro importante come Ascoli,
9
mentre era addirittura in corso l’offensiva francese su Napoli, dell’uccisione del conte
Orazio Saladini sospettato di essere “filogiacobino” dalla banda “Sciabolone”. La lapide
riportata nella fig. 7, risalente ad anni successivi, può far pensare ad uno svolgimento del
tragico fatto di sangue diverso da quanto in realtà avvenne. Altro episodio avvenuto quasi
contemporaneamente a quello ora citato fu lo scontro a Ponte d’Arli tra bande di briganti
ed un reparto di un centinaio di uomini (al comando di un ufficiale superiore cisalpino). Al
suddetto scontro seguirono poi trattative condotte
tra i briganti e il generale Jean
D'Argoubert, anche tramite alcuni uomini di chiesa invitati come negoziatori, che portarono
ad un accordo (sottoscritto a Mozzano il 5 febbraio 1799 di efficacia effimera e che
dimostra per lo meno la insufficienza delle truppe di occupazione) che prevedeva che i
briganti avrebbero rispettato l'autorità dei comandi militari francesi e cisalpini mentre
D'Argoubet, concedendo a quelli il perdono e l'amnistia, s'impegnava a garantire la libertà
di culto e a non compiere requisizioni e rappresaglie.
Da Napoli, dove il 22 gennaio 1799 con il sussidio dei francesi veniva proclamata la
Repubblica Partenopea, i sovrani fuoriuscivano portandosi in Sicilia sotto la protezione
della flotta inglese al comando dell’ammiraglio Nelson.
Questo scenario generale non può non essere tenuto presente nel leggere il documento di
don Capriotti, sebbene questo sia focalizzato sulle diatribe locali (prima che Archetti
ponesse fine ad esse) e sui problemi economici generati dal costo dei lavori di costruzione
della nuova chiesa. Solo ad un certo punto del manoscritto pervenutoci don Capriotti
esprime un suo eloquente angosciato giudizio negativo sulle “innovazioni della sciagurata
repubblica
di
Francia”
(giudizio
presumibilmente
connesso
con
i
tentativi
di
riorganizzazione amministrativa riguardante anche aspetti economici, sociali e religiosi
avviati nel territorio della effimera Repubblica Romana). Nell’ambito di tale quadro va
aggiunto il seguito convulso che si ebbe nel 1799 per la ripresa delle ostilità della
coalizione antifrancese che portò in Italia, a fianco delle truppe austriache, un’importante
armata russa al comando del generale Suvarov. Ciò determinò il ritiro verso settentrione
delle truppe francesi e l’arrivo a Napoli della variegata moltitudine “sanfedista” al seguito
del cardinale Ruffo cui seguì l’inevitabile collasso della repubblica partenopea. Merita di
essere evidenziato il comportamento umano ed equilibrato che ebbe in quelle circostanze
Ruffo che, al fine di smorzare le contrapposizioni, il 23 giugno 1799 sottoscrisse un
accordo con il vertice repubblicano rifugiato nel forte di S. Elmo a Napoli. L’accordo, che
consentiva a chi lo desiderava tra quelli che si erano schierati con la repubblica di lasciare
liberamente Napoli fu ostentatamente violato da Nelson, nonostante la decisa e manifesta
10
contrarietà del cardinale. E’ da ritenere che la città di Napoli stia ancora pagando lo
sterminio nel 1799 di gran parte della sua “intellighenzia” determinato dalla decisione di
Nelson (120 impiccati tra cui l’ammiraglio Caracciolo e la intellettuale Eleonora Fonseca
Pimentel).
Nel mutato scenario italiano i francesi dovevano abbandonare l’area dello Stato Pontificio
restando in loro mano solo Ancona che peraltro venne cinta d’assedio da truppe
austriache affiancate da bande di insorgenti (al comando dell’ex ufficiale cisalpino La Hoz
che perse la vita nell’assedio) e con il porto bloccato da una flotta turca. L’assedio fu duro
e lungo tenuto conto della resistenza delle truppe francesi e cisalpine (comandate dal
generale Monnier) e si concluse nel novembre 1799 con un accordo in base al quale le
truppe assediate poterono lasciare la città che veniva presa dagli austriaci.
Va aggiunto che la memoria popolare locale registra ancora in alcuni suoi strati una
simpatia per il personaggio “Sciabolone” (visto in una incredibile analogia come una sorta
di partigiano della Resistenza durante la seconda guerra mondiale. V. fig. 7).
Tale
simpatia non può peraltro che poggiare su una non conoscenza delle atrocità commesse
dal personaggio (v. figg. 8 e 9) i cui seguaci si scontrarono non solo con le esigue truppe
francesi ma anche con diversi reparti italiani della Repubblica Cisalpina con la bandiera
tricolore.
La genesi della banda di Sciabolone e della analoga banda sotto il comando di tale De
Donatis (ex sacerdote) è meritevole di essere studiata dato che l’enorme numero degli
armati che le costituivano non appare rientrante nelle spontanee dinamiche popolari della
“insorgenza”. Nel disordine di quei giorni vanno dunque ricordate le stragi che nel luglio
1799 si registrarono ad Acquaviva (cioè nel territorio vicino al Colle Cocci su cui, sia pure
con lentezza, continuavano i lavori di costruzione della nuova chiesa) delle quali il
manoscritto di don Capriotti non riporta menzione. Ad Acquaviva furono trucidate venti
persone tra cui quattro donne e forse, per rispetto ad esse, le istituzioni locali potrebbero
oggi in qualche modo far riaffiorare nella comunità i loro nomi. Solo uno di questi risulta nel
toponimo di un belvedere comunale ad Acquaviva (è quello di Rosa Piattelli uccisa con un
colpo di archibugio dopo una fiera risposta da essa data ai briganti che l’avevano assalita
in casa).
Va aggiunto a questo punto che morto Pio VI il 29 agosto 1799, prigioniero a Valence in
Francia, l'Archetti prese parte al conclave, che si riunì (1 dic. 1799 - 14 marzo 1800) a
Venezia, ed in cui lo stesso cardinale fu tra i proposti per il pontificato. Fra i primi atti del
nuovo papa (Pio VII) fu la investitura di Archetti a vescovo della diocesi Sabina con sede a
Poggio Mirteto (2 apr. 1800), il che non impedì allo stesso di conservare la diocesi di
11
Ascoli dove rientrò dopo aver accompagnato Pio VII da Venezia a Roma. A dimostrazione
del prestigio di cui il cardinale Archetti godeva, nel giugno 1805 egli venne addirittura
proposto direttamente da Napoleone, con cui s'incontrò a Brescia, come vescovo di quella
città (in cui egli era nato nel 1731) senza peraltro che egli accettasse la proposta.
Esso era ancora vescovo di Ascoli quando il 10 settembre 1805 fu inaugurata la chiesa dei
SS. Filippo e Basso (v. figg. 10, 11, 12, 13) realizzata per la sua decisa presa di posizione
contro le miserevoli diatribe locali. In precedenza a maggio del 1801 esso aveva
inaugurato la Chiesa della Collegiata (v. fig. 14). Nella lapide posta all’interno di tale
chiesa (v. fig. 15) vengono ricordati in connessione con la citazione della zarina, anche gli
avvenimenti che avevano visto l’Archetti protagonista alla corte russa. La sua morte
sopravvenne il 5 novembre successivo.
Nel 1808 ci fu un nuovo intervento della Francia che portò (v. fig. 16) la parte orientale
(comprensiva delle Marche) dello Stato Pontificio ad essere inclusa nel napoleonico
Regno Italico e la parte occidentale (con Roma) nell’Impero Francese. Successivamente,
dopo il Congresso di Vienna, gli stati italiani assunsero la configurazione precedente
l’unità d’Italia (v. fig. 17).
Per concludere si può esporre qualche idea sulla società dell’entroterra piceno alla fine del
secolo XVIII : essa appare caratterizzata da una economia rurale che si autoalimenta solo
localmente. I nomi che don Capriotti fa nel suo documento e che non sono quelli
appartenenti a rappresentanti del clero sono tutti di gente del posto che si propone come
acquirente o venditore di fondi agricoli. Manca totalmente nel manoscritto il riferimento ad
una classe borghese a parte i numerosi notai sia di Ascoli che di Offida di volta in volta
incaricati di stilare gli atti di compravendita di terreni (c’è peraltro la eccezione costituita
dall’architetto Pietro Maggi di origine ticinese). Fra i rappresentanti del clero occorre citare,
come personaggi illuminati, i due fratelli Cipolletti (Carlo priore di S. Maria della Rocca e
Paolo cappuccino gestore della costruzione del nuovo ospedale di Offida e quindi
interlocutore di Maggi incaricato del progetto). In ogni caso figura dominante di livello certo
non locale fu quella del cardinale Archetti.
Da tutta altra direzione (l’attività del complesso di musica da camera dei “Solisti Piceni”) è
stata rimessa in luce la presenza nell’area del Piceno di musicisti di qualità come Sieber e
Galeazzi vissuti nel periodo della costruzione della Chiesa dei SS. Filippo e Basso che
sembra esaltare le contraddizioni di quel periodo.
12
Fig. 1 Rovine della chiesetta di S.Basso
13
Fig. 2 Rovine della chiesetta di S.Basso
14
Fig. 3 Vista attuale del monte Cocci con il complesso dei SS. Filippo e Basso
15
Fig. 4 Ritratto del cardinale Archetti
16
Fig. 5 Ritratto della Zarina Caterina
17
Fig. 6 Basamento della statua di Gregorio XIII
18
Fig. 7 Lapide nel cortile di Palazzo Saladini che ricorda la morte del conte
Orazio Saladini
19
Fig. 8 Figura di brigante dell’epoca di Sciabolone (Giuseppe Costantini)
20
Fig. 9 Lapide posta a S.Maria a Corte sulla facciata della casa natale di
Giuseppe Costantini
21
Fig. 10 Vista d’insieme del complesso dei SS. Filippo e Basso
22
Fig. 11 Facciata della chiesa dei SS. Filippo e Basso
23
Fig. 12 Interno della chiesa dei SS. Filippo e Basso
24
Fig. 13 Interno della chiesa dei SS. Filippo e Basso
25
Fig. 14 Chiesa della Collegiata ad Offida
26
Fig. 15 Lapide posta all’interno della Collegiata a ricordo della inaugurazione
della basilica da parte del cardinale Archetti nel 1801
27
Fig. 16 Stati italiani nell’era napoleonica (1808 – 1814)
28
Fig. 17 Stati italiani dopo il Congresso di Vienna
29
Parte prima
Manoscritto di don Capriotti nella
versione originale fedelmente trascritta
AVVERTENZE
AVVERTENZA 1
Al fine di facilitare la comprensione del testo (che così come scritto da don Capriotti non
presenta alcuna soluzione di continuità) questo è stato suddiviso in paragrafi ciascuno con
un proprio titolo.
AVVERTENZA 2
Nel testo trascritto è riportata la indicazione delle pagine del manoscritto.
AVVERTENZA 3
Il richiamo a note esplicative (riportate in Appendice e distinte da quelle originali del
manoscritto collocate a piè pagina) è stato inserito nel testo trascritto al fine di chiarire il
significato di termini particolari usati dall’autore.
Tali note sono indicate con l’acronimo N.E. (Nota Esplicativa) seguito da un numero
progressivo.
AVVERTENZA 4
I punti del manoscritto in cui si parla dell’arch. Pietro Maggi sono alle pagine 29, 46, 62
del manoscritto stesso.
AVVERTENZA 5
L’assegnazione del titolo di S. Filippo alla nuova chiesa della Cura di S. Basso è a pagine
75 del manoscritto.
30
AVVERTENZA 6
Nel testo manoscritto vengono ripetutamente indicate delle collocazioni di documenti
nell’Archivio della Cura di S. Basso che però mancano dei numeri relativi.
PREMESSA
1. I MONACI BENEDETTINI FARFENSI E LA PARROCCHIA DI S. MARIA DELLA
ROCCA UNICA PARROCCHIA DI OFFIDA NEL XVIII SECOLO
2. 1753 : DISEGNO DI MONS. MARANA VESCOVO DI ASCOLI PER UN NUOVO
ASSETTO DELLA PARROCCHIA DI S. MARIA DELLA ROCCA
3. ELEZIONE DI TRE CAPPELLANI CURATI COME COADIUTORI DEL
CURATO DI S. MARIA DELLA ROCCA.
VICARIO
4. 1784 : DECRETO DEL VESCOVO LEONARDI PER L’ASSEGNAZIONE ALLA
CAPPELLANIA DI S. BASSO DEL BENEFICIO DI S. FILIPPO ED ANGELO
5. ATTUAZIONE DEL DECRETO LEONARDI
6. PRIMA SCELTA DEL SITO SU CUI
CURATO DI S. BASSO
ERIGERE LA CASA DEL CAPPELLANO
7. ALTRA SCELTA DEL SITO A MONTE COCCI. INCARICO ALL’ARCHITETTO
PIETRO MAGGI PER LA MAPPATURA DELL’AREA
8. IL PROBLEMA DEL VINCOLO DI UN PIO LEGATO GRAVANTE SUL SITO
SCELTOSUL MONTE COCCI.
9. VENDITA DI UN PRIMO LOTTO DI TERRENI PER PROCEDERE ALL’ACQUISTO
10. VENDITA DI ALTRI TERRENI PER REPERIRE ULTERIORI FONDI
11. L’ARCHITETTO PIETRO MAGGI REDIGE IL PROGETTO DELLA CHIESA E DELLA
CANONICA (NOVEMBRE 1791).
12. 1792 : MORTE DEL VESCOVO LEONARDI E NUOVE OSTILITA’ DA PARTE DI
QUANTI CONTINUAVANO AD ESSERE CONTRARI ALLA COSTRUZIONE DELLA
NUOVA CHIESA SUL MONTE COCCI
13. ANTONIO LENTI VICARIO CAPITOLARE
14. IL VICARIO LENTI DISPONE LA SOSPENSIONE DEI LAVORI DI COSTRUZIONE
DELLA NUOVA CHIESA
15. 1792 : ELEZIONE A CAPPELLANO CURATO DI S. BASSO DI DON N. CAPRIOTTI.
31
16. 1795 : IL CARDINALE ARCHETTI ELETTO VESCOVO DI ASCOLI. RIPRESA
DELLA COSTRUZIONE DELLA NUOVA CHIESA
17. VENDITA DI ALTRI TERRENI PER REPERIRE ALTRI FONDI
18. INAUGURAZIONE DELLA CHIESA (10 SETTEMBRE 1805)
PREMESSA
Pag. del manoscritto 1
Fra i doveri di chi è chiamato a reggere una parrocchia è certamente quello di procurarsi
un’esatta e compiuta informazione degli obblighi e pesi che le sono annessi, come ancora
delle ragioni e diritti ch’egli dovrà mantenere e difendere.
Cura una congrua dotazione, il Parroco ha ordinariamente
Oltre di che, avendo ogni
dei beni da
amministrare, dei conti da tenere in buona regola, e spesso ha la necessità di consultare
gli avvenimenti passati onde prender norma ai futuri. Per lo che ottima cosa è sempre
stata che ogni Parrocchia nel proprio archivio conservasse gli atti della sua prima
istituzione, i successivi Decreti che a mano a mano si sono venuti formando dai Vescovi, i
facoltativi rescritti ottenuti, gli istrumenti, le Bolle, le Carte tutte che si riferiscono al buon
ordinamento della stessa Parrocchia, tanto per la parte spirituale, che per l’altra
dell’amministrazione dei beni temporali.
Ma spesso il consultare l’archivio non è facile, né breve fatica: avvegnacché lungo è lo
svolgere di mano in mano per singolo tutti i documenti suddetti, confusa ed intralciata
spesso ne è la dicitura e sempre si presentano in una maniera sì slegata che, chi
specialmente non è pratico a trattar interessi, alcuna volta non giunge a comprendere la
loro reciproca relazione, né a trovare la notizia desiderata.
Pag. del manoscritto 2
A mettere in reciproco rapporto tali scritture, a riempier de’ voti che spesso si trovano tra le
medesime, ispiegando bene, o come meglio si potrebbe, le cause, il come e il quando
d’ogni cosa, ho molte volte avuto in pensiero, per ciò che risguarda questa mia Parrocchia
de’ SS. Filippo e Basso, compor come una breve storia della medesima, notando in un sol
libro, per ordine, secondo i luoghi ed i tempi, tutti gli avvenimenti che la risguardano.
Avea io pertanto raccolte delle memorie, e consultato gli atti dell’Archivio, e provistomi di
molte notizie che mancavano, ma sono stato sempre impedito da varie circostanze di
venire a capo del mio disegno. Ora intendendo, che in breve sarà per venir in S. Visita il
32
nuovo nostro amatissimo e zelantissimo Pastore, pensando di fare cosa grata tanto a Lui,
che ai Parrochi miei successori, pongo mano all’opera.
Io mi allargo un poco sulle prime, perché mi sembra di dover bene ispiegar anzi tutto le
cause che determinarono l’Istituzione di questa Parrocchia, e non lascio d’accennare le
difficoltà ed ostacoli che insorsero, perché subito si persuada il nuovo Parroco che quando
trattasi del bene spirituale delle anime, il maligno serpente argomentasi per ogni modo di
attraversarci la via.
Pag. del manoscritto 3
Ma nel riferire delle opposizioni anzidette taccio il nome di coloro che si fecero
contraddittori di questa bella opera pia, parendomi ch’eglino non meritino d’esser nominati:
non taccio però il bel nome di coloro, che col loro santo zelo cooperarono all’istituzione ed
incremento di questa Cura perché il Parroco non abbia mai a dimenticarli nelle orazioni
che per essi farà fare al Popolo.
Di qualunque cosa io parlo indico il Documento legale relativo, segnando il numero col
quale si trova in archivio; e siccome si fecero ancora alienazioni e scambi di fondi,
imposizioni di Censi, rinvestimenti di denaro, e simili, come accenno i Decreti facoltativi co’
quali si fecero, così ancora il giorno, mese ed anno in cui furono fatti, col nome del notaro
che stipolò i relativi strumenti acciocché il Parroco non solo vegga con qual fondamento di
ragioni, e per quali cause si fecero, ma possa anche all’uopo consultarli per avere
istruzione della via da tenersi in casi simili. Infine pongo anche la Pianta topografica della
Chiesa e Casa Parrocchiale, del fondo in cui son poste, ed insieme quella della intera
Contrada (*) perché il volger l’occhio di tratto in tratto specialmente su quest’ultima può
esser gradita occupazione a chi una chiara e distinta idea voglia farsi del luogo, ove sarà
per esercitare il suo importantissimo ministero.
Pag. del manoscritto 4
Da ultimo faccio lo stato attuale delle anime notandone il numero, per sessi, per età, per
stato ed accenno alle loro attuali condizioni morali in genere. Il Catalogo de’ Fondi
Parrocchiali collo speccio dell’Entrata e dell’Esito è in appendice con una distinta
descrizione de’ medesimi.
Vogliami questa, non breve, e per se non gradevole fatica, a meritarmi la benevolenza de’
miei Lettori, ed a far documento del desiderio che io nudro ardentissimo pel migliore bene
di questi miei amatissimi parrocchiani.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
(*)
Di essa debbesi grado all’eccellentissimo Sig. Luigi ingegner Micheli, della cui gentile e soave
amicizia mi tengo altamente onorato.
33
1. I MONACI BENEDETTINI FARFENSI E LA PARROCCHIA DI S.MARIA
DELLA ROCCA UNICA PARROCCHIA DI OFFIDA NEL XVIII SECOLO
Sappiasi dunque innanzitutto, che sino al 1759, da secoli e secoli avanti era stata in Offida
una sola Parrocchia, quella di S. Maria della Rocca, la quale avea la cura di tutte le anime
non solo dell’interno di questa grossa terra, ma ancora di tutto il suo vastissimo
circondario.
Era stata tenuta lungotempo dapprima dai monaci Benedettini Farfensi, cui apparteneva
detta Chiesa, ed essi ne disimpegnarono gli officij relativi con quella carità, zelo e
beneficenza, che resero poi sempre cara agli offidani la loro memoria.
Pag. del manoscritto 5
Quei buoni monaci, aiutandosi l’un l’altro nel disimpegno delle attribuzioni del Parroco, ed
avendo edificato in parecchi luoghi del territorio altre tante chiesoline, che essi non
mancavano di officiare (della maggior parte di esse non rimancono ora che de’ruderi) e
facendo delle loro rendite ampia parte ai poveri, e prestandosi in ogni incontro in di loro
ajuto, sebbene una, come dicemmo era la Parrocchia, tuttavia le cose, da quanto
sappiamo, marciavano in buon punto.
Ma allorché nel 1562 soppressa la loro Congregazione, fu ai monaci surrogato un Collegio
di Cannonici eretto nella stessa Chiesa di S. Maria della Rocca, e di que’ beni fu
provveduto il Capitolo, la condizione di questa Parocchia subì un notabile cangiamento.
Uno ex officio fu il Parroco destinato a reggere la cura di tante anime: i beni comuni
divennero a vita quasi proprietà de’ singoli, ed al Curato restò una congrua, colla quale
non potea forse esercitare tutte quelle benefiche largizioni che praticaron un tempo i
monaci. Di più, chi ha riscorso pur una volta il circondario di Offida, montuoso, scosceso,
attraversato da ogni banda da burroni e fossati, con poche strade vicinali, e per la maggior
parte quasi impraticabili nel verno, di leggieri concipirà che un sol parroco, quando fosse
stato anche il più zelante ed operoso sacerdote, non poteva pienamente soddisfare alle
necessità spirituali di tanto gregge affidatogli:
Pag. del manoscritto 6
per lo che avvenne alcuna volta, come specialmente più si popolò la campagna, che
taluno mancasse dell’assistenza in punto di morte e se ne morisse senza sacramenti. In
qualche grande epidemia poi, e nelle più rigide stagioni invernali erano i poveri campagnoli
presso che del tutto deserti.
Non si dee anco tacere che essendo pure officio del Parroco l’ascoltare le sagramentali
confessioni de’ suoi parrocchiani, l’istruirli nei rudimenti della Fede, il visitare di tratto in
34
tratto e confortare di sua presenza i poveri malati, comporre alcuna volta qualche dissidio
insorto tra le famiglie, ognuno vede, che quando il Parroco non risiede in contrada, ma
stanno lontani i parrocchiani dal Parroco, e questo da essi, non essendovi quell’usar
vicendevole degli uni con l’altro, tutti i suddetti offici non possono certamente adempiersi
come si converrebbe di fare. Onde è che per tutte le suddette cause, grave dovette essere
allora la condizione dei campagnoli, e veramente da compiangere la infelice loro
situazione.
Pag. del manoscritto 7
Tuttavia essi dovettero buon tempo rimanere in questo stato, sino a che non piacque
all’Altissimo muoverne a pietà il paterno cuore di Mons. Marana vescovo di Ascoli di
sempre chiara e benedetta memoria (1).
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------(1) Paolo Marana fu terzo di suo nome nella serie de’ vescovi ascolani : era stato monaco Olivetano, e
celebre cattedrante di Teologia: apparteneva a nobile e ricca famiglia genovese; di mirabile carità, tenne
l’episcopato per anni 27, patì di scrupoli e di apparente ruvidezza.
2. 1753 : DISEGNO DI MONS. MARANA VESCOVO DI ASCOLI PER UN
NUOVO ASSETTO DELLA PARROCCHIA DI S. MARIA DELLA ROCCA
35
Mons. Marana nel 1753 recatosi in Offida per la sua prima sacra visita, sin da allora vide
necessità e concepì il disegno di dare al Parroco di S. Maria della Rocca tre coadjutori col
titolo di Cappellani Curati, i quali potessero prestar mano al principale parroco,
specialmente per la cura delle anime della campagna, assegnando ai medesimi tre
diverse contrade del territorio. Mancavano però de’ mezzi per provvedere questi
Cappellani Curati, e però si dovettero soprassiedere qualche tempo prima di venire alla
loro formale istituzione.
Finalmente si progettò di trarre il loro assegnamento da un Pio Legato di Messe (N.E. 1),
di cui era compatrono il Capitolo, riducendo l’elemosina delle medesime, assegnata dal
testatore a più tenue somma. Siccome però il Sagro Santo Concilio di Trento dice (*) che è
giusto il mantenere intatte le pie Disposizioni de’ defunti perciò neppure il Vescovo, senza
udire l’oracolo di Sua Santità potea decretare tale riduzione sebbene fosse a fine sì retto.
Pag. del manoscritto 8
Allora, con intesa del Capitolo, si avanzò al Pontefice Bened. XIV l’Istanza che è in
archivio al Num.
. In essa, fatto un quadro della deplorabile condizione di queste
campagne, si espose che un certo Pio Testatore di Casa Rota (*) avea lasciato la sua
pingue eredità ad effetto che gli annui redditi della medesima dovessero impiegarsi nella
celebrazione di tante Messe quante ne davano i redditi stessi coll’elemosina di due paoli
per cadauna che in difetto de’ suoi Parenti, tutti già estinti allora, era il Patronato
dell’Opera Pia devoluto al Capitolo di Offida che l’amministrava ed eleggeva i sacerdoti
per le celebrazioni di dette Messe. Che all’effetto di cui sopra s’era pensato di diminuire,
senza diminuzione di numero di Messe, la suddetta elemosina di baj. 20 riducendola a baj.
15 (N.E. 2). Che stante tale riduzione, poteva aversi l’annuo sopravanzo di scudi 75 circa
(non erano allora i redditi giunti alla vistosa somma, cui l’ha portata oggidì l’ottima
amministrazione del Capitolo) la qual somma per maggiore facilità si voleva applicare al
Capitolo coll’obbligo di mantenere i detti tre Cappellani con l’assegno di sc. 20 per
ciascuno di essi e che dove sopravvanzasse ancora qualche tenue somma con essa si
voleva prestare un sussidio alla Sacrestia o Fabbrica della nuova Chiesa Collegiata (**).
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------(*) Concilium Tridentinum : “ legittima patronatuum jura tollere aequum non est”.
Pag. del manoscritto 9
Su tutto ciò prestava pienamente suo consenso il Capitolo. L’ottimo pastore, recatosi in
Roma per bisogne del suo gregge, volle di sua mano porgere la detta Supplica a S.
36
Santità. Accolse il Pontefice con paterna amorevolezza le umili preci del degnissimo
prelato e con benigno rescritto del 5 febbraio 1753 (***) che leggesi a piè dell’istanza
suddetta rimise in di lui mani le facoltà di divenire alla riduzione anzidetta. Non si sa però
così di leggieri rilevare l’ostacolo che allora si presentò a ritardare l’esecuzione di sì
importante favorevole rescritto, doppoiché sappiamo che non prima del 1759 ossia sei
anni dopo che fu esso ottenuto, sortì l’effetto desiderato. Tornò Mons. Marana l’anno
suddetto in sacra visita in Offida, ed allora formò il decreto che leggesi in archivio al num.
.
Ecco un sunto della disposizione che tiene in seno quel Decreto.
1° L’elemosina delle Messe dell’Opera Pia Rota è ridotta a baj. 15 per cadauna; e si dà
facoltà al Capitolo di ritenere su d’ognuna baj. 5 onde mettere in pié la somma di sc. 60 da
darsi ai tre Cappellani Curati e d’impiegar il sopravanzo per la Sagrestia e per la Fabbrica.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
(*) Antonio Rota Giureconsulto di chiara fama : tenne nobilissimi e splendidissimi offici che esercitò
con abilità e fede : divenuto ricchissimo legò tutti i suoi beni al Clero Offidano.
(**) Questo elegante e magnifico Tempio in cui si traslocò il Collegio Canonicale di S. Maria della
Rocca fu edificato principalmente per cura ed impegno del Priore D. Carlo Cipolletti, di cui avremo
a fare spesso onorata menzione.
(***) Vedi atti Capitolo di Offida 29 giugno 1753 ove trovasi il rescritto ed il qui sotto accennato decreto del
vescovo Marana.
37
Pag. del manoscritto 10
2° L’elezione dei tre Cappellani alle rispettive contrade e Chiese Curate, amovibili ad
nutum del Vescovo, appartiene al Capitolo, senza spedizione di Bolle ex speciali gratia;
l’approvazione al Vescovo.
3° Mancando allora le abitazioni ove i suddetti cappellani potessero risiedere in seno della
loro contrada, si permetteva ad essi d’abitare temporaneamente in città; ma il Vescovo si
riserbò il diritto di obbligarli tutti, od alcuno di loro in particolare, a risiedere nelle rispettive
contrade, tosto che fosse stata provveduta l’abitazione, dichiarando espressamente che a
solo fine di provvidere alle spirituali bisogna di quel gregge si era mosso a supplicare al
Pontefice; ed a questo sol fine era stata impetrata la grazia.
4° In quarto luogo si espongono gli obblighi principali cui debbono esser tenuti i suddetti
Cappellani respettivamente alle chiese loro affidate : l’amministrazione de’ Sacramenti,
l’assistenza nell’agonia; l’associazione al funerale ed alla seppoltura; l’istruzione ai fanciulli
nella dottrina cristiana; la visita di tratto in tratto agli infermi; l’assiduità al Confessionale
ne’ dì festivi; l’intervento alle pubbliche processioni e funzioni ove interviene il Vicario
Curato di S.Maria della Rocca,
Pag. del manoscritto 11
come ancora l’accedere alle mensili risoluzioni de’ Casi di coscienza, da cui non
sarebbero dispensati neppure abitando fuori nelle loro contrade. Che anzi volendo il
Vescovo far chiaramente rilevare che coll’istituire i tre Cappellani Curati non intendeva
formare tre nuove Parochie ma dare coadiutori ossiano Cooperarj al Vicario Curato, volle
che la suddetta Vicaria di S.Maria della Rocca si riguardasse sempre come unica ed
indivisa Parrocchia, nulla volendo detrarre a’ suoi diritti e che perciò fossero annualmente
tutti ed indistintamente tenuti gli abitanti di campagna (eccetto gli infermi e valetudinari) a
soddisfare al precetto pasquale nella Chiesa Collegiata di S. Maria della Rocca.
5° Finalmente si dichiarò che sebbene a ciascuno de’ suddetti tre Cappellani si
assegnavano speciali contrade ove esercitare d’ordinario il loro santo ministero, nulla
ostante però ove ne venisse necessità, nessuno de’ medesimi era sciolto dall’obbligo di
prestare aiuto all’altro in diverse contrade, specialmente in assenza o mancanza del
proprio Cappellano. Così il buon Vescovo credette di aver provveduto a bastanza, almeno
per allora, alle spirituali necessità di questa popolazione agricola : sperando certo in cuor
suo di poter quanto prima coll’assegna delle rispettive residenze ai Cappellani portare al
suo compimento l’opera intrapresa : senza di che, ben s’avvedeva anch’egli, che le sue
savie disposizioni non avrebbero potuto sortire l’effetto desiderato.
