Gen 4, 1- 16 Dopo la cacciata di Adamo ed Eva dal giardino di Eden

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Gen 4, 1- 16 Dopo la cacciata di Adamo ed Eva dal giardino di Eden
Lectio15a
Gen 4, 1- 16
Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: “Ho acquistato
un uomo dal Signore”. 2 Poi partorì ancora suo fratello Abele. Ora Abele era pastore di greggi e
Caino lavoratore del suolo.
3 Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; 4 anche Abele offrì
primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, 5 ma non gradì
Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. 6 Il Signore disse allora
a Caino: “Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? 7 Se agisci bene, non dovrai forse
tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo
istinto, ma tu dòminalo”. 8 Caino disse al fratello Abele: “Andiamo in campagna! ”. Mentre erano in
campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. 9 Allora il Signore disse a Caino:
“Dov’è Abele, tuo fratello? ”. Egli rispose: “Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello? ”. 10
Riprese: “Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! 11 Ora sii
maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. 12
Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra”.
13 Disse Caino al Signore: “Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono? 14 Ecco, tu mi
scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco
sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere”. 15 Ma il Signore gli disse: “Però chiunque
ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte! ”. Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo
colpisse chiunque l’avesse incontrato. 16 Caino si allontanò dal Signore e abitò nel paese di Nod,
ad oriente di Eden.
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Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa fu dichiarato giusto, attestando
Dio stesso di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora. (Lettera agli Ebrei)
Dopo la cacciata di Adamo ed Eva dal giardino di Eden finalmente avviene qualcosa di positivo, la
nascita di un figlio, il cui nome è spiegato secondo un'etimologia popolare espressione della
religiosità'Ho acquistato un uomo dal Signore'" : poiché in ebraico qanah significa acquistare, il
nome Caino esprime l’idea che concepire un figlio è avere un dono di Dio. "Poi Eva partorì ancora
suo fratello Abele".
Il personaggio principale del racconto è sin dall'inizio Caino. Abele non è presentato come figlio di
Adamo ma come fratello di Caino e la parola fratello è ripetuta ben sette volte lungo il racconto.
L'autore del racconto pone al centro la realtà della fraternità. Come Adamo ed Eva sono prototipi
della umanità, così Caino ed Abele lo sono della fraternità, gli uomini cioè sono tra loro fratelli. Di
Abele inoltre non si spiega il significato etimologico, anche perché più che un nome proprio è un
nome comune, che ha pertanto una valenza simbolica. In ebraico hebel significa "respiro" "alito" e
ritorna spesso nel libro del Qoelet: "Tutto è hebel", tutta la realtà è inconsistente, è un "soffio", ha la
consistenza di un alito.
"Ora Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo".
Sullo sfondo del rapporto tra questi due fratelli c'è anche il rapporto tumultuoso di due popoli: gli
ebrei delle origini erano pastori seminomadi, che solo in seguito diventarono sedentari stanziandosi
in una terra popolata dai cananei che erano agricoltori. Secondo alcuni il racconto di Caino e Abele
sarebbe stato alle origini un racconto sociale, che all’inizio ha alle spalle uno scontro fraterno.
