STORIA DELLA FONDAZIONE AD OFFIDA DELLA CHIESA E
Transcript
STORIA DELLA FONDAZIONE AD OFFIDA DELLA CHIESA E
STORIA DELLA FONDAZIONE AD OFFIDA DELLA CHIESA E DELLA CANONICA DEI SS. FILIPPO E BASSO NEL CONTESTO DEGLI ANNI A CAVALLO DEI SECOLI XVIII E XIX Storia desunta dalla memoria scritta dopo l’inaugurazione della Chiesa di S. Filippo e Basso in Contrada Ciafone ad Offida (10 settembre 1805) da Don Nicola Capriotti Cappellano Vicario della Cura di S. Basso. Trascrizione del manoscritto e rielaborazione del testo originale a cura di Don Elio Nevigari e Corrado Speranza Supporto e collaborazione di Don Giuseppe Capecci per il reperimento della documentazione originale. Maggio 2013 2 Il documento che si presenta è stato generato dall’affioramento nell’archivio della parrocchia della Madonna del Rosario di Offida di un manoscritto risalente ai primi anni del secolo XIX redatto dal cappellano don Nicola Capriotti. L’attuale parrocchia della Madonna del Rosario sorta negli ultimi decenni nella frazione di Borgo Miriam è l’erede della storica parrocchia dei SS. Filippo e Basso nella Contrada Ciafone. Per le caratteristiche che il manoscritto di don Capriotti presenta esso appare essere una sorta di appunto stilato nella probabile intenzione del suo autore di una successiva revisione atta a produrre una pubblicazione illustrante le vicende che nell’ultimo decennio del XVIII secolo si svilupparono nell’area di Offida per la costruzione di una nuova chiesa (appunto la suddetta chiesa dei SS. Filippo e Basso) in sostituzione della antica piccola chiesa, dedicata a San Basso (ora ridotta ad un rudere – v. figg. 1 e 2). Questa revisione in realtà non fu poi mai operata né da don Capriotti né da altri ed il documento che ora si presenta va pertanto visto in linea da una parte con la primitiva lodevole intenzione dell’autore e dall’altra con la esigenza di inquadrare le problematiche locali nel complesso scenario dei cambiamenti globali che in quegli anni stava subendo l’intera Europa. 3 Sommario Introduzione Il contesto storico del Piceno nel ventennio a cavallo della fine del XVIII secolo pag. 7 Parte prima Manoscritto di don Capriotti nella versione originale fedelmente trascritta pag. 34 Parte seconda Manoscritto di don Capriotti rielaborato al fine di una più agevole lettura pag. 94 Appendice pag.128 La figura del cardinale Giovanni Andrea Archetti La delegazione apostolica di Ascoli La insorgenza nelle Marche Cappellani vicari e primo parroco nella cura di S.Basso Problematiche economiche connesse con la costruzione del nuovo complesso nella Contrada Ciafone ad Offida Note esplicative 4 Introduzione Il contesto storico del Piceno nel ventennio a cavallo della fine del XVIII secolo Lo scenario europeo del ventennio a cavallo della fine del XVIII secolo in cui va inserita la storia della costruzione del Complesso dei SS. Filippo e Basso nella contrada Ciafone del territorio di Offida non sembra in alcun modo avvertito dall’autore del manoscritto ritrovato nell’archivio della attuale Parrocchia della Madonna del Rosario di Borgo Miriam. Esso risulta preso totalmente dalla narrazione delle difficoltà economiche e da quella delle polemiche locali che nacquero una volta deciso lo spostamento della cura a sud del fosso Fiobbo dall’originario sito posto a settentrione dello stesso fosso ma ciò non deve meravigliare tenuto conto dell’orizzonte culturale molto circoscritto della società rurale del Piceno di quel tempo. Questa caratteristica del documento di don Capriotti ha costituito il naturale spunto per predisporre la presente introduzione di tale documento finalizzata a dare, sia pure in termini sintetici, il quadro generale dell’Italia (ed in particolare dell’area dello Stato Pontificio) di quel periodo. Va anche detto che le caratteristiche sintattiche e linguistiche del documento in questione hanno suggerito dopo una sua trascrizione letterale (Parte prima) una sua rielaborazione linguistica (Parte seconda) atta a renderne agevole la lettura nella nostra epoca. E’ da rimarcare che nella memoria storica della popolazione si è forse già perso il quadro della società locale della fine del ‘700 pur mostrando la stessa popolazione una toccante affezione alla Chiesa dei SS. Filippo e Basso ora restaurata, recuperata al culto, vincolata dallo Stato Italiano in base alla legge 1089/39 per il suo valore storico-artistico e resa disponibile dalla attuale proprietà alla diocesi di Ascoli Piceno e quindi alla parrocchia della Madonna del Rosario. Il 29 febbraio dell’anno bisestile 1792 su meditata disposizione del vescovo mons. Leonardi (che decedeva nel giugno successivo) veniva dunque posta la prima pietra della nuova chiesa su un colle della Contrada Ciafone ad oriente dell’abitato di Offida (colle allora denominato Monte Cocci e che ha successivamente assunto il motivato toponimo di S.Filippo – v. fig. 3). L’avvio della costruzione, sulla base di un progetto dell’architetto Pietro Maggi, si imbatté subito peraltro nella opposizione di quanti avevano la loro dimora in prossimità della chiesetta di S. Basso fino ad allora sede della cura omonima e tradizionale luogo di sepoltura. La decisione di monsignor Leonardi nasceva peraltro dall’essere quella antica 5 chiesa troppo piccola e troppo decentrata per la maggioranza della popolazione che coltivando la campagna abitava la vasta contrada. Le diatribe locali si estesero nel tempo fino a sovrapporsi, senza che il fatto fosse ovviamente rilevabile in loco, ad altri avvenimenti di ben diversa scala. Sei mesi dopo l’ordine di mons Leonardi infatti, il 20 settembre 1792, ad una apparente siderale distanza dal Piceno, veniva a Valmy combattuta vittoriosamente dalla Francia la battaglia che con il suo intrinseco significato politico più che militare avrebbe modificato l’atteggiamento della Francia stessa nei confronti della coalizione di tutti gli altri stati d’Europa ad essa ostili dopo l’esplodere nel 1789 della sua rivoluzione ed avrebbe avviato il processo di espansione delle idee della società moderna in tutta Europa. Sia pure con gravissime problematiche interne connesse alla reazione in alcune aree del Paese (Vandea, Lione) ed ai conseguenti spietati provvedimenti assunti da Parigi per arginare ogni possibile tentativo di recupero del passato (periodo del Terrore), può dirsi che dopo la battaglia di Valmy fermo restando il fatto che per Parigi il fronte principale dell’assedio che stava subendo appariva essere quello del Reno, una serie di fatti portò nella seconda metà degli anni ‘90 del secolo XVIII a far assurgere a primaria importanza il fronte italiano con conseguenze che si vissero in tutta la penisola ivi compresa l’area del Piceno nello Stato Pontificio. Come già detto nel manoscritto Capriotti le sopraddette vicende della Francia non paiono essere percepite dalla società locale essendo questa immersa nel torpore della sua ruralità. La mancata immediata nomina del successore di mons. Leonardi tuttavia suggerisce l’ipotesi dell’affioramento di preoccupazioni nella curia romana il cui livello di informazione su quanto stava accadendo in Europa non era ovviamente paragonabile a quello di un’area periferica (come quella picena). Il vicariato che sopravvenne non fu pertanto breve e fu affidato al canonico Antonio Lenti, di nobile famiglia di Ascoli, il quale, secondo lo stesso don Capriotti, appariva essere più portato alla meditazione che alla gestione dei problemi della diocesi. Accadde così che esso, indubbiamente sollecitato da qualche personaggio di Offida, il 4 agosto 1792 dispose la interruzione dei lavori di costruzione della nuova chiesa. L’apertura nel 1793 del fronte italiano da parte della Francia con l’impiego di una armata di ridotte dimensioni (poco più di 30.000 uomini, pochissimi in confronto ai 300.000 del fronte del Reno contrapposti alle truppe austriache e prussiane) doveva avere nel disegno strategico del Direttorio a Parigi solo una funzione di disturbo a supporto indiretto delle armate del Reno. Il destino volle però che il comando dell’armata del fronte italiano passasse nel 1796 al giovane generale Bonaparte il quale, nonostante l’inferiorità 6 numerica delle forze di cui disponeva, sbaragliò prima i piemontesi e poi ripetutamente gli austriaci avviando un terremoto politico esteso a tutta la penisola. Può essere di interesse ricordare che il 2 febbraio del 1797 le truppe francesi e quelle della Repubblica Cispadana (creata da Bonaparte nel 1796), da tempo raccolte nelle Legazioni pontificie (Bologna, Ferrara, Ravenna, Imola e Faenza), ebbero a Faenza, presso il fiume Senio, uno scontro che durò poche ore con un corpo armato pontificio che si sbandò rapidamente (per cui la presa di centri urbani importanti delle Marche settentrionali, compresa Ancona, fu assai semplice per i francesi ed i cispadani). Subito dopo il 19 febbraio 1797 Bonaparte firmò a Tolentino un trattato con i rappresentanti del Papa in cui oltre al pagamento di una elevata penalità in danaro, lo Stato Pontificio perdeva il territorio di Avignone (peraltro già acquisito dalla Repubblica Francese) e doveva accettare lo stabilirsi di un presidio militare francese e cispadano ad Ancona. Al trattato di Tolentino nell’area marchigiana seguirono disordini popolari con caratteristiche che anticipavano la cosiddetta “insorgenza” degli anni successivi (1798 e 1799) estesi a buona parte dello Stato Pontificio. Va comunque detto che molti dei disordini popolari della successiva “insorgenza” furono determinati da una caratteristica dominante delle truppe della Repubblica Francese e della Repubblica Cispadana (divenuta poi Repubblica Cisalpina): queste erano nel complesso poco numerose e con caratteristiche tipiche “da combattimento” e non “di occupazione”. Ciò ebbe come conseguenza che il dare seguito da una parte alle direttive di Parigi in merito alla requisizione di opere d’arte e dall’altra all’invito rivolto ai militari da Bonaparte all’inizio della campagna a non avere eccessivi scrupoli nel prelevare il prelevabile dalle popolazioni locali portò al fatto che piccoli gruppi di soldati si trovarono spesso senza il controllo di ufficiali ad autogestirsi in centri urbani piccoli o piccolissimi dello Stato Pontificio. Questo fatto portò a superare spesso il limite ragionevole delle appropriazioni da parte dei singoli e ad offendere, in termini che la presenza di ufficiali non avrebbe consentito, i sentimenti religiosi popolari in profanazioni che potevano essere evitate. Questi ultimi comportamenti si univano di norma ad altri come le erezioni degli “alberi della libertà”, l’abbattimento dei simboli pontifici, l’obbligo della coccarda che fanno pensare quanto meno ad un non perfetto collegamento con il comando di Bonaparte che, a parte la lucidità delle decisioni in campo militare, aveva già dato dimostrazione di un intelligente atteggiamento “politico” nelle problematiche generate dalla campagna d’Italia. In ogni caso essi alimentarono il malcontento degli strati più semplici della popolazione spingendo questi a reazioni spesso irrazionali comunque non sufficienti a determinare una diversa gestione delle truppe di occupazione che si 7 muovevano secondo l’ordine di Parigi, in gravi difficoltà economiche, di requisire il requisibile (in particolare oggetti di valore ed opere d’arte) considerate le difficoltà economiche del Direttorio per le quali può essere illuminante la vendita in quel periodo di tutto il mobilio della reggia di Versailles. Nell’ottobre 1797 si giungeva comunque alla firma di un trattato di pace tra Repubblica Francese e coalizione ad essa avversaria (Pace di Campoformio) che regolava la situazione a cui si era giunti. Alla Francia veniva riconosciuto il possesso dei territori in riva sinistra del Reno e, per quanto riguarda il territorio italiano, veniva istituzionalizzata l’esistenza della Repubblica Cisalpina (inglobante le Legazioni pontificie della Romagna) che l’Arciducato di Austria riconosceva ufficialmente acquisendo in cambio il territorio della soppressa Repubblica di Venezia. Successivamente ad Ancona (dove permaneva il presidio franco-cisalpino) il 19 novembre 1797 nasceva la Repubblica Anconetana che il 7 marzo del successivo 1798 veniva assorbita dalla Repubblica Romana costituita il 17 febbraio dello stesso anno a seguito dell’intervento delle truppe francesi a Roma dopo alcuni incidenti intorno all’ambasciata di Francia a Palazzo Corsini. Tali truppe erano comandate dal generale Berthier succeduto in Italia a Bonaparte rientrato nel frattempo in Francia in vista della campagna antinglese in Egitto. Precedentemente agli avvenimenti del 1797 e 1798 ora accennati e probabilmente in verosimile previsione degli stessi, il 28 maggio 1795 la curia romana, dopo il vicariato Lenti, nominò vescovo della diocesi ascolana Giovanni Andrea Archetti, porporato di grandissimo prestigio (fig. 4). Questi aveva avuto in precedenza un’attività diplomatica di alto livello sia in Polonia come Nunzio presso la corte polacca sia, successivamente, come Nunzio Speciale, a Pietroburgo dove, in un rapporto diretto con Caterina di Russia (fig. 5), dovette risolvere alcuni delicati problemi (riguardanti l’Ordine dei Gesuiti e l’istituzione di una diocesi cattolica a Mohylew). Su tali problemi la zarina aveva in precedenza avuto ingerenze che l’Archetti cercò di smorzare in modo intelligente acquisendo una particolare stima nella sovrana che richiese per lui con un suo personale appello al papa il cappello cardinalizio (impostogli poi nel 1784 dal re di Polonia Stanislao Poniatowski). L’Archetti giunse ad Ascoli ai primi di ottobre del 1795 iniziando un mandato vescovile per il quale gli avvenimenti politici non gli consentirono peraltro né un governo tranquillo né una presenza continua nella diocesi (nell’Appendice del presente documento è delineata la figura di questo cardinale che ha costituito l’oggetto della tesi di laurea presso la Pontificia Università Gregoriana di don Elio Nevigari responsabile dell’archivio della 8 Diocesi di Ascoli Piceno e docente dell’ISR). Nel giugno del 1795 il cardinale Archetti visitò Offida rendendosi conto della precaria situazione della Cura di S. Basso e dando quindi ordine, con atteggiamento totalmente diverso da quello del vicario Lenti, di riprendere la costruzione della chiesa sul monte Cocci. Nel successivo periodo 1797-1799 (quindi a campagna d’Italia conclusa) il cardinale Archetti ebbe come vicario nella diocesi di Ascoli monsignor Francesco Saverio Castiglioni (il futuro Pio VIII), prevosto della cattedrale di Cingoli. La costituzione di tale vicariato si spiega con il fatto che il 18 marzo 1798 il comando francese dell’area marchigiana (insediato ad Ancona) fece trasferire Archetti a Roma per spostarlo poi insieme ad altri cardinali, in una sorta di sequestro, a Civitavecchia in un convento di domenicani. La presenza delle truppe di Berthier a Roma suscitava allarme nei sovrani di Napoli (in particolare nella regina Maria Carolina sorella di Maria Antonietta di Francia) che nel successivo maggio 1798 si affrettavano a stipulare una alleanza con Russia ed Inghilterra. L’impero austriaco da parte sua inviava a Napoli il generale Mack che assumeva il comando delle truppe del Regno muovendo poi nel novembre 1798 verso Roma nel frattempo evacuata dai francesi. A Civitavecchia Archetti rimase per poco tempo dato che, tenendo conto dell’abbandono di Roma ora detto da parte dei francesi, egli si spostò prima a Gaeta, poi a Napoli, al cui Regno apparteneva, fra l’altro, una parte della diocesi ascolana. La reazione dei francesi non si fece peraltro attendere e nel successivo dicembre 1798 truppe al comando del generale Championnet rientravano a Roma abbandonata velocemente dai napoletani marciando poi su Napoli mentre nel Piceno reparti francesi e cisalpini cercavano di riprendere il controllo della situazione. Ad Ascoli veniva rialzato l’albero della libertà, in precedenza abbattuto dai napoletani a piazza Arringo, nell’angolo a sud-ovest della piazza del popolo in cui dal XVI secolo era la statua bronzea del pontefice Gregorio XIII che venne abbattuta (il basamento del monumento è ora conservato nel cortile del municipio in piazza Arringo – v. fig. 6). Nel disordine globale, per quello che può riguardare le Marche, truppe napoletane sconfinavano varcando il Tronto insieme a bande di briganti capeggiate da un popolano analfabeta (tale Giuseppe Costantini) soprannominato “Sciabolone” che già da tempo alimentavano il caos dell’area del Piceno. Per inquadrare il livello di tale caos può giovare ricordare l’episodio verificatosi nel gennaio 1799 in un centro importante come Ascoli, 9 mentre era addirittura in corso l’offensiva francese su Napoli, dell’uccisione del conte Orazio Saladini sospettato di essere “filogiacobino” dalla banda “Sciabolone”. La lapide riportata nella fig. 7, risalente ad anni successivi, può far pensare ad uno svolgimento del tragico fatto di sangue diverso da quanto in realtà avvenne. Altro episodio avvenuto quasi contemporaneamente a quello ora citato fu lo scontro a Ponte d’Arli tra bande di briganti ed un reparto di un centinaio di uomini (al comando di un ufficiale superiore cisalpino). Al suddetto scontro seguirono poi trattative condotte tra i briganti e il generale Jean D'Argoubert, anche tramite alcuni uomini di chiesa invitati come negoziatori, che portarono ad un accordo (sottoscritto a Mozzano il 5 febbraio 1799 di efficacia effimera e che dimostra per lo meno la insufficienza delle truppe di occupazione) che prevedeva che i briganti avrebbero rispettato l'autorità dei comandi militari francesi e cisalpini mentre D'Argoubet, concedendo a quelli il perdono e l'amnistia, s'impegnava a garantire la libertà di culto e a non compiere requisizioni e rappresaglie. Da Napoli, dove il 22 gennaio 1799 con il sussidio dei francesi veniva proclamata la Repubblica Partenopea, i sovrani fuoriuscivano portandosi in Sicilia sotto la protezione della flotta inglese al comando dell’ammiraglio Nelson. Questo scenario generale non può non essere tenuto presente nel leggere il documento di don Capriotti, sebbene questo sia focalizzato sulle diatribe locali (prima che Archetti ponesse fine ad esse) e sui problemi economici generati dal costo dei lavori di costruzione della nuova chiesa. Solo ad un certo punto del manoscritto pervenutoci don Capriotti esprime un suo eloquente angosciato giudizio negativo sulle “innovazioni della sciagurata repubblica di Francia” (giudizio presumibilmente connesso con i tentativi di riorganizzazione amministrativa riguardante anche aspetti economici, sociali e religiosi avviati nel territorio della effimera Repubblica Romana). Nell’ambito di tale quadro va aggiunto il seguito convulso che si ebbe nel 1799 per la ripresa delle ostilità della coalizione antifrancese che portò in Italia, a fianco delle truppe austriache, un’importante armata russa al comando del generale Suvarov. Ciò determinò il ritiro verso settentrione delle truppe francesi e l’arrivo a Napoli della variegata moltitudine “sanfedista” al seguito del cardinale Ruffo cui seguì l’inevitabile collasso della repubblica partenopea. Merita di essere evidenziato il comportamento umano ed equilibrato che ebbe in quelle circostanze Ruffo che, al fine di smorzare le contrapposizioni, il 23 giugno 1799 sottoscrisse un accordo con il vertice repubblicano rifugiato nel forte di S. Elmo a Napoli. L’accordo, che consentiva a chi lo desiderava tra quelli che si erano schierati con la repubblica di lasciare liberamente Napoli fu ostentatamente violato da Nelson, nonostante la decisa e manifesta 10 contrarietà del cardinale. E’ da ritenere che la città di Napoli stia ancora pagando lo sterminio nel 1799 di gran parte della sua “intellighenzia” determinato dalla decisione di Nelson (120 impiccati tra cui l’ammiraglio Caracciolo e la intellettuale Eleonora Fonseca Pimentel). Nel mutato scenario italiano i francesi dovevano abbandonare l’area dello Stato Pontificio restando in loro mano solo Ancona che peraltro venne cinta d’assedio da truppe austriache affiancate da bande di insorgenti (al comando dell’ex ufficiale cisalpino La Hoz che perse la vita nell’assedio) e con il porto bloccato da una flotta turca. L’assedio fu duro e lungo tenuto conto della resistenza delle truppe francesi e cisalpine (comandate dal generale Monnier) e si concluse nel novembre 1799 con un accordo in base al quale le truppe assediate poterono lasciare la città che veniva presa dagli austriaci. Va aggiunto che la memoria popolare locale registra ancora in alcuni suoi strati una simpatia per il personaggio “Sciabolone” (visto in una incredibile analogia come una sorta di partigiano della Resistenza durante la seconda guerra mondiale. V. fig. 7). Tale simpatia non può peraltro che poggiare su una non conoscenza delle atrocità commesse dal personaggio (v. figg. 8 e 9) i cui seguaci si scontrarono non solo con le esigue truppe francesi ma anche con diversi reparti italiani della Repubblica Cisalpina con la bandiera tricolore. La genesi della banda di Sciabolone e della analoga banda sotto il comando di tale De Donatis (ex sacerdote) è meritevole di essere studiata dato che l’enorme numero degli armati che le costituivano non appare rientrante nelle spontanee dinamiche popolari della “insorgenza”. Nel disordine di quei giorni vanno dunque ricordate le stragi che nel luglio 1799 si registrarono ad Acquaviva (cioè nel territorio vicino al Colle Cocci su cui, sia pure con lentezza, continuavano i lavori di costruzione della nuova chiesa) delle quali il manoscritto di don Capriotti non riporta menzione. Ad Acquaviva furono trucidate venti persone tra cui quattro donne e forse, per rispetto ad esse, le istituzioni locali potrebbero oggi in qualche modo far riaffiorare nella comunità i loro nomi. Solo uno di questi risulta nel toponimo di un belvedere comunale ad Acquaviva (è quello di Rosa Piattelli uccisa con un colpo di archibugio dopo una fiera risposta da essa data ai briganti che l’avevano assalita in casa). Va aggiunto a questo punto che morto Pio VI il 29 agosto 1799, prigioniero a Valence in Francia, l'Archetti prese parte al conclave, che si riunì (1 dic. 1799 - 14 marzo 1800) a Venezia, ed in cui lo stesso cardinale fu tra i proposti per il pontificato. Fra i primi atti del nuovo papa (Pio VII) fu la investitura di Archetti a vescovo della diocesi Sabina con sede a Poggio Mirteto (2 apr. 1800), il che non impedì allo stesso di conservare la diocesi di 11 Ascoli dove rientrò dopo aver accompagnato Pio VII da Venezia a Roma. A dimostrazione del prestigio di cui il cardinale Archetti godeva, nel giugno 1805 egli venne addirittura proposto direttamente da Napoleone, con cui s'incontrò a Brescia, come vescovo di quella città (in cui egli era nato nel 1731) senza peraltro che egli accettasse la proposta. Esso era ancora vescovo di Ascoli quando il 10 settembre 1805 fu inaugurata la chiesa dei SS. Filippo e Basso (v. figg. 10, 11, 12, 13) realizzata per la sua decisa presa di posizione contro le miserevoli diatribe locali. In precedenza a maggio del 1801 esso aveva inaugurato la Chiesa della Collegiata (v. fig. 14). Nella lapide posta all’interno di tale chiesa (v. fig. 15) vengono ricordati in connessione con la citazione della zarina, anche gli avvenimenti che avevano visto l’Archetti protagonista alla corte russa. La sua morte sopravvenne il 5 novembre successivo. Nel 1808 ci fu un nuovo intervento della Francia che portò (v. fig. 16) la parte orientale (comprensiva delle Marche) dello Stato Pontificio ad essere inclusa nel napoleonico Regno Italico e la parte occidentale (con Roma) nell’Impero Francese. Successivamente, dopo il Congresso di Vienna, gli stati italiani assunsero la configurazione precedente l’unità d’Italia (v. fig. 17). Per concludere si può esporre qualche idea sulla società dell’entroterra piceno alla fine del secolo XVIII : essa appare caratterizzata da una economia rurale che si autoalimenta solo localmente. I nomi che don Capriotti fa nel suo documento e che non sono quelli appartenenti a rappresentanti del clero sono tutti di gente del posto che si propone come acquirente o venditore di fondi agricoli. Manca totalmente nel manoscritto il riferimento ad una classe borghese a parte i numerosi notai sia di Ascoli che di Offida di volta in volta incaricati di stilare gli atti di compravendita di terreni (c’è peraltro la eccezione costituita dall’architetto Pietro Maggi di origine ticinese). Fra i rappresentanti del clero occorre citare, come personaggi illuminati, i due fratelli Cipolletti (Carlo priore di S. Maria della Rocca e Paolo cappuccino gestore della costruzione del nuovo ospedale di Offida e quindi interlocutore di Maggi incaricato del progetto). In ogni caso figura dominante di livello certo non locale fu quella del cardinale Archetti. Da tutta altra direzione (l’attività del complesso di musica da camera dei “Solisti Piceni”) è stata rimessa in luce la presenza nell’area del Piceno di musicisti di qualità come Sieber e Galeazzi vissuti nel periodo della costruzione della Chiesa dei SS. Filippo e Basso che sembra esaltare le contraddizioni di quel periodo. 12 Fig. 1 Rovine della chiesetta di S.Basso 13 Fig. 2 Rovine della chiesetta di S.Basso 14 Fig. 3 Vista attuale del monte Cocci con il complesso dei SS. Filippo e Basso 15 Fig. 4 Ritratto del cardinale Archetti 16 Fig. 5 Ritratto della Zarina Caterina 17 Fig. 6 Basamento della statua di Gregorio XIII 18 Fig. 7 Lapide nel cortile di Palazzo Saladini che ricorda la morte del conte Orazio Saladini 19 Fig. 8 Figura di brigante dell’epoca di Sciabolone (Giuseppe Costantini) 20 Fig. 9 Lapide posta a S.Maria a Corte sulla facciata della casa natale di Giuseppe Costantini 21 Fig. 10 Vista d’insieme del complesso dei SS. Filippo e Basso 22 Fig. 11 Facciata della chiesa dei SS. Filippo e Basso 23 Fig. 12 Interno della chiesa dei SS. Filippo e Basso 24 Fig. 13 Interno della chiesa dei SS. Filippo e Basso 25 Fig. 14 Chiesa della Collegiata ad Offida 26 Fig. 15 Lapide posta all’interno della Collegiata a ricordo della inaugurazione della basilica da parte del cardinale Archetti nel 1801 27 Fig. 16 Stati italiani nell’era napoleonica (1808 – 1814) 28 Fig. 17 Stati italiani dopo il Congresso di Vienna 29 Parte prima Manoscritto di don Capriotti nella versione originale fedelmente trascritta AVVERTENZE AVVERTENZA 1 Al fine di facilitare la comprensione del testo (che così come scritto da don Capriotti non presenta alcuna soluzione di continuità) questo è stato suddiviso in paragrafi ciascuno con un proprio titolo. AVVERTENZA 2 Nel testo trascritto è riportata la indicazione delle pagine del manoscritto. AVVERTENZA 3 Il richiamo a note esplicative (riportate in Appendice e distinte da quelle originali del manoscritto collocate a piè pagina) è stato inserito nel testo trascritto al fine di chiarire il significato di termini particolari usati dall’autore. Tali note sono indicate con l’acronimo N.E. (Nota Esplicativa) seguito da un numero progressivo. AVVERTENZA 4 I punti del manoscritto in cui si parla dell’arch. Pietro Maggi sono alle pagine 29, 46, 62 del manoscritto stesso. AVVERTENZA 5 L’assegnazione del titolo di S. Filippo alla nuova chiesa della Cura di S. Basso è a pagine 75 del manoscritto. 30 AVVERTENZA 6 Nel testo manoscritto vengono ripetutamente indicate delle collocazioni di documenti nell’Archivio della Cura di S. Basso che però mancano dei numeri relativi. PREMESSA 1. I MONACI BENEDETTINI FARFENSI E LA PARROCCHIA DI S. MARIA DELLA ROCCA UNICA PARROCCHIA DI OFFIDA NEL XVIII SECOLO 2. 1753 : DISEGNO DI MONS. MARANA VESCOVO DI ASCOLI PER UN NUOVO ASSETTO DELLA PARROCCHIA DI S. MARIA DELLA ROCCA 3. ELEZIONE DI TRE CAPPELLANI CURATI COME COADIUTORI DEL CURATO DI S. MARIA DELLA ROCCA. VICARIO 4. 1784 : DECRETO DEL VESCOVO LEONARDI PER L’ASSEGNAZIONE ALLA CAPPELLANIA DI S. BASSO DEL BENEFICIO DI S. FILIPPO ED ANGELO 5. ATTUAZIONE DEL DECRETO LEONARDI 6. PRIMA SCELTA DEL SITO SU CUI CURATO DI S. BASSO ERIGERE LA CASA DEL CAPPELLANO 7. ALTRA SCELTA DEL SITO A MONTE COCCI. INCARICO ALL’ARCHITETTO PIETRO MAGGI PER LA MAPPATURA DELL’AREA 8. IL PROBLEMA DEL VINCOLO DI UN PIO LEGATO GRAVANTE SUL SITO SCELTOSUL MONTE COCCI. 9. VENDITA DI UN PRIMO LOTTO DI TERRENI PER PROCEDERE ALL’ACQUISTO 10. VENDITA DI ALTRI TERRENI PER REPERIRE ULTERIORI FONDI 11. L’ARCHITETTO PIETRO MAGGI REDIGE IL PROGETTO DELLA CHIESA E DELLA CANONICA (NOVEMBRE 1791). 12. 1792 : MORTE DEL VESCOVO LEONARDI E NUOVE OSTILITA’ DA PARTE DI QUANTI CONTINUAVANO AD ESSERE CONTRARI ALLA COSTRUZIONE DELLA NUOVA CHIESA SUL MONTE COCCI 13. ANTONIO LENTI VICARIO CAPITOLARE 14. IL VICARIO LENTI DISPONE LA SOSPENSIONE DEI LAVORI DI COSTRUZIONE DELLA NUOVA CHIESA 15. 1792 : ELEZIONE A CAPPELLANO CURATO DI S. BASSO DI DON N. CAPRIOTTI. 31 16. 