Pag.delmanoscritto12
38
In forza dunque del suddetto Decreto di Mons. Vescovo Marana, furono nel 1759 eletti dal
Capitolo la prima volta i tre Cappellani Curati ed, approvati dal Vescovo, furono loro
assegnate le rispettive Contrade e Chiese rurali. La Chiesa di S. Venanzo con la Contrada
che porta l’appellazione del Santo, fu assegnata al Cappellano D. Carlo Nespeca : la
Chiesa di S. Lazzaro con la Contrada di simil nome al Cappellano . . . . . ., e sacerdote D.
Biagio Tilli fu il primo Cappellano Curato della Chiesa di S. Basso per la Contrada del
Ciafone.
3. ELEZIONE DI TRE CAPPELLANI CURATI COME COADIUTORI DEL
VICARIO CURATO DI S. MARIA DELLA ROCCA
39
E’ la contrada del Ciafone situata a levante della città di Offida, e se si riguardi alla
insperata fertilità del suolo ed alla estensione del terreno che abbraccia, è la più
considerabile di tutto il territorio. Essa nella sua configurazione e topografia rappresenta
prossimamente una mezza ellisse tagliata secondo l’asse principale, che verrebbe
rappresentato dal torrente detto alla valle. Partendo dal punto in cui questo tocca il
territorio di Castorano la periferia dell’ellissi suddetta viene descritta dai confini di
Castorano, di Acquaviva, di Monsanpolo, di Ripatransone, ed il punto opposto dell’asse
suddetto verrebbe costituito dalle adiacenze del Colle S. Martino. A percorrere tale
periferia non basta forse il cammino di ore …… d’onde può raccogliersi quanto sia vasta
questa Contrada.
Pag.delmanoscritto13
Continui sono i scoscendimenti ed avvallamenti di terreno, e molti fossi e torrenti dividono
e spezzano la contrada in più parti : le vie fangose, e nelle stagioni invernali, avendosi a
costeggiare quei torrenti, sono molte volte impraticabili. Dissite e spesso assai lontane fra
di loro le abitazioni de’ coloni : alcuni poverissimi non potendo facilmente comunicare fra
loro non scambiansi nemmen facilmente i servigi ed all’uopo non è facile trovare chi l’un
l’altro soccorra. Di più la maggior parte di essi, non possono per la loro miseria provvedere
di portante il Parroco che debba recarsi ne’ loro abiturj. Pensi dunque il lettore in che triste
condizione dovevano trovarsi quando erano costretti di andare per esso in città.
La Chiesa di S. Basso, che fu allora assegnata al Cappellano Curato di detta Contrada, è
una piccola chiesuola rurale, esistente ancora, ma che era ben lontana dal porgere
comodità di accesso a tutti gli abitanti della Contrada medesima, e perciò con molto savio
accorgimento venne poi edificata la nuova Chiesa od Oratorio di S. Filippo e S. Basso, di
cui parleremo in appresso.
Pag.delmanoscritto14
Ma per lo spazio di circa 30 anni, dalla prima istituzione fatta dal Marana fino al 1784 le
cose furono sulle condizioni che abbiamo esposto. Il Cappellano di S. Basso, risiedeva
come gli altri Cappellani, in città : aveva dal Capitolo l’annuo assegno soli sc. 20 ed
officiava la Chiesa rurale di S.Basso avendo la cura delle anime di questa contrada.
Ma guari però non andò che si scorse la necessità di provveder tosto i nuovi Cappellani,
specialmente quello del Ciafone, della abitazione, per farli risiedere in seno delle loro
Cure. Di fatto ciascun vede, che coll’istituzione de’ tre nuovi Cappellani fatta dal Marana,
mentre risiedono in città, se prestano essi loro aiuto al Vicario Curato moltiplicando per
così dire le sue braccia, non è però che sia rimossa la difficoltà di correre all’uopo dalla
40
città all’estreme parti delle contrade per assistere i moribondi, ed esercitare altri officj
parocchiali :
Pag. del manoscritto 15
dappoiché per moltiplicità di braccia non si diminuisce quella distanza; e il più importante
è qui, che il parroco possa subito accorrere, e per la vicinanza de’ luoghi spesso visitare
l’infermo, e con agio andare e tornarvi. Di più, dove prima per la conosciuta impossibilità
del Vicario di accorrere spesso in più parti e lontane del territorio, tutti gli altri sacerdoti,
che in Offida sono stati sempre numerosissimi, si sarebbero creduti obbligati di prestarsi
per la qualità stessa del loro caritativo ministero, eletti i Cappellani Curati, e ad essi
assegnato un qualsiasi benché tenue stipendio, non troverai più sì facilmente chi voglia
addossarsi un carico per cui vengono altri stipendiati.
Così è sempre vero che l’aggiunta di sei braccia, davano ragione di quiescenza a quelle di
moltissimi altri.
4. 1784 : DECRETO DEL VESCOVO LEONARDI PER L’ASSEGNAZIONE
ALLA CAPPELLANIA DI S. BASSO DEL BENEFICIO DI S. FILIPPO ED
ANGELO
41
Nel settembre del 1784 recavasi in Offida a far la S. Visita Mons. Pier Paolo Leonardi,
nuovo vescovo di Ascoli (*). Egli ebbe tosto a udire nuovi lamenti degli
abitanti di
campagna: dicevano che essi ne’ casi estremi erano deserti; non potere il loro Cappellano
sempre ed ovunque, ed all’uopo accorrere a prestar loro soccorso:
Pag. del manoscritto 16
La maggior parte di essi non aver nemmen comodo da provvederli di cavalcatura; molti
non ricevere assistenza in punto di morte, altri morirsene senza i conforti di religione e de’
sagramenti: la loro Chiesa non tutti i dì festivi rimanere officiata; i loro figlioli non potere
accedere di lontano all’istruzione catechistica, gli infermi restare in abbandono. Rimase
penetratissimo l’animo di quell’ottimo Pastore alle dolenti voci del suo diletto gregge, e diè
subito particolare istruzione a’ suoi Convisitatori, di perlustrar diligentemente quelle Chiese
rurali, prender piena informazione di quelle Cappellanie Curate, e dargliene quanto prima
fedele rapporto. Fu tra suoi Convisitatori D. Filippo Ambrosi, Vicario Generale e Canonico
della Cattedrale di Ascoli (**), il quale solo in detta qualifica, impediti gli altri Convisitatori
per improvviso accidente di malattia, accompagnato da due altri sacerdoti e scortato da
persone prattiche de’ luog hi, si recò a visitare le Chiese rurali del territorio, e praticò
quelle strade, d’onde poteva scorgere più facilmente la qualità e postura di tutte le
contrade.
Pag. del manoscritto 17
Non si può esprimere quanta fu la sua sorpresa e la sua compassione insieme pel Curato
e per i poveri Campagnuoli, allorché scorse la Contrada del Ciafone. Sentieri dirupati e
scoscesi d’ogni parte : alcuna volta nessuna traccia di strade; torrenti fancosi, dilavazioni
di terreno quasi in ogni banda: case coloniche dissite fra di loro, poste in luoghi isolati;
molti poverissimi tugurj; la Chiesa di S. Basso sbalestrata in parte della Contrada in sito
incomodissimo alla maggior parte della popolazione : questa ascendere, non ostante al
numero di 650 anime e più. Quivi anche più forti ebbe a udire i lamenti, che moltissimi
morivasene senza i conforti di religione. Egli restò tosto persuaso della necessità di
porgere un soccorso a quelle povere genti : le sue viscere furono veramente commosse
alla vista della loro infelice situazione: quindi s’ingegnava di trovar mezzo di venire
all’effetto di porre in quel luogo la residenza del Parroco. Ne venia discorrendo co’ suoi
compagni di viaggio, quando l’un di essi, mosso certo dallo Spirito del Signore, così prese
a dire : - E’ in Offida il Canonico D. Francesco Fazi già cadente di età, possessore di due
buoni benefici riuniti sotto il titolo de’ Santi Filippo ed Angelo.
Pag. del manoscritto 18
42
Il primo di questi appartenne un giorno all’Oratorio di S. Filippo, che esistè già in Offida da
fino al quando mancato affatto ogni sacerdote, la Congregazione si sciolse: il secondo
appartenne un tempo alla Compagnia di S. Angelo di detta terra pur soppressa. Mons.
Monti Vescovo di Ascoli (1) in occasione di una sua S. visita fatta in Offida nel 1671
avendo trovata la Chiesa di S. Filippo già diruta, ed in condizioni di non poter esser
riattata, e senza celebrazione di Messe, e che li beni del Suddetto Oratorio non erano stati
applicati ad alcun Luogo Pio; ed avendo pure in simile stato trovato l’Oratorio della
Compagnia di S. Angelo; di pieno consentimento de’ Canonici, del Clero, e del popolo
tutto, con tutti questi beni una Cappellania eresse, amovibile ad nutum, ingiungendo al
Rettore di essa l’obbligo di una messa per settimana, ed un’altra nel dì della festa del
Santo Titolare.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------(*) Pier Paolo Leonardi, nobile di Amelia, creato nel 1755, riuscì degno allievo e nipote del celebre
arcivescovo di Fermo Alessandro Borgia.
(**) Filippo Ambrosi, di nobile famiglia ascolana, dotto e pio ecclesiastico e nelle leggi canoniche
versatissimo, fu lume ed ornamento della Chiesa Ascolana, Canonico di quella Cattedrale, poi vescovo di
Montalto.
(***) Filippo Monti Fermano dal Vescovado di Teramo passò a quello di Ascoli nel 1668 del quale resse
eccellentemente il governo. Narrasi che egli avia sottoposta la propria condotta alla correzione di due
Censori espressamente da lui istituiti.
43
Un quarantanni appresso, nel 1711 la chiara memoria di Mons. Gambj, venuto parimenti in
Offida per la S. Visita, sia che non trovasse in buon punto l’amministrazione de’ beni
suddetti, sia che di essi credesse più opportuno provvederne il Seminario di Ascoli, al
medesimo tutti i beni del Beneficio de’ SS. Filippo ed Angelo applicò ed unì ;
Pag. del manoscritto 19
il quale non lì ritenne però né anco un decennio perché avendo fatta ragione dell’entrata e
dell’esito, credette meglio rinunciarli, e li rinunciò. Allora Mons. Gambj (*) recatosi
nuovamente qua nel 1721, il suddetto Beneficio o Cappellania co’ beni e pesi suddetti
conferì al Chierico Francesco Fazi. Molto diverso però è il conto che questi ne ha saputo
fare, perché i suddetti beni potranno oggi rendergli un fruttato libero di presso ché cento
scudi annui : tanto è vero che ogni conto non torna lo stesso sotto diversi amministratori.
Ora tornando al proposito che Vostra Eccellenza teneva, sapendosi che in breve per l’età
avanzatissima del Fazi sarà per vacare questa Cappellania, e spettando la collazione della
medesima alla mensa Vescovile, non potrebbe Ella, Monsignor Vicario, prendere impegno
presso quest’ottimo nostro Superiore, perché essa venisse incorporata alla Cura di S.
Basso, ed obbligare così il Cappellano a risiedere ? –
Piacque sommamente all’Ambrosi questo progetto; e non si tosto fu alla presenza del
Vescovo, che col quadro dolente dell’infelice situazione degli abitanti del Ciafone espose
insieme il modo di rimediare a tanti loro disastri.
Pag. del manoscritto 20
Il Vescovo, che nulla meglio stava attendendo che sì bella congiuntura, commentato
altamente il progetto, e chiamato anche il sacerdote che l’avea fatto, prese esatta
informazione dell’esposto, e verificate tutte le suddette circostanze e la libera collazione in
mano sua, senza metter tempo in mezzo, siccome quello che a lui premea sommamente
la salute delle anime, in quella stessa sacra visita volle fare il Decreto, che come fosse
per vacare il Beneficio de’ SS. Filippo ed Angelo, il medesimo, ex nunc pro tunc come si
espresse, venisse incorporato alla Cappellania Curata di S. Basso: ovvero (siccome pure
volle aver considerazione delle altre due Cappellanie Curate, rapporto alle quali
verificavasi presso che le stesse circostanze), alle altre due di S. Lazaro e Venanzo, in
tutto od in parte, come meglio si crederà espediente, con tutti i beni, diritti e pesi al
medesimo beneficio inerenti, ad effetto che i medesimi Cappellani potessero risiedere
nelle Contrade.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------(*) Giovanni Gambj nobile Ravennate tenne la sede vescovile di Ascoli dal 1710 al 1726: è ricordato con
affetto.
44
Pag.del manoscritto 21
Nel suddetto Decreto si riservò poi il diritto di stabilire in appresso quali peculiari leggi,
officij e carichi pe’ Cappellani, che egli crederebbe opportuni. Questo importantissimo
Decreto è registrato in Archivio al Num.
.
5. ATTUAZIONE DEL DECRETO LEONARDI
Grande era stato l’accorgimento del Vescovo nel formar un tale Decreto prima che
vacasse il Beneficio di S. Filippo: giacché aveva così avviato al capo, in cui il Fazj
morendo in un mese, in cui la collazione del medesimo Beneficio spettasse alla Dataria,
non fosse poi in sua libertà l’applicar que’ beni all’uso desiderato: ed in secondo luogo
s’era così liberato dalle infinite molestie che molti gli avrebbero fatto, sollecitando per se la
collazione del Beneficio stesso, quanto spettasse al Vescovo di conferirlo nella sua futura
vacanza. Ma tale accorgimento non gli valse interamente sicché non avesse a provar poi
de’ disgusti per tal causa. Dappoiché, morto nel 1788 il Canonico D. Francesco Fazj, e
chiedendo il Cappellano di S. Basso l’incorporazione del medesimo a vantaggio di quella
Chiesa, subito nacquero delle opposizioni. Alcuni lusingandosi di ottenere quella provvista
per se, pensarono di rivolgersi alla Dataria, e tosto ne scrissero ai loro agenti in Roma:
Pag.del manoscritto 22
Frattanto si cercò di far nascere quaggiù gli ostacoli per ritardare il corso delle cose. Si
fece fare una protesta del Comune contro l’unione sudetta, dicendosi che la Comunità non
volea esser pregiudicata nell’esigenza de’ pesi Comunicativi, quando si fu poi verificato
che que’ beni non erano stati mai soggetti a tale aggravio. Gli altri Cappellani facevano
forse anch’essi delle premure per ottenere una porzione di quei redditi beneficiali. Ma
soprattutto i Sig.ri Canonici sospettavano, che l’unione anzidetta dovesse pregiudicare i
diritti che il Capitolo avea sulla Parrocchia affiliata. Si promossero dunque delle difficoltà,
si fecero delle proteste in Capitolo; e si mandò anche una deputazione al Vescovo per
cercare di rimuoverlo dalla risoluzione intrapresa. Il tutto però fu accordato allora in buona
pace. Mons. Leonardi lontano dal voler il pregiudizio dei diritti di alcuno, il Capitolo
persuaso dall’equità delle di lui determinazioni, desiderose anche le parti di far lo migliore
per la salute delle anime, si posero d’accordo nello stabilire i seguenti patti e convenzioni:
45
Pag. del manoscritto 23
1° Che l’elezione del Cappellano Curato (già removibile in persona del Vescovo) toccasse
ed appartenesse al Vescovo (con questo articolo si erano voluti togliere le collisioni che
potevano prima nascere tra il Capitolo che eleggeva ed il Vescovo cui era riserbata
l’approvazione).
2° Che questo Cappellano Curato dovesse esser sempre una persona oriunda del Luogo,
purché fosse abile.
3° Che dovesse risiedere nelle Contrada di S. Basso.
4° Che dovesse celebrare parimente la rata delle Messe pro populo.
5° Che dovesse celebrare tutte le Messe del Beneficio e portarne tutti i pesi.
6° Che delle rendite de’ beni di S. Filippo dovesse pagare scudi 10 al Cappellano Curato
di S. Venanzo; ed altri scudi 10 a quello di S. Lazzaro: e che dall’assegnamento delli
scudi 20, che ha presentemente il Cappellano Curato dalle rendite dell’Opera Pia Rota,
ne dovesse pagare scudi 10 al Vicario Curato della Collegiata, col peso però ad esso
Vicario Curato di coadiuvare li tre Cappellani Curati di campagna.
7° Che dovesse amministrare li Sacramenti ed esercitare tutto ciò si ordina ad essi
Cappellani Curati nell’erezione e Decreto formato dalla chiara memoria di Mons. Marana.
Sopra tali basi e condizioni formò Mons. Vescovo Leonardi il suo Decreto del 27 settembre
1788 per l’unione del Beneficio de’ SS. Filippo ed Angelo alla Chiesa Curata di S. Basso
che conservasi in archivio al num.
insieme col Consenso prestato dal Capitolo nel dì 12
settembre 1788 che risultò da voti 10 favorevoli a petto di 3 voti contrarj.
Pag. del manoscritto 24
In forza dunque della suddetta Convenzione e Decreto l’elezione del Cappellano alla
Chiesa Curata di S. Filippo e Basso, spetta ora esclusivamente al Vescovo : elezione che
prima spettava al Capitolo coll’approvazione del Vescovo : in compenso della qual
cessione di Diritto il Capitolo ebbe la compiacenza di assicurare ai sacerdoti
oriundi del Luogo la provvista di questa buona Cura. Il Curato di S. Basso ebbe pertanto il
mandato de immittendo al possesso del Beneficio li 12 settembre 1788 ed il giorno
susseguente gli fu questo dato dal Pubblico Notaro Gio. Battista Doria. Il suddetto decreto
d’immissione al possesso è registrato in Arch. al Num
.
46
Le opposizioni dei particolari e del Comune non furono attese, perché di nessun valore.
Chi desidera qui conoscere quali erano i beni spettanti al suddetto Beneficio de’ SS.
Filippo ed Angelo, che passarono in perpetuo alla Chiesa rurale di S. Basso, e che furono
quindi alienati, potrà leggere la Perizia redatta dagli Periti Agrimensori Tacconi e
Corradetti che nel 17 luglio 1789 si recarono ad apprezzare li Corpi di terreno formanti
parte de’ medesimi Beni situati in diverse Contrade del territorio di Offida. Oltre de’ quali 6
pezzi di terreno ve ne fu altro posto in Contrada . . . .
Pag. del manoscritto 25
Altro
Il medesimo Beneficio aveva ancora un orticello sito in Contrada S. Nicolò nell’intorno di
Offida confinante con Saverio Sergiacomi, Opera Pia Rota, e strada pubblica, di canne 1 e
piedi 53 valutato scudi 4 e 50, che fu poi alienato anch’esso come si dirà in seguito.
Gli oneri annessi al Beneficio suddetto che ora si debbono soddisfare dal Cappellano
Curato di S. Basso, sono la celebrazione di una Messa alla settimana, come si è detto di
sopra, e di altra nel dì festivo al Santo Titolare S. Filippo : ma di ciò si tornerà a parlare a
suo luogo.
Fuvvi alcuno che riputava illegale l’atto di unione fatto da Mons. Leonardi ed invalido per
conseguente il possesso preso dal Curato di S. Basso, ostinandosi a credere che la
Collazione del suddetto Beneficio, essendo il Fazj morto nel settembre, dovesse spettare
alla Dataria; e fuvvi ancora chi pose effettivamente in quel Dicastero il Nihil Transeat.
Pag. del manoscritto 26
Altri pretendeano che almeno le Bolle dovevano spedirsi dalla Dataria. Ma furono vane le
voci degli uni e degli altri. Dappoiché il Vescovo non ebbe bisogno di spedire, e non spedì
alcuna Bolla, avendo già per l’innanzi in tempo di S. Visita incorporato e riunito il Beneficio
alla Cura : ed in secondo luogo, in virtù delle facoltà che il Sagrosanto Concilio di Trento
impartisce ai Vescovi in S. Visita, egli non avea fatto cosa che oltrepassava i limiti del suo
potere.
47
6. PRIMA SCELTA DEL SITO SU CUI ERIGERE LA CASA DEL
CAPPELLANO CURATO DI S. BASSO
Non si pensò dunque più ad altro che a provvedere quanto prima un’abitazione
conveniente pel Parroco ove potesse risiedere in seno de’ suoi Parocchiani. Due furono i
progetti che in tal proposito si fecero : l’uno era di costruire la Casa presso la Chiesa di S.
Basso; l’altro di collocarla nel monte Cocci, luogo aperto, di buon’aria, bella esposizione e
più comodo al Curato per prestarsi in ajuto de’ Parrocchiani. Ambedue avevano loro caldi
partigiani: il primo era fortemente da quelli che avevano loro colonie presso quella antica
Chiesa; l’altro dal Curato, e da tutti coloro, che giudicavano quel sito più vantaggioso a
tutta la popolazione della Contrada: prevalse presso al Vescovo questo secondo : ed
avendo i sigg. Feriozzi fatto sperare di vendere all’uopo un frustolo di loro terreno, e
premendo al Vescovo, che quanto prima si edificasse la casa, quivi dette ordine che si
cominciasse a costruire.
Pag.del manoscritto 27
Ma qui il Cappellano Curato chiese al medesimo Mons. Leonardi che ad effetto di potere
quanto prima inalzare la fabbrica suddetta, volesse dar ordine che si sospendessero le
pensioni delli scudi 10 accordate agli altri Cappellani.
La domanda era giusta, ed il Vescovo vi condiscese e ne formò il Rescritto che noi
abbiamo collocato in Archivio al Num. . . . ma, come era da attendersi, questa nuova
Disposizione non potè molto piacere a coloro che vedevano così dilazionata per buon
tempo la percezione del loro assegno: avvegnaché ciascuno facilmente intendeva, che
dopo la costruzione della Casa in quel luogo si sarebbe chiesto ed ottenuto facilmente di
fabbrire quivi ancora la Chiesa. Tuttavia i Cappellani non mossero allora grande lamento:
grande fu il rumore e l’adoperarsi che fecero coloro, che volevano la casa suddetta presso
la Chiesa di S. Basso, temendo certo che presto non sarebbe stata più officiata (N.E. 3).
Pag. del manoscritto 28
S’ingegnarono pertanto di molestare per parecchie vie il povero Curato, che già
adunava pietre e cementi nel Luogo designato : e primieramente si vide sentore della loro
opera nella ritrattazione del Feriozzi che non volle più cedere il promesso frustolo di terra :
egli si contentò piuttosto di dare qualche compenso al Parroco nell’offerta di scudi 10, che
porre come egli diceva, una gravosa servitù nel fondo che possedeva. Si cercò allora altro
luogo : mentre però il Curato andava volgendosi a questo ed a quello per avere un luogo
48
dove edificare in quelle vicinanze, avendo anche quivi un fondo della Cura, non si
mancava di fargli nascere ovunque ostacoli, perché egli non potesse quivi edificar la casa.
7. ALTRA SCELTA DEL SITO A MONTE COCCI. INCARICO ALL’ARCH.
PIETRO MAGGI PER LA MAPPATURA DELL’AREA
Il Parroco invocò allora l’autorità del suo Prelato e chiese che fosse a se
determinatamente accordato il permesso di costruire detta casa nel circondario e
vicinanze del Monte Cocci, in luogo comodo alla popolazione: egli fece questo, perché
forte della espressa determinazione del Vescovo, potesse opporre un argine alle segrete
mene, che si faceano per impedire quest’opera pia.
Pag. del manoscritto 29
Il Vescovo diede commissione al Prior Cipolletti (noi più sotto faremo onorata menzione di
questo insigne Ecclesiastico) acciocché, riconosciuto il luogo opportuno,
indilazionatamente si cominciasse ad edificar la casa, e si disegnasse anche un luogo
per un piccolo oratorio di circa 30 palmi in quadro (sic). Archivio Num. (26 gennaio 1789).
Il nuovo luogo destinato era un predio dei sigg. Morganti, che pure si faceva sperare.
Piacque il luogo al Cipolletti, e quivi esortò il Parroco ad apprestare i materiali. Ma il
Vescovo cambiò d’idea: in una pianta topografica della contrada fattagli presentare da chi
non aveva avuto commissione per essa, segnò di proprio pugno un altro luogo. Per
opporre testa a testa ne fu fatta rediggere per commissione del Parroco un’altra dal
celebre architetto Pietro Maggi, che allora trovavasi in Offida a diriggere la bella fabbrica
della nuova Chiesa Collegiata; il Vescovo restò convinto e confermò l’ordine di edificare
nel monte Cocci, ma gli piacque di prescegliere il luogo, ove era il predio Forlini esortando
il Parroco ad usar delle prattiche per avere il fondo.
Il Tilli dunque proseguì ad adunar materiali per esser pronto alla fabbrica. I suoi
contraddittori, non avendo potuto vincerla per un verso si diedero a tentarne un altro :
Pag. del manoscritto 30
a nome del popolo di Offida si dettero ad avanzar ricorsi contro Tilli. Il primo fu all’E.mo
Camerlengo (N.E. 4). Si disse che il Tilli, a solo fine di formare un Casino di campagna per
suo divertimento spogliava di pietre il fiume Fiobo: che queste erano riserbate per
costruire un forte ponte sul fiume stesso, e per riattare la strada che conduce all’antica e
sepultuaria Chiesa di S. Basso : si poneva quindi in diffidenza la Curia di Ascoli come
aderente al suddetto Tilli, e si pregava che le pietre fossero riportate nell’antico lor posto.
Questo ricorso fu rimesso al Preside di Montalto, a cui era allora soggetta Offida (N.E. 5) :
49
non mostrando egli di farne gran conto per la scoperta malisia del ricorrente, altro reclamo
fu avanzato alla Segreteria di Stato. Noi lo riportiamo per intero a fine di esilarare i nostri
lettori e sollevarli un momento dalla noja de’ fogli presenti. E’ pure il popolo di Offida che fa
testa al ricorso ma odasi umana malizia anzi diabolica suggestione :
Il popolo della terra di Offida Presidato di Montalto oratore dell’E.V.R. con umile ossequio
supplica degnarsi dare riparo ad un notabile disordine che per opera d’un Prete per nome
D. Biagio Tilli oriundo del Regno di Napoli, come moderno Curato Rurale di una contrada
di questo Territorio detta del Ciafone, quasi confinante col Regno di Napoli, è in
determinazione di nuovo costruire un Casino Parrocchiale per proprio comodo, ed ivi si
ripromette ancora fabbricarvi una nuova Chiesa in un picciolo corpo di terreno che esso
ora gode spettante alla Parrocchia.
Pag.del manoscritto 31
Una tale innovazione, E.R.ma, ripresenta a noi li passati infortunj che soffrirono li nostri
antenati, i quali a stento potevano salvarsi da malviventi e ladri, che da detto Regno
fuggivano e si ricoveravano in detta contrada per godere l’immunità ecclesiastica, atteso
che varie erano le chiese rurali in detta Contrada(*), le quali furono di poi per tal motivo
demolite e di cui oggi si osservano ancora le vestigie; essendone restata una sola col titolo
di S. Basso, che è seppultuaria, ed è stata, ed è anche oggi, al popolo comoda, dove il
detto Tilli con poca spesa potrebbe appoggiar le camere di sua residenza, e non formar
altra immunità Ecclesiastica in detta Contrada, perché non ritornino li tempi andati, nei
quali essa acquistò il nome di Contrada della Forola a motivo de’ ladri e malviventi che vi
si rifuggivano al coperto della ecclesiastica immunità. Sperano gli Oratori ottenere dalla
Eminenza
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------(*) Quelle che v’avevano costruite que’ buoni monici molte delle quali erano deperite per incuria
50
V.R.ma pronto riparo al nuovo rinascente disordine.
Anche questo reclamo fu rimesso al Preside di Montalto Mons. Frosini il quale coll’usato
accorgimento seppe riconoscervi la medesima segreta mena di sturbare quell’opera pia:
Pag. del manoscritto 32
Non si sfiduciarono però i ricorrenti : visto senza effetto anche questo reclamo, si posero
intorno al potestà di Offida, perché ei dovesse impedire che venissero rimosse quelle
pietre del torrente Fiobo : e tanto fecero che il buon uomo si lasciò condurre a metter fuori
un bando (26 aprile 1789) col quale minacciava la pena di scudi 5 a chiunque avesse
avuto ardire di rimuover le pietre suddette dalle adiacenze dei ricorrenti. Il Cappellano Tilli
temendo che per tale editto anche gli altri possessori de’ fondi nelle adiacenze del fiume
prendessero animo di reclamare, si volse al Preside Frosini, perché in vista che le pietre
suddette , come in quel torrente così in tutti gli altri del territorio, erano state sempre primi
occupantis volesse per la giustizia far revocare pubblicamente quel Bando. Ma tale fu il
rumore che mossero i ricorrenti suddetti, e tali le minacce di far valere loro pretensioni
anche ne’ supremi dicasteri di Roma, che per non dar luogo a maggiori disturbi e non
suscitare maggiori inimicizie, si tollerò che il Bando restasse in vigore.
51
8. IL PROBLEMA DEL VINCOLO DI UN PIO LEGATO GRAVANTE DUL
SITO SCELTO SUL MONTE COCCI
Per questi e simili ostacoli che sempre si paravano innanzi al povero Cappellano, non era
vicina la possibilità di edificare la casa, tanto più che ora trattavasi di far l’acquisto del
Predio Forlini di cui sopra abbiamo parlato, il quale era vincolato da un cotal Pio Legato
Capriotti per scioglierlo dal quale era necessario supplicare in Roma al Sommo Pontefice.
Pag. del manoscritto 33
Vedendosi dunque che le cose dovevano procedere con molta lentezza, il Tilli chiese al
Vescovo di poter frattanto appoggiar una stanza alla Casa Colonica del Fondo
Parrocchiale che si trovava non molto lontana dal luogo ove doveva erigersi la nuova
abitazione del Parroco : espose ancora che egli avea col Sig. Antonio Forlini possessore
del fondo medesimo già stipulato una scrittura privata, hic inde obligatoria, di vendita e di
compera del predio suddetto con casa rurale per costruire in esso, secondo la mente di S.
Ecc. R.ma la nuova Residenza e Chiesa ossia Oratorio: e che, essendo questo fondo
gravato da un Legato di Messe, per alienarlo il sig. Forlini andava già a supplicare S.