Il peccato originale, originale non tanto in quanto cronologicamente primo ma in quanto
rappresenta l'essenza stessa del peccato, comune pertanto a tutti i peccati, mentre in Adamo ed Eva
era visto nel rapporto dell'uomo con se stesso, come rifiuto del proprio essere creatura, come sogno
di onnipotenza: basto a me stesso, non ho bisogno di Dio, chi è questo Dio che vuol stare sopra di
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me?! Qui nell’episodio dell’assassinio di Abele, il peccato è visto nella sua caratteristica sociale, a
partire dal rapporto dell'uomo di fronte al fratello in quanto altro. "Dopo un certo tempo, Caino offrì
frutti del suolo in sacrificio al Signore. Anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro
grasso" (diversità delle offerte) "Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la
sua offerta". È qui presentata una diversità un po' umiliante per Caino e gratificante per Abele. Non
si spiega il motivo del diverso accoglimento e se non lo si spiega vuol dire che non è questo
l'aspetto più importante o interessante. "Caino ne fu molto irritato" Caino la prese proprio male,
non riesce ad assorbire la frustrazione, non accetta l'umiliazione. "e il suo volto era
abbattuto" L'immagine è quella di uno che cammina con la testa bassa e con lo sguardo fisso a
terra. Interviene di nuovo il Signore, che in una lettura laica, al di là di riferimenti religiosi,
potrebbe essere inteso come la coscienza o, senza mancare di rispetto, il grillo parlante di
Pinocchio:
"Il Signore disse allora a Caino: Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto?" (è la voce di
una coscienza buona) "Se agisci bene non dovrai forse tenerlo alto?" (è un'analisi psicologica) "Ma
se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta" (si potrebbe pensare ad un cane
accovacciato, invece il contesto è molto minaccioso) "verso di te è il suo istinto" (il peccato è qui
presentato come una mala bestia accovacciata alla porta dell'uomo, nel suo centro decisionale) "ma
tu dominalo". Nelle tentazioni abbiamo molte possibilità umane di superarle, non ne siamo vittime
per forza; abbiamo una nostra possibilità di vincerle. Non siamo destinati a soccombere, non
compiamo il male senza volerlo; abbiamo tanti elementi che ci permettono di rinsavire. L'uomo, la
donna, è essenzialmente integro, libero, pienamente responsabile, pertanto ha la possibilità di
dominare la mala bestia.
Il racconto dell'omicidio è espresso in poche parole, neppure un versetto. Questo vuol anche dire
che l'interesse del racconto non è sull'omicidio in se, ma su ciò che lo precede e su quello che
segue. Innanzitutto sulle cause: la soppressione dell'altro nasce da una soggettività che non accoglie
la diversità dell'altro, Caino, frustrato, non accetta Abele gratificato. L'omicidio nasce dall'uomo che
accetta solo se stesso e altri uomini come se stesso. Ci sono ancora oggi omicidi o femminicidi di
questo tipo? Che cosa sono tutti i delitti di donne che si consumano nella coppia se non l’incapacità
di accogliere, capire, la diversità?!
Il problema non nasce solo dal fatto che Dio non ha accettato l’offerta di Caino; in questo
caso Caino avrebbe potuto dire: «Dovevo saperlo: tra Dio e me c’è una distanza infinita; capisco
che a Dio non interessino i frutti della mia terra; mica ne ha bisogno!». La tensione vera nasce dal
confronto: perché Abele sì e io no? Perché i suoi agnelli sì e il mio grano no? Questo è il vero
problema, antico e moderno insieme.
Il mondo è pieno di persone che, facendo il confronto con gli altri, si sentono trattate ingiustamente
dalla vita, dal mondo, da Dio: perché sono povere o malate, o deboli, o emarginate, o
rifiutate… Queste persone sono ben lungi dal pensare che la loro condizione di disgrazia abbia una
spiegazione logica; se la spiegazione logica ci fosse, non ci sarebbe il dramma. Ma proprio perché
la spiegazione logica non c’è (o, se c’è, noi non riusciamo a vederla), per questo ci si ribella e si
contesta.
Si contesta… chi? Dio? «Se ne ride chi abita i cieli, il Signore si fa beffe di loro» (Sal 2,4). L’unica
reazione che può dare davvero soddisfazione sembra essere l’eliminazione dell’altro. Certo, non gli
posso attribuire una colpa morale, ma la sua esistenza, così com’è (cioè come esistenza fortunata,
più fortunata della mia), non ha motivazione sufficiente. Se lo elimino, non rendo migliore la mia
condizione, ma cancello il confronto e quindi cancello lo scandalo. Nel dramma di Caino c’è il
nostro stesso dramma, quello che ci porta a reagire a un mondo che non è logico come dovrebbe
essere.