1795 : IL CARDINALE ARCHETTI ELETTO VESCOVO DI ASCOLI. RIPRESA DELLA COSTRUZIONE DELLA NUOVA CHIESA 17. VENDITA DI ALTRI TERRENI PER REPERIRE ALTRI FONDI 18. INAUGURAZIONE DELLA CHIESA (10 SETTEMBRE 1805) PREMESSA Pag. del manoscritto 1 Fra i doveri di chi è chiamato a reggere una parrocchia è certamente quello di procurarsi un’esatta e compiuta informazione degli obblighi e pesi che le sono annessi, come ancora delle ragioni e diritti ch’egli dovrà mantenere e difendere. Cura una congrua dotazione, il Parroco ha ordinariamente Oltre di che, avendo ogni dei beni da amministrare, dei conti da tenere in buona regola, e spesso ha la necessità di consultare gli avvenimenti passati onde prender norma ai futuri. Per lo che ottima cosa è sempre stata che ogni Parrocchia nel proprio archivio conservasse gli atti della sua prima istituzione, i successivi Decreti che a mano a mano si sono venuti formando dai Vescovi, i facoltativi rescritti ottenuti, gli istrumenti, le Bolle, le Carte tutte che si riferiscono al buon ordinamento della stessa Parrocchia, tanto per la parte spirituale, che per l’altra dell’amministrazione dei beni temporali. Ma spesso il consultare l’archivio non è facile, né breve fatica: avvegnacché lungo è lo svolgere di mano in mano per singolo tutti i documenti suddetti, confusa ed intralciata spesso ne è la dicitura e sempre si presentano in una maniera sì slegata che, chi specialmente non è pratico a trattar interessi, alcuna volta non giunge a comprendere la loro reciproca relazione, né a trovare la notizia desiderata. Pag. del manoscritto 2 A mettere in reciproco rapporto tali scritture, a riempier de’ voti che spesso si trovano tra le medesime, ispiegando bene, o come meglio si potrebbe, le cause, il come e il quando d’ogni cosa, ho molte volte avuto in pensiero, per ciò che risguarda questa mia Parrocchia de’ SS. Filippo e Basso, compor come una breve storia della medesima, notando in un sol libro, per ordine, secondo i luoghi ed i tempi, tutti gli avvenimenti che la risguardano. Avea io pertanto raccolte delle memorie, e consultato gli atti dell’Archivio, e provistomi di molte notizie che mancavano, ma sono stato sempre impedito da varie circostanze di venire a capo del mio disegno. Ora intendendo, che in breve sarà per venir in S. Visita il 32 nuovo nostro amatissimo e zelantissimo Pastore, pensando di fare cosa grata tanto a Lui, che ai Parrochi miei successori, pongo mano all’opera. Io mi allargo un poco sulle prime, perché mi sembra di dover bene ispiegar anzi tutto le cause che determinarono l’Istituzione di questa Parrocchia, e non lascio d’accennare le difficoltà ed ostacoli che insorsero, perché subito si persuada il nuovo Parroco che quando trattasi del bene spirituale delle anime, il maligno serpente argomentasi per ogni modo di attraversarci la via. Pag. del manoscritto 3 Ma nel riferire delle opposizioni anzidette taccio il nome di coloro che si fecero contraddittori di questa bella opera pia, parendomi ch’eglino non meritino d’esser nominati: non taccio però il bel nome di coloro, che col loro santo zelo cooperarono all’istituzione ed incremento di questa Cura perché il Parroco non abbia mai a dimenticarli nelle orazioni che per essi farà fare al Popolo. Di qualunque cosa io parlo indico il Documento legale relativo, segnando il numero col quale si trova in archivio; e siccome si fecero ancora alienazioni e scambi di fondi, imposizioni di Censi, rinvestimenti di denaro, e simili, come accenno i Decreti facoltativi co’ quali si fecero, così ancora il giorno, mese ed anno in cui furono fatti, col nome del notaro che stipolò i relativi strumenti acciocché il Parroco non solo vegga con qual fondamento di ragioni, e per quali cause si fecero, ma possa anche all’uopo consultarli per avere istruzione della via da tenersi in casi simili. Infine pongo anche la Pianta topografica della Chiesa e Casa Parrocchiale, del fondo in cui son poste, ed insieme quella della intera Contrada (*) perché il volger l’occhio di tratto in tratto specialmente su quest’ultima può esser gradita occupazione a chi una chiara e distinta idea voglia farsi del luogo, ove sarà per esercitare il suo importantissimo ministero. Pag. del manoscritto 4 Da ultimo faccio lo stato attuale delle anime notandone il numero, per sessi, per età, per stato ed accenno alle loro attuali condizioni morali in genere. Il Catalogo de’ Fondi Parrocchiali collo speccio dell’Entrata e dell’Esito è in appendice con una distinta descrizione de’ medesimi. Vogliami questa, non breve, e per se non gradevole fatica, a meritarmi la benevolenza de’ miei Lettori, ed a far documento del desiderio che io nudro ardentissimo pel migliore bene di questi miei amatissimi parrocchiani. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ (*) Di essa debbesi grado all’eccellentissimo Sig. Luigi ingegner Micheli, della cui gentile e soave amicizia mi tengo altamente onorato. 33 1. I MONACI BENEDETTINI FARFENSI E LA PARROCCHIA DI S.MARIA DELLA ROCCA UNICA PARROCCHIA DI OFFIDA NEL XVIII SECOLO Sappiasi dunque innanzitutto, che sino al 1759, da secoli e secoli avanti era stata in Offida una sola Parrocchia, quella di S. Maria della Rocca, la quale avea la cura di tutte le anime non solo dell’interno di questa grossa terra, ma ancora di tutto il suo vastissimo circondario. Era stata tenuta lungotempo dapprima dai monaci Benedettini Farfensi, cui apparteneva detta Chiesa, ed essi ne disimpegnarono gli officij relativi con quella carità, zelo e beneficenza, che resero poi sempre cara agli offidani la loro memoria. Pag. del manoscritto 5 Quei buoni monaci, aiutandosi l’un l’altro nel disimpegno delle attribuzioni del Parroco, ed avendo edificato in parecchi luoghi del territorio altre tante chiesoline, che essi non mancavano di officiare (della maggior parte di esse non rimancono ora che de’ruderi) e facendo delle loro rendite ampia parte ai poveri, e prestandosi in ogni incontro in di loro ajuto, sebbene una, come dicemmo era la Parrocchia, tuttavia le cose, da quanto sappiamo, marciavano in buon punto. Ma allorché nel 1562 soppressa la loro Congregazione, fu ai monaci surrogato un Collegio di Cannonici eretto nella stessa Chiesa di S. Maria della Rocca, e di que’ beni fu provveduto il Capitolo, la condizione di questa Parocchia subì un notabile cangiamento. Uno ex officio fu il Parroco destinato a reggere la cura di tante anime: i beni comuni divennero a vita quasi proprietà de’ singoli, ed al Curato restò una congrua, colla quale non potea forse esercitare tutte quelle benefiche largizioni che praticaron un tempo i monaci. Di più, chi ha riscorso pur una volta il circondario di Offida, montuoso, scosceso, attraversato da ogni banda da burroni e fossati, con poche strade vicinali, e per la maggior parte quasi impraticabili nel verno, di leggieri concipirà che un sol parroco, quando fosse stato anche il più zelante ed operoso sacerdote, non poteva pienamente soddisfare alle necessità spirituali di tanto gregge affidatogli: Pag. del manoscritto 6 per lo che avvenne alcuna volta, come specialmente più si popolò la campagna, che taluno mancasse dell’assistenza in punto di morte e se ne morisse senza sacramenti. In qualche grande epidemia poi, e nelle più rigide stagioni invernali erano i poveri campagnoli presso che del tutto deserti. Non si dee anco tacere che essendo pure officio del Parroco l’ascoltare le sagramentali confessioni de’ suoi parrocchiani, l’istruirli nei rudimenti della Fede, il visitare di tratto in 34 tratto e confortare di sua presenza i poveri malati, comporre alcuna volta qualche dissidio insorto tra le famiglie, ognuno vede, che quando il Parroco non risiede in contrada, ma stanno lontani i parrocchiani dal Parroco, e questo da essi, non essendovi quell’usar vicendevole degli uni con l’altro, tutti i suddetti offici non possono certamente adempiersi come si converrebbe di fare. Onde è che per tutte le suddette cause, grave dovette essere allora la condizione dei campagnoli, e veramente da compiangere la infelice loro situazione. Pag. del manoscritto 7 Tuttavia essi dovettero buon tempo rimanere in questo stato, sino a che non piacque all’Altissimo muoverne a pietà il paterno cuore di Mons. Marana vescovo di Ascoli di sempre chiara e benedetta memoria (1). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------(1) Paolo Marana fu terzo di suo nome nella serie de’ vescovi ascolani : era stato monaco Olivetano, e celebre cattedrante di Teologia: apparteneva a nobile e ricca famiglia genovese; di mirabile carità, tenne l’episcopato per anni 27, patì di scrupoli e di apparente ruvidezza. 2. 1753 : DISEGNO DI MONS. MARANA VESCOVO DI ASCOLI PER UN NUOVO ASSETTO DELLA PARROCCHIA DI S. MARIA DELLA ROCCA 35 Mons. Marana nel 1753 recatosi in Offida per la sua prima sacra visita, sin da allora vide necessità e concepì il disegno di dare al Parroco di S. Maria della Rocca tre coadjutori col titolo di Cappellani Curati, i quali potessero prestar mano al principale parroco, specialmente per la cura delle anime della campagna, assegnando ai medesimi tre diverse contrade del territorio. Mancavano però de’ mezzi per provvedere questi Cappellani Curati, e però si dovettero soprassiedere qualche tempo prima di venire alla loro formale istituzione. Finalmente si progettò di trarre il loro assegnamento da un Pio Legato di Messe (N.E. 1), di cui era compatrono il Capitolo, riducendo l’elemosina delle medesime, assegnata dal testatore a più tenue somma. Siccome però il Sagro Santo Concilio di Trento dice (*) che è giusto il mantenere intatte le pie Disposizioni de’ defunti perciò neppure il Vescovo, senza udire l’oracolo di Sua Santità potea decretare tale riduzione sebbene fosse a fine sì retto. Pag. del manoscritto 8 Allora, con intesa del Capitolo, si avanzò al Pontefice Bened. XIV l’Istanza che è in archivio al Num. . In essa, fatto un quadro della deplorabile condizione di queste campagne, si espose che un certo Pio Testatore di Casa Rota (*) avea lasciato la sua pingue eredità ad effetto che gli annui redditi della medesima dovessero impiegarsi nella celebrazione di tante Messe quante ne davano i redditi stessi coll’elemosina di due paoli per cadauna che in difetto de’ suoi Parenti, tutti già estinti allora, era il Patronato dell’Opera Pia devoluto al Capitolo di Offida che l’amministrava ed eleggeva i sacerdoti per le celebrazioni di dette Messe. Che all’effetto di cui sopra s’era pensato di diminuire, senza diminuzione di numero di Messe, la suddetta elemosina di baj. 20 riducendola a baj. 15 (N.E. 2). Che stante tale riduzione, poteva aversi l’annuo sopravanzo di scudi 75 circa (non erano allora i redditi giunti alla vistosa somma, cui l’ha portata oggidì l’ottima amministrazione del Capitolo) la qual somma per maggiore facilità si voleva applicare al Capitolo coll’obbligo di mantenere i detti tre Cappellani con l’assegno di sc. 20 per ciascuno di essi e che dove sopravvanzasse ancora qualche tenue somma con essa si voleva prestare un sussidio alla Sacrestia o Fabbrica della nuova Chiesa Collegiata (**). -----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------(*) Concilium Tridentinum : “ legittima patronatuum jura tollere aequum non est”. Pag. del manoscritto 9 Su tutto ciò prestava pienamente suo consenso il Capitolo. L’ottimo pastore, recatosi in Roma per bisogne del suo gregge, volle di sua mano porgere la detta Supplica a S. 36 Santità. Accolse il Pontefice con paterna amorevolezza le umili preci del degnissimo prelato e con benigno rescritto del 5 febbraio 1753 (***) che leggesi a piè dell’istanza suddetta rimise in di lui mani le facoltà di divenire alla riduzione anzidetta. Non si sa però così di leggieri rilevare l’ostacolo che allora si presentò a ritardare l’esecuzione di sì importante favorevole rescritto, doppoiché sappiamo che non prima del 1759 ossia sei anni dopo che fu esso ottenuto, sortì l’effetto desiderato. Tornò Mons. Marana l’anno suddetto in sacra visita in Offida, ed allora formò il decreto che leggesi in archivio al num. . Ecco un sunto della disposizione che tiene in seno quel Decreto. 1° L’elemosina delle Messe dell’Opera Pia Rota è ridotta a baj. 15 per cadauna; e si dà facoltà al Capitolo di ritenere su d’ognuna baj. 5 onde mettere in pié la somma di sc. 60 da darsi ai tre Cappellani Curati e d’impiegar il sopravanzo per la Sagrestia e per la Fabbrica. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- (*) Antonio Rota Giureconsulto di chiara fama : tenne nobilissimi e splendidissimi offici che esercitò con abilità e fede : divenuto ricchissimo legò tutti i suoi beni al Clero Offidano. (**) Questo elegante e magnifico Tempio in cui si traslocò il Collegio Canonicale di S. Maria della Rocca fu edificato principalmente per cura ed impegno del Priore D. Carlo Cipolletti, di cui avremo a fare spesso onorata menzione. (***) Vedi atti Capitolo di Offida 29 giugno 1753 ove trovasi il rescritto ed il qui sotto accennato decreto del vescovo Marana. 37 Pag. del manoscritto 10 2° L’elezione dei tre Cappellani alle rispettive contrade e Chiese Curate, amovibili ad nutum del Vescovo, appartiene al Capitolo, senza spedizione di Bolle ex speciali gratia; l’approvazione al Vescovo. 3° Mancando allora le abitazioni ove i suddetti cappellani potessero risiedere in seno della loro contrada, si permetteva ad essi d’abitare temporaneamente in città; ma il Vescovo si riserbò il diritto di obbligarli tutti, od alcuno di loro in particolare, a risiedere nelle rispettive contrade, tosto che fosse stata provveduta l’abitazione, dichiarando espressamente che a solo fine di provvidere alle spirituali bisogna di quel gregge si era mosso a supplicare al Pontefice; ed a questo sol fine era stata impetrata la grazia. 4° In quarto luogo si espongono gli obblighi principali cui debbono esser tenuti i suddetti Cappellani respettivamente alle chiese loro affidate : l’amministrazione de’ Sacramenti, l’assistenza nell’agonia; l’associazione al funerale ed alla seppoltura; l’istruzione ai fanciulli nella dottrina cristiana; la visita di tratto in tratto agli infermi; l’assiduità al Confessionale ne’ dì festivi; l’intervento alle pubbliche processioni e funzioni ove interviene il Vicario Curato di S.Maria della Rocca, Pag. del manoscritto 11 come ancora l’accedere alle mensili risoluzioni de’ Casi di coscienza, da cui non sarebbero dispensati neppure abitando fuori nelle loro contrade. Che anzi volendo il Vescovo far chiaramente rilevare che coll’istituire i tre Cappellani Curati non intendeva formare tre nuove Parochie ma dare coadiutori ossiano Cooperarj al Vicario Curato, volle che la suddetta Vicaria di S.Maria della Rocca si riguardasse sempre come unica ed indivisa Parrocchia, nulla volendo detrarre a’ suoi diritti e che perciò fossero annualmente tutti ed indistintamente tenuti gli abitanti di campagna (eccetto gli infermi e valetudinari) a soddisfare al precetto pasquale nella Chiesa Collegiata di S. Maria della Rocca. 5° Finalmente si dichiarò che sebbene a ciascuno de’ suddetti tre Cappellani si assegnavano speciali contrade ove esercitare d’ordinario il loro santo ministero, nulla ostante però ove ne venisse necessità, nessuno de’ medesimi era sciolto dall’obbligo di prestare aiuto all’altro in diverse contrade, specialmente in assenza o mancanza del proprio Cappellano. Così il buon Vescovo credette di aver provveduto a bastanza, almeno per allora, alle spirituali necessità di questa popolazione agricola : sperando certo in cuor suo di poter quanto prima coll’assegna delle rispettive residenze ai Cappellani portare al suo compimento l’opera intrapresa : senza di che, ben s’avvedeva anch’egli, che le sue savie disposizioni non avrebbero potuto sortire l’effetto desiderato. Pag.delmanoscritto12 38 In forza dunque del suddetto Decreto di Mons. Vescovo Marana, furono nel 1759 eletti dal Capitolo la prima volta i tre Cappellani Curati ed, approvati dal Vescovo, furono loro assegnate le rispettive Contrade e Chiese rurali. La Chiesa di S. Venanzo con la Contrada che porta l’appellazione del Santo, fu assegnata al Cappellano D. Carlo Nespeca : la Chiesa di S. Lazzaro con la Contrada di simil nome al Cappellano . . . . . ., e sacerdote D. Biagio Tilli fu il primo Cappellano Curato della Chiesa di S. Basso per la Contrada del Ciafone. 3. ELEZIONE DI TRE CAPPELLANI CURATI COME COADIUTORI DEL VICARIO CURATO DI S. MARIA DELLA ROCCA 39 E’ la contrada del Ciafone situata a levante della città di Offida, e se si riguardi alla insperata fertilità del suolo ed alla estensione del terreno che abbraccia, è la più considerabile di tutto il territorio. Essa nella sua configurazione e topografia rappresenta prossimamente una mezza ellisse tagliata secondo l’asse principale, che verrebbe rappresentato dal torrente detto alla valle. Partendo dal punto in cui questo tocca il territorio di Castorano la periferia dell’ellissi suddetta viene descritta dai confini di Castorano, di Acquaviva, di Monsanpolo, di Ripatransone, ed il punto opposto dell’asse suddetto verrebbe costituito dalle adiacenze del Colle S. Martino. A percorrere tale periferia non basta forse il cammino di ore …… d’onde può raccogliersi quanto sia vasta questa Contrada. Pag.delmanoscritto13 Continui sono i scoscendimenti ed avvallamenti di terreno, e molti fossi e torrenti dividono e spezzano la contrada in più parti : le vie fangose, e nelle stagioni invernali, avendosi a costeggiare quei torrenti, sono molte volte impraticabili. Dissite e spesso assai lontane fra di loro le abitazioni de’ coloni : alcuni poverissimi non potendo facilmente comunicare fra loro non scambiansi nemmen facilmente i servigi ed all’uopo non è facile trovare chi l’un l’altro soccorra. Di più la maggior parte di essi, non possono per la loro miseria provvedere di portante il Parroco che debba recarsi ne’ loro abiturj. Pensi dunque il lettore in che triste condizione dovevano trovarsi quando erano costretti di andare per esso in città. La Chiesa di S. Basso, che fu allora assegnata al Cappellano Curato di detta Contrada, è una piccola chiesuola rurale, esistente ancora, ma che era ben lontana dal porgere comodità di accesso a tutti gli abitanti della Contrada medesima, e perciò con molto savio accorgimento venne poi edificata la nuova Chiesa od Oratorio di S. Filippo e S. Basso, di cui parleremo in appresso. Pag.delmanoscritto14 Ma per lo spazio di circa 30 anni, dalla prima istituzione fatta dal Marana fino al 1784 le cose furono sulle condizioni che abbiamo esposto. Il Cappellano di S. Basso, risiedeva come gli altri Cappellani, in città : aveva dal Capitolo l’annuo assegno soli sc. 20 ed officiava la Chiesa rurale di S.Basso avendo la cura delle anime di questa contrada. Ma guari però non andò che si scorse la necessità di provveder tosto i nuovi Cappellani, specialmente quello del Ciafone, della abitazione, per farli risiedere in seno delle loro Cure. Di fatto ciascun vede, che coll’istituzione de’ tre nuovi Cappellani fatta dal Marana, mentre risiedono in città, se prestano essi loro aiuto al Vicario Curato moltiplicando per così dire le sue braccia, non è però che sia rimossa la difficoltà di correre all’uopo dalla 40 città all’estreme parti delle contrade per assistere i moribondi, ed esercitare altri officj parocchiali : Pag. del manoscritto 15 dappoiché per moltiplicità di braccia non si diminuisce quella distanza; e il più importante è qui, che il parroco possa subito accorrere, e per la vicinanza de’ luoghi spesso visitare l’infermo, e con agio andare e tornarvi. Di più, dove prima per la conosciuta impossibilità del Vicario di accorrere spesso in più parti e lontane del territorio, tutti gli altri sacerdoti, che in Offida sono stati sempre numerosissimi, si sarebbero creduti obbligati di prestarsi per la qualità stessa del loro caritativo ministero, eletti i Cappellani Curati, e ad essi assegnato un qualsiasi benché tenue stipendio, non troverai più sì facilmente chi voglia addossarsi un carico per cui vengono altri stipendiati. Così è sempre vero che l’aggiunta di sei braccia, davano ragione di quiescenza a quelle di moltissimi altri. 4. 1784 : DECRETO DEL VESCOVO LEONARDI PER L’ASSEGNAZIONE ALLA CAPPELLANIA DI S. BASSO DEL BENEFICIO DI S. FILIPPO ED ANGELO 41 Nel settembre del 1784 recavasi in Offida a far la S. Visita Mons. Pier Paolo Leonardi, nuovo vescovo di Ascoli (*). Egli ebbe tosto a udire nuovi lamenti degli abitanti di campagna: dicevano che essi ne’ casi estremi erano deserti; non potere il loro Cappellano sempre ed ovunque, ed all’uopo accorrere a prestar loro soccorso: Pag. del manoscritto 16 La maggior parte di essi non aver nemmen comodo da provvederli di cavalcatura; molti non ricevere assistenza in punto di morte, altri morirsene senza i conforti di religione e de’ sagramenti: la loro Chiesa non tutti i dì festivi rimanere officiata; i loro figlioli non potere accedere di lontano all’istruzione catechistica, gli infermi restare in abbandono. Rimase penetratissimo l’animo di quell’ottimo Pastore alle dolenti voci del suo diletto gregge, e diè subito particolare istruzione a’ suoi Convisitatori, di perlustrar diligentemente quelle Chiese rurali, prender piena informazione di quelle Cappellanie Curate, e dargliene quanto prima fedele rapporto. Fu tra suoi Convisitatori D. Filippo Ambrosi, Vicario Generale e Canonico della Cattedrale di Ascoli (**), il quale solo in detta qualifica, impediti gli altri Convisitatori per improvviso accidente di malattia, accompagnato da due altri sacerdoti e scortato da persone prattiche de’ luog hi, si recò a visitare le Chiese rurali del territorio, e praticò quelle strade, d’onde poteva scorgere più facilmente la qualità e postura di tutte le contrade. Pag. del manoscritto 17 Non si può esprimere quanta fu la sua sorpresa e la sua compassione insieme pel Curato e per i poveri Campagnuoli, allorché scorse la Contrada del Ciafone. Sentieri dirupati e scoscesi d’ogni parte : alcuna volta nessuna traccia di strade; torrenti fancosi, dilavazioni di terreno quasi in ogni banda: case coloniche dissite fra di loro, poste in luoghi isolati; molti poverissimi tugurj; la Chiesa di S. Basso sbalestrata in parte della Contrada in sito incomodissimo alla maggior parte della popolazione : questa ascendere, non ostante al numero di 650 anime e più. Quivi anche più forti ebbe a udire i lamenti, che moltissimi morivasene senza i conforti di religione. Egli restò tosto persuaso della necessità di porgere un soccorso a quelle povere genti : le sue viscere furono veramente commosse alla vista della loro infelice situazione: quindi s’ingegnava di trovar mezzo di venire all’effetto di porre in quel luogo la residenza del Parroco. Ne venia discorrendo co’ suoi compagni di viaggio, quando l’un di essi, mosso certo dallo Spirito del Signore, così prese a dire : - E’ in Offida il Canonico D. Francesco Fazi già cadente di età, possessore di due buoni benefici riuniti sotto il titolo de’ Santi Filippo ed Angelo. Pag. del manoscritto 18 42 Il primo di questi appartenne un giorno all’Oratorio di S. Filippo, che esistè già in Offida da fino al quando mancato affatto ogni sacerdote, la Congregazione si sciolse: il secondo appartenne un tempo alla Compagnia di S. Angelo di detta terra pur soppressa. Mons. Monti Vescovo di Ascoli (1) in occasione di una sua S. visita fatta in Offida nel 1671 avendo trovata la Chiesa di S. Filippo già diruta, ed in condizioni di non poter esser riattata, e senza celebrazione di Messe, e che li beni del Suddetto Oratorio non erano stati applicati ad alcun Luogo Pio; ed avendo pure in simile stato trovato l’Oratorio della Compagnia di S. Angelo; di pieno consentimento de’ Canonici, del Clero, e del popolo tutto, con tutti questi beni una Cappellania eresse, amovibile ad nutum, ingiungendo al Rettore di essa l’obbligo di una messa per settimana, ed un’altra nel dì della festa del Santo Titolare. -----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------(*) Pier Paolo Leonardi, nobile di Amelia, creato nel 1755, riuscì degno allievo e nipote del celebre arcivescovo di Fermo Alessandro Borgia. (**) Filippo Ambrosi, di nobile famiglia ascolana, dotto e pio ecclesiastico e nelle leggi canoniche versatissimo, fu lume ed ornamento della Chiesa Ascolana, Canonico di quella Cattedrale, poi vescovo di Montalto. (***) Filippo Monti Fermano dal Vescovado di Teramo passò a quello di Ascoli nel 1668 del quale resse eccellentemente il governo. Narrasi che egli avia sottoposta la propria condotta alla correzione di due Censori espressamente da lui istituiti. 43 Un quarantanni appresso, nel 1711 la chiara memoria di Mons. Gambj, venuto parimenti in Offida per la S. Visita, sia che non trovasse in buon punto l’amministrazione de’ beni suddetti, sia che di essi credesse più opportuno provvederne il Seminario di Ascoli, al medesimo tutti i beni del Beneficio de’ SS. Filippo ed Angelo applicò ed unì ; Pag. del manoscritto 19 il quale non lì ritenne però né anco un decennio perché avendo fatta ragione dell’entrata e dell’esito, credette meglio rinunciarli, e li rinunciò. Allora Mons. Gambj (*) recatosi nuovamente qua nel 1721, il suddetto Beneficio o Cappellania co’ beni e pesi suddetti conferì al Chierico Francesco Fazi. Molto diverso però è il conto che questi ne ha saputo fare, perché i suddetti beni potranno oggi rendergli un fruttato libero di presso ché cento scudi annui : tanto è vero che ogni conto non torna lo stesso sotto diversi amministratori. Ora tornando al proposito che Vostra Eccellenza teneva, sapendosi che in breve per l’età avanzatissima del Fazi sarà per vacare questa Cappellania, e spettando la collazione della medesima alla mensa Vescovile, non potrebbe Ella, Monsignor Vicario, prendere impegno presso quest’ottimo nostro Superiore, perché essa venisse incorporata alla Cura di S. Basso, ed obbligare così il Cappellano a risiedere ? – Piacque sommamente all’Ambrosi questo progetto; e non si tosto fu alla presenza del Vescovo, che col quadro dolente dell’infelice situazione degli abitanti del Ciafone espose insieme il modo di rimediare a tanti loro disastri. Pag. del manoscritto 20 Il Vescovo, che nulla meglio stava attendendo che sì bella congiuntura, commentato altamente il progetto, e chiamato anche il sacerdote che l’avea fatto, prese esatta informazione dell’esposto, e verificate tutte le suddette circostanze e la libera collazione in mano sua, senza metter tempo in mezzo, siccome quello che a lui premea sommamente la salute delle anime, in quella stessa sacra visita volle fare il Decreto, che come fosse per vacare il Beneficio de’ SS. Filippo ed Angelo, il medesimo, ex nunc pro tunc come si espresse, venisse incorporato alla Cappellania Curata di S. Basso: ovvero (siccome pure volle aver considerazione delle altre due Cappellanie Curate, rapporto alle quali verificavasi presso che le stesse circostanze), alle altre due di S. Lazaro e Venanzo, in tutto od in parte, come meglio si crederà espediente, con tutti i beni, diritti e pesi al medesimo beneficio inerenti, ad effetto che i medesimi Cappellani potessero risiedere nelle Contrade. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------(*) Giovanni Gambj nobile Ravennate tenne la sede vescovile di Ascoli dal 1710 al 1726: è ricordato con affetto. 44 Pag.del manoscritto 21 Nel suddetto Decreto si riservò poi il diritto di stabilire in appresso quali peculiari leggi, officij e carichi pe’ Cappellani, che egli crederebbe opportuni. Questo importantissimo Decreto è registrato in Archivio al Num. . 5. ATTUAZIONE DEL DECRETO LEONARDI Grande era stato l’accorgimento del Vescovo nel formar un tale Decreto prima che vacasse il Beneficio di S. Filippo: giacché aveva così avviato al capo, in cui il Fazj morendo in un mese, in cui la collazione del medesimo Beneficio spettasse alla Dataria, non fosse poi in sua libertà l’applicar que’ beni all’uso desiderato: ed in secondo luogo s’era così liberato dalle infinite molestie che molti gli avrebbero fatto, sollecitando per se la collazione del Beneficio stesso, quanto spettasse al Vescovo di conferirlo nella sua futura vacanza. Ma tale accorgimento non gli valse interamente sicché non avesse a provar poi de’ disgusti per tal causa. Dappoiché, morto nel 1788 il Canonico D. Francesco Fazj, e chiedendo il Cappellano di S. Basso l’incorporazione del medesimo a vantaggio di quella Chiesa, subito nacquero delle opposizioni. Alcuni lusingandosi di ottenere quella provvista per se, pensarono di rivolgersi alla Dataria, e tosto ne scrissero ai loro agenti in Roma: Pag.del manoscritto 22 Frattanto si cercò di far nascere quaggiù gli ostacoli per ritardare il corso delle cose. Si fece fare una protesta del Comune contro l’unione sudetta, dicendosi che la Comunità non volea esser pregiudicata nell’esigenza de’ pesi Comunicativi, quando si fu poi verificato che que’ beni non erano stati mai soggetti a tale aggravio. Gli altri Cappellani facevano forse anch’essi delle premure per ottenere una porzione di quei redditi beneficiali. Ma soprattutto i Sig.ri Canonici sospettavano, che l’unione anzidetta dovesse pregiudicare i diritti che il Capitolo avea sulla Parrocchia affiliata. Si promossero dunque delle difficoltà, si fecero delle proteste in Capitolo; e si mandò anche una deputazione al Vescovo per cercare di rimuoverlo dalla risoluzione intrapresa. Il tutto però fu accordato allora in buona pace. Mons. Leonardi lontano dal voler il pregiudizio dei diritti di alcuno, il Capitolo persuaso dall’equità delle di lui determinazioni, desiderose anche le parti di far lo migliore per la salute delle anime, si posero d’accordo nello stabilire i seguenti patti e convenzioni: 45 Pag. del manoscritto 23 1° Che l’elezione del Cappellano Curato (già removibile in persona del Vescovo) toccasse ed appartenesse al Vescovo (con questo articolo si erano voluti togliere le collisioni che potevano prima nascere tra il Capitolo che eleggeva ed il Vescovo cui era riserbata l’approvazione). 2° Che questo Cappellano Curato dovesse esser sempre una persona oriunda del Luogo, purché fosse abile. 3° Che dovesse risiedere nelle Contrada di S. Basso. 4° Che dovesse celebrare parimente la rata delle Messe pro populo. 5° Che dovesse celebrare tutte le Messe del Beneficio e portarne tutti i pesi. 6° Che delle rendite de’ beni di S. Filippo dovesse pagare scudi 10 al Cappellano Curato di S. Venanzo; ed altri scudi 10 a quello di S. Lazzaro: e che dall’assegnamento delli scudi 20, che ha presentemente il Cappellano Curato dalle rendite dell’Opera Pia Rota, ne dovesse pagare scudi 10 al Vicario Curato della Collegiata, col peso però ad esso Vicario Curato di coadiuvare li tre Cappellani Curati di campagna. 7° Che dovesse amministrare li Sacramenti ed esercitare tutto ciò si ordina ad essi Cappellani Curati nell’erezione e Decreto formato dalla chiara memoria di Mons. Marana. Sopra tali basi e condizioni formò Mons. Vescovo Leonardi il suo Decreto del 27 settembre 1788 per l’unione del Beneficio de’ SS. Filippo ed Angelo alla Chiesa Curata di S. Basso che conservasi in archivio al num. insieme col Consenso prestato dal Capitolo nel dì 12 settembre 1788 che risultò da voti 10 favorevoli a petto di 3 voti contrarj. Pag. del manoscritto 24 In forza dunque della suddetta Convenzione e Decreto l’elezione del Cappellano alla Chiesa Curata di S. Filippo e Basso, spetta ora esclusivamente al Vescovo : elezione che prima spettava al Capitolo coll’approvazione del Vescovo : in compenso della qual cessione di Diritto il Capitolo ebbe la compiacenza di assicurare ai sacerdoti oriundi del Luogo la provvista di questa buona Cura. Il Curato di S. Basso ebbe pertanto il mandato de immittendo al possesso del Beneficio li 12 settembre 1788 ed il giorno susseguente gli fu questo dato dal Pubblico Notaro Gio. Battista Doria. Il suddetto decreto d’immissione al possesso è registrato in Arch. al Num . 