Santità; volesse permettere, che per farne egli l’acquisto, alienasse 5 piccioli corpi di terra
spettanti alla Cappellania Curata di S. Basso. Aveva il Tilli con molto accorgimento e con
l’intesa del Vescovo stesso, conchiusa già quella scrittura col Forlini li 5 marzo 1789,
rogito Guidobaldo Felli di Offida, coll’obbligazione di stare hic inde alla stima che si
sarebbe fatta del Predio da due periti, ed in dissenso di quelli da un periziore;
Pag. del manoscritto 34
stante che egli avrebbe evitato così l’inalzamento del prezzo del fondo stesso nella gara
degli oblatori; qualora fosse stato deliberato per incanto. Ecco il rescritto di Mons. Vescovo
Il sig. Prior Cipolletti accudisca sull’affare della Casa che si espone, dandogli le
necessarie ed opportune facoltà, servendosi delli cementi che si trovano raccolti per la
nuova fabbrica: e per l’acquisto della Casa Forlini, unitamente col Cappellano Tilli operino
come crederanno più conveniente. Ascoli 25 aprile 1789.
La costruzione di questa nuova stanza nella Casa Colonica del Fondo Parrocchiale, ed il
riattamento di altra nel luogo medesimo, si esiguì poi nella state prossima, e si fu che
furono spesi in tutto scudi 26 e 35, e nell’ottobre susseguente furono le suddette stanze
dovute cedere per abitazione al Colono, che ne ebbe necessità.
52
Veniamo ora all’acquisto del Predio Forlini, il quale non essendo stato poco intralciato,
potrà porger lume a chi sia per trovarsi in appresso in simili vertenze. Fortunatamente si
verificavano delle circostanze per cui il Forlini poteva sperar dal Pontefice la facoltà di
alienare il suo fondo. Ecco l’istanza ch’egli ne fece, e che ci mette in chiaro delle
circostanze medesime; e che noi riportiamo per esteso per essere parto della penna del
celebre giureconsulto Paolo Cipolletti (*).
Pag. del manoscritto 35
Beatissimo Padre Antonio Forlini di Offida Diocesi di Ascoli nella Marca, oratore e suddito
Devotissimo della Santità Vostra, rappresenta umilmente, che sin da 44 anni sono vendè
un suo Predio nel Territorio di detta Terra, e Contrada Ciafone della capacità di quarte 25
(N.E. 6) con casa rurale per prezzo di scudi 75 a Giuseppe Capriotti. Questo contratto che
evidentemente era lesivo, e fu così creduto quasi sul momento, fu giudicato dal
compratore di salvarlo donandolo alla Chiesa con erigerci un Legato Pio Laicale incaricato
del peso di 30 Messe l’anno in perpetuo, e fu pensato quietare il venditore conferendo a
Lui, e suoi discendenti il Giuspatronato passivo (N.E. 7) colla caducità a favore del
Cappellano di S. Venanzo in caso dell’inadempimento de’ pesi; ed estinta soltanto la
discendenza del Forlini fu sostituita al detto Patronato la discendenza dell’Istitutore. Di
fatto essendo il Povero oratore un ignorante contadino si lusingò di essere il vero e reale
Padrone del fondo suddetto, e credette di essere in libertà sempre di rivenderlo salvo il
peso delle 30 Messe che gli parve corrispondente alli scudi 75 che avea ricevuti. Quindi
non solo non reclamò per la lesione, ma finché potette co’ suoi sudori industriossi non
meno d’accrescere tal Fondo, e con una fabbrica che vi aggiunse, e con delle piantagioni.
Ora però che trovasi nella suo vecchiezza e che esuberato da debitucci saria in necessità
di provvedere alle indigenze sue e della Famiglia col vendersi il suddetto Predio che
ascende alla valuta di scudi 900 non trova compratore a motivo del vincolo accennato
della sostituzione.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------(*) Questo casato, dice giustamente l’autore delle memorie storiche di Offida, questo casato si
trapiantò in Offida per mano della Provvidenza: fu sempre l’ornamento, l’appoggio e la
consolazione del Paese. Mentre il Prior Cipolletti alzava la fabbrica della nuova Collegiata, Paolo
suo fratello faceva erigere il grandioso e comodo ospedale di S. Antonio.
53
Hanno però aderito a detta svincolazione il Capriotti, cedendo al diritto loro e de’
successori, purché venga la celebrazione aumentata a Messe num. 40 l’anno, come prova
il foglio, che si umilia segnato lett. A e vi cede di buon grado il Ricorrente co’ figli suoi; e la
Cura Rurale di S. Basso, cui molto accomoda tal predio e casamento per essere
nell’istessa Contrada e per essere il preciso sito, in cui si vuol fissare la residenza di quel
Curato;
Pag.del manoscritto 36
accudirebbe alla compra a stima de’ Periti purché tal prezzo si diminuiscano di scudi 110
in perpetuo Fondo della Celebrazione indicata, siccome leggesi nel foglio umiliato alla
Lettera B. Ma a tal passo non si può venire senza la previa suprema approvazione dello
svincolo della sostituzione. Questa benigna sovrana condiscendenza par che la esigano le
principali circostanze di cui trattasi. Di fatto un contratto che è notabilmente lesivo, mentre
il Predio al tempo della vendita valse sopra scudi 200 : un fondo sul quale con erronea
fiducia un misero contadino ha impiegato li sudori di sua vita per accrescervi e fabbricato e
piantagioni; il depauperamento estremo in cui trovasi questo infelice, gravato da debiti, di
famiglia e di età che non può sperimentarsi le ragioni sue in giudizio; tutti sono motivi che
parlano per la svincolazione bramata. In circostanze poi e del consenso de’ sostituiti e
dell’assicurazione degli obblighi e della cessione che cade pure a favore della Chiesa, par
che tanto più volevoli si rendano li sopraccennati motivi di ragione a sperare la sovrana
provvidenza, perché abolisca la già detta sostituzione. Quindi l’oratore prostrato ai piedi
della S.V. umilmente l’implora, e dalla sovrana clemenza dedita al sollievo degli infelici con
fiducia lo spera. Che della grazia.
Questa istanza del Forlini coi due allegati di cui sopra che noi conserviamo in archvio ai
Num. . . .fu spinta in Roma li 17 maggio 1789; e li 26 detto la Sagra Congregazione del
Concilio chiese l’atto d’istituzione del Pio Legato Capriotti, e il consenso di tutti gli
interessati: fu d’uopo pertanto interpellare il Cappellano Curato di S. Venanzo, in favore
del quale era la caducità del Legato Capriotti qualora non si
fosse adempiuto l’obbligo di Messe: ed estrarre la pubblica copia dell’erezione della
Cappellania, che conservavasi fra gli atti del notaro Offidano Giovanni Tinti.
Pag.del manoscritto 37
Abbiamo posto le copie di questi due allegati nel nostro archivio ai num…..
Il Cappellano di S. Venanzo però diè il consenso per ciò solo che a lui poteva appartenere,
senza pregiudizio de’ suoi successori: questa restrizione non partorì grave difficoltà. Di più
conveniva giustificare mediante l’esibita di legali documenti tutto ciò che nell’istanza aveva
54
esposto il Forlini: furon fatte pertanto redigger due perizie giurate dai periti Pietro Tacconi
ed Ascensio Corradetti per apprezzare il Predio Forlini, ed i corpi di terreno spettanti alla
Cura che si volevano alienare. Furono redatti nel giorno 17 luglio 1789 ed il primo fu
reputato di valore 510:60 scudi; gli altri sei in complesso furono apprezzati 285:07 scudi.
Sono le copie di tali perizie col particolare dettaglio de’ fondi ai num. di archivio . . . .
Di più il perito agrimensore Tacconi nel 27 giugno antecedente avea redatta una sua
Perizia particolare del Predio Forlini, diretta a giustificare l’asserto dell’istanza suddetta,
che detto Predio potea esser valso un quant’anni addietro 250 scudi. Anche questa pezza
è in archivio al num.
.
Oltre de’ quali documenti fu esibito alla S. Congregazione un attestato del Parroco di S.
Maria della Rocca comprovante lo stato di famiglia, finanze ed età di Antonio Forlini.
Pag.del manoscritto 38
Il sig. Priore Cipolletti, che era uomo da ciò, estese in lingua latina, per commissione del
vescovo, un dettagliato rapporto di tutte le circostanze anzidette ; e fu il tutto sottoposto
all’esame degli Eminentissimi Cardinali componenti la Congregazione del Sacrosanto
Concilio. Siccome ella procede con somma cautela nel trattare simili affari, perciò corse
del tempo prima che potesse aversi la sua risoluzione : anzi , essendo la materia molto
intralciata per l’esame che conveniva fare di tutti i documenti, e perché in quella
Congregazione si voglion discutere le cose con maturità di senno, si giunse alla
Quaresima del 1790 allorché si ebbe il Rescritto “Exhibeatur in folio” convenne dunque
aspettare anche altro tempo sinché si esibissero in forma le ragioni del contratto : le quali
si leggono in bella chiara e semplice brevità esposte nel documento serbato in Archivio al
num. che comincia “Asculana Ecl.” al quale noi rimandiamo il lettore che desidera cogliere
piena informazione di tal fatto. In fine leggesi ancora il dubbio proposto alla Sacra
Congregazione, che vedesi risoluto il 10 luglio di detto anno.
Dubium est an et quomodo sit locus Emptioni et Venditioni Praedii Ciafone Legati Pii
Capriotti in casu Die 10 Julii S. Congregatio EE.RR.CC. Concilii Tridentini Interpetrum
respondit affermative Juxta votum Episcopi.
55
9. VENDITA DI UN PRIMO LOTTO DI TERRENI PER PROCEDERE
ALL’ACQUISTO
Pag.del manoscritto 39
Il voto del vescovo era stato che si vendessero soli 6 corpi di terreno spettanti alla Cura,
credendo che il prezzo di questi sarebbe stato sufficiente per l’acquisto del Predio Forlini
con casa colonica; e che il settimo allora soltanto si vendesse, quando il prezzo ritratto dai
suddetti 6 corpi non fosse stato all’uopo sufficiente : ma non si era preveduto il caso, che
dai medesimi si sarebbe potuto ritrarre anche maggior somma dietro gli affissi di incanto.
Onde avutosi detto Rescritto dalla S. Congregazione, ed affissi gli editti per la vendita de’
fondi, allorché si aprirono le schede degli oblatori, videsi che la somma complessiva delle
offerte ascendeva a scudi 522:81 che però essendosi convenuto col Forlini l’acquisto del
Predio per soli scudi 360:60 v’erano in più scudi 172:21. Il Tilli fu pertanto costretto di
avanzare altra istanza alla Sagra Congregazione del Concilio, onde permettesse che la
somma eccedente o venisse ritenuta dagli acquirenti col pagarne i frutti compensativi sino
al rinvestimento, ovvero fosse impiegata in necessarj bonificamenti che si intendevano
fare a vantaggio di detta Cura ad arbitrio del Vescovo. Frattanto si sospesero le offerte e si
disse di volerle esaminare per utile del Luogo Pio. Insisteva però il Forlini per la necessità
somma che avea di denaro:
Pag.del manoscritto 40
allora il Tilli chiese di davenire alla particolare delibera di tre soli corpi di terra, Ponticello,
Lava e S. Martino il prezzo de’ quali sarebbe stato sufficiente per la compera di quel
Predio, e lasciare frattanto invenduti gli altri. Mons. Vicario prima di aderire a tale richiesta,
volle che si affiggessero nuovi editti, perché negli antecedenti era stato detto che non si
intendeva di venire alla delibera de’ fondi, ma che si sarebbero considerate le offerte per
ragione del Luogo Pio. Furono nell’8 settembre 1790 affissi nuovamente gli editti, e si
disse che si sarebbero deliberati i suddetti corpi di terra ai migliori oblatori sulle offerte già
ricevute. L’affissione de’ nuovi editti, come la sospensione della vendita degli altri corpi di
terreno, spiacque a molti degli oblatori, che già avevano date le loro offerte, onde nel 10
detto mese citarono formalmente il Parroco, perché venisse alla stipulazione de’ relativi
Istromenti. Non ostante che queste loro pretensioni dovessero reputarsi del tutto vane per
la ragione che sopra si è esposta che ne’ primi editti non si era detto che i terreni
sarebbero deliberati, e sebbene irregolare fosse la loro citazione innanzi alla S.
Congregazione, che non è Tribunale contenzioso, e che quando vuol sentire le parti
prefigge un termine ad deducendum jura coram S. Congreg. non di meno per parte del
56
Parroco di S. Basso fu apposto il solito nihil fieri.
Pag.del manoscritto 41
Ma guari non andò che per conciliazione delle parti stesse, cessate le opposizioni, si poté
venire alla stipolazione dell’atto col suddetto Forlini. A tale effetto nel 28 settembre 1790
Mons. Vescovo Leonardi formò il Decreto, e diè facoltà al Cappellano Curato di S. Basso
di vendere tre soli corpi di terreno spettanti al Beneficio Suddetto de’ SS. Filippo ed Angelo
incorporato alla Cura, in favore de’ tre migliori oblatori che furono Forlini Luigi per quello in
Contrada S. Martino al prezzo di scudi 120:76, Nicola Massei per l’altro in Contrada Coppo
al prezzo di scudi 176:75, ed il suddetto Forlini per il terzo in Contrada Lava per scudi
63,83, ad effetto di erogar tosto la complessiva somma ritrattane di scudi 361,35
nell’acquisto del Predio con casa rurale spettante alla Cappellania ossia Pio Legato
Capriotti. Nello stesso Decreto diè parimenti facoltà ad Antonio Forlini di alienare il fondo
spettante come sopra in favore del Curato di S. Basso al prezzo di scudi 360:60
coll’obbligo al medesimo Forlini di depositare scudi 30 da rinvestirsi a favore della giovane
Emidia figlia del suddetto Forlini ; ed il resto della somma venisse erogata nella
demissione de’ debiti del medesimo Forlini ed in concorso della sua famiglia.
Pag.del manoscritto 42
E perché si ordinava ancora in detto Decreto (*) che il Parroco di S. Basso dovesse
ritenere sul prezzo del Predio Forlini la somma di scudi 150 in garanzia del Pio
Legato Capriotti; così ingiungevasi al Curato pro tempore di S. Basso l’onere di celebrare
in perpetuo messe num. 40.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------(*) La S. Congregazione non era stata contenta della somma di scudi 110 che si voleva prima
rilasciare dal Forlini a tale effetto
57
Dietro tale Decreto furono riportati nel 1 ottobre 1790 due istrumenti : l’uno tra il Parroco di
S. Basso ed i sig.ri Forlini Luigi e Massei Nicola, l’altro tra il Parroco medesimo ed i sig.ri
Forlini. Il Decreto suddetto e li due istrumenti leggonsi in Archivio ai numeri …….
Qui l’autore delle memorie che abbiamo consultato si diffonde in molti estesi particolari per
farne intendere l’utilità dell’acquisto suddetto a vantaggio della Cura di S. Basso. Egli ne fa
conoscere che il Predio Forlini fu comperato a stima, mentre i terreni beneficiali furono
venduti all’incanto con prezzo assai vantaggioso per la gara de’ concorrenti : il Predio
Forlini esser di quarte 25 canne 35, gli altri abbracciava in complesso poco più di quarte
15. Quelli esser posti qua e colà in luoghi dissiti, intersecati da fossi, spogli d’alberi e non
fruttare che scudi 4 annui; questo esser pomato, querciato, vitato, tutto accolto all’intorno
senza dilamazioni di sorta o scoscendimenti di terreno, senza fossi, di facile coltura, e
rendere annualmente più che scudi 20.
Pag.del manoscritto 43
Ma quel che principalmente lo rende pregevole è l’esser posto come nel centro della
Contrada, in luogo aperto, di buona aria, di facile accesso, d’onde il Parroco può
facilmente trasferirsi in qualunque parte della Contrada medesima, e può dalla sua
abitazione scorgere tutto intorno le case de’ suoi parrocchiani, in prossimità d’acque
potabili e contiguo ad altri casamenti di famiglie più agiate con cui scambiar qualche
parola. Vedi in fine la mappa o deposizione particolare di questo fondo.
58
10. VENDITA DI ALTRI TERRENI PER REPERIRE ULTERIORI FONDI
Noi crediamo che non minore utilità ritrasse la Parrocchia di S. Basso dalla vendita che
fece in appresso il Tilli degli altri tre piccioli corpi di terra siti nelle Contrade Valle Fogliana,
Ponticello e Fornaci allorché ne riportò il desiderato Rescritto dalla S. Congregaz. Del
Concilio il 18 dicembre 1790. E’ questo in Archivio al num ….. formovvi il Decreto Mons.
Vescovo Diocesano li 29 settembre 1791 (Arch. Num. . .) secondo la savia costituzione di
Benedetto XIV si appose la vigesima e sesta prima di venire all’ultima Delibera de’ Fondi.
Pag.del manoscritto 44
Insorta gara fra gli oblatori de’ fondi medesimi, il primo ascese al prezzo di scudi 74:02
deliberato a Carlo Travaglini, il secondo a scudi 110:90 deliberato a Cruciano Vallorani, ed
il terzo a scudi 40 rilasciato a D. Pietro Ermeti, i quali tutti si obbligarono ai frutti
compensativi del 4 % ad anno finché il prezzo non fosse rinvestito in utilioribus come
voleva la S. Congregazione. Fu stipulato l’Istrumento co’ suddetti acquirenti li 3 ottobre
1791 dal pubbl. notaro di Offida Gio. Battista Doria e ne abbiamo posta la copia in Archivio
al Num. . . . ..
Qui è da notare per norma del Parroco che nell’Istrumento suddetto Cruciano Vallorani si
obbligò a lasciare l’uso della strada per comodità di accesso ai beni rimanenti e
circonvicini, e per andare ad attigner l’acqua nella Fontana. Il complessivo prezzo fu de’
suddetti terreni venduti ascese a scudi 224:93.
Nel 23 gennaio 1792 avendo il
Travaglini sborsato il prezzo del terreno in Valle Fogliona, e Cruciano Vallorani avendo
dato scudi 25:91 a conto dell’altro in Contrada Ponticello, fu de’ denari suddetti con
Decreto di Mons. Vescovo imposto un censo di scudi 100 a favore della Cappellania
Curata di S. Basso su di un terreno del Capitolo di Offida in Contrada S. Pantaleone, come
meglio apparisce dall’istrumento rogato sotto il medesimo giorno dal notaro suddetto Gio.
Battista Doria (Archivio Num. . .).
Pag.del manoscritto 45
Similmente nel 10 novembre 1792 fu imposto altro censo di scudi 100 a favore della
suddetta Parrocchia in un terreno del R.mo Capitolo suddetto sito nella medesima
Contrada S. Pantaleone e fu creato col denaro ritratto dalla suddetta vendita, cioè con
scudi 40 avuti in saldo dal suddetto Ermeti pel terreno in Contrada Lava, e con scudi 60
avuti a conto di maggior somma dal suddetto Crociano Vallorani. Se ne stipulò l’Istrumento
l’anno, mese, ed anno suddetto dal medesimo notaro Doria (Archivio Num. . . .).
La Chiesa Collegiata di Offida deve pertanto al
Parroco di S. Basso l’annuo frutto de’
59
due censi suddetti imposti alla ragione del 4 % l’anno: ossiano scudi 8. Il Vallorani restò
col debito di scudi 24:93.
60
11. L’ARCHITETTO PIETRO MAGGI REDIGE IL PROGETTO DELLA
CHIESA E DELLA CANONICA (NOVEMBRE 1791)
Stabilite le cose come sopra si è detto intorno alla compera del Predio Forlini, ed avendo
Mons. Leonardi segnato di suo pugno nella pianta del terreno il punto preciso ove volea
eretta la Casa e Chiesa Parrocchiale, perché tosto si potesse venire ai necessari
provvedimenti, accordò altra licenza di recisione di legname ne’ terreni della Cura (10
settembre 1791), e la facoltà di proseguire la questua per la Parrocchia. Altra licenza per
la questua aveva accordata pure nel 27 maggio 1791.
Pag.del manoscritto 46
Nel 2 novembre, stesso anno, l’architetto Pietro Maggi, che dicemmo già trovarsi in Offida
per diriggere la fabbrica della nuova Chiesa Collegiata, per commissione del Priore
Cipolletti, impegnatissimo per quest’Opera Pia, si recò nel sito destinato dal Vescovo per
redigere la pianta e disegno sia della Casa che della Chiesa Parrocchiale.Vanta pertanto
questa nostra, benché piccola Chiesa Rurale, la gloria d’esser parto del lapis di sì celebre
disegnatore: ed essa non dispiacque già all’E.mo Archetti e molto la lodava quando un
giorno si recò a visitarla ed a farvi di persona la
S. Cresima, onde è rimasta poi sempre
cara e memorevole la degnazione dell’Insigne porporato nel grato animo di questi
parrocchiani.
Così finalmente nel 29 febbr. si fu in stato di potere nel suddetto Predio cominciar la
fabbrica della Casa Parrocchiale, e furono gettate le fondamenta della nuova Chiesa. Ma
la scarsezza de’ mezzi faceano progredire assai lentamente queste opere. Nel 24 aprile
1792 per sopperire alle spese fatte e da farsi fu costretto il Tilli, con intesa del Mons.
Vescovo, cui premea sommamente che si costruisse dopo la casa, almeno un vano per
uso di sagrestia onde in quello far celebrare temporaneamente al Parroco la Messa,
imporre un censo di scudi 50 a favore della Cappellania Ferri Giuseppe detto Catone per
atto del notaro ascolano Filippo Toselli alla ragione del 4 % ad anno, e fu imposto sulla
possessione del Ciafone alla Cura spettante: il qual censo fu poi estinto come diremo in
avanti.
61
12. 1792 : MORTE DEL VESCOVO LEONARDI E NUOVE OSTILITA’ DA
PARTE QUANTI CONTINUAVANO AD ESSERE CONTRARI ALLA
COSTRUZIONE DELLA NUOVA CHIESA SUL MONTE COCCI
Pag. del manoscritto 47
Noi abbiamo di sopra parlato de’ contrasti che si facevano al povero Parroco per ragione
di chi voleva edificata altrove la Casa Parrocchiale, e di quei cui dispiaceva non si avesse
più ad officiare la antica Chiesa di S. Basso: or sappiasi che tali contrasti non cessarono
così presto ancorché non si potesse sperar più di rimuovere la Casa e Chiesa parrocchiale
dal luogo ove era stata cominciata a fondare: si proseguì a molestare il Curato
appuntandolo in ogni cosa: si disse, che egli aveva abusato della facoltà di recider legna,
avendone fatte atterrare fino a 100 passi ! Che niun desiderio aveva di andare a risiedere,
che facea nascere indugi, che milantava di non voler dare per allora l’assegno delli scudi
10 agli altri Cappellani, che gli scudi 50 presi a censo eran serviti per suo uso particolare,
ed altre simili corbellerie, che noi riportiamo qui a solo fine di avvezzare le orecchie del
nuovo Parroco a sentirsi cantare dietro simili canzoni.
Pag.del manoscritto 48
Ed il Tilli le sostenea con quell’animo degno di chi non si fa abbattere da tali rimestiture di
maligni oziosi, ed attendea a tirare innanzi la fabbrica. Ma sgraziatamente nel 20 giugno
1792 moriva, universalmente compianto, l’ottimo vescovo che fu Mons. Leonardi, ed il Tilli
restava destituito dalla valevole protezione del braccio del suo superiore.
62
13. ANTONIO LENTI VICARIO CAPITOLARE
Succedeva a regger la Chiesa Ascolana col titolo di Vicario Capitolare il canonico Antonio
Lenti, nobile ascolano. Era il Lenti Ecclesiastico di somma bontà, e di molta dottrina, ma
per quanto ne pare a noi, era più tagliato ad avere in mano il breviario di canonico che il
pastorale di Vescovo. Il giudichi il lettore da quel che diremo.
Il nostro D. Biagio a purgarsi delle false imputazioni che gli venivano date si era recato al
medesimo il 4 luglio anno suddetto, rappresentandogli quanto con intesa di Mons Leonardi
si era sin qua operato intorno alla soppressione dell’assegno agli altri Cappellani per
attendere alla costruzione della Casa e Chiesa Parrocchiale, lo pregava con sua istanza
consigliatagli dal Vicario stesso, di voler approvare tutto ciò che dal defunto Superiore con
suoi ordini e rescritti gli era stato ordinato (sic).
Pag.del manoscritto 49
Noi non sappiamo veramente perché si dovesse dar luogo ad una simile intempestiva
istanza quando c’erano già i rescritti del cessato Vescovo, ma forse il Tilli, a far quietare i
suoi contraddittori, volea dal Vicario una espressa conferma degli ordini medesimi, con cui
far argine alle nuove rinascenti opposizioni.
Il Vicario Capitolare emanò un Rescritto veramente curioso : “si osservino”, disse, ”gli
ordini dati, e qualora vi sia legittima contradizione, il sig. Priore Cipolletti ne faccia
relazione col saggio di lui discernimento (4 luglio suddetto)” queste ultime espressioni
richiamavano manifestamente a sindacato gli ordini dati dal defunto Superiore, ma quale
legittima contradizione vi poteva mai essere? Oltre di che, era egli opportuno procedere a
tale esame, quando v’era appunto chi cercava appiglio da poter evadere gli ordini
suddetti? Un tale rescritto non valeva ad altro che a far concepire delle speranze agli
oppositori sospettando già qualche sinistra prevenzione del Lenti o verso il Tilli, o verso
l’edificazione predetta. Di fatto li 9 luglio gli altri Cappellani Curati, o animati da tale
rescritto di cui forse erano venuti in cognizione o mossi da propria volontà, avanzavano
contro del Tilli un forte reclamo innanzi al Vicario Capitolare, rappresentando che il
suddetto contro quanto era ordinato nel Decreto di Mons. Leonardi relativo all’unione del
Beneficio di S. Filippo alla Cura di S. Basso, non aveva mai pagato ad essi li 10 scudi, che
il medesimo non aveva volontà di risiedere, nonostante che la sua abitazione fosse stata
già formata (intendevano forse le due stanze di cui sopra) che scusavasi colla edificazione
della Chiesa, la quale costruivasi per suo comodo a pregiudizio degli altri Cappellani,
contro la mente del Capitolo e dell’indicato Decreto di mons. Vescovo Leonardi.
63
Pag.del manoscritto 50
Il Vicario Capitolare (9 luglio 1792) rimetteva l’istanza al Sig. Priore Cipolletti, perché
riferisse sugli ordini di Mons. Leonardi, sullo stato della fabbrica, sentisse a voce i
Cappellani e se questo cospicuo Capitolo contraddica al proseguimento della nuova
fabbrica. I termini di tale rescritto dovevano naturalmente animare sempre più gli
oppositori. Si ordinava di sentire il Capitolo in cui v’erano alcuni manifestamente avversi al
Tilli e che condannavano la sua condotta, si dovevano interpellare i Cappellani, che certo
non avrebbero contraddetto alle espressioni del loro reclamo: dovevano insomma
rimestarsi tutte le cose : e noi lo diciamo sebbene il nuovo rescritto manifesti chiaramente
il desiderio di un’amichevole composizione fra le parti, pure ne’ termini in cui erano state
ed erano le cose, ci sembra impolitico, troppo corrivo alla mano.
64
14.
IL VICARIO LENTI DISPONE LA SOSPENSIONE DEI LAVORI DI
COSTRUZIONE DELLA NUOVA CHIESA
Pag. del manoscritto 51
Si adunò il Capitolo, si lesse (15 luglio detto) la giustificazione che presentò il Cipolletti
sull’operato del Tilli, si mostrarono i rescritti del passato Superiore, ed a noi basta di
vedere un Cipolletti deporre a favore del Curato di S. Basso per credere pienamente alla
sua relazione: ma non così fu in genere di quel Capitolo: non si ebbe a lui fede: si
oppugnarono i Decreti del defunto Prelato chiamandoli lesivi del diritto dei terzi; si accusò
il Vescovo di abuso di potere nell’ordinare la costruzione di una nuova chiesa od oratorio,
quando si pretendeva che dovesse essere sufficiente l’antica di S. Basso: si prese per
sospetta la persona stessa del Cipolletti come aderente alla Curia, e si passò anche a
contumelie contro quel venerando Priore: tanto può un’ira cieca se comincia a sbalestrare
di strada. Si consultò dunque per l’elezione di due deputati che dovessero recarsi al
Vicario Capitolare per dedurre loro ragioni contro del Tilli; si cercarono ragioni per
annullare il Decreto di Mons. Leonardi, si misero assieme de’ documenti per provare
l’animo appassionato del Tilli nell’edificazione suddetta, se ne formò come un processo,
che recato a Mons. Vicario Capitolare li 4 agosto dagli eletti deputati, diè motivo che egli
ordinasse la sospensione della fabbrica fino a che non sarebbero esaminati.
Pag.del manoscritto 52
Al Tilli fu imposto che dovesse tosto presentare i suoi conti. Dopo non molti giorni, sul
cessare del mese stesso il suddetto Lenti scrisse al Capitolo confermando la sospensione
della fabbrica della Chiesa, ed ordinò che entro tre mesi si approntasse la casa
parrocchiale e disse che in appresso si sarebbe provveduto sopra l’assegno ai Cappellani:
si costruissero solo due stanze da letto, cucina ed ingresso.
Il Tilli si rivalse
quindi col chiedere assegnamento alla prosecuzione della fabbrica che si volea compiuta
entro tre mesi, giacché non v’era denaro: allora Mons. Vicario dové scendere a pregarlo
perché almeno fosse posta una pietra, onde far intendere che avea dato saviamente tal
ordine: lo che fu fatto: ma la fabbrica non fu ancora compiuta, e solo si riuscì a far coprire
la casa sino al tetto; lo che avvenne nell’autunno stesso anno suddetto. Né era cessato
nel Tilli l’impegno di compierla quanto prima, allorché il medesimo avendo concorso alla
vacante Cura di S. Martino nell’interno di Offida la medesima gli venne conferita nel 22
dicembre e nel 27 gennaio 1793 ne prese il formale possesso.
Pag.del manoscritto 53
Alla nostra Cura di S. Basso fu eletto Parroco D. Niccola Capriotti, oriundo della terra di
65
Offida, con rescritto di Mons. Vicario Capitolare del 28 detto, che abbiam posto in Archivio
al Num…..
Il Tilli nell’uscire d’amministrazione chiese di poter presentare i suoi conti, ne’ quali fu
riconosciuto ancor creditore di scudi 48:01. Egli era stato eletto cappellano di S. Basso sin
dal 1759 allorché prima volta furono istituiti i tre Cappellani Coadiutori del Vicariato di S.