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Le conseguenze: Caino rifiuta di avere un fratello e di essere fratello. Caino ("Non lo so") ha
cancellato il fratello dalla realtà della sua mente ("sono forse il custode di mio fratello?").
L'omicidio è visto come cancellazione totale dell'altro dal proprio mondo. Caino, cancellando
Abele, cancella anche se stesso, cancella il suo essere fratello. Abele, che non ha mai parlato, una
volta ucciso, fa sentire la sua voce: "la voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo". È la
voce del violentato, del crocifisso, che esige giustizia. La terra (l'uomo è il "terrestre" che è fatto di
terra) è profanata. Il Signore ascolta la voce dell’oppresso, del misero, del perseguitato.
"Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo
fratello. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti." (La profanazione della
terra produce la sua ribellione) "Ramingo e fuggiasco sarai sulla terra". "Disse Caino al Signore:
'La mia colpa è troppo pesante da portare. Ecco tu mi scacci oggi da questo suolo, e io mi dovrò
nascondere lontano da te" (questo è importante in una prospettiva religiosa: l'uomo perde il fratello
perché l'uccide, perde la dimensione sua di fraternità e perde la terra) "io sarò ramingo e fuggiasco
sulla terra non coltivata e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere'". Si è stabilita ora una catena:
l'omicida incontrerà altri omicidi sulla terra non coltivata.
Ma il Signore vieta la vendetta: "Ma il Signore gli disse: 'Però chiunque ucciderà Caino subirà la
vendetta sette volte'". Qui il Signore protegge la vita di Caino anche se è omicida. Il divieto è
espresso in una forma plastica: chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte, cioè
innumerevoli volte. Alla violenza non si può rispondere con la violenza. Subirà la vendetta: la
vendetta è la vindicatio, il diritto dell'ucciso. "Il Signore impose un segno a Caino perché non lo
colpisse chiunque l'avesse incontrato". Dio si cura della vita di Caino, si fa il custode della vita di
Caino. Dio qui non è bifronte, ma ha un'unica faccia, quella di difesa del diritto di Abele e di difesa
della vita dell'omicida. "Caino si allontanò dal Signore e abitò nel paese di Nord a oriente Eden" .
Così, con una notazione geografica si chiude questo racconto denso, pieno di senso per chi crede e
per chi non crede a Dio.
I primi tre capitoli del libro della Genesi sono una rilettura teologica della condizione della
umanità. Alla conclusione c'è il dramma della lacerazione tra l'umanità e Dio. Il male ha trionfato
agli albori del capolavoro di Dio che ha creato il mondo e ha posto l'umanità al vertice, capace di
armonia. padrona di tutta la realtà. C'è però un limite invalicabile che è un segno: piccolo in sé ma
portatore di ubbidienza e di fiducia. "Non mangiare dell'albero". Ma la suggestione di avere a
portata di mano tutta la potenza di Dio, a poco prezzo, fa crollare la fiducia e la confidenza. L'uomo
e la donna hanno compromesso totalmente la loro libertà ed hanno spalancato il loro mondo alla
tentazione e al male.
Il primo racconto della famiglia umana, dopo il peccato dei progenitori, è collocato in un
mondo duro e difficile. Il lavoro è indispensabile nelle due qualità di operosità del tempo dell'autore
biblico: la pastorizia e l'agricoltura. Da sempre c'è stato conflitto tra le due culture ed i due clan
poiché l'agricoltura sottrae terreno da coltivare e i pastori sono allontanati dalle terre coltivate
poiché distruggono ciò che cresce. L'autore biblico, comunque, segue la sua meditazione del
dramma della lontananza da Dio. Alla frattura dei rapporti profondi di comunione nella prima
coppia segue la frattura dei rapporti tra fratelli. Anzi, il primo richiamo alla morte, nel mondo, non
avviene per malattia o per debolezza della carne, ma per l'esplosione della violenza che fa
dimenticare ogni valore, ogni solidarietà ed ogni legame profondo. La fecondità del lavoro di Abele
appare benedetto mentre quello di Caino, spesso soggetto all'aridità o allo stravolgimento delle
stagioni, appare maledetto e rifiutato. La prima reazione al successo dell'altro è fatta di gelosia, e
quindi di rabbia, di odio, di conflitto arrivando alla prospettiva di eliminare l'altro dalla propria
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strada. Solo l'esperienza ha aiutato noi a capire, se lo vogliamo capire, che l'elemento fondamentale
di un cammino comune è la solidarietà perché ciascuno riceva ciò che serve per una vita dignitosa.