46 Le opposizioni dei particolari e del Comune non furono attese, perché di nessun valore. Chi desidera qui conoscere quali erano i beni spettanti al suddetto Beneficio de’ SS. Filippo ed Angelo, che passarono in perpetuo alla Chiesa rurale di S. Basso, e che furono quindi alienati, potrà leggere la Perizia redatta dagli Periti Agrimensori Tacconi e Corradetti che nel 17 luglio 1789 si recarono ad apprezzare li Corpi di terreno formanti parte de’ medesimi Beni situati in diverse Contrade del territorio di Offida. Oltre de’ quali 6 pezzi di terreno ve ne fu altro posto in Contrada . . . . Pag. del manoscritto 25 Altro Il medesimo Beneficio aveva ancora un orticello sito in Contrada S. Nicolò nell’intorno di Offida confinante con Saverio Sergiacomi, Opera Pia Rota, e strada pubblica, di canne 1 e piedi 53 valutato scudi 4 e 50, che fu poi alienato anch’esso come si dirà in seguito. Gli oneri annessi al Beneficio suddetto che ora si debbono soddisfare dal Cappellano Curato di S. Basso, sono la celebrazione di una Messa alla settimana, come si è detto di sopra, e di altra nel dì festivo al Santo Titolare S. Filippo : ma di ciò si tornerà a parlare a suo luogo. Fuvvi alcuno che riputava illegale l’atto di unione fatto da Mons. Leonardi ed invalido per conseguente il possesso preso dal Curato di S. Basso, ostinandosi a credere che la Collazione del suddetto Beneficio, essendo il Fazj morto nel settembre, dovesse spettare alla Dataria; e fuvvi ancora chi pose effettivamente in quel Dicastero il Nihil Transeat. Pag. del manoscritto 26 Altri pretendeano che almeno le Bolle dovevano spedirsi dalla Dataria. Ma furono vane le voci degli uni e degli altri. Dappoiché il Vescovo non ebbe bisogno di spedire, e non spedì alcuna Bolla, avendo già per l’innanzi in tempo di S. Visita incorporato e riunito il Beneficio alla Cura : ed in secondo luogo, in virtù delle facoltà che il Sagrosanto Concilio di Trento impartisce ai Vescovi in S. Visita, egli non avea fatto cosa che oltrepassava i limiti del suo potere. 47 6. PRIMA SCELTA DEL SITO SU CUI ERIGERE LA CASA DEL CAPPELLANO CURATO DI S. BASSO Non si pensò dunque più ad altro che a provvedere quanto prima un’abitazione conveniente pel Parroco ove potesse risiedere in seno de’ suoi Parocchiani. Due furono i progetti che in tal proposito si fecero : l’uno era di costruire la Casa presso la Chiesa di S. Basso; l’altro di collocarla nel monte Cocci, luogo aperto, di buon’aria, bella esposizione e più comodo al Curato per prestarsi in ajuto de’ Parrocchiani. Ambedue avevano loro caldi partigiani: il primo era fortemente da quelli che avevano loro colonie presso quella antica Chiesa; l’altro dal Curato, e da tutti coloro, che giudicavano quel sito più vantaggioso a tutta la popolazione della Contrada: prevalse presso al Vescovo questo secondo : ed avendo i sigg. Feriozzi fatto sperare di vendere all’uopo un frustolo di loro terreno, e premendo al Vescovo, che quanto prima si edificasse la casa, quivi dette ordine che si cominciasse a costruire. Pag.del manoscritto 27 Ma qui il Cappellano Curato chiese al medesimo Mons. Leonardi che ad effetto di potere quanto prima inalzare la fabbrica suddetta, volesse dar ordine che si sospendessero le pensioni delli scudi 10 accordate agli altri Cappellani. La domanda era giusta, ed il Vescovo vi condiscese e ne formò il Rescritto che noi abbiamo collocato in Archivio al Num. . . . ma, come era da attendersi, questa nuova Disposizione non potè molto piacere a coloro che vedevano così dilazionata per buon tempo la percezione del loro assegno: avvegnaché ciascuno facilmente intendeva, che dopo la costruzione della Casa in quel luogo si sarebbe chiesto ed ottenuto facilmente di fabbrire quivi ancora la Chiesa. Tuttavia i Cappellani non mossero allora grande lamento: grande fu il rumore e l’adoperarsi che fecero coloro, che volevano la casa suddetta presso la Chiesa di S. Basso, temendo certo che presto non sarebbe stata più officiata (N.E. 3). Pag. del manoscritto 28 S’ingegnarono pertanto di molestare per parecchie vie il povero Curato, che già adunava pietre e cementi nel Luogo designato : e primieramente si vide sentore della loro opera nella ritrattazione del Feriozzi che non volle più cedere il promesso frustolo di terra : egli si contentò piuttosto di dare qualche compenso al Parroco nell’offerta di scudi 10, che porre come egli diceva, una gravosa servitù nel fondo che possedeva. Si cercò allora altro luogo : mentre però il Curato andava volgendosi a questo ed a quello per avere un luogo 48 dove edificare in quelle vicinanze, avendo anche quivi un fondo della Cura, non si mancava di fargli nascere ovunque ostacoli, perché egli non potesse quivi edificar la casa. 7. ALTRA SCELTA DEL SITO A MONTE COCCI. INCARICO ALL’ARCH. PIETRO MAGGI PER LA MAPPATURA DELL’AREA Il Parroco invocò allora l’autorità del suo Prelato e chiese che fosse a se determinatamente accordato il permesso di costruire detta casa nel circondario e vicinanze del Monte Cocci, in luogo comodo alla popolazione: egli fece questo, perché forte della espressa determinazione del Vescovo, potesse opporre un argine alle segrete mene, che si faceano per impedire quest’opera pia. Pag. del manoscritto 29 Il Vescovo diede commissione al Prior Cipolletti (noi più sotto faremo onorata menzione di questo insigne Ecclesiastico) acciocché, riconosciuto il luogo opportuno, indilazionatamente si cominciasse ad edificar la casa, e si disegnasse anche un luogo per un piccolo oratorio di circa 30 palmi in quadro (sic). Archivio Num. (26 gennaio 1789). Il nuovo luogo destinato era un predio dei sigg. Morganti, che pure si faceva sperare. Piacque il luogo al Cipolletti, e quivi esortò il Parroco ad apprestare i materiali. Ma il Vescovo cambiò d’idea: in una pianta topografica della contrada fattagli presentare da chi non aveva avuto commissione per essa, segnò di proprio pugno un altro luogo. Per opporre testa a testa ne fu fatta rediggere per commissione del Parroco un’altra dal celebre architetto Pietro Maggi, che allora trovavasi in Offida a diriggere la bella fabbrica della nuova Chiesa Collegiata; il Vescovo restò convinto e confermò l’ordine di edificare nel monte Cocci, ma gli piacque di prescegliere il luogo, ove era il predio Forlini esortando il Parroco ad usar delle prattiche per avere il fondo. Il Tilli dunque proseguì ad adunar materiali per esser pronto alla fabbrica. I suoi contraddittori, non avendo potuto vincerla per un verso si diedero a tentarne un altro : Pag. del manoscritto 30 a nome del popolo di Offida si dettero ad avanzar ricorsi contro Tilli. Il primo fu all’E.mo Camerlengo (N.E. 4). Si disse che il Tilli, a solo fine di formare un Casino di campagna per suo divertimento spogliava di pietre il fiume Fiobo: che queste erano riserbate per costruire un forte ponte sul fiume stesso, e per riattare la strada che conduce all’antica e sepultuaria Chiesa di S. Basso : si poneva quindi in diffidenza la Curia di Ascoli come aderente al suddetto Tilli, e si pregava che le pietre fossero riportate nell’antico lor posto. Questo ricorso fu rimesso al Preside di Montalto, a cui era allora soggetta Offida (N.E. 5) : 49 non mostrando egli di farne gran conto per la scoperta malisia del ricorrente, altro reclamo fu avanzato alla Segreteria di Stato. Noi lo riportiamo per intero a fine di esilarare i nostri lettori e sollevarli un momento dalla noja de’ fogli presenti. E’ pure il popolo di Offida che fa testa al ricorso ma odasi umana malizia anzi diabolica suggestione : Il popolo della terra di Offida Presidato di Montalto oratore dell’E.V.R. con umile ossequio supplica degnarsi dare riparo ad un notabile disordine che per opera d’un Prete per nome D. Biagio Tilli oriundo del Regno di Napoli, come moderno Curato Rurale di una contrada di questo Territorio detta del Ciafone, quasi confinante col Regno di Napoli, è in determinazione di nuovo costruire un Casino Parrocchiale per proprio comodo, ed ivi si ripromette ancora fabbricarvi una nuova Chiesa in un picciolo corpo di terreno che esso ora gode spettante alla Parrocchia. Pag.del manoscritto 31 Una tale innovazione, E.R.ma, ripresenta a noi li passati infortunj che soffrirono li nostri antenati, i quali a stento potevano salvarsi da malviventi e ladri, che da detto Regno fuggivano e si ricoveravano in detta contrada per godere l’immunità ecclesiastica, atteso che varie erano le chiese rurali in detta Contrada(*), le quali furono di poi per tal motivo demolite e di cui oggi si osservano ancora le vestigie; essendone restata una sola col titolo di S. Basso, che è seppultuaria, ed è stata, ed è anche oggi, al popolo comoda, dove il detto Tilli con poca spesa potrebbe appoggiar le camere di sua residenza, e non formar altra immunità Ecclesiastica in detta Contrada, perché non ritornino li tempi andati, nei quali essa acquistò il nome di Contrada della Forola a motivo de’ ladri e malviventi che vi si rifuggivano al coperto della ecclesiastica immunità. Sperano gli Oratori ottenere dalla Eminenza ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------(*) Quelle che v’avevano costruite que’ buoni monici molte delle quali erano deperite per incuria 50 V.R.ma pronto riparo al nuovo rinascente disordine. Anche questo reclamo fu rimesso al Preside di Montalto Mons. Frosini il quale coll’usato accorgimento seppe riconoscervi la medesima segreta mena di sturbare quell’opera pia: Pag. del manoscritto 32 Non si sfiduciarono però i ricorrenti : visto senza effetto anche questo reclamo, si posero intorno al potestà di Offida, perché ei dovesse impedire che venissero rimosse quelle pietre del torrente Fiobo : e tanto fecero che il buon uomo si lasciò condurre a metter fuori un bando (26 aprile 1789) col quale minacciava la pena di scudi 5 a chiunque avesse avuto ardire di rimuover le pietre suddette dalle adiacenze dei ricorrenti. Il Cappellano Tilli temendo che per tale editto anche gli altri possessori de’ fondi nelle adiacenze del fiume prendessero animo di reclamare, si volse al Preside Frosini, perché in vista che le pietre suddette , come in quel torrente così in tutti gli altri del territorio, erano state sempre primi occupantis volesse per la giustizia far revocare pubblicamente quel Bando. Ma tale fu il rumore che mossero i ricorrenti suddetti, e tali le minacce di far valere loro pretensioni anche ne’ supremi dicasteri di Roma, che per non dar luogo a maggiori disturbi e non suscitare maggiori inimicizie, si tollerò che il Bando restasse in vigore. 51 8. IL PROBLEMA DEL VINCOLO DI UN PIO LEGATO GRAVANTE DUL SITO SCELTO SUL MONTE COCCI Per questi e simili ostacoli che sempre si paravano innanzi al povero Cappellano, non era vicina la possibilità di edificare la casa, tanto più che ora trattavasi di far l’acquisto del Predio Forlini di cui sopra abbiamo parlato, il quale era vincolato da un cotal Pio Legato Capriotti per scioglierlo dal quale era necessario supplicare in Roma al Sommo Pontefice. Pag. del manoscritto 33 Vedendosi dunque che le cose dovevano procedere con molta lentezza, il Tilli chiese al Vescovo di poter frattanto appoggiar una stanza alla Casa Colonica del Fondo Parrocchiale che si trovava non molto lontana dal luogo ove doveva erigersi la nuova abitazione del Parroco : espose ancora che egli avea col Sig. Antonio Forlini possessore del fondo medesimo già stipulato una scrittura privata, hic inde obligatoria, di vendita e di compera del predio suddetto con casa rurale per costruire in esso, secondo la mente di S. Ecc. R.ma la nuova Residenza e Chiesa ossia Oratorio: e che, essendo questo fondo gravato da un Legato di Messe, per alienarlo il sig. Forlini andava già a supplicare S. Santità; volesse permettere, che per farne egli l’acquisto, alienasse 5 piccioli corpi di terra spettanti alla Cappellania Curata di S. Basso. Aveva il Tilli con molto accorgimento e con l’intesa del Vescovo stesso, conchiusa già quella scrittura col Forlini li 5 marzo 1789, rogito Guidobaldo Felli di Offida, coll’obbligazione di stare hic inde alla stima che si sarebbe fatta del Predio da due periti, ed in dissenso di quelli da un periziore; Pag. del manoscritto 34 stante che egli avrebbe evitato così l’inalzamento del prezzo del fondo stesso nella gara degli oblatori; qualora fosse stato deliberato per incanto. Ecco il rescritto di Mons. Vescovo Il sig. Prior Cipolletti accudisca sull’affare della Casa che si espone, dandogli le necessarie ed opportune facoltà, servendosi delli cementi che si trovano raccolti per la nuova fabbrica: e per l’acquisto della Casa Forlini, unitamente col Cappellano Tilli operino come crederanno più conveniente. Ascoli 25 aprile 1789. La costruzione di questa nuova stanza nella Casa Colonica del Fondo Parrocchiale, ed il riattamento di altra nel luogo medesimo, si esiguì poi nella state prossima, e si fu che furono spesi in tutto scudi 26 e 35, e nell’ottobre susseguente furono le suddette stanze dovute cedere per abitazione al Colono, che ne ebbe necessità. 52 Veniamo ora all’acquisto del Predio Forlini, il quale non essendo stato poco intralciato, potrà porger lume a chi sia per trovarsi in appresso in simili vertenze. Fortunatamente si verificavano delle circostanze per cui il Forlini poteva sperar dal Pontefice la facoltà di alienare il suo fondo. Ecco l’istanza ch’egli ne fece, e che ci mette in chiaro delle circostanze medesime; e che noi riportiamo per esteso per essere parto della penna del celebre giureconsulto Paolo Cipolletti (*). Pag. del manoscritto 35 Beatissimo Padre Antonio Forlini di Offida Diocesi di Ascoli nella Marca, oratore e suddito Devotissimo della Santità Vostra, rappresenta umilmente, che sin da 44 anni sono vendè un suo Predio nel Territorio di detta Terra, e Contrada Ciafone della capacità di quarte 25 (N.E. 6) con casa rurale per prezzo di scudi 75 a Giuseppe Capriotti. Questo contratto che evidentemente era lesivo, e fu così creduto quasi sul momento, fu giudicato dal compratore di salvarlo donandolo alla Chiesa con erigerci un Legato Pio Laicale incaricato del peso di 30 Messe l’anno in perpetuo, e fu pensato quietare il venditore conferendo a Lui, e suoi discendenti il Giuspatronato passivo (N.E. 7) colla caducità a favore del Cappellano di S. Venanzo in caso dell’inadempimento de’ pesi; ed estinta soltanto la discendenza del Forlini fu sostituita al detto Patronato la discendenza dell’Istitutore. Di fatto essendo il Povero oratore un ignorante contadino si lusingò di essere il vero e reale Padrone del fondo suddetto, e credette di essere in libertà sempre di rivenderlo salvo il peso delle 30 Messe che gli parve corrispondente alli scudi 75 che avea ricevuti. Quindi non solo non reclamò per la lesione, ma finché potette co’ suoi sudori industriossi non meno d’accrescere tal Fondo, e con una fabbrica che vi aggiunse, e con delle piantagioni. Ora però che trovasi nella suo vecchiezza e che esuberato da debitucci saria in necessità di provvedere alle indigenze sue e della Famiglia col vendersi il suddetto Predio che ascende alla valuta di scudi 900 non trova compratore a motivo del vincolo accennato della sostituzione. -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------(*) Questo casato, dice giustamente l’autore delle memorie storiche di Offida, questo casato si trapiantò in Offida per mano della Provvidenza: fu sempre l’ornamento, l’appoggio e la consolazione del Paese. Mentre il Prior Cipolletti alzava la fabbrica della nuova Collegiata, Paolo suo fratello faceva erigere il grandioso e comodo ospedale di S. Antonio. 53 Hanno però aderito a detta svincolazione il Capriotti, cedendo al diritto loro e de’ successori, purché venga la celebrazione aumentata a Messe num. 40 l’anno, come prova il foglio, che si umilia segnato lett. A e vi cede di buon grado il Ricorrente co’ figli suoi; e la Cura Rurale di S. Basso, cui molto accomoda tal predio e casamento per essere nell’istessa Contrada e per essere il preciso sito, in cui si vuol fissare la residenza di quel Curato; Pag.del manoscritto 36 accudirebbe alla compra a stima de’ Periti purché tal prezzo si diminuiscano di scudi 110 in perpetuo Fondo della Celebrazione indicata, siccome leggesi nel foglio umiliato alla Lettera B. Ma a tal passo non si può venire senza la previa suprema approvazione dello svincolo della sostituzione. Questa benigna sovrana condiscendenza par che la esigano le principali circostanze di cui trattasi. Di fatto un contratto che è notabilmente lesivo, mentre il Predio al tempo della vendita valse sopra scudi 200 : un fondo sul quale con erronea fiducia un misero contadino ha impiegato li sudori di sua vita per accrescervi e fabbricato e piantagioni; il depauperamento estremo in cui trovasi questo infelice, gravato da debiti, di famiglia e di età che non può sperimentarsi le ragioni sue in giudizio; tutti sono motivi che parlano per la svincolazione bramata. In circostanze poi e del consenso de’ sostituiti e dell’assicurazione degli obblighi e della cessione che cade pure a favore della Chiesa, par che tanto più volevoli si rendano li sopraccennati motivi di ragione a sperare la sovrana provvidenza, perché abolisca la già detta sostituzione. Quindi l’oratore prostrato ai piedi della S.V. umilmente l’implora, e dalla sovrana clemenza dedita al sollievo degli infelici con fiducia lo spera. Che della grazia. Questa istanza del Forlini coi due allegati di cui sopra che noi conserviamo in archvio ai Num. . . .fu spinta in Roma li 17 maggio 1789; e li 26 detto la Sagra Congregazione del Concilio chiese l’atto d’istituzione del Pio Legato Capriotti, e il consenso di tutti gli interessati: fu d’uopo pertanto interpellare il Cappellano Curato di S. Venanzo, in favore del quale era la caducità del Legato Capriotti qualora non si fosse adempiuto l’obbligo di Messe: ed estrarre la pubblica copia dell’erezione della Cappellania, che conservavasi fra gli atti del notaro Offidano Giovanni Tinti. Pag.del manoscritto 37 Abbiamo posto le copie di questi due allegati nel nostro archivio ai num….. Il Cappellano di S. Venanzo però diè il consenso per ciò solo che a lui poteva appartenere, senza pregiudizio de’ suoi successori: questa restrizione non partorì grave difficoltà. Di più conveniva giustificare mediante l’esibita di legali documenti tutto ciò che nell’istanza aveva 54 esposto il Forlini: furon fatte pertanto redigger due perizie giurate dai periti Pietro Tacconi ed Ascensio Corradetti per apprezzare il Predio Forlini, ed i corpi di terreno spettanti alla Cura che si volevano alienare. Furono redatti nel giorno 17 luglio 1789 ed il primo fu reputato di valore 510:60 scudi; gli altri sei in complesso furono apprezzati 285:07 scudi. Sono le copie di tali perizie col particolare dettaglio de’ fondi ai num. di archivio . . . . Di più il perito agrimensore Tacconi nel 27 giugno antecedente avea redatta una sua Perizia particolare del Predio Forlini, diretta a giustificare l’asserto dell’istanza suddetta, che detto Predio potea esser valso un quant’anni addietro 250 scudi. Anche questa pezza è in archivio al num. . Oltre de’ quali documenti fu esibito alla S. Congregazione un attestato del Parroco di S. Maria della Rocca comprovante lo stato di famiglia, finanze ed età di Antonio Forlini. Pag.del manoscritto 38 Il sig. Priore Cipolletti, che era uomo da ciò, estese in lingua latina, per commissione del vescovo, un dettagliato rapporto di tutte le circostanze anzidette ; e fu il tutto sottoposto all’esame degli Eminentissimi Cardinali componenti la Congregazione del Sacrosanto Concilio. Siccome ella procede con somma cautela nel trattare simili affari, perciò corse del tempo prima che potesse aversi la sua risoluzione : anzi , essendo la materia molto intralciata per l’esame che conveniva fare di tutti i documenti, e perché in quella Congregazione si voglion discutere le cose con maturità di senno, si giunse alla Quaresima del 1790 allorché si ebbe il Rescritto “Exhibeatur in folio” convenne dunque aspettare anche altro tempo sinché si esibissero in forma le ragioni del contratto : le quali si leggono in bella chiara e semplice brevità esposte nel documento serbato in Archivio al num. che comincia “Asculana Ecl.” al quale noi rimandiamo il lettore che desidera cogliere piena informazione di tal fatto. In fine leggesi ancora il dubbio proposto alla Sacra Congregazione, che vedesi risoluto il 10 luglio di detto anno. Dubium est an et quomodo sit locus Emptioni et Venditioni Praedii Ciafone Legati Pii Capriotti in casu Die 10 Julii S. Congregatio EE.RR.CC. Concilii Tridentini Interpetrum respondit affermative Juxta votum Episcopi. 55 9. VENDITA DI UN PRIMO LOTTO DI TERRENI PER PROCEDERE ALL’ACQUISTO Pag.del manoscritto 39 Il voto del vescovo era stato che si vendessero soli 6 corpi di terreno spettanti alla Cura, credendo che il prezzo di questi sarebbe stato sufficiente per l’acquisto del Predio Forlini con casa colonica; e che il settimo allora soltanto si vendesse, quando il prezzo ritratto dai suddetti 6 corpi non fosse stato all’uopo sufficiente : ma non si era preveduto il caso, che dai medesimi si sarebbe potuto ritrarre anche maggior somma dietro gli affissi di incanto. Onde avutosi detto Rescritto dalla S. Congregazione, ed affissi gli editti per la vendita de’ fondi, allorché si aprirono le schede degli oblatori, videsi che la somma complessiva delle offerte ascendeva a scudi 522:81 che però essendosi convenuto col Forlini l’acquisto del Predio per soli scudi 360:60 v’erano in più scudi 172:21. Il Tilli fu pertanto costretto di avanzare altra istanza alla Sagra Congregazione del Concilio, onde permettesse che la somma eccedente o venisse ritenuta dagli acquirenti col pagarne i frutti compensativi sino al rinvestimento, ovvero fosse impiegata in necessarj bonificamenti che si intendevano fare a vantaggio di detta Cura ad arbitrio del Vescovo. Frattanto si sospesero le offerte e si disse di volerle esaminare per utile del Luogo Pio. Insisteva però il Forlini per la necessità somma che avea di denaro: Pag.del manoscritto 40 allora il Tilli chiese di davenire alla particolare delibera di tre soli corpi di terra, Ponticello, Lava e S. Martino il prezzo de’ quali sarebbe stato sufficiente per la compera di quel Predio, e lasciare frattanto invenduti gli altri. Mons. Vicario prima di aderire a tale richiesta, volle che si affiggessero nuovi editti, perché negli antecedenti era stato detto che non si intendeva di venire alla delibera de’ fondi, ma che si sarebbero considerate le offerte per ragione del Luogo Pio. Furono nell’8 settembre 1790 affissi nuovamente gli editti, e si disse che si sarebbero deliberati i suddetti corpi di terra ai migliori oblatori sulle offerte già ricevute. L’affissione de’ nuovi editti, come la sospensione della vendita degli altri corpi di terreno, spiacque a molti degli oblatori, che già avevano date le loro offerte, onde nel 10 detto mese citarono formalmente il Parroco, perché venisse alla stipulazione de’ relativi Istromenti. Non ostante che queste loro pretensioni dovessero reputarsi del tutto vane per la ragione che sopra si è esposta che ne’ primi editti non si era detto che i terreni sarebbero deliberati, e sebbene irregolare fosse la loro citazione innanzi alla S. Congregazione, che non è Tribunale contenzioso, e che quando vuol sentire le parti prefigge un termine ad deducendum jura coram S. Congreg. non di meno per parte del 56 Parroco di S. Basso fu apposto il solito nihil fieri. Pag.del manoscritto 41 Ma guari non andò che per conciliazione delle parti stesse, cessate le opposizioni, si poté venire alla stipolazione dell’atto col suddetto Forlini. A tale effetto nel 28 settembre 1790 Mons. Vescovo Leonardi formò il Decreto, e diè facoltà al Cappellano Curato di S. Basso di vendere tre soli corpi di terreno spettanti al Beneficio Suddetto de’ SS. Filippo ed Angelo incorporato alla Cura, in favore de’ tre migliori oblatori che furono Forlini Luigi per quello in Contrada S. Martino al prezzo di scudi 120:76, Nicola Massei per l’altro in Contrada Coppo al prezzo di scudi 176:75, ed il suddetto Forlini per il terzo in Contrada Lava per scudi 63,83, ad effetto di erogar tosto la complessiva somma ritrattane di scudi 361,35 nell’acquisto del Predio con casa rurale spettante alla Cappellania ossia Pio Legato Capriotti. Nello stesso Decreto diè parimenti facoltà ad Antonio Forlini di alienare il fondo spettante come sopra in favore del Curato di S. Basso al prezzo di scudi 360:60 coll’obbligo al medesimo Forlini di depositare scudi 30 da rinvestirsi a favore della giovane Emidia figlia del suddetto Forlini ; ed il resto della somma venisse erogata nella demissione de’ debiti del medesimo Forlini ed in concorso della sua famiglia. Pag.del manoscritto 42 E perché si ordinava ancora in detto Decreto (*) che il Parroco di S. Basso dovesse ritenere sul prezzo del Predio Forlini la somma di scudi 150 in garanzia del Pio Legato Capriotti; così ingiungevasi al Curato pro tempore di S. Basso l’onere di celebrare in perpetuo messe num. 40. --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------(*) La S. Congregazione non era stata contenta della somma di scudi 110 che si voleva prima rilasciare dal Forlini a tale effetto 57 Dietro tale Decreto furono riportati nel 1 ottobre 1790 due istrumenti : l’uno tra il Parroco di S. Basso ed i sig.ri Forlini Luigi e Massei Nicola, l’altro tra il Parroco medesimo ed i sig.ri Forlini. Il Decreto suddetto e li due istrumenti leggonsi in Archivio ai numeri ……. Qui l’autore delle memorie che abbiamo consultato si diffonde in molti estesi particolari per farne intendere l’utilità dell’acquisto suddetto a vantaggio della Cura di S. Basso. Egli ne fa conoscere che il Predio Forlini fu comperato a stima, mentre i terreni beneficiali furono venduti all’incanto con prezzo assai vantaggioso per la gara de’ concorrenti : il Predio Forlini esser di quarte 25 canne 35, gli altri abbracciava in complesso poco più di quarte 15. Quelli esser posti qua e colà in luoghi dissiti, intersecati da fossi, spogli d’alberi e non fruttare che scudi 4 annui; questo esser pomato, querciato, vitato, tutto accolto all’intorno senza dilamazioni di sorta o scoscendimenti di terreno, senza fossi, di facile coltura, e rendere annualmente più che scudi 20. Pag.del manoscritto 43 Ma quel che principalmente lo rende pregevole è l’esser posto come nel centro della Contrada, in luogo aperto, di buona aria, di facile accesso, d’onde il Parroco può facilmente trasferirsi in qualunque parte della Contrada medesima, e può dalla sua abitazione scorgere tutto intorno le case de’ suoi parrocchiani, in prossimità d’acque potabili e contiguo ad altri casamenti di famiglie più agiate con cui scambiar qualche parola. Vedi in fine la mappa o deposizione particolare di questo fondo. 58 10. VENDITA DI ALTRI TERRENI PER REPERIRE ULTERIORI FONDI Noi crediamo che non minore utilità ritrasse la Parrocchia di S. Basso dalla vendita che fece in appresso il Tilli degli altri tre piccioli corpi di terra siti nelle Contrade Valle Fogliana, Ponticello e Fornaci allorché ne riportò il desiderato Rescritto dalla S. Congregaz. Del Concilio il 18 dicembre 1790. E’ questo in Archivio al num ….. formovvi il Decreto Mons. Vescovo Diocesano li 29 settembre 1791 (Arch. Num. . .) secondo la savia costituzione di Benedetto XIV si appose la vigesima e sesta prima di venire all’ultima Delibera de’ Fondi. Pag.del manoscritto 44 Insorta gara fra gli oblatori de’ fondi medesimi, il primo ascese al prezzo di scudi 74:02 deliberato a Carlo Travaglini, il secondo a scudi 110:90 deliberato a Cruciano Vallorani, ed il terzo a scudi 40 rilasciato a D. Pietro Ermeti, i quali tutti si obbligarono ai frutti compensativi del 4 % ad anno finché il prezzo non fosse rinvestito in utilioribus come voleva la S. Congregazione. Fu stipulato l’Istrumento co’ suddetti acquirenti li 3 ottobre 1791 dal pubbl. notaro di Offida Gio. Battista Doria e ne abbiamo posta la copia in Archivio al Num. . . . .. Qui è da notare per norma del Parroco che nell’Istrumento suddetto Cruciano Vallorani si obbligò a lasciare l’uso della strada per comodità di accesso ai beni rimanenti e circonvicini, e per andare ad attigner l’acqua nella Fontana. Il complessivo prezzo fu de’ suddetti terreni venduti ascese a scudi 224:93. Nel 23 gennaio 1792 avendo il Travaglini sborsato il prezzo del terreno in Valle Fogliona, e Cruciano Vallorani avendo dato scudi 25:91 a conto dell’altro in Contrada Ponticello, fu de’ denari suddetti con Decreto di Mons. Vescovo imposto un censo di scudi 100 a favore della Cappellania Curata di S. Basso su di un terreno del Capitolo di Offida in Contrada S. Pantaleone, come meglio apparisce dall’istrumento rogato sotto il medesimo giorno dal notaro suddetto Gio. Battista Doria (Archivio Num. . .). Pag.del manoscritto 45 Similmente nel 10 novembre 1792 fu imposto altro censo di scudi 100 a favore della suddetta Parrocchia in un terreno del R.mo Capitolo suddetto sito nella medesima Contrada S. Pantaleone e fu creato col denaro ritratto dalla suddetta vendita, cioè con scudi 40 avuti in saldo dal suddetto Ermeti pel terreno in Contrada Lava, e con scudi 60 avuti a conto di maggior somma dal suddetto Crociano Vallorani. Se ne stipulò l’Istrumento l’anno, mese, ed anno suddetto dal medesimo notaro Doria (Archivio Num. . . .). La Chiesa Collegiata di Offida deve pertanto al Parroco di S. Basso l’annuo frutto de’ 59 due censi suddetti imposti alla ragione del 4 % l’anno: ossiano scudi 8. Il Vallorani restò col debito di scudi 24:93. 