Maria della Rocca, tenne pertanto la Parrocchia pel lasso di circa 33 anni, ed ottenne fama
d’averla esercitata con carità e con zelo. Ebbe molti nemici, ma di non chiaro nome:
sostenne con coraggio le loro opposizioni; né mai si dette per vinto: alcuna volta soltanto
sembra che s’impegnasse con troppo ardore per vincerli. Del resto la stima che di lui
faceva il Priore Cipolletti, e la protezione che gli accordava il Vescovo Leonardi basta per
garantirlo da qualunque accusa. Ebbe la passione di edificare la Chiesa forse più ampia e
sontuosa di quanto volevano i suoi nemici, e l’istesso Vescovo avea prescritto 30 palmi in
quadro : ma è a considerare che la popolazione ascendeva già presso alle 700 anime e
che essa era per crescere oltre di che la più picciola chiesa è pur sempre la Casa di Dio:
sempre ed in ogni luogo fu assai sconvenevole che gli edifici de’ privati superassero in
ampiezza e decoro la Casa del Signore Padrone dell’Universo.
Pag.del manoscritto 54
Così dicasi di qualche comoduccio che egli desiderò nella Casa Parrocchiale la quale non
dee poi equiparare la condizione di un romitaggio: né può pretendersi che un Parroco
rurale debba essere un Eremita, avendo egli più di ogni altro necessità di chi lo assista
con fedeltà ed amore: Egli restò sempre affezionato a quella cura, a quella Chiesa, ed a
quei parrocchiani, tanto che alcune volte mosse anche lamenti di non venire invitato alle
ufficiature che vi avevano luogo.
Lasciò scritte alcune memorie su tale Parrocchia, ma disordinate ed informi: nulla ostante
pe’ molti documenti che contengono in seno, non sono da dispregiarsi : esse ci fanno
assai chiara testimonianza del sincero zelo da cui era sempre animato nello adoperarsi
negli affari della Parrocchia. Non fu scevro di talenti, di cognizioni, e di buone lettere: fu
attivo destro, ed assai accorto; alle quali prerogative, richieste in chi ha da maneggiare
interessi, egli debbe il vanto d’avere parecchie volte rimosso il Superiore dal suo primiero
intendimento.
Pag.del manoscritto 55
Era della signorile e comoda famiglia Tilli di Offida, visse anni . . . . e morì parroco di S.
Martino l’anno 18…
66
15. 1792 : ELEZIONE A CAPPELLANO CURATO DI S. BASSO DI DON
NICOLA CAPRIOTTI
Veniamo ora al nuovo Cappellano Curato Nicola Capriotti. Egli trovava una funesta
eredità, l’avversione di molti alla costruzione della nuova Chiesa e Casa Parrocchiale: di
più era cosa stretta col Tilli, il quale vantavasi d’averlo proposto a quella Cura: doveva
pertanto incontrare anch’egli de’ contradittori : e fu spezzata la prima lancia contro di lui
l’11 luglio stesso anno.
I Cappellani Curati reclamarono nuovamente al Capitolo per avere l’assegno delli scudi
30, minacciando di ricorrere anche alli tribunali di Roma se il Vicario Capitolare non
avesse lor fatto giustizia; ed in tale occasione, ma fuor di Capitolo, si cominciò anche a
blaterare contro il nuovo Cappellano Curato di S. Basso, dicendosi, che aveva fatto
bonificamenti in campagna, che aveva comperato bestiame a spese della Cappellania,
che attendeva a spese sontuose nella nuova casa: il fatto era che non era stato potuto
provvedere nemmeno il necessario per mancanza di danaro. Si deputò il Gran
Camerlengo a riconoscere lo stato della fabbrica, e le cose parvero quietate per allora.
Nel settembre fu terminato un vano sopra quello per uso di sagrestia; siccome questo
porgeva un lato alla formazione della facciata della Chiesa che si sarebbe dovuta
edificare, seguendo il disegno, vi fu fatto fare anche il cornicione.
Pag.del manoscritto 56
Appena si venne in cognizione di questo ornamento apposto all’edificio, non si può
credere il rumore che si levò: se ne fece prontamente reclamo al Capitolo: si consultò
(dicembre 1793) di dar luogo ad una lite formale; e siccome spesso la pazzia d’un solo
s’appicca a molti, così fu vinto il Consulto. Ma il Cipolletti, saggio e prudente Ecclesiastico
ch’egli era, e che non vedea nella lite suddetta che un inutile dispendio per la Chiesa
Collegiata, protestò contro detta risoluzione; al medesimo aderì il Sig. Canc. Curti; a solo
si puntò per allora di far luogo ad un semplice monitorio.
Subito fu rappresentato a
Mons. Vicario Capitolare, che si erano fatte innovazioni, cioè si era incominciata la Chiesa
nonostante l’espresso di lui divieto: si era posta nel muro della medesima anche
un’iscrizione lapidaria; e simili. Della quale iscrizione poi si facea tale rumor che non mai
più. Portava esse queste poche parole : Studio Blasii Tilli Cappel. Cur. Constructa.
Dispiaceva frattanto e sommamente a Mons. Vicario Capitolare l’udire di siffatti dissidi, ed
avrebbe voluto comporre amichevolmente le cose; e rimuovere l’idea di portare anche in
Roma tali pettecolezzi, onde ai Religiosi che si recavano in Offida per l’occasione de’ S.
67
Esercizi, diè commissione di accordare gli animi dissenzienti e di cercare per ogni via di
compor le discordie.
Pag.del manoscritto 57
Si pretese allora di obbligare il Cappellano Curato di S. Basso a non più costruire la
Chiesa, ma un semplice Oratorio; al che non poteva esser astretto, né vi si astrinse.
Dall’altro canto conoscendosi che una delle principali faville che teneva acceso tanto
ingendio, era quella lapide fatale inscritta nel nuovo muro, il Vicario Capitolare sul
cominciar del gennaio 1794 scrisse al Priore Cipolletti che egli era determinato di far
rimuovere quella lapide; ne facesse avvertito il Tilli onde di notte la facesse togliere; che
egli poco appresso avrebbe dato formalmente l’ordine di farla rimuovere: e questo noi
crediamo scrivesse egli per soddisfare in qualche modo ambedue le parti. Il Tilli sottrasse
la lapide ed al Cappellano Capriotti fu data la cura di nasconderla. Mons. Vicario
Capitolare scrisse il dì appresso a chi era sospetto favorisse l’altra parte, perché facesse
togliere la lapide, ed insieme i pilastri costrutti in detto muro, qualora però non fossero di
pregiudizio alla fabbrica, e che tale determinazione comunicasse al Capitolo.
Non potea giungere novella più grata e desiderata di questa.
Pag. del manoscritto 58
La mattina del 27 detto i principali appassionati per tal fatto, avuto l’ordine in mano e
facendone gran festa, quasi movendo alla conquista del vello d’oro, al desiderato luogo ne
andarono. Dicesi che nulla ostante fosse in quel dì un freddo estremo, che cadessero
delle nevi, che quasi impraticabili fossero le strade, taluno di essi non solito per cause più
oneste e più gravi muovere un passo fuor delle mura neppure ne’ dì più sereni, in quello
non avesse nessuna difficoltà di recarsi al Ciafone pel desiderio di vedere atterrato quel
cornicione, que’ pilastri, e per avere in mano quella lapide, pietra del loro scandalo.
E l’opera vandalica fu compiuta: ma non avendo essi trovata la pietra iscritta, e restati in
ciò beffati, prima ammutirono, poscia cominciarno a consigliarsi fra loro per trovar modo di
averla in mano. Ne fu pertanto fatto al Curato un più lungo e capzioso interrogatorio: non
poter essere ch’egli non sapesse della lapide, e dove fosse; eglino non aver altro fine nel
domandare che quello di soddisfare una vana curiosità nel leggerla.
Il buon parroco persuaso dalle loro parole e cedendo alle loro istanze e promesse ebbe la
bontà di mostrarla. Allora quelli, avutala in mano, non fecero più discorso di volerla
rendere: ed impadronitesene, seco in Offida con indicibile giubilo e festa, quasi spoglie
opime di guerra, se la recarono in trionfo: ove esporla quindi a vista, e fattene le più stolide
68
e sciocche risa, saziatane la pubblica curiosità, voleasi da taluno finalmente riporre in
Archivio.
Pag. del manoscritto 59
Noi qui diremmo qualche grave parola, se non sapessimo che per alcuni ridicolissimi mimi,
non conviene lacerare la fama d’un corpo rispettabilissimo. Il Priore Cipolletti fe testa
contro alla mattezza di questi tali, e cessò la scena di tante fanciullaggini: i sig.ri deputati
alla destruzione non contenti però d’aver fatto demolire pilastri e cornicione, vollero la
suddetta lettera di Mons. Vicario venisse registrata in archivio, onde sempre restasse
memoria di essa per impedire in appresso la costruzione della nuova Chiesa Parrocchiale.
Dopo tali accidenti ognuno ben vede che il Curato di S. Basso dové dimetter l’idea di
portare a compimento la sua bella fabbrica. Egli nel 1795 chiese al Vicario Capitolare di
poter eriggere in Oratorio l’anzidetto picciolo vano ad uso di sagrestia per celebrarvi la
messa e farla ascoltare a’ suoi parrocchiani.
Il Vicario Capitolare voleva che fosse dotato, perciò fe’ supplicare la S. Congregazione del
Concilio affinché permettesse che si obbligassero i beni della Cappellania pel
mantenimento di detto Oratorio. La Congregazione chiese il consenso degli interessati, ed
il Vicario, credendo che quelli dovessero essere i Canonici, mandò pel loro consenso, che
fu negato: onde la suddetta facoltà non si poté ottenere.
Pag. del manoscritto 60
Di più gli altri Cappellani Curati, unitamente al Vicario di S. Maria, nel 1795 chiamarono
formalmente in giudizio il Cappellano Curato di S. Basso pel pagamento del loro assegno.
Questi allora considerando che non avea più il braccio forte del suo Superiore, che grave
sarebbe stato il dispendio nell’impegnarsi in un litigio, mentre l’altra parte era favorita e
sostenuta dal Capitolo, credé bene aderire a tal pagamento, o a dir vero vi si vide
costretta.
Le cose dunque furono ridotte a queste tristi condizioni pel povero Parroco di S. Basso :
inibito il proseguimento della fabbrica, egli costretto a risiedere ed a venire allo sborso di
30 scudi in favore degli altri parrochi.
69
16. 1795 : IL CARDINALE ARCHETTI ELETTO VESCOVO DI ASCOLI.
RIPRESA DELLA COSTRUZIONE DELLA NUOVA CHIESA
E così passarono le cose fin verso alla metà del 1796 allorché fu eletto nuovo vescovo
l’E.mo Porporato Giovanni Andrea Archetti di Brescia, Legato di Perugia, Prelato insigne
per dottrina e per virtù(*).
Egli faceva la sua prima pastorale visita in Offida nel giugno dell’anno stesso, ed aveva
fra i suoi Convisitatori il canonico D. Filippo Ambrosi nella qualifica di suo Vicario Generale
: questi nel 1782 aveva sostenuto il medesimo officio di Convisitatore presso Mons.
Leonardi ed aveva cooperato alla riunione del suddetto beneficio di S. Filippo ed Angelo
con la Cura di S. Basso; memore pertanto di tale cosa e dei decreti del suddetto Prelato, e
dispiacente quanto mai che l’opera pia non avesse ancora sortito il suo compimento,
veduta anche sospesa la costruzione della Chiesa, tolse impegno di parlarne al med.
Cardinale Archetti.
Pag.del manoscritto 61
Non tardò l’E.mo Porporato a riconoscere la bontà della causa che quegli aveva preso a
difendere: persuaso che l’attuale residenza del Parroco restava quasi del tutto infruttuosa
per la mancanza di una Chiesa contigua ove il Parroco potesse occuparsi nel pascolo
spirituale delle sue anime, formò tosto il Decreto, che noi abbiamo collocato in Archivio al
Num….
In esso ordinò l’immediata prosecuzione della fabbrica, che si volea compita
entro 2 anni, e siccome dicevasi richiedersi all’effetto 150 scudi, così pel valore di 50
scudi, permise la recisione di tante passa di legna ne’ beni della Parrocchia: 20 scudi si
cercasse ritrarli dalla questua fra i parrocchiani, ed in quanto agli altri 80 scudi si
prendessero dai frutti del Beneficio suddetto a favore della fabbrica, ed ordinò infine che il
rimanente di tali frutti, si fossero, durante il biennio, ripartiti in ragione della primiera
porzione tra il Parroco residente ed i Pensionarj.
(*) Morì li 5 novembre 1805 con dispiacere universale di tutta la Diocesi
70
Pag.del manoscritto 62
A tale Decreto si riscossero di bel nuovo i Cappellani Curati, ed al solito portarono i loro
reclami al Capitolo: che perciò adunatosi nel 31 ottobre il Capitolo, fu proposto di far
presentare all’Eminenza un Promemoria per pregarlo di revocare il Decreto. Il Priore
Cipolletti assistito da quel sano criterio che lo distingueva in ogni incontro, a tale proposta
rispose, che prima di chiedere all’Eminenza la revoca di quel Decreto, meglio sarebbe
stato che chi era ignorante de’ fatti, cercasse di prenderne più esatta informazione.
Non contenti di questa risposta, vollero a ogni modo tentare la mente di S. Eminenza
R.ma : si inviò il promemoria: ma il saggio Porporato, già legato a Perugia, ed avvezzo a
trattare gli affari, fece intendere al Capitolo ch’egli non era solito ritrattare quanto avea
stabilito e decretato con piena maturità di consiglio. Questa risoluta risposta liberò il
povero Curato di S. Basso, dalle petulanti molestie di costoro; e fu tosto in punto di
rimetter mano alla sospesa fabbrica.
Nel novembre dunque del 1796 sulle fondamenta gittate già dal Tilli cominciarono a
sorgere le nuove mura della Chiesa sul disegno del famoso architetto di cui abbiamo
parlato. Grande ne fu la consolazione del popolo defraudato tante volte sin qua nella sua
aspettativa: ma la mancanza di denaro e de’ materiali facea procedere con molta lentezza
la fabbrica, che non veniva ripresa che di tratto in tratto; e già dicemmo da non potersi
compiere per difetto di mezzi che entro due anni.
Pag.del manoscritto 63
Perciò nel gennaio 1798 non potendo alcune volte per ragione de’ tempi piovosi e delle
strade recarsi a dir messa a S. Basso, chiese ed ottenne facoltà dall’Em. Archetti di poter
celebrare in quel vano ad uso sagrestia di cui sopra: fu benedetto li 30 detto, ed ivi il Sig.
Priore Cipolletti vi celebrò la prima messa.
Si disse che 150 scudi sarebbero stati sufficienti per compier la fabbrica; il calcolo dovette
essere stato molto inesatto, perché troviamo che nel 1800 soltanto la fabbrica fu alzata fin
sopra il cornicione né poteasi proseguire stante la scarsezza di mezzi.
I nostri lettori
rammentino qui la condizione funesta di questi tempi napoleonici, i sconvolgimenti, le
rivoluzioni, le guerre e con loro le solite compagne la carestia, il rincaro de’ generi, la
scarsezza di denaro la penuria e sfiducia pubblica: oltre di che l’anno stesso dové essere
sterilissimo degli ordinari prodotti : s’avea a pagare il doppio d’ogni derrata, cresciuto il
prezzo di mano d’opera, di vetture, di carriaggi, di tutte cose non ci fu dunque meraviglia
che al Curato di S. Basso mancarono i mezzi a proseguire la fabbrica.
71
17. VENDITA DI ALTRI TERRENI PER REPERIRE ALTRI FONDI
Pag. del manoscritto 64
Tuttavia volendo compierla, si risolvé, con intesa del suo Prelato, di chiedere alla S.
Congregazione del Concilio di alienare due altri fondi spettanti alla Parrocchia stessa con
pensiero di erogare parte del loro prezzo nella costruzione di detta Chiesa. Espose che i
detti due corpi di terreno l’uno in Contrada S. Barnaba, l’altro in Contrada Ponticello, erano
troppo dissiti dalla Parrocchia e non poteano esser facilmente coltivati; che il prezzo de’
medesimi secondo perizie fatte legalmente rediggere ascendeva a scudi 438:75; che molti
vicini possidenti eran pronti a farne l’acquisto a prezzo di affezione e con l’offerta di pagare
i frutti compensativi fino al rinvestimento della somma, che l’oratore avrebbe potuto fare
nel Circondario della sua residenza ; e che avendo supplicato già la Congregazione stessa
per l’opportuno beneplacito, la medesima avea ordinato che venisse rilasciato l’acquisto a
Paolo Marini pel prezzo di scudi 730 di moneta metallica salvo tamen jura vigesimae et
sextae : che stante la gara fra gli oblatori e la probabilità dell’addizione intera all’effettiva
delibera, si otterrebbe la somma di scudi 800.
Pag. del manoscritto 65
Il di più sulla stima anzidetta chiedeva di erogarlo nel compimento della fabbrica.
Condiscese la Congregazione del Concilio, a condizione però che l’eccedenza suddetta si
erogasse primieramente nell’estinzione del censo di scudi 50 imposto contro la suddetta
Cappellania Curata dal Parroco Tilli (vedi sopra al § . . . ); che la residua somma
s’impiegasse nella costruzione e compimento della Chiesa, ma venisse in appresso
rimessa in piè, mediante un annuo deposito da farsi dal Cappellano nel Monte di Pietà, per
la somma di scudi 10.
Dietro tale facoltativo Rescritto (Arch. Num. …) ed altro di Mons. Vescovo Leonardi (Arch.
Num. …) li 30 dicembre 1801 si procedette alla vendita de’ suddetti due corpi di terreno
con istromento redatto sotto lo stesso giorno dal Pubbl. Notaro Antonio Tacconi di Offida a
favore di Paolo di Felice Marini per la somma di scudi 905:33:2 a moneta lunga, cioè per
ogni scudi 2 (due) reali scudi 1:50 moneta erosa (fra le altre infauste conseguenze di que’
tempi funestissimi fu la riproduzione della moneta erosa). Il Marini rivendette nello stesso
atto al sig. Paolo Cipolletti. I suddetti scudi 905:33:2 ecco come furono impiegati.
Pag. del manoscritto 66
Scudi cinquecento (500) furono rinvestiti contestualmente a favore della Cappellania
Curata di S. Basso in due censi, l’uno di 400 scudi contro la fabbrica della nuova Chiesa
72
Collegiata alla ragione del 5 % annuo, liberi da ogni imposta e colletta; e per la somma di
100 scudi contro la fabbrica del nuovo Ospedale di S. Antonio Abbate alla ragione del
5,50 % liberi come sopra da ogni colletta imposta e da imporsi come apparisce
dall’istrumento rogato il giorno suddetto dallo stesso notaro Tacconi (Arch. Num.…).
Siccome poi i detti due censi furono imposti in tante cedole, e per legge del General
Naselli, i crediti creati alle medesime furono soggetti alla riduzione di 85 scudi per ogni 100
scudi, i Deputati della nuova Fabbrica Collegiata vollero estinguere il loro Censo e fattane
correre la disdetta li 3 ottobre 1803, lo estinsero di fatto con 340 scudi, che
immediatamente con licenza della Cancelleria di Ascoli furono dati a censo al venerabile
Monastero di S. Marco di detta città alla ragione del 7 % annuo, rogito Antonio Tacconi
detto giorno ed anno (Arch. Num. …).
Pag. del manoscritto 67
50 scudi della somma suddetta furono depositati nel Monte di Pietà per estinguere il
Censo passivo di equal somma contante a favore della Cappellania Ferri. Il creditore del
suddetto censo di 50 scudi si rifiutò di estinguere il suo credito; e siccome abitava fuori di
stato si rese impossibile di costringerlo per allora coi mezzi legali: il suddetto censo fu
estinto molto dappoi, cioè li 21 novembre 1805 per gli atti del notaro ascolano Paolo
Vanni.
I rimanenti 335:33:2 scudi si ritennero per la fabbrica, coll’onere surriferito del deposito
annuo di 10 scudi nel Monte di Pietà per parte del Cappellano pro tempore. Noi abbiamo
veduto però che la somma suddetta delli 905:33 scudi era tutta
Pag. del manoscritto 68
in moneta erosa (N.E. 8) Appena stipolato il contratto uscì la nota legge sul richiamo della
moneta plateale allora corrente; il ché siccome produsse lo scredito maggiore della
moneta stessa, così ancora pose il povero curato di S. Basso nella condizione di non poter
ritrarvi que’ vantaggi che aveva sperato. La moneta erosa subiva alterazione ne’ prezzi
delle merci che con essa voleansi acquistare : i manovali non la ricevevano che con uno
sbasso significante nel valore attribuitogli, e doveva spendersi moneta ridotta. La fabbrica
insomma non poteva compiersi. Il Capriotti espose circostanza alla S. Congregazione del
Concilio, e chiese la riduzione della somma suddetta a senso della legge 31 dicembre
1802 : gli venne accordata (10 marzo 1804) per la somma de’ scudi 335,33 la quale venne
ridotta con decreto di Mons. Vicario Generale di Ascoli a scudi 236:88:3 (Arch. Num.
);
per la somma di scudi 10 ridotta parimente a scudi 6:66:3, da depositarsi ogni anno al S.
73
Monte di Pietà pel ripristino suddetto : ma la S. Congregazione del Concilio non fece
parola sulla riduzione del censo di scudi 50, né sulla sospensione del rinvestimento delli
scudi 335:33 che pure si richiedeva onde proseguire la fabbrica (vedi il Rescritto relativo.
Arch. Num).
Pag.del manoscritto 69
E però restando il povero Parroco privo de’ sperati ajuti, ma volendo pure a ogni modo
portare al desiderato perfetto compimento la sua Chiesa, supplicò l’E.mo Archetti a
permettergli l’alienazione del piccolo orticello di cui abbiamo parlato al §
come pure volesse permettergli la recisione di due querce nel predio in Contr. S. Lazzaro.
Ne ebbe il desiderato Rescritto che è conservato in Arch. Num. e nel giorno 11 ottobre
1804 si stipolò il relativo Istromento dal notaro offidano Antonio Tacconi per la vendita
dell’orto al prezzo di scudi 8:25 e per le querce al prezzo di scudi 11:50.
Con questi ultimi sussidj si poté nella state del 1804 costruire il volto della Chiesa, l’altare
maggiore, si compì il pavimento, e furono portati al loro compimento tutti i lavori necessari.
Il Parroco mostrò infine il suo rendiconto, e si vide ch’egli era ancor creditore di 51:41
scudi de’ quali volle Mons. Vescovo ch’ei venisse rimborsato mediante un’annua questua
pel territorio della Parrocchia fino all’estinsione del credito.
18. INAUGURAZIONE DELLA CHIESA (10 SETTEMBRE 1805)
Pag.del manoscritto 70
Non si potrebbe ora descrivere quanta fu l’allegrezza e la consolazione di tutte queste
genti e de’ vicini accorsi, allorché fu benedetta ed aperta la culto la nuova Chiesa; che fu li
10 settembre 1805 giorno sacro alla festività del gran taumaturgo di Tolentino, cioè 12
anni, 6 mesi ed 11 giorni dacché erano state gittate le sue fondamenta.
Già sin dalla sera innanzi che ciò accadesse era tutta in movimento la Contrada, e non si
parlava d’altro che del lungo e molto sospirar che s’era fatto per tale Chiesa. Godeva
l’animo di vederla allora compiuta, esser finalmente cessato ogni ostacolo, non esservi più
timore che da Offida alcuno tornasse a manometterla atterrando di nuovo cornicione o
pilastri; non potersi più sospendere l’edificio: esser in somma compiuta ora per tutti vicina
e comoda la Casa del Signore, e a lato a questa quella del loro Parroco e Padre Spirituale:
ivi farebbero loro feste, ivi praticherebbero lor devozioni, ivi avrebbero l’altare della loro
Madonna, ivi deporrebbero i loro defunti, vicino a chi potesse pregar per loro.
Pag. del manoscritto 71
74
Si lodava il Parroco, si esaltava il suo zelo, si rammentavano le fatiche che avea dovuto
sostenere per portare al termine desiderato la fabbrica; si godeva in comune che gli fosse
toccata alla fine la contentezza di vederla aperta e di poterla officiare. Lo corteggiavano, lo
festeggiavano, erano a lui d’intorno per manifestargli la gioia e gratitudine de’ loro cuori.
Ed il Parroco accoglieva le loro sincere dimostrazioni, e mostrava di goderne; ma di tratto
in tratto ricattandosi con dolce modo di qualche paroletta acerba che avea pur dovuto
sentire da loro, quando questuava per la fabbrica, e la fabbrica non sorgeva mai; diceva
loro : - Vedete miei cari, se il vostro Curato v’ha detto il vero? Vedete se la Chiesa è stata
compiuta? Ora credete voi che per essa si sia dovuto spender poco? Eh! Il disegnar si fa
presto, ma il costruire!
Pag.del manoscritto 72
Bisognerebbe che voi sapeste legger; per veder tutto quello che si è dovuto spendere! Voi
frattanto vi lamentevate tante volte del vostro Curato! E dicevate che non aveva impegno!
E non allarghevate la mano per l’elemosina delle questue! Siete persuasi ora? Siete
contenti? Orsù a domani il veder se in voi è ora premura della gloria di Dio: non basta aver
fatta la Chiesa, bisogna onorarla, bisogna frequentarla: domani amerei che tutti vi
accostaste a ricevere in essa i Santi Sacramenti: già sapete che verranno i sacerdoti di
Offida, onde vi possiate confessare: dite alle vostre donne che vengano anch’esse e
dispensate dall’opere più laboriose i vostri servi, perché domani debber esser per tutti
giorno di festa. Così cercò di tutti accalorarli il buon Parroco: e tutti tornarono alle loro case, aspettando
con ansietà la prima luce dell’indomani.
La mattina del 10 settembre, destatisi di buon tempo partivano da Offida per Ciafone molti
buoni ecclesiastici, e sulle umili loro cavalcature si recavano in quella Contrada per
benedire ed officiar prima volta la detta Chiesa.
Pag.del manoscritto 73
Erano il Priore Cipolletti, il canonico Curti, il can. D. Paolo Cocci, il can. D. Giuseppe
Forlini, il can. Tozzi, ed il curato di S. Martino ex cappellano di S. Basso il sacerdote D.
Biagio Tilli.
Il priore Cipolletti a toglier la noja del lungo viaggio, piacendogli ancora di tener allegra la
brigata, con grazia e col sale a lui proprio andava di tratto in tratto motteggiando il Tilli,
interpellandolo s’ei veramente fosse oriundo del Regno di Napoli, se movesse per costà a
procurar qualche nuova immunità ecclesiastica a suoi Lazzaroni o se d’ordine del Podestà
Zucchi andava per caricar pietre nel torrente Fiobo.
75
Facevane il buon vecchio le grasse risa, e ridevano con lui tutti i compagni, compresovi il
Can. Tozzi, il quale vinta generosamente una cotale avversione ch’ebbe dapprima
concepita contro l’edificazione di questa Chiesa; mostravasene ora contento, e prendeva
quel giubilo che sente ognuno dall’aver superato una passione, dalla quale s’è fatto
inconsideratamente trascinare.
Ma il pensiero della benedizione che andava a farsi della nuova Chiesa, ne suscitò ben
presto un altro, che fece rinascer la tristezza sul volto di quegli ecclesiastici: ripensarono
alla violazione e manomissione a cui erano andate soggette di recente tante chiese in
provincie cattoliche dietro le sollevazioni ed innovazioni della sciagurata Repubblica di
Francia.
Pag.del manoscritto 74
Nuovi torbidi si preparavano allora per la Chiesa e nuove persecuzioni pel Clero. La fede
veniva mancando, ed illanguidiva in ogni luogo con essa la devozione al Pontefice:
narravansi scandali e sacrilegi orribili: ed ora una nuova coalizione tra i potentati era
preludio di nuove sciagure dicevano prepararsi un triste avvenire, dover presto tornare il
tempo delle relegazioni e dagli esilj: essersi troppo diffusa l’empietà e la miscredenza in
ogni luogo.
S’erano essi immersi in questi tristi pensieri, e già varcavano il colle di S. Martino, quando
accortisi del loro avanzarsi, i campagnuoli del Ciafone che già stavano all’erta, facendo
fuoco e tuonando co’ loro formidabili archibusi riscossero que’ buoni sacerdoti, i quali tosto
s’avvidero esser quelle delle salve per esprimer la gioia della loro venuta.
Levaronsi unitamente replicate grida e rinnovaronsi i colpi, di cui rimbombarono ripercosse
le valli circonvicine: videsi allora sul ciglio di que’ venerabili Ecclesiastici spuntar una
lacrima di tenerezza, volti dal triste pensiero che li affannava a considerare la sincera e
cordiale dimostrazione d’affetto che lor faceva que’ villici:
- Voi benedetti! – disse in cuor
suo il venerando Priore – Voi benedetti! Se saprete sempre mantener sì calda e viva la
vostra fiducia ne’ sacerdoti di Dio! –
Pag.del manoscritto 75
Così giunti al luogo designato dopo le prime accoglienze ed il primo scambio di saluti col
buon Parroco, condottisi tutti in Chiesa attesero ad incominciare le invocazioni e le preci
pel sacro rito della Benedizione, mentre il popolo accorreva in folla da ogni banda.
Al Tilli, stato primo parroco e che aveva gittata la prima pietra fondamentale della nuova
Chiesa, fu data la compiacenza di benedirla: ed egli avvolto in ricco pluviale di lama
d’argento, assistito da due altri ecclesiastici compì il rito con quella espansione d’affetto,
che il lettore potrà facilmente indovinare.
76
La Chiesa fu posta sotto il titolo ed invocazione di S. Filippo Neri, a cagione della nuova
dotazione che aveva ricevuto.
Pag. del manoscritto 76
Quindi i sacerdoti si posero ne’ tribunali di Penitenza, e quivi furono assidui fino a mattina
ben inoltrata, non essendovi stata quasi persona, che quel dì non avesse voluto accostarsi
a ricevere il Sacramento eucaristico per render grazia a Dio del nuovo favore che faceva
alla popolazione.
Il Priore Cipolletti cantò la prima Messa, durante la quale gli altri sacerdoti fecero di lor
voce echeggiare la volta del nuovo tempio colla solenne e grave melodia del canto
gregoriano. Al Santo ed alla elevazione dell’ostia incruenta concertati colpi di pistola e di
archibusi resero più augusta e solenne la maestà del rito. Il popolo vi assisté con tanta
devozione e compiacenza che il Parroco Capriotti credette bene di cantare anch’egli
un’altra messa: dopo la quale i già stanchi ecclesiastici furono condotti nella contigua
abitazione Parrocchiale per gustarvi un frugale banchetto.