Si è giunti faticosamente nel mondo del lavoro, arrivando alle associazioni, ai sindacati, alle
contrattazioni, alla fatica dello sciopero per giungere a capire che ci si deve mettere d'accordo. E
dopo due guerre mondiali lo ha imparato l'Europa che, pure, ha ancora molto cammino da fare. Lo
impariamo tutti a livello sociale nell'accoglienza, nella scuola, nella sanità, nel fare le leggi giuste e
non per lobby e privilegi. Il testo garantisce che Dio è attento a ciascuno e perciò anche a Caino ed
offre suggerimenti per affrontare la situazione di delusione e di rabbia. "Il peccato è accovacciato
alla tua porta, ma tu puoi dominarlo". Ci viene garantita la lotta ma anche la possibilità di vittoria. E
ci viene riconosciuto il valore della fondamentale libertà personale che, per quanto difficile, libera
dalla rassegnazione.
Ad Adamo Dio pone la domanda: "Dove sei?" (Gen 3,9). Qui continua la ricerca di senso
dell'umanità. "Dov'è Abele, tuo fratello?". In queste due domande si raccolgono tutti gli
interrogativi morali: saranno sviluppati dai profeti e da Gesù. Ci ritroviamo di fronte alle scelte nei
confronti di Dio e dei nostri fratelli e sorelle e quindi alla società in cui viviamo.
Vengono formulati tre castighi. Caino che ha ucciso è maledetto (non l'umanità); quella terra che
coltivava e che ha bevuto il sangue di Abele gli si rivolterà contro, diventando sterile; infine Caino
sarà "ramingo e fuggiasco" cioè lontano da Dio e dagli uomini. E tuttavia il castigo è mitigato. Se
Caino è maledetto, nessun uomo ha il diritto di prendere il posto di Dio nell'esecuzione della
sentenza perché "la vendetta appartiene a Dio "(Rom 12,19).
Un bel racconto di Borges ci aiuta a leggere nel testo il perdono, la misericordia:
Abele e Caino s'incontrarono dopo la morte di Abele. Camminavano nel deserto e si riconobbero da
lontano, perché erano ambedue molto alti. I fratelli sedettero in terra, accesero un fuoco e
mangiarono. Tacevano, come fa la gente stanca quando declina il giorno. Nel cielo spuntava
qualche stella, che non aveva ancora ricevuto il suo nome. Alla luce delle fiamme, Caino notò sulla
fronte di Abele il segno della pietra e lasciando cadere il pane che stava per portare alla bocca
chiese che gli fosse perdonato il suo delitto. Abele rispose: "Tu hai ucciso me, o io ho ucciso te?
Non ricordo più: stiamo qui insieme come prima". "Ora so che mi hai perdonato davvero" disse
Caino "perché dimenticare è perdonare. Anch'io cercherò di scordare". Abele disse lentamente: "È
così. Finché dura il rimorso dura la colpa". (Jorge Luis Borges)
Il perdono che elide totalmente il delitto: attraverso l’oblio si cancella la vendetta e quindi la colpa
altrui, che così viene dissolta.
Il peccato umano è lo sfondo oscuro da cui dipartono i raggi illuminanti della misericordia di
Dio. L’esperienza della misericordia divina si configura sempre come un passaggio dalle tenebre
alla luce, dalla notte al mattino, dalla morte alla vita. In una parola è esperienza della pasqua (il
termine ebraico «pasqua» significa «passaggio»).