60 11. L’ARCHITETTO PIETRO MAGGI REDIGE IL PROGETTO DELLA CHIESA E DELLA CANONICA (NOVEMBRE 1791) Stabilite le cose come sopra si è detto intorno alla compera del Predio Forlini, ed avendo Mons. Leonardi segnato di suo pugno nella pianta del terreno il punto preciso ove volea eretta la Casa e Chiesa Parrocchiale, perché tosto si potesse venire ai necessari provvedimenti, accordò altra licenza di recisione di legname ne’ terreni della Cura (10 settembre 1791), e la facoltà di proseguire la questua per la Parrocchia. Altra licenza per la questua aveva accordata pure nel 27 maggio 1791. Pag.del manoscritto 46 Nel 2 novembre, stesso anno, l’architetto Pietro Maggi, che dicemmo già trovarsi in Offida per diriggere la fabbrica della nuova Chiesa Collegiata, per commissione del Priore Cipolletti, impegnatissimo per quest’Opera Pia, si recò nel sito destinato dal Vescovo per redigere la pianta e disegno sia della Casa che della Chiesa Parrocchiale.Vanta pertanto questa nostra, benché piccola Chiesa Rurale, la gloria d’esser parto del lapis di sì celebre disegnatore: ed essa non dispiacque già all’E.mo Archetti e molto la lodava quando un giorno si recò a visitarla ed a farvi di persona la S. Cresima, onde è rimasta poi sempre cara e memorevole la degnazione dell’Insigne porporato nel grato animo di questi parrocchiani. Così finalmente nel 29 febbr. si fu in stato di potere nel suddetto Predio cominciar la fabbrica della Casa Parrocchiale, e furono gettate le fondamenta della nuova Chiesa. Ma la scarsezza de’ mezzi faceano progredire assai lentamente queste opere. Nel 24 aprile 1792 per sopperire alle spese fatte e da farsi fu costretto il Tilli, con intesa del Mons. Vescovo, cui premea sommamente che si costruisse dopo la casa, almeno un vano per uso di sagrestia onde in quello far celebrare temporaneamente al Parroco la Messa, imporre un censo di scudi 50 a favore della Cappellania Ferri Giuseppe detto Catone per atto del notaro ascolano Filippo Toselli alla ragione del 4 % ad anno, e fu imposto sulla possessione del Ciafone alla Cura spettante: il qual censo fu poi estinto come diremo in avanti. 61 12. 1792 : MORTE DEL VESCOVO LEONARDI E NUOVE OSTILITA’ DA PARTE QUANTI CONTINUAVANO AD ESSERE CONTRARI ALLA COSTRUZIONE DELLA NUOVA CHIESA SUL MONTE COCCI Pag. del manoscritto 47 Noi abbiamo di sopra parlato de’ contrasti che si facevano al povero Parroco per ragione di chi voleva edificata altrove la Casa Parrocchiale, e di quei cui dispiaceva non si avesse più ad officiare la antica Chiesa di S. Basso: or sappiasi che tali contrasti non cessarono così presto ancorché non si potesse sperar più di rimuovere la Casa e Chiesa parrocchiale dal luogo ove era stata cominciata a fondare: si proseguì a molestare il Curato appuntandolo in ogni cosa: si disse, che egli aveva abusato della facoltà di recider legna, avendone fatte atterrare fino a 100 passi ! Che niun desiderio aveva di andare a risiedere, che facea nascere indugi, che milantava di non voler dare per allora l’assegno delli scudi 10 agli altri Cappellani, che gli scudi 50 presi a censo eran serviti per suo uso particolare, ed altre simili corbellerie, che noi riportiamo qui a solo fine di avvezzare le orecchie del nuovo Parroco a sentirsi cantare dietro simili canzoni. Pag.del manoscritto 48 Ed il Tilli le sostenea con quell’animo degno di chi non si fa abbattere da tali rimestiture di maligni oziosi, ed attendea a tirare innanzi la fabbrica. Ma sgraziatamente nel 20 giugno 1792 moriva, universalmente compianto, l’ottimo vescovo che fu Mons. Leonardi, ed il Tilli restava destituito dalla valevole protezione del braccio del suo superiore. 62 13. ANTONIO LENTI VICARIO CAPITOLARE Succedeva a regger la Chiesa Ascolana col titolo di Vicario Capitolare il canonico Antonio Lenti, nobile ascolano. Era il Lenti Ecclesiastico di somma bontà, e di molta dottrina, ma per quanto ne pare a noi, era più tagliato ad avere in mano il breviario di canonico che il pastorale di Vescovo. Il giudichi il lettore da quel che diremo. Il nostro D. Biagio a purgarsi delle false imputazioni che gli venivano date si era recato al medesimo il 4 luglio anno suddetto, rappresentandogli quanto con intesa di Mons Leonardi si era sin qua operato intorno alla soppressione dell’assegno agli altri Cappellani per attendere alla costruzione della Casa e Chiesa Parrocchiale, lo pregava con sua istanza consigliatagli dal Vicario stesso, di voler approvare tutto ciò che dal defunto Superiore con suoi ordini e rescritti gli era stato ordinato (sic). Pag.del manoscritto 49 Noi non sappiamo veramente perché si dovesse dar luogo ad una simile intempestiva istanza quando c’erano già i rescritti del cessato Vescovo, ma forse il Tilli, a far quietare i suoi contraddittori, volea dal Vicario una espressa conferma degli ordini medesimi, con cui far argine alle nuove rinascenti opposizioni. Il Vicario Capitolare emanò un Rescritto veramente curioso : “si osservino”, disse, ”gli ordini dati, e qualora vi sia legittima contradizione, il sig. Priore Cipolletti ne faccia relazione col saggio di lui discernimento (4 luglio suddetto)” queste ultime espressioni richiamavano manifestamente a sindacato gli ordini dati dal defunto Superiore, ma quale legittima contradizione vi poteva mai essere? Oltre di che, era egli opportuno procedere a tale esame, quando v’era appunto chi cercava appiglio da poter evadere gli ordini suddetti? Un tale rescritto non valeva ad altro che a far concepire delle speranze agli oppositori sospettando già qualche sinistra prevenzione del Lenti o verso il Tilli, o verso l’edificazione predetta. Di fatto li 9 luglio gli altri Cappellani Curati, o animati da tale rescritto di cui forse erano venuti in cognizione o mossi da propria volontà, avanzavano contro del Tilli un forte reclamo innanzi al Vicario Capitolare, rappresentando che il suddetto contro quanto era ordinato nel Decreto di Mons. Leonardi relativo all’unione del Beneficio di S. Filippo alla Cura di S. Basso, non aveva mai pagato ad essi li 10 scudi, che il medesimo non aveva volontà di risiedere, nonostante che la sua abitazione fosse stata già formata (intendevano forse le due stanze di cui sopra) che scusavasi colla edificazione della Chiesa, la quale costruivasi per suo comodo a pregiudizio degli altri Cappellani, contro la mente del Capitolo e dell’indicato Decreto di mons. Vescovo Leonardi. 63 Pag.del manoscritto 50 Il Vicario Capitolare (9 luglio 1792) rimetteva l’istanza al Sig. Priore Cipolletti, perché riferisse sugli ordini di Mons. Leonardi, sullo stato della fabbrica, sentisse a voce i Cappellani e se questo cospicuo Capitolo contraddica al proseguimento della nuova fabbrica. I termini di tale rescritto dovevano naturalmente animare sempre più gli oppositori. Si ordinava di sentire il Capitolo in cui v’erano alcuni manifestamente avversi al Tilli e che condannavano la sua condotta, si dovevano interpellare i Cappellani, che certo non avrebbero contraddetto alle espressioni del loro reclamo: dovevano insomma rimestarsi tutte le cose : e noi lo diciamo sebbene il nuovo rescritto manifesti chiaramente il desiderio di un’amichevole composizione fra le parti, pure ne’ termini in cui erano state ed erano le cose, ci sembra impolitico, troppo corrivo alla mano. 64 14. IL VICARIO LENTI DISPONE LA SOSPENSIONE DEI LAVORI DI COSTRUZIONE DELLA NUOVA CHIESA Pag. del manoscritto 51 Si adunò il Capitolo, si lesse (15 luglio detto) la giustificazione che presentò il Cipolletti sull’operato del Tilli, si mostrarono i rescritti del passato Superiore, ed a noi basta di vedere un Cipolletti deporre a favore del Curato di S. Basso per credere pienamente alla sua relazione: ma non così fu in genere di quel Capitolo: non si ebbe a lui fede: si oppugnarono i Decreti del defunto Prelato chiamandoli lesivi del diritto dei terzi; si accusò il Vescovo di abuso di potere nell’ordinare la costruzione di una nuova chiesa od oratorio, quando si pretendeva che dovesse essere sufficiente l’antica di S. Basso: si prese per sospetta la persona stessa del Cipolletti come aderente alla Curia, e si passò anche a contumelie contro quel venerando Priore: tanto può un’ira cieca se comincia a sbalestrare di strada. Si consultò dunque per l’elezione di due deputati che dovessero recarsi al Vicario Capitolare per dedurre loro ragioni contro del Tilli; si cercarono ragioni per annullare il Decreto di Mons. Leonardi, si misero assieme de’ documenti per provare l’animo appassionato del Tilli nell’edificazione suddetta, se ne formò come un processo, che recato a Mons. Vicario Capitolare li 4 agosto dagli eletti deputati, diè motivo che egli ordinasse la sospensione della fabbrica fino a che non sarebbero esaminati. Pag.del manoscritto 52 Al Tilli fu imposto che dovesse tosto presentare i suoi conti. Dopo non molti giorni, sul cessare del mese stesso il suddetto Lenti scrisse al Capitolo confermando la sospensione della fabbrica della Chiesa, ed ordinò che entro tre mesi si approntasse la casa parrocchiale e disse che in appresso si sarebbe provveduto sopra l’assegno ai Cappellani: si costruissero solo due stanze da letto, cucina ed ingresso. Il Tilli si rivalse quindi col chiedere assegnamento alla prosecuzione della fabbrica che si volea compiuta entro tre mesi, giacché non v’era denaro: allora Mons. Vicario dové scendere a pregarlo perché almeno fosse posta una pietra, onde far intendere che avea dato saviamente tal ordine: lo che fu fatto: ma la fabbrica non fu ancora compiuta, e solo si riuscì a far coprire la casa sino al tetto; lo che avvenne nell’autunno stesso anno suddetto. Né era cessato nel Tilli l’impegno di compierla quanto prima, allorché il medesimo avendo concorso alla vacante Cura di S. Martino nell’interno di Offida la medesima gli venne conferita nel 22 dicembre e nel 27 gennaio 1793 ne prese il formale possesso. Pag.del manoscritto 53 Alla nostra Cura di S. Basso fu eletto Parroco D. Niccola Capriotti, oriundo della terra di 65 Offida, con rescritto di Mons. Vicario Capitolare del 28 detto, che abbiam posto in Archivio al Num….. Il Tilli nell’uscire d’amministrazione chiese di poter presentare i suoi conti, ne’ quali fu riconosciuto ancor creditore di scudi 48:01. Egli era stato eletto cappellano di S. Basso sin dal 1759 allorché prima volta furono istituiti i tre Cappellani Coadiutori del Vicariato di S. Maria della Rocca, tenne pertanto la Parrocchia pel lasso di circa 33 anni, ed ottenne fama d’averla esercitata con carità e con zelo. Ebbe molti nemici, ma di non chiaro nome: sostenne con coraggio le loro opposizioni; né mai si dette per vinto: alcuna volta soltanto sembra che s’impegnasse con troppo ardore per vincerli. Del resto la stima che di lui faceva il Priore Cipolletti, e la protezione che gli accordava il Vescovo Leonardi basta per garantirlo da qualunque accusa. Ebbe la passione di edificare la Chiesa forse più ampia e sontuosa di quanto volevano i suoi nemici, e l’istesso Vescovo avea prescritto 30 palmi in quadro : ma è a considerare che la popolazione ascendeva già presso alle 700 anime e che essa era per crescere oltre di che la più picciola chiesa è pur sempre la Casa di Dio: sempre ed in ogni luogo fu assai sconvenevole che gli edifici de’ privati superassero in ampiezza e decoro la Casa del Signore Padrone dell’Universo. Pag.del manoscritto 54 Così dicasi di qualche comoduccio che egli desiderò nella Casa Parrocchiale la quale non dee poi equiparare la condizione di un romitaggio: né può pretendersi che un Parroco rurale debba essere un Eremita, avendo egli più di ogni altro necessità di chi lo assista con fedeltà ed amore: Egli restò sempre affezionato a quella cura, a quella Chiesa, ed a quei parrocchiani, tanto che alcune volte mosse anche lamenti di non venire invitato alle ufficiature che vi avevano luogo. Lasciò scritte alcune memorie su tale Parrocchia, ma disordinate ed informi: nulla ostante pe’ molti documenti che contengono in seno, non sono da dispregiarsi : esse ci fanno assai chiara testimonianza del sincero zelo da cui era sempre animato nello adoperarsi negli affari della Parrocchia. Non fu scevro di talenti, di cognizioni, e di buone lettere: fu attivo destro, ed assai accorto; alle quali prerogative, richieste in chi ha da maneggiare interessi, egli debbe il vanto d’avere parecchie volte rimosso il Superiore dal suo primiero intendimento. Pag.del manoscritto 55 Era della signorile e comoda famiglia Tilli di Offida, visse anni . . . . e morì parroco di S. Martino l’anno 18… 66 15. 1792 : ELEZIONE A CAPPELLANO CURATO DI S. BASSO DI DON NICOLA CAPRIOTTI Veniamo ora al nuovo Cappellano Curato Nicola Capriotti. Egli trovava una funesta eredità, l’avversione di molti alla costruzione della nuova Chiesa e Casa Parrocchiale: di più era cosa stretta col Tilli, il quale vantavasi d’averlo proposto a quella Cura: doveva pertanto incontrare anch’egli de’ contradittori : e fu spezzata la prima lancia contro di lui l’11 luglio stesso anno. I Cappellani Curati reclamarono nuovamente al Capitolo per avere l’assegno delli scudi 30, minacciando di ricorrere anche alli tribunali di Roma se il Vicario Capitolare non avesse lor fatto giustizia; ed in tale occasione, ma fuor di Capitolo, si cominciò anche a blaterare contro il nuovo Cappellano Curato di S. Basso, dicendosi, che aveva fatto bonificamenti in campagna, che aveva comperato bestiame a spese della Cappellania, che attendeva a spese sontuose nella nuova casa: il fatto era che non era stato potuto provvedere nemmeno il necessario per mancanza di danaro. Si deputò il Gran Camerlengo a riconoscere lo stato della fabbrica, e le cose parvero quietate per allora. Nel settembre fu terminato un vano sopra quello per uso di sagrestia; siccome questo porgeva un lato alla formazione della facciata della Chiesa che si sarebbe dovuta edificare, seguendo il disegno, vi fu fatto fare anche il cornicione. Pag.del manoscritto 56 Appena si venne in cognizione di questo ornamento apposto all’edificio, non si può credere il rumore che si levò: se ne fece prontamente reclamo al Capitolo: si consultò (dicembre 1793) di dar luogo ad una lite formale; e siccome spesso la pazzia d’un solo s’appicca a molti, così fu vinto il Consulto. Ma il Cipolletti, saggio e prudente Ecclesiastico ch’egli era, e che non vedea nella lite suddetta che un inutile dispendio per la Chiesa Collegiata, protestò contro detta risoluzione; al medesimo aderì il Sig. Canc. Curti; a solo si puntò per allora di far luogo ad un semplice monitorio. Subito fu rappresentato a Mons. Vicario Capitolare, che si erano fatte innovazioni, cioè si era incominciata la Chiesa nonostante l’espresso di lui divieto: si era posta nel muro della medesima anche un’iscrizione lapidaria; e simili. Della quale iscrizione poi si facea tale rumor che non mai più. Portava esse queste poche parole : Studio Blasii Tilli Cappel. Cur. Constructa. Dispiaceva frattanto e sommamente a Mons. Vicario Capitolare l’udire di siffatti dissidi, ed avrebbe voluto comporre amichevolmente le cose; e rimuovere l’idea di portare anche in Roma tali pettecolezzi, onde ai Religiosi che si recavano in Offida per l’occasione de’ S. 67 Esercizi, diè commissione di accordare gli animi dissenzienti e di cercare per ogni via di compor le discordie. Pag.del manoscritto 57 Si pretese allora di obbligare il Cappellano Curato di S. Basso a non più costruire la Chiesa, ma un semplice Oratorio; al che non poteva esser astretto, né vi si astrinse. Dall’altro canto conoscendosi che una delle principali faville che teneva acceso tanto ingendio, era quella lapide fatale inscritta nel nuovo muro, il Vicario Capitolare sul cominciar del gennaio 1794 scrisse al Priore Cipolletti che egli era determinato di far rimuovere quella lapide; ne facesse avvertito il Tilli onde di notte la facesse togliere; che egli poco appresso avrebbe dato formalmente l’ordine di farla rimuovere: e questo noi crediamo scrivesse egli per soddisfare in qualche modo ambedue le parti. Il Tilli sottrasse la lapide ed al Cappellano Capriotti fu data la cura di nasconderla. Mons. Vicario Capitolare scrisse il dì appresso a chi era sospetto favorisse l’altra parte, perché facesse togliere la lapide, ed insieme i pilastri costrutti in detto muro, qualora però non fossero di pregiudizio alla fabbrica, e che tale determinazione comunicasse al Capitolo. Non potea giungere novella più grata e desiderata di questa. Pag. del manoscritto 58 La mattina del 27 detto i principali appassionati per tal fatto, avuto l’ordine in mano e facendone gran festa, quasi movendo alla conquista del vello d’oro, al desiderato luogo ne andarono. Dicesi che nulla ostante fosse in quel dì un freddo estremo, che cadessero delle nevi, che quasi impraticabili fossero le strade, taluno di essi non solito per cause più oneste e più gravi muovere un passo fuor delle mura neppure ne’ dì più sereni, in quello non avesse nessuna difficoltà di recarsi al Ciafone pel desiderio di vedere atterrato quel cornicione, que’ pilastri, e per avere in mano quella lapide, pietra del loro scandalo. E l’opera vandalica fu compiuta: ma non avendo essi trovata la pietra iscritta, e restati in ciò beffati, prima ammutirono, poscia cominciarno a consigliarsi fra loro per trovar modo di averla in mano. Ne fu pertanto fatto al Curato un più lungo e capzioso interrogatorio: non poter essere ch’egli non sapesse della lapide, e dove fosse; eglino non aver altro fine nel domandare che quello di soddisfare una vana curiosità nel leggerla. Il buon parroco persuaso dalle loro parole e cedendo alle loro istanze e promesse ebbe la bontà di mostrarla. Allora quelli, avutala in mano, non fecero più discorso di volerla rendere: ed impadronitesene, seco in Offida con indicibile giubilo e festa, quasi spoglie opime di guerra, se la recarono in trionfo: ove esporla quindi a vista, e fattene le più stolide 68 e sciocche risa, saziatane la pubblica curiosità, voleasi da taluno finalmente riporre in Archivio. Pag. del manoscritto 59 Noi qui diremmo qualche grave parola, se non sapessimo che per alcuni ridicolissimi mimi, non conviene lacerare la fama d’un corpo rispettabilissimo. Il Priore Cipolletti fe testa contro alla mattezza di questi tali, e cessò la scena di tante fanciullaggini: i sig.ri deputati alla destruzione non contenti però d’aver fatto demolire pilastri e cornicione, vollero la suddetta lettera di Mons. Vicario venisse registrata in archivio, onde sempre restasse memoria di essa per impedire in appresso la costruzione della nuova Chiesa Parrocchiale. Dopo tali accidenti ognuno ben vede che il Curato di S. Basso dové dimetter l’idea di portare a compimento la sua bella fabbrica. Egli nel 1795 chiese al Vicario Capitolare di poter eriggere in Oratorio l’anzidetto picciolo vano ad uso di sagrestia per celebrarvi la messa e farla ascoltare a’ suoi parrocchiani. Il Vicario Capitolare voleva che fosse dotato, perciò fe’ supplicare la S. Congregazione del Concilio affinché permettesse che si obbligassero i beni della Cappellania pel mantenimento di detto Oratorio. La Congregazione chiese il consenso degli interessati, ed il Vicario, credendo che quelli dovessero essere i Canonici, mandò pel loro consenso, che fu negato: onde la suddetta facoltà non si poté ottenere. Pag. del manoscritto 60 Di più gli altri Cappellani Curati, unitamente al Vicario di S. Maria, nel 1795 chiamarono formalmente in giudizio il Cappellano Curato di S. Basso pel pagamento del loro assegno. Questi allora considerando che non avea più il braccio forte del suo Superiore, che grave sarebbe stato il dispendio nell’impegnarsi in un litigio, mentre l’altra parte era favorita e sostenuta dal Capitolo, credé bene aderire a tal pagamento, o a dir vero vi si vide costretta. Le cose dunque furono ridotte a queste tristi condizioni pel povero Parroco di S. Basso : inibito il proseguimento della fabbrica, egli costretto a risiedere ed a venire allo sborso di 30 scudi in favore degli altri parrochi. 69 16. 1795 : IL CARDINALE ARCHETTI ELETTO VESCOVO DI ASCOLI. RIPRESA DELLA COSTRUZIONE DELLA NUOVA CHIESA E così passarono le cose fin verso alla metà del 1796 allorché fu eletto nuovo vescovo l’E.mo Porporato Giovanni Andrea Archetti di Brescia, Legato di Perugia, Prelato insigne per dottrina e per virtù(*). Egli faceva la sua prima pastorale visita in Offida nel giugno dell’anno stesso, ed aveva fra i suoi Convisitatori il canonico D. Filippo Ambrosi nella qualifica di suo Vicario Generale : questi nel 1782 aveva sostenuto il medesimo officio di Convisitatore presso Mons. Leonardi ed aveva cooperato alla riunione del suddetto beneficio di S. Filippo ed Angelo con la Cura di S. Basso; memore pertanto di tale cosa e dei decreti del suddetto Prelato, e dispiacente quanto mai che l’opera pia non avesse ancora sortito il suo compimento, veduta anche sospesa la costruzione della Chiesa, tolse impegno di parlarne al med. Cardinale Archetti. Pag.del manoscritto 61 Non tardò l’E.mo Porporato a riconoscere la bontà della causa che quegli aveva preso a difendere: persuaso che l’attuale residenza del Parroco restava quasi del tutto infruttuosa per la mancanza di una Chiesa contigua ove il Parroco potesse occuparsi nel pascolo spirituale delle sue anime, formò tosto il Decreto, che noi abbiamo collocato in Archivio al Num…. In esso ordinò l’immediata prosecuzione della fabbrica, che si volea compita entro 2 anni, e siccome dicevasi richiedersi all’effetto 150 scudi, così pel valore di 50 scudi, permise la recisione di tante passa di legna ne’ beni della Parrocchia: 20 scudi si cercasse ritrarli dalla questua fra i parrocchiani, ed in quanto agli altri 80 scudi si prendessero dai frutti del Beneficio suddetto a favore della fabbrica, ed ordinò infine che il rimanente di tali frutti, si fossero, durante il biennio, ripartiti in ragione della primiera porzione tra il Parroco residente ed i Pensionarj. (*) Morì li 5 novembre 1805 con dispiacere universale di tutta la Diocesi 70 Pag.del manoscritto 62 A tale Decreto si riscossero di bel nuovo i Cappellani Curati, ed al solito portarono i loro reclami al Capitolo: che perciò adunatosi nel 31 ottobre il Capitolo, fu proposto di far presentare all’Eminenza un Promemoria per pregarlo di revocare il Decreto. Il Priore Cipolletti assistito da quel sano criterio che lo distingueva in ogni incontro, a tale proposta rispose, che prima di chiedere all’Eminenza la revoca di quel Decreto, meglio sarebbe stato che chi era ignorante de’ fatti, cercasse di prenderne più esatta informazione. Non contenti di questa risposta, vollero a ogni modo tentare la mente di S. Eminenza R.ma : si inviò il promemoria: ma il saggio Porporato, già legato a Perugia, ed avvezzo a trattare gli affari, fece intendere al Capitolo ch’egli non era solito ritrattare quanto avea stabilito e decretato con piena maturità di consiglio. Questa risoluta risposta liberò il povero Curato di S. Basso, dalle petulanti molestie di costoro; e fu tosto in punto di rimetter mano alla sospesa fabbrica. Nel novembre dunque del 1796 sulle fondamenta gittate già dal Tilli cominciarono a sorgere le nuove mura della Chiesa sul disegno del famoso architetto di cui abbiamo parlato. Grande ne fu la consolazione del popolo defraudato tante volte sin qua nella sua aspettativa: ma la mancanza di denaro e de’ materiali facea procedere con molta lentezza la fabbrica, che non veniva ripresa che di tratto in tratto; e già dicemmo da non potersi compiere per difetto di mezzi che entro due anni. Pag.del manoscritto 63 Perciò nel gennaio 1798 non potendo alcune volte per ragione de’ tempi piovosi e delle strade recarsi a dir messa a S. Basso, chiese ed ottenne facoltà dall’Em. Archetti di poter celebrare in quel vano ad uso sagrestia di cui sopra: fu benedetto li 30 detto, ed ivi il Sig. Priore Cipolletti vi celebrò la prima messa. Si disse che 150 scudi sarebbero stati sufficienti per compier la fabbrica; il calcolo dovette essere stato molto inesatto, perché troviamo che nel 1800 soltanto la fabbrica fu alzata fin sopra il cornicione né poteasi proseguire stante la scarsezza di mezzi. I nostri lettori rammentino qui la condizione funesta di questi tempi napoleonici, i sconvolgimenti, le rivoluzioni, le guerre e con loro le solite compagne la carestia, il rincaro de’ generi, la scarsezza di denaro la penuria e sfiducia pubblica: oltre di che l’anno stesso dové essere sterilissimo degli ordinari prodotti : s’avea a pagare il doppio d’ogni derrata, cresciuto il prezzo di mano d’opera, di vetture, di carriaggi, di tutte cose non ci fu dunque meraviglia che al Curato di S. Basso mancarono i mezzi a proseguire la fabbrica. 71 17. VENDITA DI ALTRI TERRENI PER REPERIRE ALTRI FONDI Pag. del manoscritto 64 Tuttavia volendo compierla, si risolvé, con intesa del suo Prelato, di chiedere alla S. Congregazione del Concilio di alienare due altri fondi spettanti alla Parrocchia stessa con pensiero di erogare parte del loro prezzo nella costruzione di detta Chiesa. Espose che i detti due corpi di terreno l’uno in Contrada S. Barnaba, l’altro in Contrada Ponticello, erano troppo dissiti dalla Parrocchia e non poteano esser facilmente coltivati; che il prezzo de’ medesimi secondo perizie fatte legalmente rediggere ascendeva a scudi 438:75; che molti vicini possidenti eran pronti a farne l’acquisto a prezzo di affezione e con l’offerta di pagare i frutti compensativi fino al rinvestimento della somma, che l’oratore avrebbe potuto fare nel Circondario della sua residenza ; e che avendo supplicato già la Congregazione stessa per l’opportuno beneplacito, la medesima avea ordinato che venisse rilasciato l’acquisto a Paolo Marini pel prezzo di scudi 730 di moneta metallica salvo tamen jura vigesimae et sextae : che stante la gara fra gli oblatori e la probabilità dell’addizione intera all’effettiva delibera, si otterrebbe la somma di scudi 800. Pag. del manoscritto 65 Il di più sulla stima anzidetta chiedeva di erogarlo nel compimento della fabbrica. Condiscese la Congregazione del Concilio, a condizione però che l’eccedenza suddetta si erogasse primieramente nell’estinzione del censo di scudi 50 imposto contro la suddetta Cappellania Curata dal Parroco Tilli (vedi sopra al § . . . ); che la residua somma s’impiegasse nella costruzione e compimento della Chiesa, ma venisse in appresso rimessa in piè, mediante un annuo deposito da farsi dal Cappellano nel Monte di Pietà, per la somma di scudi 10. Dietro tale facoltativo Rescritto (Arch. Num. …) ed altro di Mons. Vescovo Leonardi (Arch. Num. …) li 30 dicembre 1801 si procedette alla vendita de’ suddetti due corpi di terreno con istromento redatto sotto lo stesso giorno dal Pubbl. Notaro Antonio Tacconi di Offida a favore di Paolo di Felice Marini per la somma di scudi 905:33:2 a moneta lunga, cioè per ogni scudi 2 (due) reali scudi 1:50 moneta erosa (fra le altre infauste conseguenze di que’ tempi funestissimi fu la riproduzione della moneta erosa). Il Marini rivendette nello stesso atto al sig. Paolo Cipolletti. I suddetti scudi 905:33:2 ecco come furono impiegati. Pag. del manoscritto 66 Scudi cinquecento (500) furono rinvestiti contestualmente a favore della Cappellania Curata di S. Basso in due censi, l’uno di 400 scudi contro la fabbrica della nuova Chiesa 72 Collegiata alla ragione del 5 % annuo, liberi da ogni imposta e colletta; e per la somma di 100 scudi contro la fabbrica del nuovo Ospedale di S. Antonio Abbate alla ragione del 5,50 % liberi come sopra da ogni colletta imposta e da imporsi come apparisce dall’istrumento rogato il giorno suddetto dallo stesso notaro Tacconi (Arch. Num.…). Siccome poi i detti due censi furono imposti in tante cedole, e per legge del General Naselli, i crediti creati alle medesime furono soggetti alla riduzione di 85 scudi per ogni 100 scudi, i Deputati della nuova Fabbrica Collegiata vollero estinguere il loro Censo e fattane correre la disdetta li 3 ottobre 1803, lo estinsero di fatto con 340 scudi, che immediatamente con licenza della Cancelleria di Ascoli furono dati a censo al venerabile Monastero di S. Marco di detta città alla ragione del 7 % annuo, rogito Antonio Tacconi detto giorno ed anno (Arch. Num. …). Pag. del manoscritto 67 50 scudi della somma suddetta furono depositati nel Monte di Pietà per estinguere il Censo passivo di equal somma contante a favore della Cappellania Ferri. Il creditore del suddetto censo di 50 scudi si rifiutò di estinguere il suo credito; e siccome abitava fuori di stato si rese impossibile di costringerlo per allora coi mezzi legali: il suddetto censo fu estinto molto dappoi, cioè li 21 novembre 1805 per gli atti del notaro ascolano Paolo Vanni. I rimanenti 335:33:2 scudi si ritennero per la fabbrica, coll’onere surriferito del deposito annuo di 10 scudi nel Monte di Pietà per parte del Cappellano pro tempore. Noi abbiamo veduto però che la somma suddetta delli 905:33 scudi era tutta Pag. del manoscritto 68 in moneta erosa (N.E. 8) Appena stipolato il contratto uscì la nota legge sul richiamo della moneta plateale allora corrente; il ché siccome produsse lo scredito maggiore della moneta stessa, così ancora pose il povero curato di S. Basso nella condizione di non poter ritrarvi que’ vantaggi che aveva sperato. La moneta erosa subiva alterazione ne’ prezzi delle merci che con essa voleansi acquistare : i manovali non la ricevevano che con uno sbasso significante nel valore attribuitogli, e doveva spendersi moneta ridotta. La fabbrica insomma non poteva compiersi. Il Capriotti espose circostanza alla S. Congregazione del Concilio, e chiese la riduzione della somma suddetta a senso della legge 31 dicembre 1802 : gli venne accordata (10 marzo 1804) per la somma de’ scudi 335,33 la quale venne ridotta con decreto di Mons. Vicario Generale di Ascoli a scudi 236:88:3 (Arch. Num. ); per la somma di scudi 10 ridotta parimente a scudi 6:66:3, da depositarsi ogni anno al S. 73 Monte di Pietà pel ripristino suddetto : ma la S. Congregazione del Concilio non fece parola sulla riduzione del censo di scudi 50, né sulla sospensione del rinvestimento delli scudi 335:33 che pure si richiedeva onde proseguire la fabbrica (vedi il Rescritto relativo. Arch. Num). Pag.del manoscritto 69 E però restando il povero Parroco privo de’ sperati ajuti, ma volendo pure a ogni modo portare al desiderato perfetto compimento la sua Chiesa, supplicò l’E.mo Archetti a permettergli l’alienazione del piccolo orticello di cui abbiamo parlato al § come pure volesse permettergli la recisione di due querce nel predio in Contr. S. Lazzaro. Ne ebbe il desiderato Rescritto che è conservato in Arch. Num. e nel giorno 11 ottobre 1804 si stipolò il relativo Istromento dal notaro offidano Antonio Tacconi per la vendita dell’orto al prezzo di scudi 8:25 e per le querce al prezzo di scudi 11:50. Con questi ultimi sussidj si poté nella state del 1804 costruire il volto della Chiesa, l’altare maggiore, si compì il pavimento, e furono portati al loro compimento tutti i lavori necessari. Il Parroco mostrò infine il suo rendiconto, e si vide ch’egli era ancor creditore di 51:41 scudi de’ quali volle Mons. Vescovo ch’ei venisse rimborsato mediante un’annua questua pel territorio della Parrocchia fino all’estinsione del credito. 