Il Capriotti non avea mancato di farvi apprestare quelle migliori vivande che la condizione
del luogo permisero.
Pag. del manoscritto 77
Ilare e festiva fu la mensa : leggiadri e lepidi motti or dell’uno or dell’altro ridestarono di
tratto in tratto l’allegria de’ convitati. Fuvvi alcuno che disse, avrebbe voluto iscrivere in
pietra la memoria di sì lieto giorno, se non sapesse essere il Capriotti non troppo fedele
custode di lapidi iscritte: altri, venendo imbandito un colmo piatto di buonissimi
maccheroni, non può, disse negarsi avere avuto in questo luogo soggiorno gente
napoletana, perché in ricambio dell’immunità che vi trovò ha lasciato alla Contrada Forola
l’arte di lavorare così eccellenti maccheroni: se ne fecero delle risa sapendosi a chi
alludevano i motti.
A noi soprattutto spiace di non poter qui riportare neppur uno di quei molti versi
estemporanei, che in tale occasione dové sciorinare la sempre fervida e feconda
immaginazione del Can. Forlini, ch’ebbe grido di buon poeta. Come ebbe termine il
desinare, permettendolo la temperata stagione del nascente autunno si corse intorno ad
osservare i terreni della Parrocchia, e si vide che il Curato non aveva omesso di farvi li
migliori possibili provvedimenti.
Pag. del manoscritto 78
Così passata buona parte del dì e fattasi l’ora del vespro, siccome non leggiamo essere
stata in quella sera la benedizione col Venerabile, così cominciarono a tor commiato que’
sig.ri Canonici dal Curato, che per lunga pezza di strada con gran parte del popolo volle
77
accompagnarli, mentre gli altri restati proseguivano a salutarli da lungi colle salve de’ loro
archibugi, ed innalzando qua e là per quelle collinette razzi di fuoco artificiale alla
improvvisa luce de’ quali si sustinevan nuove voci di giubilo e di allegrezza in tutti que’
casali ove andavan raccogliendosi le genti in seno alle proprie famiglie.
Dicesi che i vicini accorsi a tal festa ebbero molto ad invidiare la sorte degli abitanti del
Ciafone, che avevan già Chiesa e Parroco residente in Contrada. Essi potettero quindi
aver loro Chiese e furon anche provviste abitazioni pe’ loro Cappellani Curati: noi facciamo
voti perché presto possano trasferirsi tra loro anche i Parrochi in residenza, onde dalla
istituzione delle Parrocchie Rurali possano ottenersi i vantaggi desiderati.
78
Parte seconda
Manoscritto di don Capriotti rielaborato
al fine di una più agevole lettura
AVVERTENZA
La divisione in paragrafi del testo rielaborato del manoscritto è identica a quella del
manoscritto nella forma originale che precede.
PREMESSA
Fra i doveri di chi viene incaricato di reggere una parrocchia c’è sicuramente quello di
muoversi sulla base di una sicura conoscenza della mansione ricevuta e, nello stesso
tempo, quello di muoversi sulla base di una altrettanto sicura conoscenza dei diritti su cui
poggia legalmente l’istituzione parrocchiale che deve gestire. Né va messa in secondo
piano la responsabilità che esso parimenti avrà nella gestione dei beni materiali di cui la
stessa parrocchia dispone. In generale esso dovrà poi essere in grado di rilevare con
accortezza le eventuali analogie tra episodi avvenuti nella trascorsa storia della parrocchia
ed episodi in corso di svolgimento in cui esso si troverà coinvolto. Da quest’ultimo punto di
vista appare evidente l’aiuto che esso potrà trarre dalla consultazione dell’archivio della
parrocchia contenente sia gli atti formali della sua istituzione sia le successive
deliberazioni riguardanti la parrocchia emanate dalla diocesi sia gli atti amministrativi
connessi alla gestione materiale dei beni parrocchiali. La difficoltà di consultare l’archivio
nella ricerca di documenti risalenti al passato e contemporaneamente la difficoltà di tenere
lo stesso archivio aggiornato ed ordinato inserendo in esso i documenti legati al presente
possono, di volta in volta, rappresentare ostacoli non facili che il parroco deve comunque
saper superare. Proprio per rendere più facilmente consultabile l’archivio del Complesso
di San Filippo e Basso (*) chi scrive ha sentito pertanto la responsabilità di redigere
questa breve storia superando difficoltà non piccole nel raccogliere ed ordinare notizie e
documenti non sempre chiari. L’occasione a mettere mano all’opera è costituita dalla della
79
S. Visita che farà prossimamente il nostro nuovo amatissimo Pastore, pensando di fare
cosa grata sia a Lui che a quanti mi succederanno in questo incarico.
Come il lettore vedrà, la mia narrazione parte da lontano perché mi è sembrato doveroso
illustrare i motivi che portarono, in un periodo difficilissimo, alla costruzione della Chiesa
dei SS. Filippo e Basso e della contigua casa destinata all’alloggio dei cappellani non
tacendo le difficoltà fatte nascere nella Contrada dalla opposizione che in proposito si
manifestò da parte di persone di cui non farò il nome elogiando per contro il ricordo di
coloro che col loro zelo contribuirono all’istituzione di questa Cura. Nella narrazione
cercherò di essere attento ad indicare di ogni fatto i riscontri documentali che potranno
essere fatti nell’archivio della Cura allegando anche i disegni della pianta del Complesso e
la mappa della intera Contrada ed i dati aggiornati sulla entità della popolazione attuale di
questa. Mi auguro che questa non facile fatica mi faccia meritare la benevolenza dei lettori
e possa comunque costituire prova del bene che nutro per gli amatissimi abitanti della
Contrada Ciafone.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------(*) Il complesso dei SS. Filippo e Basso è divenuto sede parrocchiale in epoca successiva (1838) a quella in
cui D. Nicola Capriotti ha scritto la storia dello stesso complesso.
80
1. I MONACI BENEDETTINI FARFENSI E LA PARROCCHIA DI S. MARIA DELLA
ROCCA UNICA PARROCCHIA DI OFFIDA NEL XVIII SECOLO
Sino a tutto il 1700 ad Offida esisteva una sola Parrocchia, quella di S. Maria della Rocca,
tenuta per moltissimo tempo e con grande zelo dalla Congregazione dei monaci
Benedettini Farfensi cui apparteneva detta Chiesa sulla quale gravitava la popolazione del
vastissimo territorio circostante.
Nel 1562 quella Congregazione fu peraltro soppressa ed essa fu surrogata da un Collegio
di Canonici avente sede nella stessa Chiesa di S. Maria della Rocca mentre i beni della
stessa Congregazione passarono al Capitolo di Offida. A quel punto la condizione di
questa Parrocchia subì un rilevante degrado dato che il sacerdote con le mansioni di
parroco ebbe difficoltà a gestire tanto numerosa popolazione distribuita in un territorio
tanto vasto considerato anche che, anche se ad esso fu assegnata una congrua, questa
non era tale da permettergli di esercitare le benefiche elargizioni che in precedenza
praticavano i monaci. La stessa tormentata conformazione del territorio offidano, povero
per di più di strade, rendeva quanto mai arduo il compito del parroco di S. Maria della
Rocca per cui più di una volta avvenne che la popolazione mancò il sostegno nei
sacramenti e nella erudizione del catechismo fino al punto che addirittura qualcuno
mancasse dell’assistenza in punto di morte.
In contemporanea accadde che i beni della Congregazioni, passati alla disponibilità del
Capitolo, un po’ alla volta vennero visti come proprietà dei singoli sacerdoti dello stesso
Capitolo cosa questa non apprezzabile.
A questo punto peraltro piacque all’Altissimo muovere a pietà il paterno cuore di Mons.
Marana vescovo di Ascoli di sempre chiara e benedetta memoria.
81
2. ANNO 1753 : DISEGNO DI MONS. MARANA VESCOVO DI ASCOLI PER UN
NUOVO ASSETTO DELLA PARROCCHIA DI S. MARIA DELLA ROCCA
Mons. Marana, recatosi nel 1753 in Offida per la sua prima sacra visita, si rese subito
conto della situazione e pensò di dare al Parroco di S. Maria della Rocca tre coadiutori col
titolo di Cappellani Curati. Il compito di questi, a ciascuno dei quali fu assegnata una
diversa contrada del territorio, doveva essere quello di aiutare il parroco di S.Maria della
Rocca nella cura delle anime della campagna. Tuttavia, per la carenza dei mezzi
necessari per il sostentamento dei suddetti cappellani per un certo tempo si soprassedette
al loro incarico formale.
Emerse poi l’idea di ricorrere, per il sostentamento dei suddetti cappellani, all’aiuto che
poteva essere dato da un Pio Legato di Messe di cui, secondo le disposizioni date a suo
tempo nel lascito testamentario di un membro della famiglia Rota, era beneficiario il
Capitolo di Offida. L’idea prospettata prevedeva una contenuta riduzione della elemosina
da assegnare al Capitolo per ciascuna messa utilizzando tale riduzione per risolvere il
problema del sostentamento dei cappellani. Per dare peraltro seguito all’idea suddetta,
che era in contrasto con le disposizioni del Concilio di Trento che non consentivano
nemmeno al vescovo di modificare disposizioni testamentarie di Pii Legati, apparve
ineluttabile sentire in proposito il parere di Sua Santità. Cosa che fu fatta d’intesa con il
Capitolo avanzando al pontefice Benedetto XIV l’istanza di ridurre da 20 a 15 baiocchi
l’elemosina stabilita per ogni messa dal Pio Legato Rota. Questa riduzione avrebbe
consentito di disporre di circa 75 scudi all’anno dai quali si sarebbe potuto trarre un
assegno di 20 scudi annui per ciascuno dei tre cappellani e dare un sussidio alla Fabbrica
della nuova chiesa della Collegiata.
Il Pontefice acconsentì paternamente alla istanza rivoltagli personalmente dal vescovo e
con Rescritto del 5 febbraio 1753 rimise a questo la facoltà di concretizzare la riduzione
suddetta.
Alla data di oggi non si conosce esattamente cosa ostacolò poi la immediata attuazione di
questa decisione ma in ogni caso fu solo nel 1759, ossia sei anno dopo il rescritto del
pontefice, che si proseguì concretamente nel disegno di Mons. Marana. Questi tornò in
quell’anno in Offida e redisse in proposito un decreto i cui punti essenziali sono quelli di
seguito esposti.
82
1° L’elemosina dell’Opera Pia Rota è ridotta a baj. 15 per ogni messa. Il Capitolo di Offida
provvederà a dividere la somma che da ciò si trarrà ogni anno assegnando 20 scudi a
ciascuno dei tre Cappellani ed il sopravanzo alla Sagrestia della Fabbrica.
2° L’elezione dei tre Cappellani alle rispettive contrade e Chiese Curate spetta al Capitolo
e deve comunque essere approvata dal Vescovo.
3° Mancando nelle contrade dimore disponibili per i cappellani si permette a questi di
risiedere temporaneamente in Offida.
4° Gli obblighi dei tre Cappellani, senza eccezioni derivanti dal fatto di abitare fuori dalle
contrade loro assegnate, sono : l’amministrazione dei Sacramenti, l’intervento nelle
processioni e sacre funzioni in presenza del Parroco di S.Maria della Rocca, l’istruzione ai
fanciulli nella dottrina cristiana, l’assiduità al Confessionale, la visita
agli infermi,
l’assistenza nell’agonia dei moribondi, la presenza al funerale ed alla sepoltura dei defunti,
l’assistenza ai casi di coscienza. A proposito di questi obblighi il Vescovo fa rilevare che
con l’istituzione dei tre Cappellani esso ha inteso solo dare ad essere considerata come
unica ed indivisa Parrocchia. In conseguenza di ciò il vescovo ribadisce che gli abitanti di
campagna (eccetto gli infermi) fossero tutti ed indistintamente tenuti a soddisfare il
precetto pasquale nella Chiesa Collegiata di S. Maria della Rocca.
5° Per quanto a ciascuno dei tre Cappellani sia assegnata la cura di una contrada ove
esercitare d’ordinario il suo santo ministero, nessuno di essi è sciolto dall’obbligo di
prestare aiuto agli altri due.
Così il buon Vescovo ritenne di aver provveduto per quanto possibile alle spirituali
necessità della popolazione agricola dell’area di Offida augurandosi certamente in cuor
suo
di portare presto a compimento l’opera intrapresa assegnando una residenza a
ciascuno dei tre Cappellani nelle rispettive contrade : senza di che, egli era ben convinto di
ciò, le sue disposizioni non avrebbero potuto portare all’effetto desiderato. In forza dunque
del suddetto Decreto, nel 1759 furono eletti dal Capitolo ed approvati dal Vescovo i primi
tre Cappellani coadiutori del parroco di S. Maria della Rocca. La Chiesa di S. Venanzo con
la Contrada omonima fu assegnata a d. Carlo Nespeca : la Chiesa di S. Lazzaro con la
Contrada omonima al Cappellano d. X Y , e la Chiesa di S. Basso con la Contrada del
Ciafone d. Biagio Tilli.
83
3. ELEZIONE DI TRE CAPPELLANI CURATI COME COADIUTORI DEL VICARIO
CURATO DI S. MARIA DELLA ROCCA. DIFFICOLTA’ PER LA MANCANZA DI
RESIDENZE DEI CAPPELLANI ELETTI NELLE CONTRADE LORO ASSEGNATE
La contrada del Ciafone è situata a levante della città di Offida e, considerata la fertilità
del suolo ed la estensione del terreno, è la più importante di tutto il territorio. La sua
configurazione è assimilabile a quella di una semi-ellisse che, sezionata secondo l’asse
principale, è tangente al territorio di Castorano e poi a quello di Acquaviva, di Monsanpolo
e di Ripatransone. Il terreno è movimentato da colline e vallette e molti fossi frazionano la
contrada in più parti. Le vie non sono facili da percorre specie nella stagione invernale. Le
abitazioni della popolazione, spesso molto povera, sono distanti le une dalle altre sì che i
rapporti fra gli abitanti della compagna sono spesso molto difficili da tenersi. La povertà
degli abitanti è tale che molti di loro non possono provvedere a fornire mezzo di trasporto
al parroco nella necessità di una visita di questo. Pensi dunque il lettore in che triste
condizione dovevano a quei tempi trovarsi questi abitanti delle campagne se, per qualche
motivo, erano costretti di andare in città La Chiesa di S. Basso, assegnata al Cappellano
d. Biagio Tilli, è una piccola chiesetta rurale, tuttora esistente, ma che era di difficile
accessibilità agli abitanti delle campagne della contrada Ciafone per cui la successiva
decisione di edificare la nuova Chiesa od Oratorio di S. Filippo e S. Basso appare fondata
su un savio accorgimento. Per circa 30 anni, dal provvedimento di Mons. Marana fino al
1784, le cose furono nelle condizioni che abbiamo esposto. Il Cappellano di S. Basso
risiedeva come gli altri Cappellani in Offida : egli riceveva dal Capitolo l’assegno annuo di
soli sc. 20 ed officiava la Chiesa rurale di S.Basso avendo la cura delle anime della
contrada Ciafone. Non si riuscì, e forse nemmeno si provò, in quel periodo a provvedere di
una abitazione ciascuno dei tre cappellani. Di fatto con l’istituzione dei tre Cappellani fatta
dal Marana, risiedendo essi in città se prestavano aiuto al Curato di S. Maria della Rocca
moltiplicando per così dire le sue braccia, non veniva rimossa la difficoltà di correre dalla
città all’estreme parti delle contrade per esercitare gli offici parrocchiali. Non va taciuto poi
che mentre prima della decisione di Mons. Marana per la impossibilità del Curato di S.
Maria della Rocca ad accorrere nelle parti più lontane del territorio un aiuto a questo
veniva spontaneamente da tutti gli altri sacerdoti del Capitolo, dopo la istituzione dei
cappellani coadiutori cui era assegnato un sia pur ridotto compenso, veniva a mancare la
disponibilità degli altri sacerdoti del Capitolo a fornire un aiuto.
84
4. 1784 : DECRETO DEL VESCOVO LEONARDI PER L’ASSEGNAZIONE ALLA
CAPPELLANIA DI S. BASSO (ED EVENTUALMENTE ALLE ALTRE DUE
CAPPELLANIE) DI UN BENEFICIO DI ATTESA VACAZIONE (BENEFICIO DI S.
FILIPPO ED ANGELO DI 100 SCUDI ANNUI)
Nel settembre del 1784 si recava in Offida Mons. Pier Paolo Leonardi, nuovo vescovo di
Ascoli che immediatamente avvertì i disagi della popolazione rurale che lamentava la sua
condizione di isolamento per le difficoltà che incontravano i loro cappellani ad esserle
vicini. Le loro chiese non sempre nei dì festivi erano officiate, i loro figli non potevano
accedere dalle campagne all’istruzione catechistica e molti erano i casi di gente che
moriva senza i conforti della religione.
L’animo di quell’ottimo Pastore rimase colpito dalle dolenti voci che provenivano dal suo
gregge ed immediatamente dispose che alcuni sacerdoti del suo seguito facessero un
accurato giro di perlustrazione nelle campagne per prender esatta e completa
informazione sulle condizioni della Cappellanie Curate riferendo poi ad esso in proposito.
Nel suo seguito era d. Filippo Ambrosi, Vicario Generale e Canonico della Cattedrale di
Ascoli, accompagnato da due altri sacerdoti e scortato da persone pratiche dei luoghi si
recò a visitare le Chiese rurali del territorio.
Non si può descrivere la sua sorpresa e la sua compassione sia per il Cappellano sia per i
poveri campagnoli, allorché giunse nella Contrada del Ciafone. Sentieri dirupati e
scoscesi, spesso mancanza di strade, torrenti fangosi, case coloniche, spesso poco più
che tuguri, lontane le une dalle altre, la Chiesa di S. Basso posta in sito decentrato della
contrada e scomodissimo per la maggior parte della popolazione che era di più di 650
anime. Egli si convinse subito della necessità di porgere un soccorso a quelle povere genti
partendo dalla soluzione del problema di porre in quel luogo la residenza del cappellano.
Ne venia discorrendo con i suoi accompagnatori quando uno di essi, mosso certo dallo
Spirito del Signore, così gli prese a dire : - In Offida c’è, fra gli altri, il canonico d.
Francesco Fazi, molto anziano, che è possessore di due benefici riuniti sotto il titolo dei
Santi Filippo ed Angelo. In passato il primo di questi apparteneva all’Oratorio di S. Filippo
che poi fu sciolto ed il secondo apparteneva alla Compagnia di S. Angelo anch’essa poi
sciolta. Mons. Monti Vescovo di Ascoli, in occasione di una sua S. Visita in Offida nel
1671, avendo trovato che la Chiesa di S. Filippo, non più officiata, era in rovina ed avendo
rilevato che i beni appartenenti all’Oratorio non erano stati trasferiti ad altro Luogo Pio ed
avendo trovato in uguale condizione l’Oratorio della Compagnia di S. Angelo, con il pieno
consenso dei Canonici e del popolo affidano tutto, eresse con quei beni una Cappellania
amovibile ad nutum, imponendo al Rettore di essa l’obbligo di una messa per settimana,
85
ed un’altra nel dì della festa del Santo Titolare. Successivamente nel 1711 Mons. Gambj,
venuto anch’esso ad Offida per la S. Visita, sia a motivo che non giudicasse buona
l’amministrazione di qui beni, sia a motivo che credesse più opportuno disporne in altro
modo, li attribuì al Seminario di Ascoli, il quale però, giudicandoli forse poco interessanti,
dopo un decennio rinunciò ad essi. Avvenne pertanto che Mons. Gambj recatosi
nuovamente ad Offida nel 1721, conferì il suddetto Beneficio con i relativi beni ed oneri al
Chierico Francesco Fazi il quale ha saputo amministrare il patrimonio affidatogli in modo
molto diverso dato che questo può oggi dare un reddito di cento scudi annui. Ora
considerando il problema che Vostra Eccellenza poneva, tenendo conto che fra breve per
l’età avanzatissima di d. Fazi il Beneficio in questione sarà vacante, non pensa Ella che
potrebbe avanzarsi presso il nostro superiore l’idea di incorporare il beneficio suddetto alla
Cura di S. Basso imponendo poi al Cappellano di risiedere presso di essa ? – All’Ambrosi
questo idea piacque molto sì che esso la espose prontamente al Vescovo il quale nulla di
meglio stava attendendo. Chiamato pertanto al suo cospetto il sacerdote che l’avea
formulata, il Vescovo se la fece esporre di nuovo e, verificate tutte le circostanze, senza
por tempo in mezzo, in quella stessa sacra visita volle emettere il Decreto che attribuiva
alla Cappellania di S. Basso il Beneficio dei SS. Filippo ed Angelo nel momento in cui
questo si fosse reso vacante. Nello stesso decreto, avendo egli in attenta considerazione
anche la situazione delle altre due Cappellanie di S. Lazzaro e S. Venanzo, lasciava a
discrezione del Capitolo di Offida l’eventualità di elargire a queste parte della rendita del
suddetto Beneficio in modo che anche in esse i Cappellani potessero ricavarsi una
residenza.
5. ATTUAZIONE DEL DECRETO LEONARDI DEL 1784
Grande era stata l’accortezza del Vescovo nell’emettere quel decreto prima che il Beneficio
di S. Filippo divenisse vacante per la prevedibile prossima scomparsa di D. Fazi. In tale
evenienza sarebbe stata la Dataria a decidere la nuova attribuzione del Beneficio stesso.
Oltre a ciò con la rapida emissione di quel Decreto il Vescovo aveva evitato sul nascere
ogni tipo di sollecitazione. Tuttavia non mancò che sorgessero nuovi problemi perché
deceduto nel 1788 il Canonico D. Francesco Fazi, chiedendo il Cappellano di S. Basso
l’attribuzione del Beneficio alla sua Cura nacquero in proposito delle opposizioni. Alcuni
personaggi del Capitolo pensarono di sollevare il caso presso la Dataria e posero anche a
Roma la questione. Localmente si cercò di far nascere comunque degli ostacoli per ritardare
il corso delle cose. Il Comune presentò una protesta contro l’attribuzione alla Cura di S.
86
Basso e gli altri Cappellani facevano pressioni perché si formalizzasse in qualche modo la
possibilità di usufruire anch’essi della rendita del Beneficio.
Si inviò anche una deputazione dal Vescovo per cercare di rimuoverlo dalla risoluzione
presa. Il tutto però trovò alla fine un punto di accordo essendo Mons. Leonardi lontano dal
voler il pregiudizio dei diritti di qualcuno.
Fu stabilito pertanto :
1° che l’elezione del Cappellano spettasse al Vescovo,
2° che il Cappellano dovesse essere oriundo del Luogo,
3° che esso dovesse risiedere nella Contrada di S. Basso,
4° che dovesse celebrare la rata delle Messe pro populo
5° che dovesse celebrare tutte le Messe del Beneficio,
6° che dalle rendite dei beni di S. Filippo dovesse elargire 10 scudi al Cappellano di S.
Venanzo e 10 scudi a quello di S. Lazzaro e che dall’attribuzione assegnatagli di 20 scudi
dall’Opera Pia Rota, dovesse elargire 10 scudi al Vicario della Collegiata,
7° che dovesse amministrare i Sacramenti.
Su tali basi Mons. Vescovo Leonardi emise il Decreto del 27 settembre 1788 per
l’attribuzione formale del Beneficio de’ SS. Filippo ed Angelo alla Chiesa di S. Basso che si
conserva nell’Archivio della Cura insieme col Consenso prestato dal Capitolo il 12
settembre 1788 (con 10 voti favorevoli e 3 contrari).
In forza dunque del suddetto Decreto l’elezione del Cappellano alla Chiesa Curata di S.
Filippo e Basso, spetta ora al Vescovo : elezione che prima spettava al Capitolo con la
approvazione del Vescovo. Il Curato di S. Basso ebbe pertanto il mandato de immittendo al
possesso del Beneficio il 12 settembre 1788 (con successivo atto notarile stipulato dal
Pubblico Notaro Gio. Battista Doria). I Periti Agrimensori Tacconi e Corradetti il 17 luglio
1789 redassero una perizia per la stima dei beni del Beneficio dopo essersi recati sugli
appezzamenti di terreno formanti parte dei Beni situati in diverse Contrade del territorio di
Offida. Gli oneri annessi al Beneficio suddetto (che ora sono a carico del Cappellano di S.
Basso), sono la celebrazione di una Messa alla settimana e di altra nel dì festivo al Santo
Titolare S. Filippo.
Non è da
tacere che qualcuno continuò a ritenere illegale l’atto fatto da Mons. Leonardi e non valido in
conseguenza il possesso assunto dal Curato di S. Basso, ostinandosi a ritenere che
l’attribuzione del suddetto Beneficio spettasse alla Dataria. Ma furono vane voci poiché il
Vescovo aveva agito in virtù delle facoltà impartite dal il Sacrosanto Concilio di Trento.
87
6. DIVERGENZE SULLA PRIMA SCELTA DEL SITO SU CUI ERIGERE LA CASA DEL
CAPPELLANO CURATO DI S. BASSO (TERRENO DI PROPRIETA’ FERIOZZI A
MONTE COCCI)
Si procedette allora nella ricerca di un sito dove costruire un’abitazione per il cappellano.
Due furono i progetti che a tal proposito si fecero : il primo era di costruire la casa presso
la Chiesa di S. Basso, l’altro di costruirla sul monte Cocci. Il primo era caldeggiato in
particolare da quanti avevano le loro proprietà presso quella antica chiesa, l’altro, che
prevalse presso il vescovo, dal cappellano e dalla maggioranza della popolazione della
contrada. In proposito ci fu l’offerta di un frustolo di terreno sul monte Cocci, adatto alla
costruzione della casa, da parte dei signori Feriozzi che il vescovo guardò subito con
favore
sollecitando
ad
iniziare
presto
A questo punto accadde però che il cappellano Curato chiese a Mons.
i
lavori.
eopardi di essere
autorizzato a non erogare agli altri due cappellani gli assegni di 10 scudi già impostigli
onde poter disporre di quei denari per i lavori che dovevano essere iniziati. La richiesta
appare anche oggi fondata ed il Vescovo la accolse positivamente redigendo in proposito
un rescritto ma questa nuova Disposizione non fu gradita dagli interessati che peraltro non
mossero grande lamento.
Grande fu invece la protesta di coloro
che volevano la casa presso la Chiesa di S. Basso e che temevano che la costruzione
della casa del cappellano sul monte Cocci avrebbe portato poi all’abbandono della chiesa
di S. Basso. Questi si impegnarono con ogni mezzo a recare molestie al cappellano che
già aveva iniziato a radunare pietre e cemento nel frustolo dei Feriozzi. Non fu un caso
dunque che a seguito di queste molestie i signori Feriozzi ritirarono l’offerta di cessione del
frustolo di terreno sostituendo l’offerta stessa con un compenso di 10 scudi al cappellano.
88
7. ALTRA SCELTA DEL SITO : PREDIO DI PROPRIETA’ FORLINI A MONTE COCCI.
COINVOLGIMENTO DELL’ARCH. PIETRO MAGGI PER LA MAPPATURA
DELL’AREA
A questo punto il cappellano interpellò il vescovo chiedendo una chiara conferma a trovare
un sito nella zone del monte Cocci su cui poi procedere alla costruzione della casa. La
conferma gli era necessaria per arginare le mene contrarie che egli sentiva nell’aria.
Il Vescovo diede allora incarico al Priore Cipolletti di scegliere un sito adatto e,
indilazionatamente, dare l’avvio ai lavori per la costruzione di un piccolo oratorio di 30
palmi quadrati (26 gennaio 1789).
Il nuovo luogo che apparve adatto e che piacque subito al Cipolletti era un predio dei sigg.
Morganti al Cipolletti. Qui il priore invitò il cappellano a raccogliere i materiali necessari.
Ma, le difficoltà non erano finite perché inaspettatamente il Vescovo cambiò d’idea e su
una mappa della contrada fattagli avere sottobanco da altri, indicò di proprio pugno un
luogo diverso dal monte Cocci. Per difendere la scelta precedentemente fatta, il
cappellano, con alle spalle il priore Cipolletti, fece preparare un’altra mappa dal celebre
architetto Pietro Maggi, che allora si trovava ad Offida a dirigere i lavori della nuova
Chiesa Collegiata. Tale nuova mappa fu presentata al Vescovo che si convinse
definitivamente della soluzione e confermò l’ordine di edificare nel monte Cocci. Piacque
al vescovo di indicare con dettaglio il sito che coincideva con un predio Forlini esortando il
cappellano D. Biagio Tilli ad adoperarsi per acquisire il fondo. Questi riprese quindi a
raccogliere mareiali sul Monte Cocci anche se chi continuava ad essere contrario a quella
soluzione non cessò di muoversi. Accadde pertanto che ci fu chi presentò un reclamo al
Camerlengo Il primo fu all’E.mo Camerlengo al quale fu denunziato un disegno di D.
Biagio Tilli finalizzato a costruirsi un casino per suo divertimento sul monte Cocci
utilizzando pietrame preso dal torrente Fiobbo che doveva essere riservato allo
costruzione di un nuovo ponte e per sistemare la strada che conduceva all’antica chiesa di
S. Basso. Nella denuncia si aggiungeva anche il sospetto che la Curia di Ascoli fosse
d’accordo con il disegno del Tilli. Questo denuncia fu trasmessa dal Camerlengo al
Preside di Montalto, cui era allora soggetta Offida, e non dimostrando quest’ultimo di
prenderla in considerazione essendo evidente il malevole scopo dei presentatori, questi
avanzarono la stessa denuncia alla Segreteria di Stato. Si riporta tale denuncia per
dimostrarne il livello.
Il popolo della terra di Offida Presidato di Montalto con umile ossequio supplica umilmente
la S.V. di degnarsi di porre riparo al disordine generato dall’adoperarsi di un prete di nome
89
D. Biagio Tilli oriundo del Regno di Napoli, il quale come moderno Curato Rurale di una
contrada di questo Territorio detta del Ciafone, quasi confinante col Regno di Napoli, è in
determinazione di costruire un Casino Parrocchiale per proprio comodo. Quivi egli si
ripromette anche di
fabbricare
disgrazie di cui soffrirono i
una nuova Chiesa. Tutto ciò ci riporta alla mente le
nostri antenati, i quali a stento potevano difendersi
dai
malviventi, che dal suddetto Regno fuggivano e si ricoveravano nella nostra contrada per
godere l’immunità ecclesiastica nelle chiese rurali che in questa allora esistevano. Quelle
chiese, come la S.V. sa furono poi per tal motivo demolite e di esse restano solo le rovine.
