XXVII Domenica del Tempo Ordinario

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XXVII Domenica del Tempo Ordinario
Diocesi di Cassano All’Ionio
Piazza S. Eusebio, 1
87011 Cassano all’Ionio (CS)
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sito internet: www.diocesicassanoalloionio.it
per l’Omelia domenicale a cura del Vescovo Mons. Vincenzo Bertolone
XXVII Domenica del Tempo Ordinario
4 ottobre 2009
Io e tu: il noi della salvezza
Introduzione
Il cammino in compagnia di Gesù e dei suoi discepoli prosegue, Gerusalemme
si avvicina, e si avvicina anche la Croce, per questo è necessario continuare ad
istruire, intensificare gli insegnamenti. Prima di lasciare la terra, infatti, Gesù deve
presentare ai discepoli, al mondo, il volto dell’uomo nuovo e illustrare il programma
di vita di questa umanità rinnovata.
Nessun aspetto della vita può essere tralasciato: il rinnovamento la coinvolge tutta,
anche nelle sue dinamiche più naturali, come può essere l’amore fra un uomo e una
donna.
E proprio di questo amore, consacrato nel sacro vincolo del matrimonio, si
parla in questa XXVII domenica del tempo ordinario. È infatti il matrimonio il tema
centrale su cui verte l’insegnamento di Gesù in questa pagina di Vangelo. Lo spunto è
dato da una provocazione dei farisei: “è lecito a un marito ripudiare la propria
moglie”? (Mc 10,2-8). La legge di Mosè lo consentiva, ma la legge di Dio,
incarnatasi in un cuore nuovo, non lo consente, o meglio, Essa intende restituire al
legame coniugale la sua primigenia bellezza e santità.
Infatti Gesù, portandoci verso il punto di vista di Dio, ci fa respirare l’armonia
originaria dell’unione fra uomo e donna, quando la salvezza dell’uno dipendeva dalla
salvezza dell’altro e viceversa. Questo è il progetto iniziale di Dio sull’unione
dell’uomo e della donna: essere l’uno aiuto dell’altra. Lo leggiamo nella Genesi: “Gli
voglio fare un aiuto che gli sia simile” (Gen 2,18).
Salvi perché sposi
Scriveva François Mauriac: “L’amore coniugale, che persiste attraverso mille
vicissitudini, mi sembra il più bello dei miracoli, benché sia anche il più comune”.
Non so se è il caso di definire “miracolo” un matrimonio che resiste, sta di fatto che
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tra la frase dello scrittore francese saranno passate un paio di generazioni durante le
quali i costumi sono profondamente cambiati, incluso il matrimonio, la cui durata
oggi mediamente è molto più breve. La più piccola e banale crisi mette in discussione
una unione, che sancita davanti all’altare della Chiesa, chiama a garante Dio.
Non importa l’autorevolezza del Testimone, se l’amore di un tempo è svanito o se ci
si accorge di avere accanto uno “sconosciuto”, è meglio separarsi. Questa della
“separazione”, a volte facile e a volte dolorosa, è una tendenza diffusa che sottende
un idea di fondo del matrimonio che però è sbagliata. Il matrimonio non è una
istituzione o, peggio ancora, un contratto d’affari, una sistemazione, un esperimento
stagionale: è molto di più, anzi è in minima parte tutto questo.
Il matrimonio è la pienezza dell’essere umano: il “tu”, che è stato accolto come “dono
di Dio”, è l’altra parte di me.
Questa verità trascende la contingenza e affonda le radici nello stesso atto creativo di
Dio: l’uomo è pienezza perché accoglie un “tu” che è “osso delle sue ossa”, per cui il
“tu”, la donna, è la completezza dell’uomo, come l’uomo naturalmente completa la
donna. Ambedue realtà complementari, sono chiamate istintivamente a realizzare
l’unità.
Si tratta ora di scoprire il senso profondo di questa unità, dell’amore che la
nutre e la fonda. Questo senso lo estrapoliamo dalle parole già citate della Genesi:
“Gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”. Il punto focale è in una parola, che è
centrale anche nella frase: aiuto, bellissima parola. Aiuto è parola che riempie i salmi,
deborda dalle profezie, è gridata nel pericolo, è invocata nel pianto. È molto di più di
un supplemento di forza e di speranza, essa indica una salvezza possibile e vicina. La
moglie per il marito, e il marito per la moglie, è benedizione possibile e vicina, è “una
salvezza che cammina a fianco”. Ciò significa che insieme si tende alla santità, non
“malgrado” il matrimonio, ma “mediante” il matrimonio, perché nel matrimonio si
consuma l’atto di donazione di Cristo. Infatti, come Cristo ha assunto la carne
dell’uomo, i coniugi assumono l’uno la vita dell’altro, come parte dolce e forte della
propria storia; l’amore li dilaterà al punto che il marito vivrà come propria la vita, i
sogni, i deserti, la creatività, la felicità della moglie, e la moglie dal canto suo farà lo
stesso. Una unione costruita da questo amore durerà per sempre, perché l’amore che
unisce è l’amore di Dio.