18. INAUGURAZIONE DELLA CHIESA (10 SETTEMBRE 1805) Pag.del manoscritto 70 Non si potrebbe ora descrivere quanta fu l’allegrezza e la consolazione di tutte queste genti e de’ vicini accorsi, allorché fu benedetta ed aperta la culto la nuova Chiesa; che fu li 10 settembre 1805 giorno sacro alla festività del gran taumaturgo di Tolentino, cioè 12 anni, 6 mesi ed 11 giorni dacché erano state gittate le sue fondamenta. Già sin dalla sera innanzi che ciò accadesse era tutta in movimento la Contrada, e non si parlava d’altro che del lungo e molto sospirar che s’era fatto per tale Chiesa. Godeva l’animo di vederla allora compiuta, esser finalmente cessato ogni ostacolo, non esservi più timore che da Offida alcuno tornasse a manometterla atterrando di nuovo cornicione o pilastri; non potersi più sospendere l’edificio: esser in somma compiuta ora per tutti vicina e comoda la Casa del Signore, e a lato a questa quella del loro Parroco e Padre Spirituale: ivi farebbero loro feste, ivi praticherebbero lor devozioni, ivi avrebbero l’altare della loro Madonna, ivi deporrebbero i loro defunti, vicino a chi potesse pregar per loro. Pag. del manoscritto 71 74 Si lodava il Parroco, si esaltava il suo zelo, si rammentavano le fatiche che avea dovuto sostenere per portare al termine desiderato la fabbrica; si godeva in comune che gli fosse toccata alla fine la contentezza di vederla aperta e di poterla officiare. Lo corteggiavano, lo festeggiavano, erano a lui d’intorno per manifestargli la gioia e gratitudine de’ loro cuori. Ed il Parroco accoglieva le loro sincere dimostrazioni, e mostrava di goderne; ma di tratto in tratto ricattandosi con dolce modo di qualche paroletta acerba che avea pur dovuto sentire da loro, quando questuava per la fabbrica, e la fabbrica non sorgeva mai; diceva loro : - Vedete miei cari, se il vostro Curato v’ha detto il vero? Vedete se la Chiesa è stata compiuta? Ora credete voi che per essa si sia dovuto spender poco? Eh! Il disegnar si fa presto, ma il costruire! Pag.del manoscritto 72 Bisognerebbe che voi sapeste legger; per veder tutto quello che si è dovuto spendere! Voi frattanto vi lamentevate tante volte del vostro Curato! E dicevate che non aveva impegno! E non allarghevate la mano per l’elemosina delle questue! Siete persuasi ora? Siete contenti? Orsù a domani il veder se in voi è ora premura della gloria di Dio: non basta aver fatta la Chiesa, bisogna onorarla, bisogna frequentarla: domani amerei che tutti vi accostaste a ricevere in essa i Santi Sacramenti: già sapete che verranno i sacerdoti di Offida, onde vi possiate confessare: dite alle vostre donne che vengano anch’esse e dispensate dall’opere più laboriose i vostri servi, perché domani debber esser per tutti giorno di festa. Così cercò di tutti accalorarli il buon Parroco: e tutti tornarono alle loro case, aspettando con ansietà la prima luce dell’indomani. La mattina del 10 settembre, destatisi di buon tempo partivano da Offida per Ciafone molti buoni ecclesiastici, e sulle umili loro cavalcature si recavano in quella Contrada per benedire ed officiar prima volta la detta Chiesa. Pag.del manoscritto 73 Erano il Priore Cipolletti, il canonico Curti, il can. D. Paolo Cocci, il can. D. Giuseppe Forlini, il can. Tozzi, ed il curato di S. Martino ex cappellano di S. Basso il sacerdote D. Biagio Tilli. Il priore Cipolletti a toglier la noja del lungo viaggio, piacendogli ancora di tener allegra la brigata, con grazia e col sale a lui proprio andava di tratto in tratto motteggiando il Tilli, interpellandolo s’ei veramente fosse oriundo del Regno di Napoli, se movesse per costà a procurar qualche nuova immunità ecclesiastica a suoi Lazzaroni o se d’ordine del Podestà Zucchi andava per caricar pietre nel torrente Fiobo. 75 Facevane il buon vecchio le grasse risa, e ridevano con lui tutti i compagni, compresovi il Can. Tozzi, il quale vinta generosamente una cotale avversione ch’ebbe dapprima concepita contro l’edificazione di questa Chiesa; mostravasene ora contento, e prendeva quel giubilo che sente ognuno dall’aver superato una passione, dalla quale s’è fatto inconsideratamente trascinare. Ma il pensiero della benedizione che andava a farsi della nuova Chiesa, ne suscitò ben presto un altro, che fece rinascer la tristezza sul volto di quegli ecclesiastici: ripensarono alla violazione e manomissione a cui erano andate soggette di recente tante chiese in provincie cattoliche dietro le sollevazioni ed innovazioni della sciagurata Repubblica di Francia. Pag.del manoscritto 74 Nuovi torbidi si preparavano allora per la Chiesa e nuove persecuzioni pel Clero. La fede veniva mancando, ed illanguidiva in ogni luogo con essa la devozione al Pontefice: narravansi scandali e sacrilegi orribili: ed ora una nuova coalizione tra i potentati era preludio di nuove sciagure dicevano prepararsi un triste avvenire, dover presto tornare il tempo delle relegazioni e dagli esilj: essersi troppo diffusa l’empietà e la miscredenza in ogni luogo. S’erano essi immersi in questi tristi pensieri, e già varcavano il colle di S. Martino, quando accortisi del loro avanzarsi, i campagnuoli del Ciafone che già stavano all’erta, facendo fuoco e tuonando co’ loro formidabili archibusi riscossero que’ buoni sacerdoti, i quali tosto s’avvidero esser quelle delle salve per esprimer la gioia della loro venuta. Levaronsi unitamente replicate grida e rinnovaronsi i colpi, di cui rimbombarono ripercosse le valli circonvicine: videsi allora sul ciglio di que’ venerabili Ecclesiastici spuntar una lacrima di tenerezza, volti dal triste pensiero che li affannava a considerare la sincera e cordiale dimostrazione d’affetto che lor faceva que’ villici: - Voi benedetti! – disse in cuor suo il venerando Priore – Voi benedetti! Se saprete sempre mantener sì calda e viva la vostra fiducia ne’ sacerdoti di Dio! – Pag.del manoscritto 75 Così giunti al luogo designato dopo le prime accoglienze ed il primo scambio di saluti col buon Parroco, condottisi tutti in Chiesa attesero ad incominciare le invocazioni e le preci pel sacro rito della Benedizione, mentre il popolo accorreva in folla da ogni banda. Al Tilli, stato primo parroco e che aveva gittata la prima pietra fondamentale della nuova Chiesa, fu data la compiacenza di benedirla: ed egli avvolto in ricco pluviale di lama d’argento, assistito da due altri ecclesiastici compì il rito con quella espansione d’affetto, che il lettore potrà facilmente indovinare. 76 La Chiesa fu posta sotto il titolo ed invocazione di S. Filippo Neri, a cagione della nuova dotazione che aveva ricevuto. Pag. del manoscritto 76 Quindi i sacerdoti si posero ne’ tribunali di Penitenza, e quivi furono assidui fino a mattina ben inoltrata, non essendovi stata quasi persona, che quel dì non avesse voluto accostarsi a ricevere il Sacramento eucaristico per render grazia a Dio del nuovo favore che faceva alla popolazione. Il Priore Cipolletti cantò la prima Messa, durante la quale gli altri sacerdoti fecero di lor voce echeggiare la volta del nuovo tempio colla solenne e grave melodia del canto gregoriano. Al Santo ed alla elevazione dell’ostia incruenta concertati colpi di pistola e di archibusi resero più augusta e solenne la maestà del rito. Il popolo vi assisté con tanta devozione e compiacenza che il Parroco Capriotti credette bene di cantare anch’egli un’altra messa: dopo la quale i già stanchi ecclesiastici furono condotti nella contigua abitazione Parrocchiale per gustarvi un frugale banchetto. Il Capriotti non avea mancato di farvi apprestare quelle migliori vivande che la condizione del luogo permisero. Pag. del manoscritto 77 Ilare e festiva fu la mensa : leggiadri e lepidi motti or dell’uno or dell’altro ridestarono di tratto in tratto l’allegria de’ convitati. Fuvvi alcuno che disse, avrebbe voluto iscrivere in pietra la memoria di sì lieto giorno, se non sapesse essere il Capriotti non troppo fedele custode di lapidi iscritte: altri, venendo imbandito un colmo piatto di buonissimi maccheroni, non può, disse negarsi avere avuto in questo luogo soggiorno gente napoletana, perché in ricambio dell’immunità che vi trovò ha lasciato alla Contrada Forola l’arte di lavorare così eccellenti maccheroni: se ne fecero delle risa sapendosi a chi alludevano i motti. A noi soprattutto spiace di non poter qui riportare neppur uno di quei molti versi estemporanei, che in tale occasione dové sciorinare la sempre fervida e feconda immaginazione del Can. Forlini, ch’ebbe grido di buon poeta. Come ebbe termine il desinare, permettendolo la temperata stagione del nascente autunno si corse intorno ad osservare i terreni della Parrocchia, e si vide che il Curato non aveva omesso di farvi li migliori possibili provvedimenti. Pag. del manoscritto 78 Così passata buona parte del dì e fattasi l’ora del vespro, siccome non leggiamo essere stata in quella sera la benedizione col Venerabile, così cominciarono a tor commiato que’ sig.ri Canonici dal Curato, che per lunga pezza di strada con gran parte del popolo volle 77 accompagnarli, mentre gli altri restati proseguivano a salutarli da lungi colle salve de’ loro archibugi, ed innalzando qua e là per quelle collinette razzi di fuoco artificiale alla improvvisa luce de’ quali si sustinevan nuove voci di giubilo e di allegrezza in tutti que’ casali ove andavan raccogliendosi le genti in seno alle proprie famiglie. Dicesi che i vicini accorsi a tal festa ebbero molto ad invidiare la sorte degli abitanti del Ciafone, che avevan già Chiesa e Parroco residente in Contrada. Essi potettero quindi aver loro Chiese e furon anche provviste abitazioni pe’ loro Cappellani Curati: noi facciamo voti perché presto possano trasferirsi tra loro anche i Parrochi in residenza, onde dalla istituzione delle Parrocchie Rurali possano ottenersi i vantaggi desiderati. 78 Parte seconda Manoscritto di don Capriotti rielaborato al fine di una più agevole lettura AVVERTENZA La divisione in paragrafi del testo rielaborato del manoscritto è identica a quella del manoscritto nella forma originale che precede. PREMESSA Fra i doveri di chi viene incaricato di reggere una parrocchia c’è sicuramente quello di muoversi sulla base di una sicura conoscenza della mansione ricevuta e, nello stesso tempo, quello di muoversi sulla base di una altrettanto sicura conoscenza dei diritti su cui poggia legalmente l’istituzione parrocchiale che deve gestire. Né va messa in secondo piano la responsabilità che esso parimenti avrà nella gestione dei beni materiali di cui la stessa parrocchia dispone. In generale esso dovrà poi essere in grado di rilevare con accortezza le eventuali analogie tra episodi avvenuti nella trascorsa storia della parrocchia ed episodi in corso di svolgimento in cui esso si troverà coinvolto. Da quest’ultimo punto di vista appare evidente l’aiuto che esso potrà trarre dalla consultazione dell’archivio della parrocchia contenente sia gli atti formali della sua istituzione sia le successive deliberazioni riguardanti la parrocchia emanate dalla diocesi sia gli atti amministrativi connessi alla gestione materiale dei beni parrocchiali. La difficoltà di consultare l’archivio nella ricerca di documenti risalenti al passato e contemporaneamente la difficoltà di tenere lo stesso archivio aggiornato ed ordinato inserendo in esso i documenti legati al presente possono, di volta in volta, rappresentare ostacoli non facili che il parroco deve comunque saper superare. Proprio per rendere più facilmente consultabile l’archivio del Complesso di San Filippo e Basso (*) chi scrive ha sentito pertanto la responsabilità di redigere questa breve storia superando difficoltà non piccole nel raccogliere ed ordinare notizie e documenti non sempre chiari. L’occasione a mettere mano all’opera è costituita dalla della 79 S. Visita che farà prossimamente il nostro nuovo amatissimo Pastore, pensando di fare cosa grata sia a Lui che a quanti mi succederanno in questo incarico. Come il lettore vedrà, la mia narrazione parte da lontano perché mi è sembrato doveroso illustrare i motivi che portarono, in un periodo difficilissimo, alla costruzione della Chiesa dei SS. Filippo e Basso e della contigua casa destinata all’alloggio dei cappellani non tacendo le difficoltà fatte nascere nella Contrada dalla opposizione che in proposito si manifestò da parte di persone di cui non farò il nome elogiando per contro il ricordo di coloro che col loro zelo contribuirono all’istituzione di questa Cura. Nella narrazione cercherò di essere attento ad indicare di ogni fatto i riscontri documentali che potranno essere fatti nell’archivio della Cura allegando anche i disegni della pianta del Complesso e la mappa della intera Contrada ed i dati aggiornati sulla entità della popolazione attuale di questa. Mi auguro che questa non facile fatica mi faccia meritare la benevolenza dei lettori e possa comunque costituire prova del bene che nutro per gli amatissimi abitanti della Contrada Ciafone. -----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------(*) Il complesso dei SS. Filippo e Basso è divenuto sede parrocchiale in epoca successiva (1838) a quella in cui D. Nicola Capriotti ha scritto la storia dello stesso complesso. 80 1. I MONACI BENEDETTINI FARFENSI E LA PARROCCHIA DI S. MARIA DELLA ROCCA UNICA PARROCCHIA DI OFFIDA NEL XVIII SECOLO Sino a tutto il 1700 ad Offida esisteva una sola Parrocchia, quella di S. Maria della Rocca, tenuta per moltissimo tempo e con grande zelo dalla Congregazione dei monaci Benedettini Farfensi cui apparteneva detta Chiesa sulla quale gravitava la popolazione del vastissimo territorio circostante. Nel 1562 quella Congregazione fu peraltro soppressa ed essa fu surrogata da un Collegio di Canonici avente sede nella stessa Chiesa di S. Maria della Rocca mentre i beni della stessa Congregazione passarono al Capitolo di Offida. A quel punto la condizione di questa Parrocchia subì un rilevante degrado dato che il sacerdote con le mansioni di parroco ebbe difficoltà a gestire tanto numerosa popolazione distribuita in un territorio tanto vasto considerato anche che, anche se ad esso fu assegnata una congrua, questa non era tale da permettergli di esercitare le benefiche elargizioni che in precedenza praticavano i monaci. La stessa tormentata conformazione del territorio offidano, povero per di più di strade, rendeva quanto mai arduo il compito del parroco di S. Maria della Rocca per cui più di una volta avvenne che la popolazione mancò il sostegno nei sacramenti e nella erudizione del catechismo fino al punto che addirittura qualcuno mancasse dell’assistenza in punto di morte. In contemporanea accadde che i beni della Congregazioni, passati alla disponibilità del Capitolo, un po’ alla volta vennero visti come proprietà dei singoli sacerdoti dello stesso Capitolo cosa questa non apprezzabile. A questo punto peraltro piacque all’Altissimo muovere a pietà il paterno cuore di Mons. Marana vescovo di Ascoli di sempre chiara e benedetta memoria. 81 2. ANNO 1753 : DISEGNO DI MONS. MARANA VESCOVO DI ASCOLI PER UN NUOVO ASSETTO DELLA PARROCCHIA DI S. MARIA DELLA ROCCA Mons. Marana, recatosi nel 1753 in Offida per la sua prima sacra visita, si rese subito conto della situazione e pensò di dare al Parroco di S. Maria della Rocca tre coadiutori col titolo di Cappellani Curati. Il compito di questi, a ciascuno dei quali fu assegnata una diversa contrada del territorio, doveva essere quello di aiutare il parroco di S.Maria della Rocca nella cura delle anime della campagna. Tuttavia, per la carenza dei mezzi necessari per il sostentamento dei suddetti cappellani per un certo tempo si soprassedette al loro incarico formale. Emerse poi l’idea di ricorrere, per il sostentamento dei suddetti cappellani, all’aiuto che poteva essere dato da un Pio Legato di Messe di cui, secondo le disposizioni date a suo tempo nel lascito testamentario di un membro della famiglia Rota, era beneficiario il Capitolo di Offida. L’idea prospettata prevedeva una contenuta riduzione della elemosina da assegnare al Capitolo per ciascuna messa utilizzando tale riduzione per risolvere il problema del sostentamento dei cappellani. Per dare peraltro seguito all’idea suddetta, che era in contrasto con le disposizioni del Concilio di Trento che non consentivano nemmeno al vescovo di modificare disposizioni testamentarie di Pii Legati, apparve ineluttabile sentire in proposito il parere di Sua Santità. Cosa che fu fatta d’intesa con il Capitolo avanzando al pontefice Benedetto XIV l’istanza di ridurre da 20 a 15 baiocchi l’elemosina stabilita per ogni messa dal Pio Legato Rota. Questa riduzione avrebbe consentito di disporre di circa 75 scudi all’anno dai quali si sarebbe potuto trarre un assegno di 20 scudi annui per ciascuno dei tre cappellani e dare un sussidio alla Fabbrica della nuova chiesa della Collegiata. Il Pontefice acconsentì paternamente alla istanza rivoltagli personalmente dal vescovo e con Rescritto del 5 febbraio 1753 rimise a questo la facoltà di concretizzare la riduzione suddetta. Alla data di oggi non si conosce esattamente cosa ostacolò poi la immediata attuazione di questa decisione ma in ogni caso fu solo nel 1759, ossia sei anno dopo il rescritto del pontefice, che si proseguì concretamente nel disegno di Mons. Marana. Questi tornò in quell’anno in Offida e redisse in proposito un decreto i cui punti essenziali sono quelli di seguito esposti. 82 1° L’elemosina dell’Opera Pia Rota è ridotta a baj. 15 per ogni messa. Il Capitolo di Offida provvederà a dividere la somma che da ciò si trarrà ogni anno assegnando 20 scudi a ciascuno dei tre Cappellani ed il sopravanzo alla Sagrestia della Fabbrica. 2° L’elezione dei tre Cappellani alle rispettive contrade e Chiese Curate spetta al Capitolo e deve comunque essere approvata dal Vescovo. 3° Mancando nelle contrade dimore disponibili per i cappellani si permette a questi di risiedere temporaneamente in Offida. 4° Gli obblighi dei tre Cappellani, senza eccezioni derivanti dal fatto di abitare fuori dalle contrade loro assegnate, sono : l’amministrazione dei Sacramenti, l’intervento nelle processioni e sacre funzioni in presenza del Parroco di S.Maria della Rocca, l’istruzione ai fanciulli nella dottrina cristiana, l’assiduità al Confessionale, la visita agli infermi, l’assistenza nell’agonia dei moribondi, la presenza al funerale ed alla sepoltura dei defunti, l’assistenza ai casi di coscienza. A proposito di questi obblighi il Vescovo fa rilevare che con l’istituzione dei tre Cappellani esso ha inteso solo dare ad essere considerata come unica ed indivisa Parrocchia. In conseguenza di ciò il vescovo ribadisce che gli abitanti di campagna (eccetto gli infermi) fossero tutti ed indistintamente tenuti a soddisfare il precetto pasquale nella Chiesa Collegiata di S. Maria della Rocca. 5° Per quanto a ciascuno dei tre Cappellani sia assegnata la cura di una contrada ove esercitare d’ordinario il suo santo ministero, nessuno di essi è sciolto dall’obbligo di prestare aiuto agli altri due. Così il buon Vescovo ritenne di aver provveduto per quanto possibile alle spirituali necessità della popolazione agricola dell’area di Offida augurandosi certamente in cuor suo di portare presto a compimento l’opera intrapresa assegnando una residenza a ciascuno dei tre Cappellani nelle rispettive contrade : senza di che, egli era ben convinto di ciò, le sue disposizioni non avrebbero potuto portare all’effetto desiderato. In forza dunque del suddetto Decreto, nel 1759 furono eletti dal Capitolo ed approvati dal Vescovo i primi tre Cappellani coadiutori del parroco di S. Maria della Rocca. La Chiesa di S. Venanzo con la Contrada omonima fu assegnata a d. Carlo Nespeca : la Chiesa di S. Lazzaro con la Contrada omonima al Cappellano d. X Y , e la Chiesa di S. Basso con la Contrada del Ciafone d. Biagio Tilli. 83 3. ELEZIONE DI TRE CAPPELLANI CURATI COME COADIUTORI DEL VICARIO CURATO DI S. MARIA DELLA ROCCA. DIFFICOLTA’ PER LA MANCANZA DI RESIDENZE DEI CAPPELLANI ELETTI NELLE CONTRADE LORO ASSEGNATE La contrada del Ciafone è situata a levante della città di Offida e, considerata la fertilità del suolo ed la estensione del terreno, è la più importante di tutto il territorio. La sua configurazione è assimilabile a quella di una semi-ellisse che, sezionata secondo l’asse principale, è tangente al territorio di Castorano e poi a quello di Acquaviva, di Monsanpolo e di Ripatransone. Il terreno è movimentato da colline e vallette e molti fossi frazionano la contrada in più parti. Le vie non sono facili da percorre specie nella stagione invernale. Le abitazioni della popolazione, spesso molto povera, sono distanti le une dalle altre sì che i rapporti fra gli abitanti della compagna sono spesso molto difficili da tenersi. La povertà degli abitanti è tale che molti di loro non possono provvedere a fornire mezzo di trasporto al parroco nella necessità di una visita di questo. Pensi dunque il lettore in che triste condizione dovevano a quei tempi trovarsi questi abitanti delle campagne se, per qualche motivo, erano costretti di andare in città La Chiesa di S. Basso, assegnata al Cappellano d. Biagio Tilli, è una piccola chiesetta rurale, tuttora esistente, ma che era di difficile accessibilità agli abitanti delle campagne della contrada Ciafone per cui la successiva decisione di edificare la nuova Chiesa od Oratorio di S. Filippo e S. Basso appare fondata su un savio accorgimento. Per circa 30 anni, dal provvedimento di Mons. Marana fino al 1784, le cose furono nelle condizioni che abbiamo esposto. Il Cappellano di S. Basso risiedeva come gli altri Cappellani in Offida : egli riceveva dal Capitolo l’assegno annuo di soli sc. 20 ed officiava la Chiesa rurale di S.Basso avendo la cura delle anime della contrada Ciafone. Non si riuscì, e forse nemmeno si provò, in quel periodo a provvedere di una abitazione ciascuno dei tre cappellani. Di fatto con l’istituzione dei tre Cappellani fatta dal Marana, risiedendo essi in città se prestavano aiuto al Curato di S. Maria della Rocca moltiplicando per così dire le sue braccia, non veniva rimossa la difficoltà di correre dalla città all’estreme parti delle contrade per esercitare gli offici parrocchiali. Non va taciuto poi che mentre prima della decisione di Mons. Marana per la impossibilità del Curato di S. Maria della Rocca ad accorrere nelle parti più lontane del territorio un aiuto a questo veniva spontaneamente da tutti gli altri sacerdoti del Capitolo, dopo la istituzione dei cappellani coadiutori cui era assegnato un sia pur ridotto compenso, veniva a mancare la disponibilità degli altri sacerdoti del Capitolo a fornire un aiuto. 84 4. 1784 : DECRETO DEL VESCOVO LEONARDI PER L’ASSEGNAZIONE ALLA CAPPELLANIA DI S. BASSO (ED EVENTUALMENTE ALLE ALTRE DUE CAPPELLANIE) DI UN BENEFICIO DI ATTESA VACAZIONE (BENEFICIO DI S. FILIPPO ED ANGELO DI 100 SCUDI ANNUI) Nel settembre del 1784 si recava in Offida Mons. Pier Paolo Leonardi, nuovo vescovo di Ascoli che immediatamente avvertì i disagi della popolazione rurale che lamentava la sua condizione di isolamento per le difficoltà che incontravano i loro cappellani ad esserle vicini. Le loro chiese non sempre nei dì festivi erano officiate, i loro figli non potevano accedere dalle campagne all’istruzione catechistica e molti erano i casi di gente che moriva senza i conforti della religione. L’animo di quell’ottimo Pastore rimase colpito dalle dolenti voci che provenivano dal suo gregge ed immediatamente dispose che alcuni sacerdoti del suo seguito facessero un accurato giro di perlustrazione nelle campagne per prender esatta e completa informazione sulle condizioni della Cappellanie Curate riferendo poi ad esso in proposito. Nel suo seguito era d. Filippo Ambrosi, Vicario Generale e Canonico della Cattedrale di Ascoli, accompagnato da due altri sacerdoti e scortato da persone pratiche dei luoghi si recò a visitare le Chiese rurali del territorio. Non si può descrivere la sua sorpresa e la sua compassione sia per il Cappellano sia per i poveri campagnoli, allorché giunse nella Contrada del Ciafone. Sentieri dirupati e scoscesi, spesso mancanza di strade, torrenti fangosi, case coloniche, spesso poco più che tuguri, lontane le une dalle altre, la Chiesa di S. Basso posta in sito decentrato della contrada e scomodissimo per la maggior parte della popolazione che era di più di 650 anime. Egli si convinse subito della necessità di porgere un soccorso a quelle povere genti partendo dalla soluzione del problema di porre in quel luogo la residenza del cappellano. Ne venia discorrendo con i suoi accompagnatori quando uno di essi, mosso certo dallo Spirito del Signore, così gli prese a dire : - In Offida c’è, fra gli altri, il canonico d. Francesco Fazi, molto anziano, che è possessore di due benefici riuniti sotto il titolo dei Santi Filippo ed Angelo. In passato il primo di questi apparteneva all’Oratorio di S. Filippo che poi fu sciolto ed il secondo apparteneva alla Compagnia di S. Angelo anch’essa poi sciolta. Mons. Monti Vescovo di Ascoli, in occasione di una sua S. Visita in Offida nel 1671, avendo trovato che la Chiesa di S. Filippo, non più officiata, era in rovina ed avendo rilevato che i beni appartenenti all’Oratorio non erano stati trasferiti ad altro Luogo Pio ed avendo trovato in uguale condizione l’Oratorio della Compagnia di S. Angelo, con il pieno consenso dei Canonici e del popolo affidano tutto, eresse con quei beni una Cappellania amovibile ad nutum, imponendo al Rettore di essa l’obbligo di una messa per settimana, 85 ed un’altra nel dì della festa del Santo Titolare. Successivamente nel 1711 Mons. Gambj, venuto anch’esso ad Offida per la S. Visita, sia a motivo che non giudicasse buona l’amministrazione di qui beni, sia a motivo che credesse più opportuno disporne in altro modo, li attribuì al Seminario di Ascoli, il quale però, giudicandoli forse poco interessanti, dopo un decennio rinunciò ad essi. Avvenne pertanto che Mons. Gambj recatosi nuovamente ad Offida nel 1721, conferì il suddetto Beneficio con i relativi beni ed oneri al Chierico Francesco Fazi il quale ha saputo amministrare il patrimonio affidatogli in modo molto diverso dato che questo può oggi dare un reddito di cento scudi annui. Ora considerando il problema che Vostra Eccellenza poneva, tenendo conto che fra breve per l’età avanzatissima di d. Fazi il Beneficio in questione sarà vacante, non pensa Ella che potrebbe avanzarsi presso il nostro superiore l’idea di incorporare il beneficio suddetto alla Cura di S. Basso imponendo poi al Cappellano di risiedere presso di essa ? – All’Ambrosi questo idea piacque molto sì che esso la espose prontamente al Vescovo il quale nulla di meglio stava attendendo. Chiamato pertanto al suo cospetto il sacerdote che l’avea formulata, il Vescovo se la fece esporre di nuovo e, verificate tutte le circostanze, senza por tempo in mezzo, in quella stessa sacra visita volle emettere il Decreto che attribuiva alla Cappellania di S. Basso il Beneficio dei SS. Filippo ed Angelo nel momento in cui questo si fosse reso vacante. Nello stesso decreto, avendo egli in attenta considerazione anche la situazione delle altre due Cappellanie di S. Lazzaro e S. Venanzo, lasciava a discrezione del Capitolo di Offida l’eventualità di elargire a queste parte della rendita del suddetto Beneficio in modo che anche in esse i Cappellani potessero ricavarsi una residenza. 5. ATTUAZIONE DEL DECRETO LEONARDI DEL 1784 Grande era stata l’accortezza del Vescovo nell’emettere quel decreto prima che il Beneficio di S. Filippo divenisse vacante per la prevedibile prossima scomparsa di D. Fazi. In tale evenienza sarebbe stata la Dataria a decidere la nuova attribuzione del Beneficio stesso. Oltre a ciò con la rapida emissione di quel Decreto il Vescovo aveva evitato sul nascere ogni tipo di sollecitazione. Tuttavia non mancò che sorgessero nuovi problemi perché deceduto nel 1788 il Canonico D. Francesco Fazi, chiedendo il Cappellano di S. Basso l’attribuzione del Beneficio alla sua Cura nacquero in proposito delle opposizioni. Alcuni personaggi del Capitolo pensarono di sollevare il caso presso la Dataria e posero anche a Roma la questione. Localmente si cercò di far nascere comunque degli ostacoli per ritardare il corso delle cose. Il Comune presentò una protesta contro l’attribuzione alla Cura di S. 86 Basso e gli altri Cappellani facevano pressioni perché si formalizzasse in qualche modo la possibilità di usufruire anch’essi della rendita del Beneficio. Si inviò anche una deputazione dal Vescovo per cercare di rimuoverlo dalla risoluzione presa. Il tutto però trovò alla fine un punto di accordo essendo Mons. Leonardi lontano dal voler il pregiudizio dei diritti di qualcuno. Fu stabilito pertanto : 1° che l’elezione del Cappellano spettasse al Vescovo, 2° che il Cappellano dovesse essere oriundo del Luogo, 3° che esso dovesse risiedere nella Contrada di S. Basso, 4° che dovesse celebrare la rata delle Messe pro populo 5° che dovesse celebrare tutte le Messe del Beneficio, 6° che dalle rendite dei beni di S. Filippo dovesse elargire 10 scudi al Cappellano di S. Venanzo e 10 scudi a quello di S. Lazzaro e che dall’attribuzione assegnatagli di 20 scudi dall’Opera Pia Rota, dovesse elargire 10 scudi al Vicario della Collegiata, 7° che dovesse amministrare i Sacramenti. Su tali basi Mons. Vescovo Leonardi emise il Decreto del 27 settembre 1788 per l’attribuzione formale del Beneficio de’ SS. Filippo ed Angelo alla Chiesa di S. Basso che si conserva nell’Archivio della Cura insieme col Consenso prestato dal Capitolo il 12 settembre 1788 (con 10 voti favorevoli e 3 contrari). In forza dunque del suddetto Decreto l’elezione del Cappellano alla Chiesa Curata di S. Filippo e Basso, spetta ora al Vescovo : elezione che prima spettava al Capitolo con la approvazione del Vescovo. Il Curato di S. Basso ebbe pertanto il mandato de immittendo al possesso del Beneficio il 12 settembre 1788 (con successivo atto notarile stipulato dal Pubblico Notaro Gio. Battista Doria). I Periti Agrimensori Tacconi e Corradetti il 17 luglio 1789 redassero una perizia per la stima dei beni del Beneficio dopo essersi recati sugli appezzamenti di terreno formanti parte dei Beni situati in diverse Contrade del territorio di Offida. Gli oneri annessi al Beneficio suddetto (che ora sono a carico del Cappellano di S. Basso), sono la celebrazione di una Messa alla settimana e di altra nel dì festivo al Santo Titolare S. Filippo. Non è da tacere che qualcuno continuò a ritenere illegale l’atto fatto da Mons. Leonardi e non valido in conseguenza il possesso assunto dal Curato di S. Basso, ostinandosi a ritenere che l’attribuzione del suddetto Beneficio spettasse alla Dataria. Ma furono vane voci poiché il Vescovo aveva agito in virtù delle facoltà impartite dal il Sacrosanto Concilio di Trento. 