Una di esse esiste ancora con il titolo di S. Basso : essa è oggi ed è stata in passato
comoda al popolo e vicino ad essa il detto Tilli con poca spesa potrebbe costruire la sua
residenza senza creare altra immunità Ecclesiastica nella Contrada. Perché non ritornino i
tempi andati, nei quali la contrada acquistò il nome di Contrada della Forola
per i
malviventi che vi si rifuggivano per la ecclesiastica immunità che acquisivano, i
presentatori di questa istanza sperano nella attenzione della S.V.
Anche questa istanza fu rimessa al Preside di Montalto Mons. Frosini il quale lo prese in
considerazione come il precedente. Non si sfiduciarono però i ricorrenti : visto senza
effetto anche questo reclamo, si posero intorno al podestà di Offida, esigendo da esso che
impedisse che venissero rimosse le pietre necessarie alla costruzione dal torrente Fiobo.
In questo caso tanto fecero che il podestà emise un bando (26 aprile 1789) col quale
minacciava la pena di 5 scudi a chiunque avesse avuto ardire di rimuover le pietre
suddette dal letto del Fiobbo (nei siti di proprietà dei ricorrenti). Il Cappellano Tilli temendo
sulla base di tale editto anche altri proprietari di terreni nelle adiacenze del fiume si
opponessero al prelievo di materiale, si rivolse al Preside Frosini, perché volesse far
revocare il bando del podestà. Tuttavia tale fu il rumore sollevato dai ricorrenti che si
tollerò che il Bando restasse in vigore.
90
8. IL PROBLEMA DEL VINCOLO SUL PREDIO FORLINI DI UN PIO LEGATO.
CONSENSO ALLA VENDITA DEL PREDIO DA PARTE DELLA CONGREGAZIONE
DEL CONCILIO A SEGUITO DI UNA ISTANZA AL PAPA DEL FORLINI
Per le difficoltà che di volta in volta si rinnovavano il povero Cappellano non poteva vedere
vicina la possibilità di edificare una dimora, tanto più che ora emergeva, per l’acquisto del
Predio Forlini, il problema di un vincolo gravante su questo derivante da un Pio Legato
Capriotti per sciogliere il quale appariva necessario inviare una supplica al Sommo
Pontefice.
Rilevata la lentezza con cui procedevano le cose, D. Tilli chiese allora al Vescovo di
poter utilizzare temporaneamente una stanza da costruire nella casa colonica di un fondo
parrocchiale non lontano dal predio Forlini facendo nello stesso tempo notare di avere già
stipulato (in data 5 marzo 1789 con rogito del notaio Felli di Offida), come da accordi
precedenti con lo stesso vescovo, una scrittura privata con il sig. Forlini stesso per
l’acquisto del predio che sarebbe stato regolato da una perizia fatta fare in proposito. D.
Tilli faceva anche rilevare che, essendo il suddetto predio soggetto ad un Legato di
Messe, per alienarlo l’attuale proprietario doveva necessariamente presentare una
supplica a S. Santità aggiungendo anche la richiesta al vescovo di un permesso per
l’alienazione di cinque piccoli fondi di spettanza della Cappellania Curata di S. Basso per
acquisire fondi necessari.
Di seguito si riporta il rescritto che in proposito emise di conseguenza il Vescovo :
Il sig. Priore Cipolletti gestisca quanto necessita per la costruzione della casa destinata al
cappellano di S. Basso dando a questo le disposizioni opportune per l’acquisto del predio
Forlini e per il reperimento dei materiali necessari.
Ascoli 25 aprile 1789.
I
I lavori per la costruzione di una nuova stanza nella casa colonica del fondo della Cura di
S. Basso e la sistemazione in questa di un’altra stanza, si eseguirono nella estate che
seguì con una spesa rispettiva di scudi 26 e 35. Tali stanze peraltro nell’ottobre
successivo si dovettero cedere alla famiglia del colono che ne mostrò necessità.
Per quanto riguarda il vincolo gravante sul predio Forlini per un precedente Pio Legato si
fornisce nel seguito una sintesi della istanza (redatta dal priore Cipolletti) che il Forlini
stesso rivolse al pontefice per poter avere la licenza di alienare questa sua proprietà.
Beatissimo Padre, Antonio Forlini di Offida Diocesi di Ascoli nella Marca, suddito
Devotissimo della Santità Vostra, si permette umilmente di fare presente quanto segue. Or
sono 44 anni egli decise la cessione al prezzo di 75 scudi di un predio di 25 quarte di sua
91
proprietà con annessa casa rurale sito nella Contrada Ciafone di detta Terra. Il prezzo che
il sottoscritto richiese non era evidentemente adeguato, e ciò fu onestamente subito
riconosciuto dallo stesso compratore Giuseppe Capriotti che senza approfittarne cercò di
rimediare donando il predio alla Chiesa ed assoggettandolo ad un Pio Legato consistente
nell’obbligo di celebrazione in perpetuo di 30 Messe l’anno. Il compratore si preoccupò
anche di consolare il venditore conferendo a Lui ed ai suoi discendenti il Giuspatronato
passivo. Chi, da povero ed ignorante contadino, si permette ora di avanzare questa umile
istanza al Santo Padre, non può non fare presente le fatiche spese per migliorare poi le
piantagioni di quel predio sempre comunque ossequioso nei confronti dell’obbligo delle 30
messe annue. Ora però esso, che il Capriotti concorda nel ritenere ancora il proprietario,
avrebbe estremo bisogno di reperire dei fondi vendendo il suddetto predio che viene
valutato in 900 scudi. Tuttavia il
vincolo gravante sulla proprietà rende complicato il
rapporto di vendita a qualche acquirente. Accade però che la Cura di S. Basso,
accettando l’obbligo delle sante messe, sarebbe disposta all’acquisto purché il prezzo si
diminuisca di 110 scudi. A tal passo però non si può giungere senza la previa suprema
approvazione in merito al ripristino del nome di chi avanza questa istanza come
proprietario del fondo. tutti sono motivi che parlano per la svincolazione bramata. Quindi
l’oratore prostrato ai piedi della S.V. umilmente l’implora che approvi quanto si chiede.
Questa istanza del Forlini fu avanzata a Roma il 17 maggio 1789. Il 26 dello stesso mese
la Sagra Congregazione del Concilio chiese l’atto d’istituzione del Pio Legato Capriotti ed il
consenso di tutti gli interessati.
In proposito furono fatte redigere due perizie (periti Pietro Tacconi ed Ascensio Corradetti )
per convalidare quanto aveva esposto il Fortini in merito al valore del predio ed al valore
dei fondi della Cura di S. Basso che si volevano alienare. Per quanto riguarda questi, il
primo fu reputato del valore di scudi 510:60 gli altri furono stimati complessivamente scudi
285:07. Il perito Tacconi in data 27 giugno aveva inoltre redatta una Perizia del Predio
Fortini nella quale si asseriva che il valore di questo quaranta anni prima poteva essere
stimato in scudi 250. Oltre tali documenti fu esibito alla S. Congregazione un attestato del
Parroco di S. Maria della Rocca comprovante lo stato di famiglia, lo stato patrimoniale e
l’età di Antonio Forlini.
Il Priore Cipolletti redasse pertanto in latino, si disposizione del vescovo, un dettagliato
rapporto di tutte le circostanze anzidette ed il tutto fu sottoposto all’esame degli
Eminentissimi Cardinali componenti la Congregazione del Sacrosanto Concilio. Questa
peraltro è usa muoversi con somma prudenza e pertanto si giunse alla quaresima del
92
1790 allorché si dispose del Rescritto “Exhibeatur in folio” che approvava quanto richiesto
nell’istanza del Fortini e si dovette aspettare dell’altro tempo ancora per conoscere le
motivazioni del rescritto stesso.
93
9. VENDITA ALL’INCANTO DI TRE TERRENI DELLA CURA PER PROCEDERE
ALL’ACQUISTO DEL PREDIO FORLINI
La decisione del vescovo era stata di vendere sei corpi di terreno spettanti alla Cura di S.
Basso, credendo che il ricavato sarebbe stato sufficiente per l’acquisto del Predio Forlini.
Un settimo terreno egli valutò che fosse opportuno riservarlo ad una vendita successiva
qualora necessitasse un supplemento di denaro. Quando avvenne però non era stato
previsto : pubblicati gli avvisi per la vendita all’incanto dei primi sei corpi di terreno le
offerte che furono presentate superavano il valore stimato dai periti per il predio Fortini.
Dalle buste delle offerte si rilevò che la somma complessiva delle stesse offerte
ascendeva a 522:81 scudi che superava di 172:21 scudi l’importo stimato. Don Tilli fu
pertanto costretto di avanzare altra istanza alla Sagra Congregazione del Concilio, onde
permettesse che la somma eccedente non venisse sborsata dagli acquirenti o fosse
impiegata in opere di bonifica sempre in terreni spettanti alla Cura di S. Basso. Tutto il
procedimento si arrestò pertanto nonostante le insistenze del Forlini che aveva necessità
di incassare denaro. Don Tilli a quel punto propose la vendita di soli tre corpi di terreno
(invece di sei) e cioè quelli ricadenti rispettivamente nei siti Ponticello, Lava e S. Martino il
ricavato dei quali sarebbe stato sufficiente per l’acquisto del predio.
Il vescovo prima di aderire a tale proposta volle che l’8 settembre 1790 si affiggessero
degli avvisi a chiarimento del nuovo operato che si intendeva seguire. Tutto ciò spiacque a
molti di quelli che avevano già presentato delle offerte onde il giorno 10 dello stesso
citarono formalmente il Parroco innanzi alla S. Congregazione commettendo comunque un
errore perché questa non è un è Tribunale contenzioso. Tuttavia le contestazioni si
smorzarono presto ed il 28 settembre 1790 Mons. Leonardi dette facoltà al Cappellano di
S. Basso di vendere tre corpi di terreno facenti parte del Beneficio dei SS. Filippo ed
Angelo ai tre migliori oblatori che risultarono essere Luigi Forlini per quello in Contrada S.
Martino al prezzo di scudi 120:76, Nicola Massei per l’altro in Contrada Coppo al prezzo di
scudi 176:75, ed ancora il suddetto Forlini per il terzo in Contrada Lava per scudi 63,83. La
complessiva somma ritrattane fu pertanto di 361:35 scudi sufficiente all’acquisto del Predio
al prezzo di 360:60 scudi. Il vescovo imponeva al Forlini di utilizzare tale somma per
saldare i debiti familiari e di investire 30 scudi a favore della giovane figlia Emidia. Egli
ordinava inoltre che il Cappellano di S. Basso dovesse trattenere sul prezzo suddetto la
somma di 150 scudi a garanzia del Pio Legato Capriotti ingiungendogli
contemporaneamente l’onere di celebrare in perpetuo 40 all’anno.
Qui va rilevato, come si evince dai documenti presenti nell’archivio della Cura, che tutta
94
l’operazione fu vantaggiosa per la stessa Cura dato che il Predio Forlini fu comperato a
stima, mentre i terreni ceduti dalla Cura furono venduti all’incanto. Inoltre mentre questi
risultavano situati in luoghi distanti, intersecati da fossi, spogli d’alberi e fruttavano solo 4
scudi annui, l’altro risultava ricco di piante in terreno ben configurato, di facile coltura e
capace di rendere annualmente più 20 scudi. Quel che principalmente lo rende peraltro
pregevole è l’esser posto nel centro della Contrada, in luogo aperto, di buona aria, di facile
accesso, in prossimità d’acque potabili. Da lì il cappellano può facilmente spostarsi in
qualunque direzione e scorgere tutto intorno le case dei suoi parrocchiani.
95
10. VENDITA DI ALTRI TERRENI PER REPERIRE ULTERIORI FONDI
Ulteriori fondi la Cura di S. Basso ricavò dalla vendita che fece poi D. Tilli, su
autorizzazione del vescovo (a seguito di un Rescritto dalla S. Congregaz. Del Concilio
datato 18 dicembre 1790) di altri tre piccoli corpi di terra siti nelle Contrade Valle Fogliana,
Ponticello e Fornaci. Nell’asta che si organizzò il primo fu ceduto a Carlo Travaglini al
prezzo di 74:02 scudi, il secondo a Cruciano Vallorani a 110:90 scudi, ed il terzo D. Pietro
Ermeti a 40 scudi i quali tutti si obbligarono a corrispondere alla Cura interessi annui del 4
% ad anno finché l’importo ricavato non fosse rinvestito in utilioribus come voleva la S.
Congregazione. Il contratto con gli acquirenti fu stipulato il 3 ottobre 1791 dal notaio di
Offida Gio. Battista Doria. Nel contratto suddetto fu inserita anche una clausola di garanzia
a favore di Cruciano Vallorani per consentirgli l’accesso alle terre di sua proprietà ed alla
vicine fontana. In data 23 gennaio 1792 avendo il Travaglini liquidato il prezzo del terreno
in Valle Fogliona ed avendo Cruciano Vallorani versato 25:91 scudi in acconto di quello in
Contrada Ponticello, con Decreto di Mons. Vescovo fu erogato al Capitolo di Offida da
parte della Cura di S. Basso un prestito di 100 scudi per la gestione di un terreno sito in
Contrada S. Pantaleone. Similmente il 10 novembre 1792 fu erogato dalla stessa Cura un
altro prestito100 scudi per la gestione di un terreno del Capitolo sito nella Contrada S.
Pantaleone utilizzando 40 scudi avuti in saldo da D. Ermeti per il terreno in Contrada Lava
e 60 scudi avuti in ulteriore acconto da Crociano Vallorani. La Chiesa Collegiata di Offida
deve pertanto alla Cura di S. Basso la rendita annua dei due prestiti suddetti al tasso del 4
% l’anno (ossia 8 scudi). Alla data sopraddetta il Vallorani restava con un debito di 24:93
scudi.
96
11. L’ARCHITETTO PIETRO MAGGI ESEGUE UN SOPRALLUOGO SUL
MONTE COCCI E REDIGE IL PROGETTO DELLA CHIESA E DELLA
CANONICA (NOVEMBRE 1791). POSA DELLA PRIMA PIETRA (29
FEBBRAIO 1792)
Sistemato il contratto per l’acquisto del predio Forlini Mons. Leonardi segnò di suo pugno
nella mappa del terreno il punto ove voleva che fosse eretta Chiesa e, accanto a questa la
casa per il cappellano. Per accelerare i tempi e provvedere altro denaro dette licenza a D.
Tilli di tagliare un certo numero di alberi nei terreni della Cura e consentì di continuare la
questua già iniziata in precedenza tra i parrocchiani. Il 2 novembre 1791 l’architetto Pietro
Maggi, che, come è stato già detto, si trovava ad Offida per dirigere i lavori di costruzione
della nuova Chiesa Collegiata, si uncarico del Priore Cipolletti, che seguiva con la
massima attenzione quei lavori, si recò sul monte Cocci nel sito scelto dal Vescovo per un
sopralluogo preventivo alla redazione da parte sua del progetto dell’intero complesso.
Questa nostra piccola Chiesa Rurale può vantarsi pertanto di essere parto del lapis di un
così celebre architetto. Essa in seguito piacque molto al successore di Leopardi e cioè al
cardinale Archetti che la lodò molto in occasione di una sua visita per una cresima nel
tempo che seguì. Nell’animo della gente della Contrada grato è rimasto il ricordo
dell’insigne
cardinale.
Accadde così che il 29 febbraio 1792, con il getto delle fondamenta, potè prendere l’avvio
della costruzione del Complesso anche se la scarsezza dei mezzi determinò un procedere
assai lento dei lavori. Il 24 aprile 1792 per far fronte alle spese già fatte ed a quelle
prevedibili in tempi ravvicinati, d’intesa con il Vescovo cui interessava che si potesse
quanto prima realizzare almeno una parte della casa un ambiente della quale si sarebbe
potuto adibire a sagrestia, D. Tilli fece in modo di far acquisire alla Cura di S. Basso 50
scudi in prestito da parte di una Cappellania della zona (Cappellania Giuseppe Ferri) in
ragione di un interesse annuo del 4 % .
97
12. 20 GIUGNO 1792 : MORTE DEL VESCOVO LEONARDI. RIAFFIORAMENTO DI
OSTILITA’ AL CAPPELLANO TILLI DA PARTE DI QUANTI CONTINUAVANO
AD ESSERE CONTRARI ALLA COSTRUZIONE DELLA NUOVA CHIESA SUL
Si è già detto delle difficoltà poste alla localizzazione del nuovo complesso fatte sorger in
precedenza da parte di chi avrebbe voluto che non si abbandonasse l’antica chiesa di S.
Basso. I contrasti non cessarono dopo l’inizio dei lavori ancorché non si potesse pensare a
quel punto di rimuovere la Casa e Chiesa parrocchiale dal luogo ove si erano iniziati i
lavori. Le maldicenze continuarono : si diceva, per esempio che egli aveva abusato della
facoltà di recider legna, accordatagli dal vescovo, facendo abbattere molte più piante di
quanto gli era stato consentito ! Si diceva anche che in realtà esso non aveva alcun
desiderio di andare a risiedere sul monte Cocci, che non intendeva più dare l’assegno di
10 scudi agli due cappellani, che 50 scudi presi in prestito erano serviti per suo uso
personale, ed altre simili corbellerie, che si riportano al solo fine di avvezzare le orecchie
dei parrochi che verranno ad essere pronti a sopportare maldicenze di questo tipo. D. Tilli
le sopportava con l’animo di chi non si fa abbattere dalle dicerie dei maligni oziosi, e
lavorava per tirare avanti i lavori della fabbrica. Disgraziatamente il 20 giugno 1792
moriva, universalmente compianto, l’ottimo vescovo Mons. Leonardi, e D. Tilli restava
scoperto della protezione del braccio del suo superiore.
98
13. ANTONIO LENTI VICARIO CAPITOLARE. SUE PRIME DISPOSIZIONI IN MERITO
ALL’OPERATO DI DON BIAGIO TILLI.
Succedeva a regger la Chiesa Ascolana col titolo di Vicario Capitolare il canonico Antonio
Lenti, nobile ascolano. Era il Lenti Ecclesiastico di molta dottrina ma, per quello che può
dirsi, più portato a reggere in mano un breviario di canonico che il pastorale di Vescovo. Il
nostro D. Biagio Tilli, anche per difendersi dalle accuse che egli sapeva gli venivano dietro
le spalle rivolte il 4 luglio 1792, si rivolse al nuovo Vicario Capitolare per inquadrargli
sinteticamente quanto gli era stato indicato da Mons Leopardi circa la costruzione della
Casa e Chiesa Parrocchiale e circa la soppressione dell’assegno agli altri Cappellani. Egli
pregava pertanto il Vicario di voler confermare tutto ciò che dal defunto Superiore con suoi
ordini e rescritti gli era stato ordinato. Non si comprende il gesto di D. Tilli dato che egli
finora si era mosso sulla base di disposizioni scritte dal precedente vescovo ma forse egli
vecdeva opportuna una conferma formale del Vicario Lenti della disposzioni di Mons.
Leonardi per far cessare le chiacchiere che lo riguardavano. In proposito avvenne però
che il Vicario Capitolare emanò un rescritto veramente curioso : “si osservino”, egli disse,
”gli ordini dati, e qualora vi sia legittima contradizione, il sig. Priore Cipolletti ne faccia
relazione col saggio di lui discernimento (4 luglio 1792)”. Il testo di questo rescritto
ponevano in dubbio l’impostazione delle cose lasciata dal vescovo Leonardi. Oltre a ciò
era opportuno procedere a tale verifica quando v’era gente che per l’appunto cercava
appigli per far decadere le suddette disposizioni? Un tale rescritto non poteva che
alimentare le opposizioni o verso D. Tilli o verso l’edificazione del complesso sul monte
Cocci. Accadde così che il 9 luglio gli altri Cappellani, forse a seguito di tale rescritto di cui
forse erano venuti a conoscenza o mossi da proprie valutazioni, avanzavano contro D. Tilli
un reclamo innanzi al Vicario Capitolare, per il prolungarsi nei loro confronti del mancato
pagamento dei 10 scudi dovuti, nonostante che a quel punto la costruzione di un paio di
stanze della sua abitazione fosse finita. Il Vicario Capitolare rimetteva allora il 9 luglio 1792
l’istanza dei cappellani al Priore Cipolletti, con l’ordine di riferirgli sulla esecuzione degli
ordini di Mons. Leonardi in merito alla fabbrica sul monte Cocci ed in merito al parere che
il Capitolo di Offida aveva su questa costruzione.
99
14. 4 AGOSTO 1792 : IL VICARIO CAPITOLARE LENTI DISPONE LA SOSPENSIONE
DEI LAVORI DI COSTRUZIONE DELLA CHIESA. DON BIAGIO TILLI SI
TRASFERISCE NELLA CURA DI S. MARTINO.
Il Capitolo si riunì il 15 luglio affrontando subito la questione. Venne data lettura di una
relazione sull’operato di D. Tilli redatta dal priore Cipollettisi e subito dopo furono
attentamente riletti i rescritti del vescovo Leonardi. A chi scrive è sufficiente rilevare la
posizione assunta in quel consesso da una persona di grandi qualità come il priore
Cipolletti in favore del cappellano di S. Basso per credere alla correttezza dell’operato di
questo. Non fu così per i sacerdoti del Capitolo di Offida che mostrarono rapidamente la
loro ostilità verso D. Tilli. Si criticarono le determinazioni del defunto Vescovo
dichiarandole lesive del diritto dei terzi e nate da un non corretto senso dei limiti del suo
potere. Non potevano che essere queste le motivazioni delle scelte operate dal vescovo
Leonardi nell’ordinare la costruzione di una nuova chiesa quando, a loro dire, era evidente
la sufficienza della antica chiesa di S. Basso. La stessa persona emerita del priore
Cipolletti fu investita del sospetto di essere stato colluso con le precedenti decisioni
vescovili. Si discusse anche in merito al possibile annullamento del Decreto di Mons.
Leonardi e si misero insieme documenti atti, secondo i membri del Capitolo, a provare la
posizione tendenziosa assunta dal Tilli nell’edificazione della chiesa sul Monte Cocci. Si
decise al termine l’elezione di due deputati con l’incarico di esporre al Vicario Capitolare
Lenti la posizione assunta dal Capitolo. Il 4 agosto i due deputati eletti presentarono al
Vicario le valutazioni del Capitolo ciò portò al fatto che mons. Lenti ordinò la sospensione
dei lavori della fabbrica fino a che non si fosse fatta chiarezza su quanto avvenuto. A D.
Tilli fu anche imposto espressamente di presentare con urgenza i conti relativi alle spese
fatte nell’ambito dei lavori intrapresi. Al termine del mese di agosto il Vicario Lenti inviò
una nota al Capitolo confermando la sospensione dei lavori di costruzione della Chiesa
ordinando contemporaneamente che invece quelli relativi alla dimora del cappellano
continuassero in modo che questa fosse entro tre mesi abitabile (indicandone la capienza
sufficiente in due camere, una cucina ed un ingresso). La nota si concludeva con
l’annuncio che l’assegno ai cappellani sarebbe dovuto essere da allora in poi liquidato. D.
Tilli a questo punto prese posizione chiedendo provvedimenti concreti per i lavori della
dimora del cappellano che si imponeva abitabile entro tre mesi a fronte del fatto che la
Cura non aveva più disponibilità di denaro. Conseguenza di ciò fu che il Vicario Lenti
dovette formalmente pregarlo di porre almeno la cosiddetta “prima pietra” di quella
abitazione in avallo all’ordine che aveva dato con la nota al Capitolo. Si procedette allora
100
in questa direzione ma i lavori andarono molto a rilento per i noti motivi : dopo tre mesi le
mura esterne erano state realizzate e la copertura del tetto realizzata ma l’abitazione non
era assolutamente utilizzabile. Ciò avvenne nell’autunno successivo per l’ininterrotto
impegno di D. Tilli che peraltro avendo concorso alla vacante Cura di S. Martino
nell’interno di Offida, ebbe conferita tale Cura il 22 dicembre 1793 sì ché il 27 gennaio
1793 ne prese il formale possesso. Alla Cura di S. Basso fu designato cappellano D.
Niccola Capriotti, oriundo della terra di Offida, con rescritto del Vicario Capitolare del 28
gennaio. D. Tilli nell’uscire dalla Cura di S. Basso presentò i suoi conti dai quali emerse
che egli era creditore di 48:01 scudi. Egli era stato eletto cappellano di S. Basso nel 1759
allorché furono istituiti i tre Cappellani Coadiutori del Parroco di S. Maria della Rocca
tenendo quindi la Cura per circa 33 anni, ottenendo fama d’averla gestita con carità e zelo.
Ebbe molti contestatori di basso profilo, ed egli sostenne con decoro e forza le loro
opposizioni. La stima che di lui aveva il Priore Cipolletti e la protezione che gli accordava il
Vescovo Leonardi bastano per garantirne la figura. Egli si adoperò per edificare una
Chiesa più ampia di quanto volevano altri : ma è a da considerare che la popolazione della
Contrada Ciafone ascendeva già allora a 700 anime. Nella casa egli curò che fosse per
quanto possibile accogliente dato che un cappellano non deve essere un eremita e deve
avere un luogo dove poter avere relazioni con la gente della contrada. Esso restò sempre
affezionato a quella Cura, ed in particolare a quella Chiesa ed ai parrocchiani, sì ché più di
una volta, nei tempi che seguirono, si lamentò di non venire invitato alle cerimonie che in
quella avevano luogo. Lasciò scritte delle memorie sulla Cura di S. Basso ed anche se
esse appaiono non ordinate, molti documenti che a lui risalgono contengono notizie
interessanti. Fu attivo ed assai accorto ed a ciò si deve che più di una volta egli potette
rimuovere il suo Superiore dai suoi primi intendimenti.
101
15. 28 AGOSTO 1792 : ELEZIONE A CAPPELLANO CURATO DI S. BASSO DI DON
NICOLA CAPRIOTTI. OSTILITA’ ANCHE VERSO DI LUI DA PARTE DEI
CONTESTATORI DI DON BIAGIO TILLI
Il successore di D. Tilli si trovò subito di fronte alla eredità lasciatagli da questo :
l’avversione di molti alla costruzione della nuova Chiesa e Casa Parrocchiale sul monte
Cocci. In coincidenza con la nomina di D. Capriotti a cappellano di S. Basso si ebbe un
nuovo reclamo degli altri cappellani per avere l’assegno inizialmente stabilito da mons.
Leopardi. Essi minacciavano apertamente di ricorrere anche presso il competente
tribunale di Roma se il Vicario Capitolare Lenti non avesse rimesso a posto le cose nei
loro confronti. Si cominciò anche a parlar male del nuovo Cappellano Curato di S. Basso
accusandolo dietro le spalle di essere intenzionato all’avvio di lavori di bonifica non
necessari, all’acquisto di bestiame esuberante, a rendere lussuosa la nuova dimora del
cappellano. In realtà, per mancanza di fondi, tutto a rilento e si ritenne di investire della
cosa il Gran Camerlengo e ciò sembrò quietare le acque. Nel settembre fu comunque
terminato un vano sopra quello destinato ad essere in seguito la sagrestia. Tale vano
aveva una parete in linea con la edificanda facciata laterale della chiesa e sulla sommità di
tale parete pertanto, seguendo il disegno di Maggi, fu realizzato una prima parte del
cornicione che poi sarebbe dovuto proseguire sulla suddetta facciata laterale della chiesa.
Quanto avvenne rendecon chiarezza l’idea del clima che si era instaurato : appena si
sparse la voce della realizzazione di questa parziale frazione di ornamento esterno del
costruendo complesso, non ci sono parole per riportare nella giusta misura il rumore che si
levò. Un reclamo fu presentato in proposito al Capitolo mentre alcuni degli oppositori si
esprimevano (dicembre 1793) a favore di una lite formale. Pur essendo quasi inverosimile
il reclamo al Capitolo fu accolto. Il priore Cipolletti, saggio e prudente Ecclesiastico, non
scorgeva nella disputa che un inutile dispendio per la Chiesa Collegiata e protestò con
forza contro detta risoluzione del Capitolo. Sebbene al parere del Cipolletti aderì il
Cancelliere Curti sì il Capitolo insisté nella sua posizione anche questa fu smorzata
riducendola alla decisione di un semplice monito a D. Capriotti. La protesta del Capitolo
giunse peraltro ad essere esposta al Vicario Lenti traducendola nei termini di una
denuncia di non rispetto alle disposizioni precedentemente da questo date in particolare
per quanto riguardava la costruzione della chiesa che, secondo la denuncia, era andata
avanti addirittura evidenziandola con una iscrizione su una lapide. Tale iscrizione (Studio
Blasii Tilli Cappel. Cur. Constructa) aveva innescato reazione velenosa che arrecò grande
dispiacere al Vicario dato che egli, uomo portato alla meditazione ed allo studio, avrebbe
voluto comporre amichevolmente le cose evitando che i dissidi offidani giungessero a
102
Roma. Ai religiosi della Diocesi che si recavano ad Offida per funzioni o esercizi spirituali
raccomandò di impegnarsi per smorzare le discordie. All’inizio del 1794 egli inviò una nota
al Priore Cipolletti in cui esprimeva il parere che quella lapide dovesse essere rimossa. In
linea con tale idea egli suggeriva al priore Cipolletti di avvertire D. Tilli di avere l’accortezza
di farla sparire, magari di notte. Ciò in vista del fatto che di lì a poco egli Vicario avrebbe
dato formalmente l’ordine di farla rimuovere. All’esistenza di questa nota ed al suo
contenuto chi scrive è portato a credere : in essa si materializzava l’intenzione del Vicario
di non ferire nessuna delle due parte contrapposte. D. Tilli provvedette a rimuovere la
lapide pregando D. Capriotti di nasconderla. Subito dopo sembra che il Vicario Capitolare
abbia scritto una nota indirizzandola alla parte avversa a D. Tilli dichiarando il suo parere
favorevole alla rimozione della lapide stessa. Tale sua determinazione doveva essere
comunicata al Capitolo. Novella più grata non poteva giungere ai contestatori di D. Tilli e la
mattina del 27 gennaio questi, con la nota del Vicario in mano, si mossero in festa,
nonostante il freddo pungente e la neve caduta in abbondanza, verso il monte Cocci nel
sito in cui erano stati eretti i primi muri del Complesso. Non trovando peraltro alcuna lapide
inserita nel muro restarono in un primo momento ammutoliti e poi cominciarono a
discutere su come fare per ritrovarla. Della cosa investirono il cappellano D. Capriotti dato
che non era per loro credibile che egli non sapesse nulla della scomparsa della lapide
sollecitandolo a soddisfare il loro desiderio di vederla e leggerla. D. Capriotti si trovò
costretto ad indicare dave tale lapide era stata occultata. Una volta che la ebbero in mano
con indicibile giubilo e festa la portarono ad Offida, quasi fosse un trofeo di guerra. Il
Priore Cipolletti cercò di contenere l’ignoranza su cui poggiava quell’entusiasmo ma non
riuscì ad evitare che i caporioni di quella moltitudine insistettero perché quella lapide fosse
riposta, a futura memoria nell’archivio del Comune.