Recuperare la vera dimensione del progetto divino sul matrimonio, oggi, che lo
sfasciarsi dei matrimoni è un atto pacificamente accetto e lecitamente riconosciuto,
aiuterebbe sicuramente non solo a riscoprire il senso profondo dell’unione fra uomo e
donna, che si distingue per la gioia nel “dare” con premura, responsabilità, rispetto e
conoscenza; ma anche restituirebbe all’amore sponsale le fattezze del suo vero volto,
espressione concreta del “volto umano di Dio”.
Il carattere attivo dell’amore sponsale
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Ma l’amore di Dio chiede la collaborazione degli uomini per portare frutti, per
questo l’amore sponsale è amore comunionale, ovvero unione che si realizza stando
insieme, lavorando insieme, e nel matrimonio tre sono gli operatori attivi dell’unione:
gli sposi e il Signore. Il Signore dà forza, sostegno, protezione agli sposi che lo
ringraziano con la fiducia e la fedeltà, sentimenti che esprimono quotidianamente
nell’impegno di vivere con autenticità, costanza e coerenza l’amore sponsale come
atto di donazione sublimatrice gratuita e reciproca.
Che cosa si “danno”? la parte più vitale di sé: la gioia, l’interesse, l’umorismo,
le tristezze assieme alle espressioni e alle manifestazioni di ciò che si ha di più
importante. È una donazione arricchente e sublimatrice.
All’atto del donare seguono altri gesti che fanno unico e indissolubile l’amore
sponsale: la premura, la responsabilità, il rispetto, la vera conoscenza. La premura è
cura e interesse per la persona amata: “si ama ciò per cui si lavora, si lavora per ciò
che si ama” (E. Fromm). La responsabilità è risposta al bisogno, espresso o
inespresso, della persona amata: se amo rispondo, ovvero mi sento responsabile
dell’altro/a, come mi sento responsabile di me stesso. Il rispetto, che non è timore o
terrore, è capacità di guardare la persona amata com’è: se amo con rispetto desidero
che l’altro/a cresca e si sviluppi per quello/a che è, secondo i suoi desideri, i suoi
mezzi, e lo desidero non per compiacermi o servirmene, ma per gioirne e
parteciparne.
Premura, responsabilità e rispetto, tuttavia, sarebbero ciechi se non fossero guidati
dalla conoscenza. E trattandosi dell’amore sponsale, la conoscenza del coniuge è
intima, è profonda. La profondità si ottiene solo se ci si annulla, se si vede la persona
amata quale veramente è, senza deformazioni migliorative o peggiorative del reale.
Se ci si apre insieme all’amore di Dio, non è impossibile, né difficile, vivere
l’amore sponsale secondo queste dinamiche. Ciò che facilita il compito è non
smettere mai di guardare e camminare insieme verso la stessa direzione, e la sola
direzione che porta a non temere di perdere “dando” tutto alla persona amata, tempo,
ascolto, gioia, profonda comprensione, è quella di Dio.
Conclusione
Per concludere la riflessione di questa domenica ho attinto al patrimonio della
letteratura contemporanea, scegliendo pochi versi di un bellissimo “canto” che la
poetessa Alda Merini ha dedicato alla vita di un uomo santo: Francesco d’Assisi, che
la S. Chiesa festeggia oggi (auguri a chi si chiama Francesca e Francesco). Sono
parole stupende, direi forse una delle più belle dichiarazioni d’amore mai fatta a una
donna, esse racchiudono degnamente il significato profondo dell’amore sponsale
vissuto nel nome di Dio: “…Chiara, che avrebbe potuto essere la palestra del mio
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amore, …è invece diventata la musa ispiratrice del sogno di Dio”. Che bello sarebbe
sentirsi dire dalla persona amata: “Io ti amo perché in te amo il mondo, amo tutti,
amo Dio”.
Serena domenica
? Vincenzo Bertolone
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