Il Dio biblico non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva. È un Dio che fin
dalle prime battute della pagina della Genesi si rivela come con-discendente che cerca l’uomo là
dove il peccato lo ha condotto e che nel Figlio Gesù Cristo è il pastore che viene a cercare la pecora
sperduta. L’apostolo Paolo l’ha capito e lo esprime con una certezza: tutto «concorre al bene di
coloro che amano Dio» (Rm 8,28).
La santità a cui noi tutti siamo chiamati si configura non come mancanza di peccato, ma
come frutto della fede nella «misericordia» di Dio. Misericordia divina che è più forte della potenza
del peccato. I santi, testimoniano che la vittoria appartiene alla misericordia di Dio e non al peccato
dell’uomo.
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La misericordia non segna solo i rapporti verticali uomo-Dio ma anche quelli orizzontali
uomo-uomo: designa il legame tra fratelli (Gen 43,30). Anche se questi possono andare in crisi, il
percorso faticoso della riconciliazione non può che non passare per il perdono reciproco (cfr. le
storie di Giacobbe ed Esaù, Giuseppe e i suoi fratelli). Esso si qualifica come una vera rinascita un
ri-annodare quella fratellanza interrotta.
La misericordia data e ricevuta diventa il banco di prova degli stessi rapporti con Dio,
perché è l’unica cosa di cui abbiamo veramente bisogno: «siate misericordiosi come è
misericordioso il Padre vostro!». È il comando di Gesù, il nostro Maestro. Esso non può essere
eluso da parte della Chiesa. Ce lo ha ricordato molto bene Giovanni Paolo II con la sua lettera
enciclica Dives in Misericordia.
Di fronte al peccato, alla legge infranta, al vincolo fraterno fallito, all’alleanza tradita, resta
la misericordia unilaterale e incondizionata: così ce la rivela Gesù nell’incontro con l’adultera che
stava per essere lapidata (Gv 7,53-8,11).
I sette passi per trasformare la rabbia, l’aggressività e la violenza.
1. Diventare consapevoli della propria rabbia e aggressività
La rabbia è una emozione e nasce dall’interno. Quindi intimità profonda e diretta con la
nostra mente
2. Assumersi le proprie responsabilità
Pensare che un evento esterno causi la nostra rabbia è un errore. Diamo sempre la causa a
qualcuno o qualcosa fuori di noi, ma occorre entrare dentro di noi.
3. Capire la rabbia, l’aggressività e la violenza
Se la capiamo di più e ce ne sentiamo responsabili, la conosciamo più chiaramente e ne
vediamo meglio le conseguenze
4. Riflettere
La rabbia è radicata sulle nostre motivazioni più profonde: desiderio di vivere, essere felici,
avversione alla sofferenza… Questo me lo ottengono la rabbia e la violenza?
5. Decidere
L’impegno è rinnovare l’intenzione di assumercene la responsabilità. Che voglio che ora
non ho? Che cosa me ne viene che non vorrei? Sono disposto ad accontentarmi?
6. Rilassarsi e lasciare andare
Avere pazienza, aiutarsi a tollerare, capire che tutto non dipende da noi. E’ difficile?!
Rilassati e bevi una tazza di thè.
7. Aprire il cuore
Significa centrarsi, lasciare andare quello che non possiamo ottenere e trovare l’equilibrio
tra cuore e testa. Se apri il tuo cuore alla vita, vedrai la vita entrarti nel cuore.