Dopo questo incidente il Cappellano di S. Basso si mosse con molta prudenza e nel 1795
chiese al Vicario Capitolare di poter allestire come oratorio il piccolo vano destinato ad
essere la sagrestia della chiesa nel progetto iniziale onde poter in esso celebrare la
messa. Il Vicario Capitolare girò questa richiesta alla S. Congregazione del Concilio che in
proposito chiese di avere il relativo consenso degli interessati. In conseguenza di ciò il
Vicario, reputando che gli interessati dovessero essere i Canonici offidani, sollecitò il
consenso di questi. Per la storia della Cura di S. Basso va rilevato che tale consenso fu
negato. Non solo, sempre nel 1795 i Cappellani di S. Lazzaro e S. Venanzo, unitamente al
Vicario di S. Maria, chiamarono formalmente in giudizio il Cappellano Curato di S. Basso
per il pagamento del loro assegno. Questi considerando che non aveva più la protezione
che in precedenza aveva avuto da parte del vescovo Leonardi e che grave sarebbe stato il
103
dispendio delle sue energie nell’impegnarsi in una lite, mentre i suoi contestari erano
sostenuti dal Capitolo, credé bene aderire alla richiesta di pagamento.
104
16. 1796 : IL CARDINALE ARCHETTI ELETTO VESCOVO DI ASCOLI. RIPRESA
DELLA COSTRUZIONE DELLA CHIESA
Le cose continuarono ad andare avanti in tal modo fino alla metà del 1796 allorché fu
eletto nuovo vescovo il cardinale Giovanni Andrea Archetti di Brescia, Legato di Perugia,
che fece la sua prima visita ad Offida nel giugno dello stesso anno. Al suo seguito era, tra
gli altri, il canonico D. Filippo Ambrosi nella qualifica di Vicario Generale della Diocesi:
questo nel 1782 aveva accompagnato ad Offida Mons. Leonardi fornendo un importante
contributo alla definizione della procedura per l’assegnazione del beneficio di S. Filippo ed
Angelo alla Cura di S. Basso. Memore di ciò e dei decreti emessi in proposito dal vescovo
Leonardi, D. Ambrosi rilevò con grande disappunto che l’opera allora intrapresa, in
particolare la costruzione della chiesa, non fosse giunta a conclusione. Tutto ciò egli
sottopose all’attenzione del cardinale Archetti che immediatamente si rese conto della
situazione comprendendo come l’attuale residenza del cappellano rendeva molto
difficoltosa l’opera di questo per la mancanza di una Chiesa contigua. Egli pertanto emise
immediatamente un decreto in cui ordinava l’immediata ripresa della costruzione della
chiesa che voleva fosse finita entro 2 anni. Di fronte alla necessità di reperire per i lavori
altri fondi, valutati approssimativamente in 150 scudi, autorizzò contestualmente
l’abbattimento di un certo numero di alberi perché la Cura potesse subito disporre di legna
da vendere e l’effettuazione di una questua straordinaria tra la popolazione della contrada
per reperire almeno 20 scudi. Un ulteriore importo di 80 scudi il vescovo Archetti autorizzò
che si prelevasse dalla rendita del beneficio di S. Filippo ed Angelo mentre una ultima
aliquota di denaro fu da esso indicata nel recupero, per il biennio a venire, nella rinnovata
sospensione degli assegni del cappellano di S. Basso ai cappellani delle altre due cure ed
a quello della Collegiata. Come era da attendersi tale Decreto vescovile suscitò la
reazione degli altri cappellani che presentarono reclamo al Capitolo. All’interno di questo,
riunitosi il 31 ottobre, sembrò emergere l’idea di presentare in proposito al vescovo
Archetti un promemoria con la richiesta di revocare il Decreto. Ancora una volta, anche in
questa circostanza, assunse importanza l’equilibrio e la prudenza del priore Cipolletti, che
a fronte di tale idea fece presente che sarebbe stato più corretto che prima di chiedere al
vescovo la revoca di quel Decreto, si riesaminassero tutti i termini della storia soprattutto
da parte di chi, all’interno del Capitolo, poteva esserne in completa disconoscenza. Il
consiglio del priore Cipolletti fu comunque disatteso perché un promemoria fu inviato al
vescovo Archetti con la preghiera di ritirare il decreto da lui emesso. Il porporato peraltro,
105
già legato a Perugia e di grande esperienza, fece intendere al Capitolo ch’egli non era
solito ritrattare quanto aveva stabilito con piena maturità di consiglio. Questa risposta
liberò il povero cappellano di S. Basso dai fastidi che gli provocavano quanti erano ancora
contrari alla costruzione della nuova chiesa sul monte Cocci ed egli poté presto rimetter
mano ai lavori. Nel novembre del 1796 dunque sulle fondamenta già gettate da D. Tilli
cominciarono a sorgere le mura della Chiesa secondo il disegno del famoso architetto
Maggi. La popolazione della contrada ne trasse grande sollievo, essendo stata tante volte
delusa nelle sue aspettative, ma la carenza di denaro, nonostante le indicazioni date in
proposito dal vescovo, faceva procedere con molta lentezza i lavori che venivano
continuamente sospesi sì che parve presto che non sarebbe stato possibile completarli
entro due anni secondo le disposizione vescovili. In conseguenza di ciò nel gennaio 1798
il cappellano Capriotti, non potendo spesso recarsi a dir messa nella chiesa di S. Basso
nella stagione invernale per la distanza e per lo stato delle strade, chiese ed ottenne
facoltà dal vescovo Archetti di poter celebrare messa nel vano già realizzato sul monte
Cocci accanto alla sua dimora ed adibito a sagrestia. Il 30 gennaio 1798 in tale vano il
priore Cipolletti celebrò la prima messa.
Come già detto, era stato previsto che 150 scudi sarebbero stati sufficienti per concludere
i lavori ma con il passar del tempo si palesò l’insufficienza di tale previsione dato che
nell’anno 1800 le mura della chiesa erano appena arrivate sino all’altezza del cornicione. I
nostri lettori si presume che siano al corrente delle condizioni del nostro territorio in quegli
anni con i disordini generati dalla presenza delle truppe napoleoniche e le conseguenti
carestia, rincaro dei prezzi, scarsezza di denaro, sfiducia pubblica. Oltre a ciò quell’anno
fu poverissimo degli ordinari prodotti sì che si aveva a pagare il doppio per ogni derrata
essendo, come detto, cresciuto il costo della mano d’opera, dei carriaggi e di ogni cosa :
non deve pertanto meravigliare che al cappellano di S. Basso mancarono i mezzi per
proseguire e concludere i lavori.
106
17. VENDITA DI ALTRI DUE TERRENI DELLA CURA PER REPERIRE ALTRI FONDI
Nonostante le difficoltà di cui si è detto in precedenza l’impegno a costruire la chiesa sul
monte Cocci persisteva per cui, a fronte della persistente penuria di denaro disponibile per
la Cura si rinnovò l’idea di vendere altri due terreni. Di ciò, dopo aver scelto un terreno da
alienare in Contrada S. Barnaba ed un altro in Contrada Ponticello, secondo la procedura,
si avanzò una specifica richiesta alla Congregazione del Concilio. Secondo perizie fatte
legalmente redigere il valore complessivo di tali terreni era di 438:75 scudi ed in proposito
si constatò che molti vicini possidenti erano disposti ad acquistarli ed a corrispondere le
rendite dei loro valori fino a che il prezzo pagato non fosse reinvestito dalla Cura. A
seguito della richiesta la Congregazione diede il suo beneplacito alla vendita e dopo
l’indizione di una gara la stessa Congregazione approvò l’aggiudicazione di tali terreni al
sig. Paolo Marini che aveva presentato un’offerta di 730 scudi (in moneta metallica). Come
era già accaduto in circostanze analoghe il cappellano chiese di poter utilizzare per
migliorie rispetto a quanto previsto nel progetto originale la differenza tra l’importo offerto
in gara dall’aggiudicatario ed il valore stimato. A tale ulteriore richiesta la Congregazione
accondiscese imponendo però che tale sopravanzo fosse primieramente impiegato per
l’estinzione del prestito di 50 scudi aperto, come si ricorderà, da D. Tilli mediante un
deposito annuo di 10 scudi presso il Monte di Pietà. Il 30 dicembre 1801 presso il notaio
Antonio Tacconi di Offida si procedette pertanto alla stipula di un contratto di vendita dei
due terreni sopraddetti a favore di Paolo Marini per la somma di scudi 905:33:2 in moneta
erosa (importo equivalente all’offerta espressa in moneta metallica). Nello stesso atto fu
inserito il passaggio di proprietà degli stessi terreni dal sig. Paolo Marini al sig. Paolo
Cipolletti. La somma di 905:33:2 scudi fu così utilizzata: 1) 500 scudi furono impiegati in
due investimenti : uno di 400 scudi mediante un prestito (censo) alla fabbrica della Chiesa
Collegiata (in ragione del 5 % annuo) ed uno di 100 scudi alla fabbrica del nuovo
Ospedale di S. Antonio Abbate (in ragione del 5,50 % annuo). Tali investimenti furono
effettuati mediante cessione di cedole e tenuto conto di quanto disposto per legge dal
generale Naselli essi furono soggetti alla riduzione del 15 % (85 scudi per ogni 100 scudi
investiti). Si riscontrò però che i Deputati gestori della Fabbrica Collegiata ebbero un
rapido ripensamento sulla cosa e chiesero di estinguere subito il loro debito restituendo
alla Cura 340 scudi il 3 ottobre 1803. L’importo suddetto fu passato in prestito al
Monastero di S. Marco di Ascoli (in ragione del 7 % annuo).
107
2) 50 scudi furono depositati dalla Cura presso il Monte di Pietà per estinguere il prestito
erogato dalla Cappellania Ferri. Per ragioni che non si conoscono, accadde però che il
creditore in questione (la Cappellania Ferri) non accettò di estinguere il suo credito. La
cosa fu sistemata molto tempo dopo.
3) 335:33:2 scudi furono trattenuti dalla Cura di S. Basso per i lavori in essere.
L’instabilità economica connessa con la instabilità politica e militare del periodo portò ad
un progressivo degrado del valore della moneta non metallica. D. Capriotti a fronte
dell’onere ancora da sostenere per il completamento dei lavori chiese alla S.
Congregazione del Concilio la riduzione del valore di quest’ultimo importo. A tale richiesta
la suddetta S. Congregazione rispose affermativamente (10 marzo 1804) per cui l’importo
di 335:33:2 scudi fu ridimensionato in 236:88:3 scudi e l’importo di 10 scudi da depositarsi
ogni anno al Monte di Pietà fu ridimensionato in 6:66:3 scudi.
La S. Congregazione del Concilio non fece peraltro parola sulla riduzione del debito di 50
scudi.
D. Capriotti in grandi difficoltà ma restando nel fermo proposito di portare a compimento la
costruzione della chiesa pregò il cardinale Archetti di permettergli l’alienazione di un altro
piccolo orticello e l’abbattimento di due querce nel predio in Contr. S. Lazzaro. Ne risultò
un rescritto del vescovo che consentì la vendita dell’orto suddetto al prezzo di 8:25 scudi e
la vendita del legname delle due querce al prezzo di 11:50 scudi. Pochi denari che
peraltro, uniti a quanto ancora resta consentirono nella estate del 1804 di costruire nella
Chiesa la volta incannucciata, l’altare maggiore, ed il pavimento. A quel punto il
cappellano D. Capriotti rese noto il rendiconto delle spese fino a quel punto sostenute
mostrando che egli era creditore di 51:41 scudi. Tale credito il Vescovo dispose che il
pagamento mediante una questua nel territorio della Cura.
108
18. INAUGURAZIONE DELLA CHIESA (10 SETTEMBRE 1805)
Il 10 settembre 1805, giorno sacro al gran taumaturgo di Tolentino, la nuova chiesa fu
benedetta ed aperta al culto con indicibile soddisfazione e gioia della gente della
Contrada. Erano passati ben 12 anni 6 mesi e 11 giorni da quando erano state gettate le
fondamenta dell’opera.
Sin dalla sera che precedette quel giorno la Contrada era tutta in agitazione e la gente non
parlava d’altro dato che si rendeva conto come d’ora innanzi avrebbe avuto il luogo sacro
dove raccogliersi per pregare, celebrare feste, seppellire i cari che se andavano. Si lodava
il cappellano, si esaltava il suo zelo e si rammentavano le fatiche che aveva dovuto
sostenere per portare a termine i lavori. Erano in tanti attorno a lui quella sera per
manifestargli gratitudine ed esso mostrava di essere felice per la dimostrazione di tanto
sincero affetto anche se, di tratto in tratto, sia pure sorridendo, ricordava a qualcuno le
parolette acerbe nei suoi confronti che pure aveva dovuto udire quando questuava per
raccogliere aiuti per i lavori di una fabbrica che non sembrava avesse termine.
Ora, quasi liberandosi di un peso, egli poteva finalmente dire :
- Vedete miei cari che il vostro Cappellano diceva il vero quando affermava che alla fine ce
l’avremmo fatta? La Chiesa è finita, la vedete? Eh! Si fa presto a fare i disegni ma mettere
mattone su mattone è altra cosa! Bisognerebbe che voi sapeste leggere per capire, dai
documenti in sacrestia, quanto sono state pesanti le spese fatte e che problemi ha dovuto
risolvere il cappellano di cui vi lamentavate dicendo anche che non si impegnava come
avrebbe dovuto! Comunque io vi dico che non basta aver costruito la Chiesa. Ora bisogna
onorarla e frequentarla. Come sapete da Offida domani erranno molti sacerdoti che
potranno confessarvi sì che, insieme alle vostre donne che dispenserete dai lavori della
casa, potrete accostarvi ai Sacramenti. Anche i vostri servitori fate in modo che siano
presenti perché domani dovrà esser per tutti giorno di festa! Così il cappellano aumentò il loro entusiasmo sì che tutti tornarono alle loro case,
aspettando con impazienza la prima luce dell’indomani.
La mattina del 10 settembre, destatisi di buon tempo, da Offida partivano su umili
cavalcature per benedire ed officiar per la prima volta la nuova Chiesa della Contrada
Ciafone molti ecclesiastici. Erano il Priore Cipolletti, i canonici D. Curti, D. Cocci, il D.
Forlini, D. Tozzi, ed il curato di S. Martino ex cappellano di S. Basso D. Biagio Tilli.
Il priore Cipolletti a fronte del tempo non breve necessario per giungere sul monte Cocci,
piacendogli tener allegra la brigata, con la grazia e con l’arguzia a lui proprie andava di
tratto in tratto motteggiando D. Tilli, chiedendogli se era vero che egli fosse venuto dal
109
Regno di Napoli, e se era da pensare che egli fosse giunto dalle parti di Offida per vedere
dove e come qualche suo amico lazzarone avrebbe poi potuto acquisire l’immunità
ecclesiastica.
Questi motteggi facevano esplodere grasse risate da tutta la compagnia compreso il
canonico Tozzi che in precedenza si era mostrato contrario all’operato di D. Tilli ed alla
costruzione della nuova chiesa sul monte Cocci. La contentezza che dimostravano tutti
non era peraltro tale da sopprimere nell’animo di ciascuno l’angoscia che nasceva dal
constatare la durezza dei tempi che tutti stavano vivendo e che in quei religiosi non poteva
non essere vista come una conseguenza dei disordini già portati dalla sciagurata
Repubblica di Francia causa sicura di nuove persecuzioni per il clero. La fede sembrava
venir mancando e con essa sembrava venir meno anche la devozione per il Pontefice.
Presi da questi pensieri che si erano sovrapposti ai motteggi di poco prima, varcato il colle
S. Martino, si accorsero all’improvviso che i campagnoli del Ciafone erano andati loro
incontro facendo fuoco, in segno di festoso saluto, con i loro archibugi. Ciò procurò
commozione negli animi di quei venerabili religiosi sì che a non pochi di loro delle lacrime
affiorarono dagli occhi.
- Siate benedetti! – esclamò allora il venerando priore Cipolletti – Siate benedetti se
saprete mantenere così calda e viva la vostra fiducia nei sacerdoti di Dio! –
Accompagnati da quei campagnoli essi giunsero così alla nuova chiesa ed entrati tutti in
essa, mentre il popolo accorreva in folla da ogni banda, dopo lo scambio di saluti con il
cappellano iniziarono le invocazioni e le preci per il sacro rito della Benedizione,.
A D. Tilli, che era stato il primo cappellano che aveva gettata la prima pietra dell’opera, fu
data l’onore di benedirla. Avvolto in ricco piviale laminato d’argento ed assistito da due altri
ecclesiastici compì il rito con quella emozione che il lettore potrà facilmente indovinare.
La Chiesa fu posta sotto il titolo ed invocazione di S. Filippo Neri, a cagione del Pio
Beneficio che ad essa era stato assegnato. Quindi i sacerdoti si posero nei confessionali
dove rimasero fino a mattina ben inoltrata, non essendovi stato quasi nessuno, che quel
giorno speciale non si accostasse a ricevere il Sacramento eucaristico per render grazia a
Dio dell’immenso dono che la popolazione riceveva.
Il Priore Cipolletti cantò la prima Messa, durante la quale gli altri sacerdoti fecero in coro
echeggiare la volta del tempio con la solenne melodia di un canto gregoriano. Alla
elevazione dell’ostia una salva di colpi di pistola e di archibugi rimarcò ancor più la maestà
del rito. La devozione che dimostrava la gente era tale che il cappellano Capriotti credé
doveroso celebrare anch’egli un’altra messa. Dopo di ché i già stanchi ecclesiastici furono
condotti nella contigua abitazione per un festoso banchetto.
110
D. Capriotti aveva predisposto le cose in modo che fosse imbandita una bella tavola con le
migliori vivande.
Ilare e festosa fu la mensa : leggiadri e lepidi motti or dell’uno or dell’altro alimentavano
l’allegria dei convitati e ci fu uno di questi che, ridendo, disse che quel giorno era degno di
essere tramandato alla memoria dei posteri con una lapide se non fosse a conoscenza di
tutta la contrada del Ciafone quanto poco affidabile fosse, in tema di lapidi, la custodia che
avrebbe potuto farne D. Capriotti. All’arrivo in tavola di un vassoio colmo di succulenti
maccheroni ci fu un altro che rilevò, anch’esso ridendo, che nessuno avrebbe potuto non
riconoscere che in quel sito aveva soggiornato gente napoletana che in cambio
dell’immunità che vi trovò aveva lasciato alla Contrada Forola l’arte di lavorare così
eccellenti maccheroni. Ci fu uno scoppio di risa sapendo a chi alludeva quel motteggio.
Spiace di non poter qui riportare nessuno dei versi estemporanei, che in tale occasione
sciorinò la fervida immaginazione del canonico Forlini che ebbe sempre fama di poeta.
Terminato il desinare dato che il nascente autunno offriva una temperata e gradevole
giornata di sole tutta la compagnia si mosse ad ammirare i terreni della Cura che
apparvero meravigliosamente tenuti dal cappellano.
Così fattasi l’ora del vespro i canonici cominciarono a prendere commiato dal cappellano.
Essi furono poi accompagnati per lungo tratto di strada da molta gente della contrada
mentre gli altri restati nei pressi della chiesa ebbero modo di salutarli a lungo con salve di
archibugio e fuochi artificiali alla luce dei quali nuove voci di giubilo si levavano dalle
campagne e dai casali dove andavano raccogliendosi le famiglie dei campagnoli.
Corre voce che gli abitanti delle contrade vicine che erano accorsi per la festa che era
stata da giorni annunciata mostrarono invidia per la fortunata sorte degli abitanti del
Ciafone, che avevano a quel punto Chiesa e Cappellano residente. Chi scrive fa voti
perché presto anche quelle genti possano avere residenti fra loro dei cappellani.
111
APPENDICE
 La figura del cardinale Giovanni Andrea Archetti
 La delegazione apostolica di Ascoli
 La insorgenza nelle Marche
 Cappellani vicari e primo parroco nella cura di S.Basso
 Problematiche economiche connesse con la costruzione del nuovo
complesso nella Contrada Ciafone ad Offida
 Note esplicative
112
LA FIGURA DEL CARDINALE GIOVANNI ANDREA ARCHETTI
Nacque a Brescia l'11 sett. 1731 da Pietro e da Paola Giroldi. La famiglia, di
ricchi mercanti, in seguito all'acquisto del feudo di Formigara nel distretto di
Cremona, presso Pizzighettone, otteneva nel 1743 dall'imperatrice Maria
Teresa il titolo di marchesi di Formigara e baroni del S.R.I.
Notizie sugli studi e la carriera dell'Archetti si ricavano dal processo
informativo del 6 sett. 1775, intentato in occasione della nomina ad
arcivescovo titolare, di Calcedonia (Arch. Segreto Vaticano, Processus
Datariae, vol. 152, ff. 366-380). L'Archetti si era laureato il 16 maggio 1754 a
Roma, nell'archiginnasio della Sapienza, in diritto canonico e civile. Iniziata
subito dopo la carriera ecclesiastica - benché venisse ordinato sacerdote
soltanto il 10 sett. 1775 - aveva coperto importanti cariche nella curia e
nell'amministrazione dello Stato pontificio. Nel 1756 era stato nominato da
Benedetto XIV vicelegato di Bologna. Il 23 nov. 1759 era divenuto ponente
della S. Congregazione della Consulta, arrivando però a Roma, per occupare
la sua nuova carica, solo il 20 nov. 1760 (ibid., Sacri Palazzi Apostolici,
Ammissione nel ruolo dei partecipanti,1761, n. 6). Della Consulta fece parte
per quindici anni, diventandone infine prosegretario. Fu anche consultore
della S. Congregazione dei Riti e protonotario apostolico del numero dei
partecipanti, dei quali divenne anche decano. Di questa attività, tuttavia, non
conosciamo particolari: si sa soltanto che il 16 agosto 1773 fu l'Archetti a
promulgare il breve dì soppressione dei gesuiti nel Collegio Germanico della
Compagnia, che si trovava allora nell'Apollinare.
Il 31 ott. 1775 fu nominato nunzio in Polonia, dove giunse, già col titolo di
arcivescovo di Calcedonia, verso la metà dell'aprile 1776, succedendo nella
carica a mons. G. Garampi, trasferito a Vienna. Il 29 aprile presentò le sue
credenziali al re in Varsavia. La Dieta polacca aveva svolto un'attività intensa,
concernente non soltanto lo Stato ma anche la Chiesa. Durante la sua lunga
113
nunziatura l'Archetti fu non solo attento spettatore degli eventi, ma anche
partecipe, facendo ogni sforzo per far valere i principi e gli interessi della
Chiesa. Tentò di esercitare la sua influenza - anche di fronte alla
Commissione dell'educazione nazionale, presieduta dal vescovo di Plosko,
fratello
del
re
di
Polonia
-
particolarmente
nei
dibattiti
relativi
all'insegnamento, ai beni della soppressa Compagnia di Gesù e alla
sostituzione delle loro scuole. L'Archetti impedì anche la soppressione
dell'ordine del S. Sepolcro, voluta dalla Commissione per far usufruire dei
beni dell'ordine l'università di Cracovia.
Lo smembramento della Polonia aveva determinato una difficile situazione
locale per la Chiesa: le nuove frontiere tagliavano spesso in due le diocesi,
creando difficoltà logistiche e d'apostolato. Il compito del nunzio implicava
così anche importanti negoziati con il governo della Prussia e soprattutto con
quello della Russia, sotto il cui dominio erano passati i cattolici uniati
dell'Ucraina e della Lituania, considerati dagli ortodossi come dei rinnegati, e
perciò vessati e costretti all'apostasia. L'Archetti doveva ottenere anche la
pubblicazione del breve di scioglimento della Compagnia di Gesù in Prussia e
nella Russia, dove i gesuiti, godendo dell'appoggio dei sovrani per i servizi
resi come insegnanti, avevano continuato la loro attività, e in Russia anzi
avevano eletto un loro generale. Dopo molte trattative l'Archetti raggiunse il
suo scopo nella Prussia, nel 1780, mentre Caterina II non permetteva la
soppressione dell'ordine, lo metteva sotto la protezione di Stanislao
Siestrzencewicz, sua creatura, che voleva far diventare il capo dei cattolici
dei suoi Stati, nominandolo all'arcivescovato di Mohylów, eretto da lei stessa
nel 1782. Nel novembre di quell'anno la questione dei gesuiti era ancora
aperta; l'Archetti riceveva nel frattempo da Caterina II la richiesta del pallio
per l'arcivescovo di Mohylów, e la consacrazione dei coadiutore Benistawski
a vescovo ausiliario.
114
L'affare Siestrzencewicz costituì un grave e complesso problema per la Santa
Sede. Pio VI inviò l'Archetti nell'aprile 1783in missione speciale in Russia:
partito da Varsavia il 14 giugno, egli arrivò a Pietroburgo il 4 luglio, dove
venne ricevuto con grande onore. In quella città il 18 ottobre 1783 consacrò
la prima chiesa cattolica. Il 18 gennaio 1784 il Siestrzencewicz ricevette il
pallio dall' Archetti, e il 6 febbraio venne consacrato vescovo ausiliario il suo
coadiutore Benisùawski. Riprese le trattative sui gesuiti, senza nulla riuscire a
concludere per la tattica defatigatoria del primate e della stessa zarina; l'
Archetti si conquistò però il favore di questa, che richiese per lui il cappello di
cardinale. Nel maggio, giunse la notizia della nomina e del richiamo.
Le lunghe trattative condotte dall' Archetti per regolarizzare la situazione
ecclesiastica in Russia, anche se non risolsero molti importanti problemi, pure
fecero della sua nunziatura una tappa importante nei negoziati diplomatici fra
Santa Sede e Russia. Sulla nunziatura dell' Archetti in Russia esiste una
lunga relazione coeva, per molto tempo attribuita erroneamente allo stesso
Archetti. L'autore è invece mons. Gioacchino Tosi (cfr. J. Gagarin, Les
Jésuites de Russie 1772-1785; Un Nonce du Pape à la Cour de Catherine II,
Mémoires d'Archetti, Paris-Bruxelles 1872; W. Kratz, Wer ist der Verfasser
der Memoiren über die Legation Archettis,in Archivum Hist. Soc. Jesu,XV
[1946], pp. 155-159).
L' Archetti lasciò Pietroburgo il 13 giugno 1784, e venne creato cardinale
prete del titolo di S. Eusebio il 20 settembre dello stesso anno. il berretto
cardinalizio glielo impose il re di Polonia Stanislao Poniatowski il 24 ottobre, a
Grodno. Lasciata la Polonia alla fine dei novembre 1784, ritornò in Italia
passando per Dresda, Praga e Vienna. Il 25 genn. 1785 si fermò a Brescia,
sua città natale, dove venne accolto con grande solennità: il 2 aprile la sua
famiglia era aggregata alla nobiltà bresciana, secondo il desiderio espresso
dallo stesso Archetti nella lettera con cui comunicava, ancora dalla Polonia, la
sua promozione alla sacra porpora.
115
Ritornato a Roma il 7 giugno 1785, il 27 dello stesso mese venne nominato
legato a latere a Bologna, dove arrivò il 17 settembre, come risulta dalla sua
prima relazione (Arch. Segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Bologna, vol.
126, f. 90).
La situazione che l' Archetti trovò nella nuova sede era particolarmente
difficile, per i vivaci contrasti sorti intorno al piano economico-amministrativo
di Pio VI e del cardinale Boncompagni, predecessore dell' Archetti e poi
segretario di stato. Il piano - che tentava da una parte di introdurre uniformità
amministrativa e dall'altra di creare un equilibrio tributario in tutto lo Stato favoriva chiaramente, di fronte all'aristocrazia bolognese, il popolo minuto, gli
agricoltori, che formavano la maggioranza della popolazione locale. Essa fu
troncata a seguito di una lunga lotta tra il senato di Bologna e il governo
pontificio, cui pose termine solo l'entrata dei Francesi a Bologna nel 1796.
Questi contrasti occuparono tutto il periodo della legazione dell' Archetti, ma il
suo atteggiamento, la sua linea d'azione di fronte alla opposizione dei
Bolognesi sono un problema ancora non chiarito dagli studi. L' Archetti era,
questo è certo, favorevole al piano Boncompagni, che voleva però attuare
gradualmente, tentando di conciliare punti di vista e interessi opposti,
condannando e isolando il "falso zelo di quei pochi cittadini e senatori".
Il 28 maggio 1795 l' Archetti fu nominato vescovo di Ascoli Piceno. Vi giunse
ai primi di ottobre e resse la diocesi per un decennio, fino alla morte. Gli
avvenimenti politici non gli consentirono né un governo tranquillo né una
presenza continua nella diocesi, tuttavia si sforzò di incrementarvi sia la vita
religiosa, sia un miglioramento economico. Negli anni 1797-1799 ebbe per
vicario generale il prevosto della cattedrale di Cingoli, Francesco Saverio
Castiglioni, il futuro Pio VIII. Il 18 marzo 1798 il comandante francese di
Macerata lo fece condurre a Roma, donde il 22 marzo venne trasferito,
insieme con altri cardinali, a Civitavecchia nel convento dei domenicani;
rimase prigioniero per poco tempo, ma non poté ritornare nella diocesi di
116
Ascoli. Andò così prima a Gaeta, poi a Napoli, al cui Regno apparteneva una
parte della sua diocesi. Morto Pio VI il 29 ag. 1799, prigioniero a Valence in
Francia, l'Archetti prese parte al conclave, che si riunì a Venezia, dove giunse
ai primi di ottobre. Durante il lungo conclave (1 dic. 1799 - 14 marzo 1800) l'
Archetti, che sosteneva la candidatura del cardinale Mattei arcivescovo di
Ferrara, di fronte al cardinale Bellisomi vescovo di Cesena, fu anch'esso tra i
proposti.