87 6. DIVERGENZE SULLA PRIMA SCELTA DEL SITO SU CUI ERIGERE LA CASA DEL CAPPELLANO CURATO DI S. BASSO (TERRENO DI PROPRIETA’ FERIOZZI A MONTE COCCI) Si procedette allora nella ricerca di un sito dove costruire un’abitazione per il cappellano. Due furono i progetti che a tal proposito si fecero : il primo era di costruire la casa presso la Chiesa di S. Basso, l’altro di costruirla sul monte Cocci. Il primo era caldeggiato in particolare da quanti avevano le loro proprietà presso quella antica chiesa, l’altro, che prevalse presso il vescovo, dal cappellano e dalla maggioranza della popolazione della contrada. In proposito ci fu l’offerta di un frustolo di terreno sul monte Cocci, adatto alla costruzione della casa, da parte dei signori Feriozzi che il vescovo guardò subito con favore sollecitando ad iniziare presto A questo punto accadde però che il cappellano Curato chiese a Mons. i lavori. eopardi di essere autorizzato a non erogare agli altri due cappellani gli assegni di 10 scudi già impostigli onde poter disporre di quei denari per i lavori che dovevano essere iniziati. La richiesta appare anche oggi fondata ed il Vescovo la accolse positivamente redigendo in proposito un rescritto ma questa nuova Disposizione non fu gradita dagli interessati che peraltro non mossero grande lamento. Grande fu invece la protesta di coloro che volevano la casa presso la Chiesa di S. Basso e che temevano che la costruzione della casa del cappellano sul monte Cocci avrebbe portato poi all’abbandono della chiesa di S. Basso. Questi si impegnarono con ogni mezzo a recare molestie al cappellano che già aveva iniziato a radunare pietre e cemento nel frustolo dei Feriozzi. Non fu un caso dunque che a seguito di queste molestie i signori Feriozzi ritirarono l’offerta di cessione del frustolo di terreno sostituendo l’offerta stessa con un compenso di 10 scudi al cappellano. 88 7. ALTRA SCELTA DEL SITO : PREDIO DI PROPRIETA’ FORLINI A MONTE COCCI. COINVOLGIMENTO DELL’ARCH. PIETRO MAGGI PER LA MAPPATURA DELL’AREA A questo punto il cappellano interpellò il vescovo chiedendo una chiara conferma a trovare un sito nella zone del monte Cocci su cui poi procedere alla costruzione della casa. La conferma gli era necessaria per arginare le mene contrarie che egli sentiva nell’aria. Il Vescovo diede allora incarico al Priore Cipolletti di scegliere un sito adatto e, indilazionatamente, dare l’avvio ai lavori per la costruzione di un piccolo oratorio di 30 palmi quadrati (26 gennaio 1789). Il nuovo luogo che apparve adatto e che piacque subito al Cipolletti era un predio dei sigg. Morganti al Cipolletti. Qui il priore invitò il cappellano a raccogliere i materiali necessari. Ma, le difficoltà non erano finite perché inaspettatamente il Vescovo cambiò d’idea e su una mappa della contrada fattagli avere sottobanco da altri, indicò di proprio pugno un luogo diverso dal monte Cocci. Per difendere la scelta precedentemente fatta, il cappellano, con alle spalle il priore Cipolletti, fece preparare un’altra mappa dal celebre architetto Pietro Maggi, che allora si trovava ad Offida a dirigere i lavori della nuova Chiesa Collegiata. Tale nuova mappa fu presentata al Vescovo che si convinse definitivamente della soluzione e confermò l’ordine di edificare nel monte Cocci. Piacque al vescovo di indicare con dettaglio il sito che coincideva con un predio Forlini esortando il cappellano D. Biagio Tilli ad adoperarsi per acquisire il fondo. Questi riprese quindi a raccogliere mareiali sul Monte Cocci anche se chi continuava ad essere contrario a quella soluzione non cessò di muoversi. Accadde pertanto che ci fu chi presentò un reclamo al Camerlengo Il primo fu all’E.mo Camerlengo al quale fu denunziato un disegno di D. Biagio Tilli finalizzato a costruirsi un casino per suo divertimento sul monte Cocci utilizzando pietrame preso dal torrente Fiobbo che doveva essere riservato allo costruzione di un nuovo ponte e per sistemare la strada che conduceva all’antica chiesa di S. Basso. Nella denuncia si aggiungeva anche il sospetto che la Curia di Ascoli fosse d’accordo con il disegno del Tilli. Questo denuncia fu trasmessa dal Camerlengo al Preside di Montalto, cui era allora soggetta Offida, e non dimostrando quest’ultimo di prenderla in considerazione essendo evidente il malevole scopo dei presentatori, questi avanzarono la stessa denuncia alla Segreteria di Stato. Si riporta tale denuncia per dimostrarne il livello. Il popolo della terra di Offida Presidato di Montalto con umile ossequio supplica umilmente la S.V. di degnarsi di porre riparo al disordine generato dall’adoperarsi di un prete di nome 89 D. Biagio Tilli oriundo del Regno di Napoli, il quale come moderno Curato Rurale di una contrada di questo Territorio detta del Ciafone, quasi confinante col Regno di Napoli, è in determinazione di costruire un Casino Parrocchiale per proprio comodo. Quivi egli si ripromette anche di fabbricare disgrazie di cui soffrirono i una nuova Chiesa. Tutto ciò ci riporta alla mente le nostri antenati, i quali a stento potevano difendersi dai malviventi, che dal suddetto Regno fuggivano e si ricoveravano nella nostra contrada per godere l’immunità ecclesiastica nelle chiese rurali che in questa allora esistevano. Quelle chiese, come la S.V. sa furono poi per tal motivo demolite e di esse restano solo le rovine. Una di esse esiste ancora con il titolo di S. Basso : essa è oggi ed è stata in passato comoda al popolo e vicino ad essa il detto Tilli con poca spesa potrebbe costruire la sua residenza senza creare altra immunità Ecclesiastica nella Contrada. Perché non ritornino i tempi andati, nei quali la contrada acquistò il nome di Contrada della Forola per i malviventi che vi si rifuggivano per la ecclesiastica immunità che acquisivano, i presentatori di questa istanza sperano nella attenzione della S.V. Anche questa istanza fu rimessa al Preside di Montalto Mons. Frosini il quale lo prese in considerazione come il precedente. Non si sfiduciarono però i ricorrenti : visto senza effetto anche questo reclamo, si posero intorno al podestà di Offida, esigendo da esso che impedisse che venissero rimosse le pietre necessarie alla costruzione dal torrente Fiobo. In questo caso tanto fecero che il podestà emise un bando (26 aprile 1789) col quale minacciava la pena di 5 scudi a chiunque avesse avuto ardire di rimuover le pietre suddette dal letto del Fiobbo (nei siti di proprietà dei ricorrenti). Il Cappellano Tilli temendo sulla base di tale editto anche altri proprietari di terreni nelle adiacenze del fiume si opponessero al prelievo di materiale, si rivolse al Preside Frosini, perché volesse far revocare il bando del podestà. Tuttavia tale fu il rumore sollevato dai ricorrenti che si tollerò che il Bando restasse in vigore. 90 8. IL PROBLEMA DEL VINCOLO SUL PREDIO FORLINI DI UN PIO LEGATO. CONSENSO ALLA VENDITA DEL PREDIO DA PARTE DELLA CONGREGAZIONE DEL CONCILIO A SEGUITO DI UNA ISTANZA AL PAPA DEL FORLINI Per le difficoltà che di volta in volta si rinnovavano il povero Cappellano non poteva vedere vicina la possibilità di edificare una dimora, tanto più che ora emergeva, per l’acquisto del Predio Forlini, il problema di un vincolo gravante su questo derivante da un Pio Legato Capriotti per sciogliere il quale appariva necessario inviare una supplica al Sommo Pontefice. Rilevata la lentezza con cui procedevano le cose, D. Tilli chiese allora al Vescovo di poter utilizzare temporaneamente una stanza da costruire nella casa colonica di un fondo parrocchiale non lontano dal predio Forlini facendo nello stesso tempo notare di avere già stipulato (in data 5 marzo 1789 con rogito del notaio Felli di Offida), come da accordi precedenti con lo stesso vescovo, una scrittura privata con il sig. Forlini stesso per l’acquisto del predio che sarebbe stato regolato da una perizia fatta fare in proposito. D. Tilli faceva anche rilevare che, essendo il suddetto predio soggetto ad un Legato di Messe, per alienarlo l’attuale proprietario doveva necessariamente presentare una supplica a S. Santità aggiungendo anche la richiesta al vescovo di un permesso per l’alienazione di cinque piccoli fondi di spettanza della Cappellania Curata di S. Basso per acquisire fondi necessari. Di seguito si riporta il rescritto che in proposito emise di conseguenza il Vescovo : Il sig. Priore Cipolletti gestisca quanto necessita per la costruzione della casa destinata al cappellano di S. Basso dando a questo le disposizioni opportune per l’acquisto del predio Forlini e per il reperimento dei materiali necessari. Ascoli 25 aprile 1789. I I lavori per la costruzione di una nuova stanza nella casa colonica del fondo della Cura di S. Basso e la sistemazione in questa di un’altra stanza, si eseguirono nella estate che seguì con una spesa rispettiva di scudi 26 e 35. Tali stanze peraltro nell’ottobre successivo si dovettero cedere alla famiglia del colono che ne mostrò necessità. Per quanto riguarda il vincolo gravante sul predio Forlini per un precedente Pio Legato si fornisce nel seguito una sintesi della istanza (redatta dal priore Cipolletti) che il Forlini stesso rivolse al pontefice per poter avere la licenza di alienare questa sua proprietà. Beatissimo Padre, Antonio Forlini di Offida Diocesi di Ascoli nella Marca, suddito Devotissimo della Santità Vostra, si permette umilmente di fare presente quanto segue. Or sono 44 anni egli decise la cessione al prezzo di 75 scudi di un predio di 25 quarte di sua 91 proprietà con annessa casa rurale sito nella Contrada Ciafone di detta Terra. Il prezzo che il sottoscritto richiese non era evidentemente adeguato, e ciò fu onestamente subito riconosciuto dallo stesso compratore Giuseppe Capriotti che senza approfittarne cercò di rimediare donando il predio alla Chiesa ed assoggettandolo ad un Pio Legato consistente nell’obbligo di celebrazione in perpetuo di 30 Messe l’anno. Il compratore si preoccupò anche di consolare il venditore conferendo a Lui ed ai suoi discendenti il Giuspatronato passivo. Chi, da povero ed ignorante contadino, si permette ora di avanzare questa umile istanza al Santo Padre, non può non fare presente le fatiche spese per migliorare poi le piantagioni di quel predio sempre comunque ossequioso nei confronti dell’obbligo delle 30 messe annue. Ora però esso, che il Capriotti concorda nel ritenere ancora il proprietario, avrebbe estremo bisogno di reperire dei fondi vendendo il suddetto predio che viene valutato in 900 scudi. Tuttavia il vincolo gravante sulla proprietà rende complicato il rapporto di vendita a qualche acquirente. Accade però che la Cura di S. Basso, accettando l’obbligo delle sante messe, sarebbe disposta all’acquisto purché il prezzo si diminuisca di 110 scudi. A tal passo però non si può giungere senza la previa suprema approvazione in merito al ripristino del nome di chi avanza questa istanza come proprietario del fondo. tutti sono motivi che parlano per la svincolazione bramata. Quindi l’oratore prostrato ai piedi della S.V. umilmente l’implora che approvi quanto si chiede. Questa istanza del Forlini fu avanzata a Roma il 17 maggio 1789. Il 26 dello stesso mese la Sagra Congregazione del Concilio chiese l’atto d’istituzione del Pio Legato Capriotti ed il consenso di tutti gli interessati. In proposito furono fatte redigere due perizie (periti Pietro Tacconi ed Ascensio Corradetti ) per convalidare quanto aveva esposto il Fortini in merito al valore del predio ed al valore dei fondi della Cura di S. Basso che si volevano alienare. Per quanto riguarda questi, il primo fu reputato del valore di scudi 510:60 gli altri furono stimati complessivamente scudi 285:07. Il perito Tacconi in data 27 giugno aveva inoltre redatta una Perizia del Predio Fortini nella quale si asseriva che il valore di questo quaranta anni prima poteva essere stimato in scudi 250. Oltre tali documenti fu esibito alla S. Congregazione un attestato del Parroco di S. Maria della Rocca comprovante lo stato di famiglia, lo stato patrimoniale e l’età di Antonio Forlini. Il Priore Cipolletti redasse pertanto in latino, si disposizione del vescovo, un dettagliato rapporto di tutte le circostanze anzidette ed il tutto fu sottoposto all’esame degli Eminentissimi Cardinali componenti la Congregazione del Sacrosanto Concilio. Questa peraltro è usa muoversi con somma prudenza e pertanto si giunse alla quaresima del 92 1790 allorché si dispose del Rescritto “Exhibeatur in folio” che approvava quanto richiesto nell’istanza del Fortini e si dovette aspettare dell’altro tempo ancora per conoscere le motivazioni del rescritto stesso. 93 9. VENDITA ALL’INCANTO DI TRE TERRENI DELLA CURA PER PROCEDERE ALL’ACQUISTO DEL PREDIO FORLINI La decisione del vescovo era stata di vendere sei corpi di terreno spettanti alla Cura di S. Basso, credendo che il ricavato sarebbe stato sufficiente per l’acquisto del Predio Forlini. Un settimo terreno egli valutò che fosse opportuno riservarlo ad una vendita successiva qualora necessitasse un supplemento di denaro. Quando avvenne però non era stato previsto : pubblicati gli avvisi per la vendita all’incanto dei primi sei corpi di terreno le offerte che furono presentate superavano il valore stimato dai periti per il predio Fortini. Dalle buste delle offerte si rilevò che la somma complessiva delle stesse offerte ascendeva a 522:81 scudi che superava di 172:21 scudi l’importo stimato. Don Tilli fu pertanto costretto di avanzare altra istanza alla Sagra Congregazione del Concilio, onde permettesse che la somma eccedente non venisse sborsata dagli acquirenti o fosse impiegata in opere di bonifica sempre in terreni spettanti alla Cura di S. Basso. Tutto il procedimento si arrestò pertanto nonostante le insistenze del Forlini che aveva necessità di incassare denaro. Don Tilli a quel punto propose la vendita di soli tre corpi di terreno (invece di sei) e cioè quelli ricadenti rispettivamente nei siti Ponticello, Lava e S. Martino il ricavato dei quali sarebbe stato sufficiente per l’acquisto del predio. Il vescovo prima di aderire a tale proposta volle che l’8 settembre 1790 si affiggessero degli avvisi a chiarimento del nuovo operato che si intendeva seguire. Tutto ciò spiacque a molti di quelli che avevano già presentato delle offerte onde il giorno 10 dello stesso citarono formalmente il Parroco innanzi alla S. Congregazione commettendo comunque un errore perché questa non è un è Tribunale contenzioso. Tuttavia le contestazioni si smorzarono presto ed il 28 settembre 1790 Mons. Leonardi dette facoltà al Cappellano di S. Basso di vendere tre corpi di terreno facenti parte del Beneficio dei SS. Filippo ed Angelo ai tre migliori oblatori che risultarono essere Luigi Forlini per quello in Contrada S. Martino al prezzo di scudi 120:76, Nicola Massei per l’altro in Contrada Coppo al prezzo di scudi 176:75, ed ancora il suddetto Forlini per il terzo in Contrada Lava per scudi 63,83. La complessiva somma ritrattane fu pertanto di 361:35 scudi sufficiente all’acquisto del Predio al prezzo di 360:60 scudi. Il vescovo imponeva al Forlini di utilizzare tale somma per saldare i debiti familiari e di investire 30 scudi a favore della giovane figlia Emidia. Egli ordinava inoltre che il Cappellano di S. Basso dovesse trattenere sul prezzo suddetto la somma di 150 scudi a garanzia del Pio Legato Capriotti ingiungendogli contemporaneamente l’onere di celebrare in perpetuo 40 all’anno. Qui va rilevato, come si evince dai documenti presenti nell’archivio della Cura, che tutta 94 l’operazione fu vantaggiosa per la stessa Cura dato che il Predio Forlini fu comperato a stima, mentre i terreni ceduti dalla Cura furono venduti all’incanto. Inoltre mentre questi risultavano situati in luoghi distanti, intersecati da fossi, spogli d’alberi e fruttavano solo 4 scudi annui, l’altro risultava ricco di piante in terreno ben configurato, di facile coltura e capace di rendere annualmente più 20 scudi. Quel che principalmente lo rende peraltro pregevole è l’esser posto nel centro della Contrada, in luogo aperto, di buona aria, di facile accesso, in prossimità d’acque potabili. Da lì il cappellano può facilmente spostarsi in qualunque direzione e scorgere tutto intorno le case dei suoi parrocchiani. 95 10. VENDITA DI ALTRI TERRENI PER REPERIRE ULTERIORI FONDI Ulteriori fondi la Cura di S. Basso ricavò dalla vendita che fece poi D. Tilli, su autorizzazione del vescovo (a seguito di un Rescritto dalla S. Congregaz. Del Concilio datato 18 dicembre 1790) di altri tre piccoli corpi di terra siti nelle Contrade Valle Fogliana, Ponticello e Fornaci. Nell’asta che si organizzò il primo fu ceduto a Carlo Travaglini al prezzo di 74:02 scudi, il secondo a Cruciano Vallorani a 110:90 scudi, ed il terzo D. Pietro Ermeti a 40 scudi i quali tutti si obbligarono a corrispondere alla Cura interessi annui del 4 % ad anno finché l’importo ricavato non fosse rinvestito in utilioribus come voleva la S. Congregazione. Il contratto con gli acquirenti fu stipulato il 3 ottobre 1791 dal notaio di Offida Gio. Battista Doria. Nel contratto suddetto fu inserita anche una clausola di garanzia a favore di Cruciano Vallorani per consentirgli l’accesso alle terre di sua proprietà ed alla vicine fontana. In data 23 gennaio 1792 avendo il Travaglini liquidato il prezzo del terreno in Valle Fogliona ed avendo Cruciano Vallorani versato 25:91 scudi in acconto di quello in Contrada Ponticello, con Decreto di Mons. Vescovo fu erogato al Capitolo di Offida da parte della Cura di S. Basso un prestito di 100 scudi per la gestione di un terreno sito in Contrada S. Pantaleone. Similmente il 10 novembre 1792 fu erogato dalla stessa Cura un altro prestito100 scudi per la gestione di un terreno del Capitolo sito nella Contrada S. Pantaleone utilizzando 40 scudi avuti in saldo da D. Ermeti per il terreno in Contrada Lava e 60 scudi avuti in ulteriore acconto da Crociano Vallorani. La Chiesa Collegiata di Offida deve pertanto alla Cura di S. Basso la rendita annua dei due prestiti suddetti al tasso del 4 % l’anno (ossia 8 scudi). Alla data sopraddetta il Vallorani restava con un debito di 24:93 scudi. 96 11. L’ARCHITETTO PIETRO MAGGI ESEGUE UN SOPRALLUOGO SUL MONTE COCCI E REDIGE IL PROGETTO DELLA CHIESA E DELLA CANONICA (NOVEMBRE 1791). POSA DELLA PRIMA PIETRA (29 FEBBRAIO 1792) Sistemato il contratto per l’acquisto del predio Forlini Mons. Leonardi segnò di suo pugno nella mappa del terreno il punto ove voleva che fosse eretta Chiesa e, accanto a questa la casa per il cappellano. Per accelerare i tempi e provvedere altro denaro dette licenza a D. Tilli di tagliare un certo numero di alberi nei terreni della Cura e consentì di continuare la questua già iniziata in precedenza tra i parrocchiani. Il 2 novembre 1791 l’architetto Pietro Maggi, che, come è stato già detto, si trovava ad Offida per dirigere i lavori di costruzione della nuova Chiesa Collegiata, si uncarico del Priore Cipolletti, che seguiva con la massima attenzione quei lavori, si recò sul monte Cocci nel sito scelto dal Vescovo per un sopralluogo preventivo alla redazione da parte sua del progetto dell’intero complesso. Questa nostra piccola Chiesa Rurale può vantarsi pertanto di essere parto del lapis di un così celebre architetto. Essa in seguito piacque molto al successore di Leopardi e cioè al cardinale Archetti che la lodò molto in occasione di una sua visita per una cresima nel tempo che seguì. Nell’animo della gente della Contrada grato è rimasto il ricordo dell’insigne cardinale. Accadde così che il 29 febbraio 1792, con il getto delle fondamenta, potè prendere l’avvio della costruzione del Complesso anche se la scarsezza dei mezzi determinò un procedere assai lento dei lavori. Il 24 aprile 1792 per far fronte alle spese già fatte ed a quelle prevedibili in tempi ravvicinati, d’intesa con il Vescovo cui interessava che si potesse quanto prima realizzare almeno una parte della casa un ambiente della quale si sarebbe potuto adibire a sagrestia, D. Tilli fece in modo di far acquisire alla Cura di S. Basso 50 scudi in prestito da parte di una Cappellania della zona (Cappellania Giuseppe Ferri) in ragione di un interesse annuo del 4 % . 97 12. 20 GIUGNO 1792 : MORTE DEL VESCOVO LEONARDI. RIAFFIORAMENTO DI OSTILITA’ AL CAPPELLANO TILLI DA PARTE DI QUANTI CONTINUAVANO AD ESSERE CONTRARI ALLA COSTRUZIONE DELLA NUOVA CHIESA SUL Si è già detto delle difficoltà poste alla localizzazione del nuovo complesso fatte sorger in precedenza da parte di chi avrebbe voluto che non si abbandonasse l’antica chiesa di S. Basso. I contrasti non cessarono dopo l’inizio dei lavori ancorché non si potesse pensare a quel punto di rimuovere la Casa e Chiesa parrocchiale dal luogo ove si erano iniziati i lavori. Le maldicenze continuarono : si diceva, per esempio che egli aveva abusato della facoltà di recider legna, accordatagli dal vescovo, facendo abbattere molte più piante di quanto gli era stato consentito ! Si diceva anche che in realtà esso non aveva alcun desiderio di andare a risiedere sul monte Cocci, che non intendeva più dare l’assegno di 10 scudi agli due cappellani, che 50 scudi presi in prestito erano serviti per suo uso personale, ed altre simili corbellerie, che si riportano al solo fine di avvezzare le orecchie dei parrochi che verranno ad essere pronti a sopportare maldicenze di questo tipo. D. Tilli le sopportava con l’animo di chi non si fa abbattere dalle dicerie dei maligni oziosi, e lavorava per tirare avanti i lavori della fabbrica. Disgraziatamente il 20 giugno 1792 moriva, universalmente compianto, l’ottimo vescovo Mons. Leonardi, e D. Tilli restava scoperto della protezione del braccio del suo superiore. 98 13. ANTONIO LENTI VICARIO CAPITOLARE. SUE PRIME DISPOSIZIONI IN MERITO ALL’OPERATO DI DON BIAGIO TILLI. Succedeva a regger la Chiesa Ascolana col titolo di Vicario Capitolare il canonico Antonio Lenti, nobile ascolano. Era il Lenti Ecclesiastico di molta dottrina ma, per quello che può dirsi, più portato a reggere in mano un breviario di canonico che il pastorale di Vescovo. Il nostro D. Biagio Tilli, anche per difendersi dalle accuse che egli sapeva gli venivano dietro le spalle rivolte il 4 luglio 1792, si rivolse al nuovo Vicario Capitolare per inquadrargli sinteticamente quanto gli era stato indicato da Mons Leopardi circa la costruzione della Casa e Chiesa Parrocchiale e circa la soppressione dell’assegno agli altri Cappellani. Egli pregava pertanto il Vicario di voler confermare tutto ciò che dal defunto Superiore con suoi ordini e rescritti gli era stato ordinato. Non si comprende il gesto di D. Tilli dato che egli finora si era mosso sulla base di disposizioni scritte dal precedente vescovo ma forse egli vecdeva opportuna una conferma formale del Vicario Lenti della disposzioni di Mons. Leonardi per far cessare le chiacchiere che lo riguardavano. In proposito avvenne però che il Vicario Capitolare emanò un rescritto veramente curioso : “si osservino”, egli disse, ”gli ordini dati, e qualora vi sia legittima contradizione, il sig. Priore Cipolletti ne faccia relazione col saggio di lui discernimento (4 luglio 1792)”. Il testo di questo rescritto ponevano in dubbio l’impostazione delle cose lasciata dal vescovo Leonardi. Oltre a ciò era opportuno procedere a tale verifica quando v’era gente che per l’appunto cercava appigli per far decadere le suddette disposizioni? Un tale rescritto non poteva che alimentare le opposizioni o verso D. Tilli o verso l’edificazione del complesso sul monte Cocci. Accadde così che il 9 luglio gli altri Cappellani, forse a seguito di tale rescritto di cui forse erano venuti a conoscenza o mossi da proprie valutazioni, avanzavano contro D. Tilli un reclamo innanzi al Vicario Capitolare, per il prolungarsi nei loro confronti del mancato pagamento dei 10 scudi dovuti, nonostante che a quel punto la costruzione di un paio di stanze della sua abitazione fosse finita. Il Vicario Capitolare rimetteva allora il 9 luglio 1792 l’istanza dei cappellani al Priore Cipolletti, con l’ordine di riferirgli sulla esecuzione degli ordini di Mons. Leonardi in merito alla fabbrica sul monte Cocci ed in merito al parere che il Capitolo di Offida aveva su questa costruzione. 99 14. 4 AGOSTO 1792 : IL VICARIO CAPITOLARE LENTI DISPONE LA SOSPENSIONE DEI LAVORI DI COSTRUZIONE DELLA CHIESA. DON BIAGIO TILLI SI TRASFERISCE NELLA CURA DI S. MARTINO. Il Capitolo si riunì il 15 luglio affrontando subito la questione. Venne data lettura di una relazione sull’operato di D. Tilli redatta dal priore Cipollettisi e subito dopo furono attentamente riletti i rescritti del vescovo Leonardi. A chi scrive è sufficiente rilevare la posizione assunta in quel consesso da una persona di grandi qualità come il priore Cipolletti in favore del cappellano di S. Basso per credere alla correttezza dell’operato di questo. Non fu così per i sacerdoti del Capitolo di Offida che mostrarono rapidamente la loro ostilità verso D. Tilli. Si criticarono le determinazioni del defunto Vescovo dichiarandole lesive del diritto dei terzi e nate da un non corretto senso dei limiti del suo potere. Non potevano che essere queste le motivazioni delle scelte operate dal vescovo Leonardi nell’ordinare la costruzione di una nuova chiesa quando, a loro dire, era evidente la sufficienza della antica chiesa di S. Basso. La stessa persona emerita del priore Cipolletti fu investita del sospetto di essere stato colluso con le precedenti decisioni vescovili. Si discusse anche in merito al possibile annullamento del Decreto di Mons. Leonardi e si misero insieme documenti atti, secondo i membri del Capitolo, a provare la posizione tendenziosa assunta dal Tilli nell’edificazione della chiesa sul Monte Cocci. Si decise al termine l’elezione di due deputati con l’incarico di esporre al Vicario Capitolare Lenti la posizione assunta dal Capitolo. Il 4 agosto i due deputati eletti presentarono al Vicario le valutazioni del Capitolo ciò portò al fatto che mons. Lenti ordinò la sospensione dei lavori della fabbrica fino a che non si fosse fatta chiarezza su quanto avvenuto. A D. Tilli fu anche imposto espressamente di presentare con urgenza i conti relativi alle spese fatte nell’ambito dei lavori intrapresi. Al termine del mese di agosto il Vicario Lenti inviò una nota al Capitolo confermando la sospensione dei lavori di costruzione della Chiesa ordinando contemporaneamente che invece quelli relativi alla dimora del cappellano continuassero in modo che questa fosse entro tre mesi abitabile (indicandone la capienza sufficiente in due camere, una cucina ed un ingresso). La nota si concludeva con l’annuncio che l’assegno ai cappellani sarebbe dovuto essere da allora in poi liquidato. D. Tilli a questo punto prese posizione chiedendo provvedimenti concreti per i lavori della dimora del cappellano che si imponeva abitabile entro tre mesi a fronte del fatto che la Cura non aveva più disponibilità di denaro. Conseguenza di ciò fu che il Vicario Lenti dovette formalmente pregarlo di porre almeno la cosiddetta “prima pietra” di quella abitazione in avallo all’ordine che aveva dato con la nota al Capitolo. Si procedette allora 100 in questa direzione ma i lavori andarono molto a rilento per i noti motivi : dopo tre mesi le mura esterne erano state realizzate e la copertura del tetto realizzata ma l’abitazione non era assolutamente utilizzabile. Ciò avvenne nell’autunno successivo per l’ininterrotto impegno di D. Tilli che peraltro avendo concorso alla vacante Cura di S. Martino nell’interno di Offida, ebbe conferita tale Cura il 22 dicembre 1793 sì ché il 27 gennaio 1793 ne prese il formale possesso. Alla Cura di S. Basso fu designato cappellano D. Niccola Capriotti, oriundo della terra di Offida, con rescritto del Vicario Capitolare del 28 gennaio. D. Tilli nell’uscire dalla Cura di S. Basso presentò i suoi conti dai quali emerse che egli era creditore di 48:01 scudi. Egli era stato eletto cappellano di S. Basso nel 1759 allorché furono istituiti i tre Cappellani Coadiutori del Parroco di S. Maria della Rocca tenendo quindi la Cura per circa 33 anni, ottenendo fama d’averla gestita con carità e zelo. Ebbe molti contestatori di basso profilo, ed egli sostenne con decoro e forza le loro opposizioni. La stima che di lui aveva il Priore Cipolletti e la protezione che gli accordava il Vescovo Leonardi bastano per garantirne la figura. Egli si adoperò per edificare una Chiesa più ampia di quanto volevano altri : ma è a da considerare che la popolazione della Contrada Ciafone ascendeva già allora a 700 anime. Nella casa egli curò che fosse per quanto possibile accogliente dato che un cappellano non deve essere un eremita e deve avere un luogo dove poter avere relazioni con la gente della contrada. Esso restò sempre affezionato a quella Cura, ed in particolare a quella Chiesa ed ai parrocchiani, sì ché più di una volta, nei tempi che seguirono, si lamentò di non venire invitato alle cerimonie che in quella avevano luogo. Lasciò scritte delle memorie sulla Cura di S. Basso ed anche se esse appaiono non ordinate, molti documenti che a lui risalgono contengono notizie interessanti. Fu attivo ed assai accorto ed a ciò si deve che più di una volta egli potette rimuovere il suo Superiore dai suoi primi intendimenti. 101 15. 