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Appendice
Iordanum dixisse, che Cain fu huomo da bene e che meritamente uccise Abel suo fratello, perché
era un tristo e carnefice d'animali. [...]Ragionandosi di quei che ammazzavano li animali, mostrava
d'haverli compassione e diceva che faceano male, e che Abel era stato un carnefice [...].Ragionando
seco de li huomeni giusti, Giordano dicea che non ve n'era alcuno, e che il primo huomo che fu
tenuto giusto, che fu Abel, era un carnefice homicidial di animali, e che havea meritato esser
ammazzato, e che Cain era un huomo da bene et havea fatto bene ammazzar Abel. [1] (dagli atti del
processo di Giordano Bruno)
Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa fu dichiarato
giusto, attestando Dio stesso di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora. (Lettera
agli Ebrei)
Secondo il premio Nobel per la letteratura José Saramago (cfr. «Vita e Pensiero»
5/2013, pp. 65-79), la Lettera agli Ebrei dice uno “sproposito” quando recita: «Per fede Abele
offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base a esso fu dichiarato giusto» (Eb
11,4). Secondo lui, si tratta di cose «impossibili ad accettarsi, come affermare che Dio considerò
Abele suo amico. Cosa significa questo? Stiamo giocando con le parole? Da dove ricaviamo questa
informazione? Chi la registrò? Quando? Come? Dove? Abele e Caino sacrificarono a Dio quel che
avevano. Anche il povero Caino, se mi è permesso di chiamare “povero” un assassino, offrì ciò che
aveva. Dio disprezzò il suo sacrificio. Tutto prende inizio da qui: nacque lì la gelosia, il rancore,
l’incomprensione, una volta che Caino non capisce perché Dio lo rifiuti. È uno sproposito
logico, che mi porta a dire che questo testo farebbe la sua bella figura in un libro degli spropositi».
È proprio così: secondo il testo biblico Caino, che era agricoltore, «presentò frutti del
suolo come offerta al Signore», mentre Abele, che era pastore, «presentò primogeniti del suo
gregge e il loro grasso» (Gen 4,3-4). Il testo della Genesi continua: «Il Signore gradì Abele e la sua
offerta, ma non gradì Caino con la sua offerta». Siamo chiaramente di fronte a un paradosso: la
differenza delle offerte dipende dalle diverse attività degli offerenti (coltivatore di campi l’uno e
allevatore di greggi l’altro); la differenza di gradimento dipende da una volontà non motivata di
Dio.
Naturalmente il lettore può riempire i vuoti del testo immaginando che Abele abbia
offerto con un cuore puro il meglio del gregge e che Caino abbia offerto con cuore impuro gli
scarti dei frutti della terra; ma chi pensa questo lo fa a suo rischio e pericolo, perché il testo non
lo giustifica in nessun modo. Un Dio capriccioso, allora? Una volontà che può affermarsi senza
bisogno di giustificarsi? Del tipo: «Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non
dimandare!». Eppure Pietro, di fronte al centurione Cornelio, proclama che «Dio non fa
preferenza di persone» (At 10,34). E allora?
.
Probabilmente l’autore del nostro testo ha davanti agli occhi il culto che viene offerto
nel tempio di Gerusalemme. Qui a Dio vengono presentate le primizie dei frutti della terra (Dt
26,1-11) e vengono offerti sacrifici di animali. Ma sono i sacrifici di animali a costituire gli
autentici sacrifici graditi a Dio, in grado di espiare i peccati, di operare la redenzione, la
riconciliazione, il riscatto del popolo. Secondo il Levitico è il sangue che espia perché il sangue è la
vita (cfr. Lv 17,11); e la Lettera agli Ebrei fa eco affermando che «senza spargimento di sangue
non esiste perdono» (Eb 9,22). Si capisce allora che il nostro autore ritenga l’offerta di un
agnello più gradita a Dio dell’offerta di una cesta di primizie.
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Si può anche immaginare che dietro al nostro racconto stia la profonda crisi che ha
rappresentato nella storia dell’umanità l’inizio della coltivazione della terra (la rivoluzione
neolitica). Ma tutte queste spiegazioni rimangono insufficienti: perché Dio non abbia gradito
anche il sacrificio di Caino non è spiegabile. E sarà bene cercare di non spiegarlo, perché una
spiegazione logica rovinerebbe l’efficacia del racconto. Supponiamo che Caino abbia offerto doni
con una modalità sbagliata; in questo caso la risposta di Dio sarebbe del tutto logica; Caino
dovrebbe attribuire a se stesso l’errore e dovrebbe quindi starsene tranquillo dicendo: «Me lo sono
meritato! Non lo farò più; la prossima volta sarò più bravo». Una banalità; punto.