Fra i primi atti del nuovo papa, Pio VII, fu la promozione dell' Archetti a
cardinale vescovo di Sabina (2 apr. 1800), il che non impedì all' Archetti di
conservare anche l'amministrazione della diocesi di Ascoli Piceno, dove
rientrò dopo aver accompagnato Pio VII da Venezia a Roma. Nel giugno
1805 si recò a Brescia, per sistemare alcuni affari domestici ed ancora vi si
trovava quando venne nominato da Napoleone, con cui s'incontrò a Brescia,
al vescovato della città, rimasto vacante, per la morte di mons. Nani, sin dal
23 ott. 1804. L' Archetti però non accettò la nomina.
Tra i biografi dell' Archetti, il Guerrini attribuisce all' Archetti il desiderio di
ottenere il vescovato della città natale, ma la corrispondenza svolta in
proposito a questa nomina tra l' Archetti e il card. Consalvi, segretario di stato
(Arch. Segreto Vaticano, Cardinali, 1805 mi. 174-176, 197), mostra il
contrario. Secondo questa fonte l' Archetti ricusò la nuova carica sia per la
grave età, sia perché non gli era sfuggita la precaria situazione finanziaria
della diocesi bresciana: aveva perciò condizionato l'accettazione al
miglioramento della mensa vescovile e, tardando ad avere assicurazioni,
preferì tornare ad Ascoli.
Partì da Brescia il 20 sett. 1805 ed arrivò ad Ascoli il 30 dello stesso mese;
poco dopo il ritorno si ammalò, e morì il 5 nov. 1805 per essere sepolto nella
cattedrale.
117
LA DELEGAZIONE APOSTOLICA DI ASCOLI
La delegazione apostolica di Ascoli fu una suddivisione amministrativa dello
Stato Pontificio, istituita nel 1816 da Pio VII nel territorio delle Marche. Nella
sua conformazione definitiva (1831) confinava a nord con le delegazioni di
Fermo, Macerata, Camerino, a ovest con la delegazione di Spoleto e a sud
con il Regno delle Due Sicilie.
Origini e istituzione
Nel contesto del riordino territoriale voluto da Pio VII dopo la Restaurazione
(1816) la delegazione di Ascoli riunì il territorio dell'antico Comitato Ascolano
(Stato di Ascoli) e del Presidiato Sistino di Montalto (Stato di Montalto). Fin
dal principio essa fu suddivisa in due distretti che facevano capo
rispettivamente ad Ascoli e a Montalto. L’editto del Segretario di Stato,
emesso nel 1817, modificò i confini della provincia, disponendo una cessione
di comuni alla delegazione di Fermo ma al contempo anche due importanti
annessioni: quella di Arquata dalla delegazione di Spoleto e quella di
Amandola dalla delegazione di Macerata.
Dati demografici
La delegazione di Ascoli aveva 69.058 abitanti nel 1816 e 78.946 nel 1833. Il
capoluogo contava 12.351 abitanti nel 1816 e 11.993 nel 1833.
118
Suddivisione amministrativa (1816)
Delegazione Distretto
Ascoli
Ascoli
Governo
Comunità
Ascoli
Ascoli, Casalena, Castel Trosino, Montadamo,
Morignano, Venagrande, Vena Piccola
Acquasanta
Acquasanta, Arli, Arola, Cagnano, Capodirigo, Falciano,
Farno, Favalanciata, Forcella, Fleno, Luco, Matera,
Montacuto, Montecalvo, Morrice, Novele, Paggese,
Peracchia, Piedicava, Pietralta, Quintodecimo, Rocca di
Montecalvo, Rocchetta, San Giovanni, San Gregorio,
San Martino, San Pietro d'Arli, Santa Maria, San Vito,
Tallacano, Torre, Valle d'Acqua, Venamartello
Ancorano
Ancarano, Maltignano
Appianano
Appignano, Castiglioni, Ripaberarda
Capradosso
Capradosso, Castel di Croce, Montemoro, Poggio
Canoso, Polesio, Porchiano
Castorano
Castorano, Colli, Lama, Pescolla
Comunanza
Castelfiorito, Castel San Pietro, Cerqueto, Comunanza,
Gerosa, Gesso, Illice, Palmiano, Pizzorullo, Quinzano,
Vindola
Folignano
Castel Folignano, Folignano, Lisciano
119
Monteprandone Monteprandone
Monsampolo
Monsampolo
Mozzano
Agelli, Bovecchia, Colle, Collina, Funti, Gaico,
Giustimana, Marsia, Meschia, Mozzano, Osoli,
Pantorano, Pastina, Pedana, Pesaturo, Pescolla, Rocca
Casaregnana, Roccareonile, Ronciglione, Scalelle,
Taverna di Mezzo
Spinetoli
Pagliare, Spinetoli
Venarotta
Capodipiano, Casacagnano, Cepparano, Cerreto,
Gimigliano, Monsampietro, Olibra, Poggio Anzù, Portella,
Valcinante, Vallorano, Venarotta
Castignano
Castignano
Cossignano
Cossignano
Force
Force
Montalto
Montalto, Montedinove, Patrignone, Porchia
Montefiore
Montefiore
Montefortino
Montefortino, Montemonaco
Montegallo
Montegallo
Montelparo
Montelparo
Montalto
Monterubbiano Monterubbiano
Affida
Offida
120
Ripatransone
Ripatransone
Rotella
Rotella
Santa Vittoria
Santa Vittoria
121
LA INSORGENZA NELLE MARCHE
Va premesso che il fenomeno della “insorgenza” popolare che si manifestò in diverse aree dello Stato
Pontificio negli anni 1797 e 1798 non appare collegabile in senso stretto con gli episodi che
nell’Ascolano videro protagoniste le bande di Sciabolone e di De Donatis. Queste sono classificabili
come bande di “briganti” con principali fini di rapina piuttosto che di resistenza alle truppe francesi e
l’enorme numero dei componenti che le caratterizzava (anche diverse centinaia) le mostra adatte ad
azioni di forza come la presa di Acquaviva piuttosto che a contributi di difesa di luoghi legati
all’affezione popolare nei diversi centri urbani.
Detto ciò va anche detto che nel settembre del 1796 il governo pontificio aveva dato il via
all’organizzazione di alcuni corpi armati, che proseguì fino al febbraio del 1797. L’iniziativa, che
prevedeva per alcuni territori addirittura una sorta di coscrizione generale, fu affetto da carenze che la
battaglia del Senio doveva mettere in luce. Non si deve peraltro tacere su molteplici esempi di
animazione popolare e su una spontanea adesione di giovani di famiglie nobili all’arruolamento nelle
forze armate pontificie presupposti ambedue che furono alla base di una spontanea “insorgenza”
popolare (che nulla aveva in comune con quanto avrebbe alimentato il formarsi di bande di briganti).
Per quanto riguarda le Marche gli insorgenti accettarono ad un certo punto la direzione del generale
Giuseppe Lahoz Ortiz (proveniente dalle truppe cisalpine dopo un radicale cambiamento di posizione e
la cui figura meriterebbe una analisi particolare) che nel 1799 seppe indicare una organizzazione
militare di qualche efficacia.
Dopo la battaglia del Senio, i francesi e i cispadani occuparono rapidamente le principali città
marchigiane della costa e dell’immediato entroterra: il controllo effettivo non superò peraltro la zona tra
il Maceratese ed il Fermano. Come già detto le truppe francesi erano poco numerose, e quelle
cispadane erano anche carenti di equipaggiamenti essenziali: questi aspetti, insieme alla latente
preoccupazioni che Mantova, capitolata il 1° febbraio, potesse essere oggetto di tentativi di riconquista
da parte degli imperiali, spiegano le scelte del generale di non attaccare Roma, come desiderava il
Direttorio, né di estendere il controllo a un territorio più ampio, ma di fare un rapido ritorno al fronte
settentrionale, dopo avere imposto al Papa il trattato di Tolentino. Da una parte infatti questo
permetteva a Bonaparte di ottenere (oltre alle opere d’arte da inviare a Parigi) i sussidi necessari alla
guerra, dall’altra, come lo stesso Bonaparte prospettava al Direttorio, lo Stato Pontificio, era stato a tal
punto indebolito dal trattato (che tra l’altro prevedeva il controllo militare, che divenne poi politico, di
Ancona) che sarebbe stato facile conquistarlo tutto successivamente (come avvenne esattamente un
anno dopo con la presa di Roma).
I moti nelle Marche scoppiarono nel giorni immediatamente successivi al trattato di Tolentino. Ci furono
anche alcuni episodi precedenti il 19 febbraio, ma la sollevazione generale si verificò quasi ovunque
con l’arrivo dei commissari francesi nelle città e nei paesi dell’entroterra con l’ordine dei comandi militari
di compiere la requisizione di armi, di vettovaglie e di ogni altro genere necessario alle truppe, oltre che
delle opere preziose da inviare a Parigi.
122
Un esempio: da Urbino in un solo giorno — il 22 febbraio — partirono 80 carri carichi di bottino, 100
buoi e 50 cavalli con il commento che segue di un cronista locale : «È con un senso di grande cordoglio
e di indignazione che il popolo assisté allo spettacolo del lungo convoglio di carri che trasportavano a
Pesaro nelle mani dei rapaci conquistatori il frutto dei suoi lavori assieme ai tesori aviti delle chiese e ai
risparmi dei poveri» .
Urbino fu uno dei centri dell’insorgenza e nelle settimane successive al 19 febbraio iniziarono gli scontri
con le truppe francesi concentrate a Pesaro. Il primo scontro avvenne presso San Gallo, a sette od otto
miglia da Urbino, ed esso incoraggiò gli insorgenti che aumentarono di numero e che si dettero una
primordiale organizzazione bloccando il passo del Furlo e le strade che conducevano a Pesaro, dove
si concentravano i carri requisiti dai commissari francesi nei diversi centri urbani. La reazione dei
francesi fu spedita e si materializzò in diversi attacchi ad Urbino. Sulla città cadde un centinaio di
granate, ma i francesi, circondati dagli insorgenti delle campagne, furono costretti a ritirarsi.
Contemporaneamente alla sollevazione di Urbino vi furono insorgenze in diversi altri centri del
Montefeltro. Il commento che su quei fatti si legge in una relazione dei comandi militari francesi è di per
sé eloquente :
«La Vandea della Francia sembra rinascere qui».
L’episodio più rilevante
dell’insorgenza del Montefeltro fu la presa del castello di San Leo il 5 marzo. Sia gli insorgenti urbinati
che quelli del Montefeltro costrinsero i francesi ad accordi separati, al di fuori del trattato di Tolentino.
L’insorgenza nel Montefeltro proseguì per tutto il mese di marzo e anche in aprile: gruppi di insorgenti
scendevano dalle montagne per attaccare sulla via marittima che collegava Pesaro con Rimini i
convogli di carri, per tentare di recuperare quanto i commissari e i soldati francesi avevano in
precedenza asportato dai loro paesi. La via marittima divenne assai insicura per i francesi.
Si può aggiungere che la notizia della pace fra il Papa e Bonaparte aveva ormai raggiunto anche i
paesi dell’entroterra : al fine di calmare gli animi l’accordo era letto nelle chiese dai parroci, i quali in
molti casi rischiavano di essere insultati come giacobini.
Per la parte settentrionale delle Marche sono da ricordare, sempre nei mesi di febbraio-marzo 1797,
l’insorgenza che coinvolse i territori fra Gubbio — la città umbra faceva parte della Legazione di
Pesaro-Urbino — e il passo del Furlo, e quella della Valle del Cesano, che unisce Senigallia a Fonte
Avellana. Qui il centro principale fu San Lorenzo in Campo. Attorno a San Lorenzo si coalizzarono i
paesi limitrofi che diedero vita a una «truppa coalizzata», a capo della quale si pose il ventenne Giovan
Battista Duranti, ex ufficiale delle milizie pontificie. Anche in questo caso si riteneva da parte dei
popolani che la notizia della pace di Tolentino fosse stata diffusa ad arte dai francesi. Gli insorgenti
riuscirono a catturare i carri spediti a Senigallia, suscitando una rappresagli da parte dei comandi
francesi che però non produsse effetti concreti per l’esiguità delle truppe di cui disponevano.
L’episodio di più vaste dimensioni dell’insorgenza nelle Marche (che non riguardò l’Ascolano fuori
dell’area delle requisizioni) fu quello che ebbe per epicentro Sant’Elpidio. Le motivazioni e le date (2225 febbraio) sono le stesse del resto della regione. A Sant’Elpidio si concentrarono le popolazioni
123
contadine dei paesi posti fra Macerata e Fermo, tutti in agitazione, nei quali si erano già verificati
episodi isolati di aggressioni di commissari francesi: Montegranaro, Civitanova, Monturano,
Montegiorgio, Montesanpietrangeli. Contadini e artigiani di queste località si concentrarono a
Sant’Elpidio, abbandonata da chi temeva sia il disordine degli insorgenti che la sicura repressione dei
francesi. Anche in questo caso si arrivò a un duro scontro armato, in cui i francesi e i cispadani
subirono notevoli perdite pur riuscendo a mettere in fuga gli insorgenti e prendere la città grazie alla
forza dell’artiglieria.
124
VESCOVI DELLA DIOCESI DI ASCOLI NEL PERIODO COPERTO DALLA
NARRAZIONE DI DON CAPRIOTTI
La data a fianco di ciascun nome è quella della elezione a vescovo
1) Tommaso Marana 1728
2) Pietro Paolo Leonardi 1755
3) Gian Andrea Archetti 1795
Antonio Lenti coprì la carica di Vicario Capitolare dalla morte del vescovo
Leonardi (1792) alla elezione a vescovo del cardinale Archetti (1795)
CAPPELLANI VICARI E PRIMO PARROCO NELLA CURA DI S.BASSO
Cappellani vicari
1. Don Biagio Tilli (1759-1792)
2. Don Nicola Capriotti (1792 – 1838)
Primo Parroco
1) Don Sante Calvaresi (1838 – 1840)
Primo curato dopo la creazione della Parrocchia dei SS. Filippo (per il
Beneficio di San Filippo ed Angelo) e Basso (per la antica denominazione
della Cura)
VESCOVO DELLA DIOCESI DI ASCOLI NELLA DATA DI RIAPERTURA
AL CULTO DELLA CHIESA (11 APRILE 1999)
Silvano Montevecchi
125
PROBLEMATICHE ECONOMICHE CONNESSE CON LA COSTRUZIONE
DEL NUOVO COMPLESSO IN CONTRADA CIAFONE
Il manoscritto consente con qualche difficoltà di ricostruire il quadro di sintesi
delle problematiche economiche e finanziarie che si dovettero affrontare (in
particolare dal vescovo Mons. Leonardi, dal vescovo Cardinale Archetti e dal
priore Cipolletti) per impostare e portare a termine (in un tempo la cui durata
dal 1792 al 1805 dà una misura di tali difficoltà) la costruzione della nuova
chiesa della Cura di S.Basso. Il testo si presenta esageratamente dettagliato
in particolari secondari e per contro poco chiaro in aspetti essenziali della
vicenda amministrativa (forse scontati al tempo della redazione del
documento nel contesto delle normative usuali dello Stato Pontificio e delle
relazioni allora in uso tra le diverse istituzioni all’interno di una diocesi). Nel
seguito si fornisce quindi una esposizione di quanto si è potuto comprendere,
senza dare per scontato che essa non sia affetta da qualche macroscopico
errore interpretativo.
1753 Il pontefice Benedetto XIV consente di acquisire dal Pio Beneficio Rota
un assegno annuo di 20 scudi per ciascuno dei tre cappellani coadiutori del
Curato di S.Maria della Rocca a ciascuno dei quali è assegnata una cura.
Quella di S. Basso è assegnata a D. Biagio Tilli.
1759 Viene attuata con un certo ritardo la disposizione di Benedetto XIV. I
cappellani incontrano comunque difficoltà a svolgere il loro compito dato che
non hanno residenza nelle Cure loro assegnate.
Si va così avanti per 25 anni.
1784 Viene assegnato alla Cappellania di S. Basso il Pio Beneficio dei SS.
Filippo ed Angelo di 100 scudi annui. Da tale beneficio il cappellano curato di
S. Basso è tenuto a far avere 10 scudi ciascuno rispettivamente al cappellano
curato di S. Venanzo ed a quello di S. Lazzaro. Lo stesso cappellano di S.
Basso è tenuto inoltre a far avere 10 scudi al vicario curato della Collegiata
prelevandolo dall’assegno di 20 scudi che gli viene annualmente dal Pio
Beneficio Rota.
126
1788 A questo punto la rendita annua del cappellano curato di S. Basso
doveva essere pari a 10 + 80 = 90 scudi annui. Di fatto peraltro i versamenti
agli altri cappellani non furono mai eseguiti per cui la rendita annua effettiva
dello stesso cappellano era pari a 20 + 100 = 120 scudi.
Con una spesa di scudi 26 si costruisce, come soluzione provvisoria per la
residenza del Cappellano Curato, una nuova stanza nella casa colonica
esistente nel fondo parrocchiale di S. Basso riattandone un’altra nella stessa
casa.
Primavera 1790 Per reperire fondi atti all’acquisto di un’area nella zona del
monte Cocci su cui costruire il nuovo complesso viene reso pubblico un
bando di gara per la vendita di 6 corpi di terreno. L’area suddetta, di proprietà
Forlini è stata stimata in scudi 360:60. Le offerte che pervengono
assommano a scudi 522:81. L’esito dell’asta rimane sospeso e circa il
possibile utilizzo della somma eccedente si chiedono chiarimenti alla S.
Congregazione.
8 settembre 1790 A fronte delle rimostranze di quanti avevano presentato
offerte nell’asta precedente (annullata) viene pubblicato un nuovo avviso
relativo alla vendita di tre corpi di terreno (di spettanza al Beneficio dei SS.
Filippo ed Angelo incorporato alla Cura di S. Basso).
I tre migliori oblatori in proposito furono :
1) Luigi Forlini con l’offerta di scudi 120:76 per un terreno in contrada S.
Martino;
2) Nicola Massei con l’offerta di scudi 176:75 per un terreno in contrada
Coppo;
3) Luigi Forlini con l’offerta di scudi 63:83 per un terreno in contrada Lava.
L’ammontare complessivo delle offerte fu pertanto di 361:35 scudi sufficiente
all’acquisto del predio di proprietà Antonio Forlini stimato in scudi 360:60.
Tale ammontare fu ripartito come segue :
a) scudi 150:00 alla Cura di S. Basso a garanzia del Pio Legato Capriotti (cui
il terreno in vendita era soggetto);
127
b) scudi 30:00 ad una figlia di Antonio Forlini;
c) scudi 180:60 ad Antonio Forlini per il risanamento dei debiti di questo.
Settembre 1791 L’acquisto del predio Forlini non risolve il problema della
costruzione del nuovo complesso (chiesa e casa parrocchiale) in quanto
vanno reperiti i fondi specifici che in proposito occorrono. Vengono pertanto
posti in vendita (mediante asta) altri 3 terreni della Cura.
Risultano vincitori :
1) Carlo Travaglini con un’offerta di scudi 74:02;
2) Cruciano Vallorani con un’offerta di scudi 110:90;
3) D. Pietro Ermeti con un’offerta di scudi 40:01.
L’ammontare complessivo delle offerte è di scudi 224:93. Tale somma viene
così ripartita :
a) scudi 100:00 al Capitolo di Offida con istituzione di una rendita al 4% su
un terreno di proprietà del Capitolo stesso a favore della Cappellania
Curata di S. Basso;
b) scudi 100:00 al Capitolo di Offida con istituzione di una rendita al 4% su
un altro terreno di proprietà del Capitolo stesso a favore della Cappellania
Curata di S. Basso;
c) scudi 24:90 in debito a Cruciano Vallorani (che solo in seguito provvederà
in proposito).
29 febbraio 1792 Inizio dei lavori. In proposito vengono acquisiti 50:00 scudi
in prestito dal Beneficio Ferri Giuseppe al tasso del 4%.
20 giugno 1792 Muore il vescovo di Ascoli Mons. Leonardi. Come Vicario
Capitolare gli succede D. Antonio Lenti.
4 agosto 1792
Sospensione dei lavori di costruzione della chiesa per
disposizione del Vicario Capitolare (tale sospensione non riguarda i lavori di
costruzione della casa parrocchiale).
27 gennaio 1793 D. Biagio Tilli (che dai conti che presenta al Capitolo risulta
creditore di 48,01 scudi) si trasferisce nella Cura di S. Martino.
D. Nicola Capriotti nuovo Cappellano Curato di S. Basso.
128
1796 Viene eletto vescovo di Ascoli il cardinale Archetti. Ripresa dei lavori di
costruzione della chiesa su disposizione di questo.
Al fine di acquisire fondi per i lavori il vescovo Archetti dispone
contemporaneamente la licenza alla Cappellania di S. Basso per il taglio di
un numero di alberi fino al reperimento di 50:00 scudi. Altri 20:00 scudi la
Cappellania ha la licenza di acquisirli mediante una questua.
A parte questi introiti, la disponibilità lorda della Cappellania continuava ad
essere pari a 120:00 scudi (derivanti per 20:00 scudi dal Beneficio Rota e per
100:00 dal Beneficio dei SS. Filippo ed Angelo).
Si procedette allora alla vendita all’asta di altri 2 terreni (uno in contrada S.
Barnaba ed uno in contrada Ponticello) ricavandone (acquirente Paolo Marini
che poi li rivendette subito a Paolo Cipolletti) l’importo di 905:33:2 scudi (in
moneta erosa quindi di valore pari allo 85% della moneta cosiddetta “lunga”).
Tale importo venne ripartito in una aliquota di 500:00 scudi reinvestita a
favore della Cappellania Curata di S. Basso, in una di 50:00 scudi destinata
alla estinzione del prestito dal beneficio Ferri ed in una di 335:33:2 da
destinare alla costruzione della chiesa.
La aliquota di 500:00 scudi fu a sua volta divisa nei due censi (prestiti)
seguenti:
a) un censo di 400:00 scudi alla Chiesa Collegiata (all’interesse annuo del
5%);
b) un censo di 100:00 scudi all’Ospedale di S. Antonio Abbate (all’interesse
annuo del 5.5%).
Il primo di questi censi fu dalla Chiesa Collegiata trasferito al Monastero di S.
Marco in ragione del 7% annuo.
Tenuto conto di quanto sopra detto a proposito della moneta erosa gli importi
sopraesposti furono formalmente ridimensionati nei seguenti:
a) il censo di 500 scudi fu corretto in un censo 340 scudi (atto a determinare
all’interesse del 7%) una rendita annua di 23:8 scudi);
129
b) il censo di 100 scudi fu corretto in un censo di 85 scudi (atto a determinare
all’interesse del 5.5% una rendita annua di 4:7 scudi);
c) l’importo di 335:33:2 scudi destinato alla costruzione della chiesa veniva
ridimensionato nell’importo di 236:88:3 scudi.
Quadro economico finale dei lavori di costruzione della chiesa
Da quanto precede si può tentare di elaborare un sintetico quadro finale dei
lavori di costruzione della chiesa durati complessivamente 9 anni (dal 1796 al
1805).
Gli importi disponibili annualmente furono i seguenti:
1. rendita 1 : rendita annua derivante dalla vendita dei 2 terreni effettuata nel
1791 = 8:0 scudi;
2. rendita 2 : rendita annua dal censo al Monastero di S. Marco = 23:8 scudi;
3. rendita 3 : rendita annua dal censo all’ospedale di S. Antonio Abbate = 4:7
scudi;
4. rendita 4 : rendita annua dal Pio Beneficio SS. Filippo ed Angelo = 100
scudi (in moneta lunga);
5. rendita 5 : rendita dal Pio Beneficio Rota = 20 scudi (in moneta lunga)
destinati al Cappellano Vicario).
Si può supporre che un 50% dell’importo complessivo delle rendite 4 e 5 - e
cioè ½(100+20) = 60 scudi – venisse assorbito dalle spese di conduzione
della Cura di S. Basso (compreso il compenso di sopravvivenza del
Cappellano Vicario). Ai fini della costruzione della chiesa l’importo disponibile
dalle redite 4 e 5 appare pertanto lecito stimarlo in 60 scudi.
Il quadro economico (espresso in moneta lunga) che si può dedurre da
quanto precede è pertanto il seguente:
rendita 1
scudi
8:0
rendita 2
scudi 23:8
rendita 3
scudi
4:7
rendite 4 e 5
scudi 60:0
Sommano rendite 1, 2, 3, 4,5
scudi 96:5
130
Stimando in circa 20 scudi annui l’apporto derivante dalle offerte della
popolazione si giunge, per quanto attiene la disponibilità finanziaria della
Cura di S. Basso ai fini della costruzione della chiesa, ad un importo
complessivo annuo di circa 120 scudi = 11.600 baj. Gli apporti una tantum di
entità modesta come quelli derivanti da vendite minori (un orticello, alcune
querce) appaiono trascurabili nel quadro generale dell’impegno economico
sostenuto dalla Cura.
Riportando il valore suddetto ad una quotazione (sia pure solo orientativa) in
euro si ottiene l’importo annuo di 15.145 euro e l’importo complessivo di
136.305 = circa 140.000 euro.
NOTE ESPLICATIVE
N.E. 1 (Pag. del manoscritto 7) Pio Legato di Messe : disposizione
testamentaria con lascito per celebrazione di messe.
N.E. 2 (Pag. del manoscritto 8) Si da nel seguito qualche sintetica
informazione sulle monete dello Stato Pontificio in corso all’epoca dei fatti
narrati, sul loro potere di acquisto e sui rapporti reciproci di cambio.
131
Si fa riferimento al baiocco, al paolo, allo scudo.
10 baiocchi = 1 Paolo
100 baiocchi = 1 scudo = 10 Paoli.
A titolo esemplificativo si forniscono nel seguito alcuni costi atti a dare un
senso quantitativo a quanto esposto nel documento :
una libbra (0.340 Kg) di carne
5 baj.
una libbra di pane
1 baj.
una fojetta (0.456 lt) di vino
1 baj.
una camicia
1 scudo
un lenzuolo
1 scudo e 5 paoli.
Per stabilire una approssimativa corrispondenza tra tali monete e l’euro si
può fare riferimento al prezzo attuale in questo territorio del pane che è di
Euro 2.20 al Kg. Pertanto il costo in Euro di 1 libbra risulterebbe pari a :
0.340 x 2.20 = 0.748 Euro.
Arrotondando tale valore numerico a 0.75 Euro, dalla proporzione
1 baj./0.75 Euro = x baj/1.00 Euro
si trae la corrispondenza
1 baj. = 1.33 Euro.
Facendo riferimento all’assegno annuo di 20 scudi per ogni cappellano curato
da parte del Capitolo si può rilevare che ciò comportava la disponibilità
giornaliera per ciascuno di loro di poco più di 5 bajocchi :
(20 x 100)/365 = 5.4
Ne risulta una notevole ristrettezza di mezzi per i cappellani curati (da un
documento del 1790 la paga giornaliera di un bracciante era di 15 bajocchi).
E’ da presumere che la sopravvivenza dei cappellani curati si fondava sul
fatto che essi risiedevano presso il Capitolo e che nel loro operare nelle
contrade cui erano stati assegnati essi fossero aiutati dalle offerte della
popolazione.
Stando a quanto riportato dal manoscritto, dall’economia annua che si
sarebbe prodotta (75 scudi = 7500 baj.) riducendo di 5 baiocchi (da 20 a 15) il
132
compenso al Capitolo per ogni messa in carico al Legato Rota il numero di
messe annue da celebrare secondo il suddetto Legato doveva essere :
7500 baiocchi : 5 = 1500 messe
che significa 4 messe quotidiane da distribuire tra i sacerdoti del Capitolo.
Da quanto precede si deduce anche l’originario complessivo beneficio annuo
per il Capitolo derivante dal Legato Rota :
20 baiocchi x 1500 messe = 30.000 baiocchi = 300 scudi.
Ciò significherebbe l’importo di 39.900 Euro.
A chiarimento della simbologia usata nel manoscritto (e riportata nella
trascrizione) va detto che un importo in Ns scudi, in Np paoli ed in Nb
baiocchi è riportato nel testo nella forma: Ns:Np:Nb.
N.E. 3 (Pag. del manoscritto 27) Si ritiene che il capoverso che nel testo
precede l’indicazione della Nota Esplicativa 3 contenga un involontario errore
dell’autore che distorce peraltro completamente il senso della narrazione
condotta in precedenza (e nel seguito). Il testo originale del manoscritto è
quello che segue : Tuttavia i Cappellani non mossero allora grande lamento:
grande fu il rumore e l’adoperarsi che fecero coloro, che non volevano la
casa suddetta presso la Chiesa di S. Basso, temendo certo che presto non
sarebbe stata più officiata.
Il testo sopraddetto, non rispettando nel caso specifico il rigore con cui è stata
effettuata la trascrizione del documento, è stato modificato come segue
(eliminando la parola non) : Tuttavia i Cappellani non mossero allora grande
lamento: grande fu il rumore e l’adoperarsi che fecero coloro, che volevano la
casa suddetta presso la Chiesa di S. Basso, temendo certo che presto non
sarebbe stata più officiata.
N.E. 4 (Pag. del manoscritto 30) Camerlengo : cardinale della Curia Romana
(camerlengo
del
cardinalizio
collegio)
con
compiti
particolari
nella
amministrazione. Si presume peraltro che con il termine Camerlengo
133
l’estensore del manoscritto volesse indicare un membro del Capitolo locale
con compiti di gestione amministrativa.
N.E. 5 (Pag. del manoscritto 30) Preside di Montalto : in quanto segue è fornito un quadro
della divisione amministrativa del Piceno nello Stato Pontificio (Delegazione Apostolica di
Ascoli). Tale quadro è aggiornato al periodo successivo alla restaurazione postnapoleonica tuttavia esso appare utile per interpretare gli avvenimenti narrati da don
Capriotti (vedi per esempio i ricorsi al Preside di Montalto contro la decisione di erigere la
nuova chiesa della Cura S. Basso sul monte Cocci).
N.E. 6 (Pag. del manoscritto 35) Quarta : Unità di misura di area.
Particolarmente usata nel Veneto e, a quanto può dedursi dal manoscritto
Capriotti anche nell’area picena dello Stato Pontificio. Nel Veneto il suo
valore era di 914,15 mq.
N.E. 7 (Pag. del manoscritto 35) Giuspatronato : protezione di un ente o
istituto religioso da parte di un privato. Il giuspatronato è stato di recente
abolito (concilio vaticano II)
N.E. 8 (pag. del manoscritto 65 e segg.) moneta erosa Con il termine di
moneta erosa si deve intendere una moneta di valore ridotto (circa ai 2/3)
introdotta durante il periodo della presenza francese negli stati pontifici.
134