28 AGOSTO 1792 : ELEZIONE A CAPPELLANO CURATO DI S. BASSO DI DON NICOLA CAPRIOTTI. OSTILITA’ ANCHE VERSO DI LUI DA PARTE DEI CONTESTATORI DI DON BIAGIO TILLI Il successore di D. Tilli si trovò subito di fronte alla eredità lasciatagli da questo : l’avversione di molti alla costruzione della nuova Chiesa e Casa Parrocchiale sul monte Cocci. In coincidenza con la nomina di D. Capriotti a cappellano di S. Basso si ebbe un nuovo reclamo degli altri cappellani per avere l’assegno inizialmente stabilito da mons. Leopardi. Essi minacciavano apertamente di ricorrere anche presso il competente tribunale di Roma se il Vicario Capitolare Lenti non avesse rimesso a posto le cose nei loro confronti. Si cominciò anche a parlar male del nuovo Cappellano Curato di S. Basso accusandolo dietro le spalle di essere intenzionato all’avvio di lavori di bonifica non necessari, all’acquisto di bestiame esuberante, a rendere lussuosa la nuova dimora del cappellano. In realtà, per mancanza di fondi, tutto a rilento e si ritenne di investire della cosa il Gran Camerlengo e ciò sembrò quietare le acque. Nel settembre fu comunque terminato un vano sopra quello destinato ad essere in seguito la sagrestia. Tale vano aveva una parete in linea con la edificanda facciata laterale della chiesa e sulla sommità di tale parete pertanto, seguendo il disegno di Maggi, fu realizzato una prima parte del cornicione che poi sarebbe dovuto proseguire sulla suddetta facciata laterale della chiesa. Quanto avvenne rendecon chiarezza l’idea del clima che si era instaurato : appena si sparse la voce della realizzazione di questa parziale frazione di ornamento esterno del costruendo complesso, non ci sono parole per riportare nella giusta misura il rumore che si levò. Un reclamo fu presentato in proposito al Capitolo mentre alcuni degli oppositori si esprimevano (dicembre 1793) a favore di una lite formale. Pur essendo quasi inverosimile il reclamo al Capitolo fu accolto. Il priore Cipolletti, saggio e prudente Ecclesiastico, non scorgeva nella disputa che un inutile dispendio per la Chiesa Collegiata e protestò con forza contro detta risoluzione del Capitolo. Sebbene al parere del Cipolletti aderì il Cancelliere Curti sì il Capitolo insisté nella sua posizione anche questa fu smorzata riducendola alla decisione di un semplice monito a D. Capriotti. La protesta del Capitolo giunse peraltro ad essere esposta al Vicario Lenti traducendola nei termini di una denuncia di non rispetto alle disposizioni precedentemente da questo date in particolare per quanto riguardava la costruzione della chiesa che, secondo la denuncia, era andata avanti addirittura evidenziandola con una iscrizione su una lapide. Tale iscrizione (Studio Blasii Tilli Cappel. Cur. Constructa) aveva innescato reazione velenosa che arrecò grande dispiacere al Vicario dato che egli, uomo portato alla meditazione ed allo studio, avrebbe voluto comporre amichevolmente le cose evitando che i dissidi offidani giungessero a 102 Roma. Ai religiosi della Diocesi che si recavano ad Offida per funzioni o esercizi spirituali raccomandò di impegnarsi per smorzare le discordie. All’inizio del 1794 egli inviò una nota al Priore Cipolletti in cui esprimeva il parere che quella lapide dovesse essere rimossa. In linea con tale idea egli suggeriva al priore Cipolletti di avvertire D. Tilli di avere l’accortezza di farla sparire, magari di notte. Ciò in vista del fatto che di lì a poco egli Vicario avrebbe dato formalmente l’ordine di farla rimuovere. All’esistenza di questa nota ed al suo contenuto chi scrive è portato a credere : in essa si materializzava l’intenzione del Vicario di non ferire nessuna delle due parte contrapposte. D. Tilli provvedette a rimuovere la lapide pregando D. Capriotti di nasconderla. Subito dopo sembra che il Vicario Capitolare abbia scritto una nota indirizzandola alla parte avversa a D. Tilli dichiarando il suo parere favorevole alla rimozione della lapide stessa. Tale sua determinazione doveva essere comunicata al Capitolo. Novella più grata non poteva giungere ai contestatori di D. Tilli e la mattina del 27 gennaio questi, con la nota del Vicario in mano, si mossero in festa, nonostante il freddo pungente e la neve caduta in abbondanza, verso il monte Cocci nel sito in cui erano stati eretti i primi muri del Complesso. Non trovando peraltro alcuna lapide inserita nel muro restarono in un primo momento ammutoliti e poi cominciarono a discutere su come fare per ritrovarla. Della cosa investirono il cappellano D. Capriotti dato che non era per loro credibile che egli non sapesse nulla della scomparsa della lapide sollecitandolo a soddisfare il loro desiderio di vederla e leggerla. D. Capriotti si trovò costretto ad indicare dave tale lapide era stata occultata. Una volta che la ebbero in mano con indicibile giubilo e festa la portarono ad Offida, quasi fosse un trofeo di guerra. Il Priore Cipolletti cercò di contenere l’ignoranza su cui poggiava quell’entusiasmo ma non riuscì ad evitare che i caporioni di quella moltitudine insistettero perché quella lapide fosse riposta, a futura memoria nell’archivio del Comune. Dopo questo incidente il Cappellano di S. Basso si mosse con molta prudenza e nel 1795 chiese al Vicario Capitolare di poter allestire come oratorio il piccolo vano destinato ad essere la sagrestia della chiesa nel progetto iniziale onde poter in esso celebrare la messa. Il Vicario Capitolare girò questa richiesta alla S. Congregazione del Concilio che in proposito chiese di avere il relativo consenso degli interessati. In conseguenza di ciò il Vicario, reputando che gli interessati dovessero essere i Canonici offidani, sollecitò il consenso di questi. Per la storia della Cura di S. Basso va rilevato che tale consenso fu negato. Non solo, sempre nel 1795 i Cappellani di S. Lazzaro e S. Venanzo, unitamente al Vicario di S. Maria, chiamarono formalmente in giudizio il Cappellano Curato di S. Basso per il pagamento del loro assegno. Questi considerando che non aveva più la protezione che in precedenza aveva avuto da parte del vescovo Leonardi e che grave sarebbe stato il 103 dispendio delle sue energie nell’impegnarsi in una lite, mentre i suoi contestari erano sostenuti dal Capitolo, credé bene aderire alla richiesta di pagamento. 104 16. 1796 : IL CARDINALE ARCHETTI ELETTO VESCOVO DI ASCOLI. RIPRESA DELLA COSTRUZIONE DELLA CHIESA Le cose continuarono ad andare avanti in tal modo fino alla metà del 1796 allorché fu eletto nuovo vescovo il cardinale Giovanni Andrea Archetti di Brescia, Legato di Perugia, che fece la sua prima visita ad Offida nel giugno dello stesso anno. Al suo seguito era, tra gli altri, il canonico D. Filippo Ambrosi nella qualifica di Vicario Generale della Diocesi: questo nel 1782 aveva accompagnato ad Offida Mons. Leonardi fornendo un importante contributo alla definizione della procedura per l’assegnazione del beneficio di S. Filippo ed Angelo alla Cura di S. Basso. Memore di ciò e dei decreti emessi in proposito dal vescovo Leonardi, D. Ambrosi rilevò con grande disappunto che l’opera allora intrapresa, in particolare la costruzione della chiesa, non fosse giunta a conclusione. Tutto ciò egli sottopose all’attenzione del cardinale Archetti che immediatamente si rese conto della situazione comprendendo come l’attuale residenza del cappellano rendeva molto difficoltosa l’opera di questo per la mancanza di una Chiesa contigua. Egli pertanto emise immediatamente un decreto in cui ordinava l’immediata ripresa della costruzione della chiesa che voleva fosse finita entro 2 anni. Di fronte alla necessità di reperire per i lavori altri fondi, valutati approssimativamente in 150 scudi, autorizzò contestualmente l’abbattimento di un certo numero di alberi perché la Cura potesse subito disporre di legna da vendere e l’effettuazione di una questua straordinaria tra la popolazione della contrada per reperire almeno 20 scudi. Un ulteriore importo di 80 scudi il vescovo Archetti autorizzò che si prelevasse dalla rendita del beneficio di S. Filippo ed Angelo mentre una ultima aliquota di denaro fu da esso indicata nel recupero, per il biennio a venire, nella rinnovata sospensione degli assegni del cappellano di S. Basso ai cappellani delle altre due cure ed a quello della Collegiata. Come era da attendersi tale Decreto vescovile suscitò la reazione degli altri cappellani che presentarono reclamo al Capitolo. All’interno di questo, riunitosi il 31 ottobre, sembrò emergere l’idea di presentare in proposito al vescovo Archetti un promemoria con la richiesta di revocare il Decreto. Ancora una volta, anche in questa circostanza, assunse importanza l’equilibrio e la prudenza del priore Cipolletti, che a fronte di tale idea fece presente che sarebbe stato più corretto che prima di chiedere al vescovo la revoca di quel Decreto, si riesaminassero tutti i termini della storia soprattutto da parte di chi, all’interno del Capitolo, poteva esserne in completa disconoscenza. Il consiglio del priore Cipolletti fu comunque disatteso perché un promemoria fu inviato al vescovo Archetti con la preghiera di ritirare il decreto da lui emesso. Il porporato peraltro, 105 già legato a Perugia e di grande esperienza, fece intendere al Capitolo ch’egli non era solito ritrattare quanto aveva stabilito con piena maturità di consiglio. Questa risposta liberò il povero cappellano di S. Basso dai fastidi che gli provocavano quanti erano ancora contrari alla costruzione della nuova chiesa sul monte Cocci ed egli poté presto rimetter mano ai lavori. Nel novembre del 1796 dunque sulle fondamenta già gettate da D. Tilli cominciarono a sorgere le mura della Chiesa secondo il disegno del famoso architetto Maggi. La popolazione della contrada ne trasse grande sollievo, essendo stata tante volte delusa nelle sue aspettative, ma la carenza di denaro, nonostante le indicazioni date in proposito dal vescovo, faceva procedere con molta lentezza i lavori che venivano continuamente sospesi sì che parve presto che non sarebbe stato possibile completarli entro due anni secondo le disposizione vescovili. In conseguenza di ciò nel gennaio 1798 il cappellano Capriotti, non potendo spesso recarsi a dir messa nella chiesa di S. Basso nella stagione invernale per la distanza e per lo stato delle strade, chiese ed ottenne facoltà dal vescovo Archetti di poter celebrare messa nel vano già realizzato sul monte Cocci accanto alla sua dimora ed adibito a sagrestia. Il 30 gennaio 1798 in tale vano il priore Cipolletti celebrò la prima messa. Come già detto, era stato previsto che 150 scudi sarebbero stati sufficienti per concludere i lavori ma con il passar del tempo si palesò l’insufficienza di tale previsione dato che nell’anno 1800 le mura della chiesa erano appena arrivate sino all’altezza del cornicione. I nostri lettori si presume che siano al corrente delle condizioni del nostro territorio in quegli anni con i disordini generati dalla presenza delle truppe napoleoniche e le conseguenti carestia, rincaro dei prezzi, scarsezza di denaro, sfiducia pubblica. Oltre a ciò quell’anno fu poverissimo degli ordinari prodotti sì che si aveva a pagare il doppio per ogni derrata essendo, come detto, cresciuto il costo della mano d’opera, dei carriaggi e di ogni cosa : non deve pertanto meravigliare che al cappellano di S. Basso mancarono i mezzi per proseguire e concludere i lavori. 106 17. VENDITA DI ALTRI DUE TERRENI DELLA CURA PER REPERIRE ALTRI FONDI Nonostante le difficoltà di cui si è detto in precedenza l’impegno a costruire la chiesa sul monte Cocci persisteva per cui, a fronte della persistente penuria di denaro disponibile per la Cura si rinnovò l’idea di vendere altri due terreni. Di ciò, dopo aver scelto un terreno da alienare in Contrada S. Barnaba ed un altro in Contrada Ponticello, secondo la procedura, si avanzò una specifica richiesta alla Congregazione del Concilio. Secondo perizie fatte legalmente redigere il valore complessivo di tali terreni era di 438:75 scudi ed in proposito si constatò che molti vicini possidenti erano disposti ad acquistarli ed a corrispondere le rendite dei loro valori fino a che il prezzo pagato non fosse reinvestito dalla Cura. A seguito della richiesta la Congregazione diede il suo beneplacito alla vendita e dopo l’indizione di una gara la stessa Congregazione approvò l’aggiudicazione di tali terreni al sig. Paolo Marini che aveva presentato un’offerta di 730 scudi (in moneta metallica). Come era già accaduto in circostanze analoghe il cappellano chiese di poter utilizzare per migliorie rispetto a quanto previsto nel progetto originale la differenza tra l’importo offerto in gara dall’aggiudicatario ed il valore stimato. A tale ulteriore richiesta la Congregazione accondiscese imponendo però che tale sopravanzo fosse primieramente impiegato per l’estinzione del prestito di 50 scudi aperto, come si ricorderà, da D. Tilli mediante un deposito annuo di 10 scudi presso il Monte di Pietà. Il 30 dicembre 1801 presso il notaio Antonio Tacconi di Offida si procedette pertanto alla stipula di un contratto di vendita dei due terreni sopraddetti a favore di Paolo Marini per la somma di scudi 905:33:2 in moneta erosa (importo equivalente all’offerta espressa in moneta metallica). Nello stesso atto fu inserito il passaggio di proprietà degli stessi terreni dal sig. Paolo Marini al sig. Paolo Cipolletti. La somma di 905:33:2 scudi fu così utilizzata: 1) 500 scudi furono impiegati in due investimenti : uno di 400 scudi mediante un prestito (censo) alla fabbrica della Chiesa Collegiata (in ragione del 5 % annuo) ed uno di 100 scudi alla fabbrica del nuovo Ospedale di S. Antonio Abbate (in ragione del 5,50 % annuo). Tali investimenti furono effettuati mediante cessione di cedole e tenuto conto di quanto disposto per legge dal generale Naselli essi furono soggetti alla riduzione del 15 % (85 scudi per ogni 100 scudi investiti). Si riscontrò però che i Deputati gestori della Fabbrica Collegiata ebbero un rapido ripensamento sulla cosa e chiesero di estinguere subito il loro debito restituendo alla Cura 340 scudi il 3 ottobre 1803. L’importo suddetto fu passato in prestito al Monastero di S. Marco di Ascoli (in ragione del 7 % annuo). 107 2) 50 scudi furono depositati dalla Cura presso il Monte di Pietà per estinguere il prestito erogato dalla Cappellania Ferri. Per ragioni che non si conoscono, accadde però che il creditore in questione (la Cappellania Ferri) non accettò di estinguere il suo credito. La cosa fu sistemata molto tempo dopo. 3) 335:33:2 scudi furono trattenuti dalla Cura di S. Basso per i lavori in essere. L’instabilità economica connessa con la instabilità politica e militare del periodo portò ad un progressivo degrado del valore della moneta non metallica. D. Capriotti a fronte dell’onere ancora da sostenere per il completamento dei lavori chiese alla S. Congregazione del Concilio la riduzione del valore di quest’ultimo importo. A tale richiesta la suddetta S. Congregazione rispose affermativamente (10 marzo 1804) per cui l’importo di 335:33:2 scudi fu ridimensionato in 236:88:3 scudi e l’importo di 10 scudi da depositarsi ogni anno al Monte di Pietà fu ridimensionato in 6:66:3 scudi. La S. Congregazione del Concilio non fece peraltro parola sulla riduzione del debito di 50 scudi. D. Capriotti in grandi difficoltà ma restando nel fermo proposito di portare a compimento la costruzione della chiesa pregò il cardinale Archetti di permettergli l’alienazione di un altro piccolo orticello e l’abbattimento di due querce nel predio in Contr. S. Lazzaro. Ne risultò un rescritto del vescovo che consentì la vendita dell’orto suddetto al prezzo di 8:25 scudi e la vendita del legname delle due querce al prezzo di 11:50 scudi. Pochi denari che peraltro, uniti a quanto ancora resta consentirono nella estate del 1804 di costruire nella Chiesa la volta incannucciata, l’altare maggiore, ed il pavimento. A quel punto il cappellano D. Capriotti rese noto il rendiconto delle spese fino a quel punto sostenute mostrando che egli era creditore di 51:41 scudi. Tale credito il Vescovo dispose che il pagamento mediante una questua nel territorio della Cura. 108 18. INAUGURAZIONE DELLA CHIESA (10 SETTEMBRE 1805) Il 10 settembre 1805, giorno sacro al gran taumaturgo di Tolentino, la nuova chiesa fu benedetta ed aperta al culto con indicibile soddisfazione e gioia della gente della Contrada. Erano passati ben 12 anni 6 mesi e 11 giorni da quando erano state gettate le fondamenta dell’opera. Sin dalla sera che precedette quel giorno la Contrada era tutta in agitazione e la gente non parlava d’altro dato che si rendeva conto come d’ora innanzi avrebbe avuto il luogo sacro dove raccogliersi per pregare, celebrare feste, seppellire i cari che se andavano. Si lodava il cappellano, si esaltava il suo zelo e si rammentavano le fatiche che aveva dovuto sostenere per portare a termine i lavori. Erano in tanti attorno a lui quella sera per manifestargli gratitudine ed esso mostrava di essere felice per la dimostrazione di tanto sincero affetto anche se, di tratto in tratto, sia pure sorridendo, ricordava a qualcuno le parolette acerbe nei suoi confronti che pure aveva dovuto udire quando questuava per raccogliere aiuti per i lavori di una fabbrica che non sembrava avesse termine. Ora, quasi liberandosi di un peso, egli poteva finalmente dire : - Vedete miei cari che il vostro Cappellano diceva il vero quando affermava che alla fine ce l’avremmo fatta? La Chiesa è finita, la vedete? Eh! Si fa presto a fare i disegni ma mettere mattone su mattone è altra cosa! Bisognerebbe che voi sapeste leggere per capire, dai documenti in sacrestia, quanto sono state pesanti le spese fatte e che problemi ha dovuto risolvere il cappellano di cui vi lamentavate dicendo anche che non si impegnava come avrebbe dovuto! Comunque io vi dico che non basta aver costruito la Chiesa. Ora bisogna onorarla e frequentarla. Come sapete da Offida domani erranno molti sacerdoti che potranno confessarvi sì che, insieme alle vostre donne che dispenserete dai lavori della casa, potrete accostarvi ai Sacramenti. Anche i vostri servitori fate in modo che siano presenti perché domani dovrà esser per tutti giorno di festa! Così il cappellano aumentò il loro entusiasmo sì che tutti tornarono alle loro case, aspettando con impazienza la prima luce dell’indomani. La mattina del 10 settembre, destatisi di buon tempo, da Offida partivano su umili cavalcature per benedire ed officiar per la prima volta la nuova Chiesa della Contrada Ciafone molti ecclesiastici. Erano il Priore Cipolletti, i canonici D. Curti, D. Cocci, il D. Forlini, D. Tozzi, ed il curato di S. Martino ex cappellano di S. Basso D. Biagio Tilli. Il priore Cipolletti a fronte del tempo non breve necessario per giungere sul monte Cocci, piacendogli tener allegra la brigata, con la grazia e con l’arguzia a lui proprie andava di tratto in tratto motteggiando D. Tilli, chiedendogli se era vero che egli fosse venuto dal 109 Regno di Napoli, e se era da pensare che egli fosse giunto dalle parti di Offida per vedere dove e come qualche suo amico lazzarone avrebbe poi potuto acquisire l’immunità ecclesiastica. Questi motteggi facevano esplodere grasse risate da tutta la compagnia compreso il canonico Tozzi che in precedenza si era mostrato contrario all’operato di D. Tilli ed alla costruzione della nuova chiesa sul monte Cocci. La contentezza che dimostravano tutti non era peraltro tale da sopprimere nell’animo di ciascuno l’angoscia che nasceva dal constatare la durezza dei tempi che tutti stavano vivendo e che in quei religiosi non poteva non essere vista come una conseguenza dei disordini già portati dalla sciagurata Repubblica di Francia causa sicura di nuove persecuzioni per il clero. La fede sembrava venir mancando e con essa sembrava venir meno anche la devozione per il Pontefice. Presi da questi pensieri che si erano sovrapposti ai motteggi di poco prima, varcato il colle S. Martino, si accorsero all’improvviso che i campagnoli del Ciafone erano andati loro incontro facendo fuoco, in segno di festoso saluto, con i loro archibugi. Ciò procurò commozione negli animi di quei venerabili religiosi sì che a non pochi di loro delle lacrime affiorarono dagli occhi. - Siate benedetti! – esclamò allora il venerando priore Cipolletti – Siate benedetti se saprete mantenere così calda e viva la vostra fiducia nei sacerdoti di Dio! – Accompagnati da quei campagnoli essi giunsero così alla nuova chiesa ed entrati tutti in essa, mentre il popolo accorreva in folla da ogni banda, dopo lo scambio di saluti con il cappellano iniziarono le invocazioni e le preci per il sacro rito della Benedizione,. A D. Tilli, che era stato il primo cappellano che aveva gettata la prima pietra dell’opera, fu data l’onore di benedirla. Avvolto in ricco piviale laminato d’argento ed assistito da due altri ecclesiastici compì il rito con quella emozione che il lettore potrà facilmente indovinare. La Chiesa fu posta sotto il titolo ed invocazione di S. Filippo Neri, a cagione del Pio Beneficio che ad essa era stato assegnato. Quindi i sacerdoti si posero nei confessionali dove rimasero fino a mattina ben inoltrata, non essendovi stato quasi nessuno, che quel giorno speciale non si accostasse a ricevere il Sacramento eucaristico per render grazia a Dio dell’immenso dono che la popolazione riceveva. Il Priore Cipolletti cantò la prima Messa, durante la quale gli altri sacerdoti fecero in coro echeggiare la volta del tempio con la solenne melodia di un canto gregoriano. Alla elevazione dell’ostia una salva di colpi di pistola e di archibugi rimarcò ancor più la maestà del rito. La devozione che dimostrava la gente era tale che il cappellano Capriotti credé doveroso celebrare anch’egli un’altra messa. Dopo di ché i già stanchi ecclesiastici furono condotti nella contigua abitazione per un festoso banchetto. 110 D. Capriotti aveva predisposto le cose in modo che fosse imbandita una bella tavola con le migliori vivande. Ilare e festosa fu la mensa : leggiadri e lepidi motti or dell’uno or dell’altro alimentavano l’allegria dei convitati e ci fu uno di questi che, ridendo, disse che quel giorno era degno di essere tramandato alla memoria dei posteri con una lapide se non fosse a conoscenza di tutta la contrada del Ciafone quanto poco affidabile fosse, in tema di lapidi, la custodia che avrebbe potuto farne D. Capriotti. All’arrivo in tavola di un vassoio colmo di succulenti maccheroni ci fu un altro che rilevò, anch’esso ridendo, che nessuno avrebbe potuto non riconoscere che in quel sito aveva soggiornato gente napoletana che in cambio dell’immunità che vi trovò aveva lasciato alla Contrada Forola l’arte di lavorare così eccellenti maccheroni. Ci fu uno scoppio di risa sapendo a chi alludeva quel motteggio. Spiace di non poter qui riportare nessuno dei versi estemporanei, che in tale occasione sciorinò la fervida immaginazione del canonico Forlini che ebbe sempre fama di poeta. Terminato il desinare dato che il nascente autunno offriva una temperata e gradevole giornata di sole tutta la compagnia si mosse ad ammirare i terreni della Cura che apparvero meravigliosamente tenuti dal cappellano. Così fattasi l’ora del vespro i canonici cominciarono a prendere commiato dal cappellano. Essi furono poi accompagnati per lungo tratto di strada da molta gente della contrada mentre gli altri restati nei pressi della chiesa ebbero modo di salutarli a lungo con salve di archibugio e fuochi artificiali alla luce dei quali nuove voci di giubilo si levavano dalle campagne e dai casali dove andavano raccogliendosi le famiglie dei campagnoli. Corre voce che gli abitanti delle contrade vicine che erano accorsi per la festa che era stata da giorni annunciata mostrarono invidia per la fortunata sorte degli abitanti del Ciafone, che avevano a quel punto Chiesa e Cappellano residente. Chi scrive fa voti perché presto anche quelle genti possano avere residenti fra loro dei cappellani. 111 APPENDICE La figura del cardinale Giovanni Andrea Archetti La delegazione apostolica di Ascoli La insorgenza nelle Marche Cappellani vicari e primo parroco nella cura di S.Basso Problematiche economiche connesse con la costruzione del nuovo complesso nella Contrada Ciafone ad Offida Note esplicative 112 LA FIGURA DEL CARDINALE GIOVANNI ANDREA ARCHETTI Nacque a Brescia l'11 sett. 1731 da Pietro e da Paola Giroldi. La famiglia, di ricchi mercanti, in seguito all'acquisto del feudo di Formigara nel distretto di Cremona, presso Pizzighettone, otteneva nel 1743 dall'imperatrice Maria Teresa il titolo di marchesi di Formigara e baroni del S.R.I. Notizie sugli studi e la carriera dell'Archetti si ricavano dal processo informativo del 6 sett. 1775, intentato in occasione della nomina ad arcivescovo titolare, di Calcedonia (Arch. Segreto Vaticano, Processus Datariae, vol. 152, ff. 366-380). L'Archetti si era laureato il 16 maggio 1754 a Roma, nell'archiginnasio della Sapienza, in diritto canonico e civile. Iniziata subito dopo la carriera ecclesiastica - benché venisse ordinato sacerdote soltanto il 10 sett. 1775 - aveva coperto importanti cariche nella curia e nell'amministrazione dello Stato pontificio. Nel 1756 era stato nominato da Benedetto XIV vicelegato di Bologna. Il 23 nov. 1759 era divenuto ponente della S. Congregazione della Consulta, arrivando però a Roma, per occupare la sua nuova carica, solo il 20 nov. 1760 (ibid., Sacri Palazzi Apostolici, Ammissione nel ruolo dei partecipanti,1761, n. 6). Della Consulta fece parte per quindici anni, diventandone infine prosegretario. Fu anche consultore della S. Congregazione dei Riti e protonotario apostolico del numero dei partecipanti, dei quali divenne anche decano. Di questa attività, tuttavia, non conosciamo particolari: si sa soltanto che il 16 agosto 1773 fu l'Archetti a promulgare il breve dì soppressione dei gesuiti nel Collegio Germanico della Compagnia, che si trovava allora nell'Apollinare. Il 31 ott. 1775 fu nominato nunzio in Polonia, dove giunse, già col titolo di arcivescovo di Calcedonia, verso la metà dell'aprile 1776, succedendo nella carica a mons. G. Garampi, trasferito a Vienna. Il 29 aprile presentò le sue credenziali al re in Varsavia. La Dieta polacca aveva svolto un'attività intensa, concernente non soltanto lo Stato ma anche la Chiesa. Durante la sua lunga 113 nunziatura l'Archetti fu non solo attento spettatore degli eventi, ma anche partecipe, facendo ogni sforzo per far valere i principi e gli interessi della Chiesa. Tentò di esercitare la sua influenza - anche di fronte alla Commissione dell'educazione nazionale, presieduta dal vescovo di Plosko, fratello del re di Polonia - particolarmente nei dibattiti relativi all'insegnamento, ai beni della soppressa Compagnia di Gesù e alla sostituzione delle loro scuole. L'Archetti impedì anche la soppressione dell'ordine del S. Sepolcro, voluta dalla Commissione per far usufruire dei beni dell'ordine l'università di Cracovia. Lo smembramento della Polonia aveva determinato una difficile situazione locale per la Chiesa: le nuove frontiere tagliavano spesso in due le diocesi, creando difficoltà logistiche e d'apostolato. Il compito del nunzio implicava così anche importanti negoziati con il governo della Prussia e soprattutto con quello della Russia, sotto il cui dominio erano passati i cattolici uniati dell'Ucraina e della Lituania, considerati dagli ortodossi come dei rinnegati, e perciò vessati e costretti all'apostasia. L'Archetti doveva ottenere anche la pubblicazione del breve di scioglimento della Compagnia di Gesù in Prussia e nella Russia, dove i gesuiti, godendo dell'appoggio dei sovrani per i servizi resi come insegnanti, avevano continuato la loro attività, e in Russia anzi avevano eletto un loro generale. Dopo molte trattative l'Archetti raggiunse il suo scopo nella Prussia, nel 1780, mentre Caterina II non permetteva la soppressione dell'ordine, lo metteva sotto la protezione di Stanislao Siestrzencewicz, sua creatura, che voleva far diventare il capo dei cattolici dei suoi Stati, nominandolo all'arcivescovato di Mohylów, eretto da lei stessa nel 1782. Nel novembre di quell'anno la questione dei gesuiti era ancora aperta; l'Archetti riceveva nel frattempo da Caterina II la richiesta del pallio per l'arcivescovo di Mohylów, e la consacrazione dei coadiutore Benistawski a vescovo ausiliario. 114 L'affare Siestrzencewicz costituì un grave e complesso problema per la Santa Sede. Pio VI inviò l'Archetti nell'aprile 1783in missione speciale in Russia: partito da Varsavia il 14 giugno, egli arrivò a Pietroburgo il 4 luglio, dove venne ricevuto con grande onore. In quella città il 18 ottobre 1783 consacrò la prima chiesa cattolica. Il 18 gennaio 1784 il Siestrzencewicz ricevette il pallio dall' Archetti, e il 6 febbraio venne consacrato vescovo ausiliario il suo coadiutore Benisùawski. Riprese le trattative sui gesuiti, senza nulla riuscire a concludere per la tattica defatigatoria del primate e della stessa zarina; l' Archetti si conquistò però il favore di questa, che richiese per lui il cappello di cardinale. Nel maggio, giunse la notizia della nomina e del richiamo. Le lunghe trattative condotte dall' Archetti per regolarizzare la situazione ecclesiastica in Russia, anche se non risolsero molti importanti problemi, pure fecero della sua nunziatura una tappa importante nei negoziati diplomatici fra Santa Sede e Russia. Sulla nunziatura dell' Archetti in Russia esiste una lunga relazione coeva, per molto tempo attribuita erroneamente allo stesso Archetti. L'autore è invece mons. Gioacchino Tosi (cfr. J. Gagarin, Les Jésuites de Russie 1772-1785; Un Nonce du Pape à la Cour de Catherine II, Mémoires d'Archetti, Paris-Bruxelles 1872; W. Kratz, Wer ist der Verfasser der Memoiren über die Legation Archettis,in Archivum Hist. Soc. Jesu,XV [1946], pp. 155-159). L' Archetti lasciò Pietroburgo il 13 giugno 1784, e venne creato cardinale prete del titolo di S. Eusebio il 20 settembre dello stesso anno. il berretto cardinalizio glielo impose il re di Polonia Stanislao Poniatowski il 24 ottobre, a Grodno. Lasciata la Polonia alla fine dei novembre 1784, ritornò in Italia passando per Dresda, Praga e Vienna. Il 25 genn. 1785 si fermò a Brescia, sua città natale, dove venne accolto con grande solennità: il 2 aprile la sua famiglia era aggregata alla nobiltà bresciana, secondo il desiderio espresso dallo stesso Archetti nella lettera con cui comunicava, ancora dalla Polonia, la sua promozione alla sacra porpora. 