Ma il racconto, per fortuna, funziona in modo diverso. Caino non può attribuire a se
stesso la colpa del rifiuto di Dio e proprio questo fatto produce la tensione che dà avvio al
dramma. Agli occhi di Caino il mondo è ingiusto; quello che gli è capitato non è accettabile; deve
fare qualcosa per raddrizzarlo. Caino potrebbe prendersela con Dio, ma questo sarebbe
assolutamente inutile. Caino sa che Dio è Dio e che davanti a Dio l’uomo non può pretendere
niente; contestare Dio non produrrebbe nulla di buono. E allora? Si noti: il problema non nasce solo
dal fatto che Dio non ha accettato l’offerta di Caino; in questo caso Caino avrebbe potuto dire:
«Dovevo saperlo: tra Dio e me c’è una distanza infinita; capisco che a Dio non interessino i frutti
della mia terra; mica ne ha bisogno!». La tensione vera nasce dal confronto: perché Abele sì e io
no? Perché i suoi agnelli sì e il mio grano no? Questo è il vero problema, antico e moderno
insieme.
Il mondo è pieno di persone che, facendo il confronto con gli altri, si sentono trattate
ingiustamente dalla vita, dal mondo, da Dio: perché sono povere o malate, o deboli, o
emarginate, o rifiutate… Queste persone sono ben lungi dal pensare che la loro condizione di
disgrazia abbia una spiegazione logica; se la spiegazione logica ci fosse, non ci sarebbe il
dramma. Ma proprio perché la spiegazione logica non c’è (o, se c’è, noi non riusciamo a
vederla), per questo ci si ribella e si contesta.
Si contesta… chi? Dio? «Se ne ride chi abita i cieli, il Signore si fa beffe di loro» (Sal 2,4). L’unica
reazione che può dare davvero soddisfazione sembra essere l’eliminazione dell’altro. Certo,
non gli posso attribuire una colpa morale, ma la sua esistenza, così com’è (cioè come esistenza
fortunata, più fortunata della mia), non ha motivazione sufficiente. Se lo elimino, non rendo
migliore la mia condizione, ma cancello il confronto e quindi cancello lo scandalo.
Nel dramma di Caino c’è il nostro stesso dramma, quello che ci porta a reagire a un mondo
che non è logico come dovrebbe essere. Ha ragione Saramago quando parla di uno sproposito; ma
bisogna riconoscere che è proprio questo sproposito che fa del testo biblico uno specchio della
nostra condizione, dei nostri risentimenti, della nostra aggressività. Se togliamo lo sproposito, il
racconto diventa lineare e banale insieme; il fratricidio diventa una pura espressione di violenza
che non ha nulla da dirci. A questo punto possiamo tentare di capire anche la Lettera agli Ebrei:
«Per fede, Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base a essa fu dichiarato
giusto, avendo Dio attestato di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora» (Eb 11,4).
L’autore sta scrivendo una “storia della fede” attraverso una galleria di protagonisti della narrazione
biblica. All’inizio di questa galleria l’autore ha posto un principio: «La fede è fondamento di ciò
che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati
approvati da Dio» (Eb 11,1-2). Dio è, per definizione, “altro” dal mondo. Il mondo è l’insieme di
tutte le cose che si possono vedere, ascoltare, toccare, immaginare… Dio sta oltre il mondo e le
cose; non è quindi “visibile” e nemmeno “immaginabile”. Similmente le promesse di Dio si
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collocano nel futuro, e in un futuro che non sta dentro la storia, che non è quindi estrapolabile dal
corso degli eventi attuali.
L’unico possibile rapporto con Dio e la sua promessa avviene attraverso la fede che apre gli occhi
verso ciò (Colui) che è invisibile e apre il desiderio verso ciò (Colui) che non è
afferrabile. Prendiamo allora l’esperienza di Abele che offre a Dio un sacrificio del suo gregge.
Come può Abele avere fatto un sacrificio effettivamente gradito a Dio? Dobbiamo dire che tutto
dipendeva dall’oggetto dell’offerta? Dio ha gradito il sacrificio di Abele perché Abele ha offerto un
agnello? No, dice la Lettera agli Ebrei: ciò che rende gradito a Dio un sacrificio è la fede, cioè
l’apertura del cuore a Dio invisibile, la trascendenza del cuore rispetto al mondo delle cose
visibili. Ciò che rende gradito un sacrificio è il fatto che il cuore dell’uomo compia una scelta
che trascende il mondo (e i vantaggi del mondo) per rischiare il dono gratuito rivolto a Colui
che non vedo e che non controllo – che in nessun modo potrei vedere o controllare.
E Caino? Perché il sacrificio di Abele è definito «migliore» di quello di Caino? Va notato,
anzitutto che il nostro autore non giudica direttamente il sacrificio di Caino; non dice che questo
sacrificio non sia stato accettato da Dio. Dice solo che il sacrificio di Abele era «migliore». Non
avrebbe potuto parlare diversamente, dal momento che aveva posto alla base un principio del
tipo: la fede, e solo la fede, rende accetti a Dio perché la fede, e solo la fede, pone in relazione
con ciò (Colui) che non è mondo. Dove c’è fede, non è possibile che non ci sia accettazione da
parte di Dio, perché la fede è esattamente l’effetto suscitato nell’uomo da Dio che gli si è fatto
vicino. La fede non è un salire dell’uomo verso Dio (che potrebbe riuscire o non riuscire,
secondo i casi); è invece l’accoglienza nell’uomo del cammino di Dio che scende verso di lui; è
ossequio che la creatura rende al creatore quando il creatore le si fa vicino.
L’ultimo interrogativo è la definizione di Abele come amico di Dio. In realtà, non so dove
Saramago abbia trovato questa espressione. Per quanto mi risulta, l’espressione “amico di Dio” è
riferita nella Bibbia ad Abramo (Is 41,8) e a Mosè (Es 33,11), non ad Abele; ma la questione è
secondaria. In fondo, si legge nella Bibbia che la sapienza, entrando nelle anime sante, prepara
amici di Dio e profeti (cfr. Sap 7,27). Si chiede Saramago: «Cosa vuol dire? Giochiamo con le
parole?». Forse sì, ma certo stiamo giocando un gioco serio. L’amicizia indica la profondità di
un rapporto che coinvolge non solo dimensioni esterne (come l’obbedienza a un comando), ma
anche mozioni interne (i sentimenti, i desideri); che produce una vera condivisione di vita.
Ora, se Dio è «più intimo a me di me stesso», se è possibile vivere un rapporto di “alleanza”
con Dio, se Dio entra in relazione con l’uomo attraverso la sua Parola e può donare all’uomo
il suo Spirito, perché non chiamare tutto questo “amicizia”? C’è forse una parola migliore?
Rimane da chiedersi: da dove so che Dio mi è amico? Bastano le parole della rivelazione
universale, della Bibbia? Credo che la risposta più convincente sia l’amore che la relazione con Dio
suscita e fa crescere in me. Certo, può esserci in me una forma illusoria di risposta all’amicizia e
all’amore (e questa forma illusoria si riconosce dalle sue deformazioni: superstizione, aggressività,
settarismo…); ma quando nasce e si sviluppa un’autentica capacità di amore – verso Dio, se stessi,
gli altri, la vita, il futuro… – tutto questo testimonia la verità dell’amore di Dio nell’uomo,
quindi dell’amicizia di Dio per l’uomo. Stiamo giocando con le parole perché l’amicizia (che
normalmente è tra uguali) viene proiettata a indicare il rapporto con ciò (Colui) che è
infinitamente oltre; ma è un gioco serio, perché rende più umani e provoca a un amore crescente
verso il mondo.
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