115 Ritornato a Roma il 7 giugno 1785, il 27 dello stesso mese venne nominato legato a latere a Bologna, dove arrivò il 17 settembre, come risulta dalla sua prima relazione (Arch. Segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Bologna, vol. 126, f. 90). La situazione che l' Archetti trovò nella nuova sede era particolarmente difficile, per i vivaci contrasti sorti intorno al piano economico-amministrativo di Pio VI e del cardinale Boncompagni, predecessore dell' Archetti e poi segretario di stato. Il piano - che tentava da una parte di introdurre uniformità amministrativa e dall'altra di creare un equilibrio tributario in tutto lo Stato favoriva chiaramente, di fronte all'aristocrazia bolognese, il popolo minuto, gli agricoltori, che formavano la maggioranza della popolazione locale. Essa fu troncata a seguito di una lunga lotta tra il senato di Bologna e il governo pontificio, cui pose termine solo l'entrata dei Francesi a Bologna nel 1796. Questi contrasti occuparono tutto il periodo della legazione dell' Archetti, ma il suo atteggiamento, la sua linea d'azione di fronte alla opposizione dei Bolognesi sono un problema ancora non chiarito dagli studi. L' Archetti era, questo è certo, favorevole al piano Boncompagni, che voleva però attuare gradualmente, tentando di conciliare punti di vista e interessi opposti, condannando e isolando il "falso zelo di quei pochi cittadini e senatori". Il 28 maggio 1795 l' Archetti fu nominato vescovo di Ascoli Piceno. Vi giunse ai primi di ottobre e resse la diocesi per un decennio, fino alla morte. Gli avvenimenti politici non gli consentirono né un governo tranquillo né una presenza continua nella diocesi, tuttavia si sforzò di incrementarvi sia la vita religiosa, sia un miglioramento economico. Negli anni 1797-1799 ebbe per vicario generale il prevosto della cattedrale di Cingoli, Francesco Saverio Castiglioni, il futuro Pio VIII. Il 18 marzo 1798 il comandante francese di Macerata lo fece condurre a Roma, donde il 22 marzo venne trasferito, insieme con altri cardinali, a Civitavecchia nel convento dei domenicani; rimase prigioniero per poco tempo, ma non poté ritornare nella diocesi di 116 Ascoli. Andò così prima a Gaeta, poi a Napoli, al cui Regno apparteneva una parte della sua diocesi. Morto Pio VI il 29 ag. 1799, prigioniero a Valence in Francia, l'Archetti prese parte al conclave, che si riunì a Venezia, dove giunse ai primi di ottobre. Durante il lungo conclave (1 dic. 1799 - 14 marzo 1800) l' Archetti, che sosteneva la candidatura del cardinale Mattei arcivescovo di Ferrara, di fronte al cardinale Bellisomi vescovo di Cesena, fu anch'esso tra i proposti. Fra i primi atti del nuovo papa, Pio VII, fu la promozione dell' Archetti a cardinale vescovo di Sabina (2 apr. 1800), il che non impedì all' Archetti di conservare anche l'amministrazione della diocesi di Ascoli Piceno, dove rientrò dopo aver accompagnato Pio VII da Venezia a Roma. Nel giugno 1805 si recò a Brescia, per sistemare alcuni affari domestici ed ancora vi si trovava quando venne nominato da Napoleone, con cui s'incontrò a Brescia, al vescovato della città, rimasto vacante, per la morte di mons. Nani, sin dal 23 ott. 1804. L' Archetti però non accettò la nomina. Tra i biografi dell' Archetti, il Guerrini attribuisce all' Archetti il desiderio di ottenere il vescovato della città natale, ma la corrispondenza svolta in proposito a questa nomina tra l' Archetti e il card. Consalvi, segretario di stato (Arch. Segreto Vaticano, Cardinali, 1805 mi. 174-176, 197), mostra il contrario. Secondo questa fonte l' Archetti ricusò la nuova carica sia per la grave età, sia perché non gli era sfuggita la precaria situazione finanziaria della diocesi bresciana: aveva perciò condizionato l'accettazione al miglioramento della mensa vescovile e, tardando ad avere assicurazioni, preferì tornare ad Ascoli. Partì da Brescia il 20 sett. 1805 ed arrivò ad Ascoli il 30 dello stesso mese; poco dopo il ritorno si ammalò, e morì il 5 nov. 1805 per essere sepolto nella cattedrale. 117 LA DELEGAZIONE APOSTOLICA DI ASCOLI La delegazione apostolica di Ascoli fu una suddivisione amministrativa dello Stato Pontificio, istituita nel 1816 da Pio VII nel territorio delle Marche. Nella sua conformazione definitiva (1831) confinava a nord con le delegazioni di Fermo, Macerata, Camerino, a ovest con la delegazione di Spoleto e a sud con il Regno delle Due Sicilie. Origini e istituzione Nel contesto del riordino territoriale voluto da Pio VII dopo la Restaurazione (1816) la delegazione di Ascoli riunì il territorio dell'antico Comitato Ascolano (Stato di Ascoli) e del Presidiato Sistino di Montalto (Stato di Montalto). Fin dal principio essa fu suddivisa in due distretti che facevano capo rispettivamente ad Ascoli e a Montalto. L’editto del Segretario di Stato, emesso nel 1817, modificò i confini della provincia, disponendo una cessione di comuni alla delegazione di Fermo ma al contempo anche due importanti annessioni: quella di Arquata dalla delegazione di Spoleto e quella di Amandola dalla delegazione di Macerata. Dati demografici La delegazione di Ascoli aveva 69.058 abitanti nel 1816 e 78.946 nel 1833. Il capoluogo contava 12.351 abitanti nel 1816 e 11.993 nel 1833. 118 Suddivisione amministrativa (1816) Delegazione Distretto Ascoli Ascoli Governo Comunità Ascoli Ascoli, Casalena, Castel Trosino, Montadamo, Morignano, Venagrande, Vena Piccola Acquasanta Acquasanta, Arli, Arola, Cagnano, Capodirigo, Falciano, Farno, Favalanciata, Forcella, Fleno, Luco, Matera, Montacuto, Montecalvo, Morrice, Novele, Paggese, Peracchia, Piedicava, Pietralta, Quintodecimo, Rocca di Montecalvo, Rocchetta, San Giovanni, San Gregorio, San Martino, San Pietro d'Arli, Santa Maria, San Vito, Tallacano, Torre, Valle d'Acqua, Venamartello Ancorano Ancarano, Maltignano Appianano Appignano, Castiglioni, Ripaberarda Capradosso Capradosso, Castel di Croce, Montemoro, Poggio Canoso, Polesio, Porchiano Castorano Castorano, Colli, Lama, Pescolla Comunanza Castelfiorito, Castel San Pietro, Cerqueto, Comunanza, Gerosa, Gesso, Illice, Palmiano, Pizzorullo, Quinzano, Vindola Folignano Castel Folignano, Folignano, Lisciano 119 Monteprandone Monteprandone Monsampolo Monsampolo Mozzano Agelli, Bovecchia, Colle, Collina, Funti, Gaico, Giustimana, Marsia, Meschia, Mozzano, Osoli, Pantorano, Pastina, Pedana, Pesaturo, Pescolla, Rocca Casaregnana, Roccareonile, Ronciglione, Scalelle, Taverna di Mezzo Spinetoli Pagliare, Spinetoli Venarotta Capodipiano, Casacagnano, Cepparano, Cerreto, Gimigliano, Monsampietro, Olibra, Poggio Anzù, Portella, Valcinante, Vallorano, Venarotta Castignano Castignano Cossignano Cossignano Force Force Montalto Montalto, Montedinove, Patrignone, Porchia Montefiore Montefiore Montefortino Montefortino, Montemonaco Montegallo Montegallo Montelparo Montelparo Montalto Monterubbiano Monterubbiano Affida Offida 120 Ripatransone Ripatransone Rotella Rotella Santa Vittoria Santa Vittoria 121 LA INSORGENZA NELLE MARCHE Va premesso che il fenomeno della “insorgenza” popolare che si manifestò in diverse aree dello Stato Pontificio negli anni 1797 e 1798 non appare collegabile in senso stretto con gli episodi che nell’Ascolano videro protagoniste le bande di Sciabolone e di De Donatis. Queste sono classificabili come bande di “briganti” con principali fini di rapina piuttosto che di resistenza alle truppe francesi e l’enorme numero dei componenti che le caratterizzava (anche diverse centinaia) le mostra adatte ad azioni di forza come la presa di Acquaviva piuttosto che a contributi di difesa di luoghi legati all’affezione popolare nei diversi centri urbani. Detto ciò va anche detto che nel settembre del 1796 il governo pontificio aveva dato il via all’organizzazione di alcuni corpi armati, che proseguì fino al febbraio del 1797. L’iniziativa, che prevedeva per alcuni territori addirittura una sorta di coscrizione generale, fu affetto da carenze che la battaglia del Senio doveva mettere in luce. Non si deve peraltro tacere su molteplici esempi di animazione popolare e su una spontanea adesione di giovani di famiglie nobili all’arruolamento nelle forze armate pontificie presupposti ambedue che furono alla base di una spontanea “insorgenza” popolare (che nulla aveva in comune con quanto avrebbe alimentato il formarsi di bande di briganti). Per quanto riguarda le Marche gli insorgenti accettarono ad un certo punto la direzione del generale Giuseppe Lahoz Ortiz (proveniente dalle truppe cisalpine dopo un radicale cambiamento di posizione e la cui figura meriterebbe una analisi particolare) che nel 1799 seppe indicare una organizzazione militare di qualche efficacia. Dopo la battaglia del Senio, i francesi e i cispadani occuparono rapidamente le principali città marchigiane della costa e dell’immediato entroterra: il controllo effettivo non superò peraltro la zona tra il Maceratese ed il Fermano. Come già detto le truppe francesi erano poco numerose, e quelle cispadane erano anche carenti di equipaggiamenti essenziali: questi aspetti, insieme alla latente preoccupazioni che Mantova, capitolata il 1° febbraio, potesse essere oggetto di tentativi di riconquista da parte degli imperiali, spiegano le scelte del generale di non attaccare Roma, come desiderava il Direttorio, né di estendere il controllo a un territorio più ampio, ma di fare un rapido ritorno al fronte settentrionale, dopo avere imposto al Papa il trattato di Tolentino. Da una parte infatti questo permetteva a Bonaparte di ottenere (oltre alle opere d’arte da inviare a Parigi) i sussidi necessari alla guerra, dall’altra, come lo stesso Bonaparte prospettava al Direttorio, lo Stato Pontificio, era stato a tal punto indebolito dal trattato (che tra l’altro prevedeva il controllo militare, che divenne poi politico, di Ancona) che sarebbe stato facile conquistarlo tutto successivamente (come avvenne esattamente un anno dopo con la presa di Roma). I moti nelle Marche scoppiarono nel giorni immediatamente successivi al trattato di Tolentino. Ci furono anche alcuni episodi precedenti il 19 febbraio, ma la sollevazione generale si verificò quasi ovunque con l’arrivo dei commissari francesi nelle città e nei paesi dell’entroterra con l’ordine dei comandi militari di compiere la requisizione di armi, di vettovaglie e di ogni altro genere necessario alle truppe, oltre che delle opere preziose da inviare a Parigi. 122 Un esempio: da Urbino in un solo giorno — il 22 febbraio — partirono 80 carri carichi di bottino, 100 buoi e 50 cavalli con il commento che segue di un cronista locale : «È con un senso di grande cordoglio e di indignazione che il popolo assisté allo spettacolo del lungo convoglio di carri che trasportavano a Pesaro nelle mani dei rapaci conquistatori il frutto dei suoi lavori assieme ai tesori aviti delle chiese e ai risparmi dei poveri» . Urbino fu uno dei centri dell’insorgenza e nelle settimane successive al 19 febbraio iniziarono gli scontri con le truppe francesi concentrate a Pesaro. Il primo scontro avvenne presso San Gallo, a sette od otto miglia da Urbino, ed esso incoraggiò gli insorgenti che aumentarono di numero e che si dettero una primordiale organizzazione bloccando il passo del Furlo e le strade che conducevano a Pesaro, dove si concentravano i carri requisiti dai commissari francesi nei diversi centri urbani. La reazione dei francesi fu spedita e si materializzò in diversi attacchi ad Urbino. Sulla città cadde un centinaio di granate, ma i francesi, circondati dagli insorgenti delle campagne, furono costretti a ritirarsi. Contemporaneamente alla sollevazione di Urbino vi furono insorgenze in diversi altri centri del Montefeltro. Il commento che su quei fatti si legge in una relazione dei comandi militari francesi è di per sé eloquente : «La Vandea della Francia sembra rinascere qui». L’episodio più rilevante dell’insorgenza del Montefeltro fu la presa del castello di San Leo il 5 marzo. Sia gli insorgenti urbinati che quelli del Montefeltro costrinsero i francesi ad accordi separati, al di fuori del trattato di Tolentino. L’insorgenza nel Montefeltro proseguì per tutto il mese di marzo e anche in aprile: gruppi di insorgenti scendevano dalle montagne per attaccare sulla via marittima che collegava Pesaro con Rimini i convogli di carri, per tentare di recuperare quanto i commissari e i soldati francesi avevano in precedenza asportato dai loro paesi. La via marittima divenne assai insicura per i francesi. Si può aggiungere che la notizia della pace fra il Papa e Bonaparte aveva ormai raggiunto anche i paesi dell’entroterra : al fine di calmare gli animi l’accordo era letto nelle chiese dai parroci, i quali in molti casi rischiavano di essere insultati come giacobini. Per la parte settentrionale delle Marche sono da ricordare, sempre nei mesi di febbraio-marzo 1797, l’insorgenza che coinvolse i territori fra Gubbio — la città umbra faceva parte della Legazione di Pesaro-Urbino — e il passo del Furlo, e quella della Valle del Cesano, che unisce Senigallia a Fonte Avellana. Qui il centro principale fu San Lorenzo in Campo. Attorno a San Lorenzo si coalizzarono i paesi limitrofi che diedero vita a una «truppa coalizzata», a capo della quale si pose il ventenne Giovan Battista Duranti, ex ufficiale delle milizie pontificie. Anche in questo caso si riteneva da parte dei popolani che la notizia della pace di Tolentino fosse stata diffusa ad arte dai francesi. Gli insorgenti riuscirono a catturare i carri spediti a Senigallia, suscitando una rappresagli da parte dei comandi francesi che però non produsse effetti concreti per l’esiguità delle truppe di cui disponevano. L’episodio di più vaste dimensioni dell’insorgenza nelle Marche (che non riguardò l’Ascolano fuori dell’area delle requisizioni) fu quello che ebbe per epicentro Sant’Elpidio. Le motivazioni e le date (2225 febbraio) sono le stesse del resto della regione. A Sant’Elpidio si concentrarono le popolazioni 123 contadine dei paesi posti fra Macerata e Fermo, tutti in agitazione, nei quali si erano già verificati episodi isolati di aggressioni di commissari francesi: Montegranaro, Civitanova, Monturano, Montegiorgio, Montesanpietrangeli. Contadini e artigiani di queste località si concentrarono a Sant’Elpidio, abbandonata da chi temeva sia il disordine degli insorgenti che la sicura repressione dei francesi. Anche in questo caso si arrivò a un duro scontro armato, in cui i francesi e i cispadani subirono notevoli perdite pur riuscendo a mettere in fuga gli insorgenti e prendere la città grazie alla forza dell’artiglieria. 124 VESCOVI DELLA DIOCESI DI ASCOLI NEL PERIODO COPERTO DALLA NARRAZIONE DI DON CAPRIOTTI La data a fianco di ciascun nome è quella della elezione a vescovo 1) Tommaso Marana 1728 2) Pietro Paolo Leonardi 1755 3) Gian Andrea Archetti 1795 Antonio Lenti coprì la carica di Vicario Capitolare dalla morte del vescovo Leonardi (1792) alla elezione a vescovo del cardinale Archetti (1795) CAPPELLANI VICARI E PRIMO PARROCO NELLA CURA DI S.BASSO Cappellani vicari 1. Don Biagio Tilli (1759-1792) 2. Don Nicola Capriotti (1792 – 1838) Primo Parroco 1) Don Sante Calvaresi (1838 – 1840) Primo curato dopo la creazione della Parrocchia dei SS. Filippo (per il Beneficio di San Filippo ed Angelo) e Basso (per la antica denominazione della Cura) VESCOVO DELLA DIOCESI DI ASCOLI NELLA DATA DI RIAPERTURA AL CULTO DELLA CHIESA (11 APRILE 1999) Silvano Montevecchi 125 PROBLEMATICHE ECONOMICHE CONNESSE CON LA COSTRUZIONE DEL NUOVO COMPLESSO IN CONTRADA CIAFONE Il manoscritto consente con qualche difficoltà di ricostruire il quadro di sintesi delle problematiche economiche e finanziarie che si dovettero affrontare (in particolare dal vescovo Mons. Leonardi, dal vescovo Cardinale Archetti e dal priore Cipolletti) per impostare e portare a termine (in un tempo la cui durata dal 1792 al 1805 dà una misura di tali difficoltà) la costruzione della nuova chiesa della Cura di S.Basso. Il testo si presenta esageratamente dettagliato in particolari secondari e per contro poco chiaro in aspetti essenziali della vicenda amministrativa (forse scontati al tempo della redazione del documento nel contesto delle normative usuali dello Stato Pontificio e delle relazioni allora in uso tra le diverse istituzioni all’interno di una diocesi). Nel seguito si fornisce quindi una esposizione di quanto si è potuto comprendere, senza dare per scontato che essa non sia affetta da qualche macroscopico errore interpretativo. 1753 Il pontefice Benedetto XIV consente di acquisire dal Pio Beneficio Rota un assegno annuo di 20 scudi per ciascuno dei tre cappellani coadiutori del Curato di S.Maria della Rocca a ciascuno dei quali è assegnata una cura. Quella di S. Basso è assegnata a D. Biagio Tilli. 1759 Viene attuata con un certo ritardo la disposizione di Benedetto XIV. I cappellani incontrano comunque difficoltà a svolgere il loro compito dato che non hanno residenza nelle Cure loro assegnate. Si va così avanti per 25 anni. 1784 Viene assegnato alla Cappellania di S. Basso il Pio Beneficio dei SS. Filippo ed Angelo di 100 scudi annui. Da tale beneficio il cappellano curato di S. Basso è tenuto a far avere 10 scudi ciascuno rispettivamente al cappellano curato di S. Venanzo ed a quello di S. Lazzaro. Lo stesso cappellano di S. Basso è tenuto inoltre a far avere 10 scudi al vicario curato della Collegiata prelevandolo dall’assegno di 20 scudi che gli viene annualmente dal Pio Beneficio Rota. 126 1788 A questo punto la rendita annua del cappellano curato di S. Basso doveva essere pari a 10 + 80 = 90 scudi annui. Di fatto peraltro i versamenti agli altri cappellani non furono mai eseguiti per cui la rendita annua effettiva dello stesso cappellano era pari a 20 + 100 = 120 scudi. Con una spesa di scudi 26 si costruisce, come soluzione provvisoria per la residenza del Cappellano Curato, una nuova stanza nella casa colonica esistente nel fondo parrocchiale di S. Basso riattandone un’altra nella stessa casa. Primavera 1790 Per reperire fondi atti all’acquisto di un’area nella zona del monte Cocci su cui costruire il nuovo complesso viene reso pubblico un bando di gara per la vendita di 6 corpi di terreno. L’area suddetta, di proprietà Forlini è stata stimata in scudi 360:60. Le offerte che pervengono assommano a scudi 522:81. L’esito dell’asta rimane sospeso e circa il possibile utilizzo della somma eccedente si chiedono chiarimenti alla S. Congregazione. 8 settembre 1790 A fronte delle rimostranze di quanti avevano presentato offerte nell’asta precedente (annullata) viene pubblicato un nuovo avviso relativo alla vendita di tre corpi di terreno (di spettanza al Beneficio dei SS. Filippo ed Angelo incorporato alla Cura di S. Basso). I tre migliori oblatori in proposito furono : 1) Luigi Forlini con l’offerta di scudi 120:76 per un terreno in contrada S. Martino; 2) Nicola Massei con l’offerta di scudi 176:75 per un terreno in contrada Coppo; 3) Luigi Forlini con l’offerta di scudi 63:83 per un terreno in contrada Lava. L’ammontare complessivo delle offerte fu pertanto di 361:35 scudi sufficiente all’acquisto del predio di proprietà Antonio Forlini stimato in scudi 360:60. Tale ammontare fu ripartito come segue : a) scudi 150:00 alla Cura di S. Basso a garanzia del Pio Legato Capriotti (cui il terreno in vendita era soggetto); 127 b) scudi 30:00 ad una figlia di Antonio Forlini; c) scudi 180:60 ad Antonio Forlini per il risanamento dei debiti di questo. Settembre 1791 L’acquisto del predio Forlini non risolve il problema della costruzione del nuovo complesso (chiesa e casa parrocchiale) in quanto vanno reperiti i fondi specifici che in proposito occorrono. Vengono pertanto posti in vendita (mediante asta) altri 3 terreni della Cura. Risultano vincitori : 1) Carlo Travaglini con un’offerta di scudi 74:02; 2) Cruciano Vallorani con un’offerta di scudi 110:90; 3) D. Pietro Ermeti con un’offerta di scudi 40:01. L’ammontare complessivo delle offerte è di scudi 224:93. Tale somma viene così ripartita : a) scudi 100:00 al Capitolo di Offida con istituzione di una rendita al 4% su un terreno di proprietà del Capitolo stesso a favore della Cappellania Curata di S. Basso; b) scudi 100:00 al Capitolo di Offida con istituzione di una rendita al 4% su un altro terreno di proprietà del Capitolo stesso a favore della Cappellania Curata di S. Basso; c) scudi 24:90 in debito a Cruciano Vallorani (che solo in seguito provvederà in proposito). 29 febbraio 1792 Inizio dei lavori. In proposito vengono acquisiti 50:00 scudi in prestito dal Beneficio Ferri Giuseppe al tasso del 4%. 20 giugno 1792 Muore il vescovo di Ascoli Mons. Leonardi. Come Vicario Capitolare gli succede D. Antonio Lenti. 4 agosto 1792 Sospensione dei lavori di costruzione della chiesa per disposizione del Vicario Capitolare (tale sospensione non riguarda i lavori di costruzione della casa parrocchiale). 27 gennaio 1793 D. Biagio Tilli (che dai conti che presenta al Capitolo risulta creditore di 48,01 scudi) si trasferisce nella Cura di S. Martino. D. Nicola Capriotti nuovo Cappellano Curato di S. Basso. 128 1796 Viene eletto vescovo di Ascoli il cardinale Archetti. Ripresa dei lavori di costruzione della chiesa su disposizione di questo. Al fine di acquisire fondi per i lavori il vescovo Archetti dispone contemporaneamente la licenza alla Cappellania di S. Basso per il taglio di un numero di alberi fino al reperimento di 50:00 scudi. Altri 20:00 scudi la Cappellania ha la licenza di acquisirli mediante una questua. A parte questi introiti, la disponibilità lorda della Cappellania continuava ad essere pari a 120:00 scudi (derivanti per 20:00 scudi dal Beneficio Rota e per 100:00 dal Beneficio dei SS. Filippo ed Angelo). Si procedette allora alla vendita all’asta di altri 2 terreni (uno in contrada S. Barnaba ed uno in contrada Ponticello) ricavandone (acquirente Paolo Marini che poi li rivendette subito a Paolo Cipolletti) l’importo di 905:33:2 scudi (in moneta erosa quindi di valore pari allo 85% della moneta cosiddetta “lunga”). Tale importo venne ripartito in una aliquota di 500:00 scudi reinvestita a favore della Cappellania Curata di S. Basso, in una di 50:00 scudi destinata alla estinzione del prestito dal beneficio Ferri ed in una di 335:33:2 da destinare alla costruzione della chiesa. La aliquota di 500:00 scudi fu a sua volta divisa nei due censi (prestiti) seguenti: a) un censo di 400:00 scudi alla Chiesa Collegiata (all’interesse annuo del 5%); b) un censo di 100:00 scudi all’Ospedale di S. Antonio Abbate (all’interesse annuo del 5.5%). Il primo di questi censi fu dalla Chiesa Collegiata trasferito al Monastero di S. Marco in ragione del 7% annuo. Tenuto conto di quanto sopra detto a proposito della moneta erosa gli importi sopraesposti furono formalmente ridimensionati nei seguenti: a) il censo di 500 scudi fu corretto in un censo 340 scudi (atto a determinare all’interesse del 7%) una rendita annua di 23:8 scudi); 129 b) il censo di 100 scudi fu corretto in un censo di 85 scudi (atto a determinare all’interesse del 5.5% una rendita annua di 4:7 scudi); c) l’importo di 335:33:2 scudi destinato alla costruzione della chiesa veniva ridimensionato nell’importo di 236:88:3 scudi. Quadro economico finale dei lavori di costruzione della chiesa Da quanto precede si può tentare di elaborare un sintetico quadro finale dei lavori di costruzione della chiesa durati complessivamente 9 anni (dal 1796 al 1805). Gli importi disponibili annualmente furono i seguenti: 1. rendita 1 : rendita annua derivante dalla vendita dei 2 terreni effettuata nel 1791 = 8:0 scudi; 2. rendita 2 : rendita annua dal censo al Monastero di S. Marco = 23:8 scudi; 3. rendita 3 : rendita annua dal censo all’ospedale di S. Antonio Abbate = 4:7 scudi; 4. rendita 4 : rendita annua dal Pio Beneficio SS. Filippo ed Angelo = 100 scudi (in moneta lunga); 5. rendita 5 : rendita dal Pio Beneficio Rota = 20 scudi (in moneta lunga) destinati al Cappellano Vicario). Si può supporre che un 50% dell’importo complessivo delle rendite 4 e 5 - e cioè ½(100+20) = 60 scudi – venisse assorbito dalle spese di conduzione della Cura di S. Basso (compreso il compenso di sopravvivenza del Cappellano Vicario). Ai fini della costruzione della chiesa l’importo disponibile dalle redite 4 e 5 appare pertanto lecito stimarlo in 60 scudi. Il quadro economico (espresso in moneta lunga) che si può dedurre da quanto precede è pertanto il seguente: rendita 1 scudi 8:0 rendita 2 scudi 23:8 rendita 3 scudi 4:7 rendite 4 e 5 scudi 60:0 Sommano rendite 1, 2, 3, 4,5 scudi 96:5 130 Stimando in circa 20 scudi annui l’apporto derivante dalle offerte della popolazione si giunge, per quanto attiene la disponibilità finanziaria della Cura di S. Basso ai fini della costruzione della chiesa, ad un importo complessivo annuo di circa 120 scudi = 11.600 baj. Gli apporti una tantum di entità modesta come quelli derivanti da vendite minori (un orticello, alcune querce) appaiono trascurabili nel quadro generale dell’impegno economico sostenuto dalla Cura. Riportando il valore suddetto ad una quotazione (sia pure solo orientativa) in euro si ottiene l’importo annuo di 15.145 euro e l’importo complessivo di 136.305 = circa 140.000 euro. NOTE ESPLICATIVE N.E. 1 (Pag. del manoscritto 7) Pio Legato di Messe : disposizione testamentaria con lascito per celebrazione di messe. N.E. 2 (Pag. del manoscritto 8) Si da nel seguito qualche sintetica informazione sulle monete dello Stato Pontificio in corso all’epoca dei fatti narrati, sul loro potere di acquisto e sui rapporti reciproci di cambio. 131 Si fa riferimento al baiocco, al paolo, allo scudo. 10 baiocchi = 1 Paolo 100 baiocchi = 1 scudo = 10 Paoli. A titolo esemplificativo si forniscono nel seguito alcuni costi atti a dare un senso quantitativo a quanto esposto nel documento : una libbra (0.340 Kg) di carne 5 baj. una libbra di pane 1 baj. una fojetta (0.456 lt) di vino 1 baj. una camicia 1 scudo un lenzuolo 1 scudo e 5 paoli. Per stabilire una approssimativa corrispondenza tra tali monete e l’euro si può fare riferimento al prezzo attuale in questo territorio del pane che è di Euro 2.20 al Kg. Pertanto il costo in Euro di 1 libbra risulterebbe pari a : 0.340 x 2.20 = 0.748 Euro. Arrotondando tale valore numerico a 0.75 Euro, dalla proporzione 1 baj./0.75 Euro = x baj/1.00 Euro si trae la corrispondenza 1 baj. = 1.33 Euro. Facendo riferimento all’assegno annuo di 20 scudi per ogni cappellano curato da parte del Capitolo si può rilevare che ciò comportava la disponibilità giornaliera per ciascuno di loro di poco più di 5 bajocchi : (20 x 100)/365 = 5.4 Ne risulta una notevole ristrettezza di mezzi per i cappellani curati (da un documento del 1790 la paga giornaliera di un bracciante era di 15 bajocchi). E’ da presumere che la sopravvivenza dei cappellani curati si fondava sul fatto che essi risiedevano presso il Capitolo e che nel loro operare nelle contrade cui erano stati assegnati essi fossero aiutati dalle offerte della popolazione. Stando a quanto riportato dal manoscritto, dall’economia annua che si sarebbe prodotta (75 scudi = 7500 baj.) riducendo di 5 baiocchi (da 20 a 15) il 132 compenso al Capitolo per ogni messa in carico al Legato Rota il numero di messe annue da celebrare secondo il suddetto Legato doveva essere : 7500 baiocchi : 5 = 1500 messe che significa 4 messe quotidiane da distribuire tra i sacerdoti del Capitolo. Da quanto precede si deduce anche l’originario complessivo beneficio annuo per il Capitolo derivante dal Legato Rota : 20 baiocchi x 1500 messe = 30.000 baiocchi = 300 scudi. Ciò significherebbe l’importo di 39.900 Euro. A chiarimento della simbologia usata nel manoscritto (e riportata nella trascrizione) va detto che un importo in Ns scudi, in Np paoli ed in Nb baiocchi è riportato nel testo nella forma: Ns:Np:Nb. N.E. 3 (Pag. del manoscritto 27) Si ritiene che il capoverso che nel testo precede l’indicazione della Nota Esplicativa 3 contenga un involontario errore dell’autore che distorce peraltro completamente il senso della narrazione condotta in precedenza (e nel seguito). Il testo originale del manoscritto è quello che segue : Tuttavia i Cappellani non mossero allora grande lamento: grande fu il rumore e l’adoperarsi che fecero coloro, che non volevano la casa suddetta presso la Chiesa di S. Basso, temendo certo che presto non sarebbe stata più officiata. Il testo sopraddetto, non rispettando nel caso specifico il rigore con cui è stata effettuata la trascrizione del documento, è stato modificato come segue (eliminando la parola non) : Tuttavia i Cappellani non mossero allora grande lamento: grande fu il rumore e l’adoperarsi che fecero coloro, che volevano la casa suddetta presso la Chiesa di S. Basso, temendo certo che presto non sarebbe stata più officiata. N.E. 4 (Pag. del manoscritto 30) Camerlengo : cardinale della Curia Romana (camerlengo del cardinalizio collegio) con compiti particolari nella amministrazione. Si presume peraltro che con il termine Camerlengo 133 l’estensore del manoscritto volesse indicare un membro del Capitolo locale con compiti di gestione amministrativa. N.E. 5 (Pag. del manoscritto 30) Preside di Montalto : in quanto segue è fornito un quadro della divisione amministrativa del Piceno nello Stato Pontificio (Delegazione Apostolica di Ascoli). Tale quadro è aggiornato al periodo successivo alla restaurazione postnapoleonica tuttavia esso appare utile per interpretare gli avvenimenti narrati da don Capriotti (vedi per esempio i ricorsi al Preside di Montalto contro la decisione di erigere la nuova chiesa della Cura S. Basso sul monte Cocci). N.E. 6 (Pag. del manoscritto 35) Quarta : Unità di misura di area. Particolarmente usata nel Veneto e, a quanto può dedursi dal manoscritto Capriotti anche nell’area picena dello Stato Pontificio. Nel Veneto il suo valore era di 914,15 mq. N.E. 7 (Pag. del manoscritto 35) Giuspatronato : protezione di un ente o istituto religioso da parte di un privato. Il giuspatronato è stato di recente abolito (concilio vaticano II) N.E. 8 (pag. del manoscritto 65 e segg.) moneta erosa Con il termine di moneta erosa si deve intendere una moneta di valore ridotto (circa ai 2/3) introdotta durante il periodo della presenza francese negli stati pontifici. 134